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Nota INL prot. n. 724 del 30 ottobre 2023

ID 20696 | | Visite: 3441 | Documenti Sicurezza

Nota prot  n  724 del 30 ottobre 2023

Nota INL prot. n. 724 del 30 ottobre 2023 / Rivalutazione ammende e sanzioni amministrative TUS

ID 20696 | 31.10.2023 / In allegato

Nota prot. n. 724 del 30 ottobre 2023Articolo 306 comma 4-bis del D.Lgs. n. 81/2008 D.D. n. 111/2023 della DG per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Rivalutazione delle ammende e delle sanzioni amministrative in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro. Indicazioni per l’applicazione delle disposizioni.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – D.G. per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, con il D.D. n. 111 emanato lo scorso 20 settembre ha proceduto alla rivalutazione degli importi delle ammende riferite alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché da atti aventi forza di legge, in applicazione di quanto previsto dall’art. 306, comma 4 -bis, del medesimo d.lgs. n. 81/2008.

Lo stesso Decreto Direttoriale n. 111 tiene conto del chiarimento fornito dall’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con nota n. 0002575 del 16/03/2022, per cui, a seguito dell’istituzione della Direzione generale per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, tale funzione di aggiornamento passa alla competenza di quest’ultima Direzione ministeriale.

La rivalutazione applicata è della misura del 15,9%.

L’attuale incremento del 15,9% va calcolato sugli importi delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 81/2008 già aumentati del 10% per effetto della legge n. 145/2018, art. 1, comma 445, lettera d), n. 2).

Acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si evidenzia che, in ossequio al principio di irretroattività dei trattamenti sanzionatori più rigidi, che riguarda sia le violazioni punite penalmente sia quelle punite in via amministrativa, la rivalutazione di cui al D.D. n. 111 trova applicazione esclusivamente con riferimento alle violazioni commesse a far data dalla sua pubblicazione nella sezione “pubblicità legale” del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avvenuta il 6 ottobre u.s. (art. 25, comma 2, Cost; v. anche art. 2 c.p. e art. 1, L. n. 689/1981).

Va altresì osservato che l’incremento non si applica alle “somme aggiuntive” previste dall’art. 14 del d.lgs. n. 81/2008 (contrasto a lavoro irregolare e tutela salute e sicurezza), che occorre versare ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, le quali non costituiscono «propriamente sanzione» (cfr. la circolare dell’Ispettorato nazionale del lavoro 314/2018, diffusa in occasione della precedente rivalutazione).

In relazione all’applicazione della rivalutazione alle sanzioni di seguito specificate:

d.lgs. n. 101/2020 in materia di radiazioni ionizzanti;
- sanzione amministrativa prevista per la ritardata o omessa comunicazione in relazione ai lavoratori autonomi occasionali di cui all’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 81/2008;
- sanzioni modificate al d.lgs. n. 81/2008 dalla legge n. 215/2021 (legge di conversione del DL n. 146/2021);

si fa riserva di fornire specifiche indicazioni a seguito di ulteriori chiarimenti che saranno forniti dall’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Si allega un quadro riepilogativo delle contravvenzioni più ricorrenti che prevedono pene alternative dell'arresto o ammenda o solo ammenda, con l’indicazione degli importi rivalutati per effetto del D.D. n. 111/2023. Nelle more dell’aggiornamento di SMART, attualmente in corso, gli importi dei verbali generati utilizzando l’applicativo dovranno essere rettificati adeguandoli a quelli riportati in tabella e sostituendo il periodo in parentesi, che segue gli importi, con la dicitura “(Importi maggiorati da successive modificazioni e integrazioni)”. Sarà cura di questa Direzione centrale informare il personale dell’avvenuto aggiornamento degli importi in SMART.

...

Nota INL prot  n  724 del 30 ottobre 2023   Tabella 1
Nota INL prot  n  724 del 30 ottobre 2023   Tabella 2

Fonte: INL

D.Lgs. 81/2008 

Art. 306 - Disposizioni finali
.
..

4-bis. Le ammende previste con riferimento alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente decreto nonché da atti aventi forza di legge sono rivalutate ogni cinque anni con decreto del direttore generale della Direzione generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in misura pari all’indice ISTAT dei prezzi al consumo previo arrotondamento delle cifre al decimale superiore. In sede di prima applicazione la rivalutazione avviene, a decorrere dal 1° luglio 2013, nella misura del 9,6% e si applica esclusivamente alle sanzioni irrogate per le violazioni commesse successivamente alla suddetta data.

Le maggiorazioni derivanti dalla applicazione del presente comma sono destinate, per la metà del loro ammontare, al finanziamento di iniziative di vigilanza nonché di prevenzione e promozione in materia di salute e sicurezza del lavoro effettuate dalle Direzioni territoriali del lavoro.

A tal fine le predette risorse sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio

Vedi documento

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Vedi D.Lgs. 81/2008 / Aggiornato DD n. 111 del 20 Settembre 2023

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D.Lgs. 81/2008 / Aggiornato DD n. 111 del 20 Settembre 2023

Ed. 31.0 del 02 Ottobre 2023 (Rev. 22a 2017/2023) - Aggiornato Decreto direttoriale n. 111 del 20 settembre 2023 - Rivalutazione sanzioni

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La valutazione strumentale e in tempo reale del rischio da Sovraccarico Biomeccanico

ID 20684 | | Visite: 2008 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

La valutazione strumentale e in tempo reale del rischio da Sovraccarico Biomeccanico

La valutazione strumentale e in tempo reale del rischio da Sovraccarico Biomeccanico / INAIL 2023

ID 20684 | 30.10.2023 / In allegato

Le reti di sensori indossabili e gli algoritmi di intelligenza artificiale offrono la possibilità di stimare accuratamente e in tempo reale il rischio biomeccanico nelle attività di movimentazione manuale dei carichi eseguite senza e con l’ausilio di tecnologie robotiche collaborative (HRC).

Tale opportunità permette di:

- superare alcuni limiti dei metodi tradizionali elencati negli standard internazionali di ergonomia;
- ottimizzare il controllo delle tecnologie HRC; informare i lavoratori sul loro stato fisico attraverso stimoli di feedback.

Eventuali interventi di ergonomia di concezione e correzione che usino questi approcci strumentali impatterebbero positivamente sulla riduzione dell’insorgenza delle malattie professionali a carico del sistema muscoloscheletrico.

_________

Introduzione
Le patologie correlate al lavoro a carico del sistema muscoloscheletrico
La normativa di riferimento
Approcci elencati negli standard internazionali di ergonomia: punti di forza e limiti
Le nuove opportunità offerte dal nuovo scenario dell’industria 4.0
Obiettivi

Trattazione: materiali e metodi
Le reti di sensori
Gli indici per il monitoraggio dell’impegno fisico del lavoratore
e per la valutazione del rischio biomeccanico
Gli algoritmi dell’intelligenza artificiale

Risultati
Il tool sviluppato con il progetto SOPHIA
Il tool sviluppato con il progetto i-MELA

Conclusioni

Riferimenti bibliografici e sitografici

Riferimenti normativi

...

Fonte: INAIL

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Sentenza Cassazione Penale Sez. 4 del 10 luglio 2014 n. 30483

ID 20694 | | Visite: 1191 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Sentenza Cassazione Penale Sez. 4 del 10 luglio 2014 n. 30483

ID 20694 | 31.10.2023 / In allegato

Sentenza Cassazione Penale Sez. 4 del 10 luglio 2014 n. 30483 - Distacco: responsabilità in caso di infortunio

In caso di distacco di un lavoratore da un’impresa ad un’altra, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, eccetto l’obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi connessi allo svolgimento delle nuove mansioni, che restano a carico del datore di lavoro distaccante.

Fatto

V.F. e F.A. sono stati ritenuti responsabili del reato di lesioni personali colpose gravi aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore C.B. , dipendente della ditta G.S. s.r.l..

L'infortunio si è verificato in data (…) durante le operazioni di movimentazione di enormi lastre di vetro delle dimensioni di m. 3 X m. 2,50, del peso complessivo di q.22 circa, allorché il C. veniva investito dal carico che si ribaltava con frantumazione di vetri al suolo, subendo lesioni giudicate guaribili in 272 giorni con indebolimento permanente di un organo.

Al V. , titolare dell'omonima vetreria, è stato contestato di non avere informato i quattro operai della G.S.(tra cui il C. ) dei rischi specifici della sua azienda e di non aver messo a disposizione attrezzature idonee alla movimentazione di carichi pesanti; al F. , quale collaboratore con funzioni direttive della G.S. s.r.l., è stato, invece, addebitato di avere ordinato ai predetti operai di recarsi presso la vicina vetreria del V. per aiutarlo a movimentare il carico di vetri di notevoli dimensioni, senza informarli ed istruirli sui rischi di un lavoro diverso dalle loro abituali mansioni.

La sentenza di appello, nel confermare l'impostazione in fatto della sentenza di primo grado, secondo la quale era stato il F. , su richiesta del V. , a decidere di inviare gli operai occupati nella sua azienda, all'inizio della loro giornata di lavoro, presso la vetreria per lo scarico delle pesanti lastre di vetro- la cui successiva rottura aveva determinato le lesioni del C. - sottolineava in fatto che non era utilmente invocabile, ai fini di esclusione della responsabilità, l'asserito errore degli stessi operai nell'appoggio al muro delle lastre (era stata "l'intera balla a cedere non a cadere"), sia perché l'intera operazione si era svolta sotto la direzione del V. sia perché in ogni caso non era possibile pretendere dagli stessi alcuna particolare diligenza rispetto a mansioni del tutto estranee a quelle normalmente svolte.

In diritto, la responsabilità del V. era ancorata all'obbligo del datore di lavoro di garantire in generale la sicurezza dell'ambiente lavorativo anche a qualsivoglia persona presente sul luogo, ivi compresi, come nel caso in esame ai lavoratori " distaccati" da una impresa ad un'altra, sia pure per un tempo assai limitato e per un compito ben determinato; la responsabilità del F. era invece ricondotta a quella del datore di lavoro che disponeva il distacco dei propri lavoratori presso la ditta del vicino al fine di svolgere un lavoro del tutto estraneo alle mansioni da essi abitualmente svolte, senza fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della nuova e diversa prestazione. In questa prospettiva i giudici di appello negavano l'applicabilità del principio di affidamento invocato dal F. .
Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati con due distinti ricorsi.

V.F. lamenta che la Corte di merito aveva fornito una rappresentazione della dinamica dei fatti in contrasto con le dichiarazioni rese da uno degli operai impegnati nell'operazione, dalle quali emergeva che la caduta dei lastroni si era verificata a seguito dell'errato posizionamento dei medesimi sul muro., non inclinato obliquamente con la parte alta verso il muro,con la conseguente impossibilità del medesimo di intervenire.
Non era pertanto ravvisabile alcun nesso di causalità tra la richiesta di ausilio ai dipendenti della G.S. e l'evento di danno verificatosi.

F.A. svolge analoghe considerazioni sostenendo che dalla corretta ricostruzione del fatto emerge che il carico sia caduto solo per essere stato maldestramente appoggiato al muro.

Nessuna responsabilità poteva, pertanto, essere individuata a suo carico in quanto l'attività di scarico di lastre di vetro da un autocarro ed il loro trasporto non richiede particolari informazioni in ordine ai possibili rischi connessi all'espletamento del lavoro. Si sostiene altresì l'illogicità della sentenza nella parte in cui esclude l'errore nell'appoggio al muro sul rilievo che operazioni erano state effettuate sotto la diretta vigilanza del V. .

Nessun rapporto di causalità era, pertanto, riscontrabile tra la condotta ascritta al F. di aver consentito che i dipendenti provvedessero allo scarico delle lastre e l'evento lesivo, riconducibile esclusivamente alla responsabilità del V. , il quale aveva assunto su di sé la responsabilità della direzione dei lavori, ponendo in essere una condotta con efficacia causale esclusiva nella determinazione dell'evento.

Diritto

I ricorsi sono infondati.

La sentenza impugnata è corretta nell'applicazione dei principi di diritto, non presenta vuoti motivazionali né è caratterizzata dalle asserite illogicità.

In proposito, giova preliminarmente evidenziare che la Corte di appello ha tenuto conto degli elementi acquisiti e ha affermato che la dinamica dell'infortunio dovesse essere ricostruita nei seguenti termini.

I quattro operai della G.S. s.r.l. (tra cui l'infortunato), su sollecitazione del F. , direttore della G.S. s.r.l., si erano recati presso la vicina vetreria del V. per aiutarlo a movimentare un carico di vetri di notevoli dimensioni e di rilevante peso (q. 22) e durante le operazioni di movimentazione, avvenute su di un precario carrellino a rotelle, i lastroni di vetro erano caduti sul terreno infrangendosi sul C. il quale aveva riportato le gravi lesioni descritte nel capo di imputazione.

Trattasi di ricostruzione qui incensurabile, in ordine alla quale deve procedersi a verificare la correttezza della decisione.

Entrambi i ricorrenti hanno contestato la ricostruzione del fatto circa le modalità di rottura delle lastre, sostenendo che, come affermato dal giudice di primo grado, la caduta accidentale delle stesse era stata determinata dalla condotta colposa degli operai che le avevano appoggiato in equilibrio precario al muro.

Alla luce di tale ricostruzione il V. ed il F. hanno invocato l'esclusione di ogni responsabilità: il primo, sul rilievo che si era trattato di evento accidentale, non evitabile dal ricorrente attraverso le proprie conoscenze tecniche, il secondo, ha, invece, richiamato il principio di affidamento, in base al quale la direzione dell'intera operazione da parte del V. , persona qualificata e competente, avrebbe comportato l'assunzione su quest'ultimo della responsabilità dell'esecuzione dei lavori, esonerandolo da ogni responsabilità dell'evento lesivo.

Ciò premesso, va innanzitutto evidenziato che i ricorrenti propongono una ricostruzione del fatto non risultante dal testo della sentenza e come tale preclusa alla cognizione del giudice di legittimità, risolvendosi in una censura sulla valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione logicamente argomentata.

In secondo luogo, anche accogliendo la ricostruzione secondo la quale l'evento lesivo sarebbe stato determinato dall'erroneo appoggio delle lastre di vetro al muro, i termini delle rispettive responsabilità non cambiano.

La censura del V. non tiene conto che allo stesso è stato contestato di non avere fornito il lavoratore di tutti i presidi di sicurezza o altre attrezzature adeguate per il trasporto delle lastre, tra i quali certamente non rientra il carrellino, risultato del tutto inidoneo allo scopo (art. 35, comma 1, DPR 626/94) e di non averli informati sui rischi specifici della sua azienda (artt. 7 e 89 del medesimo decreto), e non è dubitale che spettasse in ogni caso all'imputato, in forza della sua esperienza, fornire indicazioni agli operai inesperti in quel settore sulle modalità di appoggio delle lastre al muro.

Ciò che rileva ai fini dell'affermazione della responsabilità del V. è che, in materia di normativa antinfortunistica, l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che nell'impresa hanno prestato la loro opera, quale che sia stata la forma utilizzata per lo svolgimento della prestazione.

Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. art. 3, comma 2, del dpr 27 aprile 1955 n. 547) o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza.

Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nell'ambiente lavorativo, a prescindere da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa (cfr anche, Sezione IV, 24 giugno 2008, Ansalone ed altro).

È di decisivo rilievo, in proposito, il disposto dell'articolo 2087 del codice civile, in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40, comma 2, c.p..

Parimenti infondato è il ricorso proposto dal F. , con il quale si sostiene l'esenzione da responsabilità del datore di lavoro trattandosi di rischi specifici propri della ditta che si era avvalsa del lavoro degli operai della G.S..

La censura non tiene conto che la responsabilità del committente, in ossequio alla disciplina di settore- (prima, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994; ora, trasfuso sostanzialmente nell'articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008)- non esclude quella del datore di lavoro in caso di infortunio.

Nella stessa prospettiva è stato altresì ritenuto che in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall'art. 3, comma sesto, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore di lavoro distaccante. (v. da ultimo, Sezione IV, 19 aprile 2013, Farinotti ed altro, rv. 256397).

Il datore di lavoro, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando abbia consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame, in cui non erano presenti nel luogo di lavoro attrezzature idonee per l'esecuzione dei lavori l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile.

In tal senso, i giudici di merito hanno evidenziato che l'imputato era venuto meno ai propri doveri di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, inviando gli operai presso la ditta del vicino, al fine di svolgere un lavoro del tutto estraneo alle mansioni da essi abitualmente svolte, senza fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della nuova e diversa prestazione.

Né potrebbe valere nel caso concreto in esame il richiamo, al principio del cd. "affidamento" in tema di infortuni sul lavoro, in virtù del quale ciascun consociato può confidare che ciascuno si comporti secondo le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che di volta in volta viene in questione - posto che, come più volte affermato.

Detto principio, come evidenziato nella sentenza impugnata, non opera allorché il mancato rispetto da parte di terzi delle norme precauzionali di prudenza abbia la sua prima causa nell'inosservanza di tali norme da parte di colui che invoca il suddetto principio, come nel caso in esame.

Tale principio non potrebbe, infatti, essere utilmente richiamato dall'imputato né con riferimento all'operato dei suoi dipendenti, da lui non istruiti sulle corrette modalità di esecuzione dell'operazione di movimentazione delle pesanti lastre di vetro (mancata istruzione integrante violazione di norma antinfortunistica, ritenuta casualmente connessa con la verificazione dell'evento), né con riferimento alla condotta del coimputato V. , attesa proprio la pregressa violazione rimproverata al F. .

Per le ragioni che precedono i ricorsi vanno rigettati, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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Allegato riservato Sentenza CP Sez. IV n. 30483 del 10.07.2014.pdf
 
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INAIL: Rapporti 2022 per regione

ID 20692 | | Visite: 1791 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

INAIL Rapporti 2022 per regione

INAIL: Rapporti 2022 per regione

ID 20692 | 31.10.2023 / In allegato Rapporti regionali

26.10.2023 - Pubblicati da INAIL i Rapporti annuali per regione 2022

Dati rilevati al 30 Aprile 2023

Introduzione
Sintesi dei principali andamenti regionali

Sezione 1 - dati statistici
La situazione nel mondo del lavoro nei dati Inail
Infortuni
Malattie professionali
Cura, riabilitazione, reinserimento
Azioni e servizi

Sezione 2 - eventi e progetti
Nota metodologica - dati rilevati al 30 aprile 2023
Indice delle tabelle
Glossario

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - ABRUZZO
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - BASILICATA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE PROVINCIALE 2022 - BOLZANO
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - CALABRIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - CAMPANIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - EMILIA ROMAGNA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - FRIULI VENEZIA GIULIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - LOMBARDIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - LAZIO
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - LIGURIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - MOLISE
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - MARCHE
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - PIEMONTE
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - PUGLIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - SICILIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - SARDEGNA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - TOSCANA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE PROVINCIALE 2022 - TRENTO
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - UMBRIA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - VALLE D'AOSTA
Dati rilevati al 30 aprile 2023

RAPPORTO ANNUALE REGIONALE 2022 - VENETO
Dati rilevati al 30 aprile 2023

Fonte: INAIL

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DPI Criteri di scelta: Quadro normativo

ID 5928 | | Visite: 89349 | Documenti Riservati Sicurezza

DPI Criteri di scelta Quadro normativo 2023

DPI Criteri di scelta: Quadro normativo 2023

ID 5928 | Rev. 3.0 del 13.08.2023 / Documento completo allegato

Quadro normativo 2023 Dispositivi di protezione individuale (DPI)

Update 3.0 del 13 Agosto 2023

- Aggiornate le edizioni attuali delle norme principali riportate nel D.M. 2 maggio 2001.
Nel dettaglio:
UNI EN 169:1993 sostituita da UNI EN ISO 16321-1:2022
UNI EN 170:1993 sostituita da UNI EN ISO 16321-1:2022
UNI EN 171:1993 sostituita da UNI EN ISO 16321-1:2022
Rif. anche a:
UNI EN ISO 16321-2:2022
UNI EN ISO 16321-3:2022

Quadro normativo 2023 Dispositivi di protezione individuale (DPI), così articolato:

1. L'entrata in vigore del nuovo Regolamento (UE) 2016/425 che stabilisce i requisiti per la progettazione e la fabbricazione dei dispositivi di protezione individuale (marcatura CE) in sostituzione della direttiva 89/686/CEE (GU L 81/51 del 31 Marzo 2016)

2. Pubblicazione del Decreto Legislativo 19 febbraio 2019 n. 17  di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio.  (GU n.59 del 11.03.2019) (Modifiche al decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475);

3. Un aggiornamento/nuovo decreto previsto nel D.M. 2 maggio 2001 "Criteri per l’individuazione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI)", e dal D.Lgs. 81/2008 Art. 79 c. 2, dovrebbe allineare la legislazione e normativa tecnica (o da prevedere una procedura di armonizzazione tra la normativa legislativa e quella tecnica):

D.Lgs. 81/2008
Regolamento (UE) 2016/425
Decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475
Norma armonizzate Regolamento (UE) 2016/425
- Norme tecniche

Il D.M. 2 maggio 2001 "Criteri per l’individuazione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI)" è stato emanato nel 2001 in accordo con quanto previsto dall'articolo 45, comma 2, lettera a) del decreto legislativo n. 626 del 19 settembre 1994, stabilisce i criteri per l'individuazione e l'uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI), tenendo conto della natura, dell'attività e dei fattori specifici di rischio.

4. Con l'entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, le disposizioni inerenti i DPI oltre a quelle generali (....) sono previste al Titolo IIII USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE, CAPO II Uso dei dispositivi di protezione individuale (Art. 74÷79 e 87) ed i Criteri per l’individuazione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI) è rimandata ad apposito decreto secondo l'Art. 79 comma 2, non ancora emanato, ma nelle cui more di emanazione restano ferme le disposizioni del D.M. 2 maggio 2001, aggiornato con le edizioni delle norme UNI più recenti (disposizione introdotta dalla Legge 17 dicembre 2021 n. 215, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, in quanto nel testo del D.M. 2 maggio 2001, erano riportati riferimenti alle norme UNI ormai non più in vigore).

Difatti, la Legge 17 dicembre 2021 n. 215, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili, in GU n.301 del 20.12.2021, con la lettera e-quinquies) interviene sull’articolo 79 del D.Lgs. 81/2008 disponendo l’aggiornamento dei riferimenti alla normativa tecnica contenuta nel D.M. 2 maggio 2001.

DPI Criteri di scelta   Quadro normativo   Schema 1

(1) Periodo aggiunto all’Art. 2 bis dalla Legge 17 dicembre 2021 n. 215 conversione in legge, con modificazioni, decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. (GU n.301 del 20.12.2021).

Norme UNI / D. Lgs. 81/2008 / D.M. 2 maggio 2001 / DPI: Cogenza

Le norme UNI sui DPI (in generale per taluni aspetti ivi contenuti e quelle relative a criteri di scelta), alla luce della modifica del comma 2-bis dell'Art. 79 "...aggiornato con le edizioni delle norme UNI più recenti" e tenendo conto dei concetto di "buona tecnica", sono a tutti gli effetti cogenti per il rispetto di quanto previsto al Capo II del Titolo III del D.Lgs. 81/2008 Uso dei dispositivi di protezione individuale.

D.Lgs. 81/2008

Art. 79 - Criteri per l'individuazione e l'uso 

1. Il contenuto dell'allegato VIII, costituisce elemento di riferimento per l'applicazione di quanto previsto all'articolo 77, commi 1 e 4.

2. Con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6, tenendo conto della natura, dell'attività e dei fattori specifici di rischio sono indicati:
a) i criteri per l'individuazione e l'uso dei DPI;
b) le circostanze e le situazioni in cui, ferme restando le priorità delle misure di protezione collettiva, si rende necessario l'impiego dei DPI.

2-bis. Fino alla adozione del decreto di cui al comma 2 restano ferme le disposizioni di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale in data 2 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 1 ° giugno 2001, aggiornato con le edizioni delle norme UNI più recenti. (1)

(1) Periodo aggiunto dalla Legge 17 dicembre 2021 n. 215 Conversione in legge, con modificazioni, decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. (GU n.301 del 20.12.2021). 

Nel D.M. 2 maggio 2001 all'Art. 3, è previsto aggiornamento degli allegati del decreto in relazione al progresso tecnologico.

D.M. 2 maggio 2001
...
Art. 3

1. Con successivi decreti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentita la Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro, si provvederà all'indicazione dei criteri per l'individuazione e l'uso di altre tipologie di DPI nonché all'aggiornamento degli allegati del presente decreto in relazione al progresso tecnologico.

Le norme riportate nel D.M. 2 maggio 2001 costituiscono il riferimento di buona tecnica.

Nella tabella seguente riporta le norme principali del Decreto riportate in premessa(*) e le attuali in vigore:

Norme principali nel D.M. 2 maggio 2001 Titolo Norme attuali Titolo
UNI EN 458:1995 Protettori auricolari. Raccomandazioni per la selezione, l'uso, la cura e la manutenzione. Documento di guida. UNI EN 458:2016
Protettori dell'udito - Raccomandazioni per la selezione, l'uso, la cura e la manutenzione - Documento guida
UNI 10720:1998 Guida alla scelta e all uso degli apparecchi di protezione delle vie respiratorie. UNI EN 529:2006
Dispositivi di protezione delle vie respiratorie - Raccomandazioni per la selezione, l'uso, la cura e la manutenzione - Documento guida
UNI EN 169:1993

Protezione personale degli occhi. Filtri per la saldatura e tecniche connesse. Requisiti di trasmissione e utilizzazioni raccomandate

UNI EN ISO 16321-1:2022 (1)

Protezione degli occhi e del viso per uso professionale - Parte 1: Requisiti generali
UNI EN 170:1993

Protezione personale degli occhi. Filtri ultravioletti. Requisiti di trasmissione e utilizzazioni raccomandate

UNI EN ISO 16321-1:2022
(1)

Protezione degli occhi e del viso per uso professionale - Parte 1: Requisiti generali
UNI EN 171:1993 Protezione personale degli occhi. Filtri infrarossi. Requisiti di trasmissione e utilizzazioni raccomandate

UNI EN ISO 16321-1:2022
(1)

Protezione degli occhi e del viso per uso professionale - Parte 1: Requisiti generali
UNI 9609:1990 Indumenti protettivi da agenti chimici solidi, liquidi e gassosi pericolosi. Raccomandazioni per la selezione, l uso e la manutenzione. Ritirata senza sostituzione

(*)
UNI EN 458 (1995) DPI per la protezione dell'udito

UNI 10720 (1998) concernente DPI per la protezione delle vie respiratorie;
UNI EN 169 (1993), UNI EN 170 (1993), UNI EN 171 (1993) concernenti DPI per la protezione degli occhi;
UNI 9609 (1990) concernente DPI relativi ad indumenti protettivi da agenti chimici;

(1) Si considerino, per completezza, anche le norme della serie UNI EN ISO 16321-X:
- UNI EN ISO 16321-2:2022 Protezione degli occhi e del viso per uso professionale - Parte 2: Requisiti aggiuntivi per le protezioni utilizzate durante la saldatura e le tecniche correlate
- UNI EN ISO 16321-3:2022 Protezione degli occhi e del viso per uso professionale - Parte 3: Requisiti aggiuntivi per protezioni a rete

Norme UNI / D. Lgs. 81/2008 / D.M. 2 maggio 2001 / DPI: Cogenza

Le norme UNI sui DPI (in generale per taluni aspetti ivi contenuti e quelle relative a criteri di scelta), alla luce della modifica del comma 2-bis dell'Art. 79 "...aggiornato con le edizioni delle norme UNI più recenti" e tenendo conto dei concetto di "buona tecnica", sono a tutti gli effetti cogenti per il rispetto di quanto previsto al Capo II del Titolo III del D.Lgs. 81/2008 Uso dei dispositivi di protezione individuale.

DPI Criteri di scelta Quadro normativo

D.M. 2 maggio 2001

Criteri per l’individuazione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI)

GU n.209 del 08-09-2001 - SO n. 226
______

Articolo 1
1. Sono approvati i criteri per l'individuazione e l'uso di DPI relativi:
a) alla protezione dell'udito, come riportati nell'allegato 1 del presente decreto;
b) alla protezione delle vie respiratorie, come riportati nell'allegato 2 del presente decreto;
c) alla protezione degli occhi:
i) filtri per saldatura e tecniche connesse,
ii) filtri per radiazioni ultraviolette,
iii) filtri per radiazioni infrarosse, come riportati nell'allegato 3 del presente decreto;
d) a indumenti protettivi da agenti chimici, come riportati nell'allegato 4 del presente decreto.

Articolo 2
1. I criteri per l'individuazione e l'uso di DPI, diversi da quelli approvati al precedente articolo 1, devono garantire un livello di sicurezza equivalente.

Articolo 3
1. Con successivi decreti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentita la Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro, si provvederà all'indicazione dei criteri per l'individuazione e l'uso di altre tipologie di DPI nonché all'aggiornamento degli allegati del presente decreto in relazione al progresso tecnologico.
______

ALLEGATO 1
0. Introduzione 
1. Scopo e campo di applicazione 
2. Riferimenti normativi 
3. Definizioni
4. Classificazione
5. Selezione
6. Uso
7. Cura e manutenzione
Figure
Appendice A - Metodi di valutazione dell’attenuazione sonora di un protettore auricolare relativa ad un livello di pressione acustica continua equivalente ponderata A 
Appendice B - Metodi di valutazione dell’attenuazione sonora di un protettore auricolare rispetto al livello di pressione acustica di picco
Appendice C - (Informativa)

ALLEGATO 2
0. Introduzione
1. Scopo e campo di applicazione
2. Riferimenti normativi
3. Definizioni
4. Misure generali per il contenimento degli inquinanti ambientali e l'utilizzo degli APVR
5. Criteri di scelta
5.1 - Valutazioni generali
5.2 - Protezione offerta dai diversi apparecchi
6. Descrizione degli apparecchi e limitazioni di impiego
6.1 - Respiratori a filtro
6.2 - Respiratori isolanti
7. Uso
7.1 - Generalita'
7.2 - Durata di impiego
7.3 - Adattamento del facciale ed accettabilita' dell'apparecchio da parte di chi lo indossa
7.4 - Informazione, formazione e addestramento in materia di protezione delle vie respiratorie
8. Documentazione, immagazzinamento e manutenzione degli APVR
8.1 - Generalita'
8.2 - Mantenimento della documentazione
8.3 - Immagazzinamento
8.4 - Manutenzione
8.5 - Riempimento delle bombole di aria compressa
8.6 - Riempimento delle bombole di ossigeno
8.7 - Controlli da parte del responsabile degli APVR
8.8 - Controlli specialistici
9. Frequenza della manutenzione e dei controlli
10. Indicazioni operative per la scelta degli APVR 90
10.1 - Premessa
10.2 - Scelta dell'APVR
Appendice A - Elenco delle norme europee sugli APVR (Informativa)

ALLEGATO 3 (*)

i) UNI EN 169 (1993) - Filtri per la saldatura e tecniche connesse. Requisiti di trasmissione e utilizzazioni raccomandate
0. Guida per la selezione e l'uso
1. Generalita'
1.1 - Numeri di graduazione da utilizzare per la saldatura e saldo-brasatura a gas
1.2 - Numeri di graduazione da utilizzare in ossitaglio
1.3 - Numeri di graduazione da utilizzare per il taglio al plasma a getto
1.4 - Numeri di graduazione da utilizzare per la saldatura o per il taglio al plasma ad arco elettrico
1.5 - Numeri di graduazione dei filtri da utilizzare per gli aiuto saldatori
2. Osservazioni

ii) UNI EN 170 (1993) - Filtri ultravioletti. Requisiti di trasmissione e utilizzazioni raccomandate
0. Guida per la selezione e l'uso

iii) UNI EN 171 (1993) - Filtri infrarossi. Requisiti di trasmissione e utilizzazioni raccomandate
0. Guida per la selezione e l'uso

ALLEGATO 4 (*)
1. Scopo e campo di applicazione
2. Definizioni
3. Effetto di agenti chimici sul corpo
4. Accertamento di rischio
5. Indumenti protettivi
6. Selezione
7. Altri pericoli
8. Uso e manutenzione
Appendice

(*) I richiami di norme tecniche effettuati nel testo costituiscono soltanto un riferimento bibliografico atto ad indicare la fonte di quanto affermato: per la comprensione del testo stesso non è generalmente necessaria la loro consultazione; ove ciò risultasse invece necessario, viene riportato in nota il punto o i punti specifici della norma richiamata.

D.Lgs. 81/2008
...

Titolo IIII USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE
...
Capo II Uso dei dispositivi di protezione individuale

Art. 74 - Definizioni

1. Ai fini del presente decreto si intende (2) per dispositivo di protezione individuale, di seguito denominato "DPI", qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. (1)

Si tiene conto, inoltre, delle finalità, del campo di applicazione e delle definizioni di cui agli articoli 1, 2 e 3, paragrafo 1, numero 1), del regolamento (UE) n. 2016/425. (2)

2. Ai fini del presente decreto non costituiscono DPI: (2)

a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore;

b) le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio;

c) le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell'ordine pubblico;

d) le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto (...);

e) i materiali sportivi quando utilizzati a fini specificamente sportivi e non per attività lavorative;

f) i materiali per l'autodifesa o per la dissuasione;

g) gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi.

Note
(1) Circolare MLPS n. 3 del 1​3 febbraio 2015 - Chiarimenti riguardanti l'utilizzo, durante l'esecuzione dei lavori in quota, dei dispositivi d'ancoraggio a cui vengono collegati i sottosistemi per la protezione contro le cadute dall'alto, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero delle infrastrutture e trasporti.
(2) Come modificato dall'art. 2, comma 1 lett. a del decreto legislativo 19 febbraio 2019, n. 17 - Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio

Art. 75 - Obbligo di uso

1. I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro.

Art. 76 - Requisiti dei DPI

1. I DPI devono essere conformi alle norme di cui al regolamento (UE) n. 2016/425. (1) (2)

2. Ai fini del presente decreto i DPI di cui al comma 1 (2) devono inoltre:

a) essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore;

b) essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;

c) tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore;

d) poter essere adattati all'utilizzatore secondo le sue necessità.

3. In caso di rischi multipli che richiedono l'uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell'uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti.

Note
(1) Circolare MLPS n. 3 del 1​3 febbraio 2015 - Chiarimenti riguardanti l'utilizzo, durante l'esecuzione dei lavori in quota, dei dispositivi d'ancoraggio a cui vengono collegati i sottosistemi per la protezione contro le cadute dall'alto, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero delle infrastrutture e trasporti.
(2) Come modificato dall'art. 2, comma 1 lett. b del decreto legislativo 19 febbraio 2019, n. 17 - Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio

Art. 77 - Obblighi del datore di lavoro

1. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:

a) effettua l'analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;

b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI;

c) valuta, sulla base delle informazioni e delle norme d'uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);

d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione.

2. Il datore di lavoro, anche sulla base delle norme d'uso fornite dal fabbricante, individua le condizioni in cui un DPI deve essere usato, specie per quanto riguarda la durata dell'uso, in funzione di:

a) entità del rischio;

b) frequenza dell'esposizione al rischio;

c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore;

d) prestazioni del DPI.

3. Il datore di lavoro, sulla base delle indicazioni del decreto di cui all'articolo 79, comma 2, fornisce ai lavoratori DPI conformi ai requisiti previsti dall'articolo 76.

4. Il datore di lavoro:

a) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d'igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante;

b) provvede a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante;

c) fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori;

d) destina ogni DPI ad un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l'uso di uno stesso DPI da parte di più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori;

e) informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge;

f) rende disponibile nell'azienda ovvero unità produttiva informazioni adeguate su ogni DPI;

g) stabilisce le procedure aziendali da seguire, al termine dell'utilizzo, per la riconsegna e il deposito dei DPI;

h) assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno specifico addestramento circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico dei DPI.

5. In ogni caso l'addestramento è indispensabile:

a) per ogni DPI che, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, appartenga alla terza categoria;

b) per i dispositivi di protezione dell'udito.

Art. 78 - Obblighi dei lavoratori

1. In ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 20, comma 2, lettera h), i lavoratori si sottopongono al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari ai sensi dell'articolo 77 commi 4, lettera h), e 5.

2. In ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 20, comma 2, lettera d), i lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all'informazione e alla formazione ricevute e all'addestramento eventualmente organizzato ed espletato.

3. I lavoratori:

a) provvedono alla cura dei DPI messi a loro disposizione;

b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa.

4. Al termine dell'utilizzo i lavoratori seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei DPI.

5. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione.

Art. 79 - Criteri per l'individuazione e l'uso 

1. Il contenuto dell'allegato VIII, costituisce elemento di riferimento per l'applicazione di quanto previsto all'articolo 77, commi 1 e 4.

2. Con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6, tenendo conto della natura, dell'attività e dei fattori specifici di rischio sono indicati:

a) i criteri per l'individuazione e l'uso dei DPI;

b) le circostanze e le situazioni in cui, ferme restando le priorità delle misure di protezione collettiva, si rende necessario l'impiego dei DPI.

2-bis. Fino alla adozione del decreto di cui al comma 2 restano ferme le disposizioni di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale in data 2 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 1 ° giugno 2001, aggiornato con le edizioni delle norme UNI più recenti. (1)

(1) Periodo aggiunto dalla Legge 17 dicembre 2021 n. 215 Conversione in legge, con modificazioni, decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. (GU n.301 del 20.12.2021). 

Art. 87 - Sanzioni a carico del datore di lavoro, del dirigente, del noleggiatore e del concedente in uso

1. Il datore di lavoro è punito con la pena dell'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro per la violazione dell'articolo 80, comma 2.

2. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la pena dell'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro per la violazione:

a) dell'articolo 70, comma 1;

b) dell'articolo 70, comma 2, limitatamente ai punti 3.2.1, 5.6.1, 5.6.6, 5.6.7, 5.9.1, 5.9.2, 5.13.8 e 5.13.9 dell'allegato V, parte II;

c) dell'articolo 71, commi 1, 2, 4, 7 e 8;

d) degli articoli 75 e 77, commi 3, 4, lettere a), b) e d), e 5;

e) degli articoli 80, comma 1(1), 82, comma 1, 83, comma 1, e 85, comma 1.

3. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la pena dell'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 1.000 a 4.800 euro per la violazione:

a) dell'articolo 70, comma 2, limitatamente ai punti 2.10, 3.1.8, 3.1.11, 3.3.1, 5.1.3, 5.1.4, 5.5.3, 5.5.7, 5.7.1, 5.7.3, 5.12.1, 5.15.2, 5.16.2, 5.16.4, dell'allegato V, parte II;

b) dell'articolo 71, comma 3, limitatamente ai punti 3.1.3, 3.1.4, 3.1.5, 3.1.6, 3.1.7, 3.2.1 dell'allegato VI;

c) dell'articolo 77, comma 4, lettere e), f) ed h);

d) dell'articolo 80, commi 3 e 3-bis. (2)

4. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 1.800 per la violazione:

a) dell'articolo 70, comma 2, limitatamente ai punti dell'allegato V, parte II, diversi da quelli indicati alla lettera a) del comma 3 e alla lettera b) del comma 2;

b) dell'articolo 71, comma 3, limitatamente ai punti dell'allegato VI diversi da quelli indicati alla lettera b) del comma 3(3), e commi 6, 9, 10 e 11;

c) dell'articolo 77, comma 4, lettere c) e g);

d) dell'articolo 86, commi 1 e 3.

5. La violazione di più precetti riconducibili alla categoria omogenea di requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro di cui all'allegato V, parte II, punti 1, 2, 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 4.1, 4.2, 4.3, 4.4 , 4.5, 5.1, 5.2 , 5.3 , 5.4 , 5.5 , 5.6, 5.7, 5.8, 5.9 , 5.10 , 5.11, 5.12, 5.13, 5.14 , 5.15 e 5.16 è considerata una unica violazione, penale o amministrativa a seconda della natura dell'illecito, ed è punita con la pena o la sanzione amministrativa pecuniaria rispettivamente previste dai precedenti commi. L'organo di vigilanza è tenuto a precisare in ogni caso, in sede di contestazione, i diversi precetti violati.

6. La violazione di più precetti riconducibili alla categoria omogenea di requisiti di sicurezza relativi alle attrezzature (4) di lavoro di cui all'allegato VI, punti 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8, 1.9, 2, 3.1, 3.2, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 è considerata una unica violazione, penale o amministrativa a seconda della natura dell'illecito, ed è punita con la pena o la sanzione amministrativa pecuniaria rispettivamente previste dal comma 3, alinea, o dal comma 4, alinea (4).

L'organo di vigilanza è tenuto a precisare in ogni caso, in sede di contestazione, i diversi precetti violati.

7. Il venditore, il noleggiatore o il concedente in uso è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 750 a 2.700 euro per la violazione dell'articolo 72.

