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Artigiani e i piccoli commercianti : Obblighi di sicurezza

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Artigiani e i piccoli commercianti Obblighi di sicurezza

Artigiani e i piccoli commercianti : Obblighi di sicurezza

Art. 21. Disposizioni relative ai componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile e ai lavoratori autonomi

1. I componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti devono:
a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III;
b) munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III;
c) munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto. (1)
2. I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all'articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all'articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.
________
(1) La Legge 13 agosto 2010, n. 136, ha disposto (con l'art. 5, comma 1) che " [...] Nel caso di lavoratori autonomi, la tessera di riconoscimento di cui all'articolo 21, comma 1, lettera c), del citato decreto legislativo n. 81 del 2008 deve contenere anche l'indicazione del committente."

Disastro della motonave Elisabetta Montanari 1987

ID 8530 | | Visite: 5478 | News Sicurezza

Disastro della motonave Elisabetta Montanari 1987

Disastro della motonave Elisabetta Montanari 1987

L'incidente sul lavoro più grave della storia italiana del dopoguerra italiano con 13 vittime. 

Il 13 marzo 1987 a Ravenna avvenne il disastro della motonave Elisabetta Montanari, un incidente sul lavoro durante le operazioni di manutenzione straordinaria della omonima nave gassiera: L'evento fu scatenato da un incendio nella stiva n. 2 dell'imbarcazione: le esalazioni sprigionate della combustione causarono la morte per asfissia di 13 operai impegnati nel cantiere di manutenzione.

L’INCIDENTE
Il 13 marzo 1987 nel cantiere Mecnavi, di proprietà dei fratelli Arienti, al porto di Ravenna tredici operai morirono soffocati dai gas tossici sprigionati durante un incendio nella stiva della nave gasiera Elisabetta Montanari. Un incidente che tocca particolarmente la città  che si considera «un territorio con una cultura  del lavoro alta» spiega Elsa Signorino, assessore alla Cultura.
In contemporanea sulla nave stanno lavorando due squadre che non sanno l’una dell’altra: nella stiva si usa la fiamma ossidrica per tagliare delle lamiere, mentre nei doppifondi i picchettini, gli operai addetti a questo tipo di pulizie, stanno lavorando nei cunicoli, stesi sulla schiena o sul ventre, in uno spazio che non va oltre gli 80-90 cm di altezza. Le scintille della fiamma ossidrica incendiano dell’olio combustibile che scatena gas tossici che asfissiarono gli operai, senza via di scampo. L’allarme scattò verso le 9, l’ultima salma fu estratta poco dopo le 14.
Mancava completamente un piano di sicurezza dell’intera nave: gli impianti elettrici, i ponteggi, le opere provvisionali, i parapetti, l’illuminazione e la segnaletica non erano a norma di legge.
Secondo la perizia depositata nel dicembre del 1988: «per nessuno degli operai rimasti intrappolati nella stiva dopo lo sviluppo dell’incendio vi era alcuna possibilità di fuga perché non erano state previste vie alternative d’uscita».

IL PROCESSO
Il processo cominciò tre anni dopo la strage: in primo grado i fratelli Enzo e Fabio Arienti, proprietari della Mecnavi, furono condannati a 7 anni e mezzo. Due anni dopo in appello le condanne passarono da 9 a 13, la Cassazione estromise i sindacati come parte civile e dispose un nuovo processo di secondo grado. Nel ‘94 gli Arienti furono condannati a 5 anni, pena diminuita a 4 dopo pochi mesi e a pene inferiori due dirigenti.

LE VITTIME
Tredici le vittime che morirono in quel terribile giorno, tre non ancora ventenni, otto non in regola, per alcuni era il primo giorno di lavoro, per uno era l’ultimo prima della pensione. Filippo Argnani, 40 anni, Marcello Cacciatore, 23, Alessandro Centioni, 21, Gianni Cortini, 19, Massimo Foschi, 26, Marco Gaudenti, 18, Domenico La Polla, 25, Mohamed Mosad 36, Vincenzo Padua, 60, che stava per andare in pensione, e si trovò lì per puro caso, chiamato all’ultimo momento in mancanza di personale, Onofrio Piegari, 29, Massimo Romeo, 24, Antonio Sansovini, 29, e infine Paolo Seconi, 24.
I responsabili del cantiere corsero a casa dei dipendenti per recuperarne i libretti di lavoro e tentare di metterli in regola.

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 24926 | 05 Giugno 2019

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Sentenze cassazione penale

Infortunio durante la manovra di sistemazione di un carico di reti sul camion con rimorchio mediante carrello elevatore.

Rischi interferenziali

Penale Sent. Sez. 4 Num. 24926 Anno 2019

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 09/04/2019

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova dell' 8.04.2015, assolveva F.L. per non aver commesso il fatto e, riconosciute a G.F. e F.F.., le attenuanti generiche equivalenti alla contestate aggravanti, riduceva la pena inflitta a mesi due di reclusione ciascuno, revocando la subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale.
1.1 Le imputazioni sono così articolate:
F.F.., delegato alla sicurezza della ditta Veneta reti s.r.l., con stabilimento produttivo in Loreggia, G.F., quale legale rappresentante e datore di lavoro della società autotrasporti G. s.r.l., con sede in Bastia Umbra, per colpa generica e in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro cagionavano a L.G., dipendente autista del G., lesioni gravi, a seguito di una manovra di sistemazione del carico delle reti sul camion con rimorchio, mediante carrello elevatore condotto da un dipendente della Veneta reti S.r.l., che lo urtava con la parte posteriore mentre il L.G. si trovava a terra, nella zona di manovra, e rimaneva così schiacciato contro le reti.
In particolare, al F.F. si contestava la violazione dell'art. 26 comma 1 lett. b) D.lgs n.81/2008 in quanto non aveva fornito alla società Autotrasporti le dettagliate informazioni riguardanti gli specifici rischi nell'ambiente di lavoro in cui il L.G. avrebbe operato, omettendo di realizzare una dovuta azione di coordinamento e di vigilanza tra le imprese al fine di eliminare i rischi interferenziali e di adottare le misure tecniche organizzative volte a evitare che i lavoratori a piedi si trovassero in attività nei pressi di attrezzature semimoventi (art. 71 comma 3 all. VI punto 2.2 D.lgs 81/2008).
Al G. veniva contestata la violazione dell'art. 26 citato per non essersi coordinato con la Veneta reti s.r.l al fine di eliminare i rischi derivanti dall'interferenza delle due ditte.
L'infortunio secondo la ricostruzione del Tribunale era avvenuto nei seguenti termini: L.G., autista di articolato e dipendente della Autotrasporti di G., si era recato presso la Veneta Reti s.r.l., dove riceveva il carico di reti elettrosaldate; poiché si accorgeva che le reti non erano ben sistemate e affinchè non sporgessero dal piano di carico otteneva la collaborazione del dipendente della Veneta reti s.r.l., K., il quale, con un carrello elevatore, spingeva utilizzando le apposite forche il carico per compattarlo meglio, mentre al L.G. veniva richiesto di stringere le apposite cinghie; conclusa l'operazione il K. compiva una manovra di rotazione dell'elevatore senza accorgersi che, con la parte posteriore del mezzo, aveva urtato il L.G. ancora intento a stringere le cinghie.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.F. a mezzo del difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza e articolando i seguenti motivi:
I) violazione di legge con particolare riferimento agli arti. 40 e 41 comma 2 cod.pen..Lamenta che l'autista per contratto non è tenuto alle operazioni di carico durante le quali deve presenziare sorvegliando che vengano svolte correttamente sia sotto l'aspetto tecnico che della sicurezza. Nel caso di specie quindi il L.G. ha svolto mansioni non autorizzate, esorbitanti ed eccentriche rispetto al rischio lavorativo che il garante è tenuto a governare e che quindi hanno interrotto il nesso causale.
II) violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello non ha chiarito quale sia la condotta concreta che abbia sostanziato il difetto di coordinamento e informazione contestata e che secondo un giudizio controfattuale avrebbe impedito il verificarsi dell'evento, posto che il G. non avrebbe mai potuto prevedere che il L.G. avrebbe partecipato alle operazioni di carico.
2.1 Ha proposto ricorso anche F.F.. che, a mezzo del suo difensore, ha articolato i seguenti motivi:
I) Vizio per mancanza e contraddittoria applicazione dell'art. 71 comma 3 D.lgs n.81/2008 e manifesta illogicità della motivazione. Deduce che l'attività di carico e scarico e sistemazione del materiale sul veicolo attiene solo all'operatore del carrello; la presenza dell'autista nella zona operativa non era richiesta nè necessaria; la Veneta Reti s.r.l. aveva effettuato tutte le misure precauzionali dovute mediante appositi cartelli di divieto per gli autisti di allontanarsi dal mezzo, di avviso della presenza di carrelli elevatori, rilevatori acustici per preavvertire gli operatori a terra delle operazioni di manovra, formazione ed addestramento del conducente in presenza di personale a terra.
II) Vizio per mancanza e contraddittorietà dell'applicazione dell'art. 26 comma 1 lett.B e comma 2 lett. B D.Lgs n.81/2008 e manifesta illogicità della motivazione. Nel caso di specie il materiale era stato acquistato dalla Manini Prefabbricati s.pa. con sede in Assisi che aveva indicato per il trasporto del materiale la Ditta G.; la Ditta Manini quindi era il reale committente anche se le spese del trasporto erano a carico della Veneta Reti. Quest'ultima aveva adempiuto agli obblighi di prevenzione dei rischi connessi alla presenza dei carrelli elevatori mediante appositi cartelli e segnalazioni presenti nella guardiola adibita all'accettazione dei mezzi, tra cui il divieto per l'autista di abbandonare il mezzo e comunque di effettuare spostamenti a piedi nei percorsi non protetti.

