Sentenza CP n. 32261 del 25 luglio 2023
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Sentenza Cassazione Penale n. 32261 del 25 luglio 2023
ID 20672 | 28.10.2023
Cassazione Penale Sez. 5 del 25 luglio 2023 n. 32261
Falsità ideologica per rilascio attestato corsi di formazione non effettuato
1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Torino ha confermato la decisione del Tribunale di Aosta con cui, a esito di giudizio ordinario, A.A., era stato ritenuto responsabile del delitto di cui agli artt. 110, 483 c.p., per avere, in qualità di datore di lavoro, falsamente attestato la partecipazione ai corsi di formazione presso la Edilcave Srl dei dipendenti B.B., C.C. e D.D..
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. Navarra Orlando, affidando le proprie censure ai tre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte omesso di motivare il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni dei testi con cui la società amministrata dall'imputato ha contenziosi in corso, considerando inattendibile, invece, il teste B.B.. Si censura altresì il diniego della invocata perizia grafologica sulle firme dei partecipanti ai corsi e dell'audizione del teste D.D.. In altri termini - si precisa - non è stata raggiunta la prova del concorso dell'imputato nel reato, in relazione al quale era divenuto inoppugnabile il decreto di condanna emesso nei confronti del docente incaricato di tenere i corsi; quest'ultimo -a dire della difesa- era l'unica persona incaricata di compilare i registri attestanti la partecipazione ai corsi di formazione.
2.2. Col secondo motivo, si eccepisce violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, reputato eccessivamente punitivo, e il vizio motivazione circa il denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Valorizzando, a tal proposito, la produzione della falsa documentazione da parte dell'imputato, connotante particolare astuzia dell'azione, la Corte d'appello avrebbe immotivatamente trascurato il fatto dell'assenza di dolo da parte del A.A..
2.3. Col terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, riproponendo le censure svolte nei primi due motivi, quanto all'affermazione di responsabilità e alla dosimetria della pena.
3. Sono state trasmesse, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa Kate Tassone, la quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso. La difesa dell'imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del P.g.
Diritto
1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità.
Premesso che, in un sistema processuale improntato al principio del libero convincimento del giudici, non può ritenersi che la dimostrazione della falsità richieda lo svolgimento di perizia grafologica, si osserva che, nel caso di specie, tutti i dipendenti hanno negato di avere frequentato il corso e il solo teste Impieri (ossia il lavoratore coinvolto nell'infortunio, a seguito del quale l'imputato ha prodotto la documentazione oggetto del processo) è stato ritenuto inattendibile, alla luce del contrasto tra le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, con le quali aveva negato di avere frequentato alcun corso, e quelle rese in dibattimento.
Ne discende che, del tutto razionalmente, i giudici di merito hanno concluso per la falsità dell'attestazione di partecipazione dei dipendenti ai corsi di formazione.
In tale contesto, il ricorso non illustra quali determinanti profili probatori potrebbero essere apportati dall'invocata audizione del teste D.D., ossia elementi, che se confermati, potrebbero scardinare la tenuta argomentativa della sentenza impugnata.
Quanto alla sussistenza del dolo, si osserva che, in assenza di qualunque specificazione in punto di fatto, la consapevolezza dell'assenza dei corsi è dimostrata dal fatto che nessuno dei dipendenti conosceva il docente e che non è dato intendere in che modo l'imputato abbia verificato l'effettivo svolgimento dei corsi per potere predisporre la documentazione che tanto attestava.
2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che - nel caso di specie - non ricorre.
Inoltre, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Ciò detto in linea generale, si osserva che le doglianze del secondo motivo, nella sostanza, solo genericamente investono la dosimetria della pena, limitandosi a riproporre critiche concernenti l'affermazione di responsabilità, per le quali si rinvia a quanto esaminato nel primo motivo.
3. Il terzo motivo è inammissibile, per le stesse ragioni indicate nei punti 1. e 2., avendo carattere meramente riassuntivo delle censure analizzate nei primi due motivi.
4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2023
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