Note
(1) Lettera modificata dall'art. 20, comma 1 lett. n, 1 del d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 - Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183
(2) Lettera modificata dall'art. 20, comma 1 lett. n, 2 del d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 - Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183
(3) Lettera modificata dall'art. 20, comma 1 lett. n, 3 del d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 - Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183
(4) Comma modificato dall'art. 20, comma 1 lett. n, 4 del d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 - Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183

Norme armonizzate concernente il Regolamento (UE) 2016/425

Elenco Norme armonizzate Regolamento (UE) 2016/425 DPI

Elenco consolidato Norme armonizzate concernente la Presunzione di Conformità ai RESS del Regolamento (UE) 2016/425 relativo ai dispositivi di protezione individuale. 


...
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3.0 13.08.2023 Aggiornate le edizioni attuali delle norme principali riportate nel D.M. 2 maggio 2001.
Nel dettaglio:
UNI EN 169:1993 sostituita da UNI EN ISO 16321-1:2022
UNI EN 170:1993 sostituita da UNI EN ISO 16321-1:2022
UNI EN 171:1993 sostituita da UNI EN ISO 16321-1:2022
Rif. anche a:
UNI EN ISO 16321-2:2022
UNI EN ISO 16321-3:2022
Certifico Srl
2.0 23.01.2022 Legge 17 dicembre 2021 n. 215 Certifico Srl
1.0 21.06.2021 Decreto Legislativo 4 dicembre 1992, n. 475
Aggiornamento D.Lgs. 81/2008
Norme armonizzate Regolamento (UE) 2016/425
Certifico Srl
0.0 04.08.2021 --- Certifico Srl

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Pavimenti in vinil amianto: Individuazione, gestione e bonifica

ID 11971 | | Visite: 10070 | Documenti Riservati Sicurezza

Pavimenti vinilamianto Rev 00 2020

Pavimenti in vinil amianto: Individuazione, gestione e bonifica

ID 11971 | 03.11.2020

Scheda tematica per la gestione dei pavimenti in “Vinilamianto”

Questa scheda tematica vuole fornire informazioni utili per l’individuazione, la gestione e la bonifica dei pavimenti in “VinilAmianto” (VA), facilitando il percorso decisionale anche attraverso uno strumento di sintesi come una flow chart.

Negli anni tra il 1960 e il 1980 il materiale in “VinilAmianto” (VA), di basso costo e di rapida messa in opera, è stato utilizzato anche in Italia soprattutto per la pavimentazione di edifici pubblici, come scuole ed ospedali, ed anche in edilizia residenziale pubblica.

Nei pavimenti in VA, le fibre di amianto (tra il 10 e 25%) sono fortemente conglobate in resine di PVC.

Nell’uso normale di questi pavimenti è improbabile un rilascio di fibre d’amianto, mentre se le mattonelle vengono tagliate, abrase o perforate possono liberare in aria anche elevate quantità di fibre.

Principali riferimenti normativi:

Legge 27 marzo 1992 n.257
Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto.

D.M. Sanità 6/9/1994
Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto.

D.M. Sanità 20/8/1999
Ampliamento delle normative e delle metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto, previsti dall’art. 5, comma 1, lettera f), della legge 27 marzo 1992, n. 257, recante norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto.

D.Lgs. 81/08
"Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro".

Circolare del 25/1/2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Orientamenti pratici per la determinazione delle Esposizioni Sporadiche E di Debole Intensità (ESEDI).

Scheda 1

...

Scheda decisionale per gestire il materiale e individuare l’azienda che può eseguire i lavori di bonifica

Pavimenti vinilamianto

...Segue in allegato

Certifico Srl - IT | Rev. 0.0 2020
©Copia autorizzata Abbonati 

Fonte: Regione Emilia-Romagna

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Sentenza CP n. 32261 del 25 luglio 2023

ID 20672 | | Visite: 905 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenza Cassazione Penale n. 32261 del 25 luglio 2023

ID 20672 | 28.10.2023

Cassazione Penale Sez. 5 del 25 luglio 2023 n. 32261

Falsità ideologica per rilascio attestato corsi di formazione non effettuato

Fatto

1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Torino ha confermato la decisione del Tribunale di Aosta con cui, a esito di giudizio ordinario, A.A., era stato ritenuto responsabile del delitto di cui agli artt. 110, 483 c.p., per avere, in qualità di datore di lavoro, falsamente attestato la partecipazione ai corsi di formazione presso la Edilcave Srl dei dipendenti B.B., C.C. e D.D..

2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. Navarra Orlando, affidando le proprie censure ai tre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte omesso di motivare il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni dei testi con cui la società amministrata dall'imputato ha contenziosi in corso, considerando inattendibile, invece, il teste B.B.. Si censura altresì il diniego della invocata perizia grafologica sulle firme dei partecipanti ai corsi e dell'audizione del teste D.D.. In altri termini - si precisa - non è stata raggiunta la prova del concorso dell'imputato nel reato, in relazione al quale era divenuto inoppugnabile il decreto di condanna emesso nei confronti del docente incaricato di tenere i corsi; quest'ultimo -a dire della difesa- era l'unica persona incaricata di compilare i registri attestanti la partecipazione ai corsi di formazione.

2.2. Col secondo motivo, si eccepisce violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, reputato eccessivamente punitivo, e il vizio motivazione circa il denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Valorizzando, a tal proposito, la produzione della falsa documentazione da parte dell'imputato, connotante particolare astuzia dell'azione, la Corte d'appello avrebbe immotivatamente trascurato il fatto dell'assenza di dolo da parte del A.A..

2.3. Col terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, riproponendo le censure svolte nei primi due motivi, quanto all'affermazione di responsabilità e alla dosimetria della pena.

3. Sono state trasmesse, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa Kate Tassone, la quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso. La difesa dell'imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del P.g.

Diritto

1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità.

Premesso che, in un sistema processuale improntato al principio del libero convincimento del giudici, non può ritenersi che la dimostrazione della falsità richieda lo svolgimento di perizia grafologica, si osserva che, nel caso di specie, tutti i dipendenti hanno negato di avere frequentato il corso e il solo teste Impieri (ossia il lavoratore coinvolto nell'infortunio, a seguito del quale l'imputato ha prodotto la documentazione oggetto del processo) è stato ritenuto inattendibile, alla luce del contrasto tra le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, con le quali aveva negato di avere frequentato alcun corso, e quelle rese in dibattimento.

Ne discende che, del tutto razionalmente, i giudici di merito hanno concluso per la falsità dell'attestazione di partecipazione dei dipendenti ai corsi di formazione.

In tale contesto, il ricorso non illustra quali determinanti profili probatori potrebbero essere apportati dall'invocata audizione del teste D.D., ossia elementi, che se confermati, potrebbero scardinare la tenuta argomentativa della sentenza impugnata.

Quanto alla sussistenza del dolo, si osserva che, in assenza di qualunque specificazione in punto di fatto, la consapevolezza dell'assenza dei corsi è dimostrata dal fatto che nessuno dei dipendenti conosceva il docente e che non è dato intendere in che modo l'imputato abbia verificato l'effettivo svolgimento dei corsi per potere predisporre la documentazione che tanto attestava.

2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che - nel caso di specie - non ricorre.

Inoltre, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).

Ciò detto in linea generale, si osserva che le doglianze del secondo motivo, nella sostanza, solo genericamente investono la dosimetria della pena, limitandosi a riproporre critiche concernenti l'affermazione di responsabilità, per le quali si rinvia a quanto esaminato nel primo motivo.

3. Il terzo motivo è inammissibile, per le stesse ragioni indicate nei punti 1. e 2., avendo carattere meramente riassuntivo delle censure analizzate nei primi due motivi.

4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2023

Intelligenza artificiale e lavoro

ID 20666 | | Visite: 1350 | News Sicurezza

Intelligenza artificiale e lavoro

Intelligenza artificiale e lavoro

ID 20666 | 27.10.2023

Indagine conoscitiva sul rapporto tra intelligenza artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l’intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro 

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Calderone è stata audita il 26 Ottobre 2023 presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati per l’indagine conoscitiva in merito all’impatto dell’intelligenza artificiale, in particolare quella generativa, sul mondo del lavoro.

"Guardo a una funzione a tutto tondo dell’intelligenza artificiale - ha affermato il Ministro Calderone - avendo come riferimento il lavoro umano e a come utilizzare l’AI generativa in funzione di un vantaggio per lavoratori e lavoratrici".

Per il Ministro l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento di supporto alle attività anche nei termini di maggiore sicurezza sul lavoro, sia rispetto alla rilevazione dei rischi sia per un miglioramento delle condizioni di lavoro, pur non tralasciando i numerosi rischi che possono derivare dall’adozione dell’IA.

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Fonte: MLPS

Nota INL del 26 ottobre 2023 prot. n. 460

ID 20663 | | Visite: 920 | Documenti Sicurezza

Nota INL del 26 ottobre 2023 prot. n. 460

ID 20663 | 27.10.2023

Nota INL del 26 ottobre 2023 prot. n. 460 - D.Lgs. n. 36/2021 come modificato dal D.Lgs. n. 120/2023 - precisazioni

OggettoD.Lgs. n. 36/2021 recante “Attuazione dell'articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo” come modificato dal D.Lgs. n. 120/2023 - precisazioni

In ragione di alcune richieste di chiarimento in ordine agli obblighi comunicazionali relativi al rapporto di lavoro sportivo nell'area del dilettantismo concernenti, in particolare, l’obbligo di comunicare al Registro delle attività sportive dilettantistiche i dati necessari all'individuazione del rapporto di lavoro entro il trentesimo giorno del mese successivo al suo inizio, si ritiene opportuno precisare quanto segue.

Con circolare n. 2/2023 è stato chiarito che la comunicazione al Registro delle attività sportive dilettantistiche equivale a tutti gli effetti alle comunicazioni al centro per l'impiego e che, per i rapporti di lavoro iniziati prima della pubblicazione del D.Lgs. n. 120/2023, avvenuta in data 4 settembre u.s., si ritiene che l’obbligo in questione possa essere assolto entro il 30 ottobre p.v.

La medesima circolare ha, altresì, chiarito che i dati necessari all’individuazione del rapporto di lavoro sportivo dovranno essere trasmessi mediante la consueta comunicazione al centro per l’impiego sino a quando il Registro delle attività sportive dilettantistiche non sia pienamente operativo. Ciò in ragione della necessaria integrazione applicativa prevista dall’art. 28, comma 5, del D.Lgs. n. 36/2021, con l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o dell’Autorità politica delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con cui sono individuate le disposizioni tecniche e i protocolli informatici necessari a consentire gli adempimenti in parola. Tale ultima precisazione, tuttavia, non può che valere per le sole comunicazioni che non siano state già effettuate per il tramite del Registro alla data odierna, rispetto alle quali non è, quindi, dovuto alcun ulteriore adempimento comunicativo al centro per l’impiego.

Ci si riserva di fornire ulteriori chiarimenti sul punto, a valle dell’entrata in vigore del sopra citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

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Fonte: INL

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Vademecum sicurezza spine, prese e adattatori

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ID 19134 Vademecum sicurezza spine prese e adattatori

Vademecum sicurezza spine, prese e adattatori / Ottobre 2023

ID 19134 | Rev. 1.0 del 18.10.2023 / Documento completo allegato - Procedura per il corretto utilizzo / Check list di controllo.

Il documento intende fornire un quadro generale normativo relativo a spine, prese, prese mobili multiple, prolunghe e adattatori per uso domestico e similare, uffici e altro in accordo con le norme di riferimento CEI 23-50, CEI 23-57 e CEI 23-151 e con:

-  Procedura per il corretto utilizzo
-  Check list di controllo.

Tali apparecchi elettrici, enormemente diffusi, sono origine di innumerevoli incidenti e potenziali rischi di incendio/elettrocuzione relativi ad un non corretto utilizzo anche in relazione a mancanza di un chiaro e rigido quadro normativo.

Infatti spine e prese, seppur apparecchi elettrici, non sono oggetto di marcatura CE, in generale, in accordo con la Direttiva 2014/35/UE (BT) (salvo le prese mobili multiple e le prolunghe), ma è a loro applicabile solo la Direttiva generale dei Prodotti GSPD Direttiva 2001/95/CE recepita nel Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), si veda a seguire la tabella 1.

Direttiva RoHS / Marcatura CE

Nel presente documento non viene analizzata l’applicazione della Direttiva 2011/65/UE RoHS prevista per tali dispositivi, in quanto non pertinente gli aspetti di sicurezza qui trattati ma relativa a sostanze pericolose contenute nelle AEE.

Vademecum sicurezza spine  prese e adattatori    Tab  1

Tabella 1 - Marcatura CE spine / prese / prese mobili multiple / prolunghe / adattatori

Marcatura CE - Direttiva BT

Le spine e le prese, come sopra detto, non rientrano nel campo di applicazione della Direttiva 2014/35/UE (BT), salvo le prese mobili multiple (cd “ciabatte”) e prolunghe.

Per approfondimenti vedasi documento Lists electrical equipment and phenomena not covered by the LVD

Marcatura CE - Direttiva RoHS

Attenzione:

La marcatura CE riportata in una spina/presa/adattatore è riferita alla sola Direttiva RoHS (da non riferire alla Direttiva BT non applicabile) - vedere dichiarazione CE di conformità.

 Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Presa CE RoHS

Presa Marcata CE (Direttiva RoHS) - No BT (Vedere dichiarazione CE di conformità)

Le prese elettriche

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Prese

Raccomandazioni d’uso spine / prese /adattatori /prese multiple / prolunghe (uso domestico e similare / uffici, altro)

In ambito domestico e similare, uffici ed altro, si usano, in genere, due tipi di prese cosiddette "a pettine", secondo CEI 23-50 e CEI 23-57 (P11, P17, P30, P40)

quelle da 10 ampere, denominate es P11, che possono sopportare 2500 watt di potenza totale, in genere utilizzate per i piccoli elettrodomestici,

quelle da 16 ampere, denominate es P17, con fori più grandi e maggiormente distanziati, che possono sopportare carichi da 3500 watt di potenza totale, in genere utilizzate per gli elettrodomestici più potenti (aspirapolvere, lavatrice, forno a microonde etc.).

quelle da 16 ampere, denominate es P30 (cd “Schuko), rotonde, standard tedesco.

La posizione delle prese, oltre a rispettare i requisiti previsti dalle normative sugli impianti, deve essere valutata in fase di progetto tenendo conto della disposizione della casa, della collocazione degli elettrodomestici, della necessità che le prese siano facilmente raggiungibili in modo da poter essere controllate.

La normativa sugli impianti, prevede ad esempio che le prese non vengano collocate troppo vicino al pavimento (devono rispettare una distanza dal pavimento di circa 40 cm) altrimenti, in caso di perdita di acqua o allagamenti, potrebbero esporre al rischio di folgorazione. Particolarmente rigorose sono le indicazioni da rispettare negli ambienti come bagno e cucina, luoghi in cui si concentra la maggior parte degli elettrodomestici e si usa molto l'acqua, la nemica numero uno dell'elettricità.

Avere l’avvertenza di utilizzare prese multiple del tipo universale (adatte cioè per ogni tipologia di utilizzatore) onde evitare la necessità degli adattatori.

Prese elettriche in bagno

Secondo la normativa, in bagno, in base alla posizione della vasca da bagno o del piatto doccia, si individuano quattro zone in cui bisogna rispettare regole tassative:

Zona 0 (è il volume interno della vasca o del piatto doccia. Per docce con cabine prefabbricate, la zona 0 è tutta quella interna): è vietata l'installazione sia di condutture che di apparecchi elettrici.

Zona 1 (è la proiezione del contorno della vasca o del piatto doccia fino a un'altezza di 2.25 metri dal pavimento): sono ammesse condutture incassate nelle pareti per almeno 5 centimetri. Per profondità inferiori bisogna rispettare un particolare grado di isolamento. Sono vietate le cassette di derivazione, salvo nel caso in cui sono utilizzate per la connessione con apparecchi ammessi nella zona. Sono vietati gli apparecchi elettrici e le normali prese a spina a 220 volt.

Zona 2 (si estende in orizzontale fino a una distanza di 60 centimetri dal bordo della vasca o del piatto doccia. Verticalmente arriva fino a 2.25 metri dal pavimento): sono ammesse condutture incassate nelle pareti per almeno 5 centimetri. Per profondità inferiori bisogna rispettare un particolare grado di isolamento. Sono vietate le cassette di derivazione, salvo nel caso in cui sono utilizzate per la connessione con apparecchi ammessi nella zona. Sono vietati gli apparecchi elettrici e le normali prese a spina a 220 volt. Sono ammesse prese a spina, alimentate da trasformatori di isolamento di Classe II di bassa potenza incorporati nelle stesse prese a spina, previste per alimentare rasoi elettrici.

Zona 3 (si estende orizzontalmente fino a 2.40 metri dalla zona 2. Verticalmente arriva fino a 2.25 metri dal pavimento): sono ammesse condutture incassate nelle pareti per almeno 5 centimetri. Per profondità inferiori bisogna rispettare un particolare grado di isolamento. Non vi è alcuna limitazione per le cassette di derivazione. L'installazione degli apparecchi elettrici e delle prese a spina è ammessa solo se vengono adottati appropriati accorgimenti per realizzare la protezione contro i contatti indiretti.

(Per dettagli delle differenze tra le diverse zone Vedasi CEI 64-8)

Una precauzione in più

In bagno e in cucina, per avere un'ulteriore sicurezza, possono venire installate delle prese particolari chiamate interbloccate, costituite da una presa e da un interruttore magnetotermico differenziale da 10 mA, che rappresentano una protezione locale in caso di anomalie. Per utilizzare questo tipo di prese, bisogna inserire la spina e poi premere l'interruttore che eroga elettricità. Quando si estrae la spina, l'interruttore scatta automaticamente togliendo il contatto elettrico. Una luce verde segnala il corretto funzionamento. La presa va verificata periodicamente (una volta al mese) per controllare l'efficienza, premendo il piccolo pulsante di cui sono dotate.

In generale, in tutta la casa, occorre ricordare che è obbligatorio l'utilizzo di prese di sicurezza e cioè le prese con fori chiusi da alveoli, che si aprono solo inserendo la spina, senza alcuna possibilità di avere accesso alle parti in tensione. In questo modo, anche se in casa ci sono bambini, questi non potranno inserirvi le dita o piccoli oggetti appuntiti come ad esempio le matite - con il rischio di prendere la scossa o di rimanere fulminati.

Le spine elettriche

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Spine

Le spine, secondo CEI 23-50 e CEI 23-57, sono di tre tipi: bipolare (es. S10, S16), tripolare (S11, S17) e "Schuko" (S30, S31, S32)

Spina a pettine tripolare da 10 A o 16 A (denominate rispettivamente S11 ed S17).
Sono caratterizzate da tre spinotti. In essi confluiscono il cavo di terra, quello neutro e la fase. E' il tipo di spina più comune e diffusa in Italia.

Spina a pettine bipolare da 10 A o 16 A (denominate rispettivamente S10 ed S16).
Sono caratterizzate da due spinotti. In essi confluiscono il cavo di neutro e quello di fase. Si utilizza per apparecchi che hanno il doppio isolamento e che non necessitano, quindi, del polo di terra. Gli apparecchi elettrodomestici con doppio isolamento si riconoscono dal simbolo con due quadrati uno nell'altro.

Spina tipo "Schuko" da 16 A (denominata S30 o S31 o S32).
In questo tipo di spina, detta anche tedesca, disponibile sia nella versione bipolare (S32) sia tripolare (S30 o S31), lo spinotto di terra, se esistente, è sostituito da due lamelle metalliche laterali. La spina è caratterizzata da due spinotti dove confluiscono il cavo di neutro e quello di fase.

Adattatori, prese multiple e prolunghe

Una presa, una spina. Questo è uno dei punti del decalogo per la sicurezza elettrica in casa. Se ciò non fosse proprio possibile, si possono utilizzare o gli adattatori o le prese multiple, le cosiddette "ciabatte".

Gli adattatori

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Adattatori

Sono dispositivi mobili costituiti da una parte spina e da una o più parti presa destinate a ricevere una o più spine contemporaneamente degli apparecchi utilizzatori che si vogliono alimentare. La parte spina di un adattatore è normalmente destinata ad essere inserita in una presa dell'impianto fisso.

Come dice il loro nome, la loro funzione primaria è quella di adattare una spina a una presa, sia in termini di forma, sia, entro certi limiti, di portata. Ad esempio, consentono di inserire una spina tipo Schuko, diversa da quella italiana con gli spinotti a pettine, in una presa all'italiana, e viceversa. Oppure, permettono di collegare una spina con spinotti piccoli (ad esempio una spina di tipo S11) a una presa con i fori, i cosiddetti alveoli grossi (ad esempio una presa di tipo P17).

In questo caso, per evitare pericolosi incidenti. Occorre  ricordare che non devono essere mai utilizzati adattatori che hanno una o più prese a pettine con fori grandi da 16 ampere (tipo P17 o P17/11) e gli spinotti piccoli da 10 ampere (tipo S11) (salvo deroga per gli adattatori conformi CEI 23-151). (N)

Inoltre, bisogna sempre tenere presente che gli adattatori possono essere usati solo per apparecchi con una potenza complessiva di 1500 watt (tutti gli apparecchi riportano sulla confezione o sulla struttura la loro potenza in watt).

Gli adattatori di interposizione devono riportare la corrente nominale in ampere e/o la potenza nominale in watt.

Gli adattatori con fusibile devono essere marcati per indicare la presenza di un fusibile all’interno dell’adattatore e questa marcatura può essere sotto forma di un simbolo.

Gli adattatori con fusibile devono essere marcati con la corrente nominale e il tipo di fusibile sul portafusibili o in prossimità del fusibile.

E’ vietato inserire adattatore su adattatore CEI 23-57 p.8:

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Adattatori II

Tale immagine deve essere riportata sui cataloghi e sulle confezioni destinate al pubblico, e deve avere dimensione minima di 10 mm.

(N) CEI 23-151 (Adattatori in salita)

CEI 23 151  Deroga adattatori in salita

CEI 23-151
Spine e prese per usi domestici e similari
Parte 3: Prescrizioni particolari per adattatori con dispositivo di protezione da sovracorrente incorporato

Data pubblicazione: 08.2020

La presente Norma specifica le prescrizioni particolari per gli adattatori con dispositivi di protezione da sovracorrente incorporati con tensione nominale superiore a 50 V fino ad un massimo di 250 V e con corrente nominale non superiore a 16 A, destinati ad essere utilizzati negli ambienti domestici e similari. Sono esclusi dal suo campo di applicazione gli adattatori da viaggio coperti dalla Norma CEI 23-57:2020. La presente Norma fornisce prescrizioni riguardanti la costruzione e le modalità di prova degli adattatori di cui sopra, allo scopo di ottenere la sicurezza elettrica per gli utilizzatori e l’assenza di danni nell’ambiente circostante. Ai fini della presente Norma, per usi similari si intendono per esempio ambienti quali gli uffici, laboratori, alberghi, ospedali, scuole, negozi, interni di caravan e alloggi a bordo di navi. Gli adattatori conformi alla presente Norma sono adatti per essere utilizzati ad una temperatura ambiente normalmente non superiore a +40 °C, dove la media della temperatura ambiente per un periodo di 24 h non supera +35 °C con un limite inferiore di -5 °C.
...

Fig  1   Schema Adattatore in salita

Fig. 1 - Schema Adattatore in salita

Si evidenzia:

- Gli adattatori con dispositivo di protezione da sovracorrente incorporato devono essere costruiti in modo che non possano essere aperti con le mani o con un utensile di tipo comune, ad esempio un cacciavite usato come tale, senza renderli permanentemente inutilizzabili;

- I dispositivi di protezione da sovracorrente da incorporare negli adattatori devono essere a riarmo manuale e devono essere conformi alle norme CEI EN 60934 o CEI EN 60898-1;

- Dispositivi di protezione contro le sovracorrenti a riarmo automatico non sono ammessi.

Fig  2   Esempio Adattatore in salita

Fig. 2 - Esempio Adattatore in salita

[...]

Le prese mobili multiple (cd "ciabatte")

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Ciabatte

Se si devono collegare più apparecchi a una stessa presa, ad esempio il computer, lo scanner e la stampante, si può ricorrere a una presa multipla di forma allungata, chiamata comunemente "ciabatta", più potente dell'adattatore, costituita da una spina, un cavo flessibile e un involucro in materiale termoplastico contenente diverse prese. Rispetto agli adattatori, le "ciabatte" hanno il vantaggio di poter collegare contemporaneamente un numero maggiore di apparecchi.

Le "ciabatte" utilizzate comunemente in ambito domestico e similare, uffici ed altro, sono quelle da 16 A o da 10 A.

Per non rischiare di sovraccaricarle buona regola sarebbe quella di leggere la potenza massima espressa in watt (W) eventualmente riportata sulla "ciabatta" e fare la somma dei watt di tutti gli apparecchi ad essa collegati.

Preferire “ciabatte” con fusibile max assorbimento, protezione termica / sovracccarico, limitatore di sovratensione e/o con interruttore luminoso generale di sicurezza o interruttori indipendenti su ogni singola presa.

Le prolunghe

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Prolunghe

Quando il cavo di alimentazione di un apparecchio è troppo corto oppure la presa di corrente è troppo lontana, si Le prolunghepossono utilizzare le prolunghe oppure gli avvolgicavo.

Le prolunghe devono essere sempre in perfetto stato. La spina di una prolunga, inoltre, deve avere sempre lo stesso numero di poli della corrispondente presa. In pratica, se è possibile collegare alla prolunga un apparecchio di classe I (cioè munito di conduttore di terra), significa che la prolunga deve avere sia l'alveolo di terra sulla presa sia lo spinotto di terra sulla spina, necessari per la connessione a terra dell'apparecchio. In caso contrario, anche se l'impianto elettrico e l'elettrodomestico hanno questo elemento di sicurezza, la prolunga lo eliminerebbe.

Adattatori, prese multiple e prolunghe

Una presa, una spina.

Questo è uno dei punti del decalogo per la sicurezza elettrica. Se ciò non fosse proprio possibile, si possono utilizzare o gli adattatori o le prese multiple, le cosiddette "ciabatte".

Prese e spine non sicure: quando il difetto può trasformarsi in pericolo
Quando prese, spine, adattatori, "ciabatte", prolunghe e avvolgicavo non sono sicuri possono essere fonte di possibili rischi quali la scossa (elettrocuzione), il corto circuito e l'incendio, come dimostrano i risultati delle prove condotte nei laboratori IMQ su alcuni prodotti non conformi che hanno rilevato le seguenti principali non conformità:

Prese multiple ("ciabatte") non resistenti al calore e costruite con materiale non autoestinguente
Con una presa del genere, potrebbe accadere che, se collocata troppo vicina a una fonte di calore (termosifone, stufetta elettrica, forno), o, in caso di surriscaldamento delle parti in tensione, la plastica dell'involucro si deformi, creando pericoli di contatto con le parti in tensione. Inoltre, in caso di incendio, non essendo costruita con materiale autoestinguente, potrebbe addirittura alimentare il fuoco.

Avvolgicavo non resistente al calore, con insufficiente resistenza meccanica e assenza di indicazioni per il corretto utilizzo.
In caso di caduta, il prodotto si potrebbe rompere con facilità, lasciando scoperte le parti in tensione. Inoltre, se avvicinato a fonti di calore o in caso di surriscaldamento delle parti in tensione, l'involucro potrebbe deformarsi. Infine, la mancanza delle indicazioni per il corretto utilizzo potrebbe diventare causa di corto circuito nel caso in cui il cavo non venga svolto correttamente.

Adattatori con parti in tensione accessibili.
Sono a rischio di scossa o, tecnicamente parlando, di elettrocuzione. La loro potenziale pericolosità è ancora maggiore se in casa ci sono bambini.

Prolunghe non resistenti al calore e con dimensioni non rispettate.
Se avvicinato a fonti di calore, l'involucro che le riveste potrebbe deformarsi: conseguenza particolarmente rischiosa, considerando l'utilizzo delle prolunghe. Infatti, potrebbero venire utilizzate da una stanza a un'altra, senza un controllo diretto sul percorso effettuato, con il rischio di avvicinarsi a fonti di calore. La non conformità delle dimensioni potrebbe, invece, pregiudicarne l'impiego corretto: ad esempio, spinotti troppo corti potrebbero creare un falso contatto sulle prese destinate ad esservi inserite.

Infine, tra i possibili rischi delle prese, non legati a difetti o a materiale scadente, vi è quello relativo alle distanze di isolamento non rispettate tra le parti in tensione di diversa polarità o tra le parti in tensione e le parti accessibili, che può provocare elettrocuzione e corto circuito.

Ad esempio, nel caso di una presa con antenna per televisione, se non vengono rispettate le distanze di isolamento, la tensione a 220 volt della presa fissa potrebbe facilmente "infiltrarsi" nella tensione di segnale dell'antenna, provocando un grave rischio di elettrocuzione per l'utente ma anche di corto circuito per gli apparecchi collegati, che verrebbero messi irrimediabilmente fuori uso.

La garanzia di qualità e sicurezza del marchio IMQ

I difetti e i rischi descritti, dovrebbero far meditare sui possibili rischi di questi prodotti e sugli accorgimenti che i consumatori dovrebbero seguire quando acquistano materiale elettrico come prese e spine. Anzitutto, è sempre opportuno affidarsi a rivenditori specializzati, dando la preferenza a marche affidabili e conosciute, senza lasciarsi tentare dalle occasioni o da prodotti non ben identificati. In secondo luogo, è necessario verificare la presenza di un marchio di sicurezza, come il Marchio IMQ.

Questo marchio, infatti, indica che, prima di essere immesso sul mercato, il prodotto è stato sottoposto a tutte le prove di sicurezza da parte di un ente terzo indipendente e che vengono anche effettuati periodici controlli sulla produzione in modo da verificarne nel tempo la conformità alle norme, prelevando prodotti direttamente dalla fabbrica o sul mercato. Sono numerose, lunghe e severe le prove cui spine e prese vengono sottoposte nei laboratori dell'IMQ, dopo la verifica dei dati nominali (riferimento di tipo, marchio di fabbrica e valore di corrente e tensione nominale) e delle misure dimensionali. Fra le più importanti, vi sono:

- Prove di isolamento e di tensione: verifiche dell'isolamento tra le parti in tensione e le parti accessibili e prove di tensione applicata.
- Prove di riscaldamento: verifiche delle sovratemperature, in condizioni di sovraccarico di corrente.
- Prove del potere di interruzione: test di inserzione e di disinserzione delle spine nelle prese, in condizioni critiche di corrente, tensione e fattore di potenza.
- Prove delle forze massime e minime di estrazione delle spine dalle prese.
- Prove di resistenza meccanica: resistenza alla caduta e agli urti dei materiali ? custodia, spinotti o alveoli, fruttini ? e delle connessioni elettriche e meccaniche.
- Prove di resistenza al calore e all'usura: i materiali non devono subire alterazioni tali da pregiudicare il funzionamento di prese e spine, sia in condizioni critiche di calore, sia dopo un utilizzo prolungato nel tempo.
- Prove di resistenza meccanica (prove dinamometriche) di viti e connessioni.

I consigli per la sicurezza

- Prima di acquistare prese, spine, adattatori, "ciabatte", prolunghe e avvolgicavo, accertarsi che rechino il Marchio IMQ o un marchio equivalente: ne attesta la qualità e la sicurezza, comprovata da test specifici.

- Non maneggiare mai materiale elettrico con le mani bagnate o a piedi nudi.

- Evitare di collocare prese, adattatori e prolunghe in prossimità di tendaggi, divani etc.

- Non riparare mai con il nastro isolante prese, spine, adattatori,prolunghe e avvolgicavo. Occore sostituirli. 

- Non staccare mai la spina da una presa a parete tirando il cavo, ma afferrarne con le dita il corpo, evitando anche di toccare gli spinotti. Togliere le spine dalle prese tirando il cavo rappresenta un pericolo in quanto potrebbe provocare la rottura del cavo o dell'involucro della spina, rendendo accessibili le parti in tensione. Inoltre, si potrebbe strappare la presa dal muro se quest'ultima è fissata per mezzo di griffe.

- Se si utilizzano adattatori, farlo in modo temporaneo facendo attenzione a non sovraccaricarli. Il rischio, infatti, è che l'adattatore si surriscaldi, arrivando al punto di deformarsi, e che provochi un incendio.

- Evitare di inserire contemporaneamente più di un elettrodomestico in una sola presa mediante l'uso di un adattatore. In generale, l'ideale sarebbe collegare a ogni presa una sola spina, soprattutto se uno degli apparecchi è già sufficientemente potente. Se ciò non fosse proprio possibile, si possono utilizzare le prese multiple, le cosiddette "ciabatte".

- Assicurarsi che le "ciabatte" siano poste su una superficie stabile e che i cavi non restino liberi sul pavimento, con il rischio di inciampare o che vengano a contatto con stracci umidi.

- Non collegare "a cascata" più "ciabatte", inserendole nella stessa presa: la prima "ciabatta" della catena verrebbe sovraccaricata, con il rischio di danni all'impianto elettrico o di incendio.

- Controllare periodicamente l'integrità delle prolunghe in quanto vengono sollecitate meccanicamente durante l'uso e possono, quindi, deteriorarsi facilmente.

- Ricordarsi che è buona prassi svolgere completamente gli avvolgicavo prima dell'uso.

- Evitare di lasciare inserite nelle prese prolunghe non collegate ad alcun apparecchio.

Prese e spine nel mondo: per chi viaggia

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Adattatori viaggio

Schuko, a lamelle piatte, all'inglese, a spinotti tondi: sono almeno 18 i tipi di spine utilizzate nei vari Paesi del mondo, alle quali corrispondono, ovviamente, altrettanti tipi di prese. Una diversità notevole che non provoca, tuttavia, alcun tipo di problema, se non quando ci si deve recare all'estero. In questo caso, infatti, se si vuole mettere in valigia anche l'asciugacapelli o il caricabatteria, sono indispensabili tre informazioni: il tipo di presa in uso nel Paese di destinazione, il tipo di tensione in uso e la frequenza di rete.

Il tipo di presa

dopo essersi informati sul tipo di presa in uso nel Paese dove ci si reca, è necessario acquistare dall'elettricista il relativo adattatore, che consentirà di inserire la spina dell'apparecchio che si porta con sé in un tipo di presa diverso (vi sono alcuni alberghi che lo prestano, mentre altri lo affittano).

Il tipo di tensione

in Italia, la rete elettrica opera a 220/230 volt e, naturalmente, tutti i nostri elettrodomestici sono costruiti per funzionare con questa tensione. All'estero, si possono trovare anche tensioni diverse. Ad esempio, negli Stati Uniti, la tensione è di 110/120 volt. Per evitare qualsiasi inconveniente nell'uso dell'elettricità, conviene, quindi, procurarsi un trasformatore, che consentirà di adattare la tensione della linea con quello di funzionamento dell'apparecchio.

Nel caso in cui non si abbia a disposizione il trasformatore o lo si sia dimenticato, si può cercare nel bagno dell'albergo la presa con la scritta "shave" o con il simbolo della rasatura: fornirà la tensione a 220 volt, utile, però, solo per carichi leggeri (ad esempio i rasoi). Non va utilizzata invece per apparecchi ad alto consumo energetico come l'asciugacapelli: si rischierebbe di far incendiare la presa.

Naturalmente, anche nel caso in cui si acquistino apparecchi elettrici all'estero, è necessario tenere presente il tipo di spina e la tensione. Adattatori e trasformatori, infatti, sono adatti a un uso temporaneo e non per il lungo periodo. E anche l'espediente di sostituire la spina non è accettabile in quanto verrebbe meno la validità del certificato di garanzia dell'elettrodomestico. Prima dell'acquisto, bisogna, quindi, accertarsi che la tensione dell'apparecchio sia corrispondente a quella in uso in Italia (220/230 volt), che il tipo di spina sia compatibile con le prese in uso in Italia e che il prodotto abbia un marchio di sicurezza equivalente al marchio IMQ.

Fonte: IMQ (integrata)

Mini check list spine / prese /adattatori /prolunghe (uso domestico e similare, uffici e altro)

Vademecum sicurezza spine  prese  adattatori   Check list
...
segue in allegato

Vedasi Documenti

CEI 23 50 Prescrizioni Spine e prese usi domesticiim smilari e fogli di normalizzazione

CEI 23 57 Spine e prese per usi domestici e similari   Adattatori

Lists electrical equipment and phenomena not covered by the LVD
.
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1.0 18.10.2023 Adattatori CEI 23-151 Certifico Srl
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Sentenza CC n. 206 dell'11 febbraio 1988

ID 20649 | | Visite: 1683 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenza CC n. 206 dell'11 febbraio 1988

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.

Infortuni sul lavoro e malattie professionali - Malattie professionali - Indennizzabilità - Termine - Denunzia tardiva della malattia - Illegittimità .costituzionale.

(D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 135, secondo comma). (Cost., art3 e 38).

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Sentenza CC n. 179 del 18 febbraio 1988

ID 20647 | | Visite: 2173 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenza CC n. 179 del 18 febbraio 1988 / Tutelabili anche le malattie non tabellate del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (stress)

ID 20647 | 24.10.2023

La Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale, in.riferimento all'art. 38, comma secondo, Cost., dell'art. 3, comma primo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle leggi sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali), nella parte in cui non prevede che «l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro»;

Dichiara l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 38, comma secondo, Cosi., dell'art.'211, comma primo, del detto d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non prevede che l'assicurazione è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle concernenti malattie professionali nell'agricoltura e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro;

Dichiara l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 38, comma secondo, Cost., dell'art. 134, comma primo, del detto d.P.R. n. 1124 del 1965 dalla parola «sempreché» alla fine;

Dichiara, infine, ex art. 27, legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale, in riferimento allo stesso parametro, dell'art. 254 del detto d.P.R. n. 1124 del 1965, dalla parola «sempreché» alla fine.

In allegato Sentenza in GU n. 8 del 24.02.1988 / Serie Speciale - Corte Costituzionale

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43° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

ID 20643 | | Visite: 2197 | Decreti Sicurezza lavoro

43° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche / DD MLPS n. 123 del 24 Ottobre2023

ID 20643 | 24.10.2023 / In allegato DD MLPS n. 123/2023

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto direttoriale n. 123 del 24 Ottobre 2023

Con il Decreto Direttoriale n. 123 del 24 Ottobre 2023, è stato adottato il quarantatreesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del d.i. 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Elenco dei soggetti abilitati all’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, di cui all’Allegato VII del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

Il suddetto decreto è composto da cinque articoli:

Articolo 1 (Variazione delle abilitazioni)
Articolo 2 (Rinnovo delle iscrizioni nell'elenco dei soggetti abilitati)
Articolo 3 (Cancellazione dall’elenco dei soggetti abilitati)
Articolo 4 (Elenco dei soggetti abilitati)
Articolo 5 (Obblighi dei soggetti abilitati)

Fonte: MLPS

Tutti gli elenchi pubblicati
D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature
Consulta il database dei Soggetti abilitati 

Vedi Documento Procedure verifiche attrezzature di lavoro

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Decreto direttoriale n. 122 del 20 Ottobre 2023

ID 20638 | | Visite: 1179 | Decreti Sicurezza lavoro

Decreto direttoriale n  122 del 20 Ottobre 2023

Decreto direttoriale n. 122 del 20 Ottobre 2023 

ID 20638 | 22.10.2023

Decreto direttoriale n. 122 del 20 Ottobre 2023 - Iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici O.P.S.A.P

...

Articolo 1 (Iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici)

1. L’“ORGANISMO PARITETICO SULLA SICUREZZA DELLA PROVINCIA DI ASCOLI PICENO" in breve "O.P.S.A.P.”, con sede legale in Ascoli Piceno in via Dino Angelini n. 62/A., è iscritto al numero 19 del Repertorio nazionale degli organismi paritetici, con decorrenza dalla data del presente decreto direttoriale, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171.

Articolo 2 (Obblighi successivi all’iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici)

1. Ai sensi dell’articolo 4, comma 3, decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 11 ottobre 2022, n. 171, l’“ORGANISMO PARITETICO SULLA SICUREZZA DELLA PROVINCIA DI ASCOLI PICENO" in breve "O.P.S.A.P.” è tenuto a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all’iscrizione che possa determinare il venir meno dei requisiti identificativi di cui all’articolo 2 del citato Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171 e la conseguente cancellazione dal Repertorio.
2. Ai sensi dell’articolo 4, comma 4, Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171, al fine di assicurare la verifica periodica dei requisiti necessari per l’iscrizione nel Repertorio, ogni tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione, l’ “ORGANISMO PARITETICO SULLA SICUREZZA DELLA PROVINCIA DI ASCOLI PICENO" in breve "O.P.S.A.P.” deve inviare alla Direzione generale per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del legale rappresentante, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, volta a confermare la sussistenza dei requisiti che hanno consentito l’iscrizione nel Repertorio.

Articolo 3 (Efficacia dell’iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici)

1. L’iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici attesta la sussistenza dei requisiti identificativi di cui all’articolo 2, comma 2, Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171 e consente lo svolgimento dei compiti e delle attività di cui all’articolo 51decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

...