Considerato in diritto

1.1 ricorsi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati e reiterano doglianze prospettate in appello cui la Corte territoriale ha dato specifica ed esauriente risposta attraverso una motivazione logica e coerente con le risultanze istruttorie già ampiamente argomentate anche dal primo giudice.
2. Alcune considerazioni di premessa giovano ad una più spedita trattazione dei motivi di ricorso appena riassunti.
2.1 La interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409) deriva dalla condotta del lavoratore che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è «interruttivo» non perché «eccezionale» ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare ( Sez.4 n.15124 del 13.12.2016,Rv.269603).
In tema di rapporto di causalità, ai sensi dell'art.41, terzo comma, cod.pen., il nesso di causalità non resta escluso dal fatto altrui, cioè quando l'evento è dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali (Sez. 4, n. 31679 del 08/06/2010, Rv. 248113), a meno che tale comportamento non sia qualificabile come concausa qualificata, capace di assumere di per sé rilievo dirimente nella spiegazione del processo causale e nella determinazione dell'evento.
La giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti criticità (Sez.4, n.22044 del 2.05.2012,n.m; Sez.4, n.16888, del 7/02/2012, Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962).
2.2 Il sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica riguarda anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a singole imprese appaltatoci o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito del ciclo produttivo dell'azienda medesima.
Grava sul datore di lavoro, committente, l'obbligo di valutare i rischi derivanti dalle possibili interferenze tra le diverse attività che si svolgono in successione o contestualmente all'interno di un'area. Infatti ai fini dell’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all’esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall’art. 7 d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 - ora previsti dall’art. 26 D.lgs 81/2008 - occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d’appalto, d’opera o di somministrazione - ma all’effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (Sez.4 n.1777 del 6.12.2018 rv. 27507701). Nel caso poi di committente autotrasportatore il comma 3 bis dell'art. 26 D.lgs 81/2008 esonera il datore di lavoro dalla redazione del DUVRI quando, come nel caso di specie, la durata del lavoro non è superiore a cinque- uomini giorno. Tale coinvolgimento, funzionale nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non esclude poi la necessità di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici, a meno che non risultino inefficaci o dannose ai fini della sicurezza dell'ambiente di lavoro (Sez. 4 n. 18200 del 7.01.2016 rv 266640-01).
Gli obblighi di cooperazione e coordinamento gravanti sui datori di lavoro rappresentano la "cifra" della loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro responsabilità.
L'assolvimento di tali obblighi risponde all'esigenza antinfortunistica - avvertita come primaria anche dal legislatore europeo - di gestire preventivamente tale categoria di rischio.
La vigente tutela penale dell’integrità psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all’attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonché su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attività lavorativa, dovendosi così ricomprendere nell’ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi.
2.3 Giova richiamare a tal proposito che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che, se sono più i titolari della posizione di garanzia come nel caso di specie, G. datore di lavoro della vittima e F.F.. delegato alla sicurezza di la Veneta s.r.l., presso la cui azienda si effettuavano le operazioni di carico del materiale, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia (Sez.4 n. 46849 del 3.11.2011 rv 252149; Sez. 4 n.8593 del 22.01.2008 rv. 238936).
E, ancora, che, quando l'obbligo di impedire un evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in momenti diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi un concorso di cause ex art. 41 comma primo cod. pen ( Sez. 4 n. 244455 del 22.04.2015 rv 263733-01;sez. 4 n. 37992 del 11.07.2012 rv 254368-01; sez. 4 n.1194 del 15.11.2013 rv 258232).
3. La Corte territoriale ha fatto corretta e coerente applicazione dei principi giuridici sopra esposti, avendo considerato nella individuazione del determinismo causale le condotte omissive delle doverose misure di prevenzione, facenti capo ai titolari delle posizioni di garanzia. In particolare F.F.. delegato alla sicurezza de La Veneta Reti s.r.l. ( fol 7) e responsabile dello stabilimento ( fol 6 sentenza di primo grado) e G., datore di lavoro della persona offesa L.G..
3.1 Ricorso G..
Il primo e il secondo motivo del ricorso sono manifestamente infondati alla luce dei principi già richiamati al paragrafo 2.
Tra l'altro le doglianze non tengono conto e non si raffrontano con la ricostruzione fattuale operata dai Giudici di merito ( cd. doppia conforme ) secondo cui l'autista non partecipò alle operazioni di carico ma, in maniera assolutamente scrupolosa e attenendosi alle proprie responsabilità relative al corretto posizionamento del carico durante la marcia, come logicamente affermato dalla Corte territoriale ( fol 8), chiese una migliore ricompattazione delle reti, trattandosi di un carico pesante che debordava dal pianale ( fol 4 sentenza di primo grado teste Spisal); fu il mulettista di La Veneta reti s.r.l. a richiedere la sua collaborazione per riuscire a tendere meglio le cinghie, mentre lavorava con il muletto per riportare in asse il carico; il tutto senza che le operazioni fossero coordinate da un responsabile di La Veneta reti, in difetto delle misure organizzative di coordinamento e di un'adeguata informazione e formazione da parte del datore di lavoro G. sui rischi e le criticità, sicuramente prevedibili, che si potevano verificare nelle operazioni attinenti al particolare carico di reti metalliche. Tanto più che risulta accertato ( fol 8 sentenza di primo grado) che il L.G. aveva sempre trasportato laterizi, era la prima volta che si recava presso La Veneta reti e che il trasporto del materiale richiedeva particolari e specifici accorgimenti per i quali non l'autista non risulta essere stato adeguatamente formato né informato. 
3.2 Ricorso F.F..
I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.
Il F.F. è stato correttamente individuato dai giudici di merito quale titolare della posizione di garanzia in quanto delegato alla sicurezza di la Veneta reti S.r.l.
Nel caso di specie la Corte territoriale con argomentazione logica e coerente ha evidenziato che F.F., cui competeva l'obbligo di fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nel proprio ambiente di lavoro, in cui erano destinati ad operare anche terzi, nonché di prevedere le misure di prevenzione e di emergenza necessarie in relazione alla propria attività al fine di assicurare la netta separazione tra gli autisti e i soggetti incaricati del carico, ha omesso di adottare le misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi alla compresenza di uomini a terra e macchine in movimento ( fol 9), secondo quanto prescritto dall'art. 71 D.lgs 81/2008 all. VI punto 2.2., disposizione che non ha come specifico destinatario solo l'operaio addetto, ma è rivolta alla tutela di chiunque possa entrare in contatto con la macchina. Sul punto, ha logicamente e coerentemente argomentato la Corte territoriale, il F.F. si è limitato a segnalare con cartelli posti nel locale addetto alla ricezione una prescrizione, cioè l'obbligo per gli autisti di rimanere in cabina durante il carico ( fol 10), misura assolutamente insufficiente, senza prevedere specifiche misure di sicurezza e una concreta attività di coordinamento e vigilanza in relazione al rischio prevedibile derivante dalla interferenza tra mezzi in movimento e autisti a terra ( fol 9), nella specie tra il mulettista, che ha operato senza il coordinamento di un preposto, e l'autista cui era stata richiesta un'attività di supporto nel tiraggio delle cinghie per la sistemazione e la sicurezza del carico. Il F.F. ha omesso di valutare il rischio interferenziale prevedibile relativo anche alle criticità connesse alla fase di carico e comunque di assicurare e prescrivere I' adeguata e netta separazione tra gli autisti e i soggetti incaricati delle operazioni con i muletti, ponendo in essere una non adeguata formazione in proposito, volta ad evitare la compresenza di uomini a terra e macchine in movimento come prescritto dall'art. 71 D.lvo all. VI punto 2.2.( fol 9 e 10).
4.In conclusione i ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende. F.F.. deve essere condannato anche alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile costituita liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende,nonché F.F.. alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità alla parte civile L.G., liquidate in euro duemilacinquecento,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 9.04.2019

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 24926 Anno 2019.pdf
 
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Bozza D.M. prevenzione incendi impianti di climatizzazione

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Bozza D M  prevenzione incendi impianti di climatizzazione

Bozza D.M. prevenzione incendi impianti di climatizzazione

Bozza D.M. Disposizioni di prevenzione incendi per gli impianti di climatizzazione inseriti nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi

Pubblicato nella GU n. 73 del 20 marzo 2020 il Decreto 10 marzo 2020 Disposizioni di prevenzione incendi per gli impianti di climatizzazione inseriti nelle attivita' soggette ai controlli di prevenzione incendi. Entrata in vigore 18.06.2020

Art. 1. Campo d’applicazione

1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano alla progettazione, alla costruzione, all’esercizio e alla manutenzione degli impianti di climatizzazione inseriti nelle attività, sia nuove che esistenti, soggette ai controlli di prevenzione incendi e progettati applicando le regole tecniche allegate ai Decreti citati in premessa.