Fonte: MLPS

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Ponteggi fissi: quadro normativo

ID 6110 | | Visite: 120730 | Documenti Riservati Sicurezza

Ponteggi fissi quadro normativo 2018

Ponteggi fissi: quadro normativo / Rev. 5.0 del 17.10.2023

ID 6110 | 17.10.2023 - Rev. 5.0 2023 / Documento completo allegato

In allegato Documento quadro normativo sui ponteggi fissi, in relazione all'autorizzazione alla costruzione e impiego, con Decreti, Circolari, rif norme tecniche e altra documentazione.

I ponteggi fissi (sistema di ponteggi di facciata secondo la UNI EN 12810-1), sono attrezzature di lavoro, e non macchine, e salvo assenza di movimenti, non sono soggetti alla Direttiva 2006/42/CE (macchine), e non sono rientranti nel campo di applicazione di altre direttive di prodotto. Non sono quindi soggetti a Marcatura CE.

Per essere autorizzati alla costruzione ed all'impiego è previsto il solo regime di autorizzazione ministeriale di cui all’Art. 131 del D.Lgs. 81/2008.

Il rilascio da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dell’autorizzazione alla costruzione ed all’impiego dei ponteggi era previsto già nel D.P.R. 164/56 all’art. 30.

Dal 1973 lo stesso Ministero ha emesso diverse centinaia di provvedimenti (autorizzazioni, estensioni, volture) che, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008 (14 maggio 2008), avevano validità illimitata nel tempo.

Con il Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, viene introdotto il concetto di periodo di validità limitato dell’autorizzazione ministeriale:

L’autorizzazione è soggetta a rinnovo ogni dieci anni per verificare l’adeguatezza del ponteggio all’evoluzione del progresso tecnico (Art. 131 comma 5).

Nel mese di Maggio 2018, pubblicata la Circolare n. 10 del 28 maggio 2018 recante le istruzioni per il rinnovo delle autorizzazioni alla costruzione e all’impiego di ponteggi, ai sensi dell’art. 131, comma 5, del Decreto legislativo 9 aprile 2018, n. 81 e successive modificazioni.

Il 13 Ottobre 2023 è stata pubblicata la norma nazionale UNI 11927:2023 Attrezzature provvisionali - Ponteggi di facciata con funzione di protezione dei bordi - Requisiti prestazionali e metodi di prova, che diventa un ulteriore riferimento per gli operatori del settore.

UNI EN 12810-1:2004

Ai fini della presente norma europea si applicano i termini e le definizioni riportati nella EN 12811-1 e i seguenti.

Sistema di ponteggio:

a) serie di componenti collegati tra loro, prevalentemente progettati per ii sistema di ponteggio, e
b) serie base di configurazioni del sistema valutate, e
c) manuale del prodotto.
...

UNI 11927:2023

La UNI 11927:2023 si applica ai ponteggi di facciata, costituiti da componenti prefabbricati o da tubi e giunti, intesi per proteggere l'utilizzatore dal rischio di caduta dall'alto dai bordi di superfici di lavoro piane e inclinate, diverse dagli impalcati del ponteggio. La norma specifica i requisiti prestazionali e i metodi di prova. Le superfici di lavoro piane e inclinate sono solo quelle il cui bordo non protetto è posizionato a un massimo di 50 cm più in alto rispetto all'ultimo impalcato superiore del ponteggio. Tali ponteggi hanno anche la funzione di trattenere i materiali che possano cadere dalle stesse superfici.

Il ponteggio di facciata  è un esempio di ponteggio di servizio

Ai fini della presente norma si applicano i termini e le definizioni di cui alla UNI EN 12810-1:2004 e UNI EN 12811-1:2004 e i termini e le definizioni seguenti [omiss].

Il ponteggio deve essere classificato in conformità al prospetto 1 della UNI EN 12810-1:2004
...

Alla data, è assente un database consultabile utilizzatori dei ponteggi autorizzati.

I titolari di autorizzazioni ministeriali dovranno trasmettere al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali apposite istanze di rinnovo delle autorizzazioni in corso, corredando tale richiesta da una copia delle autorizzazioni a suo tempo rilasciate dall'Amministrazione, da una dichiarazione resa dal legale rappresentante, ai sensi del D.P.R. 445/2000, circa il mantenimento dei requisiti di sicurezza del ponteggio e da una dichiarazione, anch’essa resa ai sensi del D.P.R. 445/2000, da cui risulti che la produzione del ponteggio è tuttora in corso.

Rev. 5.0 del 17 Ottobre 2023

Inseriti riferimenti:
UNI 11927:2023 | Ponteggi di facciata
Decreto Direttoriale n. 114 del 28 settembre 2023

Rev. 3.0 del 11 Gennaio 2023

Inseriti i seguenti riferimenti prassi:
Circolare MLPS 22 Novembre 1985 n.149
Circolare 9 Febbraio 1995 n. 20298/0M4

Autorizzazione ponteggio

I ponteggi fissi di cui all'Art. 131 del D.Lgs. 81/2008, per ciascun tipo di ponteggio, il fabbricante deve richiede al MLPS autorizzazione alla costruzione ed all'impiego (libretto), corredando la domanda di una relazione i cui contenuti sono riportati nell'Art. 132:

a) descrizione degli elementi che costituiscono il ponteggio, loro dimensioni con le tolleranze ammissibili e schema dell'insieme;
b) caratteristiche di resistenza dei materiali impiegati e coefficienti di sicurezza adottati per i singoli materiali;
c) indicazione delle prove di carico, a cui sono stati sottoposti i vari elementi;
d) calcolo del ponteggio secondo varie condizioni di impiego;
e) istruzioni per le prove di carico del ponteggio;
f) istruzioni per il montaggio, impiego e smontaggio del ponteggio;
g) schemi-tipo di ponteggio con l'indicazione dei massimi ammessi di sovraccarico, di altezza dei ponteggi e di larghezza degli impalcati per i quali non sussiste l'obbligo del calcolo per ogni singola applicazione.

Il MLPS, in aggiunta all'autorizzazione attesta, a richiesta e a seguito di esame della documentazione tecnica, la rispondenza del ponteggio già autorizzato anche alle norme UNI EN 12810 e UNI EN 12811 o per i giunti alla norma UNI EN 74.

L'autorizzazione è soggetta a rinnovo ogni dieci anni per verificare l'adeguatezza del ponteggio all'evoluzione del progresso tecnico.

Alla data notizia, l'elenco delle ditte autorizzate, escludendo le autorizzazioni per cui sono scaduti i termini di rinnovo ai sensi del D.Lgs. 81/2008 art. 131 comma 5, sono riportate nelle:

Circolare MLPS n. 11 2014 del 23 aprile 2014
Circolare MLPS n. 18 2010 del 08 Giugno 2010
Circolare MLPS n. 11 2008 del 14 Aprile 2008 (Scadenza 14 maggio 2018)

La domanda di rilascio dell'autorizzazione alla costruzione e all'impiego di ponteggi va rivolta, dal fabbricante al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro e delle relazioni industriali, via Fornovo 8, Roma, utilizzando il seguente modello di istanza.

Scadenza 14 maggio 2018 delle autorizzazioni ponteggi richieste prima del 15 maggio 2008

La scadenza delle autorizzazioni dei ponteggi richieste prima del 15 maggio 2008. Le imprese possono comunque continuare ad impiegare tali ponteggi, anche dopo la cessazione della validità dell’autorizzazione, infatti con la Circolare MLPS n. 29 2010 il Ministero ha chiarito che in riferimento all'art. 131, comma 5 del D.Lgs. 81/2008:

il termine di validità delle autorizzazioni ministeriali rilasciate al fabbricante del ponteggio è il 14 maggio 2018, se sono state rilasciate prima del 15 maggio 2008, altrimenti dopo 10 anni dalla data di rilascio;

il Ministero ha però chiarito anche che tale autorizzazione riguarda il fabbricante del ponteggio o, comunque, chi l'ha richiesta, pertanto, l'impresa utilizzatrice potrà impiegare il ponteggio anche dopo la cessazione della validità decennale dell'autorizzazione; si ricorda comunque che in base all'art.15 del D.Lgs. 81/2008 i ponteggi come tutte le attrezzatture nei luoghi di lavoro per essere "a norma" devono consentire la migliore possibile sicurezza in funzione del progresso tecnico. 

 

Gruppo di lavoro ponteggi fissi Art. 131 e opere provvisionali Art. 122

Il Gruppo di lavoro fornisce, all’esito di idonea istruttoria, un parere tecnico in ordine al rilascio delle autorizzazioni di cui all’articolo 131 del D.Lgs. 81/2008, nonché per eventuali profili applicativi in materia di opere provvisionali.

Il Decreto Direttoriale n.55 del 25/09/2020 è l'ultimo di ricostituzione del GL.

Relazione tecnica

La relazione tecnica dove includere almeno un indice generale e una premessa, vedi un modello esempio, in cui l'azienda richiedente indica il luogo di produzione e i nomi dei fornitori, e si impegna produrre all'interno dei suoi stabilimenti, almeno i componenti fondamentali del ponteggio specificati nella Circolare MLPS n. 30 del 29/09/2003.

Le istruzioni per la compilazione delle relazioni tecniche sono contenute nei seguenti documenti:

- Ponteggio a tubi e giunti (PTG) | Circolare MLPS n. 85 del 09/11/1978;
- Ponteggio a telai prefabbricati (PTP) | Circolare MLPS n. 44 del 15/05/1990;
- Ponteggio a montanti e traversi prefabbricati (PMTP) | Circolare MLPS n. 132 del 24/10/1991;

Durante la stesura delle relazioni occorre tener conto anche di quanto disposto da: 

D.M. del 02/09/1968
- Circolare MLPS n. 28 del 08/07/2004 
Lettera Circolare n. 22787/OM4 del 21/01/1999.

Ai sensi del D.P.C.M. n. 46 del 18/02/2011, tabella A n. prog. 13, la durata totale del procedimento di autorizzazione non può superare i 120 giorni.

Documentazione in cantiere

Nei cantieri in cui vengono usati ponteggi deve essere tenuta ed esibita, a richiesta degli organi di vigilanza, copia della documentazione di cui al comma 6 dell'articolo 131 del D.Lgs. 81/2008 (Libretto di Autorizzazione Ministeriale) e copia del piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.), in caso di lavori in quota, i cui contenuti sono riportati nell'allegato XXII del presente Titolo.

Il libretto di Autorizzazione Ministeriale da tenere in cantiere ed esibire agli organi di vigilanza è composto da:

- Copia della lettera di rilascio dell'Autorizzazione.
- Un allegato solitamente che contiene un estratto della relazione tecnica allegata all'istanza, su cui è stato apposto il timbro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in ogni pagina. Ai sensi del D.Lgs. 81/2008 art. 131 comma 6, l'allegato 1 deve contenere almeno i capitoli da 4 a 7.
- Un secondo allegato solitamente contrassegnato con il numero 2, fornito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali contestualmente al rilascio dell'Autorizzazione, uguale per tutti i fabbricanti e sostanzialmente identico all'allegato 2 alla Circolare MLPS n. 132 del 24/10/1991.

Norme tecniche

Il MLPS, in aggiunta alla documentazione di autorizzazione, a richiesta e a seguito di esame della documentazione tecnica, può richiedere la rispondenza del ponteggio già autorizzato anche alle norme UNI EN 12810 e UNI EN 12811 o per i giunti alla norma UNI EN 74.

UNI 11927:2023 Attrezzature provvisionali - Ponteggi di facciata con funzione di protezione dei bordi - Requisiti prestazionali e metodi di prova, che diventa un ulteriore riferimento per gli operatori del settore.

La UNI 11927:2023 si applica ai ponteggi di facciata, costituiti da componenti prefabbricati o da tubi e giunti, intesi per proteggere l'utilizzatore dal rischio di caduta dall'alto dai bordi di superfici di lavoro piane e inclinate, diverse dagli impalcati del ponteggio. La norma specifica i requisiti prestazionali e i metodi di prova. Le superfici di lavoro piane e inclinate sono solo quelle il cui bordo non protetto è posizionato a un massimo di 50 cm più in alto rispetto all'ultimo impalcato superiore del ponteggio. Tali ponteggi hanno anche la funzione di trattenere i materiali che possano cadere dalle stesse superfici.

UNI EN 12810-1:2004 Ponteggi di facciata realizzati con componenti prefabbricati - Parte 1: Specifiche di prodotto

La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12810-1 (edizione dicembre 2003). La norma specifica i requisiti prestazionali e i requisiti generali per la progettazione costruttiva e valutazione per i sistemi di ponteggi di facciata prefabbricati.

UNI EN 12810-2:2004 Ponteggi di facciata realizzati con componenti prefabbricati - Parte 2: Metodi particolari di progettazione strutturale

La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12810-2 (edizione dicembre 2003). La norma definisce le regole per la progettazione e l analisi strutturale dei sistemi di ponteggi di facciata attraverso calcoli e prove in conformità con la UNI EN 12810-1.

UNI EN 12811-1:2004 Attrezzature provvisionali di lavoro - Parte 1: Ponteggi - Requisiti prestazionali e progettazione generale

La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12811-1 (edizione dicembre 2003). La norma specifica i requisiti prestazionali e i metodi di progettazione strutturale e generale per ponteggi di accesso e di lavoro.

UNI EN 12811-2:2004 Attrezzature provvisionali di lavoro - Parte 2: Informazioni sui materiali

La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12811-2 (edizione febbraio 2004). La norma fornisce una guida su dove trovare le informazioni sui materiali usati di solito nei lavori temporanei.

UNI EN 12811-3:2005 Attrezzature provvisionali di lavoro - Parte 3: Prove di carico

La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese e italiana della norma europea EN 12811-3 (edizione novembre 2002). La norma specifica le regole per le prove di carico, la documentazione e la valutazione dei risultati di prova nel campo delle attrezzature di lavoro provvisionali ad azionamento non meccanico.

UNI EN 12811-4:2014 Attrezzature provvisionali di lavoro - Parte 4: Parasassi per ponteggi - Requisiti prestazionali e progettazione del prodotto

La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN 12811-4 (edizione novembre 2013). La norma specifica i requisiti del prodotto, i metodi di progettazione strutturale e generale e le prove relativi a parasassi per ponteggi, destinati a proteggere i lavoratori e i passanti dalla caduta di oggetti dai ponteggi.
La norma si applica solamente a parasassi per i ponteggi che sono utilizzati come luoghi di lavoro.

UNI EN 74-1:2022
Giunti, spinotti e basette per l'utilizzo in strutture di sostegno per opere permanenti e ponteggi - Parte 1: Giunti per tubi - Requisiti e procedimenti di prova

La norma specifica per i giunti ortogonali, i giunti girevoli, i giunti a manicotto e i giunti paralleli:
- i materiali;
- i requisiti di progetto;
- le classi di resistenza con differenti parametri strutturali inclusi valori di resistenza e di rigidezza;
- i procedimenti di prova;
- la verifica e fornisce
- le raccomandazioni per il controllo durante la produzione.

UNI EN 74-2:2022
Giunti, spinotti e basette per l'utilizzo in strutture di sostegno per opere permanenti e ponteggi - Parte 2: Giunti speciali - Requisiti e procedimenti di prova

La norma specifica:
- i materiali,
- i requisiti di progetto,
- i valori specificati di resistenza e di rigidezza che un giunto deve ottenere quando sottoposto a prova,
- i procedimenti di prova e verifica, per i seguenti giunti speciali:
- mezzi giunti a vite e a cuneo, giunti a manicotto con perni a taglio, giunti di riduzione ortogonali e giunti di riduzione girevoli.
Essa fornisce raccomandazioni per il controllo durante la produzione. 

UNI EN 74-3:2007 Giunti, spinotti e basette per l utilizzo in strutture di sostegno per opere permanenti e ponteggi - Parte 3: Basette piane e spinotti - Requisiti e procedimenti di prova

La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 74-3 (edizione aprile 2007). La norma specifica per basette piane e sagomate e spinotti sciolti da utilizzare con tubi con diametro di 48,3 mm in ponteggi e strutture di sostegno per opere permanenti:
- materiali,
- requisiti di progetto,
- procedimenti di prova,
- verifica.

UNI EN 16508:2016 Attrezzature provvisionali di lavoro - Copertura ed incapsulamento temporanei delle costruzioni - Requisiti prestazionali e di progettazione

La presente norma europea specifica i requisiti prestazionali e i metodi di progettazione sia per le coperture temporanee sia per gli incapsulamenti temporanei delle costruzioni.

È possibile proteggere le costruzioni in diversi modi, mediante: copertura sostenuta da una costruzione permanente esistente, copertura sostenuta da un ponteggio, copertura sostenuta da un'altra costruzione temporanea (esempio: struttura in acciaio), parete sostenuta da una costruzione separata, incapsulamento costituito da una struttura temporanea completa (includente una copertura, le pareti ed i corrispondenti sostegni temporanei)

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Ponteggi fissi   Quadro normativo

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Estratto normativo

D.Lgs. 81/2008
Titolo IV CANTIERI TEMPORANEI O MOBILI

Capo II
Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota

Sezione IV
Ponteggi e impalcature in legname

Sezione IV
Ponteggi e impalcature in legname

Art. 122. Ponteggi ed opere provvisionali

1. Nei lavori in quota, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose conformemente ai punti 2, 3.1, 3.2 e 3.3 dell'allegato XVIII.

Art. 123. Montaggio e smontaggio delle opere provvisionali

1. Il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali devono essere eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori.

Art. 124. Deposito di materiali sulle impalcature

1. Sopra i ponti di servizio e sulle impalcature in genere è vietato qualsiasi deposito, eccettuato quello temporaneo dei materiali ed attrezzi necessari ai lavori.

2. Il peso dei materiali e delle persone deve essere sempre inferiore a quello che è consentito dalla resistenza strutturale del ponteggio; lo spazio occupato dai materiali deve consentire i movimenti e le manovre necessarie per l'andamento del lavoro.

Art. 125. Disposizione dei montanti 

1. I montanti devono essere costituiti con elementi accoppiati, i cui punti di sovrapposizione devono risultare sfalsati di almeno un metro; devono altresì essere verticali o leggermente inclinati verso la costruzione.

2. Per le impalcature fino ad 8 metri di altezza sono ammessi montanti singoli in un sol pezzo; per impalcature di altezza superiore, soltanto per gli ultimi 7 metri i montanti possono essere ad elementi singoli.

3. Il piede dei montanti deve essere solidamente assicurato alla base di appoggio o di infissione in modo che sia impedito ogni cedimento in senso verticale ed orizzontale.

4. L'altezza dei montanti deve superare di almeno m 1,20 l'ultimo impalcato; dalla parte interna dei montanti devono essere applicati correnti e tavola fermapiede a protezione esclusivamente dei lavoratori che operano sull'ultimo impalcato.

5. La distanza tra due montanti consecutivi non deve essere superiore a m 3,60; può essere consentita una maggiore distanza quando ciò sia richiesto da evidenti motivi di esercizio del cantiere, purché, in tale caso, la sicurezza del ponteggio risulti da un progetto redatto da un ingegnere o architetto corredato dai relativi calcoli di stabilità.

6. Il ponteggio deve essere efficacemente ancorato alla costruzione almeno in corrispondenza ad ogni due piani di ponteggio e ad ogni due montanti, con disposizione di ancoraggi a rombo o di pari efficacia.

Art. 126. Parapetti

1. Gli impalcati e ponti di servizio, le passerelle, le andatoie, che siano posti ad un'altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso il vuoto di robusto parapetto e in buono stato di conservazione.

Art. 127. Ponti a sbalzo

1. Nei casi in cui particolari esigenze non permettono l'impiego di ponti normali, possono essere consentiti ponti a sbalzo purché la loro costruzione risponda a idonei procedimenti di calcolo e ne garantisca la solidità e la stabilità.

Art. 128. Sottoponti

1. Gli impalcati e ponti di servizio devono avere un sottoponte di sicurezza, costruito come il ponte, a distanza non superiore a m 2,50.

2. La costruzione del sottoponte può essere omessa per i ponti sospesi, per le torri di carico, per i ponti a sbalzo e quando vengano eseguiti lavori di manutenzione e di riparazione di durata non superiore a cinque giorni.

Art. 129. Impalcature nelle costruzioni in conglomerato cementizio

1. Nella esecuzione di opere a struttura in conglomerato cementizio, quando non si provveda alla costruzione da terra di una normale impalcatura con montanti, prima di iniziare la erezione delle casseforme per il getto dei pilastri perimetrali, deve essere sistemato, in corrispondenza al piano raggiunto, un regolare ponte di sicurezza a sbalzo, avente larghezza utile di almeno m 1,20.

2. Le armature di sostegno del cassero per il getto della successiva soletta o della trave perimetrale, non devono essere lasciate sporgere dal filo del fabbricato più di 40 centimetri per l'affrancamento della sponda esterna del cassero medesimo. Come sotto ponte può servire l'impalcato o ponte a sbalzo costruito in corrispondenza al piano sottostante.

3. In corrispondenza ai luoghi di transito o stazionamento deve essere sistemato, all'altezza del solaio di copertura del piano terreno, un impalcato di sicurezza (mantovana) a protezione contro la caduta di materiali dall'alto. Tale protezione può essere sostituita con una chiusura continua in graticci sul fronte del ponteggio, qualora presenti le stesse garanzie di sicurezza, o con la segregazione dell'area sottostante.

Art. 130. Andatoie e passerelle

1. Le andatoie devono avere larghezza non minore di m 0,60, quando siano destinate soltanto al passaggio di lavoratori e di m 1,20, se destinate al trasporto di materiali. La loro pendenza non deve essere maggiore del 50 per cento.

2. Le andatoie lunghe devono essere interrotte da pianerottoli di riposo ad opportuni intervalli; sulle tavole delle andatoie devono essere fissati listelli trasversali a distanza non maggiore del passo di un uomo carico.

Sezione V
Ponteggi fissi

Art. 131. Autorizzazione alla costruzione ed all'impiego 

1. La costruzione e l'impiego dei ponteggi realizzati con elementi portanti prefabbricati, metallici o non, sono disciplinati dalle norme della presente sezione.

2. Per ciascun tipo di ponteggio, il fabbricante chiede al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali l'autorizzazione alla costruzione ed all'impiego, corredando la domanda di una relazione nella quale devono essere specificati gli elementi di cui all'articolo seguente.

3. Il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in aggiunta all'autorizzazione di cui al comma 2 attesta, a richiesta e a seguito di esame della documentazione tecnica, la rispondenza del ponteggio già autorizzato anche alle norme UNI EN 12810 e UNI EN 12811 o per i giunti alla norma UNI EN 74.

4. Possono essere autorizzati alla costruzione ed all'impiego ponteggi aventi interasse qualsiasi tra i montanti della stessa fila a condizione che i risultati adeguatamente verificati delle prove di carico condotte su prototipi significativi degli schemi funzionali garantiscano la sussistenza dei gradi di sicurezza previsti dalle norme di buona tecnica.

5. L'autorizzazione è soggetta a rinnovo ogni dieci anni per verificare l'adeguatezza del ponteggio all'evoluzione del progresso tecnico.

6. Chiunque intende impiegare ponteggi deve farsi rilasciare dal fabbricante copia della autorizzazione di cui al comma 2 e delle istruzioni e schemi elencati al comma 1, lettere d), e), f) e g) dell'articolo 132.

7. Il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali si avvale anche dell'ISPESL per il controllo delle caratteristiche tecniche dei ponteggi dichiarate dal titolare dell'autorizzazione, attraverso controlli a campione presso le sedi di produzione.

Art. 132. Relazione tecnica

1. La relazione di cui all'articolo 131 deve contenere:

a) descrizione degli elementi che costituiscono il ponteggio, loro dimensioni con le tolleranze ammissibili e schema dell'insieme;

b) caratteristiche di resistenza dei materiali impiegati e coefficienti di sicurezza adottati per i singoli materiali;

c) indicazione delle prove di carico, a cui sono stati sottoposti i vari elementi;

d) calcolo del ponteggio secondo varie condizioni di impiego;

e) istruzioni per le prove di carico del ponteggio;

f) istruzioni per il montaggio, impiego e smontaggio del ponteggio;

g) schemi-tipo di ponteggio con l'indicazione dei massimi ammessi di sovraccarico, di altezza dei ponteggi e di larghezza degli impalcati per i quali non sussiste l'obbligo del calcolo per ogni singola applicazione.

Art. 133. Progetto

1. I ponteggi di altezza superiore a 20 metri e quelli per i quali nella relazione di calcolo non sono disponibili le specifiche configurazioni strutturali utilizzate con i relativi schemi di impiego, nonché le altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici o non, oppure di notevole importanza e complessità in rapporto alle loro dimensioni ed ai sovraccarichi, devono essere eretti in base ad un progetto comprendente:

a) calcolo di resistenza e stabilità eseguito secondo le istruzioni approvate nell'autorizzazione ministeriale;

b) disegno esecutivo.

2. Dal progetto, che deve essere firmato da un ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all'esercizio della professione, deve risultare quanto occorre per definire il ponteggio nei riguardi dei carichi, delle sollecitazioni e dell'esecuzione.

3. Copia dell'autorizzazione ministeriale di cui all'articolo 131 e copia del progetto e dei disegni esecutivi devono essere tenute ed esibite, a richiesta degli organi di vigilanza, nei cantieri in cui vengono usati i ponteggi e le opere provvisionali di cui al comma 1.

Art. 134. Documentazione

1. Nei cantieri in cui vengono usati ponteggi deve essere tenuta ed esibita, a richiesta degli organi di vigilanza, copia della documentazione di cui al comma 6 dell'articolo 131 e copia del piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.), in caso di lavori in quota, i cui contenuti sono riportati nell'allegato XXII del presente Titolo.

2. Le eventuali modifiche al ponteggio, che devono essere subito riportate sul disegno, devono restare nell'ambito dello schema-tipo che ha giustificato l'esenzione dall'obbligo del calcolo.

Art. 135. Marchio del fabbricante

1. Gli elementi dei ponteggi devono portare impressi, a rilievo o ad incisione, e comunque in modo visibile ed indelebile il marchio del fabbricante.

Art. 136. Montaggio e smontaggio

1. Nei lavori in quota il datore di lavoro provvede a redigere a mezzo di persona competente un piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.), in funzione della complessità del ponteggio scelto, con la valutazione delle condizioni di sicurezza realizzate attraverso l'adozione degli specifici sistemi utilizzati nella particolare realizzazione e in ciascuna fase di lavoro prevista. Tale piano può assumere la forma di un piano di applicazione generalizzata integrato da istruzioni e progetti particolareggiati per gli schemi speciali costituenti il ponteggio, ed è messo a disposizione del preposto addetto alla sorveglianza e dei lavoratori interessati.

2. Nel serraggio di più aste concorrenti in un nodo i giunti devono essere collocati strettamente l'uno vicino all'altro.

3. Per ogni piano di ponte devono essere applicati due correnti, di cui uno può fare parte del parapetto.

4. Il datore di lavoro assicura che:

a) lo scivolamento degli elementi di appoggio di un ponteggio è impedito tramite fissaggio su una superficie di appoggio, o con un dispositivo antiscivolo, oppure con qualsiasi altra soluzione di efficacia equivalente;

b) i piani di posa dei predetti elementi di appoggio hanno una capacità portante sufficiente;

c) il ponteggio è stabile;

d) Lettera soppressa dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106;

e) le dimensioni, la forma e la disposizione degli impalcati di un ponteggio sono idonee alla natura del lavoro da eseguire, adeguate ai carichi da sopportare e tali da consentire un'esecuzione dei lavori e una circolazione sicure;

f) il montaggio degli impalcati dei ponteggi è tale da impedire lo spostamento degli elementi componenti durante l'uso, nonché la presenza di spazi vuoti pericolosi fra gli elementi che costituiscono gli impalcati e i dispositivi verticali di protezione collettiva contro le cadute.

5. Il datore di lavoro provvede ad evidenziare le parti di ponteggio non pronte per l'uso, in particolare durante le operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione, mediante segnaletica di avvertimento di pericolo generico e delimitandole con elementi materiali che impediscono l'accesso alla zona di pericolo, ai sensi del titolo V.

6. Il datore di lavoro assicura che i ponteggi siano montati, smontati o trasformati sotto la diretta sorveglianza di un preposto, a regola d'arte e conformemente al Pi.M.U.S., ad opera di lavoratori che hanno ricevuto una formazione adeguata e mirata alle operazioni previste.

7. La formazione di cui al comma 6 ha carattere teorico-pratico e deve riguardare:

a) la comprensione del piano di montaggio, smontaggio o trasformazione del ponteggio;

b) la sicurezza durante le operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione del ponteggio con riferimento alla legislazione vigente;

c) le misure di prevenzione dei rischi di caduta di persone o di oggetti;

d) le misure di sicurezza in caso di cambiamento delle condizioni meteorologiche pregiudizievoli alla sicurezza del ponteggio;

e) le condizioni di carico ammissibile;

f) qualsiasi altro rischio che le suddette operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione possono comportare.

8. I soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità dei corsi sono riportati nell'allegato XXI.

Art. 137. Manutenzione e revisione

1. Il responsabile del cantiere, ad intervalli periodici o dopo violente perturbazioni atmosferiche o prolungata interruzione di lavoro deve assicurarsi della verticalità dei montanti, del giusto serraggio dei giunti, della efficienza degli ancoraggi e dei controventi, curando l'eventuale sostituzione o il rinforzo di elementi inefficienti. 

2. I vari elementi metallici devono essere difesi dagli agenti nocivi esterni con idonei sistemi di protezione.

Art. 138. Norme particolari

1. Le tavole che costituiscono l'impalcato devono essere fissate in modo che non possano scivolare sui traversi metallici.

2. È consentito un distacco delle tavole del piano di calpestio dalla muratura non superiore a 20 centimetri.

3. È fatto divieto di gettare dall'alto gli elementi del ponteggio.

4. È fatto divieto di salire e scendere lungo i montanti.

5. Per i ponteggi di cui alla presente sezione valgono, in quanto applicabili, le disposizioni relative ai ponteggi in legno. Sono ammesse deroghe:

a) alla disposizione di cui all'articolo 125, comma 4, a condizione che l'altezza dei montanti superi di almeno 1 metro l'ultimo impalcato (...);

b) alla disposizione di cui all'articolo 126, comma 1, a condizione che l'altezza del parapetto sia non inferiore a 95 cm rispetto al piano di calpestio;

c) alla disposizione di cui all'articolo 126, comma 1, a condizione che l'altezza del fermapiede sia non inferiore a 15 cm rispetto al piano di calpestio;

d) Lettera soppressa dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.

... Segue in allegato

Elaborato Certifico Srl - IT | Rev. 4.0 2023
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Matrice revisioni

Rev. Data Oggetto
5.0 17.10.2023 Aggiunti riferimenti:
UNI 11927:2023 | Ponteggi di facciata
Decreto Direttoriale n. 114 del 28 settembre 2023
4.0 24.07.2023 Inseriti i seguenti riferimenti prassi:
Circolare n. 3/2003 del 23/05/2003 Prot. 21112 /PR/OP/PONT/CIRC
Nota del 14/04/2023, prot. n. 2573
Nota INL del 17 giugno 2022 prot. n. 3687
3.0 11.01.2023 Inseriti i seguenti riferimenti prassi:
Circolare MLPS 22 Novembre 1985 n.149
Circolare 9 Febbraio 1995 n. 20298/0M4
2.0 02.12.2022

Inseriti i seguenti riferimenti normativi:
DM del MLPS 2 settembre 1968
DM del MLPS 23 marzo 1990 n. 115
DM del MLPS 22 maggio 1992 n. 466
DM del MLPS 19 settembre 2000
Decreto Direttoriale n.55 del 25/09/2020
Decreto Direttoriale MLPS n. 84 del 18 Ottobre 2022

Inseriti i seguenti riferimenti prassi:
Circolare MLPS n. 3 dell’08/01/2001
Circolare MLPS n. 7 del 12/01/2001
Circolare MLPS n. 20 del 23/05/2003
Circolare MLPS n. 11 del 24/03/2004
Circolare MLPS n. 4 del 22/02/2006
Circolare MLPS n. 11 del 04/04/2006
Circolare MLPS n. 30 del 03/11/2006
Circolare MLPS n. 3 del 25/01/2008 

Inserito Interpello n. 16/2015 del 29.12.2015

Aggiornate norme tecniche:
- UNI EN 74-1:2022
- UNI EN 74-2:2022

Inseriti link normativi: http://www.tussl.it
1.0 28.05.2018 Aggiunta Circolare n. 10 del 28 maggio 2018
0.0 09.05.2018 ---

Collegati

Autorizzata dal Governo la ratifica del Protocollo OIL n. 29

ID 20701 | | Visite: 890 | Convenzioni ILO

Autorizzata dal Governo la ratifica del Protocollo OIL n  29

Autorizzata dal Governo la ratifica del Protocollo OIL n. 29 sul lavoro forzato e obbligatorio

ID 20701 | 01.11.2023

Il Consiglio dei Ministri ha approvato nella seduta del 23 ottobre scorso, lo schema del disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Protocollo relativo alla Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 29 sul lavoro forzato e obbligatorio, adottato a Ginevra nel 2014.

Il Protocollo impegna lo Stato a prevenire il ricorso al lavoro forzato, in particolare nelle nuove forme di tratta degli esseri umani e sfruttamento lavorativo, a migliorare la protezione delle vittime e a fornire l'accesso al risarcimento. Inoltre è volto a rafforzare le azioni per la piena applicazione della Convenzione, con la finalità di sopprimere il lavoro forzato e obbligatorio anche nelle nuove forme (tratta di persone e sfruttamento dei lavoratori migranti), di assicurare alle vittime una protezione e l'accesso a meccanismi di risarcimento adeguati ed efficaci e di reprimere i responsabili del lavoro forzato ed obbligatorio.

A tal fine, si prevede che i Paesi aderenti elaborino una politica nazionale e un piano di azione che contengano linee d'intervento sistematiche e coordinate da parte delle autorità competenti.

...

Fonte: MLPS

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Circolare INAIL n. 46 del 27 ottobre 2023

ID 20695 | | Visite: 1283 | News Sicurezza

Circolare INAIL n. 46 del 27 ottobre 2023

ID 20695 | 31.10.2023 / In allegato

Circolare INAIL n. 46 del 27 ottobre 2023 - Assicurazione all’Inail dal 1° luglio 2023 dei lavoratori subordinati sportivi e dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale ai sensi degli articoli 34 e 37 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 206 del 4 settembre 2023 è stato pubblicato il decreto legislativo 29 agosto 2023, n. 120, entrato in vigore il 5 settembre scorso, che ha apportato modifiche rilevanti al decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, con cui in attuazione dell'articolo 5 della legge 8 agosto 2019 n. 86 sono stati operati il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo.

...

Fonte: INAIL

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Sentenza Cassazione Penale Sez. 4 del 15 aprile 2015 n. 15696

ID 20693 | | Visite: 1202 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Sentenza Cassazione Penale Sez. 4 del 15 aprile 2015 n. 15696

ID 20693 | 31.10.2023 / iN ALLEGATO

Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2015, n. 15696 - Distacco e obblighi in materia di salute e sicurezza

"in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall'art. 3, comma sesto, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore di lavoro distaccante. (v. da ultimo, Sezione IV, 19 aprile 2013, Farinotti ed altro, rv. 256397).

Il datore di lavoro, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando abbia consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame".

Fatto

C.G. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 589 c.p., commesso in violazione della normativa antinfortunistica [in danno del lavoratore R.V.]; fatto per il quale già in primo grado erano state concesse le attenuanti generiche e quella di cui all'articolo 62, numero 6, c.p., con giudizio di equivalenza.

La Corte di merito, ripercorrendo gli argomenti già sviluppati in primo grado, individuava i profili di colpa del C.G., nella qualità amministratore e legale rappresentante della CMR sas [datrice di lavoro dell'operaio deceduto], per avere questi consentito, nell'ambito di un rapporto di appalto intercorrente tra la CMR sas e la società R. srl [amministrata da L. L., coimputato, giudicato e riconosciuto colpevole; ma non ricorrente], al proprio dipendente R.V., di svolgere la propria attività presso la R. srl, ma senza avere proceduto ad una previa, adeguata valutazione dei rischi connessi a tale attività. Anzi, era risultato che questi neppure si curava di conoscere in anticipo le mansioni che i propri dipendenti erano chiamati a svolgere presso la sede dell'altra società.

Per l'effetto, era risultato che l'operaio infortunatosi era stato chiamato a svolgere un'operazione di "rabbocco" di olio in condizioni di precario equilibrio e senza il dovuto strumentario di sicurezza per evitare la caduta dall'alto, onde, nel corso dell'operazione, aveva perso l'equilibrio ed era caduto a terra, riportando le lesioni che lo avevano condotto alla morte.

Tale situazione, vuoi sotto il profilo della ricostruzione dell'incidente, vuoi con riferimento all'addebito di colpa, era stata ricostruita valorizzando, tra l'altro, la deposizione di un lavoratore della società committente, che spesso svolgeva personalmente l'incombente, ma anche gli esiti degli accertamenti svolti dal servizio ispettorato, di rilievo proprio per la dinamica dell'incidente.

Nessun apporto decisivo veniva attribuito alle dichiarazioni di altro testimone, collega di lavoro dell'infortunato, che si era limitato a rappresentare di una diversa, possibile modalità di effettuazione dell'operazione: ciò che anzi, per il giudice, confortava della carenza di una preventiva attività prevenzionale, formativa e informativa, perché tale diversa modalità, quand'anche in ipotesi più sicura, era rimessa all'iniziativa del singolo.

Secondo il giudicante di secondo grado la pena era ritenuta adeguata, non risultando motivata la richiesta di un giudizio di prevalenza delle attenuanti.

Con il ricorso si censura il giudizio di responsabilità sottoponendo a critia le considerazioni sviluppate nella decisione di condanna e evocandosi, a supporto della pretesa esenzione da responsabilità la valorizzazione della testimonianza del collega di lavoro dell'infortunato, come sopra disattesa dalla Corte territoriale.

Si contesta il trattamento sanzionatorio, sostenendosi che "sussistevano tutti gli elementi" perché il giudice di appello dovesse concedere le attenuanti con giudizio di prevalenza.

Diritto

Il ricorso è manifestamente infondato.

La censura sulla responsabilità è tipicamente di merito a fronte di una duplice conforme statuizione di responsabilità, laddove risultano adeguatamente ricostruiti il fatto, gli addebiti di colpa, il nesso causale, in termini qui non rinnovabili.

Il ricorrente propone una ricostruzione del fatto non risultante dal testo della sentenza e come tale preclusa alla cognizione del giudice di legittimità, risolvendosi in una censura sulla valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione logicamente argomentata

La censura si limita a richiamare - senza neppure soffermarsi sulla relativa decisività - il contenuto di una deposizione testimoniale, su cui i giudici si sono ampiamente soffermati, sottolineando che, se anche l'operazione si fosse potuta compiere in modo diverso, l'individuazione d'una modalità alternativa era rimessa, di fatto, alla fantasia ed all'iniziativa della persona chiamata ad eseguire l'operazione di rabbocco.

E' doglianza senz'altro generica, ma comunque inammissibile perché mira a proporre una rinnovazione dell'apprezzamento del compendio probatorio concordemente sviluppato nei due gradi di giudizio. Tra l'altro, senza rappresentare di circostanze non valutate e considerate in quella sede.

La censura non tiene conto che la responsabilità del committente, in ossequio alla disciplina di settore - (prima, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994; ora, trasfuso sostanzialmente nell'articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008)- non esclude quella del datore di lavoro in caso di infortunio.

Nella stessa prospettiva è stato altresì ritenuto che in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall'art. 3, comma sesto, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore di lavoro distaccante. (v. da ultimo, Sezione IV, 19 aprile 2013, Farinotti ed altro, rv. 256397).

Il datore di lavoro, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando abbia consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame, in cui non erano presenti nel luogo di lavoro attrezzature idonee per l'esecuzione dei lavori l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile.

In tal senso, i giudici di merito hanno evidenziato che l'imputato era venuto meno all'obbligo di valutazione del rischio specifico connesso all' opera di manutenzione ordinaria da eseguirsi presso la ditta R. srl, aggiuntiva rispetto ad altri lavori che erano stati oggetto di uno specifico contratto di appalto ed erano già stati conclusi, consistente nel rabbocco dell'olio di un motoriduttore presso la citata ditta. Il C.G. aveva violato i propri doveri di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, inviando gli operai presso la R. s.r.l., senza fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della nuova e diversa prestazione.

Né potrebbe valere nel caso concreto in esame il richiamo, al principio del cd. "affidamento" in tema di infortuni sul lavoro, in virtù del quale ciascun consociato può confidare che ciascuno si comporti secondo le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che di volta in volta viene in questione - posto che, come più volte affermato

Detto principio non opera allorché il mancato rispetto da parte di terzi delle norme precauzionali di prudenza abbia la sua prima causa nell'inosservanza di tali norme da parte di colui che invoca il suddetto principio, come nel caso in esame.

Tale principio non potrebbe, infatti, essere utilmente richiamato dall'imputato ne' con riferimento all'operato dei suoi dipendenti, da lui non istruiti sulle corrette modalità di esecuzione dell'operazione di manutenzione ordinaria, nel corso della quale si è verificato l'incidente, ne' con riferimento alla condotta del coimputato L., legale rappresentante della R. (non ricorrente), attesa proprio la pregressa violazione rimproverata al C.G..

Incensurabile è anche il trattamento sanzionatorio, a fronte del resto di doglianza asseriva e generica: anche in questa sede non sono spiegati i motivi per cui il giudice avrebbe dovuto mutare il giudizio di comparazione.

Va ricordato che il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti (articolo 69 c.p.) è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere certamente motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudicante circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Ciò vale anche per il giudice di appello il quale - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante- non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia indicazione di quelli ritenuti rilevanti e di valore decisivo, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta confutazione (Sezione IV, 27 giugno 2013, Elia).

Qui, in vero assorbentemente, è mancata finanche in appello una adeguata rappresentazioni delle ragioni per cui doveva accedersi alla invocata determinazione favorevole e la decisione della corte sul punto è ineccepibile.

All'inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali ed a quello della somma che congruamente si determina in euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 19 febbraio 2015.

Infor.MO | Utilizzo dei carrelli elevatori

ID 20697 | | Visite: 2331 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Informo   scheda 21 2023

Infor.MO | Utilizzo dei carrelli elevatori

ID 20697 | 31.10.2023 / In allegato

Infor.MO, Utilizzo dei carrelli elevatori: dinamiche infortunistiche, fattori di rischio e misure preventive

Il prodotto pone l’attenzione sulle più comuni dinamiche infortunistiche in cui è attiva la presenza di un carrello elevatore. Contestualmente, esso si propone di approfondire le principali misure di prevenzione atte ad impedire il verificarsi di tali infortuni.

L’analisi è stata svolta partendo dall’approfondimento dei casi di infortuni mortali contenuti nella banca dati Infor.Mo, il sistema di sorveglianza nazionale degli infortuni sul lavoro, che cataloga attualmente diverse migliaia di casi di infortuni mortali e gravi avvenuti tra il 2002 e il 2020.

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Fonte: INAIL

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Nota MLPS n. 1110 del 17 gennaio 2019

ID 20674 | | Visite: 736 | Circolari Sicurezza lavoro

Nota MLPS n. 1110 del 17 gennaio 2019

ID 20674 | 29.10.2023

Oggetto: Richiesta di parere. Contratto di apprendistato e formazione in distacco ex articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la Nota n. 1118 del 17 gennaio 2019, ha risposto ad un quesito posto da un Ispettorato del lavoro territoriale in riferimento alla possibilità di distaccare un lavoratore assunto con un contratto di apprendistato.

Il Ministero ha affermato che il distacco dell’apprendista può essere considerato legittimo qualora le finalità formative siano prevalenti rispetto all’interesse imprenditoriale al distacco.

Dovrà essere garantita, quindi, la coerenza con il piano formativo sottoscritto all’assunzione e il tutor dovrà garantire l’attività di supervisione e comunque nel rispetto della temporaneità del trasferimento.
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segue in allegato

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Sentenza CC n. 20259 del 14 luglio 2023

ID 20673 | | Visite: 1497 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenza Cassazione Civile n. 20259 del 14 luglio 2023 / Formazione lavoratori possibile oltre il normale orario di lavoro

ID 20673 | 28.10.2023

La formazione obbligatoria può avvenire anche al di fuori del normale orario di lavoro, salvo il diritto del dipendente a vedersi riconosciuta l’applicazione delle maggiorazioni retributive prescritte per lo straordinario.

La Corte di Cassazione civile, con sentenza n. 20259 del 14 luglio 2023, ha infatti affermato che il datore di lavoro ha il diritto di richiedere ai lavoratori di seguire corsi di formazione, anche in orario di lavoro supplementare. Il lavoratore, infatti, ha l’obbligo di collaborare con il datore di lavoro per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, e questo include anche la partecipazione a corsi di formazione che possono migliorare le proprie competenze e conoscenze.

Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facolta’ di richiedere, entro i limiti dell’orario normale di lavoro di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003, lo svolgimento di prestazioni supplementari, intendendosi per tali quelle svolte oltre l’orario concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 5, comma 2.

 

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Il Fit test sui DPI per la protezione delle vie respiratorie prima della loro adozione

ID 20121 | | Visite: 5788 | Documenti Sicurezza Enti

Guidance on respiratory protective equipment  RPE  fit testing

Il fit test sui DPI per la protezione delle vie respiratorie prima della loro adozione / UNI 11719

ID 20121 | 07.08.2023 / Scheda allegata HSE UK - Sintesi UNI 11719 INAIL

Il "fit test" è una prova di adattabilità di un DPI APVR protezione delle vie respiratorie (prevista anche per occhiali e otoprotettori), che permette di verificare che sia a tenuta sullo specifico operatore.

Scelto l’APVR, va effettuata una prova di adattabilità del facciale a tenuta sullo specifico operatore in accordo con la norma UNI 11719:2018.

Fit test DPI e D.Lgs. 81/2008

La verifica dei DPI per la protezione delle vie respiratorie prima della loro adozione tramite esecuzione del “tit test” è stata, in pratica, resa obbligatoria dal decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146 come modificato dalla Legge 17 dicembre 2021, n. 215 (di conversione).

La Legge 215/2021, infatti, ha modificato l’art. 79 del D.Lgs. 81/08 introducendo il comma 2-bis che riporta:

Art. 79 - Criteri per l'individuazione e l'uso
...

2. Con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6, tenendo conto della natura, dell'attività e dei fattori specifici di rischio sono indicati:

a) i criteri per l'individuazione e l'uso dei DPI;

b) le circostanze e le situazioni in cui, ferme restando le priorità delle misure di protezione collettiva, si rende necessario l'impiego dei DPI.

2-bis Fino alla adozione del decreto di cui al comma 2 restano ferme le disposizioni di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale in data 2 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 1 giugno 2001, aggiornato con le edizioni delle norme UNI più recenti.

Il comma 2-bis introduce l’obbligo per il datore di lavoro, per quanto riguarda scelta, uso e manutenzione dei DPI, di fare riferimento anche a quanto previsto dalle norme tecniche UNI più recenti (che, comunque, indipendentemente da quanto novellato, l'applicazione delle stesse è Buona Tecnica per il rispetto di requisiti di sicurezza). Rientra tra queste la UNI 11719 per i DPI APVR dove è previsto il fit test).

La norma UNI 11719 e il fit test degli APVR

Il riferimento tecnico è la norma UNI 11719:2018 relativa ai dispositivi di protezione delle vie respiratorie (APVR), chwe stabilisce i processi inerenti la scelta, l’uso e la manutenzione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie (APVR).

La norma UNI 11719 prevede che, una volta scelto il dispositivo APVR, deve essere effettuata una prova di adattabilità del facciale a tenuta sullo specifico operatore (fit test).

Esistono due tipi di test: qualitativi e quantitativi.

1. Fit Test qualitativo (QLFT)
Un Fit Test qualitativo (QLFT) può essere utilizzato solo per facciali filtranti e semimaschere (con filtri antiparticolato o combinati). I metodi qualitativi possono essere idonei per le maschere complete secondo alcune norme per i Fit Test e solo in alcune circostanze. Il QLFT è un test con risultato Riuscito/Non riuscito che fa affidamento sui sensi dell'utente per provare agenti di test approvati. Quelli predominanti sono:

- Saccarina (sapore dolce); può testare respiratori con filtro antiparticolato di qualsiasi classe.
- Bitrex® (sapore amaro); può testare anche respiratori con filtro antiparticolato di qualsiasi classe.

Ciascun metodo QLFT si serve di sette esercizi, eseguiti per 1 minuto ciascuno:
- Respirazione normale.
- Respirazione profonda.
- Spostamento della testa da un lato all'altro.
- Alzare e abbassare la testa.
- Piegamento sulla vita.
- Leggere/parlare a voce alta.
- Respirazione normale ancora una volta.

2. Fit Test quantitativo (QNFT)
Un Fit Test quantitativo (QNFT) può essere utilizzato per qualsiasi respiratore aderente. Prevede l'utilizzo di uno strumento per misurare le perdite intorno al volto e produce un risultato numerico chiamato Fit Factor. Esistono tre protocolli di test QNFT comunemente accettati:
- L'aerosol generato utilizza un aerosol non pericoloso, come il sale comune (NACl) generato in una camera di test.
- Il contatore dei nuclei di condensazione (CNC) utilizza l'aerosol ambientale e non richiede una camera di test.
- La pressione negativa controllata (CNP) utilizza un test che crea un vuoto bloccando temporaneamente l'aria. (Esiste anche un quarto metodo, che è una versione abbreviata di questo.)

I QNFT si servono degli stessi sette esercizi dei test QLFT (negli Stati Uniti, più un ulteriore test della "smorfia" in cui il soggetto sorride o si acciglia per 15 secondi).

Per i respiratori a semimaschera è richiesto un Fit Factor pari almeno a 100, mentre per un respiratore facciale completo a pressione negativa occorre un Fit Factor di almeno 500 (Stati Uniti) o 2.000 (Regno Unito).
...
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Circolare INAIL n. 45 del 26 Ottobre 2023

ID 20664 | | Visite: 1708 | Documenti Sicurezza

Circolare INAIL n  45 del 26 Ottobre 2023

Circolare INAIL n. 45 del 26 Ottobre 2023 / Assicurazione attività scolastiche di studenti e docenti - Sistema istruzione e formazione

ID 20664 | 27.10.2023 / In allegato

Circolare INAIL n. 45 del 26 Ottobre 2023 - Estensione della tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore. Articolo 18 del decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85

L’articolo 18 del decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48 convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, ha disposto, per il solo anno scolastico e accademico 2023-2024, l’estensione della tutela assicurativa Inail allo svolgimento delle attività di insegnamento-apprendimento per gli studenti e il personale scolastico delle scuole del sistema nazionale di istruzione e delle scuole non paritarie, il personale del sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP), dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), dei percorsi di formazione terziaria professionalizzante (ITS Academy) e dei Centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA). 

L’estensione della tutela Inail riguarda pertanto il personale docente e gli studenti di tutte le scuole e gli istituti di istruzione, statali e non statali1, ricomprendendo in quest’ultima categoria sia le scuole paritarie sia quelle non paritarie.

Con la presente circolare, acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali2, si forniscono le conseguenti istruzioni.

[...]

Articolo 18 decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48

Art. 18 Estensione della tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore

1. Allo scopo di valutare l'impatto dell'estensione della tutela assicurativa degli studenti e degli insegnanti, esclusivamente per l'anno scolastico e per l'anno accademico 2023-2024, l'obbligo di assicurazione di cui all'articolo 1, terzo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 si applica anche allo svolgimento delle attività di insegnamento-apprendimento nell'ambito del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore.

2. Ai fini dell'applicazione della previsione di cui al comma 1, sono compresi nell'assicurazione, se non già previsti dall'articolo 4, primo comma, numero 5, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, gli appartenenti alle seguenti categorie:

a) il personale scolastico delle scuole del sistema nazionale di istruzione e delle scuole non paritarie, nonché il personale del sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP), dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), dei percorsi di formazione terziaria professionalizzante (ITS Academy) e dei Centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA);
b) gli esperti esterni comunque impiegati nelle attività di docenza;
c) gli assistenti addetti alle esercitazioni tecnico-scientifiche e alle attività laboratoriali;
d) il personale docente e tecnico-amministrativo, nonché ausiliario, delle istituzioni della formazione superiore, i ricercatori e i titolari di contratti o assegni di ricerca;
e) gli istruttori dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale o di addestramento professionale anche aziendali, o dei cantieri-scuola, comunque istituiti o gestiti, nonché i preparatori;
f) gli alunni e gli studenti delle scuole del sistema nazionale di istruzione e delle scuole non paritarie nonché del sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP), dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (( (IFTS), dei )) percorsi di formazione terziaria professionalizzante (ITS Academy) e dei Centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA), gli studenti delle università e delle ((istituzioni dell'fedeltà formazione)) artistica, musicale e coreutica (AFAM), limitatamente agli eventi verificatisi all'interno dei luoghi di svolgimento delle attività didattiche o laboratoriali, e loro pertinenze, o comunque avvenuti nell'ambito delle attività inserite nel Piano triennale dell'offerta formativa e nell'ambito delle attività programmate dalle altre Istituzioni già indicate;
g) gli allievi dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale o di addestramento professionale anche aziendali, o dei cantieri scuola, comunque istituiti o gestiti.

3. Ai maggiori oneri derivanti dall'attuazione dei commi 1 e 2, pari a 17,3 milioni di euro ((per l'anno 2023, 30,4 milioni di euro per l'anno 2024 e 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025,)) si provvede ai sensi dell'articolo 44.

4. Le risorse di cui al comma 3 relative ai rimborsi da corrispondere all'INAIL, non utilizzate alla chiusura dell'esercizio, sono conservate nel conto dei residui per essere utilizzate nell'esercizio successivo fino alla rendicontazione dell'effettiva spesa.

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Fonte: INAIL

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Circolare INL n. 2 del 25 ottobre 2023

ID 20662 | | Visite: 1532 | Documenti Sicurezza

Circolare n  2 del 25 ottobre 2023

Circolare INL n. 2 del 25 ottobre 2023 / Lavoro sportivo - prime indicazioni per il personale ispettivo

ID 20662 | 27.10.2023

Circolare INL n. 2 del 25 ottobre 2023
Oggetto: D.Lgs. n. 36/2021 recante “Attuazione dell'articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo” come modificato dal D.Lgs. n. 120/2023 - prime indicazioni per il personale ispettivo.

A far data dal 1° luglio 2023 sono entrate in vigore la quasi totalità delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 36/2021 che ha riformato, fra l’altro, la disciplina del c.d. lavoro sportivo. Il Titolo V del predetto decreto, peraltro recentemente modificato dal D.Lgs. n. 120/2023, introduce infatti importanti novità, su alcune delle quali occorre fornire le prime indicazioni al personale ispettivo.

Lavoratori sportivi

L’art. 25 del D.Lgs. n. 36/2021 stabilisce anzitutto che “è lavoratore sportivo l'atleta, l'allenatore, l'istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l'attività sportiva verso un corrispettivo (...) è lavoratore sportivo ogni altro tesserato (...) che svolge verso un corrispettivo (...) le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti tecnici della singola disciplina sportiva, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale. Non sono lavoratori sportivi coloro che forniscono prestazioni nell'ambito di una professione la cui abilitazione professionale è rilasciata al di fuori dell'ordinamento sportivo e per il cui esercizio devono essere iscritti in appositi albi o elenchi tenuti dai rispettivi ordini professionali”.

Rispetto alla platea di soggetti indicati dalla disposizione, il legislatore prevede espressamente che, ricorrendone i presupposti, l'attività di lavoro sportivo possa costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell'art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c.

Lavoro subordinato sportivo

La disciplina del lavoro subordinato sportivo, in ragione della sua specialità, prevede delle deroghe espresse a talune normative che interessano la generalità dei rapporti di lavoro subordinato. L’art. 26 del D.Lgs. n. 36/2021 stabilisce infatti che ai contratti di lavoro subordinato sportivo non si applicano alcune disposizioni contenute negli artt. 4, 5 e 18 della L. n. 300/1970 (recanti rispettivamente la disciplina degli “impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo”, gli “accertamenti sanitari” e la “tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”) e numerose ulteriori disposizioni in materia di licenziamenti, fra le quali quelle contenute nella L. n. 604/1966, nella L. n. 108/1990 e nell’art. 24 della L. n. 223/1991.

Anche in relazione alle prestazioni di lavoro a tempo determinato il legislatore introduce alcune deroghe, prevedendo anzitutto la disapplicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 19 a 29 del D.Lgs. n. 81/2015. Nell’ambito del lavoro sportivo, infatti, il contratto di lavoro subordinato può contenere l'apposizione di un termine finale non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto. È inoltre ammessa la successione di contratti a tempo determinato fra gli stessi soggetti e la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società o associazione sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte - e, dunque, con il consenso del lavoratore per l’operatività della cessione - e siano osservate le modalità fissate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle Discipline Sportive Associate e dagli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici.

Si prevede che anche l’art. 7 della L. n. 300/1970 non trovi applicazione con riferimento alle sanzioni disciplinari irrogate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle Discipline Sportive Associate e dagli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici.

Rapporto di lavoro sportivo nei settori professionistici

Il lavoro sportivo prestato nei settori professionistici (v. art. 38, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2021 secondo il quale “l'area del professionismo è composta dalle società che svolgono la propria attività sportiva con finalità lucrative nei settori che, indipendentemente dal genere, conseguono la relativa qualificazione dalle Federazioni Sportive Nazionali o dalle Discipline Sportive Associate, anche paralimpiche...”) è anch’esso regolato dalle norme contenute nel Titolo V del D.Lgs. n. 36/2021 e, in particolare, dall’art. 27 dello stesso decreto.

Si prevede anzitutto che nei settori professionistici, il lavoro sportivo prestato dagli atleti come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa, si presume oggetto di contratto di lavoro subordinato.

Trattasi di una presunzione relativa in quanto si prevede espressamente che il lavoro sportivo costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:

a) l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
b) lo sportivo non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento;
c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi 8 ore settimanali oppure 5 giorni ogni mese ovvero 30 giorni ogni anno. Trattasi di condizioni che vanno verificate autonomamente, caso per caso, al fine di verificarne la sussistenza sulla base della previsione di legge, senza che il superamento di una di esse comporti necessariamente il venir meno del requisito. Così, a titolo esemplificativo, qualora si superino le 8 ore settimanali ma l’impiego risulti comunque inferiore ai 5 giorni al mese o ai 30 giorni l’anno il requisito potrà ritenersi soddisfatto.

Il rapporto di lavoro si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto ogni tre anni dalla Federazione Sportiva Nazionale o dalla Disciplina Sportiva Associata, anche paralimpici e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale, delle categorie di lavoratori sportivi interessate, conformemente all'accordo collettivo stipulato.

Il contratto deve essere depositato, a cura della società, entro 7 giorni dalla stipulazione, presso la Federazione Sportiva Nazionale o la Disciplina Sportiva Associata, anche paralimpici, per l'approvazione, che costituisce condizione di efficacia del contratto e che pertanto costituisce elemento necessario e temporalmente antecedente all’avvio della prestazione lavorativa.

Unitamente al predetto contratto devono essere depositati tutti gli ulteriori contratti stipulati tra il lavoratore sportivo e la società sportiva, ivi compresi quelli che abbiano ad oggetto diritti di immagine o promo- pubblicitari relativi o comunque connessi al lavoratore sportivo.

Ulteriori previsioni attengono alla sostituzione delle eventuali clausole contenenti deroghe peggiorative con quelle del contratto tipo e la sussistenza di un obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici.

Rapporto di lavoro sportivo nell'area del dilettantismo

Più di interesse per l’attività del personale ispettivo sono le disposizioni, contenute nell’art. 28 del D.Lgs. n. 36/2021, concernenti la disciplina del rapporto di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo (v. art. 38, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 36/2021 secondo il quale “l'area del dilettantismo comprende le associazioni e le società... che svolgono attività sportiva in tutte le sue forme, con prevalente finalità altruistica, senza distinzioni tra attività agonistica, didattica, formativa, fisica o motoria”).

Diversamente da quanto avviene nel professionismo, nell'area del dilettantismo il lavoro sportivo si presume oggetto di contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, quando ricorrono i seguenti requisiti nei confronti del medesimo committente:

a) la durata delle prestazioni oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non supera le 24 ore settimanali, escluso il tempo dedicato alla partecipazione a manifestazioni sportive; al superamento di tale impegno orario resta dunque in capo alle parti dimostrare l’insussistenza degli indici relativi alla natura subordinata del rapporto;
b) le prestazioni oggetto del contratto risultano coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo, in osservanza dei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva, anche paralimpici.

Trattasi di requisiti che, congiuntamente, sono sufficienti a dare luogo alla presunzione di lavoro autonomo tant’è che, anche in ragione della specialità del rapporto di lavoro sportivo, non è applicabile la disciplina in materia di etero-organizzazione prevista dall’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015.

L’art. 28, comma 3, del D.Lgs. n. 36/2021 pone a carico del soggetto destinatario delle prestazioni sportive (associazione o società, Federazione Sportiva Nazionale, Disciplina Sportiva associata, Ente di Promozione Sportiva, associazione benemerita, anche paralimpici, CONI, CIP e società Sport e salute S.p.A.) uno specifico adempimento e cioè l’obbligo di comunicare al Registro delle attività sportive dilettantistiche (v. art. 6, D.Lgs. n. 36/2021) i dati necessari all'individuazione del rapporto di lavoro sportivo.

La comunicazione al Registro delle attività sportive dilettantistiche equivale a tutti gli effetti alle comunicazioni al centro per l'impiego di cui all'art. 9-bis, commi 2 e 2-bis, del D.L. n. 510/1996 (conv. da L. n. 608/1996) e “deve essere effettuata secondo i medesimi contenuti informativi”.

L’obbligo di comunicare i dati necessari alla individuazione del rapporto di lavoro sportivo va assolto, in base alle previsioni da ultimo introdotte dal D.Lgs. n. 120/2023, entro il trentesimo giorno del mese successivo all'inizio del rapporto di lavoro e può essere adempiuto, indifferentemente, tramite comunicazione al Registro delle attività sportive dilettantistiche oppure tramite la consueta comunicazione al centro per l’impiego. Per i rapporti di lavoro iniziati prima della pubblicazione del D.Lgs. n. 120/2023, avvenuta in data 4 settembre u.s., si ritiene che l’obbligo in questione possa essere assolto entro il 30 ottobre p.v.

Il mancato adempimento comporta l’irrogazione delle sanzioni previste per le omesse comunicazioni al centro per l'impiego e cioè le sanzioni previste dall’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003 (sanzione amministrativa da euro 100 ad euro 500). In relazione a tale violazione, la cui sanzione è adottata dagli “organi di vigilanza in materia di lavoro, fisco e previdenza”, il legislatore individua inoltre gli Uffici territoriali di questo Ispettorato quali autorità competenti a ricevere il rapporto ai sensi dell’art. 17 della L. n. 689/1981.

Un ulteriore adempimento previsto per le collaborazioni coordinate e continuative in questione concerne l'obbligo di tenuta del libro unico del lavoro (artt. 39 e 40 del D.L. n. 112/2008, conv. da L. n. 133/2008). Tale obbligo può essere adempiuto in via telematica all'interno di apposita sezione del Registro delle attività sportive dilettantistiche. Inoltre, nel caso in cui il compenso annuale non superi l'importo di euro 15.000, non vi è obbligo di emissione del relativo prospetto paga. Con riguardo agli adempimenti di tenuta del libro unico del lavoro, l'iscrizione del lavoratore può avvenire in un'unica soluzione, anche dovuta alla scadenza del rapporto di lavoro, entro trenta giorni dalla fine di ciascun anno di riferimento, fermo restando che i compensi dovuti possono essere erogati anche anticipatamente.

Rispetto agli adempimenti descritti si prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell'Autorità politica delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, siano individuate le disposizioni tecniche ed i protocolli informatici necessari a consentire l’invio della comunicazione dei dati necessari all'individuazione del rapporto di lavoro sportivo al Registro delle attività sportive dilettantistiche - decreto in via di definizione - e, entro il 31 dicembre 2023, siano individuate le disposizioni tecniche ed i protocolli informatici necessari a consentire la tenuta del libro unico del lavoro in via telematica all'interno di apposita sezione del medesimo Registro delle attività sportive dilettantistiche.

Sul punto occorre precisare che l’obbligo di comunicare i dati necessari all'individuazione del rapporto di lavoro sportivo dovrà essere necessariamente effettuato mediante la consueta comunicazione al centro per l’impiego sino a quando il Registro delle attività sportive dilettantistiche non sarà pienamente operativo, tenuto conto delle previsioni di cui all’art. 28, comma 5, del D.Lgs. n. 36/2021 come modificato dal D.Lgs. n. 120/2023.

Da ultimo si segnala che, in sede di prima applicazione, gli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti per le collaborazioni coordinate e continuative in questione, limitatamente al periodo di paga da luglio 2023 a settembre 2023, possono essere effettuati entro il 31 ottobre.

Prestazioni sportive dei volontari

Specifiche indicazioni sono dettate dall’art. 29 del D.Lgs. n. 36/2021 in relazione alla attività dei volontari. Si prevede che le società e le associazioni sportive, le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate e gli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici, il CONI, il CIP e la società Sport e salute S.p.A., possono avvalersi nello svolgimento delle proprie attività istituzionali di volontari “che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali”.

Le prestazioni dei volontari sono comprensive dello svolgimento diretto dell'attività sportiva, nonché della formazione, della didattica e della preparazione degli atleti.

Le prestazioni sportive dei volontari non sono retribuite in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Per tali prestazioni sportive possono essere rimborsate esclusivamente le spese documentate relative al vitto, all'alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale di residenza del percipiente.

Le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di autocertificazione resa ai sensi dell'art. 46 del D.P.R. n. 445/2000, purché non superino l'importo di 150 euro mensili e l'organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. I rimborsi non concorrono a formare il reddito del percipiente.

Tali prestazioni sono incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva.

Gli enti dilettantistici che si avvalgono di volontari devono assicurarli per la responsabilità civile verso i terzi, anche attraverso i meccanismi assicurativi semplificati di cui all'art. 18, comma 2, del D.Lgs. n. 117/2017.

Lavoro sportivo e apprendistato

Le società o associazioni sportive dilettantistiche e le società professionistiche possono stipulare contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore, di cui all'art. 43 del D.Lgs. n. 81/2015 e contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca, di cui all'art. 45 del medesimo decreto legislativo.

La formazione degli atleti può essere conseguita anche con le classi di laurea L-22 (Scienze Motorie e di laurea magistrale), LM-47 (Organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie), la LM-67 (Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattative), nonché la LM-68 (Scienze e tecniche dello sport).

In relazione all'apprendistato di cui all'art. 43 del D.Lgs. n. 81/2015, il limite di età minimo - in deroga al comma 2 dello stesso art. 43 del D.Lgs. n. 81/2015 e all’art. 3 della L. n. 977/1967 - è fissato a 14 anni, atteso che il percorso di apprendistato assolve all'obbligo di istruzione e ciò anche nell'ottica della “valorizzazione non solo sportiva, ma anche culturale-sociale dei giovanti atleti”.

L'apprendistato è attivato con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all'art. 8 del D.Lgs. n. 13/2013 nel rispetto dei requisiti, criteri e procedure dettati dalle norme che disciplinano i relativi percorsi di istruzione e formazione.

Ai contratti di apprendistato non trovano tuttavia applicazione l'art. 42, commi 3, 4 e 7, del D.Lgs. n. 81/2015 concernenti, rispettivamente, la disciplina del licenziamento illegittimo, del recesso al termine del rapporto ovvero della sua prosecuzione e del contingentamento del numero di apprendisti.

Diversamente da quanto prevede la disciplina generale di tale tipologia contrattuale contenuta nel D.Lgs. n. 81/2015, l’art. 30 del D.Lgs. n. 36/2021 prevede espressamente che al termine del periodo di apprendistato, fissato nel contratto, quest'ultimo si risolve automaticamente.

Peraltro, in relazione al contratto di apprendistato si prevede l’emanazione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri per la definizione degli “standard professionali e formativi relativi ai percorsi di istruzione e formazione finalizzati all'acquisizione dei titoli e delle qualifiche”.

Da ultimo è opportuno evidenziare quanto previsto dall’art. 30, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 36/2021 secondo cui, per le società sportive professionistiche che assumono lavoratori sportivi con contratto di apprendistato professionalizzante, il limite minimo di età è fissato a 15 anni, fermo restando il limite massimo dei 23 anni già previsto dall'art. 1, comma 154, della L. n. 234/2021.

Sicurezza dei lavoratori sportivi e dei minori

L’art. 33 del D.Lgs. n. 36/2021 stabilisce che, per tutto quanto non regolato dallo stesso decreto, ai lavoratori sportivi si applicano le vigenti disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, “in quanto compatibili con le modalità della prestazione sportiva”.

L'attività sportiva dei lavoratori sportivi è svolta sotto controlli medici, secondo disposizioni stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell'Autorità politica da esso delegata in materia di sport.

L'idoneità alla mansione, ove non riferita all'esercizio dell'attività sportiva, è rilasciata dal medico competente il quale utilizza la certificazione rilasciata dal medico sportivo. Ai lavoratori sportivi che ricevono compensi annualmente non superiori ai 5.000 euro si applicano le disposizioni dell'art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008 che prevede la facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria e di partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte.

Inoltre, in mancanza di disposizioni speciali di legge, ai lavoratori sportivi si applica la vigente disciplina, anche previdenziale, a tutela della malattia, dell'infortunio, della gravidanza, della maternità e della genitorialità, contro la disoccupazione involontaria, secondo la natura giuridica del rapporto di lavoro.

Pertanto, ai lavoratori subordinati sportivi iscritti al Fondo pensioni lavoratori sportivi (v. infra), a prescindere dalla qualifica professionale, si applicano le medesime tutele in materia di assicurazione economica di malattia e di assicurazione economica di maternità previste dalla normativa vigente in favore dei lavoratori aventi diritto alle rispettive indennità economiche iscritti all'assicurazione generale obbligatoria (la misura dei contributi dovuti per il finanziamento dell'indennità economica di malattia e per il finanziamento dell'indennità economica di maternità è pari a quella fissata rispettivamente per il settore dello spettacolo dalla tabella G della L. n. 41/1986 e dall'art. 79 del D.Lgs. n. 151/2001).

Ai lavoratori subordinati sportivi si applicano inoltre le tutele relative agli assegni per il nucleo familiare (D.P.R. n. 797/1955 e D.L. n. 69/1988 conv. da L. n. 153/1988) con applicazione, a carico dei datori di lavoro, delle medesime aliquote contributive previste per i lavoratori iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Ai lavoratori subordinati sportivi si applicano altresì le tutele previste dalla NASPI, in relazione alla quale la misura dei contributi dovuti dai datori di lavoro è quella prevista dall'art. 2, commi 25 e 26, della L. n. 92/2012. I medesimi datori di lavoro non sono tenuti invece al versamento dei contributi di cui all'art. 2, commi 28 e 31, della L. n. 92/2021 (contributo addizionale e c.d. ticket di licenziamento).

Per quanto riguarda l’impiego di minori in attività sportive restano ferme le disposizioni contenute nella L. n. 977/1967 e si prevede al riguardo l’emanazione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell'Autorità politica da esso delegata in materia di sport per l’introduzione di ulteriori disposizioni a tutela della salute e della sicurezza dei minori “inclusi appositi adempimenti e obblighi, anche informativi, da parte delle società e associazioni sportive, tra cui la designazione di un responsabile della protezione dei minori, allo scopo, tra l'altro, della lotta ad ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione dell'integrità fisica e morale dei giovani sportivi”.

Ai minori che praticano attività sportiva si applica altresì quanto previsto dal D.Lgs. n. 39/2014 - recante attuazione della direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile - che, come noto, ha previsto l’obbligo di richiesta del certificato penale del casellario giudiziale da parte soggetto che intenda “impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori”.

Assicurazione contro gli infortuni

L’art. 34 del D.Lgs. n. 36/2021 stabilisce che i lavoratori subordinati sportivi, dipendenti dai soggetti di cui all'art. 9 del D.P.R. n. 1124/1965, sono sottoposti al relativo obbligo assicurativo, anche qualora vigano previsioni, contrattuali o di legge, di tutela con polizze privatistiche. È inoltre demandata ad un apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali l’individuazione delle retribuzioni e dei relativi riferimenti tariffari ai fini della determinazione del premio assicurativo. Dalla data di decorrenza dell'obbligo assicurativo le retribuzioni stabilite ai fini della determinazione del premio valgono anche ai fini della liquidazione della indennità giornaliera di inabilità temporanea assoluta.

Ai lavoratori sportivi titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa si applica esclusivamente la tutela assicurativa obbligatoria prevista dall'art. 51 della L. n. 289/2002 e nei relativi provvedimenti attuativi.

Per gli sportivi dilettanti di cui all'art. 51 della L. n. 289/2002 (tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva), che svolgono attività sportiva come volontari, rimane ferma la tutela assicurativa obbligatoria prevista nel medesimo art. 51 e nei relativi provvedimenti attuativi, oltre a quanto previsto all'art. 29, comma 4, del D.Lgs. n. 36/2021 in materia di responsabilità civile verso i terzi.

Rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale

Ricorrendone i presupposti, l'attività di carattere amministrativo-gestionale resa in favore delle società ed associazioni sportive dilettantistiche, delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e degli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici, riconosciuti dal CONI o dal CIP, può essere oggetto di collaborazioni ai sensi dell'art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c. Non rientrano viceversa tra i soggetti in questione coloro che forniscono attività di carattere amministrativo-gestionale nell'ambito di una professione per il cui esercizio devono essere iscritti in appositi albi o elenchi tenuti dai rispettivi ordini professionali.

Ai rapporti di collaborazione in questione si applica la disciplina dell'obbligo assicurativo di cui all'art. 5, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 38/2000, secondo i criteri stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

I collaboratori hanno diritto all'assicurazione previdenziale e assistenziale, con iscrizione alla Gestione separata INPS, secondo la relativa disciplina previdenziale. L'attività dei soggetti in questione è inoltre regolata, ai fini previdenziali, dall'art. 35, commi 2, 6, 7, 8-bis e 8-ter (calcolo delle aliquote sulla parte di compenso eccedente i primi 5.000 euro annui e abbattimento del 50% dell’imponibile contributivo sino al 31 dicembre 2027, v. infra) e, ai fini tributari, quale che sia la tipologia del rapporto, dall'art. 36, comma 6, del D.Lgs. n. 36/2021 (compensi esenti dalla base imponibile ai fini fiscali fino all'importo complessivo annuo di euro 15.000, v. infra). I contributi previdenziali ed assistenziali non concorrono a formare il reddito ai fini tributari.

Trattamento pensionistico e tributario

Gli artt. 35 e 36 del D.Lgs. n. 36/2021 introducono una speciale disciplina in materia previdenziale e fiscale in relaziona alla quale, nel rinviare ogni possibile approfondimento alle indicazioni che saranno fornite dalle competenti amministrazioni, si ritiene opportuno evidenziare alcuni aspetti.

Si prevede anzitutto che i lavoratori sportivi subordinati, a prescindere dal settore professionistico o dilettantistico in cui prestano attività, sono iscritti al Fondo Pensione Sportivi Professionisti gestito dall'INPS (rinominato “Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi”). Ricorrendone i presupposti, al suddetto Fondo sono altresì iscritti i lavoratori sportivi autonomi, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative, operanti nei settori professionistici.

Nell'area del dilettantismo i lavoratori sportivi, titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa o che svolgono prestazioni autonome, hanno diritto all'assicurazione previdenziale e assistenziale. A tal fine essi sono iscritti alla Gestione separata INPS applicandone la relativa disciplina.

Per gli stessi lavoratori che risultino iscritti alla Gestione separata INPS e assicurati presso altre forme obbligatorie, l'aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche è stabilita in misura pari al 24%, mentre per quelli che non risultino assicurati presso altre forme obbligatorie e per coloro che svolgono prestazioni di lavoro autonomo di cui di cui all'art. 53, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986, l'aliquota è stabilita nella misura del 25%, ferma restando l’applicazione delle aliquote aggiuntive previste per gli iscritti alla Gestione separata INPS.

L'aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche in favore dei soggetti appena indicati sono calcolate sulla parte di compenso eccedente i primi 5.000 euro annui. Inoltre, fino al 31 dicembre 2027, la contribuzione è dovuta nei limiti del 50% dell'imponibile contributivo e l'imponibile pensionistico è ridotto in misura equivalente.

Sotto il profilo tributario appare infine utile evidenziare quanto previsto dal comma 6 dell’art. 36 secondo il quale i compensi di lavoro sportivo nell'area del dilettantismo non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all'importo complessivo annuo di euro 15.000. A tal fine si prevede che, all'atto del pagamento, il lavoratore sportivo rilasci una autocertificazione attestante l'ammontare dei compensi percepiti per le prestazioni sportive dilettantistiche rese nell'anno solare (1° gennaio-31 dicembre).

Analogamente, al fine di sostenere il graduale inserimento degli atleti e delle atlete di età inferiore a 23 anni nell'ambito del settore professionistico, si prevede che le retribuzioni agli stessi riconosciute, al fine del calcolo delle imposte dirette, non costituiscano reddito per il percipiente fino all'importo annuo massimo di euro 15.000. In caso di superamento di detto limite, il predetto importo non contribuisce al calcolo della base imponibile e delle detrazioni da lavoro dipendente. Tale previsione si applica, per quanto riguarda gli sport di squadra, alle società sportive professionistiche il cui fatturato nella stagione sportiva precedente a quella di applicazione della disposizione non sia stato superiore a 5 milioni di euro.

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Fonte: INL

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Sentenza CS n. 1576 del 17 marzo 2009

ID 20653 | | Visite: 1522 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenza CS n. 1576 del 17 marzo 2009

ID 20653 | 24.10.2023

La sentenza (n. 1576/2009) del Consiglio di stato ha rigettato il ricorso dell’INAIL contro il Tar in merito alla Circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, le patologie oggetto della Circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003 non possono essere considerate come malattie professionali.

A suo giudizio, infatti, – dopo l’introduzione del sistema misto da parte della sentenza 179/88 della Corte Costituzionale (che rende indennizzabili, da parte dell’INAIL, oltre alle malattie professionali tabellate, anche tutte quelle causate o concausate dall’attività lavorativa del soggetto colpito dalla malattia stessa) – possono essere comunque riconosciute come “non tabellate” solo quelle patologie causate dal rischio specifico delle lavorazioni indicate negli articoli 1 e 4 del decreto n. 1124 del 30 giugno 1965 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).

La sentenza del Consiglio di Stato, dunque, sembrerebbe “annullare” anche il già citato decreto ministeriale, avendo una valenza non limitata solo alle malattie riconducibili alle condizioni organizzative e ambientali del lavoro (oggetto della circolare INAIL) ma a tutte malattie “non tabellate”.
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in allegato

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Circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003

ID 20650 | | Visite: 2001 | Circolari Sicurezza lavoro

Circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003 / Modalità di trattazione delle pratiche disturbi psichici-lavoro

ID 20650 | 24.10.2023 / In allegato

Circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003

Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche.

Circolare annullata dalla Sentenza CS n. 1576 del 17 marzo 2009 - Applicabile per le metodologie riportate.

Organo: DIREZIONE GENERALE - DIREZIONE CENTRALE PRESTAZIONI - SOVRINTENDENZA MEDICA GENERALE
Documento: Circolare n. 71 del 17 dicembre 2003(*)
Oggetto:Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche.
(*)V. sentenza del TAR del Lazio n. 5454 del 4 luglio 2005, contro la quale l’INAIL ha inoltrato il ricorso al Consiglio di Stato (notificato in data 13 dicembre 2005 e depositato in data 5 gennaio 2006).

Quadro Normativo

  • D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965: “Testo Unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, art. 3.
  • Sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 18 febbraio 1988: introduzione del “sistema misto” di tutela delle malattie professionali.
  • Circolare n. 35/1992: “Sentenze nn. 179 e 206 del 1988 della Corte Costituzionale: prima fase del decentramento della trattazione di pratiche di tecnopatie non tabellate”.
  • Decreto Legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000, art. 10, comma IV: conferma legislativa del “sistema misto” di tutela delle malattie professionali.
  • Decreto ministeriale del 12 luglio 2000: “Approvazione di Tabella delle menomazioni, Tabella indennizzo danno biologico, Tabella dei coefficienti, relative al danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione contro gli infortuni e malattie professionali”.
  • Delibera del Consiglio di Amministrazione n. 473 del 26 luglio 2001: definizione di percorsi metodologici per la diagnosi eziologica delle patologie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo.
  • Lettera del 12 settembre 2001 della Direzione Centrale Prestazioni e della Sovrintendenza Medica Generale: “Malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo, compreso il mobbing. Prime indicazioni operative”.
PREMESSA
Con lettera del 12 settembre 2001 sono state fornite le prime istruzioni per la trattazione delle denunce di disturbi psichici determinati dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro ed è stato disposto che, data l’esigenza di acquisire un adeguato patrimonio di informazioni e conoscenze sulla materia, tutte le fattispecie con documentazione completa e probante fossero inviate all’esame centrale.
L’esame degli oltre 200 casi pervenuti (denunciati all’Inail quasi sempre dopo accertamenti e trattamenti terapeutici) ha consentito di monitorare il fenomeno e di conoscere l’approccio diagnostico dei vari centri specialistici nazionali che fanno capo a Cattedre Universitarie, Ospedali, Ambulatori e Centri di Salute Mentale delle AA.SS.LL. operanti sul territorio.