Art. 2. Disposizioni tecniche

1. Ai fini dell’adeguamento delle disposizioni tecniche di prevenzione incendi, negli impianti di climatizzazione e condizionamento di cui all’articolo 1, laddove è prescritto l’utilizzo di fluidi frigorigeni non infiammabili o non infiammabili e non tossici, è ammesso l’impiego di fluidi classificati A1 o A2L secondo norma ISO 817 “Refrigerants – designations and safety classification” o norma equivalente, fermo restando la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti a regola d’arte.
2. Gli impianti di climatizzazione e condizionamento di cui all’articolo 1 sono considerati impianti rilevanti ai fini della sicurezza antincendi. La documentazione prevista dal decreto Ministeriale 7 agosto 2012 deve essere comprensiva del manuale di uso e manutenzione.
3. Il manuale di uso e manutenzione deve essere predisposto in lingua italiana dal responsabile tecnico dell’impresa di installazione dell’impianto, in accordo alle previsioni della normativa vigente e deve contenere il piano dei controlli, delle verifiche e delle operazioni di manutenzione.

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Fonte: VVF

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 4 del 28 Maggio 2019

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 4 del 28 Maggio 2019

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.
Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 28 Maggio 2019 (n. 4/2019):

28/05/2019 - n. 4/2019 Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri FNOMCeO
Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - risposta ai quesiti in merito all'art. 53 del d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm. - Tenuta della documentazione sanitaria su supporto informatico

Oggetto: art. 12, d.gs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - risposta in merito all'art. 53 del d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm. - Tenuta della documentazione sanitaria su supporto informatico

La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) ha formulato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito ai seguenti quesiti: «è giustificata la richiesta al Medico Competente di inserire dati sanitari in un data base aziendale complesso? Non sarebbe più opportuno limitare l’inserimento al giudizio di idoneità ed alle limitazioni, lasciando ad altri files, nelle uniche disponibilità del Medico, i dati più “personali”? E’ lecito che l’Amministrazione di sistema sia lo stesso Datore di lavoro od un lavoratore dipendente dallo stesso individuato?»

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 23242 | 28 Maggio 2019

ID 8479 | | Visite: 2112 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 28 maggio 2019 n. 23242

Infortunio di un lavoratore incastrato sotto le forche della minipala in una società agricola. Responsabili il LR, il datore di fatto e il LR della società di noleggio

Penale Sent. Sez. 4 Num. 23242 Anno 2019
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 14/12/2018

Ritenuto in fatto

La Corte d'Appello di Brescia con sentenza in data 6 aprile 2018, in parziale riforma della decisione di I grado (Tribunale di Mantova del 16 dicembre 2016), appellata da D.P., D.I. e Z.P., concedeva a D.I. e a Z.P. le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate, riducendo conseguentemente le pene rispettivamente Irrogate agli odierni ricorrenti. Questi erano stati tratti a giudizio e condannati alle pene ritenute di giustizia in relazione all'Imputazione di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore di nazionalità indiana S.H., nonché delle relative contravvenzione di cui al D.lgs.vo n. 81/2008 per cui era intervenuta declaratoria di estinzione per maturata prescrizione.
I giudici di merito così ricostruivano i fatti di causa: il giorno 12 dicembre 2010, domenica, Intorno alle ore 9 e 30 il tecnico P. in servizio presso lo SPSAL della ASL, era intervenuto sul luogo di un infortunio accaduto presso la società Agricola Confine in Moglia. Sul posto aveva rinvenuto a terra la persona offesa S.H., l'imputato D.P., nonché tale G.M. ed altri due lavoratori indiani che risultavano essere regolarmente assunti dall'azienda agricola, a differenza dell'infortunato che comunque indossava gli stessi vestiti di lavoro degli altri connazionali e dello stesso D.P. Vicino all'Infortunato - che aveva riportato gravi lesioni- vi era una minipala FAI 338 targata TOAH955 con le forche appoggiate a terra e nell'immediatezza del fatto il D.P. aveva riferito che il lavoratore era rimasto incastrato sotto le forche della minipala da cui era stato liberato prima dell'intervento del P.. La minipala era risultata essere di proprietà della ditta AUTOTRASPORTI 2000, la cui legale rappresentante era Z.P., moglie di D.P. e madre di D.I., che risultava aver noleggiato il mezzo quale legale rappresentante della Società Agricola Confine.
Il P. sentito come teste riferiva che l'operazione di discesa dalla minipala richiedeva necessariamente che le forche fossero abbassate e che vi era uno scalino che consentiva la salita e la discesa dal mezzo. Tuttavia la minipala risultava essere stata modificata, in quanto era stata aggiunta una griglia saldata al di sopra delle forche costituente di fatto una "schiena" che aveva la funzione di appoggio del materiale trasportato. La modifica, che non era stata riportata nel libretto d'uso e manutenzione del mezzo, Impediva la salita e la discesa dal posto di guida, costituendo una vera e propria barriera fisica che ostacolava tali operazioni. Per scendere dal mezzo quindi l'operatore era costretto ad alzare le forche alle quali era saldata la griglia, sino ad una posizione superiore a quella di guida, consentendo così una discesa dal mezzo passando sotto le forche. Nel corso delle indagini il P. aveva richiesto alla Società Agricola Confine il documento di valutazione dei rischi ma lo stesso non era stato fornito, cosi come era stato accertato che nell'ambito della predetta azienda non era stato nominato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Era stato quindi contestato agli imputati, D.I. quale legale rappresentante della Società Agricola Confine, in cooperazione colposa con D.P., figura esercitante la direzione e la gestione aziendale della predetta società e per questo riconosciuto da tutti come il "titolare", benché all'Interno dell'azienda non rivestisse alcuna carica, Z.P. in qualità di legale rappresentante della ditta Autotrasporti 2000, proprietaria della minipala, di aver cagionato per colpa lesioni personali al lavoratore S.H.. Come profili di colpa venivano individuati: la messa a disposizione di un'attrezzatura non conforme ai requisiti di sicurezza e comunque modificata e priva del dovuto libretto di uso e manutenzione, la mancata formazione dei lavoratori rispetto ai rischi riferiti alle mansioni svolte, il non aver provveduto ad effettuare la valutazione dei rischi aziendali e ad elaborare il conseguente documento avente data certa, nonché alla nomina del RSPP. A Z.P. era stata in particolare contestata la concessione in noleggio di attrezzatura inidonea.
La Corte distrettuale con la sentenza impugnata confermava l'affermazione di penale responsabilità degli imputati, dopo aver ritenuto, accogliendo la relativa eccezione formulata dalle difese, la inutilizzabilità delle dichiarazione della parte offesa, non sussistendo i presupposti per la legittima acquisizione delle sue dichiarazione ex art. 512 c.p.p., ponendo in rilievo come non fossero contestate dinamica e cause dell'infortunio e come comunque lo stesso non fosse stato ricostruito tanto sulle dichiarazioni dell'Infortunato (ritenute inutilizzabili), quanto sulle dichiarazioni del teste P., del teste A., del medesimo imputato D.P. ed infine sulla base dei certificati medici in atti attestanti le lesioni subite da S.H.. Riteneva poi la Corte la sussistenza dei profili di colpa contestati e la inverosimiglianza ed illogicità della versione degli imputati circa la presenza in loco dell'infortunato, secondo cui questi non aveva mai prestato attività lavorativa presso l'azienda agricola dopo la conclusione di un precedente rapporto di lavoro. Quanto alle posizione di garanzia la responsabilità di D.P. era affermata nella sua qualità riconosciuta ed ammessa di datore di lavoro di fatto, esercitante in concreto la direzione e la gestione della azienda agricola, quella di D.I. quale legale rappresentante della società e quindi datore di lavoro, in mancanza di una specifica ed effettiva delega in materia di sicurezza sul lavoro ad altri soggetti, quella di Z.P. quale legale rappresentante della società che aveva noleggiato il mezzo.
2. Avverso tale decisione ricorrono a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1 D.P. deducendo con un primo motivo violazione dell'alt. 526 c.p.p. e la illogicità della motivazione della Corte distrettuale quanto alla possibilità di ricostruire la vicenda in assenza delle dichiarazioni della persona offesa, ritenute inutilizzabili; con un secondo motivo eccepisce violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. per manifesta illogicità della motivazione in relazione all'affermazione di penale responsabilità di esso ricorrente, quanto in particolare alla ritenuta attività lavorativa dell'infortunato; con un terzo motivo lamenta contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche
2.2 D.I. affida il ricorso a cinque motivi; i primi due sono del tutto sovrapponibili a quelli proposti da D.P.. Con il terzo motivo si contesta la ritenuta posizione di garanzia, avendo "dimenticato la Corte di considerare che la posizione di garanzia prevede anche esimenti quali la condotta imprevedibile che esclude la responsabilità"; con un quarto motivo si deduce la "insussistenza della cooperazione colposa ex art. 113 c.p." stante la inconsapevolezza della imputata "nell'ambito di una iniziativa autonoma, estemporanea ed incontrollata dello stesso soggetto poi infortunato". Con l'ultimo motivo si assume la illogicità della sentenza in punto di giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti, trattandosi in realtà di un'unica aggravante.
2.3 Z.P. formula parimenti cinque motivi di ricorso: il primo ed il secondo sono sovrapponibili a quelli proposti da D.P.; il quarto ed il quinto sono analoghi a quelli proposti da D.I.. Con il terzo si sottolinea l'esistenza di profili di criticità in relazione alla posizione di garanzia dell'imputata quale locatrice della macchina anche in virtù del comportamento imprevedibile dell'infortunato.