L‘accertamento del rischio, effettuato sulla base della denuncia di malattia professionale - integrata ove necessario da richieste specifiche ai datori di lavoro e dai risultati di incarichi ispettivi mirati - nonché le ulteriori indagini cliniche specialistiche eseguite, hanno condotto al riconoscimento della natura professionale della patologia diagnosticata nel 15 per cento circa dei casi esaminati.
Contemporaneamente, l’apposito Comitato Scientifico (1) , dopo aver approfondito gli aspetti più complessi e controversi del problema, è pervenuto alle conclusioni contenute nel documento che si allega per opportuna conoscenza (2).
Completata questa propedeutica fase di studio e monitoraggio, si forniscono nuove e più articolate istruzioni sulle modalità di trattazione di questi casi.
Le istruzioni di seguito indicate tengono conto:
  • dell’esperienza maturata nel periodo di osservazione 
  • della Relazione del Comitato Scientifico
  • della letteratura in materia.
I FATTORI DI RISCHIO
La posizione assunta dall’Istituto sul tema delle patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro trova il suo fondamento giuridico nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e nel Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4), in base ai quali sono malattie professionali, non solo quelle elencate nelle apposite Tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa.
Secondo un’interpretazione aderente all’evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi ed alla crescente attenzione ai profili di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative.

I disturbi psichici quindi possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell’attività e della organizzazione del lavoro.
Si ritiene che tali condizioni ricorrano esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, situazioni definibili con l’espressione “costrittività organizzativa”.
Le situazioni di “costrittività organizzativa” più ricorrenti sono riportate di seguito, in un elenco che riveste un imprescindibile valore orientativo per eventuali situazioni assimilabili.

ELENCO DELLE “COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVE”
  • Marginalizzazione dalla attività lavorativa
  • Svuotamento delle mansioni
  • Mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata
  • Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro
  • Ripetuti trasferimenti ingiustificati
  • Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto
  • Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici
  • Impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie
  • Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro
  • Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale
  • Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
Nel rischio tutelato può essere compreso anche il cosiddetto “mobbing strategico” specificamente ricollegabile a finalità lavorative. Si ribadisce tuttavia che le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di “costrittività organizzativa” di cui all’elenco sopra riportato o in altre ad esse assimilabili.
Le incongruenze organizzative, inoltre, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa.

Sono invece esclusi dal rischio tutelato:
  • i fattori organizzativo/gestionali legati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione, trasferimento, licenziamento)
  • le situazioni indotte dalle dinamiche psicologico-relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali o condotte comunque riconducibili a comportamenti puramente soggettivi che, in quanto tali, si prestano inevitabilmente a discrezionalità interpretative).
MODALITÀ DI TRATTAZIONE DELLE PRATICHE

ACCERTAMENTO DELLE CONDIZIONI DI RISCHIO
Come per tutte le altre malattie non tabellate, l’assicurato ha l’obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la propria richiesta per quanto concerne sia il rischio sia la malattia.
L’Istituto, da parte sua, ha il potere-dovere di verificare l’esistenza dei presupposti dell’asserito diritto, anche mediante l’impegno partecipativo nella ricostruzione degli elementi probatori del nesso eziologico.
L’esperienza fin qui maturata ha dimostrato che non sempre sono producibili dall’assicurato, o acquisibili dall’Istituto, prove documentali sufficienti.
È perciò necessario procedere ad indagini ispettive per raccogliere le prove testimoniali dei colleghi di lavoro, del datore di lavoro, del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione delle aziende e di ogni persona informata sui fatti allo scopo di:
  • acquisire riscontri oggettivi di quanto dichiarato dall’assicurato
  • integrare gli elementi probatori prodotti dall’assicurato.
Ulteriori elementi potranno essere attinti dall’eventuale accertamento dei fatti esperito in sede giudiziale o in sede di vigilanza ispettiva da parte della Direzione Provinciale del Lavoro o dei competenti uffici delle AA.SS.LL..
Come per tutte le altre malattie professionali (3), l’indagine ispettiva mirata ad acquisire i riscontri oggettivi nonché gli eventuali elementi integrativi di quanto asserito e prodotto dall’assicurato dovrà essere attivata su richiesta della funzione sanitaria, che provvederà anche ad indicare gli specifici aspetti da indagare.
 
Diversamente invece dalle altre malattie professionali (per le quali l’intervento ispettivo è previsto solo se necessario) per le patologie in oggetto l’indagine ispettiva deve essere sempre effettuata. Fanno ovviamente eccezione le ipotesi in cui la funzione sanitaria, già al termine della prima fase istruttoria, è giunta alla determinazione di definire negativamente il caso per l’assenza della malattia o per la certezza della esclusione della sua origine professionale.

L’ITER DIAGNOSTICO DELLA MALATTIA PROFESSIONALE DA COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVA
L’iter diagnostico da seguire ai fini di una uniforme trattazione medico-legale dei casi denunciati all’Istituto è descritto di seguito.
  • Anamnesi lavorativa pregressa e attuale
    • Indicare settore lavorativo, anno di assunzione, qualifica e mansioni svolte.
    • Descrivere la situazione lavorativa ritenuta causa della malattia individuando le specifiche condizioni di costrittività organizzativa.
    • Disporre, se non già in atti, le necessarie indagini ispettive (4) con la conseguente acquisizione di dichiarazioni del datore di lavoro, testimonianze dei colleghi di lavoro, eventuali atti giudiziari, ecc..
  • Anamnesi fisiologica: riportare le abitudini di vita (alimentazione, fumo, alcoolici, hobby, titolo di studio, ecc.)
  • Anamnesi patologica remota
  • Anamnesi patologica prossima:
    • Riportare la diagnosi formulata nel 1° certificato medico di malattia professionale.
    • Descrivere il decorso ed i sintomi del disturbo psichico.
    • Comprendere, nella documentazione medica di interesse, le certificazioni specialistiche, gli accertamenti sanitari preventivi e periodici svolti in azienda ed eventuali “precedenti Inps”.
  • Esame obiettivo completo
  • Indagini neuropsichiatriche:
    • Visita e relazione neuropsichiatrica corredata di eventuali test psicodiagnostici, se è presente in Sede lo specialista neuropsichiatra.
    • Consulenza specialistica esterna, in convenzione con specialista in neuropsichiatria di comprovata esperienza o con struttura pubblica, se non è presente in Sede lo specialista neuropsichiatra.
  • Test psicodiagnostici:
    • La particolarità della materia lascia al singolo specialista, in relazione alla sua esperienza professionale, la scelta dei test da somministrare, test che integrano l’esame obiettivo psichico ma non possono sostituirlo. Tali test, nel complesso del videat psichiatrico, assumono indubbia importanza per la loro riproducibilità e confrontabilità nel tempo e dunque per finalità medico-legali. Elenchiamo di seguito quelli usati più frequentemente.

a) Questionari di personalità (MMPI e MMPI2, EWI, MPI, MCMI ecc.)
b) Scale di valutazione dei sintomi psichiatrici:   

  • per ansia e depressione, di auto e eterovalutazione (BDI, HAD scale, HAM-A, HAM e Zung depression rating scale, MOOD scale)
  • per aggressività e rabbia (STAXI)
  • per disturbo post-traumatico da stress (MSS-C)
  • per amplificazione di sintomi somatici (MSPQ)
c) Tests proiettivi (Rorschach, SIS, TAT, Reattivi di disegno ecc.)
  • Diagnosi medico-legale:
    • Per l’inquadramento nosografico, fare esclusivo riferimento ai seguenti due quadri morbosi:
      • sindrome (disturbo) da disadattamento cronico
      • sindrome (disturbo) post-traumatica/o da stress cronico.
La diagnosi comunemente correlabile ai rischi in argomento è il disturbo dell’adattamento cronico, con le varie manifestazioni cliniche (ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta, disturbi emozionali e disturbi somatoformi). La valutazione di queste manifestazioni consentirà la classificazione in lieve, moderato, severo.
La diagnosi di sindrome (o disturbo) post traumatico da stress può riguardare quei casi per i quali l’evento lavorativo, assumendo connotazioni più estreme, può ritenersi paragonabile a quelli citati nelle classificazioni internazionali dell’ICD-10 e DSM-IV. Questi casi vengono definiti come “estremi/eccezionalmente minacciosi o catastrofici” (a tale riguardo giova ricordare la possibilità che fattispecie che configurino un “evento acuto” devono trovare naturale collocazione nell’ambito dell’infortunio lavorativo).
  • Escludere, ai fini della diagnosi differenziale, la presenza di:
    • sindromi e disturbi psichici riconducibili a patologie d’organo e/o sistemiche, all’abuso di farmaci e all’uso di sostanze stupefacenti
    • sindromi psicotiche di natura schizofrenica, sindrome affettiva bipolare, maniacale, gravi disturbi della personalità.
  • Valutazione del danno biologico permanente
    La tabella delle menomazioni, relativa alla valutazione del danno biologico in ambito INAIL (5), prevede la presenza di due voci che attengono entrambe al solo disturbo post-traumatico da stress cronico, di grado moderato (voce 180) e severo (voce 181).
    L’intervallo valutativo riportato offre un adeguato riferimento per consentire, in analogia, la valutazione del danno biologico anche da disturbo dell’adattamento cronico. I due quadri menomativi, anche se derivano da un evento lesivo diverso, possono presentare infatti pregiudizi della sfera psichica in parte sovrapponibili e coincidenti.
    La valutazione del danno terrà conto del polimorfismo e della gravità dei sintomi psichiatrici e somatoformi, secondo le indicazioni delle classificazioni internazionali sopra richiamate, così come riscontrati nel singolo caso.
Codifica
Dovranno essere utilizzati i seguenti codici:

TABELLA DELLE MENOMAZIONI
Tipologia di codice Valore del codiceSintomi

Codice amministrativo A: 99.0
 

99.0
 

 
Codice di malattia M: 144 (6) Disturbo dell’adattamento cronico
  145 (7) Disturbo post traumatico da stress cronico
Codice di agente causale:   Da individuare nel gruppo “Fattori psicologici” in relazione alla condizione di costrittività organizzativa ritenuta prevalente

Disposizioni
La fase di sperimentazione può considerarsi completata. Questa circolare, infatti, riporta un esaustivo ed articolato quadro di riferimento che consente, già da ora, di garantire omogeneità e correttezza nella trattazione delle pratiche.
Sono inoltre previsti specifici corsi di formazione, programmati per il prossimo mese di gennaio, nonché ulteriori direttive di carattere generale in relazione alle problematiche che dovessero emergere.

A partire dalla data della presente circolare, le denunce di disturbi psichici da costrittività organizzativa saranno definite direttamente a cura delle Sedi senza il parere preventivo della Direzione Generale.
Le Direzioni Regionali, nell’ambito delle loro funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo, adotteranno ogni iniziativa idonea a garantire uniformità e completezza di lettura della presente circolare e conseguenti correttezza ed omogeneità di comportamento sul territorio.
Per quanto non specificato in questo contesto, si fa rinvio ai vigenti indirizzi in materia di trattazione delle malattie professionali non tabellate.
_____________

1. Nominato con delibera del Consiglio di amministrazione n. 608/2001
2. Allegato 1: Relazione del Comitato Scientifico.
3. Lettera del 18 settembre 2003: "Nuovo flusso procedurale per l'istruttoria delle denunce di malattia professionale".
4. Cfr. paragrafo precedente: "Accertamento delle condizioni di rischio".
5. Decreto ministeriale del 12 luglio 2000.
6. Inserito nel settore V del "Codice Sanitario M" (circ. n. 35/1992).
7. Cfr. nota 6

IL DIRETTORE GENERALE f.f.
Dr. Pasquale ACCONCIA 
 
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Allegato riservato Circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003 - Allegato 1.pdf
 
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Circolare INAIL n. 23 del 12 maggio 1988

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Circolare INAIL n. 23 del 12 maggio 1988

ID 20648 | 24.10.2023 / In allegato

Circolare INAIL n. 23 del 12 maggio 1988
Oggetto: Sentenze n. 179 del 10 febbraio 1988n. 206 dell'11 febbraio 1988 della Corte costituzionale. Modifiche del sistema di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali.

Nelle Gazzette Ufficiali, Serie speciale destinata agli atti dei giudizi davanti alla Corte costituzionale, n. 8 del 24 febbraio 1988 e n. 9 del 2 marzo 1988, sono state pubblicate le sentenze nn. 179206 (cfr. allegati nn. 1 e 2), che introducono radicali innovazioni nel sistema di tutela delle malattie professionali dei settori industriale e agricolo.

Con la sentenza n. 179/1988 la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità, in riferimento allo articolo 38, comma secondo della Costituzione, delle seguenti norme del testo unico approvato D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124:

- articolo 3, comma primo, ed articolo 211, comma primo, nella parte in cui non prevedono che la assicurazione è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle concernenti le malattie professionali nella industria e nella agricoltura e da quelle causate da una lavorazione specifica o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa del lavoro;

- articolo 134, comma primo, e articolo 254, dalla parola semprechè alla fine, con la successiva sentenza n. 206/1988 ha inoltre dichiarato la illegittimità del secondo comma dello articolo 135 del testo unico.

Con la prima sentenza la Corte costituzionale si è richiamata alla precedente pronuncia n. 206/1974 con la quale, pur ritenendo, all'epoca, non fondata la questione della legittimità costituzionale sollevata in merito al sistema tabellare per la considerazione che i limiti derivanti dalla sua tassatività erano compensati dalla presunzione legale operante a vantaggio del lavoratore, aveva tuttavia segnalato al legislatore la opportunità e la urgenza della adozione di un sistema misto.

La introduzione di questo sistema viene ora giudicato non più rinviabile, in base alla argomentazione che lo incremento dei fattori di rischio, dovuto allo sviluppo delle tecniche produttive e la maggiore agevolezza e attendibilità della indagine sulla eziologia professionale, dovuta al progresso delle tecnologie diagnostiche, hanno ormai alterato l'equilibrio tra i vantaggi e gli svantaggi del sistema tabellare.

Secondo la Corte, infatti, la presunzione nascente dalle tabelle è divenuta insufficiente a compensare il divieto allo allargamento della area della eziologia professionale.

E con ciò non solo per quel che concerne la individuazione di nuove malattie, ma anche per quel che concerne gli ostacoli che allo accertamento della eziologia professionale delle malattie può opporre la distanza temporale tra la causa patologica e la manifestazione morbosa.

In conseguenza, la Corte ha introdotto nello ordinamento giuridico italiano il sistema misto che prevede sia la esistenza delle tabelle con le favorevoli presunzioni di legge sia la possibilità per il lavoratore di dimostrare, con mezzi di prova ordinari, la origine professionale di malattie non tabellate oppure provocate da lavorazioni non previste nelle tabelle o, infine, manifestarsi oltre il periodo massimo di indennizzabilità stabilito dalle tabelle stesse.

Su questo ultimo punto, la Corte è ulteriormente intervenuta con la successiva sentenza n. 206/1988 stabilendo, con la dichiarazione di illegittimità del secondo comma dello articolo 135, che la manifestazione della malattia professionale coincide con la sua effettiva verificazione, e che la denuncia ha rilievo esclusivamente ai fini della decorrenza delle prestazioni.

La caducazione del 2° comma dell'articolo 135 del testo unico non coinvolge la corrispondente norma del settore agricolo (articolo 250 ultimo comma).

Si ritiene, peraltro, che ciò non comporterà sostanziali disfunzioni pratiche nel nuovo sistema, stanti le particolari modalità di denuncia vigenti in detto settore.

La nuova disciplina introdotta dal mutato quadro legislativo può quindi così riassumersi:

1) malattie tabellate, provocate da lavorazioni tabellate e denunciate entro i termini massimi di indennizzabilità: resta in vigore la attuale normativa, con particolare riferimento al principio della presunzione legale di origine;

2) malattie tabellate, provocate da lavorazioni tabellate, denunciate dopo i termini massimi di indennizzabilità:

a) se il lavoratore dimostra che la malattia si è manifestata dentro i suddetti termini, fruisce della presunzione legale insita nel sistema tabellare;

b) in mancanza di tale dimostrazione cade sul lavoratore l'onere di provare la natura professionale della malattia;

3) al di fuori delle previsioni tabellari, fermi restando i principi che presiedono alla assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali di cui sia dimostrata, con onere della prova a carico del lavoratore, la origine professionale.

Efficacia nel tempo.

La nuova disciplina introdotta dalla sentenza n. 179/1988 è operante dal 25 febbraio 1988 e cioè dal giorno successivo alla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

In base ai principi generali della dottrina e della giurisprudenza in tema di jus superveniens, tale disciplina deve trovare applicazione, sia per le malattie tabellate denunciate oltre il termine massimo di indennizzabilità sia per le malattie non tabellate, nelle seguenti ipotesi:

1) casi denunciati per la prima volta dal 25 febbraio 1988:

ovviamente le prestazioni decorrono dalla data della denuncia;

2) casi denunciati precedentemente al 25 febbraio 1988 e non definiti a tale data in quanto sia in corso la relativa istruttoria o siano in atto controversie amministrative o giudiziarie: le prestazioni decorrono dal giorno della denuncia;

3) casi denunciati precedentemente al 25 febbraio 1988, definiti negativamente e che non risultino ancora colpiti, alla stessa data, dalla prescrizione ex articolo 112 del testo unico: sono esaminate ex novo le denunce eventualmente riproposte dopo la data di cui sopra e la decorrenza delle prestazioni avrà effetto dalla data delle denunce.

Istruzioni operative.

Per la immediata attuazione delle sentenze in esame si impartiscono le seguenti direttive di carattere generale, suscettibili di rielaborazione in base sia allo andamento del fenomeno sia al riscontro fornito, dalla esperienza concreta delle unità operative, e la decorrenza delle prestazioni avrà effetto dalla data delle denunce.

1. Malattie tabellate denunciate entro i termini massimi di indennizzabilità.

La istruttoria delle singole pratiche non necessita di particolari indicazioni, dovendo continuare ad essere effettuata secondo i criteri stabiliti dalla normativa vigente.

2. Malattie tabellate denunciate oltre i termini massimi di indennizzabilità.

A) nel caso in cui il lavoratore dimostri la effettiva verificazione della malattia nei termini tabellari, si applica la normativa vigente richiamata al punto 1.

B) nel caso in cui la malattia si sia effettivamente verificata oltre i termini tabellari, il lavoratore deve dimostrare che la malattia stessa è stata provocata dal rischio tabellato cui era esposto.

A tale scopo deve esibire:

idonea documentazione sanitaria attestante il nesso eziologico tra attività e malattia tabellate;

elementi probatori, con riscontro obiettivo, della esposizione al rischio previsto dalla tabella (natura, durata, intensità, ecc.).

Ove, a causa del tempo trascorso, non sia individuabile con certezza la impresa alle cui dipendenze l'assicurato abbia espletato da ultimo attività rischiosa e, presumibilmente, contratto la tecnopatia, il caso sarà imputato alla posizione assicurativa convenzionale 9990000, in analogia con quanto previsto dalle circolari nn. 8/18 t.u./1967, 67/54 t.u./1983 e 25/1987.

I casi rientrati nelle ipotesi descritte al punto 2 devono essere definiti direttamente dalla unità competente, salvo le fattispecie dubbie da sottoporre come di norma alle decisioni di questa direzione generale, servizio prestazioni assicurative, previo esame della direzione di ispettorato.

Ai fini della rilevazione statistica delle malattie di cui al punto 2.b, si dovrà registrare il valore 999 nel secondo settore del campo nos della mappa operativa infortuni.

3. Malattie non tabellate e/o contratte in lavorazioni non tabellate.

Per le forme morbose che non trovino riscontro nella elencazione tabellare, il lavoratore deve dimostrare secondo le norme del diritto comune, i fatti che costituiscono fondamento del diritto che intende esercitare e, cioè, la esistenza di una malattia contratta nello esercizio ed a causa della attività lavorativa prestata, che deve, ovviamente, rientrare tra quelle previste dagli articoli 1, 206, 207, 208 del testo unico.

A tale fine deve esibire:

a) idonea documentazione sanitaria attestante la natura professionale della malattia; per gli agricoli a tempo determinato ed autonomi, ai sensi dell'articolo 251 del testo unico, rimane fermo l'obbligo della trasmissione del certificato denuncia da parte del medico che ha visitato il lavoratore affetto dalla malattia ritenuta professionale;

b) elementi probatori con riscontro obiettivo, della esposizione al rischio (natura, durata, intensità, ecc.) che ha determinato la malattia stessa;

c) qualora la malattia professionale si manifesti in costanza di rapporti di lavoro, costituisce elemento probatorio anche la denuncia che il datore di lavoro è sempre tenuto come è noto a presentare nei termini del quinto comma dello articolo 53 del testo unico.

Nel clima di collaborazione incentivato dal recente protocollo di intesa, le unità operative dovranno curare particolarmente il rapporto con gli enti di patrocinio, richiamando gli impegni da essi assunto per garantire la precisione e la completezza delle domande presentate.

Il primo esame va diretto alla verifica della documentazione prodotta.

Al riguardo sembrano ipotizzabili tre possibilità:

a) la certificazione sanitaria non contiene alcun riferimento alla natura professionale della malattia: il caso va respinto e immediatamente segnalato all'Inps (v. circolare n. 48/1985 pagina 2, ultimo cpv.);

b) la documentazione è complessivamente attendibile, ma insufficiente sotto il profilo sanitario e/o circa la esposizione al rischio: occorre richiedere all'interessato o all'ente di patrocinio la integrazione delle prove;

c) la documentazione è completa e probante: va promossa la istruttoria della pratica, concordando con la area sanitaria gli elementi clinici e anamnestici da verificare e/o accertare per la ulteriore trattazione del caso facendo anche ricorso alla indagine ispettiva e, ove necessario, alle rilevazioni della consulenza tecnica accertamento rischi professionali.

In questa fase, per i lavoratori della industria e per gli agricoli a tempo indeterminato, va acquisita ove non ancora pervenuta la denuncia del datore di lavoro, la cui eventuale irreperibilità non dovrà, comunque, considerarsi, preclusiva ai fini indennitari, e determinerà per il settore industriale la imputazione del caso alla posizione assicurativa convenzionale 9990000 di cui sopra.

Si dispone che, in sede di prima attuazione della nuova disciplina, le unità operative, per tutti i casi denunciati, sottopongano la documentazione acquisita, corredata del giudizio medico legale, all'esame di questa direzione generale servizio prestazioni assicurative, per le decisioni circa la ammissione o meno all'indennizzo.

Ciò anche al fine di consentire sia la omologazione a livello nazionale dei parametri ambientali e clinici per la valutazione del nesso di casualità, sia la immediata evidenza di tipologie morbose ricorrenti da proporre in sede di aggiornamento delle tabelle.

Va richiamata l'attenzione sulla necessità che le pratiche per le quali il sanitario della sede abbia espresso giudizio negativo (pratiche che, comunque, devono essere inviate a questa direzione generale) siano segnalate all'Inps a termini di converzione (v. citata circolare n. 48/1985).

Per l'acquisizione delle informazioni finalizzate alle rilevazioni di carattere statistico e prevenzionale delle malattie non tabellate e/o contratte in lavorazioni non tabellate, si dovrà registrare:

procedura infortuni: il valore 99 nel campo m.p. della mappa operativa infortuni;

rendite: il valore 99 nel campo m.p. .

Nell'allegato n. 3 sono ripartite le istruzioni per la compilazione dei campi della mappa operativa delle funzioni 3 e 4 della procedura infortuni interessate dalla particolare materia vale a dire i campi:

generale siano segnalate all'Inps a termini di converzione (v. citata circolare n. 48/1985).

n. 32 voce.

n. 42 ag.

n. 43 a nos.

n. 43 b nos.

n. 44 a mp.

n. 44 b mp.

per consentire la corretta compilazione del campo 42 ag e indispensabile che il sanitario indichi nella sottocopertina mod.11-ss la lavorazione e la sostanza nociva o l'agente patogeno che hanno provocato la malattia.

Le presenti istituzioni sostituiscono quelle contenute per gli stessi campi nel manuale operativo infortuni edizione gennaio 1986.

Decorrenza delle prestazioni.

Quando la malattia non determini astensione dal lavoro o si manifesti dopo che l'assicurato ha cessato di prestare la sua opera nella lavorazione morbigena, l'indennizzo è dovuto dalla data della segnalazione del caso all'Istituto assicuratore e cioè dalla data di arrivo del certificato medico o della denuncia del datore di lavoro, indipendentemente (per i lavoratori dell'industria e per gli agricoli a tempo indeterminato) dalla contestualità prevista dall'articolo 53 del testo unico, 5° comma.

Nell'ipotesi in cui il caso sia stato denunciato all'INPS e venga da questo segnalato all'INAIL, in base alla vigente convenzione, qualora venga riconosciuta la natura professionale malattia, sono ovviamente dovute dal giorno della denuncia all'INPS medesimo.

Dalla data della suddetta certificazione medica, che attesta la manifestazione della malattia ritenuta professionale, decorre il termine prescrizionale, ex articolo 112, primo comma, del testo unico.

Medici radiologi.

Le sentenze in parola non hanno preso in considerazione la disciplina assicurativa per i medici radiologi che pertanto rimane immodificata.

Le sentenze in esame, come si è visto, hanno profondamente innovato il sistema di tutela delle malattie professionali; è intuitivo, perciò, che la loro corretta attuazione richieda il massimo impegno da parte dell'Istituto.

Determinante, a questo riguardo, sarà la coscienza approfondita e puntuale della evoluzione del fenomeno, una conoscenza indispensabile innanzi tutto per gli aggiornamenti tariffari, ma che assume in questo caso una importanza peculiare non solo in vista di un eventuale aggiornamento delle tabelle delle malattie professionali, ma anche perché consente di acquisire una documentazione statistica particolarmente significativa ai fini prevenzionali.

Si raccomanda, pertanto, la scrupolosa osservanza delle disposizioni della presente circolare e la massima attenzione e precisione nella digitazione dei dati.

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Rischi esposizioni lavorative psicosociali nell’UE

ID 20644 | | Visite: 821 | Documenti Sicurezza Enti

Risk psychosocial work exposures in the European Union 2023

Le frazioni e il peso delle malattie cardiovascolari e della depressione attribuibili alle esposizioni lavorative psicosociali nell’UE

ID 20644 | 20644

Questo progetto di ricerca finanziato dall’ETUI perseguiva due obiettivi:

  1. stimare le frazioni di malattie cardiovascolari e depressione attribuibili a cinque diversi fattori di lavoro psicosociale, vale a dire stress lavorativo, squilibrio impegno-ricompensa, insicurezza lavorativa, orari di lavoro lunghi e bullismo in Europa (35 paesi, inclusi 28 paesi dell'Unione Europea), per ciascuno paese e tutti i paesi presi insieme, nel 2015;
  2. stimare il carico annuale di malattie cardiovascolari e depressione attribuibili alle cinque esposizioni lavorative psicosociali in 28 paesi dell’Unione Europea (EU28) nel 2015, in termini di casi prevalenti, decessi, anni di vita persi (YLL), anni di vita persi a causa di disabilità (YLD) e anni di vita corretti per disabilità (DALY).

Le frazioni attribuibili (AF) della depressione erano tutte significative nell’UE28: tensione lavorativa (16%), insicurezza lavorativa (9%), bullismo (9%) e squilibrio impegno-ricompensa (6%). 

Gli AF della depressione erano più alti di quelli delle malattie cardiovascolari (per tutte le esposizioni tranne i lunghi orari di lavoro). 

Le frazioni attribuibili (AF) delle malattie cardiovascolari (comprese le malattie coronariche/ischemiche (CHD), ictus, fibrillazione atriale, malattia delle arterie periferiche, tromboembolia venosa) variavano dall'1% all'11%. La maggior parte delle AF erano significativamente diverse da zero, ad eccezione della coppia ictus da stress lavorativo. 

Sono state osservate differenze negli AF tra i paesi per tutte le coppie di esiti dell’esposizione relativi all’esito della depressione e anche all’esposizione a lunghi orari di lavoro. Sono state riscontrate differenze tra i sessi per gli orari di lavoro lunghi, con AF più elevate osservate tra gli uomini che tra le donne per tutti i risultati.

Il nostro studio ha mostrato un elevato carico di CHD e depressione attribuibile alle esposizioni lavorative psicosociali studiate nell’UE28 nel 2015, con un carico più elevato di depressione.

ETUI / The European Trade Union Institute

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Proposta di modifica Direttiva 2009/148/CE sull'amianto sul lavoro

ID 17707 | | Visite: 3635 | News Sicurezza

Proposta di modifica Direttiva 2009 148 CE amianto sul lavoro

Proposta di modifica Direttiva 2009/148/CE sull'amianto sul lavoro / Pubblicata la Direttiva (UE) 2023/2668

ID 17707 | Update 30.11.2023 / Documenti allegati

Proposta di modifica Direttiva 2009/148/CE protezione dei lavoratori dai rischi connessi all'esposizione all'amianto sul lavoro

30.11.2023 Direttiva (UE) 2023/2668 | Modifica Direttiva 2009/148/CE protezione esposizione amianto sul lavoro

Pubblicata nella GU L 2023/266 del 30.11.2023 la Direttiva (UE) 2023/2668 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 novembre 2023, che modifica la direttiva 2009/148/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro

Entrata in vigore: 20.12.2023

Attuazione direttiva: 21.12.2025

Fino al 20 dicembre 2029, i datori di lavoro provvedono affinché nessun lavoratore sia esposto a una concentrazione di amianto in sospensione nell’aria superiore a 0,01 fibre per cm3, misurata in rapporto a una media ponderata nel tempo (TWA) di 8 ore.

Entro il 21 dicembre 2029, i datori di lavoro provvedono affinché nessun lavoratore sia esposto a una concentrazione di amianto in sospensione nell’aria superiore a:

- 0,01 fibre per cm3, misurata in rapporto a una TWA di 8 ore (considerate fibre di larghezza inferiore a 0,2 micrometri) o
- 0,002 fibre per cm3, misurata in rapporto a una TWA di 8 ore.

Update 24.10.2023 - Approvata dal Consiglio dell'UE il 23 Ottobre 2023

Il 23 Ottobre 2023 il Consiglio ha adottato formalmente nuove norme sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro. La direttiva aggiorna le norme esistenti in linea con i più recenti sviluppi scientifici e tecnologici.

Le nuove norme riducono in modo considerevole gli attuali valori limite per l'amianto e prevedono modalità più accurate per misurare i livelli di esposizione basate sulla microscopia elettronica, un metodo più moderno e sensibile.

Prevedono inoltre misure di prevenzione e protezione rafforzate, quali l'ottenimento di autorizzazioni speciali per la rimozione dell'amianto e la verifica dell'eventuale presenza di amianto negli edifici più vecchi prima dell'inizio dei lavori di demolizione o di manutenzione. Questo passo è particolarmente importante alla luce dell'obiettivo dell'UE di promuovere le ristrutturazioni energetiche nell'UE, che potrebbe comportare la ristrutturazione di 35 milioni di edifici entro il 2030.

L'adozione da parte del Consiglio costituisce l'ultima fase del processo legislativo. La nuova direttiva entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

Gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepirne le disposizioni nei rispettivi diritti nazionali, fatta eccezione per l'introduzione della microscopia elettronica come metodo di misurazione, per la quale disporranno di sei anni.

Trascorsi i sei anni, dovranno anche scegliere tra due limiti di esposizione (a seconda che conteggino o meno le fibre sottili).

Update 05.10.2023 - Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 3 ottobre 2023

Il Parlamento ha approvato nuove norme per proteggere i lavoratori dell'UE dai rischi per la salute legati all'amianto e per migliorare l'individuazione precoce dell'amianto.

Il 3 ottobre 2023 i deputati hanno adottato in via definitiva e con 614 voti a favore, 2 contrari e 4 astensioni, una direttiva, già concordata con i governi UE, che diminuirà sensibilmente i limiti di esposizione all'amianto del lavoratori, e che introduce l'uso di tecnologie più moderne e accurate per rilevare la presenza di fibre sottili di amianto.

Riduzione del livello di esposizione

La legge mira a ridurre l'esposizione alle fibre di amianto al livello più basso possibile. Il limite obbligatorio di esposizione professionale (OEL) sarà dieci volte più basso di quello attuale, poiché il valore limite sarà ridotto da 0,1 a 0,01 fibre di amianto per centimetro cubo (cm³), soglia che entrerà in vigore immediatamente, senza un periodo di transizione.

Entro massimo sei anni dall’entrata in vigore della direttiva, i Paesi UE dovranno passare a una tecnologia più moderna e sensibile in grado di rilevare anche le fibre, ovvero la microscopia elettronica. Avranno quindi la possibilità di abbassare il livello a 0,002 fibre di amianto per cm³, escluse le fibre sottili, o a 0,01 fibre di amianto per cm³, incluse le fibre sottili.

Le nuove norme prevedono anche nuovi requisiti per una maggiore protezione dei lavoratori. Dovranno indossare dispositivi di protezione individuale e respiratori, gli indumenti dovranno essere puliti in modo sicuro, ci sarà una procedura di decontaminazione e requisiti di formazione di alta qualità per i lavoratori.

Dopo l’adozione formale del Consiglio, la legge sarà pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'UE ed entrerà cosi in vigore.

Il nuovo VLE di 0,01 fibre/cm3

Il valore limite massimo di esposizione è previsto a 0,01 fibre di amianto per cm³, dieci volte inferiore all'attuale limite di 0,1 f/cm³.

Update 05.09.2023 / Download Comunicato stampa

Il Consiglio ha raggiunto un accordo provvisorio con il Parlamento europeo su una nuova legge volta a rafforzare la protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione all'amianto.

Le nuove norme riducono in modo considerevole gli attuali valori limite per l'amianto e prevedono modalità più accurate per misurare i livelli di esposizione, in linea con i più recenti sviluppi tecnologici.

L'esposizione all'amianto è ancora uno dei rischi per la salute più pericolosi con cui molti cittadini dell'UE sono alle prese sul luogo di lavoro. L'accordo odierno allinea le norme sui valori limite di esposizione ai progressi nei metodi di misurazione, il che significa che i lavoratori beneficeranno di livelli di protezione molto più elevati.

Un valore limite di esposizione inferiore

Nonostante sia vietato nell'UE da quasi vent'anni, l'amianto costituisce ancora una minaccia per la salute dei lavoratori a causa della sua presenza negli edifici più vecchi. Le nuove norme concordate oggi ridurranno inizialmente il valore limite massimo di esposizione a 0,01 fibre di amianto per cm³, il che è dieci volte inferiore all'attuale limite di 0,1 f/cm³.

Dopo un periodo transitorio massimo di sei anni, gli Stati membri saranno tenuti ad attuare un nuovo metodo per misurare i livelli di amianto, la microscopia elettronica (EM), che è più sensibile della microscopia a contrasto di fase (PCM) attualmente utilizzata e che consente di misurare le fibre di amianto sottili. Dopo aver introdotto la microscopia elettronica, gli Stati membri disporranno di due opzioni:

- misurare le fibre di amianto sottili, nel qual caso il valore limite massimo di esposizione rimarrà a 0,01 f/cm³
- non misurare le fibre di amianto sottili, nel qual caso il valore limite massimo di esposizione sarà ridotto a 0,002 f/cm³

Misure di prevenzione e protezione rafforzate

In base alle nuove norme, le imprese che intendono effettuare lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto saranno tenute a ottenere autorizzazioni dalle autorità nazionali. I datori di lavoro dovranno inoltre adottare misure per individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto di amianto prima di iniziare i lavori di demolizione o manutenzione in locali costruiti prima dell'entrata in vigore del divieto nazionale relativo all'amianto. A tal fine possono, ad esempio, ottenere informazioni dai proprietari dell'edificio o da altri datori di lavoro, oppure consultare altre pertinenti fonti di informazione, come i registri.

I lavoratori che sono o possono essere esposti all'amianto dovrebbero indossare adeguati dispositivi di protezione individuale e seguire una formazione obbligatoria, in linea con i requisiti minimi di qualità stabiliti nella direttiva.

Registri pubblici

Gli Stati membri tengono un registro di tutti i casi di malattie professionali correlate all'amianto diagnosticate da un medico.

Contribuire a sconfiggere il cancro

Le disposizioni concordate oggi contribuiranno a prevenire i casi di tumore professionale, in linea con il piano europeo di lotta contro il cancro. Se inalate, le fibre di amianto in sospensione nell'aria possono provocare gravi malattie come il cancro del polmone, i cui primi segni possono manifestarsi dopo molti decenni.

Prossime fasi

Gli ambasciatori degli Stati membri presso l'UE saranno invitati ad approvare l'accordo raggiunto con il Parlamento in una delle prossime riunioni del Comitato dei rappresentanti permanenti. Il testo della direttiva sarà quindi sottoposto alla messa a punto giuridico-linguistica prima di essere adottato dai ministri in una delle prossime sessioni del Consiglio. Una volta adottata la direttiva, gli Stati membri disporranno di due anni per introdurre il nuovo livello massimo di esposizione di 0,01 f/cm³ e di sei anni per introdurre la microscopia elettronica al fine di misurare i livelli di amianto sul luogo di lavoro.

Per tenere il passo con il progresso scientifico e tecnologico, la direttiva sarà regolarmente aggiornata.

Contesto
Sebbene sia vietato nell'UE dal 2005, l'amianto è presente negli edifici più vecchi. Costituisce pertanto una minaccia particolare per la salute nel corso della ristrutturazione degli edifici, quando i materiali contenenti amianto sono disturbati e i lavoratori inalano le fibre rilasciate. Ben il 78% dei tumori professionali può essere messo in relazione all'esposizione all'amianto.

Il 28 settembre 2022 la Commissione ha pubblicato una proposta di revisione della legislazione sull'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro nell'ambito di un pacchetto volto a garantire un futuro senza amianto per i cittadini dell'UE.
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Update 27.04.2023 / Download Report European Parliament- A9-0160/2023

Reportr on the proposal for a directive of the European Parliament and of the Council amending Directive 2009/148/EC on the protection of workers from the risks related to exposure to asbestos at work
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Update 29.09.2022 / Download COM(2022) 489 final
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Uno degli obiettivi dell'Unione Europea (UE) è promuovere il benessere e lo sviluppo sostenibile, basato su un'economia sociale di mercato altamente competitiva, che punta alla piena occupazione e al progresso sociale. Il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro rispettose della sua salute, sicurezza e dignità è sancito dall'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Il principio 10 del pilastro europeo dei diritti sociali afferma che i lavoratori hanno diritto a un elevato livello di protezione della propria salute e sicurezza sul lavoro.

Nei suoi orientamenti politici, la presidente von der Leyen si è impegnata a presentare un piano europeo per combattere il cancro, per sostenere gli Stati membri nel migliorare il controllo e la cura del cancro. La presente proposta mantiene l'impegno assunto nel piano europeo per combattere il cancro, nel piano d'azione del pilastro europeo dei diritti sociali e nel quadro strategico dell'UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro per il periodo 2021-2027 di ridurre ulteriormente l'esposizione dei lavoratori a amianto, che è una sostanza cancerogena altamente pericolosa. Questa proposta, evidenziata come una delle priorità nell'ambito dell'azione - Un'economia più forte, la giustizia sociale e l'occupazione - della conferenza sul futuro dell'Europa (CoFE) è un risultato chiave del programma di lavoro 2022 della Commissione.

Anche la protezione dei lavoratori dall'esposizione all'amianto è una priorità fondamentale per il Parlamento europeo. Nella sua risoluzione dell'ottobre 2021, il Parlamento europeo ha definito un approccio globale per affrontare i problemi legati all'amianto. In risposta, la Commissione ha adottato la sua comunicazione sul lavoro verso un futuro senza amianto: un approccio europeo per affrontare i rischi per la salute dell'amianto. Affronta il rischio per la salute pubblica derivante dall'amianto in modo olistico, presentando misure a livello dell'UE per combattere l'amianto durante tutto il suo ciclo di vita.

Il cancro sul lavoro è la prima causa di decessi sul lavoro nell'UE. È causato principalmente dall'esposizione a sostanze cancerogene come l'amianto. Ben il 78% dei tumori professionali riconosciuti negli Stati membri sono legati all'amianto.

Se inalate, le fibre di amianto nell'aria possono portare, ad esempio, al mesotelioma e al cancro ai polmoni, con un ritardo medio tra l'esposizione ei primi segni di malattia di 30 anni. Pertanto, i tumori possono svilupparsi decenni dopo l'esposizione professionale , anche quando i lavoratori si sono ritirati dal lavoro. Questo rende difficile tracciare le esposizioni passate e identificare un nesso causale tra l'esposizione correlata al lavoro e i tumori. Per questo motivo, il numero delle persone affette da malattie professionali legate all'amianto potrebbe essere sottovalutato.

Il progressivo divieto all'uso dell'amianto nell'UE è iniziato nel 1988 con il divieto della crocidolite (detta anche amianto blu) ed è stato successivamente esteso ad altri materiali contenenti amianto. Dal 2005 nell'UE tutte le forme di amianto sono vietate.

La prima azione dell'UE volta a proteggere i lavoratori dai rischi specifici dell'esposizione sul luogo di lavoro all'amianto risale al 1983, quando è stata adottata la Direttiva del Consiglio 83/477/CEE. Questa direttiva è stata sostanzialmente modificata più volte fino alla sua versione codificata più recente, la Direttiva 2009/148/CE (la direttiva sull'amianto sul lavoro (AWD)). Inoltre, poiché l'amianto è una sostanza cancerogena, le disposizioni della Direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori dai rischi connessi all'esposizione a sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione sul lavoro 16 (le Sostanze Cancerogene, Mutagene e Reprotossiche Direttiva ((CMRD)) si applicano ogniqualvolta siano più favorevoli alla salute e alla sicurezza dei lavoratori. Ciò include un requisito di minimizzazione dell'esposizione poiché non è stato ancora possibile identificare una soglia di esposizione al di sotto della quale l'esposizione all'amianto non comporti un rischio di cancro. Pertanto , e in linea con il CMRD, i datori di lavoro dovrebbero garantire che il rischio connesso all'esposizione dei lavoratori all'amianto sul luogo di lavoro sia ridotto al minimo e comunque al livello più basso tecnicamente possibile.

La Direttiva 2009/148/CE protegge i lavoratori dai rischi per la loro salute derivanti o che potrebbero derivare dall'esposizione all'amianto sul lavoro, anche prevenendo tali rischi. Ai sensi dell'AWD, per tutte le attività in cui i lavoratori sono o possono essere esposti a polveri di amianto o materiali contenenti amianto, l'esposizione deve essere ridotta al minimo e comunque al di sotto del limite fisso di esposizione occupazionale vincolante (OEL) di 0,1 fibre/ cm3 come media ponderata nel tempo (TWA) di 8 ore. Ciò include le situazioni in cui i lavoratori rientrano nel luogo di lavoro dopo aver svolto attività quali demolizioni, lavori di rimozione dell'amianto, riparazioni e manutenzioni rispetto alle quali è prevedibile il superamento del valore limite fissato nonostante l'uso di misure tecniche preventive per limitare concentrazioni di amianto nell'aria. In caso di superamento del valore limite, devono essere individuate le ragioni e il datore di lavoro deve adottare adeguate misure di gestione del rischio (RMM) per porre rimedio alla situazione prima della ripresa del lavoro. Si specifica inoltre che se l'OEL non può essere rispettato con altri mezzi, i datori di lavoro devono dotare i lavoratori di adeguati dispositivi respiratori e di protezione individuale. Inoltre, ai datori di lavoro si applicano severi obblighi in termini di protezione, pianificazione e formazione.

Sebbene l'estrazione , la produzione e la lavorazione dell'amianto sia vietata, in tutta l'UE esiste un problema ereditario sostanziale, che rappresenta una sfida per la salute pubblica e occupazionale, poiché l'amianto è ancora presente in molti edifici più vecchi, che potrebbero essere ristrutturati, adattati o demoliti su i prossimi anni. La strategia dell'ondata di rinnovamento nell'ambito del Green Deal europeo mira in particolare ad accelerare il ritmo delle ristrutturazioni edilizie in tutta l'UE. Poiché il rischio di esposizione all'amianto si manifesta principalmente durante i lavori di ristrutturazione, manutenzione e demolizione è importante rafforzare le misure preventive per limitare ulteriormente l' esposizione all'amianto dei lavoratori.

Si stima che attualmente da 4,1 a 7,3 milioni di lavoratori siano esposti all'amianto. Il rischio di tale esposizione è legato principalmente alla manipolazione di materiali contenenti amianto e alla dispersione delle fibre di amianto durante i lavori di costruzione, ad esempio durante i lavori di ristrutturazione, manutenzione, riparazione e demolizione. Di tutti i lavoratori esposti all'amianto, il 97% lavora nel settore edile , comprese le professioni correlate come tetti , idraulici , falegnameria o posa di pavimenti. L'esposizione all'amianto è presente anche in altri settori economici, ad esempio la gestione dei rifiuti (2% del tutti i lavoratori esposti), attività estrattive e minerarie, antincendio, scavo e manutenzione di gallerie, campionamento e analisi dell'amianto. Esiste anche il rischio di esposizione quando vengono riparate o smantellate navi, piattaforme di perforazione e mezzi di trasporto come treni e aerei con isolamento in amianto.

Per garantire che le misure di protezione dei lavoratori dall'esposizione all'amianto siano il più efficaci possibile, l'AWD deve essere aggiornato con le nuove conoscenze scientifiche sviluppate dalla sua ultima revisione sostanziale.

L'OEL attuale di 0.1 fibre/cm 3 nell'AWD è stato fissato nel 2003 sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili all'epoca. L' AWD include requisiti minimi che dovrebbero essere rivisti sulla base dell'esperienza acquisita e dello sviluppo della tecnologia in questo settore. A seguito dei più recenti sviluppi scientifici e tecnologici, è possibile migliorare la protezione dei lavoratori esposti all'amianto e ridurre così ulteriormente la probabilità che i lavoratori contraggano malattie legate all'amianto. Inoltre, quattro Stati membri hanno già introdotto OEL più severi nella loro legislazione nazionale.

La proposta di modifica dell'AWD renderà più efficace l'OEL ai sensi della direttiva aggiornandolo sulla base delle ultime prove scientifiche disponibili. La modifica proposta è supportata dall'ultima valutazione approfondita dell'AWD (valutazione ex post del 2017 delle direttive dell'UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro (SSL)) e dalla più recente valutazione dell'attuazione delle direttive dell'UE in materia di SSL, che copre il periodo dal 2013 al 2017. L'ultima valutazione approfondita dell'AWD ha concluso che l' AWD rimane altamente rilevante e che per aumentarne l'efficacia alla luce del progresso scientifico, si dovrebbe prendere in considerazione l'abbassamento dell'OEL fissato nell'AWD .

La Commissione ha chiesto al comitato per la valutazione dei rischi (RAC) dell'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di valutare la rilevanza scientifica dell'attuale OEL per l'amianto, per informare la preparazione della proposta di modifica dell'AWD. Il parere scientifico del CCR è stato adottato nel giugno 2021. Ha confermato che l'amianto non ha un livello di esposizione sicuro, il che significa che qualsiasi esposizione all'amianto potrebbe portare a malattie. Si è quindi ricavata una relazione tra i livelli di esposizione ed il rischio associato (relazione rischio-esposizione, ERR), esprimendo l'eccesso di rischio di mortalità per cancro al polmone e mesotelioma (combinata) in funzione della concentrazione di fibre nell'aria. Inoltre, il comitato consultivo tripartito per la sicurezza e la salute sul lavoro (ACSH) ha concordato all'unanimità sulla necessità di abbassare l'attuale OEL.

Ridurre l'esposizione all'amianto sul posto di lavoro abbassando l'OEL a livello dell'UE aiuta efficacemente a prevenire casi di cancro e decessi. Di conseguenza, migliora la protezione dei lavoratori aumentando la durata, la qualità e la produttività della vita lavorativa dei lavoratori dell'UE e garantendo un livello minimo di protezione simile in tutta l'UE. Inoltre, crea condizioni di parità per le imprese, poiché impedisce alle aziende che non adottano misure adeguate di acquisire un vantaggio competitivo rispetto a quelle che lo fanno.

Se non viene intrapresa alcuna azione ea causa del periodo di latenza delle conseguenze di una prevenzione inefficace (vale a dire gli effetti sulla salute), le imprese dovrebbero sostenere costi più elevati in futuro e subire una riduzione della produttività a causa dell'assenteismo e della perdita di competenze. Per gli Stati membri, ciò comporterebbe un aumento dei costi della previdenza sociale (ad esempio a causa dei costi più elevati per le cure mediche e le prestazioni di invalidità) e il mancato gettito fiscale.

La revisione dell'OEL nell'ambito dell'AWD porterà a una maggiore armonizzazione dei valori limite in tutta l'UE, che dovrebbe creare condizioni di parità per le imprese. Le società disposte a operare in più Stati membri beneficeranno ulteriormente di valori limite applicabili semplificati. Ciò può comportare risparmi, poiché è possibile adottare soluzioni comuni in tutte le strutture, invece di dover progettare soluzioni specifiche del sito per soddisfare vari requisiti OEL.

L'azione a livello dell'UE creerà inoltre condizioni più eque per i lavoratori distaccati, transfrontalieri e mobili esposti all'amianto nel settore edile (che ha un numero significativo di lavoratori distaccati che si spostano da un sito all'altro, spesso in più Stati membri) e anche un distribuzione più equa dei costi sanitari tra gli Stati membri.

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Fonte: EU

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Decreto direttoriale n. 121 del 20 Ottobre 2023

ID 20637 | | Visite: 1173 | Decreti Sicurezza lavoro

Decreto direttoriale n  121 del 20 Ottobre 2023

Decreto direttoriale n. 121 del 20 Ottobre 2023 

ID 20637 | 22.10.2023

Decreto direttoriale n. 121 del 20 Ottobre 2023 - Iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici Ente bilaterale del commercio e dei servizi della provincia di Verona

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Articolo 1 (Iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici)

1. L’ “Ente bilaterale del commercio e dei servizi della provincia di Verona”, con sede legale in Verona, via Sommacampagna n. 63/h, è iscritto al numero 18 del Repertorio nazionale degli organismi paritetici, con decorrenza dalla data del presente decreto direttoriale, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171.

Articolo 2 (Obblighi successivi all’iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici)

1. Ai sensi dell’articolo 4, comma 3, Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171, l’“Ente bilaterale del commercio e dei servizi della provincia di Verona” è tenuto a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all’iscrizione che possa determinare il venir meno dei requisiti identificativi di cui all’articolo 2 del citato Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171 e la conseguente cancellazione dal Repertorio.

2. Ai sensi dell’articolo 4, comma 4, Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171, al fine di assicurare la verifica periodica dei requisiti necessari per l’iscrizione nel Repertorio, ogni tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione, l’ “Ente bilaterale del commercio e dei servizi della provincia di Verona” deve inviare alla Direzione generale per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del legale rappresentante, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, volta a confermare la sussistenza dei requisiti che hanno consentito l’iscrizione nel Repertorio.

Articolo 3 (Efficacia dell’iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici) 

1. L’iscrizione nel Repertorio nazionale degli organismi paritetici attesta la sussistenza dei requisiti identificativi di cui all’articolo 2, comma 2, Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 ottobre 2022, n. 171 e consente lo svolgimento dei compiti e delle attività di cui all’articolo 51decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

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Fonte: MLPS

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 39697 | 02 Ottobre 2023

ID 20627 | | Visite: 1686 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 02 Ottobre 2023 n. 39697 

Lavoratore investito dal vapore ad alta pressione fuoriuscito dalla valvola non messa in sicurezza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 39697 Anno 2023
Udienza del 05/07/2023
Presidente FERRANTI DONATELLA
Relatore ESPOSITO ALDO

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona del 4 luglio 2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A. e della Api Raffineria Spa in relazione alle contravvenzioni e dell'illecito amministrativo di cui ai capi B), C) e D) perchè estinte per intervenuta prescrizione e, concesse le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza, ha ridotto a mesi 8 di reclusione la pena inflitta al A.A. e ad anni uno di reclusione la pena inflitta ad B.B. in relazione al reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p. (capo A) (benefici della sospensione condizionale della pena concessi con la sentenza di primo grado) e ha confermato la condanna dei predetti e della responsabile civile Api Raffineria Spa al risarcimento del danno cagionato alle parti civili.

Il capo A) dell'imputazione è la seguente:

A) art. 113 c.p. e art. 589 c.p., comma 2, perchè, in cooperazione colposa tra loro, essendo il A.A. Amministratore Delegato, I.I. (originario coimputato) responsabile del settore Manutenzione, L.L. (originario coimputato) responsabile del Reparto Ispezione, B.B. dirigente del Settore Operazioni, M.M. (originaria coimputata) dirigente del Settore Produzione, N.N. dipendente con mansioni di operatore addetto alla messa in sicurezza dell'impianto della Spa API, società committente dei lavori eseguiti sui propri impianti e O.O. (originario coimputato) legale rappresentante della FERPLAST Srl esecutrice dei lavori e datore di lavoro, per colpa generica e per inosservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare dell'art. 28, comma 2, lett. b) e d), rispettivamente nell'ambito delle specifiche competenze disponendo, dirigendo, organizzando, coordinando ed autorizzando l'esecuzione di lavori di manutenzione di tredici valvole di sicurezza dell'impianto vapore esistente all'interno dello stabilimento API ad impianto in funzione anzichè fermo (l'Amministratore Delegato e i Dirigenti dei Settori Operazioni, Produzione e Manutenzione), quindi con un elevato rischio di fuoriuscita di vapore durante le operazioni di smontaggio delle PSV, senza adottare le cautele necessarie per evitare il suddetto rischio e comunque senza prescrivere l'emissione di singoli permessi di lavoro per lo smontaggio di ogni valvola di sicurezza, senza prevedere idonee misure di prevenzione e comunque una procedura di sicurezza idonea ad evitare il predetto rischio e senza disciplinare la gestione dei permessi di lavoro multipli o cumulati, protratti per più turni e contemporanei, con conseguente esecuzione di molteplici lavorazioni contemporanee e protratte nel tempo, non soggette a controllo da parte degli stessi operatori che le hanno autorizzate ed eseguite da operatori appartenenti all'area PRA - reparto alta pressione - anzichè da almeno due operatori del Reparto Ispezione, senza controllare la preventiva chiusura delle valvole di intercettazione e l'apertura della valvola di drenaggio esistenti prima di ogni PSV (a carico del Settore Operazioni, dell'Area Manutenzione e del Reparto Ispezioni dell'API), accollandosi la messa in sicurezza degli impianti che invece spettava al personale API e senza far verificare che dalla valvola di drenaggio non fuoriuscisse più vapore (legale rappresentante FERPLAST), in seguito a consegna del Permesso di lavoro n. 180248 del 29 maggio 2013 relativo allo smontaggio di tredici valvole PSV ma privo del loro elenco e di planimetria, da parte del capoturno in servizio P.P. e dell'Operatore di area N.N., che lo rifirmava il giorno successivo per la prosecuzione dei lavori, facevano eseguire lavori di smontaggio della valvola di sicurezza denominata PSV 2651 ad impianto del vapore acceso e, in conseguenza delle condotte colpose sopra delineate, in particolare l'avere fatto eseguire i lavori di smontaggio della valvola di sicurezza ad impianto acceso o comunque funzionante, l'avere omesso di potenziare il sistema di controllo dell'impianto con idoneo investimento per dotare ogni valvola di intercettazione di un sensore di prossimità che permetta di verificarne la chiusura dalla Sala controllo in qualunque momento e soprattutto al momento di iniziare lo smontaggio della corrispondente valvola di sicurezza, l'avere omesso di far eseguire la messa in sicurezza della valvola o almeno la sua verifica da almeno due operatori del Reparto Ispezione o di altro reparto API altrettanto competente, e comunque l'avere omesso di affidare la verifica finale della messa in sicurezza delle valvole anche agli operatori incaricati dello smontaggio, istruendoli a riconoscere le valvole di drenaggio ed a verificare che queste ultime risultassero aperte e che non ne fuoriuscisse più vapore, cagionavano la morte per insufficienza multiorganica ed ARDS conseguente ad ustioni profonde ed estese al 75% del dipendente della FERPLAST Srl Q.Q. che, eseguendo i lavori di smontaggio della valvola PSV 2651, era investito dal vapore ad alta pressione fuoriuscito dalla predetta valvola non messa in sicurezza.

2. Con sentenza del 4 luglio 2019, il Tribunale di Ancona, oltre alle statuizioni suindicate, aveva assolto I.I., L.L. e M.M. dal reato di cui ai capo A), perchè il fatto non costituisce reato e Api Raffineria Ancona Spa dell'illecito di cui al capo B) perchè il fatto non sussiste.

L'incidente che aveva causato il decesso del Q.Q. si verificava il (Omissis) all'interno dello stabilimento Api di (Omissis) durante i lavori di manutenzione degli impianti, eseguiti dopo il periodo di fermata generale annuale.

Nella sentenza era illustrato il programma in tre fasi di ravviamento finalizzato alla messa in funzione dell'impianto di produzione di vapore dopo il periodo di fermo: 1) avviamento delle unità di servizio, tra cui la caldaia ausiliaria (ASG-auxiliary steam generetor); 2) bonifica delle tubature ed apparecchiature con il vapore 3) ciecatura.

Già in date 9/10 maggio, dopo la messa in servizio della caldaia (fase 1), era iniziata la produzione di vapore necessaria alla bonifica degli impianti (fase 2), precedentemente mantenuti in pressione di azoto, per conservarne l'integrità. Il vapore prodotto da detta caldaia, attraverso la rete vapore dello stabilimento, arrivava alla linea vapore ad alta pressione HPS, tubazione sulla quale, tra le altre, era installata proprio la valvola di sicurezza PSV-2651 (valvola definita di sicurezza poichè, quando la pressione dei fluidi all'interno della linea su cui è montata crescono al di sopra di un valore critico, si apre automaticamente, con un sistema a molla, consentendo di scaricare il fluido contenuto all'esterno. Quando la pressione ritorna ai suoi valori normali, la valvola si richiude automaticamente).

Mentre eseguiva lo smontaggio della valvola di sicurezza PSV-2651, posta sulla linea vapore dell'impianto denominato platforming U.2600 del reparto PRA (Alta Pressione), il Q.Q. era investito da un getto di vapore che gli procurava lesioni gravissime a seguito delle quali decedeva il (Omissis).

Una volta riavviata la caldaia, prodotto il vapore e bonificata la linea, detta valvola, unitamente ad altre 12, doveva essere smontata, sottoposta alla taratura periodica in officina e rimontata. Per smontare le valvole era necessario eseguire, per ciascuna di esse, una serie di operazioni preliminari consistenti nella chiusura della valvola di intercettazione posta a monte di quella di sicurezza e nella depressurizzare della linea mediante apertura della valvola di drenaggio posta a valle. In questo modo il vapore presente nella tubatura rimaneva bloccato in corrispondenza della valvola di intercetto, mentre quello rimasto nella porzione di linea in cui erano istallate le valvole di sicurezza era scaricato dalla valvola di dreno, assicurando così agli operatori in campo che nella porzione di linea da lavorare non fosse più presente vapore.

I lavori di manutenzione in oggetto erano stati affidati in appalto dall'API ad una ditta esterna, la COIMA - Consorzio Industriale Marche. A sua volta la COIMA (committente) aveva stipulato con la consorziata COSMI (appaltatore) e con la FERPLAST (sub appaltatore) un "Accordo Quadro per attività di manutenzione impianti", con cui era stato assegnato a quest'ultima l'incarico di montaggio e rimontaggio delle tredici valvole. La gestione della sicurezza dei lavori di manutenzione appaltati era regolata dal DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi di Interferenze) e dal PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) elaborati dalla committente Api e dal POS (Piano Operativo Sicurezza) elaborato della ditta esterna FERPLAST. Il lavoro di smontaggio delle 13 valvole - tra cui la PS 2651 - era stato disciplinato dal PdL n. 180248, composto da diverse sezioni, ciascuna delle quali specificava gli adempimenti da compiere e i soggetti a ciò incaricati (richiedente, emittente, responsabile dell'esecuzione dei lavori e operatore di reparto).

In data 29 maggio 2013, P.P. - capoturno giornaliero di fermata dell'Api - in qualità di emittente compilava e firmava il quadro B2, della sezione B del PdL, che elencava le precauzioni di processo e operative adottate, tra le quali erano barrate le caselle "apparecchiatura/linea depressata", "apparecchiatura/linea vuotata", "apparecchiatura/linea intercettata", "apparecchiatura/linea discata cieca"; mentre il N.N. - operatore di unità dell'API - compilava e firmava il quadro D, dichiarando così di aver verificato l'attuazione delle prescrizioni di cui ai punti B2 e B3 ed autorizzando l'inizio dei lavori. Pertanto, quella giornata, una volta compilato e firmato il PdL da tutti i soggetti responsabili e in tutte le sue sezioni, iniziavano i lavori di smontaggio delle tredici valvole. Al termine del turno, però, gli operatori riuscivano a smontare solamente una parte limitata delle 13 valvole, per cui si rendeva necessaria la prosecuzione dell'attività il giorno seguente.

Difatti, in data (Omissis), era compilato un nuovo modulo di autorizzazione alla ripresa dei lavori. Firmando detto permesso, l'emittente P.P. delegava l'operatore di unità N.N. a procedere al controllo della permanenza delle condizioni di sicurezza indicate nel PdL ai fini della ripresa dei lavori e il N.N., firmando il documento, attestava di avervi proceduto, autorizzando la ripresa dei lavori. In calce al modulo era riportata la firma del Responsabile Esecuzione Lavori, R.R , per presa visione ed accettazione.

Ricevuto detto modulo, la squadra di operali FERPLAST composta dal Q.Q. e da S.S , dietro indicazione del caposquadra Cosmi T.T. (il quale, a sua volta, aveva ricevuto istruzioni in tal senso dal capoturno API U.U.), si recava sulla valvola PSV-2651, ma, nell'aprire l'accoppiamento flangiato, il Q.Q. era investito da un getto di vapore bollente (temperatura 400 e pressione 40 bar) che gli cagionava le gravissime ustioni che poi lo portavano alla morte.

Sulla dinamica dell'incidente erano stati sentiti i seguenti testi: S.S , dipendente FERPLAST ed appartenente alla squadra recatasi a smontare la valvola PSV-2651; T.T. Vittorio, dipendente Cosmi, quel giorno caposquadra in raffineria; R.R , dipendente Cosmi anch'egli in raffineria il giorno dell'infortunio; P.P., capoturno API il giorno del fatto; V.V., dipendente API, presente in raffineria il giorno precedente; U.U., dipendente API, in raffineria il giorno dell'incidente con funzione di capoturno senza ruoli specifici con riferimento al PdL in oggetto; Z.Z., dipendente API in raffineria il giorno dell'infortunio.

Tenuto conto delle - in parte qua assolutamente concordi - informazioni fornite dai predetti e dei convergenti esiti dell'ulteriore istruttoria dibattimentale espletata, il Tribunale ricostruiva la dinamica dell'infortunio che aveva condotto al decesso del Q.Q. e riteneva dimostrato che, quando il (Omissis), la squadra di operai FERPLAST si era recata presso la linea di vapore su cui avrebbero dovuto intervenire, diversamente da quanto attestato nel relativo PdL, la valvola PSV-2651 non era stata messa in sicurezza, in quanto la valvola di intercetto posta a monte non era stata chiusa. Tale mancata chiusura comportava che, non appena i due operai avevano iniziato a rimuovere i bulloni della valvola PSV-2651, improvvisamente l'accoppiamento flangiato si era aperto, con conseguente uscita del getto di vapore che aveva investito in pieno il Q.Q., soggetto più vicino all'apparecchiatura.

Il Tribunale riteneva fondati gli addebiti formulati dalla pubblica accusa circa l'ambiguità dei permessi di lavoro cd. cumulativi, ossia riguardanti interventi multipli o cumulativi da svolgersi per più turni o per più giorni.

Nel verbale di prescrizione ASUR del 23 luglio 2013, era stato contestato al datore di lavoro A.A., di non aver individuato, in relazione a tale tipologia di permessi, una procedura di sicurezza sufficientemente esaustiva volta ad evitare il rischio della mancata messa in sicurezza degli impianti a causa della sovrapposizione di più lavorazioni contemporanee o protratte nel tempo. Sentito a dibattimento, il tecnico ASUR W.W., confermava che tale rischio era proprio quello concretizzatosi nella vicenda in oggetto, in cui non erano state attuate misure di prevenzione per ogni singola valvola.

Analoghe valutazioni erano effettuate dal C.T. del P.M. prof. Y.Y., il quale confermava il proprio giudizio di inidoneità dei permessi rilasciati dall'API. Al contrario, il consulente della difesa ing. J.J. sosteneva che l'utilizzo dei permessi cumulativi rappresentava una prassi consolidata e perfettamente in linea con la salvaguardia della sicurezza del lavoro, data la ricorrenza di una serie di circostanze, tutte sussistenti nel caso di specie: apparecchiature insistenti sullo stesso impianto e simili tra loro, tipologie di lavoro omogeneo/ripetitivo; attività eseguite sotto la responsabilità e il coordinamento dello stesso Responsabile Esecuzioni Lavori.

Il Tribunale evidenziava che la generica dicitura, contenuta nei riquadri B2 e D del PdL, "precauzioni di processo e operative adottate", era suscettibile di essere fraintesa, lasciando intendere all'operatore sul campo che tutte le valvole indicate nell'elenco allegato fossero già state messe in sicurezza, anche perchè il giorno precedente all'infortunio erano state messe in sicurezza solo le 3 o 4 valvole da smontare quel giorno, in quanto era prassi intercettare le valvole man mano che si procedeva coi lavori. Secondo il Tribunale, per evitare simili fraintendimenti, sarebbe stato necessario predisporre un diverso modello di PdL con un ulteriore spazio o allegato in cui venisse richiesto di dare conto, per ciascuna valvola, dell'avvenuta messa in sicurezza, indicando anche giorno ed ora dello svolgimento di detta operazione e il nome del soggetto che vi aveva provveduto e che avrebbe dovuto apporre una sottoscrizione specifica, attestando tali circostanze con riferimento a ciascuna valvola.

Erano stati ritenuti, invece, infondati ulteriori gli addebiti relativi all'esecuzione delle operazioni di manutenzione eseguite ad impianto di vapore acceso, anzichè spento, e alla mancata installazione di sensori di prossimità, essendo stata giudicata, in particolare, l'applicazione di tale ultimo strumento una precauzione solo auspicabile, ma, allo stato, non esigibile, attesa l'evoluzione attuale della tecnica e l'inesistenza di un simile presidio in qualsiasi altra raffineria.

In merito al mancato coinvolgimento nella verifica della messa in sicurezza degli operatori del reparto ispezioni, pur condividendosi il coinvolgimento nelle operazioni di un reparto diverso rispetto a quello personalmente destinato alla messa in sicurezza, non si è ritenuto pertinente chiamare in causa il reparto ispezioni, in quanto dall'organigramma API tale articolazione non risultava avere funzioni operative.

Con riferimento alla posizione del datore di lavoro del deceduto, l'addebito relativo al promesso coinvolgimento degli operai materiali esecutori dei lavori nella verifica ultima della messa in sicurezza era stato ritenuto fondato.

L'inadeguatezza della procedura SGS.P.01.4 aveva costituito l'addebito di colpa anche per l'Amministratore Delegato API Cognati, in quanto le procedure di sicurezza costituiscono parte integrante del DUVRI che dia questi promana e rientrano tra le attribuzioni non delegabili del datore di lavoro.

Quanto alla responsabilità amministrativa dell'API, il Giudice ha rilevato come, seppure nel caso di specie risultasse integrato il presupposto soggettivo, tuttavia, l'ulteriore requisito di aver commesso il fatto nell'interesse o a vantaggio dell'ente non era ravvisabile. Le incongruenze sottostanti al rilascio dei permessi erano state causate da negligenze che non avevano determinato modifiche rilevanti in termini di tempi e costi per l'ente, in quanto l'API non avrebbe subito sostanziali aggravi di spesa se fosse stata adottata una procedura più dettagliata.

Quanto alla posizione della FERPLAST, era stato evidenziato che nel verbale di prescrizioni ASUR del 23 luglio 2013 era stato contestato al datore di lavoro della persona offesa (O.O., legale rappresentante della FERPLAST) di non avere individuato una misura di prevenzione idonea a ridurre al minimo il rischio di investimento dei lavoratori da fuoriuscite di vapore durante lo smontaggio delle valvole. Infatti, nel POS elaborato dalla FERPLAST, con riferimento a questa tipologia di lavorazioni, tra le misure di prevenzione e protezione, era stata prevista testualmente la verifica che le linee di processo fossero state intercettate, senza però specificare il soggetto deputato alla verifica e le modalità di svolgimento.

Peraltro, al riguardo, il CT del P.M. prof. Y.Y. aveva chiarito che gli operai potevano verificare visivamente ed agevolmente, se la valvola da smontare fosse o meno in sicurezza.

3. La Corte di appello ha osservato che l'infortunio mortale non era stato frutto di improvvide ed imprevedibili iniziative di singoli dipendenti API coinvolti nelle attività di manutenzione in corso, bensì di gravi falle esistenti in materia nelle procedure antinfortunistiche predisposte dall'API e nella loro attuazione, essendo emersi, in particolare, i seguenti punti critici:

1) insufficienza, incongruità ed ambiguità della procedura SGS.P.014 relativa al rilascio del permesso di lavoro, specie in caso di lavori multipli e di conseguente emissione di un unico permesso di lavoro cumulativo;

2) esistenza di una prassi applicativa - frutto anche delle carenze di cui al punto precedente - per cui per "apparecchiatura sulla quale operare" era intesa la singola valvola e si intercettavano, pertanto, via via le singole valvole che fermavano il flusso del vapore verso ciascuna singola da rimuovere e non a mettere in sicurezza, prima dell'inizio dei lavori di manutenzione, tutte le tredici valvole da smontare;

3) totale mancanza di rilevazione del rischio specifico di fuoriuscita di vapore bollente a 400 di temperatura connesso alle attività demandate agli dipendenti della FERPLAST (e, in particolare, alla persona offesa) e assenza dell'indicazione di tale (maggiore e più grave perchè mortale) fattore di rischio nella documentazione predisposta in relazione al compimento dell'attività lavorativa;

4) negligenze nell'individuazione ed assegnazione dei ruoli ai singoli soggetti coinvolti nelle varie operazioni.

In ordine al punto 3) deve rilevarsi che, nel permesso di lavoro in atti relativo alle operazioni qui di rilievo, v'era scritto che i rischi specifici derivanti dalla tipologia di lavoro erano solo quelli di "caduta da piani elevati" e "caduta di oggetti utensili" e che, nel contempo, nell'ambiente e/o nelle tubature avrebbero potuto trovarsi le seguenti sostanze nocive: acido solfidrico, azoto e idrocarburi. Ciò dimostrava che l'atto non era stato compilato con la previsione di fare il lavoro a impianto di vapore acceso, giacchè il vapore surriscaldato, come evidenziato da tutti i tecnici che si erano espressi sul punto (a cominciare dai CCTT delle difese), non rientrava tra le sostanze tossiche e/o nocive sopra indicate e, anzi, aveva proprio la funzione di bonificare le linee da eventuali residui di tali sostanze tossiche e/o nocive.

Pur essendo i lavori qui di interesse (appaltati alla FERPLAST) di carattere periodico e da effettuarsi su di una linea di vapore a 42 bar e a 400 di calore, l'API non aveva segnalato tale fonte di pericolo; poichè si era intervenuti ad impianto acceso, anzichè spento, una simile fonte di pericolo esisteva aldilà delle precauzioni adottate o da adottarsi (quali quella di intercettare le valvole), sussistendo la concreta possibilità di errori umani e di malfunzionamenti o di inefficienze delle valvole di intercetto. Anche il teste K.K. confermava tale circostanza, avendo affermato che era prevedibile una rottura o una mancata tenuta di una valvola di intercettazione per un difetto di costruzione, per usura e per qualsiasi altra ragione.

Del resto se, nonostante l'opera di bonifica svolta dal vapore, l'API aveva ritenuto necessario evidenziare la remota possibilità di permanenza di residui di sostanze pericolose nei tubi, a maggiore ragione non avrebbe dovuto essere sottaciuta la possibile presenza di un elemento potenzialmente mortale quale il vapore a quella temperatura. Nè si comprendeva come, in un impianto che produceva, appunto, vapore, avrebbero potuto trovarsi sostanze tossiche, ma non vapore.

Ne discende il completo scollamento tra il contenuto del permesso di lavoro (relativo, peraltro, ad attività che avevano carattere abituale e non poteva quindi certo non essere conosciute da tutti i livelli dell'organizzazione Api) e la specifica attività che questo era destinato a disciplinare.

Sono irrilevanti, pertanto, le argomentazioni difensive dirette ad adombrare una responsabilità della persona offesa, perchè questa non avrebbe seguito pedissequamente le regole da adottarsi nello smontaggio delle valvole (procedendo su un tirante alla volta con un'operazione a croce), giacchè, a parte l'elevata pressione il vapore comunque sarebbe sicuramente fuoriuscito; in ogni caso il rischio della fuoriuscita di vapore non era mai stato segnalato e, pertanto, la persona offesa non era rimproverabile, per non avere ipoteticamente adottato precauzioni in tal senso.

Il permesso di lavoro costituiva l'ultimo adempimento/documento che avrebbe dovuto garantire l'effettuazione in completa sicurezza dell'intervento in esame. Il complesso sistema di gestione della sicurezza applicato dall'API prevedeva l'interazione tra diverse procedure e compendiate principalmente in tre documenti: il DUVRI (di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 1, lett. b), comma 2, lett. a) e b), commi 3 e 6); il PSC e il Permesso di Lavoro (PDL).

Mediante il DUVRI, l'API avrebbe dovuto evidenziare e fornire alle ditte esecutrici le informazioni relative ai pericoli esistenti all'interno della raffineria; con il PSC avrebbe dovuto particolareggiare tali informazioni con riferimento allo svolgimento delle singole attività da svolgersi (come quella poi sfociata nel sinistro mortale) e attraverso il PDL avrebbe dovuto dare atto delle precauzioni da adottarsi ed effettivamente adottate per tutelare i lavoratori durante dette singole lavorazioni.

Ebbene, nella sezione relativa all'Organizzazione per i lavori in appalto del DUVRI, alle pagg. 40/43, al paragrafo 2.2.1 si legge: "Schede riportanti i principali fattori di rischia presenti nelle aree dove verranno effettuate le attività affidate alle ditte Appaltatrici"; l'API informava che erano state predisposte schede di censimento dei pericoli per ogni singola area, così da evidenziare tutti i fattori di rischio.

Partendo dall'analisi della scheda relativa ai pericoli di Area U-2600, è indicata la possibile presenza di superfici e/o materiali caldi e freddi - derivanti anche da getti di liquido o vapore - e come scenario ipotizzato/causa è indicata solo quella relativa all'esistenza di superfici calde accessibili; è l'unico accenno contenuto nel DUVRI in relazione all'eventuale presenza di vapore, privo di specificazioni quali condizioni di temperatura e pressione, in cui si sarebbe potuto presentare.

Coordinando questa generica informazione con le schede di censimento dei pericoli concreti relativi alle attività che la FERPLAST avrebbe dovuto svolgere secondo quanto riportato nel contratto d'appalto (scheda 2.1 Inserimento/Rimozione dischi ciechi, 2.2 Montaggio smontaggio tubazioni e componenti apparecchiature, 2.5 Lavori a freddo, 2.11 Sollevamento Apparecchiature/attrezzature tramite autogru), il riferimento alla presenza di vapore scompariva dei tutto.

Nella scheda 2.1 (Inserimento/Rimozione dischi ciechi), nelle precauzioni da adottare a carico della committente (API) era indicata la procedura di svuotamento, depressamento e bonifica delle apparecchiature, mentre a carico dell'impresa esecutrice era indicato solo l'uso di guanti e indumenti idonei in funzioni delle caratteristiche delle pericolosità dell'agente chimico con il quale si poteva venire in contatto.

Quindi il vapore acqueo surriscaldato, che, pur essendo estremamente pericoloso, non costituisce, però, certo un agente chimico, non era stato indicato tra i rischi - neppure remoti - che si potevano profilare nell'esecuzione dei lavori. Analogamente nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) del 21 maggio 2013 concernente la "Manutenzione impianti di raffineria giugno 2013", a pag. 7, par. 8, erano stati analizzati tutti i possibili rischi derivanti dai lavori di manutenzione da effettuarsi sull'impianto, con ulteriore rimando, quanto alla loro specifica individuazione, al DUVRI e al Permesso di Lavoro (PdL) (oltre che all'Analisi Rischio Lavoro -.)FIA - per le attività complesse, tra le quali non rientrava quella qui in esame).

Ebbene, al paragrafo 8.2.1, erano state elencate le prescrizioni scaturite dalla valutazione dei rischi per attività particolari come segue: "Nel caso in cui si valuti il rischio di contatto con sostanze pericolose (es, sostanze liquide, vapore, etc.) nel permesso di lavoro dovrà essere riportata anche la prescrizione sull'uso della visiera in aggiunta agli altri dispositivi di protezione individuale. L'uso della visiera è limitato alle sole fasi di apertura di accoppiamenti flangiati". Dunque anche dal PSC non si evincevano rilevazioni del rischio specifico per taluni lavoratori - certo non emendabile con uso di una semplice visiera - di essere investiti da vapore ad alte temperatura (400C) e pressione (42 Kg/cm2).

Della completa carenza in parte qua anche nel permesso di lavoro che aveva regolato concretamente l'attività nell'esecuzione della quale si era verificato l'infortunio si è già detto innanzi (nessun cenno rivenendosi in esso al pericolo di fuoriuscita di vapore e neppure all'eventuale uso della visiera) nè era emerso che informazioni in tal senso fossero circolate nelle riunioni di coordinamento effettuate prima dell'inizio dei lavori e alle quali avevano partecipato anche i rappresentanti della ditte esterne. Tali carenze informative, unite a quelle relative all'organizzazione degli interventi derivanti dall'assenza di appropriata regolamentazione dei lavori cumulativi, avevano inciso in modo determinante nella veril1cazione dell'infortunio, giacchè, se anche a ritenere legittima la scelta aziendale di procedere ai lavori con l'impianto di vapore acceso (anzichè in condizione di spegnimento che, ovviamente, avrebbe azzerato ogni rischio per i dipendenti FERPLAST), nondimeno tale scelta era stata presa, appunto, a costo di assoggettare gli operatori ad un pericolo assai rilevante (perchè potenzialmente letale) e, allora, la relativa procedura avrebbe dovuto essere ideata e attuata con criteri di estrema prudenza, sensibilizzando gli attori della vicenda e costringendoli, anche mediante la redazione di apposito PdL, ad "attestare" l'effettiva avvenuta esecuzione dei necessari interventi di intercettazione e di scarico del vapore in relazione a ciascuna valvola, si da ridurre drasticamente sino ai limiti più bassi possibili il rischio di errori umani.

Inoltre, la dovuta informazione fornita al responsabile e ai dipendenti della FERPLAST circa il rischio di cui si è detto avrebbe consentito anche a questi ultimo di adottare le necessarie precauzioni. La FERPLAST, infatti, era attrezzata per lavori da svolgersi in ambienti pericolosi del genere di quello di cui si discute (quali fonderie) e, tra le proprie dotazioni, aveva anche caschi e tute ignifughe e protettive dal calore che avrebbero potuto se non evitare, certamente ridurre in maniera consistente i danni provocati dal contatto con il vapore surriscaldato e, con essi, l'evento morte. Gli stessi operai della FERPLAST avrebbero potuto essere invitati ad effettuare un controllo finale visivo circa lo stato delle valvole di intercetto, dato il pericolo che da esse si potesse sprigionare del vapore a simili temperature e pressione.

L'inadeguatezza della procedura costituiva addebito di colpa ascrivibile anche all'amministratore delegato A.A.. Le procedure di sicurezza, per quanto non specificatamente approvate e sottoscritte dall'amministratore delegato, appartengono al Duvri e rientrano tra le attribuzioni indelegabili del datore di lavoro.

Il datore di lavoro è tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda in relazione alla singola lavorazione o ambiente di lavoro e le misure precauzionali e dispositivi adottati per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori; il conferimento a terzi della delega relativa alla relazione del suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia e di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata.

Anche il teste X.X., responsabile risorse umane e organizzazione di Api, confermava che "l'amministratore delegato è a conoscenza di tutte le procedure che si utilizzano nella raffineria... " sotto il profilo antinfortunistico.

Contrariamente all'assunto difensivo, l'infortunio non era stato determinato da iniziative contingenti prese da singoli dipendenti dell'API, bensì era il frutto avvelenato di gravi carenze organizzative e di evidenti deficienze esistenti nelle procedure antinfortunistiche predisposte ed attuate dall'API. Dalla documentazione acquisita e dalle dichiarazioni dell'A.B. e del X.X. si comprendeva che il reparto operativo diretto dall'B.B. organizzava il lavoro (anche sotto il profilo antinfortunistico) e curava la predisposizione dei relativi permessi, essendo egli, nel contempo, uno di coloro i quali avevano personalmente approvato la procedura SGS.P.014.

4. Il A.A., l'B.B. e la responsabile civile API, a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.

5. A.A. (nove motivi di impugnazione).

5.1. Nullità della sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso causale fra il decesso del Q.Q. e l'asserita incongruità ed ambiguità della Procedura SGS.P.014 relativa al rilascio dei Permessi di lavoro.

Si deduce che la Corte di merito non ha vagliato le deduzioni articolate nei motivi di appello e che gli elementi probatori - ivi puntualmente richiamati - smentivano quella ricostruzione, in quanto la procedura SGS.P.014 prevedeva la necessità di attuare tutte le misure di prevenzione prima dell'avvio dei lavori.

Ciò risultava dal testo della procedura e dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal consulente del P.M. prof. Y.Y. e dello P.P., Emittente del permesso di lavoro 180248, che avrebbe dovuto attuare le misure di sicurezza ivi previste. La procedura SGS.P.014 era chiara nel pretendere l'attuazione di tutte le misure di sicurezza prima dell'avvio dei lavori.