Considerato in diritto

3. I ricorsi sono manifestamente infondati e come tali vanno dichiarati inammissibili. Non può quindi porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello. La giurisprudenza di questa Corte ha infatti più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma degli artt. 129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen. (così SS.UU., n. 32 del 22.11.2000, De Luca, Rv, 217266, relativamente ad un caso in cui la prescrizione era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, SS.UU. n. 23428del 2/03/2005, Bracale, Rv. 231164).
4. Va osservato come in questa sede non sono sostanzialmente contestati né i profili di colpa ritenuti nella doppia conforme né le posizione di garanzia se non con affermazione apodittiche e che atterrebbero semmai al nesso di causalità che dovrebbe restare escluso dal comportamento imprevedibile dell'infortunato, tema anche questo affrontato e risolto dalla sentenza impugnata con motivazione congrua, coerente con le risultanze istruttorie e con la richiamata giurisprudenza di questa Corte sul punto (cfr. ex plurimis, Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 , Rv. 272222 ) e che si sottrae quindi ad ogni censura di legittimità.
Il motivo comune sub 1) così come sostanzialmente tutti i motivi proposti, come già accennato, sono la mera reiterazione di quelli di appello con la precisazione che essendo stato il motivo sulla inutilizzabilità delle dichiarazioni della parte offesa accolto nella sentenza impugnata si cerca di reintrodurre comunque la questione, mentre è adeguatamente e congruamente motivata la "resistenza" della decisione, anche in assenza delle predette dichiarazioni.
I ricorsi si soffermano poi tutti sulla mancanza della qualità di lavoratore dell'infortunato che è questione di fatto e comunque irrilevante, essendo comunque le norme antinfortunistiche dettate non soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all'inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'Infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi (cfr. Sez. 4, n. 23147 del 17/04/2012 , Rv. 253322).
5. Quanto, infine, al trattamento sanzionatorio ed in particolare ai motivi concernenti le attenuanti generiche si osserva quanto segue : posto che la ragion d'essere della previsione normativa di cui all'art. 62 bis cod. pen. è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connota Z.P. tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell' imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex piu rim is, Sez. 1, n. 29679 del 13/6/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891; Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 1 n. 12496 del 21/9/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20/6/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882).
6. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), consegue la condanna dei ricorrenti oltre al pagamento delle spese processuali, della somma di € 2000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende
Roma, 14 dicembre 2018

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An edited summary of ISO Technical Report 12296

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An edited summary of ISO TR 12296

An edited summary of ISO Technical Report 12296

A Technical Report (TR) is derived from information collected by an ISO Technical Committee. A majority vote of the committee members dictates whether the information collected is to be published as a TR, which is entirely informative in nature. A TR, unlike an ISO Standard, does not need to be reviewed until the information contained within is considered no longer valid or useful. This TR was prepared by Technical Committee ISO/TC 159 - Ergonomics.

In the years 2003–2007, ISO has produced specific ergonomics standards (ISO 11228 series) addressing manual handling in the general manufacturing sectors. However, these standards do not fully cover aspects of manual handling when applied to living persons. National and international statistics provide evidence that healthcare staff have a very high risk of musculoskeletal disorders, derived mainly from poor manual patient handling practices.

Experiences from both literature and practice have shown that an ergonomic approach could have a significant impact on reducing risk from patient manual handling, and on improving quality of care. As a consequence, ISO, in agreement with the European Normalization Agency (CEN), decided to produce a specific Technical Report (TR) as a tool for assisting with the application of the ISO 11228 series in the context of the healthcare sector. The European Panel on Patient Handling Ergonomics (EPPHE) was available during this process to support ideas, and provide materials and additional resources to assist ISO TC 159 in the development of the TR.

EPPHE is a collaboration of experts on Healthcare Ergonomics and Musculoskeletal Disorders from the International Ergonomics Association (IEA). The added value of the ISO TR consists in outlining a comprehensive strategy for prevention, based on analytical risk assessment that considers all potential determinants (organizational, structural and educational) as a basis for consequent risk reduction. The annexes provide relevant and detailed information for an adequate application of all aspects of this strategy.

This edited summary of the TR has been kindly provided by ArjoHuntleigh as an overview of all the key points required for implementation of a manual patient handling strategy. It is not a substitute for the TR but a valuable guide. Most importantly, both the TR and this summary show that a comprehensive and participatory approach is essential in changing work practices, defining training needs, purchasing technology/ equipment and designing work environments.

The ISO TR gives an overview of evidence based methods to assess problems and risks associated with manual patient handling, and details how to identify and apply strategies and solutions to reduce these risks. It reviews hazard identification and risk assessment, not just in relation to health risks, but also in identifying and solving problems. Manual patient handling can induce high loads to the musculoskeletal system of the caregiver, and static overload is a risk when patient handling is being undertaken.

It provides recommendations for patient handling based on the following:

1. Estimation and evaluation of risk; 
2. Work organization of patient handling interventions;
3.Handling aids and equipment;
4. Buildings and environments where patients are handled;
5. Caregivers’ education and training;
6. Evaluation of intervention effectiveness.

The ISO TR is based on studies of approaches to manual patient handling and on the consensus of international experts from several fields. This edited document is a summary of the full ISO Technical Report, intended as a guide and ready reference to the main issues covered by the report.
...
The risk assessment model below can be used to demonstrate how hazard identification and risk assessment are related at health risk identification, in problem identification and in problem solving.

ISO TR 12296
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ArjoHuntleigh 2012

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 20828 | 15 Maggio 2019

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 15 maggio 2019 n. 20828

Infortunio durante le operazioni di carico del calcestruzzo. Ruolo di un datore di lavoro, di un capo cantiere, di un CSE e di un gruista

Penale Sent. Sez. 4 Num. 20828 Anno 2019
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 03/04/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Brescia, in data 8 luglio 2016, ha parzialmente riformato in punto di trattamento sanzionatorio, rideterminandolo in mitius, la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo, il 5 maggio 2014, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia L.G.B., A.M., F.D. e F.P. per il delitto di omicidio colposo in cooperazione colposa (artt. 113 e 589 cod.pen.), con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in Casazza (BG) il 12 novembre 2011 in danno di E.M.. Con la stessa pronunzia la Corte di merito ha concesso i doppi benefici di legge al A.M., al F.D. e al F.P. e ha, nel resto, confermato la sentenza di primo grado; limitatamente al L.G.B. é stata altresì confermata la penale responsabilità in ordine alle contravvenzioni previste dall'art. 70 comma 1 e dall'art. 87, comma 2, lettere A ed E del d.lgs. 81/2008.
2. Brevemente riassumendo l'episodio per cui é processo, per come descritto nell'imputazione, il E.M. era intento a preparare del calcestruzzo nell'ambito di lavori edili appaltati alla Costruzioni L.G.B. S.p.A. (per la realizzazione di una casa di riposo); indi procedeva a versare l'impasto cementizio in un cassone e quindi agganciava le catene della gru che avrebbe dovuto sollevare il cassone stesso; in tale occasione non si avvedeva che il gancio presentava un gioco che ne rendeva insicuro il funzionamento, di tal che esso si collocava in modo improprio con l'anello di ancoraggio della benna che si incuneava tra l'estremità del gancio e la linguetta di sicurezza. Quindi dava il via per il sollevamento al gruista A.M., il quale aveva in precedenza posizionato sul gancio della gru le due brache a doppio tirante e portato le catene nei pressi del cassone da caricare; ma, essendosi posizionato a un livello superiore rispetto all'area di preparazione del calcestruzzo, non aveva una visuale idonea e iniziava il sollevamento del cassone senza sincerarsi che il E.M. si fosse spostato. Il carico, giunto a un'altezza di circa 2 - 2,5 metri, sia a causa del posizionamento del gancio in posizione non coincidente con la verticale del cassone, sia a causa del precario collegamento fra gancio e benna, si sganciava improvvisamente dalla gru e cadendo andava a colpire il E.M. che ancora si trovava in prossimità del punto iniziale di sollevamento della benna.
2.1. Al L.G.B., in qualità di legale rappresentante della società appaltatrice e datore di lavoro del E.M. (che da essa dipendeva) é addebitato di avere agito in violazione dell'art. 71, d.lgs. 81/2008, degli artt. 172, 181 e 182 d.P.R. n. 547/1955 e del punto 3.2.3. dell'allegato VI al citato d.lgs. 81/2008 e, in specie, di avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature inidonee sotto il profilo della sicurezza, atteso che due dei quattro ganci autobloccanti posti all'estremità delle brache a doppio tirante utilizzate per il sollevamento del cassone presentavano dei "giochi" all'apertura, e di avere altresì omesso di adottare le misure necessarie, ossia di disporre o eseguire un'ispezione visiva mensile per controllare i ganci e per verificare il sistema di blocco, nonché di adottare misure organizzative adeguate, come la nomina di un capo manovra per siffatte operazioni di sollevamento dei carichi.
2.2. Al F.P., quale coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, é invece rimproverato di avere violato l'art. 92 del d.lgs. 81/2008, avendo omesso di verificare, mediante opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'attuazione del piano di sicurezza e coordinamento ed in specie la verifica dei dispositivi di sicurezza dei ganci per impedire l'accidentale sganciamento del carico; nonché di non essersi assicurato che venisse data attuazione alle previsioni del punto 3.2.3. dell'allegato VI al citato d.lgs. e dell'art. 182 del d.P.R. 547/1955, in relazione alle misure da adottare per garantire all'operatore durante il sollevamento dei carichi la perfetta visibilità della zona di azione del mezzo.
2.3. Al F.D., quale capocantiere e preposto, si rimprovera di non avere verificato, in violazione dell'art. 19 del d.lgs. 81/2008, l'efficienza dei dispositivi di sicurezza sui ganci e permetteva che si operasse da un posto di manovra che non consentiva di osservare direttamente l'intera traiettoria del carico.
2.4. Al A.M., gruista, si rimprovera infine di avere violato il disposto dell'art. 20 del ridetto d.lgs. 81/2008, non essendosi curato dell'efficienza dei dispositivi di sicurezza dei ganci ed avendo operato da un posto di manovra che non gli consentiva di osservare direttamente l'intera traiettoria del carico e la posizione del collega che lo aveva agganciato.
3. Secondo il percorso argomentativo posto a base della conferma della penale responsabilità degli imputati da parte della Corte di merito, l'utilizzo e la tipologia degli strumenti lavorativi risultati non sicuri e le condotte contestate agli imputati hanno formato oggetto di scrutinio e hanno trovato riscontro in base alle acquisizioni probatorie in primo grado e, in specie, attraverso deposizioni testimoniali di lavoratori presenti in cantiere, nonché di carabinieri e personale ASL intervenuti sul posto, e sulla base dei contributi di consulenti e periti e dello stesso esame degli imputati. E' stato fra l'altro escluso che nella specie si usasse un aggancio "a strozzo", utilizzato quando c'é una sola catena senza ulteriori ganci. Sono stati poi sottoposti a verifica il problema della carenza di coordinamento nello svolgimento dei vari lavori nel cantiere e quello dell'esecuzione dell'operazione di spostamento del carico in carenza di visibilità da parte del gruista e senza la presenza di un capo manovra, come previsto dal punto 3.2.3. dell'allegato 6 al d.lgs. 81/2008. E' stata respinta inoltre la contestazione difensiva in punto di violazione dell'art. 521 cod.proc.pen. (che era stata formulata in relazione al fatto che il giudice di prime cure, discostandosi dall'imputazione, avrebbe ricollegato l'infortunio alla mancanza di una tettoia), perché secondo la Corte distrettuale doveva in realtà escludersi che vi fosse una violazione tale da avere pregiudicato l'esercizio del diritto di difesa. All'esito, hanno trovato conferma le contestazioni mosse ai sopraindicati imputati, nelle rispettive qualità, restando esclusa secondo la Corte di merito l'ipotizzata anomalia del comportamento del E.M. quale fatto interruttivo del nesso causale fra la condotta addebitata agli imputati e l'evento mortale.
4. Avverso la prefata sentenza ricorre il F.P., con atto firmato dai suoi difensori di fiducia; e ricorrono altresì il L.G.B., il A.M. e il F.D., con unico atto firmato dal loro difensore di fiducia, nonché con successiva memoria contenente motivi nuovi.
5. Iniziando dal ricorso del F.P., esso é affidato a due motivi di lagnanza.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione lamentando che la Corte di merito, pur dando atto della discrasia tra l'oggetto dell'imputazione e la ricostruzione causale dell'evento accolta dal primo giudice (e quindi della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza), ha ugualmente affermato la responsabilità del F.P. sulla base dell'inidoneità del gancio usato dal E.M. e, quindi, sulla base deM'omissione dei compiti di controllo assegnati ai F.P. nella sua qualità di C.S.E. dalla quale sarebbe dipesa la rottura del dispositivo di chiusura del gancio.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione all'addebito di tipo omissivo formulato a carico del F.P., laddove il gancio incriminato, lungi dal potersi considerare componente strutturale dei mezzi di lavoro a disposizione del cantiere, era in realtà un mero accessorio, su cui il ricorrente non aveva onere di controllo, essendogli assegnate funzioni di alta vigilanza in ordine alle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale e non potendo confondersi la sua posizione con quella del datore di lavoro. La gru formava oggetto di verifiche periodiche a cura del C.S.E., che erano previste solo per la sezione delle parti fisse sino al dispositivo finale di aggancio, ove non vi sono stati problemi di sorta. Ugualmente erronea la motivazione della sentenza impugnata laddove si conferma l'addebito, mosso al F.P., di non avere formato-informato i lavoratori presenti nel cantiere e di non avere agito a tutela della sicurezza dei medesimi: compiti, questi, eccentrici rispetto a quelli assegnati al coordinatore per la sicurezza, a fronte del fatto che il dispositivo in base al quale veniva eseguita la movimentazione del carico era il radiocomando a disposizione del A.M., sul quale non può essere mosso alcun addebito organizzativo al F.P..
6. Il ricorso del L.G.B., del A.M. e del F.D. consta invece di tre motivi, ai quali si sono aggiunti cinque motivi nuovi.
6.1. Con il primo motivo, riguardante la posizione del L.G.B., si denuncia vizio di motivazione in relazione al fatto che la pena del medesimo é stata determinata senza che agli atti risultasse il nuovo provvedimento del Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Bergamo, con il quale venivano revocati alcuni decreti penali di condanna precedentemente emessi a carico dell'imputato (per fattispecie ex arti. 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000); peraltro la determinazione della pena sia per il L.G.B., sia per gli altri imputati, é stata adottata in assenza di qualsiasi motivazione.
6.2. Con il secondo motivo si denuncia in primo luogo vizio di motivazione in relazione all'applicazione dell'art. 71 del d.lgs. 81/2008 nei confronti del L.G.B.: non era possibile infatti realizzare una tettoia in un cantiere mobile (come era stato invece ritenuto dal primo giudice, peraltro al di fuori del perimetro imputativo) e del resto la sua realizzazione non avrebbe impedito l'evento; né può affermarsi che i ganci fossero inidonei, atteso che i dipendenti sentiti come testi (es. i testi D., I. e P.) hanno riferito che i ganci a loro disposizione erano perfettamente nuovi: la causa dello sganciamento andava riferita alle modalità di aggancio del cassone. E, quand'anche il gancio in questione avesse avuto dei problemi, erano disponibili altri ganci in perfetta efficienza, che quindi potevano formare oggetto di sostituzione a cura dei dipendenti; neppure sussiste la violazione dell'art. 70, comma 4, d.lgs. 81/2008, essendo risultato che le apparecchiature di sollevamento venivano regolarmente controllate da una ditta esterna appaltatrice. Quanto invece alla posizione del F.D. si denuncia vizio di motivazione in ordine all'addebito a lui mosso ex art. 19, d.lgs. 81/2008: non vi é infatti prova che i ganci non venissero controllati prima delle operazioni di sollevamento, anzi vi é prova del contrario, sulla base delle deposizioni testimoniali sul punto; inoltre la traiettoria del carico é risultata essere del tutto regolare e pienamente visibile dal gruista A.M.: fu invece anomalo il comportamento del E.M., che non si spostò dalla zona di carico durante il sollevamento. Infine, quanto alla posizione del A.M., si denuncia vizio di motivazione in ordine alla violazione a lui attribuita ex art. 20 del d.lgs. 81/2008, non essendo dimostrato che fosse lui a dover controllare i ganci al momento del sollevamento, né che i ganci non fossero stati controllati.
6.3. Con il terzo motivo si denuncia mancata assunzione di una prova decisiva con riferimento all'omessa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sollecitata dalla difesa: gli accertamenti peritali erano infatti stati eseguiti con un dato mancante, rappresentato dall'assenza del cassone, dissequestrato e portato in discarica, e sono stati eseguiti in una condizione di oggettiva differenza rispetto alla situazione oggetto di verifica, per cui non era possibile ricostruire l'accaduto in termini pertinenti e affermare che vi fosse una relazione fra lo stato della "linguetta" di sicurezza e il sinistro.
6.4. Con il primo dei cinque motivi nuovi, ad integrazione del terzo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione delle dinamiche dell'evento, con travisamento di prova decisiva: l'espletamento degli accertamenti peritali che indusse la difesa a richiedere un supplemento di perizia in ordine alle cause dello sganciamento é rimasto inevaso; vengono poi richiamate le considerazioni svolte dal consulente tecnico della difesa ing. F. a sostegno dell'esclusione del nesso di causalità fra l'allargamento della levetta del gancio e lo sganciamento del cassone, a fronte delle quali la Corte di merito ha scelto una diversa ricostruzione dei fatti senza prendere in esame alcuna ipotesi alternativa.
6.5. Con il secondo motivo nuovo si denuncia violazione di legge in punto di ricostruzione del nesso causale, risultata diversa tra la sentenza di primo grado (allorché si ritennero decisivi la mancata realizzazione di una tettoia e la tenuta della catena) e quella d'appello, in cui i suddetti aspetti sono stati completamente pretermessi e si é indicata la causa dell'accaduto nel malfunzionamento del sistema di sicurezza del gancio, salvo poi chiamare in causa la mancata utilizzazione di brache efficienti. In pratica la Corte non si confronta con il percorso motivazionale offerto dalla sentenza di primo grado, così integrando un vizio logico della sentenza.
6.6. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge per assenza di un nesso eziologico tra le condotte colpose e l'evento verificatosi, nonché vizio di motivazione, non avendo in alcun modo la Corte di merito valutato che la condotta colposa contestata agli esponenti della Società non risulta eziologicamente efficiente rispetto alla verificazione dell'evento, né risulta operato alcun ragionamento controfattuale in riferimento al caso che le norme cautelari fossero state rispettate.
6.7. Con il quarto motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'insussistenza delle contravvenzioni di cui al capo 2, già evidenziata nel secondo motivo del ricorso principale, eccependone altresì 
l'intervenuta prescrizione, peraltro rilevabile d'ufficio ex art. 609, comma 2, cod.proc.pen..
6.8. Con il quinto motivo di ricorso, che riprende e amplia il primo motivo, si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego della sospensione condizionale della pena in favore del L.G.B., a fronte della revoca in executivis di alcuni decreti penali di condanna precedentemente emessi a carico del medesimo.