L'assunto di una "equivocità" della procedura SGS.P.014 era stato smentito anche da varie convergenti dichiarazioni rese in dibattimento dai testi, secondo i quali la procedura SGS.P.014 ed il permesso di lavoro n. 180248 imponevano di intercettare tutte le 13 valvole PSV (ivi compresa la PSV 2651) prima di avviare i lavori.

Il capoturno P.P. - cioè, colui il quale avrebbe dovuto assicurare l'attuazione delle misure di sicurezza consistenti nell'intercettazione delle 13 valvole PSV (fra cui la PSV 2651) - dava esplicitamente atto che il 29 maggio 2013 (il giorno prima dell'evento) l'operatore di reparto in turno N.N. avrebbe dovuto intercettare tutte le 13 valvole PSV (ivi compresa, la PSV 2651). Di fronte a questa circostanza, nell'intento di accreditare la propria ricostruzione, la Corte di appello ha lasciato intendere che lo P.P. avrebbe solo inteso confermare che, per mettere in sicurezza 13 valvole PSV, sarebbe stato necessario chiudere altrettante valvole di intercetto. In realtà, le dichiarazioni rese dallo P.P. non avevano il significato che la Corte territoriale ha cercato di attribuire loro.

Anche lo P.P. e il consulente del P.M. Y.Y. evidenziavano che l'assunto della pretesa ambiguità della procedura e le conseguenti "invitabili incertezze", in cui si sarebbero trovati ad operare gli addetti Api a seguito della mancata regolamentazione dei permessi di lavoro "multipli", costituiva una congettura confutata dagli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio di primo grado.

Lo stesso emittente del permesso di lavoro P.P. - che avrebbe dovuto assicurare l'attuazione delle misure di sicurezza, infatti, dimostrava di conoscere perfettamente non solo le misure di sicurezza dovute per eseguire i lavori in sicurezza - e cioè, la necessità di procedere all'intercettazione delle 13 valvole PSV - ma (più ancora) dimostrava di essere consapevole della necessità di attuare tutte le misure di sicurezza il 29 maggio 2013, prima dell'avvio dei lavori di manutenzione.

I testi A.C. (assistente tecnico di manutenzione), A.D. (Responsabile HSE fino al 2008) e A.E. (allora Responsabile della funzione HSE) avevano confermato che, secondo la procedura SGS.P.014, le misure di sicurezza indicate nel permesso di lavoro dovevano essere tutte attuate prima dell'avvio dei lavori.

5.2. Nullità della sentenza impugnata per vizio di motivazione, in relazione all'o-messa valutazione di quanto dedotto nei motivi di appello con riferimento all'ipotesi prevista dalla procedura SGS.P.014 di ripresa dei lavori.

Si rileva che, anche a voler condividere la ricostruzione ribadita dalla Corte distrettuale - e già prospettata nella sentenza di primo grado - secondo la quale la procedura SGS.P.014 avrebbe determinato l'insorgere (per usare le parole del giudice di appello) di "inevitabili equivoci ed ambiguità", lasciando nel dubbio gli operatori API sulla necessità di intercettare tutte le valvole da subito ovvero per gradi (in parallelo al progredire dei lavori), l'osservanza della medesima, nella parte in cui disciplina la "ripresa dei lavori", avrebbe comunque impedito con certezza l'evento.

I lavori di smontaggio delle valvole PSV, infatti, avevano avuto avvio il 29 maggio 2013, dopo che lo P.P., capoturno ed Emittente, e l'operatore di unità N.N. avevano sottoscritto i quadri B2 e D del permesso di lavoro, dando atto di avere adottato le "precauzioni di processo" e di averne verificato l'attuazione; i lavori non si erano conclusi il 29 maggio ed erano proseguiti il 30 maggio, dopo la sottoscrizione da parte dello P.P. e del N.N. di un nuovo modulo, con il quale avevano autorizzato la ripresa dei lavori, dando atto di aver nuovamente verificato l'effettiva attuazione delle misure di sicurezza previste nel permesso di lavoro.

La procedura SGS.P.014 ed il permesso di lavoro regolavano espressamente tale eventualità, stabilendo che - laddove i lavori si protraessero oltre una giornata - la ripresa dei lavori dovesse essere preceduta da un'ulteriore verifica dall'effettiva attuazione delle misure di sicurezza e dalla sottoscrizione da parte dell'Emittente e dell'Operatore di unità di uno specifico "Modulo di Autorizzazione alla ripresa del lavoro". Nel paragrafo 8 della procedura SGS.P.014 (allegata ai motivi di appello, come allegato 1) era, infatti, previsto che il permesso di lavoro deve essere rinnovato quando viene richiesto per più di una giornata lavorativa.

Il rinnovo del permesso di lavoro (con conseguente autorizzazione alla ripresa dei lavori) richiede ulteriori attività di verifica a carico dell'Emittente dell'Operatore di reparto e segnatamente: a) "l'Emittente/Responsabile di area verifica che le condizioni sulla base delle quali è stato formalizzato inizialmente il Permesso di Lavoro non siano mutate, che risultino confermate le prescrizioni presenti nel Permesso di Lavoro ed appone data e propria firma"; b) "l'Operatore di reparto, accompagnato dal Responsabile esecuzione lavori, si reca sul posto e verifica che le prescrizioni operative siano state messe in atto e autorizza l'inizio dei lavori, apponendo data e firma e facendo firmare il Responsabile esecuzione lavori". Infatti, al Permesso di lavoro n. 180248 era allegato un "Modulo di Autorizzazione alla ripresa del lavoro" (già allegato all'atto di appello e di seguito riprodotto per estratto), con il quale l'Emittente (P.P.) autorizza l'operatore di reparto "a controllare la permanenza delle condizioni di sicurezza indicate nel Permesso di Lavoro ai fini della ripresa dei lavori". Nel modulo si legge che l'operatore di reparto (N.N.) autorizzava la ripresa dei lavori, "avendo verificato l'attuazione di quanto indicato nel Permesso di Lavoro". Si tratta di una circostanza di importanza cruciale, che evidenzia in modo plateale la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.

Anche a dare per buona la ricostruzione accreditata nella sentenza di appello ed a ritenere: 1) che la procedura SGS.P.014 presentasse davvero margini di incertezza tali da indurre gli operatori Api a pensare che la messa in sicurezza delle valvole potesse essere effettuata "per gradi"; 2) che si fosse instaurata davvero una "prassi operativa" in tal senso resta il fatto che il (Omissis) (i.e., il giorno dell'evento) l'Operatore di reparto N.N. - come previsto dalla Procedura SGS.P.014 e dal Modulo di "Autorizzazione alla ripresa del lavoro" - avrebbe dovuto verificare nuovamente che le misure di sicurezza previste dal permesso di lavoro 180248 per le valvole, su cui dovevano intervenire gli addetti della FERPLAST (fra cui la PSV 2651), fossero "state messe in atto", prima di autorizzare la ripresa dei lavori. Se il N.N. avesse eseguito le prescrizioni di cui alla procedura SGS.P.014 e dal "Modulo di Autorizzazione alla ripresa del lavoro", l'evento non si sarebbe verificato.

5.3. Nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 43 c.p. e per vizio di motivazione, quanto alla ritenuta sussistenza di profili di colpa.

Si rileva che l'unico fra i documenti richiamati in sentenza rispetto ai quali, secondo la Corte di appello, poteva ravvisarsi un a carenza informativa, suscettibile di essere ricondotta alle attribuzioni del A.A., nelle sua qualità di Amministratore delegato e datore di lavoro, era il Documento di Valutazione dei rischi interferenziali. Il A.A. era estraneo alle attività che avevano condotto alla redazione ed al rilascio del Permesso di Lavoro 180248 redatto e sottoscritto: a) dal Responsabile del reparto manutenzione (A.C. - Quadro A1) nella sua qualità di richiedente gli interventi di manutenzione (che avrebbero dovuto condurre allo smontaggio delle 13 valvole di sicurezza PSV); b) dal Responsabile Esecuzione Lavori (R.R - Quadro A2 e Quadro C), responsabile dell'impresa esecutrice dei lavori; c) dal Capoturno giornaliero di fermata (P.P. - Quadro B1) nella sua qualità di Emittente del permesso di lavoro, al quale spettava indicare (fra l'altro) le informazioni sulle sostanze che interferivano sul lavoro e sui rischi specifici ed elencare le precauzioni di processo ed operative adottate; d) dall'Operatore di Unita/Area (N.N. - Quadro D), nella sua qualità di operatore incaricato di autorizzare l'inizio dei lavori, dopo avere verificato l'effettiva attuazione delle prescrizioni di sicurezza ivi indicate.

Il A.A. non partecipava all'elaborazione e alla redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) dell'API Raffineria di (Omissis), che - come previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 91 e come risultante dall'estratto del PSC in atti e di seguito riprodotto - era stato redatto e sottoscritto dal Coordinatore per la Sicurezza in fase di progettazione, A.F. (e sottoscritto altresì dal responsabile dei lavori nominato dalla Committente Api Raffineria di Ancona Spa ing. I.I.).

Pertanto, (pretese) carenze informative della documentazione di sicurezza, per l'asserita mancata indicazione dello specifico fattore di rischio (vapore) nel PSC di Api Raffineria di Ancona Spa o nel Permesso di Lavoro 180248 sarebbero - anche ove esistenti - del tutto irrilevanti, in quanto pacificamente irriferibili al A.A..

L'indicazione contenuta nel DUVRI ("svuotamento, depressamento e bonifica delle apparecchiature") imponeva l'intercettazione della linea, mediante la chiusura delle valvole di intercetto a monte della PSV 2651, come attestato dallo P.P., Emittente del permesso di lavoro.

Peraltro, la scelta di non menzionare esplicitamente il vapore (o altre sostanze specifiche) nel DUVRI - ma di far riferimento come fonte di rischio al "possibile contatto con residui delle sostanze precedentemente presenti nelle apparecchiature 24 tubazioni" - coprendo così tutti i rischi derivanti dalla presenza di sostanze pericolose (indipendentemente dalla loro natura e caratteristiche) all'interno della linea e prevedendo in ogni caso come precauzione da adottare l'intercettazione ("svuotamento, depressamento") e la bonifica delle linee e delle apparecchiature, era legittima.

Essa, infatti, non aveva formato oggetto di rilievi da parte dell'ASUR Marche (che aveva svolto le indagini), del consulente del P.M. prof. Y.Y. e del P.M., che aveva incentrato la contestazione sulla (pretesa) inidoneità della procedura SGS.P.014 sui permessi di lavoro e sullo svolgimento dei lavori di manutenzione ad impianto vapore in funzione.

Anche a voler ammettere che la mancata esplicitazione nel DUVRI della presenza del vapore costituisse un'omissione rimproverabile a titolo di colpa, le misure di cautela indicate nel DUVRI con riferimento alla possibile presenza di sostanze pericolose ("svuotamento, depressamento e bonifica delle apparecchiature") richiedevano ed imponevano in ogni caso l'intercettazione della linea mediante la chiusura delle valvole di intercettazione (ivi comprese quelle a monte della PSV 2651). L'addebito di colpa, quindi, costituiva una violazione eziologicamente irrilevante rispetto all'evento, in quanto - essendo nel DUVRI comunque richiesta l'intercettazione delle linee - anche un'eventuale esplicitazione della presenza del vapore non avrebbe aggiunto nulla alle misure di cautela già previste e dovute. La stessa Corte di appello, infatti, non ha saputo indicare quale sarebbe stata l'ulteriore misura di cautela dovuta laddove fosse stata esplicitata la presenza del vapore, continuando invece a far riferimento all'esigenza dell'intercettazione delle linee prima dell'avvio dei lavori.

Un ulteriore vizio di motivazione era riscontrabile in riferimento all'assunto proiettato dalla Corte di appello - secondo il quale la mancata indicazione di tale fattore di rischio specifico avrebbe impedito all'impresa esecutrice FERPLAST di dotare i propri dipendenti di idonei DPI (caschi e tute ignifughe e protettive dal calore) in grado di impedire il decesso del Q.Q., ovvero di invitare i propri dipendenti a verificare l'intercettazione delle linee. La ritenuta possibilità per la FERPLAST di dotare i propri dipendenti di DPI in grado di impedire ili decesso del Q.Q. è stata enunciata dalla Corte territoriale, nonostante ciò non emergesse dagli atti processuali. Anzi, si pone in contrasto con le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste A.G., funzionario dell'AsuR Marche, che aveva svolto le indagini e che aveva dato atto dell'inesistenza di DPI in grado di assicurare protezione contro il vapore alle pressioni e temperature (42 bar e 4000), caratterizzanti il getto di vapore che aveva investito il Q.Q..

L'AsuR Marche e il P.M., infatti, non avevano formulato addebiti nei confronti del A.A. (quale Amministratore delegato di API Raffineria di Ancona e datore di lavoro), di altri dirigenti della Società o di O.O., nella sua qualità di Amministratore unico e datore di lavoro della FERPLAST. Era altresì viziata l'affermazione, secondo la quale la mancata esplicitazione nel DUVRI e negli altri documenti di sicurezza della presenza di vapore surriscaldato avrebbe impedito alla FERPLAST di invitare i propri dipendenti "ad effettuare essi stessi un controllo finale visivo" circa l'avvenuta intercettazione delle linee. Al riguardo, nella sentenza impugnata si è dato atto che il POS della FERPLAST prevedeva (con riferimento alle operazioni riguardanti lo smontaggio delle valvole PSV) che gli addetti della FERPLAST verificassero l'avvenuta intercettazione delle linee e si escludeva la concreta esigibilità di un siffatto controllo da parte di tali addetti.

Dalla procedura SGS.P.014 e dal permesso di lavoro in atti si evinceva che la verifica finale prevista anche sul versante delle ditte appaltatrici (peraltro solo a livello "esterno") era successiva all'effettuazione delle operazioni di messa in sicurezza da parte dell'API e spettava solo alla Cosmi e non alle altre realtà imprenditoriali coinvolte e/o ai loro dipendenti. I dipendenti della FERPLAST, pertanto, dovevano adottare solo la precauzione di non entrare in azione, Finchè il personale preposto dell'API e della Cosmi non avesse dato loro il segnale di avvio, rassicurandoli sull'avvenuta messa in sicurezza delle valvole da smontare, la quale, tuttavia, avrebbe dovuto essere effettuata con modalità adottate a sua insindacabile scelta dall'API e, quindi, non note (ne controllabili) dagli esecutori.

5.4. Nullità della sentenza impugnata per violazione di legge e per vizio di motivazione in relazione alla ritenuta attribuibilità dell'evento a condotte colpose del A.A., nella sua qualità di Amministratore delegato di Api Raffineria di Ancona s.p.a..

Si deduce che la Corte di appello ha riconosciuto l'estraneità del A.A. alle attività riguardanti la predisposizione ed il rilascio dei permessi di lavoro, tra i quali il n. 180248 emesso il 21 maggio 2013 per l'esecuzione dei lavori di smontaggio delle valvole PSV, compresa la PSV 2651 interessata dall'evento. E ha ribadito l'estraneità del A.A. all'elaborazione e redazione della procedura SGS.P.014, la cui ritenuta inadeguatezza sarebbe (secondo la ricostruzione accreditata in sentenza) alla base dell'evento incidentale che aveva determinato il decesso del Q.Q..

In relazione alla pretesa riferibilità (anche) all'Amministratore delegato dell'inadeguatezza della procedura SGS.P.014, in ragione della sua (asserita) riconducibilità al DUVRI e, quindi, alle attribuzioni indelegabili del Datore di lavoro, va censurata la ricostruzione accreditata nella sentenza del Tribunale. La procedura SGS.P.014 non era "stata nè redatta, nè approvata, nè sottoscritta" dal A.A. e la motivazione con la quale il Tribunale aveva cercato di ricondurre a quest'ultimo la responsabilità della procedura era stata smentita - in via di fatto - dalle dichiarazioni rese in dibattimento dai testi e, in particolare, dal Responsabile del personale e dell'organizzazione X.X.). In realtà, il contenuto dell'obbligo indelegabile gravante sul datore di lavoro D.Lgs. n. 81 del 2008, ex art. 28 riguardava - semmai - la valutazione dei rischi e la redazione (ed aggiornamento) del relativo documento "e non certo l'elaborazione o redazione delle singole procedure".

Pur dando atto dell'estraneità del A.A. all'elaborazione, alla redazione e all'approvazione della procedura SGS.P.014 ed al rilascio del permesso di lavoro 180248, la Corte territoriale ha sostenuto che la (ritenuta) inadeguatezza della procedura andrebbe posta a carico anche dell'imputato, sull'assunto che tutte le procedure dovrebbero ritenersi attratte fra le attribuzioni indelegabili del datore di lavoro. Il A.A., in qualità di datore di lavoro, dovrebbe - per ciò solo - ritenersi responsabile di tutte le procedure esistenti dentro la Raffineria API. Questa impostazione travisa il contenuto dell'obbligo indelegabile del datore di lavoro di procedere alla valutazione dei rischi, come dimostrano le conseguenze obiettivamente abnormi ed incompatibili con il principio di colpevolezza - alle quali conduce la sua applicazione. L'obbligo indelegabile gravante sul datore di lavoro ai sensi D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28 riguarda esclusivamente la valutazione dei rischi, cui fa seguito la redazione ed aggiornamento del relativo documento (oltrechè la nomina del RSPP e del medico competente), non certo l'elaborazione e/o redazione delle procedure, in cui trovano concretizzazione le misure di cautela previste.

I "permessi di lavoro multipli" costituivano uno strumento operativo utilizzato da molti anni in raffineria - ed ampiamente "consolidato e testato", secondo le dichiarazioni del teste A.C. - ed all'interno della Raffineria API erano previsti una serie di controlli sull'adempimento della procedura SGS.P.014 e dei permessi di lavoro, anche attraverso verifiche a campione da parte di un team di specialisti munito di check-list. Non erano mai emerse anomalie o di carenze della procedura SGS.P.014 o di prassi operative scorrette degli operatori di campo.

5.5. Nullità della sentenza impugnata per violazione di legge e per vizio di motivazione, in relazione alla posizione di garanzia ed alla prevedibilità dell'evento.

Si osserva che la Raffineria API in oggetto era un'impresa estesa per una superficie di oltre 70 ettari, con centinaia di chilometri di tubazioni e migliaia di valvole di ogni tipo e dentro la quale lavoravano (all'epoca dei fatti) circa quattrocento dipendenti. A queste dimensioni faceva riscontro una corrispondente articolazione organizzativa, che prevedeva un'articolata ripartizione di funzioni e competenze, con attribuzione ad una serie di figure dirigenziali della gestione degli impianti e dell'esecuzione delle attività (ivi comprese quelle di carattere manutentivo).

Come attestato dal teste Dott. X.X. (Responsabile Organizzazione e risorse umane della Raffineria dal 2005), l'amministratore delegato non svolgeva funzioni operative, ma si occupava della gestione strategica dell'impresa nel suo complesso.

Il Tribunale aveva affermato la responsabilità dell'imputato, unicamente in virtù del suo ruolo di datore di lavoro, evidenziando che la sussistenza di profili di colpa in capo al A.A. doveva essere verificata e valutata avuto riguardo alla concreta realtà organizzativa dell'azienda. Dentro un'impresa di queste dimensioni il datore di lavoro non poteva verificare in proprio l'attuazione delle misure di sicurezza previste dai permessi di lavoro e il "dovere di sicurezza", bensì doveva assicurare il disegno organizzativo dell'insieme e apprestare un sistema di controlli idoneo ad evidenziare eventuali inadempimenti dei doveri di sicurezza da parte delle figure operative.

Non si comprendevano le ragioni, in base alle quali la ritenuta inadeguatezza della procedura SGS.P.014 avrebbero dovuto essere poste a carico dell'amministratore delegato, estraneo alla sua redazione, elaborazione ed attuazione.

Un vizio di motivazione è riscontrabile anche con riferimento al tema dei controlli e dell'avvenuta certificazione - da parte di un ente esterno accreditato (DNV) - del Sistema integrato di Gestione della Sicurezza della raffineria API e delle procedure relative (ivi compresa la SGS.P.014), in conformità allo standard internazionale OH-SAS 18001. Il sistema dei controlli comprendeva verifiche dirette a testare il rispetto della procedura SGS.P.014 e delle misure di sicurezza previste dai permessi di lavoro, demandate a specifiche figure interne alla raffineria. Dalle centinaia di controlli effettuati in raffineria nel corso di 12 anni (la procedura era in vigore dal 2001) non erano mai emerse evidenze di carenze della procedura SGS.P.014, nè di un suo inadempimento o dell'inosservanza di quanto previsto nei permessi di lavoro, nè - men che mai - di prassi applicative in contrasto con l'obbligo di attuare le misure di sicurezza ivi indicate prima dell'avvio dei lavori.

In ordine al sistema dei controlli, la Corte distrettuale ha riconosciuto l'esistenza e la pervasività del sistema dei controlli (affidati "a specialisti con l'ausilio di check list") e - più ancora - ha dato atto che da tali controlli non era mai emersa evidenza di una "prassi operativa" nella quale le misure di sicurezza fossero attuate "per gradi", in parallelo all'avanzamento dei lavori richiesti. Ma ha cercato di azzerarne la rilevanza, sostenendo che - poichè i permessi di lavoro "multipli" non erano stati esplicitamente regolati nella procedura - la mancata rilevazione di anomalie o di violazioni non avrebbe avuto alcun significato, perchè la violazione si sarebbe potuta riscontrare solo rispetto ad una procedura "codificata".

Così facendo, però, la Corte di appello è incorsa - anzitutto - in un'evidente contraddizione. La Corte distrettuale ha dato atto che il teste A.C. aveva riferito che l'impiego dei permessi di lavoro "multipli" era diffuso da tempo in raffineria. Peraltro, il teste A.C. aveva dato atto nelle sue dichiarazioni che si trattava di una prassi non solo consolidata da molti anni, ma anche "testata". Se la modalità operativa dei permessi di lavoro "multipli" era diffusa ("consolidata e testata") da molti anni, i controlli effettuati dalle strutture specialistiche di raffineria sul rispetto della procedura SGS.P.014 e dei permessi di lavoro non potevano che essere estesi anche questi ultimi: è ovviamente inverosimile, infatti, che - a fronte di uno strumento operativo oggetto di "una prassi diffusa in raffineria" - le centinaia di controlli eseguiti negli anni sull'osservanza della procedura e dei permessi di lavoro non avessero mai avuto ad oggetto "permessi multipli".

Se fosse vera l'ipotesi, accreditata in sentenza, secondo la quale - a causa dell'incertezza indotta dalla mancata "standardizzazione" nella procedura SGS.P.014 dei permessi di lavoro "multipli" - si fosse instaurata una "prassi operativa" in cui le misure di sicurezza ivi previste erano attuate per gradi, tale circostanza non sarebbe potuta sfuggire alle strutture specialistiche di raffineria incaricate dei controlli. Data la "diffusione" dei permessi di lavoro "multipli", sarebbe stato inevitabile che, in occasione di una delle numerose verifiche effettuate, le strutture deputate al controllo si avvedessero che le cautele previste dal permesso di lavoro "multiplo" non erano state interamente attuate prima dell'avvio dei lavori, ma erano state eseguite solo in parte (e cioè, per la parte corrispondente ai lavori in corso di esecuzione). Non avrebbero certamente mancato di segnalarlo come una violazione della procedura SGS.P.014 (e, comunque, come una criticità), indipendentemente dal fatto che il permesso di lavoro fosse "singolo" o "multiplo".

La Corte di appello ha riconosciuto che le evidenze probatorie (vedi le dichiarazioni del teste A.E.) attestavano l'assenza di anomalie connesse all'adempimento della procedura SGS.P.014 o di un'attuazione parziale delle misure di cautela previste dai permessi di lavoro. L'assunto di cui alla sentenza impugnata, secondo il quale i controlli eseguiti in raffineria sui permessi di lavoro non avrebbero mai rilevato l'esistenza di alcuna prassi operativa "distorta", solo perchè la procedura SGS.P.014 non regolava esplicitamente i permessi di lavoro "multipli", si rivelava illogico e infondato.

Il A.E. - responsabile della funzione HSE - descriveva il funzionamento del sistema dei controlli, dando atto che essi comprendevano anche verifiche dirette ad accertare il puntuale rispetto della procedura SGS.P.014 e delle misure previste dai permessi di lavoro, effettuate da figure specialistiche, con l'ausilio di apposite check list. Aveva esplicitamente affermato che dai controlli eseguiti non erano emerse evidenze di prassi operative, in cui le misure di sicurezza previste dai permesso di lavoro fossero attuate progressivamente, in parallelo all'avanzamento dei lavori. Il A.E. faceva chiaramente riferimento all'ipotesi di permessi di lavoro "multipli".

Analogamente, la sentenza impugnata si esponeva ad una serie di rilievi, anche in riferimento alle argomentazioni addotte circa la Certificazione OHSAS 18001 del Sistema di Gestione della Sicurezza e delle relative procedure.

La Corte di appello non ha disconosciuto che il Sistema di Gestione della Sicurezza era stato certificato secondo lo standard OHSAS 18001, ma ha cercato di escluderne la rilevanza, sull'assunto che l'Ente di certificazione non avrebbe potuto valutare la validità della procedura con riferimento ai permessi di lavoro "multipli", che non erano espressamente regolati. Il discorso svolto dalla Corte distrettuale, tuttavia, risulta non solo carente sul piano logico, ma anche viziato in diritto.

La circostanza che il Sistema di Gestione della Sicurezza e l'intero corpo procedurale che ne faceva parte - ivi compresa la procedura SGS.P.014 sui permessi di lavoro - fossero stati certificati ai sensi del British Standard OHSAS 18001 riveste una rilevanza determinante sul terreno dell'affidamento che legittimamente il A.A. riponeva nell'idoneità della procedura.

La Corte di appello ha rimproverato al A.A. - nella sua qualità di Amministratore delegato e datore di lavoro - la ritenuta inadeguatezza della procedura SGS.P.014, in quanto (asseritamente) rientrante nelle sue "attribuzioni indelegabili". Dal momento che anche la Corte territoriale ha dovuto dare atto (come già il Tribunale) che il A.A. non aveva partecipato alla sua elaborazione, nè alla sua redazione, l'addebito di colpa rivoltogli consisteva nel non essersi avveduto della sua insufficienza/incongruità/ambiguità (e nel mancato suo intervenuto per emendarla). Tale addebito si fondava, in realtà, su una ricostruzione del contenuto dei "doveri indelegabili" gravanti sul datore di lavoro incompatibile coi principi fondanti del nostro sistema penale. L'argomentazione svolta dalla Corte territoriale collideva con il principio di affidamento, che governa le attività che richiedano la partecipazione ed il contributo di una pluralità di soggetti. Il A.A. non avrebbe potuto cogliere - da solo ed in proprio - la ritenuta insufficienza/incongruità/ambiguità della procedura SGS.P.014, dopo che non solo era stata predisposta e verificata dai responsabili delle funzioni aziendali preposte specificamente alla tutela della sicurezza in azienda, ma era stata certificata ai sensi del British Standard OHSAS 18001.

5.6. Nullità della sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione alla prevedibilità dell'evento ed alla ritenuta sussistenza di una prassi caratterizzata dall'attuazione progressiva delle misure di sicurezza previste dal permesso di lavoro.

Si rileva che anche a ritenere che il teste V.V. avesse confermato che le valvole non fossero state tutte intercettate prima dell'avvio dei lavori, ma in parallelo al progredire dei lavori, ciò non significava che si fosse instaurata in azienda una prassi di attuazione "per gradi" delle misure di sicurezza previste dai permessi di lavoro.

L'esistenza di una siffatta "prassi operativa" è smentita dalle dichiarazioni dello P.P., emittente del permesso di lavoro n. 180248, secondo il quale il N.N. avrebbe dovuto mettere in sicurezza tutte le tredici valvole, prima di autorizzare l'avvio dei lavori, senza fare riferimenti ad una "messa in sicurezza per gradi".

Analoga smentita poteva trarsi dalle dichiarazioni rese dal Calcagnile e dal T.T. (dipendenti della FERPLAST e colleghi del Q.Q.), laddove avevano dato atto che il (Omissis) - dopo la consegna del "Modulo di Autorizzazione alla ripresa del lavoro" sottoscritto dallo P.P. e dal N.N. - un dipendente API (poi identificato in U.U.) aveva loro indicato la collocazione della valvola PSV 2651, rassicurandoli che "era tutto a posto" e che potevano iniziare i lavori.

Se fosse vera la ricostruzione proiettata dalla sentenza impugnata di una messa in sicurezza per gradi, ci si sarebbe dovuti attendere che l'U.U. (dipendente API ed operatore di campo) accompagnasse la squadra della FERPLAST sul posto, per mettere in sicurezza la valvola PSV 2651. Al contrario, allorchè il caposquadra T.T. gli mostrava il permesso di lavoro (rectius il "Modulo di Autorizzazione alla ripresa del lavoro") e gli chiedeva se potevano iniziare il lavoro, l'U.U. rispondeva affermativamente. La Corte di appello non ha dimostrato la conoscenza - da parte del A.A. - di questa (supposta) "prassi operativa", ma ha addirittura escluso che il A.A. ed i vertici aziendali ne fossero a conoscenza. Pertanto, non v'è spazio per addebitare al A.A. la pretesa incongruità o ambiguità della procedura SGS.P.014.

5.7. Nullità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione a mancato proscioglimento del A.A. dalla contestazione di cui al capo C) dell'imputazione (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 55, comma 3, in riferimento all'art. 28, comma 2, lett. d), D.Lgs. cit.).

Si deduce che la fattispecie incriminatrice dm cui si discute mira a sanzionare il datore di lavoro per aver adottato un DUVRI privo dell'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonchè dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere.

La contestazione rivolta al A.A., tuttavia, riguardava non già l'assenza del DUVRI o la mancata indicazione in quest'ultimo delle procedure per l'attuazione delle misure di sicurezza necessarie, quanto - semmai il fatto che la procedura SGS.P.014 sui permessi di lavoro non fosse stata ritenuta "sufficientemente esaustiva", non avendo tenuto conto "della gestione di Permessi di lavoro relativi a interventi multipli o cumulati contemporanei e protratti per più turni". La contestazione formulata nei confronti del A.A. riguardava non l'inesistenza della procedura, ma solo la sua (pretesa) "inadeguatezza" (o "non esaustività"), sull'assunto che nella procedura mancasse un'indicazione specifica volta a regolare i permessi di lavoro "multipli" o "cumulativi". Ne consegue che la contestata contravvenzione doveva (e deve) ritenersi insussistente (prima ancora che in fatto) già in diritto, dal momento che l'esistenza della procedura SGS.P.014 non era mai stata messa in discussione.

5.8. Nullità della sentenza impugnata per erronea applicazione dell'art. 185 c.p., e s.s. e comunque per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al capo attinente le statuizioni civili.

Si osserva che, quanto esposto nei motivi precedenti, impone l'integrale riforma anche del capo civile della sentenza impugnata. In ogni caso, la sentenza è nulla nel capo attinente alla condanna civile, per mancanza assoluta di motivazione con riferimento alle censure espresse con riferimento alle statuizioni civili.

5.9. Nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 133 c.p. e per vizio di motivazione, in riferimento al trattamento sanzionatorio applicato al A.A..

Si rileva che i criteri enunciati per formulare un giudizio di equivalenza tra le circostanze si pongono in contrasto coi parametri per la commisurazione della pena. Il risarcimento effettuato dalla società assicuratrice deve ritenersi eseguito personalmente dall'imputato medesimo, se questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio. Peraltro, la gradazione della pena non può essere ancorata all'età della persona offesa (o al suo stato di salute), in contrasto coi principi dell'ordinamento.

6. B.B. (sette motivi di impugnazione).

6.1. Vizio di motivazione e travisamento in relazione all'affermazione di responsabilità dell'imputato.

Si deduce che la procedura SGS.P.014 "Rilascio del Permesso di Lavoro" era conforme alle norme tecniche e agli standard Europei di riferimento (norma tecnica UNI 10449 del 2008) ed idonea a prevenire eventi del tipo di quello verificatosi, in quanto, il Permesso di Lavoro specifico per ogni singola attività disciplinava le condizioni di pericolo in relazione ad ogni operazione e le misure intraprese per fronteggiarle.

In base a tale procedura l'Emittente P.P. si assumeva la responsabilità dell'attuazione della messa in sicurezza, compilando le sezioni B2 e B3 del Modulo, relative alle precauzioni di processo ed operative adottate. A pag. 16 della procedura era previsto che egli definisse e ponesse in atto, con l'ausilio del personale operativo in turno, gli interventi sull'apparecchiatura coinvolta. Nella sua qualità di Emittente e Preposto, egli doveva vigilare sulla corretta esecuzione delle operazioni. L'Operatore di Unità N.N. doveva verificare l'attuazione delle prescrizioni di cui ai punti B2 e B3, prima di sottoscrivere l'autorizzazione ad iniziare i lavori (sezione D).

L'assunto della Corte territoriale, secondo cui l'asserito generico riferimento ad una "apparecchiatura" contenuto nella procedura potrebbe essere fuorviante, contrasta con le precise indicazioni della procedura SGS.P.014, applicabile a tutti i lavori da eseguirsi all'interno del sito, senza distinzione tra apparecchiature, macchine o linee (o porzioni delle stesse), demandando la specifica analisi relativa alla singola operazione da svolgere al Modulo "Permesso di Lavoro", compilato a cura dell'Emittente, persona esperta, rivestendo la qualifica di preposto, e più vicina alla fonte di rischio.

Con il Modulo "Permesso di lavoro" n. 180248 del 21 maggio 2013, relativo alla operazione in oggetto, alla voce "apparecchiatura interessata" era stato indicato "PSV come da elenco": non v'era incertezza, pertanto" su come compilare il modulo (che doveva riguardare tutte le valvole oggetto di intervento) o su come procedere (intercettare tutte le valvole come da elenco). L'indicazione è specifica: le apparecchiature interessate dall'intervento manutentivo avviato il 29.5.2013 erano tredici PSV, indicate in un dettagliato elenco che precisava persino la loro collocazione sull'impianto. L'Emittente, adeguatamente formato in un unico contesto avrebbe dunque dovuto mettere in sicurezza tutte le valvole, senza alcuna distinzione.

Dall'elenco delle valvole allegato al Permesso di Lavoro neppure si può intuire una qualche forma di discriminazione tra valvola e valvola. Ciò conferma come l'Emittente dovesse intercettare tutte le PSV che dovevano essere smontate. Non vi sono equivoci, pertanto, data la chiarezza della procedura, in ordine all'apparecchiatura coinvolta nei lavori ed ai compiti e responsabilità connessi alle operazioni.

6.2. Vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato in punto di individuazione ed assegnazione dei ruoli ai singoli soggetti coinvolti.

Si osserva che la Corte territoriale non ha valutato tali dichiarazioni alla luce del chiaro contenuto della procedura, che non lasciava spazio a dubbi interpretativi nè a possibili fraintendimenti.

La procedura SGS.P.014 pone a carico dell'Emittente l'obbligo non solo di "definire", ma soprattutto quello di "porre in atto, con l'ausilio del personale operativo in turno, gli interventi sull'apparecchiatura coinvolta nel lavoro richiesto, per consentire l'esecuzione del lavoro in sicurezza".

All'Emittente è imposto di attuare le misure di sicurezza previste e, con la sottoscrizione del Quadro B del "permesso di lavoro", l'Emittente (Capo Turno P.P.) attestava di avere adottato e attuato tutte le misure di sicurezza richiamate nel "permesso di lavoro" e in particolare (e per quello che qui interessa) di avere intercettato la linea ("Apparecchiatura/Linea intercettata"). La procedura SGS.P.014 prevede che, successivamente, l'Emittente debba "consegnare o far consegnare al proprio Operatore il Permesso di Lavoro per la verifica dell'avvenuta attuazione delle prescrizioni (Sezioni B2, B3), che dopo la propria firma formalizza l'inizio dei lavori".

La procedura prescrive espressamente l'intervento di una seconda figura, l'Operatore di reparto/unità (nel caso di specie N.N.), che in un secondo momento è tenuta a verificare l'effettiva attuazione di tutte le misure di sicurezza previste dal "permesso di lavoro", prima di autorizzare l'inizio dei lavori. Emittente ed Operatore di Reparto/Unità sono due soggetti diversi e distinti: la procedura, quindi, esclude un'identificazione tra queste due figure.

6.3. Vizio di motivazione con riferimento all'esistenza di una prassi operativa contraria alle regole di sicurezza.

Si rileva che la Corte di appello ha preteso di dimostrare l'asserita carenza della procedura SGS.P.014 "Rilascio del Permesso di Lavoro" dal mero fatto che gli operatori avevano "agito diversamente", incorrendo, così, in un ragionamento circolare.

A questo proposito è citata la dichiarazione del R.R a conferma che i lavoratori "erano convinti che si potesse procedere per gradi", dalla quale, tuttavia, non si può ricavare l'esistenza di una prassi di procedere gradatamente.

Lo smontaggio di gruppi di valvole in uno stesso contesto era già stato realizzato nel passato; ne deriva che le corrette modalità operative non erano sconosciute al personale di raffineria e alle imprese appaltatrici che nel passato avevano sempre svolto le attività di smontaggio delle valvole con modalità analoghe a quelle da realizzare in quest'occasione, ben note ai lavoratori esperti, in quanto conoscevano a fondo l'impianto e le prescrizioni per la messa in sicurezza. Tale prassi di procedere per gradi, inoltre, era stata apertamente esclusa da molti dei testimoni, per cui la motivazione è contraddittoria rispetto alle evidenze dichiarative.

Proprio il teste P.P. il quale affermava che l'operatore di impianto avrebbe dovuto intercettare tutte e tredici le valvole, come prescritto dal Permesso di Lavoro.

Il A.C., dipendente di Api con qualifica di manutentore strumentista, chiariva che l'intervento del (Omissis) riguardava la rimozione di alcune valvole di sicurezza e che anche nel passato per questa stessa operazione erano stati aperti Permessi di Lavoro cumulativi, poichè questa era la procedura nota e consolidata.

Il A.E., responsabile della funzione salute e sicurezza, negava l'esistenza di una prassi di operare valvola per valvola, in quanto detta prassi non era emersa nè in sede di interviste condotte a seguito dell'evento per analizzare le cause e proporre azioni migliorative nè in precedenza, in sede di controlli periodici effettuati dalla stessa funzione EISE. 6.4. Insussistenza dell'elemento soggettivo sotto il profilo della prevedibilità e dell'evitabilità dell'evento; conoscenza o conoscibilità dell'esistenza di una prassi operativa contraria alle regole di sicurezza.

Si deduce che non sussistevano elementi probatori idonei a dimostrare la conoscenza in capo ai dirigenti della Raffineria di una prassi non conforme alla procedura e come non fosse possibile ricavare tale consapevolezza sulla base di inferenze connotate da logicità. La responsabilità dell'B.B. è stata riconosciuta per la mera posizione ricoperta. Non sussistevano elementi, per sostenere che in altre occasioni si fosse operato "valvola per valvola" ovvero mettendo in sicurezza l'intero impianto. L'assenza di incidenti nei casi precedenti di ricorso ai Permessi di Lavoro cumulativi costituisce, viceversa, un indice di correttezza delle modalità esecutive seguite dai lavoratori. Non essendo stati acquisiti elementi di sicura valenza probatoria in ordine all'esistenza della prassi indicata in sentenza di procedere gradatamente alla messa in sicurezza e non essendo stato svolti accertamenti in ordine a come si era proceduto nel passato, la motivazione della sentenza sul punto è del tutto mancante.

6.5. Erronea imputazione soggettiva dell'evento.

Si osserva che la responsabilità dell'evento era ascrivibile al preposto P.P., le cui condotte assumevano rilevanza causale esclusiva nella causazione dell'evento.

La violazione episodica e non prevedibile delle procedure era attribuibile alla sfera di rischio gestibile dal preposto nella fase esecutiva dell'attività. Lo P.P. avrebbe dovuto vigilare sull'applicazione delle disposizioni aziendali nel corso delle operazioni di messa in sicurezza dell'impianto Platforming (112600) del Reparto PRA. Avrebbe dovuto eseguire il depressamento, il vuotamento, l'intercettazione e la ciecatura delle linee e verificare l'effettività del controllo svolto dall'operatore N.N.. Se lo P.P. avesse rispettato la procedura e il N.N. avesse controllato il mantenimento delle condizioni di sicurezza dell'impianto, come aveva dichiarato di aver fatto sottoscrivendo l'autorizzazione all'esecuzione dei lavori, il tragico incidente sarebbe stato evitato. Non essendo derivato l'evento da una scorretta valutazione del rischio o da un difetto organizzativo generalizzato ma da un errore nella esecuzione delle istruzioni datoriali, era impossibile ravvisare profili di colpa a carico dell'B.B..