Considerato in diritto

1. Iniziando dal ricorso del F.P., il primo motivo é infondato.
L'apparente - almeno parziale - scostamento del primo giudice dall'imputazione formulata a carico del F.P. e degli altri coimputati (laddove tra le cause del sinistro viene indicata anche l'omessa realizzazione di una tettoia nel luogo ove avvenivano le operazioni di carico del calcestruzzo) deve ritenersi del tutto riassorbito nel percorso motivazionale seguito dalla Corte di merito, che nell'enunciare le cause del sinistro non tiene di fatto conto di tale presunta manchevolezza e si attiene in modo esclusivo all'addebito riferito alle condizioni dei dispositivi di sicurezza presenti sui ganci cui il carico era appeso, nei termini indicati dall'editto imputativo. Pertanto, nella sentenza impugnata non é dato rilevare alcuna divaricazione fra accusa e condanna, atteso che gli addebiti oggetto della prima risultano pienamente recepiti nel percorso argomentativo a sostegno della seconda.
Inoltre la Corte distrettuale, nel replicare alle lagnanze articolate dagli appellanti ex art. 521 cod.proc.pen., ha convenientemente risposto osservando che l'articolata istruzione dibattimentale ha ampiamente consentito agli imputati di apprestare compiutamente le loro difese; e che nelle allegazioni del ricorrente non vi sono elementi deponenti in senso contrario. In proposito va richiamato l'indirizzo della giurisprudenza anche apicale di legittimità, in base al quale, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'Imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione é del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 248051); tale principio vale non solo per il profilo della diversa qualificazione giuridica del fatto, ma anche allorquando le condotte oggetto di declaratoria di responsabilità siano diverse da quella indicata in imputazione, purché quest'ultima contenga la descrizione, anche sommaria, del comportamento addebitato in sentenza; ed inoltre, come recentemente ribadito dalla Corte regolatrice con specifico riferimento ai procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell 'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (per tutte vds. Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265, nonché, in senso conforme, Sez. 4 , n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500).
2. Quanto al secondo motivo di lagnanza del F.P., esso deve invece ritenersi fondato.
Al F.P. si rimprovera in sostanza di non avere curato che sui dispositivi di aggancio dei carichi alle gru venissero eseguite le verifiche periodiche previste, affidate a una ditta esterna e delle quali non vi é documentazione (la sentenza impugnata dà anzi conto di fonti di prova orale che riferiscono di come i controlli sui ganci fossero carenti e inidonei). Ma in tal modo non viene preso in considerazione dalla Corte di merito il contenuto specifico della posizione di garanzia assegnata dall'ordinamento al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione: contenuto affatto diverso da quello che caratterizza la posizione di garanzia datoriale.
Ed invero va ribadito, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dalla normativa specifica, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che é demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto) (Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e altro, Rv. 247536; in termini analoghi Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Portera e altri, Rv. 265661).
Ciò posto, deve pure rammentarsi che in casi precedenti del tutto analoghi la Corte regolatrice ha escluso che le operazioni di controllo dell'efficienza e della sicurezza dei ganci da gru potessero rientrare nell'ambito delle citate funzioni di alta vigilanza e che, quindi, potesse assegnarsi al C.S.E. la posizione di garanzia integrante l'obbligo giuridico di attivarsi nel caso di malfunzionamenti di tali dispositivi. Invero, un caso analogo era stato affrontato in Sez. 4, Sentenza n. 31015 del 27/04/2015, Calgione e altri. Nella specie al C.S.E. era mosso l'addebito di avere omesso di controllare l'efficienza del gancio di una gru, in relazione a un episodio in cui lo sganciamento del carico aveva fatto si che il carico medesimo aveva travolto e ucciso un operaio. La Corte di legittimità ebbe ad osservare, al riguardo, che si fosse «trattato di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto», e che, quindi, l'evento non fosse «riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione: in tale ambito al coordinatore é affidato il formalizzato, generale dovere di alta vigilanza di cui si é ripetutamente detto». E, anche con riferimento al malfunzionamento del gancio, sarebbe stato necessario pervenire all'«accertamento della consapevolezza di tale circostanza» da parte del C.S.E, «unica ipotesi che gli avrebbe imposto, nella sua qualità, di sospendere i lavori.».
Ora, nel caso di specie, si versa in una situazione che per molti versi si presenta analoga, a fronte della quale non é corretto riportarsi tautologicamente all'imputazione, come ha fatto la Corte territoriale, senza effettuare una doverosa verifica della riconducibilità delle omissioni addebitate al F.P. alla specifica posizione di garanzia del coordinatore per la sicurezza in fase d'esecuzione: posizione di garanzia che - lo si ripete -, oltre a non essere in alcun modo sovrapponibile a quella datoriale, consiste essenzialmente nell'alta vigilanza finalizzata a prevenire il rischio interferenziale: un rischio, all'evidenza, del tutto estraneo alla vicenda che ne occupa, sia in relazione all'oggetto dei controlli asseritamente omessi, sia in riferimento al fatto che nel cantiere era impegnata una singola ditta appaltatrice.
Sul punto quindi la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, atteso che non può in alcun modo ascriversi al ricorrente F.P. una responsabilità riferita a una condotta omissiva non riconducibile a! rischio che egli era chiamato a governare; la formula terminativa corretta è, nella specie, "per non aver commesso il fatto".
3. Venendo ora ai ricorsi degli imputati L.G.B., A.M. e F.D., il primo motivo ivi articolato - relativo esclusivamente alla biografia penale del L.G.B. - é manifestamente infondato; e ciò vale anche per il quinto motivo nuovo di ricorso, che ad esso si richiama. 
Si argomenta nei motivi in esame che nei confronti del L.G.B. la pena era stata applicata senza che in atti risultasse il nuovo provvedimento del G.E. del Tribunale di Bergamo con il quale sono stati revocati alcuni decreti penali relativi ad altrettante violazioni tributarie.
Ora, avuto riguardo a quanto dedotto nel quinto motivo nuovo di ricorso, risulta in primo luogo evidente che il suddetto provvedimento non poteva essere conosciuto dalla Corte di merito, né poteva essere prodotto e acquisito agli atti alla data della sentenza impugnata, per l'ottima ragione che quest'ultima é stata pronunziata all'udienza dell'8 luglio 2016 e che il provvedimento del G.E. é datato 22 luglio 2016.
Tanto premesso, va rammentato che non può sollecitarsi una rivalutazione di tale emergenza in sede di legittimità (ciò che forma oggetto del motivo in esame, atteso che vi si prospetta la formalizzazione - non conoscibile dalla Corte di merito - dell'abolitio criminis relativa ad alcune violazioni tributarie ascritte al L.G.B.), atteso che la presenza di precedenti condanne per reati poi depenalizzati può legittimamente essere valutata dal giudice come elemento ostativo alla presunzione che il colpevole si asterrà, per il futuro, da commettere ulteriori reati (cfr. per tutte Sez. 5, Sentenza n. 34682 del 11/02/2005 Ud. (dep. 28/09/2005 ) Rv. 232312); e che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.pen., sicché é inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena (v. Cass., Sez. 3, n. 1182/2008 del 17/10/2007, Cilia).
Ma soprattutto, nel motivare le proprie statuizioni in punto di pena nei riguardi del L.G.B., come del resto anche nei riguardi dei coimputati, la Corte non si é basata in alcun passaggio sulla biografia penale di alcuno di costoro (con conseguente irrilevanza dell'argomento posto a base dei motivi di lagnanza in esame) ed ha del resto fornito adeguata motivazione delle proprie statuizioni, chiarendo che il trattamento sanzionatorio doveva rimanere per tutti superiore al minimo edittale in relazione alla reiterazione della condotta omissiva e del rischio conseguente; ed ulteriormente argomentando le più gravose statuizioni sanzionatorie relative al L.G.B. in relazione alla sua qualifica datoriale, nonché all'elevato rischio presente in cantiere in conseguenza della condotta omissiva e dei plurimi profili di colpa specifica. Tale pur sintetico percorso argomentativo soddisfa i requisiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, specie ove si consideri che la pena applicata a tutti gli imputati, pur non coincidente con il minimo edittale, é ben al disotto del valore medio; ed é noto che, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non é necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo é desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese e altro, Rv. 267949).
4. Quanto al secondo motivo, nella parte in cui esso si riferisce alle violazioni addebitate al L.G.B. nella sua posizione datoriale, esso é infondato (lo stesso é a dirsi, in parte qua, in ordine al quarto motivo nuovo).
Rilevato che non ha assunto alcun rilievo nella condanna emessa a suo carico la questione - pur sollevata dal ricorrente - della mancata realizzazione della tettoia (non formante oggetto di imputazione), riguardo alla quale si rinvia alle considerazioni svolte a proposito del primo motivo del ricorso F.P., per il resto non vale a conferire fondamento alla doglianza il riferimento di alcuni testi, dipendenti dalla società, al fatto che sarebbero stati disponibili in ditta ganci perfettamente funzionanti; né a tal fine soccorre la considerazione che i lavoratori, in presenza di ganci difettosi, avrebbero avuto tutte le possibilità di sostituirli.