6.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

Si osserva che la severa valutazione della Corte di appello si è fondata su due sostanziali argomentazioni: il pagamento dei risarcimenti da parte delle compagnie assicurative; la relativa giovane età della vittima. Dette argomentazioni, tuttavia, paiono manifestamente illogiche ed in contrasto coi criteri di valutazione della gravità della condotta di reato al fine della determinazione della pena.

6.7. Erronea applicazione dell'art. 185 c.p..

Si contesta la generica condanna al risarcimento del danno sotto due profili: la totale assenza di motivazione e la mancata esclusione dalle parti risarcibili dell'infante G.P. e dei parenti esterni alla cd. famiglia nucleare (E.E., F.F. e D.D.). Emergeva la totale assenza di motivazione circa le statuizioni civili e la conseguente impossibilita di articolare un'impugnazione motivata: nella sentenza di primo grado, infatti, mancava del tutto una motivazione a sostegno della pronuncia sulla responsabilità civile, con la conseguente nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione. Sennonchè la Corte di appello non ha valutato detto motivo d'impugnazione, limitandosi ad esplicitare le ragioni che la inducevano a ritenere corretta la cd. condanna generica per tutte le parti civili costituite.

7. Responsabile civile API Raffineria di Ancona Spa (tre motivi di impugnazione).

7.1. Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso causale.

Si deduce che il Tribunale aveva individuato la causa dell'incidente nella circostanza secondo cui la valvola, diversamente da quanto attestato nel PDL n. 180248, non era in sicurezza, in quanto la valvola di intercetto non era stata chiusa e che esisteva una procedura specifica per la messa in sicurezza della summenzionata valvola di intercetto (procedura SGS.P.014), che affidava dei compiti specifici a persone individuate nel corso del procedimento, le quali non avevano effettuato quanto previsto e dichiarato nel permesso di lavoro.

Il Tribunale aveva spiegato che le valvole oggetto di manutenzione dovessero essere tutte intercettate prima dei lavori, ma tale procedura non era stata rispettata, ancorchè qualcuno avesse attestato nel permesso di lavoro il contrario. Il Tribunale aveva dunque concluso, affermando in modo netto di condividere il "parere di tutti i tecnici escussi", secondo i quali "la procedura adottata da API consistente nell'intercettazione, depressamento e svuotamento della linea, ove correttamente eseguita avrebbe escluso certamente l'evento infortunistico".

Tutte le precauzioni dettate dalla procedura dovevano essere attuate, senza possibilità di fraintendimenti, prima dell'avvio dei lavori, ma la Corte anconetana si è limitata ad escludere la possibilità di trarre dal testo della procedura tale conclusione, sottraendosi però al confronto con le prove e con le conseguenti ulteriori censure sviluppate nei motivi di appello.

L'intera motivazione addotta dalla Corte territoriale a supporto della ritenuta insufficienza/incongruità/ambiguità della procedura SGS.P.014 riposa, infatti, sull'apodittica affermazione che la mancata "standardizzazione" dei permessi di lavoro "multipli" avrebbe creato un inevitabile margine di incertezza, lasciando nel dubbio gli operatori di campo se si dovesse provvedere (fin da subito) all'intercettazione di tutte le valvole, ovvero se si potesse procedere man mano che i lavori proseguivano.

La procedura SGS.P.014 era univoca nel pretendere l'attuazione di tutte le misure di sicurezza prima dell'avvio dei lavori, circostanza riconosciuta in dibattimento anche dallo stesso consulente del P.M. prof. Y.Y.. Questi aveva riconosciuto e dato atto - nel rispondere alle domande rivoltegli dal P.M. - che non v'erano dubbi sulla circostanza che in base alla procedura ed al permesso di lavoro le misure di sicurezza previste dovessero essere adottate prima dell'avvio dei lavori di manutenzione. Secondo l'esperto nominato dal P.M., la procedura SGS.P.014 ed il permesso di lavoro non erano suscettibili di fraintendimenti, ma richiedevano che tutte le tredici valvole PSV fossero intercettate prima dell'avvio dei lavori.

L'assunto di una "equivocità" della procedura SGS.P.014 era stato smentito anche dai testi, che avevano confermato che tale procedura ed il permesso di lavoro n. 180248 imponevano di intercettare tutte le 13 valvole PSV (ivi compresa la PSV 2651) prima dell'avvio alle attività di manutenzione. La stessa Corte territoriale ha dato atto di ciò, salvo aggiungere che gli operatori in campo (P.P. e N.N.) e gli addetti delle imprese appaltatrici avrebbero fatto altrimenti, perchè "convinti che si potesse procedere per gradi". L'intima contraddizione che mina alla radice il discorso svolto dalla Corte di appello è evidente. Una cosa, infatti, è dare atto che i testi abbiano riconosciuto che "tutte le valvole avrebbero dovuto essere messe in sicurezza prima dell'inizio dei lavori". Altro conto è dare atto che gli operatori di campo P.P. e N.N. abbiano "agito diversamente", disattendendo le indicazioni della procedura e del permesso di lavoro: ciò non significa che - come ha scritto la Corte di appello - ciò sia accaduto perchè "convinti che si potesse procedere per gradi". Le procedure di sicurezza e le indicazioni che vi sono contenute, infatti, possono essere disattese dai lavoratori per ragioni non ricollegabili alla loro chiarezza ed idoneità (si pensi, ad esempio, alle violazioni dovute a pigrizia).

Lo P.P. era l'Emittente del Permesso di lavoro 180248: cioè colui che, secondo la procedura SGS.P.014 - avrebbe dovuto "definire e porre in atto, con l'ausilio del personale operativo di turno, gli interventi sulle apparecchiature coinvolte nel lavoro richiesto, necessari per eseguire il lavoro in sicurezza". Proprio lo P.P., destinatario della procedura SGS.P.014 che avrebbe dovuto assicurare l'attuazione delle misure di sicurezza consistenti nell'intercettazione delle tredici valvole PSV (fra cui la PSV 2651), dava atto che il 29 maggio 2013 (cioè, il giorno prima dell'evento) l'operatore di reparto avrebbe dovuto intercettare tutte le tredici valvole. Di fronte a questa circostanza - puntualmente dedotta dalle difese nei motivi di appello - la Corte di appello, nell'intento di accreditare la propria ricostruzione, non ha esitato a travisare il significato di quelle dichiarazioni, lasciando intendere che lo P.P. avrebbe solo inteso confermare che, per mettere in sicurezza tredici valvole PSV, sarebbe stato necessario chiudere altrettante valvole di intercetto.

Anche le dichiarazioni rese dallo P.P. (come quelle del consulente del P.M., prof. Y.Y.), dunque, evidenziano che l'assunto su cui la Corte di appello ha costruito la pronuncia di responsabilità degli odierni imputati - e cioè, la pretesa ambiguità della procedura e le incertezze operative conseguenti alla mancata regolamentazione dei permessi di lavoro "multipli" - è un'illazione, positivamente smentita dagli elementi probatori. E attestano conseguentemente la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata.

Lo stesso P.P. - che avrebbe dovuto assicurare l'attuazione delle misure di sicurezza - dimostrava, infatti, di sapere perfettamente non solo le misure di sicurezza previste per eseguire i lavori in sicurezza e di essere consapevole che tutte le misure di sicurezza avrebbero dovuto essere attuate il 29 maggio 2013 prima dell'avvio dei lavori di manutenzione. Lo P.P. non aveva fatto riferimenti ad una messa in sicurezza "per gradi" delle valvole di sicurezza (cioè, in parallelo al progredire dei lavori di manutenzione), ma aveva dato atto che l'operatore di impianto avrebbe dovuto mettere in sicurezza tutte le tredici valvole ("Doveva intercettare tredici valvole", "Io dicevo tutte quante") il 29 maggio 2013, prima di far partire i lavori.

Anche i testi A.C. (assistente tecnico di manutenzione), A.D. (Responsabile HSE fino al 2008) e A.E. (allora Responsabile della funzione HSE) avevano confermato che, secondo la procedura SGS.P.014, le misure di sicurezza indicate nel permesso di lavoro dovevano essere tutte attuate prima dell'avvio dei lavori. Anche a dare per buona la ricostruzione ribadita dalla Corte distrettuale - e già prospettata nella sentenza di primo grado - secondo la quale la procedura SGS.P.014 avrebbe determinato l'insorgere (per usare le parole del giudice di appello) di "inevitabili equivoci ed ambiguità", lasciando così nel dubbio gli operatori API se si dovesse provvedere da subito all'intercettazione di tutte le valvole o si potesse procedere per gradi (in parallelo al progredire dei lavori), l'osservanza della procedura SGS.P.014 nella parte in cui disciplina la "ripresa dei lavori" avrebbe con certezza impedito l'evento.

7.2. Vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.

Si osserva che non si giustificava il significativo scostamento dai minimi edittali di pena in ragione della liquidazione dei danni da parte delle compagnie assicurative della responsabile civile e dell'aspettativa di vita della persona offesa.

7.3. Erronea applicazione dell'art. 185 c.p. e mancanza della motivazione.

Si contesta la generica condanna al risarcimento del danno per la mancata esclusione dalle parti risarcibili dell'infante (G.P.) e dei parenti esterni alla cd. famiglia nucleare (E.E., F.F. e D.D.).

8. Con memoria difensiva le parti civili C.C., E.E., F.F. e D.D. chiedono il rigetto dei ricorsi.

Si rileva che la responsabilità degli imputati è stata riconosciuta sulla base di valutazioni sostanzialmente congrue, logiche, aderenti al materiale istruttorio raccolto e atte a sorreggere il percorso argomentativo seguito. L'infortunio mortale non era stato frutto di improvvide ed imprevedibili iniziative di singoli lavoratori coinvolti nelle attività di manutenzione in corso, quanto di gravi falle esistenti in materia nelle procedure antinfortunistiche predisposte dall'API e nella loro attuazione.

Il dato inequivocabile, mai contestato dai ricorrenti nel corso dei due precedenti gradi di giudizio, è quello che la valvola di intercettazione, nell'impianto attivo e funzionante, era aperta. Il lavoro di manutenzione delle valvole di sicurezza avrebbe potuto essere svolto prima dell'accensione dell'impianto vapore in condizioni di assoluta sicurezza soprattutto per il lavoratore; la scelta di compiere siffatte operazioni di manutenzione con l'impianto invece attivo senza un preventivo obbligo di informazione e coordinamento era riconducibile alla responsabilità dell'API, la quale aveva predisposto un permesso di lavoro unico, e non multiplo rivelatosi del tutto insufficiente, inadeguato ed inadatto, come affermato nella sentenza del G.U.P. del Tribunale di Ancona di assoluzione del N.N..

La scelta del veloce riavvio dell'impianto a vapore con lo scopo di accelerare le operazioni di avviamento degli impianti di raffinazione, ricadeva sui vertici dell'API, che aveva badato a contenere il tempo ed i costi.

La responsabilità di voler effettuare il lavoro di manutenzione su un elevato numero di valvole con un unico PdL, con evidente aumento di rischio di errori, era riconducibile all'API per le considerazioni ampiamente trattate dai giudici di merito. Avrebbe dovuto concretamente ed adeguatamente vigilare sulla corretta esecuzione della messa in sicurezza delle valvole da smontare, controllando la chiusura delle valvole di intercettazione.

Il DUVRI, infatti, non può essere surrogato dal Permesso di Lavoro, perchè quest'ultimo documento è interamente gestito da soggetti privi di qualifica dirigenziale, mentre l'obbligo di adozione e aggiornamento del DUVRI fa capo al datore di lavoro e per espressa previsione normativa non è delegabile.

L'API non aveva mai ottemperato alla prescrizione impostagli. Stante l'incompletezza e la superficialità della documentazione afferente alla valutazione dei rischi specifici, la responsabilità doveva essere ascritta all'API ed ai suoi vertici apicali.

Dal verbale di prescrizioni ASUR - Prot. n. 86416 del 23 luglio 2013 - emergevano i profili di responsabilità dell'API Spa Con detto Verbale si contestava al A.A. di non aver individuato una procedura di sicurezza" sul rilascio del Permesso di Lavoro, sufficientemente esaustiva che tenesse conto della gestione di Permessi relativo ad interventi multipli o cumulati, contemporanei e protratti per più turni di lavoro dopo quello dell'operatore di unità in turno che ha autorizzato l'avvio del lavori.

Il lavoro di manutenzione della valvole di sicurezza avrebbe potuto essere svolto prima dell'accensione dell'impianto vapore in condizioni di assoluta sicurezza; la scelta di compiere siffatte operazioni di manutenzione con l'impianto attivo, senza preventivi obblighi di informazione e coordinamento era riconducibile alla responsabilità dell'API. Gli addebiti di colpa erano ascrivibilli in primo luogo all'B.B., Dirigente del Settore Operazioni, in quanto aveva firmato sotto la dicitura "approvato" la Procedura SGSP014, risultata inadeguata, quanto alla disciplina dei Permessi di Lavoro "cumulativi", sia in quanto Dirigente del Settore Responsabile della messa in sicurezza per operazioni di quel tipo.

L'inadeguatezza della procedura costituisce altresì addebito di colpa a carico del A.A. per via dell'inadeguatezza della procedura SGSP014 in quanto le procedure di sicurezza, per quanto non specificatamente approvate e sottoscritte dall'Amministratore Delegato API, appartengono al DUVRI (in cui è richiamata la suindicata procedura) che, come detto sopra, il cui obbligo di adozione e aggiornamento fa capo al datore di lavoro e, per espressa previsione normativa, non è delegabile.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono infondati.

Col primo e col secondo motivo del ricorso proposto da A.A. e col primo motivo del ricorso dell'API si formulano plurimi distinti rilievi in ordine al tema della (pretesa) inidoneità ed ambiguità della procedura SGS.P.014, in quanto essa contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello - prevedeva la necessità di attuare tutte le misure di prevenzione prima dell'avvio dei lavori. Tale dato sarebbe confermato dalle dichiarazioni del C.T. del P.M. Y.Y., del teste P.P. e di altri testi. Inoltre, col quarto motivo del ricorso dell'B.B. si sostiene che la procedura di ripresa dei lavori contemplava l'esigenza di provvedere in via prioritaria all'intercetto delle valvole e che non esisteva una prassi di disporre l'intercetto delle valvole di volta in volta.

Contrariamente a quanto evidenziato dalla difesa, la Corte territoriale ha chiarito, con motivazione ampia ed esauriente, le ragioni per le quali ha ritenuto il rilascio dei permessi di lavoro multipli non previsto e regolato in una procedura ben definita.

Si è evidenziato che, in caso di interventi erano multipli per apparecchiatura poteva intendersi un'intera linea o la singola parte di essa interessata dai lavori (nel caso di specie la singola valvola che, pure, costituiva anch'essa un'apparecchiatura), per cui permaneva un'insormontabile incertezza se, in un caso quale quello in esame, si fosse dovuti intervenire ad isolare l'intera linea di vapore sulla quale erano situate diverse valvole di sicurezza, oppure agire via via sulle singole valvole di intercettazione e di dreno poste prima e dopo la singola apparecchiatura (o valvola) da smontare, tanto più laddove non si trattava di effettuare un'operazione unica (come, ad es., quella di chiudere una valvola generale posta a monte dell'impianto), ma, appunto, di intervenire su singole valvole (di intercetto e di dreno) poste a monte e a valle di ciascuna di quelle da sostituire.

Si è precisato altresì che le affermazioni del C.T. della difesa in ordine alla sussistenza delle condizioni (apparecchiature che insistono sullo stesso impianto/unità, apparecchiature simili tra loro, tipologie di lavoro omogeneo/ripetitivo...) che, nel frangente specifico, avrebbero legittimato l'utilizzo dei permessi di lavoro multipli o cumulativi in realtà riguardavano modelli teorici non concretizzatisi in una specifica procedura elaborata dall'API, lasciando così aperti inevitabili spazi esecutivi caratterizzati dalla massima ambiguità e soggettività.

La Corte territoriale ha illustrato la notevole diversità tra un lavoro che può essere svolto intercettando a monte un impianto con una singola operazione ed un lavoro multiplo che richiede il previo intercetto (a monte e a valle) di tredici + tredici diverse valvole poste in zone diverse e, soprattutto, ad altezze molto diverse di un determinato impianto e, quindi, un'attività di prevenzione in realtà diversificata, perchè si trattava di recarsi in 13 + 13 diversi punti e operare su diversi marchingegni (vale a dire sulle valvole sia di intercetto, che di sfogo del vapore rimasto nelle tubature).

Nella sentenza impugnata si è correttamente evidenziato che i permessi multipli, sebbene non censurabili in astratto, avrebbero dovuto essere previsti e regolamentati in maniera specifica prima del loro concreto utilizzo, per stabilire i casi nei quali erano applicabili senza rischi (e non è detto che quello in esame lo fosse, per le ragioni appena esposte) e l'adozione di appositi moduli che, indipendentemente dalla loro lunghezza o dalla loro complessità, avrebbe dovuto, immancabilmente specificare gli "apparecchi" (ossia, nel caso di specie, quali valvole) intercettati e da chi.

Inoltre, si sarebbe dovuto precisare espressamente se occorreva mettere previamente in sicurezza tutte le valvole da sostituire nei casi di lavoro non completato in un solo giorno, ovvero procedere per gradi, mettendo via via in sicurezza solo le valvole sulle quali si andava ad operare, non potendosi certo desumersi implicitamente dalla procedura standardizzata relativa ai permesso di lavoro ed al relativo modello, essendo entrambi stati concepiti per un singolo intervento e non già per interventi multipli che riguardavano plurime apparecchiature. Un conto è un intervento (anche protratto magari per più giorni) limitato ad una certa - singola - apparecchiatura o macchinario e un conto un intervento che, come nel caso di specie, riguardava, invece, diverse apparecchiature richiedenti singole operazioni di messa in sicurezza per ciascuna di esse.

Si è spiegato esaurientemente che gli esperti sentiti in dibattimento avevano ovviamente affermato che - in teoria - tutte le valvole dovevano essere messe in sicurezza prima dell'inizio dei lavori, mentre in realtà lo P.P., il N.N., il responsabile dell'esecuzione dei lavori R.R e tutti gli altri addetti della ditte appaltatrici (che pure seguivano i corsi di formazione e di informazione organizzati dall'Api) erano convinti di poter agire per gradi; (o P.P. aveva risposto che tutte le valvole dovevano essere messe preventivamente in sicurezza rispetto alla domanda "se si dovevano rimuovere valvole di sicurezza, quante valvole di intercetto bisognava azionare?", per cui era ovvio che rispondesse "tredici". Nonostante i corsi e l'attività di formazione si era formata tale convinzione e si era determinata una prassi sistematicamente seguita.

Tale dato era confermato dal teste V.V., che attestava l'avvenuto depressamento dell'apparecchiatura, cioè oggetto di intercetto limitatamente alle tre o quattro valvole sostituite quel giorno e non a tutte quelle da sostituire. Le sue dichiarazioni riscontrate dal teste Z.Z.. Secondo la Corte distrettuale, da tali dichiarazioni si evinceva la consapevolezza del N.N. della mancata messa in sicurezza delle valvole, proprio perchè era usuale procedere step by step. Si è specificato che il Manuale del sistema di gestione salute e sicurezza ambiente API, diversamente dalla tesi prospettata dai testi indotti dalla difesa, non prevedeva che, in caso di lavori da eseguirsi su più apparecchiature, le stesse dovessero essere tutte intercettate in precedenza, per cui la scelta avventata degli operatori di procedere per gradi non integrava una prassi consapevolmente attuata in spregio alle direttive e/o alla formazione ricevuta. Si è così logicamente spiegata la ragione della ritenuta irrilevanza delle testimonianze citate dalle difese degli imputati e dell'API. Inoltre, la Corte territoriale ha sufficientemente illustrato le ragioni della ritenuta irrilevanza della sottoscrizione di un nuovo modulo ai fini della ripresa dei lavori da parte dello P.P. e del N.N.. Stante l'incertezza sulla procedura da seguire, infatti, era impossibile riversare la responsabilità in via esclusiva a tali soggetti.

La Corte distrettuale ha tratto logicamente conferma della distorsione derivante dalla prassi dei permessi multipli - non codificata nelle procedure ed individuata quale falla del sistema - dalla decisione di reintrodurre la prassi dei permessi singoli dopo l'incidente.

Dalla lettura della sentenza impugnata, peraltro, è emerso che tali prassi di esecuzione degli interventi sulle valvole da parte del personale della FERPLAST fosse costante e generalmente adoperata (da qui anche le ragioni per le quali tale attività non completata il giorno precedente era poi proseguita il giorno dell'infortunio sempre con personale della FERPLAST). Il personale dell'API non aveva mai effettuato tali operazioni sulle valvole in altre occasioni e, pertanto, la FERPLAST aveva sempre agito senza attendere l'intervento di altri.

2. Col terzo, col quarto e col quinto motivo del ricorso del A.A. si prospettano plurime doglianze attinenti al tema della causalità, alla posizione di garanzia ed alla prevedibilità dell'evento.

2.1. Si deduce l'impossibilità di rimproverare al A.A. la mancata esplicitazione nel DUVRI della presenza del vapore, in quanto le misure di cautela ivi indicate con riferimento alla possibile presenza di sostanze pericolose ("svuotamento, depressamento e bonifica delle apparecchiature") richiedevano ed imponevano in ogni caso come misura di cautela - l'intercettazione della linea mediante la chiusura delle valvole di intercettazione (ivi comprese quelle a monte della PSV 2651).

Al riguardo, la difesa del A.A. ha richiamato le dichiarazioni del teste P.P., secondo cui il depressamento comprenderebbe l'intercetto, dato che tuttavia non appare agevolmente ricollegabile alle sue dichiarazioni. Al riguardo, sono riportate nella sentenza impugnata le dichiarazioni del teste V.V., secondo il quale si procedeva man mano al depressamento, ma non emerge la dedotta coincidenza tra tali due operazioni.

2.2. Si evidenzia che nel Duvri era richiesta l'intercettazione della linea mediante la chiusura delle relative valvole, per cui l'esplicito inserimento della presenza del vapore non avrebbe modificato la situazione.

In proposito, questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro è tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori; il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355).

E ha altresì precisato che, nel caso in cui la lavorazione comporti un numero elevato di azioni ripetitive, è obbligo del datore di lavoro, quale titolare della posizione di garanzia, prevenire il concretizzarsi di rischi riguardanti la verificazione anche di un "evento raro" la cui realizzazione non sia però ignota all'esperienza e alla conoscenza della scienza tecnica e, una volta individuato il rischio, predisporre le misure precauzionali e procedimentali, ove necessarie, per impedire l'evento (Sez. 4, n. 27186 del 10/01/2019, D'Ottavio, Rv. 276703, relativa a fattispecie in tema di omessa valutazione del rischio di esplosione verificatasi per l'omessa adozione di procedimento da seguire durante l'operazione, svolta quotidianamente e sempre con le medesime modalità, di pulitura di una pressa ad iniezione, necessitata, nel caso di specie, dalla formazione di un grumo di materiale plastico all'interno che aveva occluso sia un ugello, sia il foro di ingresso del materiale, evenienza, quest'ultima, rara, ma non straordinaria in quanto verificatasi, altrove, sul medesimo macchinario, almeno altre due volte negli ultimi trent'anni).

La Corte territoriale si è allineata a tali superiori principi, sottolineando la carenza del DUVRI e l'esigenza che questo contemplasse anche la procedura di sicurezza, occorrendo verificarne effettivamente l'efficacia e dovendo lo stesso considerare anche un rischio remoto di un incidente del tipo di quello verificatosi. L'indicazione della fonte di pericolo costituita dalla possibile emissione del vapore bollente avrebbe consentito di allertare maggiormente i lavoratori e prevenire possibili infortuni derivanti dal mancato uso di DPI. Nella sentenza impugnata si è esclusa ogni valenza significativa del sistema dei controlli esterni operante per l'API (e le relative certificazioni), non potendo essere valutati nella presunta validità della procedura adottata in caso di permessi cumulativi per lavori multipli, poichè la stessa, come si è detto, in realtà era solo, una "prassi" di fatto non previamente pianificata e formalizzata nè la questione connessa al mancato aggiornamento del DUVRI ed alla mancata indicazione in esso dei pericolo di fuoriuscita di vapore ustionante dalle valvole, giacchè si trattava di un'eventualità sostanzialmente non riportata (o, comunque, non dovutamente evidenziata nei citato documento), essendo stato concepito il DUVRI operante e sottoposto all'attenzione dei preposti all'attività di verifica, come se i lavori in oggetto dovessero essere effettuati a linea di vapore disattivata.

2.3. Quanto al tema delle elevate dimensioni e della complessità dell'impresa, la Corte territoriale ha sottolineato che anche l'amministratore delegato non poteva essere esonerato da responsabilità, in quanto il sistema di sicurezza rappresentato dal DUVRI, dal PSC e dal PDL prevedeva l'esecuzione dei lavori periodici in oggetto ad impianto di vapore spento (ovvero senza rischi possibili di fuoriuscita di vapore). La decisione di procedere, invece, ad impianto ausiliario funzionante aveva costituito una scelta gestionale adottata a livello apicale o, comunque, quanto meno previa interlocuzione e benestare anche dei vari livelli dirigenziali dell'azienda, ivi compreso l'amministratore delegato, a capo di tutte le procedure anche sotto il profilo antinfortunistico.

Secondo la sentenza impugnata, anche in considerazione del carattere periodico dei lavori, l'imputato era consapevole di tale scelta e dei rischi derivanti, ma, nonostante ciò, non aveva aggiornato il DUVRI e, per impulso, i documenti che da esso promanavano; inoltre, la prassi dei permessi multipli era diffusa all'interno della raffineria (come confermato anche dal teste A.C. nel corso della sua deposizione), per cui l'amministratore delegato non poteva ignorarla e avrebbe dovuto adottare adeguate iniziative propulsive.

Si trattava, quindi, di una prassi ripetuta nel tempo e generalizzata che avrebbe imposto l'adozione delle misure necessarie ad evitare infortuni del genere di quello verificatosi ai danni del Q.Q.. La Corte territoriale, con motivazione logica ed esauriente, ha chiarito che in ragione della diffusione della prassi da lungo tempo e del particolare rilievo di tale modalità operativa all'interno della raffineria, la mancata partecipazione del A.A. alla redazione del DUVRI e l'esistenza di altri soggetti suoi sottoposti o delegati non gli consentivano di sottrarsi alle responsabilità derivanti dalla sua posizione di garanzia.

2.4. La questione in ordine alla non conoscenza della prassi dei permessi multipli da parte del A.A. è stata ritenuta logicamente priva di rilievo, in quanto, in relazione alla posizione del A.A., il problema prioritario era costituito dall'incertezza della procedura posta in essere nel caso specifico.

3. Col settimo motivo di ricorso, il A.A. si duole della declaratoria di prescrizione relativamente alla contravvenzione di cui al capo C) riguardante l'omessa individuazione di una procedura di sicurezza sufficientemente esaustiva, che tenesse conto della gestione di permessi di lavoro relativi ad interventi multipli o cumulati.

Si sottolinea che la dizione di mancata individuazione procedura "sufficientemente esaustiva" contenuta nel suddetto capo di imputazione lascerebbe presupporre l'esistenza di una disciplina - seppur incompleta - per cui non risulterebbero integrati i presupposti della contravvenzione in questione, di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, comma 2, lett. d), e art. 55, comma 3.

In realtà, l'espressione procedura "sufficientemente esaustiva" è riferibile ai permessi di lavoro in generale. Dalla lettura completa del capo di imputazione si evince che la contestazione riguarda chiaramente la totale mancanza di previsioni quanto alla materia della "gestione" dei permessi di lavoro relativi ad interventi multipli cumulati.

Per le ragioni esposte nei paragrafi precedenti deve rilevarsi che, nella fattispecie in esame, l'assoluta carenza di una procedura di sicurezza in materia di gestione di permessi di lavoro è effettivamente riscontrabile. Ne consegue la correttezza della pronunzia emessa dalla Corte di merito di non doversi procedere relativamente alla contravvenzione di cui al capo C).

4. Col primo motivo del ricorso, l'B.B. deduce che la procedura SGS.P.014 "Rilascio del Permesso di Lavoro" era conforme alle norme tecniche e agli standard Europei di riferimento, per cui non gli poteva essere contestata la sottoscrizione della medesima in qualità di dirigente del settore operazioni.

Col secondo motivo del ricorso dell'B.B. si sostiene che la procedura in questione contemplava necessariamente l'impiego di distinti soggetti per il completamento della medesima, per cui non sussistevano rischi di coincidenza tra il controllore ed il controllato.

Va premesso che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza (Sez. 4, n. 35858 del 14/09/2021, Tamellini, Rv. 281855 fattispecie in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, in relazione all'infortunio occorso al conducente di un trattore, deceduto per non aver fatto uso della cintura di sicurezza, ravvisando la colpa del datore di lavoro nell'omessa nomina di un preposto, nonostante la sua conoscenza della prassi instauratasi in relazione all'inosservanza dell'obbligo di allacciare le cinture di sicurezza, a fronte della quale egli si era limitato a ricorrere a richiami verbali del lavoratori).

Quanto alla fattispecie in esame, l'esecuzione delle attività di manutenzione affidate in appalto a imprese esecutrici esterne di regola doveva essere autorizzata tramite il previo rilascio di apposito Permesso di Lavoro (PdL) previsto e disciplinato dalla procedura API denominata SGS.P.014.

Il Tribunale aveva rilevato che, anche volendo ritenere il rilascio di un unico permesso cumulativo un metodo effettivamente razionale, quando devono essere effettuate lavorazioni ripetitive, che tale possibilità avrebbe però dovuto essere, prevista, tipizzata e disciplinata ad hoc nella procedura SGS.P.014.

La responsabilità dell'B.B., che aveva approvato, apponendo la propria firma, la procedura SGS.P.014 per il rilascio del permesso di lavoro, ritenuta inadeguata, era stata riconosciuta in ragione della sua qualità di dirigente del settore responsabile della messa in sicurezza per operazioni di quel tipo e di dirigente del settore operazioni, direttamente coinvolto nei lavori in oggetto. Essendo emerso che anche in passato erano stati effettuati lavori manutentivi su gruppi di valvole, l'B.B., visto il ruolo di garanzia ricoperto, era tenuto ad avvedersi della diffusione nella raffineria di una prassi distorta nell'ipotesi di rilascio di permessi cumulativi.

Il datore di lavoro, infatti, ha l'obbligo di prevedere e prevenire le prassi distorte, anche nel caso in cui le stesse si siano instaurate con il consenso del preposto. In tali situazioni, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno al dovere di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso l'opportuna sorveglianza integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.

Se si esamina la citata procedura SGS.P.014 relativa al rilascio del permesso di lavoro, si legge quanto segue con riferimento alle responsabilità e ai compiti dell'emittente (che nel caso di specie, lo si rammenta, era il dipendente Api P.P.): "definire e porre in atto, con l'ausilio del personale operativo di turno, gli interventi sulla apparecchiatura coinvolta nel lavoro richiesto, necessari per eseguire il lavoro in sicurezza "(paragrafo 5.3.1.).

Dunque, a differenza di quanto sostenuto dalle difese, lo P.P. non era tenuto a porre in essere tali interventi preventivi, ma poteva farlo anche con l'ausilio del (ovvero delegandone la concreta esecuzione al) personale operativo di turno (nel caso di specie l'operatore N.N.).

Lo P.P., quindi, non mentiva quando aveva affermato di aver incaricato il N.N. di intervenire sulle valvole di intercetto, che avrebbero dovuto evitare la fuoriuscita di vapore dalle valvole di sicurezza che il giorno dell'infortunio avrebbero dovuto essere asportate dai dipendenti FERPLAST, ma evidentemente una simile procedura poteva comportare il rischio che il soggetto concretamente incaricato di adottare le "precauzioni di processo ed operative" determinanti sotto il profilo antinfortunistico fosse lo stesso che, compilando subito dopo il riquadro D) del permesso di lavoro, attestava di avere verificato l'attuazione delle prescrizioni/precauzioni antinfortunistiche ed autorizzava l'esecuzione dei lavori. Quindi, senza strappi rispetto alla procedura pianificata relativa al permesso di lavoro, vi poteva essere una completa identificazione tra chi attuava le precauzioni e chi controllava che fossero attuate e, pertanto, di fatto, l'assenza di controlli, anche perchè, in ogni caso, il controllo ed il via ai lavori sarebbero stati affidati a quella che era "l'ultima ruota del carro", vale a dire il N.N., pacificamente privo della qualifica di preposto.

Da qui gli evidenti limiti e l'incongruità della procedura che era stata approvata, tra gli altri, e che rientrava nelle specifiche competenze dell'B.B., trattandosi di figura istituzionalmente deputata alla vigilanza dell'osservanza delle misure di prevenzione.

La Corte distrettuale, pertanto, ha compiutamente descritto le circostanze obiettive che confermavano la pericolosità della prassi adottata e dell'incertezza operativa che la stessa, neppure adeguatamente formalizzata, determinava tra gli operatori.

Quanto al tema del rischio di impiego del medesimo soggetto in posizione di controllore e controllato, in assenza di plausibili spiegazioni alternative la motivazione dei giudici appare del tutto lineare e coerente con le emergenze in atti. La difesa in realtà prospetta una non consentita diversa interpretazione dei fatti, non suscettibile di essere delibata in questa sede al cospetto di una motivazione sorretta da logiche argomentazioni.

5. Col quinto motivo del ricorso dell'B.B. si sostiene che la responsabilità per l'evento mortale doveva essere attribuita interamente al preposto P.P..

Va rammentato che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente, sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire all'individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi l'osservanza di tali misure da parte dei lavoratori.

Nella maggioranza dei casi, tuttavia, la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d)); i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, comma 1, lett. e)).

Pertanto, già nel tessuto normativo è prevista la vigilanza del datore di lavoro attuata attraverso figure dell'organigramma aziendale che - perchè investiti dei relativi poteri e doveri - risultano garanti della prevenzione a titolo originario. Il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577).

Prendendo atto di tali previsioni, questa Corte ha già affermato il principio secondo il quale, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972).

Pertanto, anche in relazione all'obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in considerazione; il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli.

Ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo o di lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960, in un caso di omicidio colposo; in conformità, in un'ipotesi di lesioni colpose, Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004, Policarpo, Rv. 228344; principio risalente a Sez. 4, n. 17941 del 16/11/1989, Raho, Rv. 182857).

Ciò posto sui principi operanti in materia di preposti e di prassi lavorative, la Corte di merito ha configurato un addebito di colpa anche all'B.B., quale dirigente del settore Operazioni, sia in quanto aveva firmato sotto la dicitura "approvato" la procedura SGS.P.014, inadeguata in quanto carente nei termini sopra specificati quanto alla disciplina dei PdL "cumulativi", sia in quanto dirigente del settore responsabile della messa in sicurezza per operazioni di quel tipo (v. pag. 24 deposizione del C.T. Y.Y. verbale stenotipico del 26 ottobre 2017, e deposizione X.X. verbale stenotipico del 17 maggio 2018).

Si è osservato che non si trattava della prima volta di esecuzione di lavori di quel tipo su gruppi di valvole, per cui egli avrebbe dovuto avvedersi (in quanto in condizioni di farlo) della prassi distorta e della totale confusione degli operativi in ordine alla procedura da seguire nei casi, come quello di specie, di PdL "cumulativi".

Il datore di lavoro, invero, ha l'obbligo di prevedere e prevenire anche le prassi di lavoro distorte, foriere di pericoli, come di fatto verificatosi nel caso di specie.

La Corte territoriale, quindi, ha riconosciuto mediante idoneo apparato argomentativo l'esistenza di una prassi contra legem, seguita ripetutamente e, pertanto, conoscibile da parte dei vertici aziendali.

Si è quindi dimostrato che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, pur errando nel non verificare la messa in sicurezza di tutte le valvole, non aveva violato una procedura esistente, in quanto quella in essere era totalmente carente e lacunosa e non stabiliva indefettibilmente ed esplicitamente la necessità di un'operazione preventiva di intercetto di tutti i meccanismi. La prassi di effettuare la messa in sicurezza delle valvole volta per volta era particolarmente pericolosa per gli addetti e sostanzialmente tollerata dalle società, le quali non predisponevano le opportune precauzioni per scongiurarne l'utilizzo e non sorvegliavano adeguatamente l'operato dei dipendenti.

La prassi distorta consentiva una decisione estemporanea: la possibilità per il lavoratore di decidere come gestire la propria attività e di scegliere nell'ambito di una lavorazione da svolgere in più giorni quali valvole mettere in sicurezza. Si tratta di fattori di notevole criticità adeguatamente rappresentato dalla Corte anconetana.

6. Col nono motivo del ricorso del A.A., col sesto motivo del ricorso dell'B.B. e col secondo motivo di ricorso dell'API si censura la mancata formulazione di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata circostanza aggravante.

Va premesso che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 31543 dell'08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450).

In tema di concorso di circostanze, peraltro, il giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato, quando il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale previsto dall'art. 69 c.p. scelga la soluzione dell'equivalenza, anzichè della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017, Pistilli, Rv. 270481).

Ciò posto, nella fattispecie, la Corte di appello ha logicamente ritenuto di formulare un giudizio di equivalenza, alla luce dei seguenti fattori considerati particolarmente significativi: la pluralità, la gravità e l'esclusiva rilevanza causale delle accertate violazioni di regole antinfortunistiche caratterizzanti la vicenda criminosa. Ha valutato altresì che i risarcimenti non erano stati effettuati direttamente dagli imputati, ma dalle compagnie assicurative della responsabile civile, con solo marginale coinvolgimento dei primi e l'aspettativa di vita della vittima (uomo sano di soli 53 anni).

La motivazione, pertanto, è ben più ampia ed articolata rispetto a quanto indicato nel ricorso.

I ricorrenti si limitano a valutare diversamente i medesimi elementi ritenuti significativi nella sentenza impugnata e ad enunciare fattori a loro favorevoli, ai quali è stato legittimamente attribuito minor rilievo dalla Corte di merito. Inoltre, le difese circoscrivono le proprie censure alle argomentazioni in tema di modalità del risarcimento e di età della vittima illustrate dalla Corte di merito, la quale, al contrario, ha assegnato rilievo decisivo soprattutto ai fattori inerenti alla gravità oggettiva della vicenda criminosa.

7. Con l'ottavo motivo del ricorso del A.A., col settimo motivo del ricorso dell'B.B. e col terzo motivo del ricorso dell'Api, si censurano le determinazioni della Corte anconetana attinenti alle statuizioni civili.

Va ricordato che la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato l'accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l'entità del danno, ivi compresa la possibilità di escludere l'esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all'evento illecito (Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, Bertini, Rv. 265637; vedi anche Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 45118 del 23/4/2013, Di Fatta, Rv. 257551; Sez. 4, n. 20231 del 3/4/2012, Piazze, Rv. 252683).

Il diritto al risarcimento dei danni morali in caso di morte prescinde dalla valutazione dei rapporti di convivenza fondandosi sulla definitiva perdita di un legame di affectio familiaris da cui deriva l'incisione dell'interesse all'integrità morale, ricollegabile all'art. 2 Cost. ed al diritto all'intangibilità della sfera degli affetti, sicchè non rileva la frequenza dei tempi nei quali si coltivi la relazione familiare affettiva, ma unicamente la perdita di tale relazione, intesa come "punto di contatto emotivo e sentimentale", senza che essa debba essere stata supportata da frequentazioni o da condivisione, anche sporadica, di momenti di vita (Sez. 5, n. 18048 del 01/02/2018, S., Rv. 273746, relativa a fattispecie di scarsa o assente frequentazione dei familiari con la vittima ed a conflittualità caratteriale e dissapori con essa, che la Corte ha ritenuto irrilevante in astratto ai fini della configurabilità del diritto al risarcimento.

E' legittima, peraltro, la costituzione di parte civile nel processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato (nella specie figlio della moglie di quest'ultimo), al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali, considerato che la definitiva perdita di un rapporto di affectio familiaris può comportare l'incisione dell'interesse all'integrità morale, ricollegabile all'art. 2 Cost., sub specie di intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ex art. 2059 c.c., mentre è, in tal caso, escluso il risarcimento dei danni patrimoniali. (Sez. 4, n. 20231 del 03/04/2012, Piazze, Rv. 252683, relativa a fattispecie in cui, in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ammesso la costituzione di parte civile del figlio non convivente della moglie della vittima di un incidente stradale).

La Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali qui sopra riportati, riconoscendo il diritto al risarcimento in via generica ai soggetti legati alla vittima da un rapporto non stretto di parentela, restando comunque salva la possibilità per il giudice civile di valutare l'eventuale inesistenza in concreto di un danno risarcibile.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali nonchè tutti in solido, compreso il responsabile civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle seguenti parti civili: - G.G. e H.H., difesi dall'avvocato Frassanito Roberto, nella qualità di titolari della responsabilità genitoriale nei confronti del minore P.G., che liquida in complessivi Euro tremila, oltre accessori di legge; C.C., E.E., D.D., difesi dall'avvocato Zecca Massimo che liquida in complessivi Euro quattromilaottocento oltre accessori di legge. Condanna, inoltre, i predetti ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile F.F., difeso dall'avvocato Zecca Massimo M. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Ancona con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2023

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