A conclamare la responsabilità del L.G.B. come datore di lavoro non vi é, infatti, solo il dato di fatto costituito dall'utilizzo, in particolare nell'operazione di carico tragicamente conclusasi, di ganci i cui sistemi di sicurezza erano inidonei e comunque mal funzionanti (ciò che comunque integra la violazione, da parte del L.G.B., dell'obbligo stabilito dall'art. 71 d.lgs. 81/2008, in base al quale il datore di lavoro «mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all' articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate ai lavoro da svolgere o adattate a tali scopi», avendo cura che tali attrezzature formino «oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nei tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all' articolo 70» dello stesso decreto legislativo).
Vi é, anche - e soprattutto -, la carenza a lui imputabile delle verifiche sull'effettività dei controlli sui ganci, demandati a una ditta esterna. Al riguardo é risultato radicalmente disatteso l'assunto del ricorrente in base al quale sarebbe stato dimostrato che venissero eseguite con regolarità le verifiche periodiche dei ganci ad opera di una ditta esterna: al contrario, risulta che non vi sia alcuna traccia di dette verifiche periodiche (a pag. 23 della sentenza si paria di «certa ed incontestabile assenza sui ganci di targhette identificative o simili apprestamenti» e di «mancanza di documentazione relativa all'obbligatoria specifica verifica trimestrale sui medesimi») e ciò, sicuramente, rappresenta un profilo omissivo della condotta imputabile al datore di lavoro, costituendo un rischio strutturale che incombeva al L.G.B. governare quale garante della sicurezza e della salute dei suoi dipendenti.
Sul piano del nesso causale, infine, l'assunto - sostenuto dal ricorrente - secondo il quale l'incidente si sarebbe verificato perché nel caso specifico l'aggancio del carico sarebbe stato effettuato in modo difettoso, la motivazione resa sul punto dalla Corte di merito - adesiva alle conclusioni del perito ing. Calvi ed ampiamente argomentata - é nel senso di ritenere che la causa della caduta del carico va attribuita all'uso di una braca di catene a due braccia munita di ganci aventi i sistemi di sicurezza insufficienti, con conseguente completa rottura del dispositivo di chiusura del gancio utilizzato (pag. 25 sentenza impugnata). In proposito ci si limita a osservare che la lagnanza in esame si risolve nella sollecitazione di una rivalutazione del materiale probatorio, volta ad ottenere una diversa lettura delle risultanze peritali in ordine ai risultati dell'istruttoria, in vista di una ricostruzione alternativa della serie causale: ciò che all'evidenza costituirebbe un'indebita ed inammissibile estensione del sindacato di legittimità a questioni di fatto di esclusiva pertinenza del giudice di merito.
5. Restando nel secondo motivo di ricorso, a proposito della posizione del F.D., esso é parimenti infondato.
La circostanza, sostenuta dal ricorrente, secondo cui i ganci sarebbero stati controllati prima delle operazioni di sollevamento (secondo alcune deposizioni testimoniali) ed in ogni caso non vi é prova del contrario, é smentita dalle già ricordate, difformi risultanze probatorie, valorizzate dalla Corte di merito, in base alle quali risulta che sia risultata sprovvista di riscontro l'asserzione secondo la quale venivano regolarmente eseguiti i controlli periodici sui ganci; del resto, secondo la sentenza impugnata, l'assenza di un adeguato controllo dei ganci é confermata non solo dall'oggettivo stato di deterioramento degli stessi, ma anche dalle stesse dichiarazioni del coimputato e gruista A.M., nonché da quanto emerso circa le condizioni in cui venivano lasciate le attrezzature adibite al sollevamento dei carichi, tenute all'aperto e riparate continuamente dagli stessi lavoratori, senza alcuna protezione dagli agenti atmosferici (la Corte distrettuale cita al riguardo le dichiarazioni del luogotenente D. e del tecnico ASL). A fronte di ciò, é noto che il capo cantiere (posizione ricoperta dal F.D.) é destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'Interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche (Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio e altro, Rv. 252149), oltreché di quello, indicato specificamente dall'art. 19 d.lgs. 81/2008, di segnalare tempestivamente al datore di lavoro le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro. Da quanto precede risulta evidente che il F.D. ha effettivamente violato gli obblighi nascenti dalla sua posizione di garanzia.
Si soggiunge che non può in alcun modo qualificarsi come abnorme il comportamento del E.M., per essere egli rimasto in prossimità del punto di sollevamento del carico. Va al riguardo richiamato il principio, affermato dalla sentenza n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247).
Nel caso di specie, l'infortunio é avvenuto mentre il E.M. era intento a eseguire l'operazione di sollevamento del carico (unitamente al A.M. come manovratore della gru) in esecuzione di precise disposizioni impartitegli dal capo cantiere, ossia dal F.D.. Dunque non può parlarsi di eccentricità rispetto alla sfera di rischio governata dai soggetti garanti, fra cui lo stesso F.D..
6. Sempre nell'ambito del secondo motivo di ricorso, le doglianze afferenti la posizione del A.M. (gruista) sono a loro volta infondate. Oltre alla considerazione, evidenziata dalla Corte di merito, in base alla quaie l’obbligo di assicurarsi della stabilità del carico incombe sul manovratore della gru (Sez. 4, n. 41294 del 04/10/2007, Fatibardi, Rv. 237890), incombeva al gruista l'obbligo, imposto in generale ai lavoratori in base alle previsioni "responsabilizzanti" di cui all'art. 20, d.lgs. 81/2008, di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, di contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché di utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro. Orbene, la Corte di merito ha puntualmente osservato che, essendo il A.M. a conoscenza del fatto che, poco prima dell'operazione di sollevamento, vi era in prossimità della gru il E.M., che lo aveva aiutato ad agganciare il carico, egli ben poteva e doveva sincerarsi del fatto che il collega non fosse rimasto in prossimità del carico in corso di sollevamento (circostanza quanto meno non imprevedibile), indipendentemente dal fatto (ed anzi, a ben vedere, proprio per il fatto) che durante tale operazione egli non poteva vedere l'area dalla quale il sollevamento avveniva e dove si trovava in realtà il E.M..
7. E', poi, manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso.
Ed invero, basterà osservare quanto affermato dalle Sezioni Unite in ordine al fatto che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A e altro, Rv. 270936). Poiché nella specie, oltretutto, si sarebbe trattato di disporre una perizia invocata sul rilievo dell'assoluta necessità di procedere alle operazioni peritali avendo a disposizione un cassone del tipo di quello caduto in occasione dell'incidente, deve osservarsi che l'assunto mirato a sostenere tale assoluta necessità é del tutto aspecifico e privo di valenza dimostrativa, a fronte del fatto che il percorso argomentativo della sentenza impugnata, volto a illustrare le ragioni in base alle quali il sinistro avvenne a causa dei ganci mal funzionanti nel loro dispositivo di sicurezza, é correttamente ed ampiamente argomentato, sulla base di valutazioni espresse in particolare dal perito nominato dal G.i.p. durante le indagini e dal consulente del P.M.; con la conseguenza che neppure potrebbe parlarsi, in ogni caso, di necessaria rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, atteso che, come affermato dalla giurisprudenza anche a Sezioni Unite, permane valida la regola in base alla quale la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, é un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 2016, Ricci, Rv. 266820).
8. Quanto ai primi tre motivi nuovi di ricorso, che in sostanza si riagganciano, sia pure in chiave parzialmente diversa, al terzo e in parte al secondo dei motivi di ricorso principale, si tratta di lagnanze manifestamente infondate e comunque insuscettibili di esame in questa sede, trattandosi essenzialmente di una mera sollecitazione di valutazioni alternative rispetto agli esiti probatori, non compatibile con il presente giudizio di legittimità e di stretta pertinenza del giudice di merito, a fronte della quale il percorso argomentativo illustrato nella sentenza impugnata si caratterizza, come del resto emerso anche alla luce dei motivi di ricorso dianzi esaminati, come assistito da adeguata coerenza e congruità ed esente da palesi o macroscopiche lacune in termini di logicità.
9. E' invece fondato il quarto motivo nuovo di ricorso, nell'interesse del L.G.B., laddove vi si eccepisce che i reati contravvenzionali a lui contestati al capo 2 risultano effettivamente estinti per prescrizione: causa estintiva che va comunque nella specie dichiarata a fronte di motivi di ricorso che non risultano tutti manifestamente infondati.
10. Pertanto, a fronte della già argomentata decisione di annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza quanto alla posizione del F.P. per non avere il medesimo commesso il fatto, va annullata senza rinvio la sentenza stessa relativamente ai reati contravvenzionali ascritti al L.G.B., perché estinti per prescrizione; la pena dell'ammenda, applicata a suo carico in relazione a detti reati, può essere eliminata direttamente da questa Corte.
Nel resto il ricorso del L.G.B. va rigettato; del pari vanno rigettati i ricorsi di A.M. e F.D., i quali, essendo risultati interamente soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto a F.P. Ferruccio, per non aver commesso il fatto.
Annulla altresì senza rinvio la medesima sentenza relativamente ai reati contravvenzionali di cui all'art. 87, comma 2, lettere a) ed e), D.Lgs. 81/2008 ascritti a L.G.B. perché estinti per prescrizione ed elimina la pena dell'ammenda applicata al L.G.B. in relazione ai predetti reati. Rigetta nel resto il ricorso del L.G.B..
Rigetta i ricorsi di A.M. e F.D. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.

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INAIL: Moduli e modelli relativi certificazione e verifica

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Inail Moduli 2019

INAIL 2019 Moduli e modelli attività di certificazione e verifica

ID 8423 | Update news 17.05.2022

Sezione INAIL Ricerca e Tecnologia

Di seguito raccolta moduli INAIL riguardanti le attività di certificazione e verifica INAIL a maggio 2019.

Portale CIVA (Servizi telematici di Certificazione e Verifica Impianti e Apparecchi)

Dal 27 maggio 2019 i servizi di certificazione e verifica di impianti e apparecchi INAL si richiedono on line con il nuovo applicativo messo a disposizione dall’Inail consente di richiedere on line i servizi più significativi, tra cui l’immatricolazione e la messa in servizio, relativi a impianti e attrezzature. Una parte residuale dei servizi sarà oggetto di un secondo rilascio.

Vai al portale CIVA

1. SEDI INAIL

Elenco degli uffici Inail Unità operative territoriali di certificazione, verifica e ricerca

2. APPOSIZIONE DELLA MARCA DA BOLLO SUI MODULI DI RICHIESTA
Dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà

3. ISCRIZIONE DEI SOGGETTI ABILITATI NELLA LISTA INAIL
Iscrizioni SA elenchi regionali Inail [pdf/doc]

4. ATTREZZATURE A PRESSIONE - FORNI
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta di verifica messa in servizio
Richiesta prima verifica periodica

5. ATTREZZATURE A PRESSIONE - GENERATORI DI VAPORE
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta di verifica messa in servizio
Richiesta prima verifica periodica

6. ATTREZZATURE A PRESSIONE - RECIPIENTI
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta di verifica messa in servizio
Richiesta prima verifica periodica

7. ATTREZZATURE A PRESSIONE - TUBAZIONI
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta di verifica messa in servizio
Richiesta prima verifica periodica

8. INSIEMI - INSIEMI CONSIDERATI UNITÀ INDIVISIBILI (UI)
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta di verifica messa in servizio
Richiesta prima verifica periodica

9. INSIEMI - INSIEMI NON CONSIDERATI UNITÀ INDIVISIBILI (UI)
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta di verifica messa in servizio

10. RISCALDAMENTO
Istruzioni operative e modalità di trasmissione
Denuncia impianto centrale di riscaldamento ad acqua calda
Mod. RD
Mod. RR
Mod. RR/Circuiti
Mod. RR/Generatori
Richiesta di verifica impianto di riscaldamento ad acqua calda
Richiesta verifica periodica impianti con potenzialità superiore a 116 Kw

11. IMPIANTI DI MESSA A TERRA
Modello di trasmissione dichiarazione di conformità per impianti di messa a terra e protezione dalle scariche atmosferiche - Mod. Inail 462-DE
DPR 462/01 - Guida tecnica

12. SOLLEVAMENTO - MATERIALI CON PORTATA SUPERIORE A 200 KG
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

13. SOLLEVAMENTO - ASCENSORI E MONTACARICHI DA CANTIERE
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

14. SOLLEVAMENTO - CARRELLI SEMOVENTI A BRACCIO TELESCOPICO
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

15. SOLLEVAMENTO - CARRI RACCOGLIFRUTTA
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

16. SOLLEVAMENTO - IDROESTRATTORI
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

17. SOLLEVAMENTO - PONTE MOBILE SVILUPPABILE SU CARRO
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

18. SOLLEVAMENTO - PONTI SOSPESI E RELATIVI ARGANI
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

19. SOLLEVAMENTO - SCALE AEREE AD INCLINAZIONE VARIABILE
Denuncia di messa in servizio/immatricolazione
Richiesta prima verifica periodica

20. PONTI SOLLEVATORI PER VEICOLI
Riconoscimento idoneità ponti pesanti (officina) - Aggiornamento 17 febbraio 2017
Riconoscimento idoneità ponti pesanti (fabbricante) - Aggiornamento 17 febbraio 2017
Riconoscimento idoneità ponti leggeri (officina) - Aggiornamento 17 febbraio 2017
Riconoscimento idoneità ponti leggeri (fabbricante) - Aggiornamento 17 febbraio 2017

21. GAS RADON
Modulo per la richiesta di consulenza tecnica
Vademecum dell'attività di consulenza espletata dall'Inail per la richiesta di consulenza tecnica

22. RIQUALIFICAZIONE SERBATOI GPL CON METODO EA
Trasmissione elenchi Form EA

23. REGISTRO DI ESPOSIZIONE AD AGENTI CANCEROGENI - MODULISTICA
Modello C 626/1 - Dati generali
Modello C 626/2 - Dati individuali lavoratore esposto
Modello C 626/3 - Dati generali, comunicazione variazioni
Modello C 626/4 - Richiesta copia annotazioni individuali e cartelle sanitarie
Specifiche per la compilazione dei modelli C 626
Registri di esposizione - manuale utente Versione 1.2 - aggiornamento: 30 maggio 2018

24. REGISTRO DI ESPOSIZIONE AD AGENTI BIOLOGICI - MODULISTICA
Modello B 626/1 - Dati generali
Modello B 626/2 - Dati individuali lavoratore esposto
Modello B 626/3 - Dati generali, comunicazione variazioni
Modello B 626/4 - Richiesta copia annotazioni individuali e cartelle sanitarie
Specifiche per la compilazione dei modelli B 626
Registri di esposizione - manuale utente Versione 1.2 - aggiornamento: 30 maggio 2018
...
Fonte: INAIL

CIVA | Certificazione di Impianti e Verifica Apparecchi 

Dal 27 maggio 2019 i servizi di certificazione e verifica di impianti e apparecchi INAL si richiedono on line: CIVA

Il nuovo applicativo messo a disposizione dall’Inail consente di richiedere on line i servizi più significativi, tra cui l’immatricolazione e la messa in servizio, relativi a impianti e attrezzature. Una parte residuale dei servizi sarà oggetto di un secondo rilascio. Le richieste per queste prestazioni, al momento, vanno inoltrate via pec.

A partire dal 27 maggio 2019, accedendo dal portale dell’Istituto e seguendo le istruzioni fornite con la circolare n. 12 del 13 maggio 2019, devono essere richiesti attraverso l’applicativo Civa i seguenti servizi:

- la denuncia di impianti di messa a terra;
- la denuncia di impianti di protezione da scariche atmosferiche;
- la messa in servizio e l’immatricolazione delle attrezzature di sollevamento;
- il riconoscimento di idoneità dei ponti sollevatori per autoveicoli;
- le prestazioni su attrezzature di sollevamento non marcate CE;
- la messa in servizio e l’immatricolazione degli ascensori e dei montacarichi da cantiere;
- la messa in servizio e l’immatricolazione di apparecchi a pressione singoli e degli insiemi;
- l’approvazione del progetto e la verifica primo impianto di riscaldamento;
- le prime verifiche periodiche.

Per utilizzare l’applicativo è necessario essere registrati al portale Inail e accedere utilizzando uno dei profili a disposizione 

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Nota VVF 05.04.2019 Grado di sicurezza di 1° grado - box e manufatti

ID 8415 | | Visite: 5455 | Prevenzione Incendi

Nota VVF 05.04.2019 Grado di sicurezza di 1° grado - Chiarimenti per box e manufatti

D.M. 31 marzo 2014 (modifiche ed integrazione al D.M. 24 maggio 2002) grado di sicurezza di 1° grado - Chiarimenti per box e manufatti

Il D.M. in oggetto ha indicato quale soluzione conforme per manufatti con grado di sicurezza di 1° grado non solo l'adozione di pareti in cemento armato ma anche l'impiego di materiali alternativi per i quali sia possibile dimostrare equivalente resistenza meccanica.

Tutto quanto sopra premesso, il fabbricante di manufatti destinati ad essere utilizzati nell'ambito dei distributori stradali di gas naturale per autotrazione (ad. es. box di compressione, box per lo stoccaggio, ecc.), in assenza di specifiche norme tecniche di qualificazione del prodotto , è tenuto a dimostrare, attraverso metodi basati sull'ingegneria, l'equivalente resistenza meccanica dei materiali utilizzati.

Allo scopo di verificare la predetta equivalenza, in relazione alle configurazioni dei manufatti, il fabbricante potrà predisporre un fascicolo tecnico con la descrizione della geometria del manufatto, dei materiali e dei particolari di assemblaggio, assumendo corrette ipotesi sull'analisi dei carichi previsti in caso di esplosione (utile riferimento è rappresentato dall'Eurocodice UNI EN 1991-1-7 "Azioni sulle strutture - Azioni eccezionali") e sviluppare un calcolo strutturale, anche ricorrendo all'analisi agli elementi finiti, per dimostrare quanto previsto dalla sicurezza di grado 1°: "quando le caratteristiche costruttive dei manufatti sono tali da garantire, in caso di scoppio, il contenimento dei materiali sia lateralmente che verso l'alto".

Come previsto dal D.M. 07 agosto 2012, il fascicolo tecnico deve essere reso disponibile per eventuali controlli del Comando nell'ambito dei procedimenti di prevenzione incendi.

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Fonte: VVF

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 20833 | 15 Maggio 2019

ID 8389 | | Visite: 2598 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Uso improprio e non sicuro delle macchine spezzonatrici

Penale Sent. Sez. 4 Num. 20833 Anno 2019

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 03/04/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Milano, in data 21 settembre 2018, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 18 dicembre 2017, con la quale F.S. era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di cui all'art. 590 cod.pen., con violazione dell'art. 71, comma 4 lettera a), D.Lgs, n. 81/2008, contestato allo F.S. in riferimento a un infortunio sul lavoro occorso in data 26 ottobre 2011 presso lo stabilimento della Brady Italia S.r.l., società di cui lo F.S. era direttore generale e consigliere, con funzioni di rappresentanza avanti l'A.G..
L'infortunio si verificava ai danni di PL.G., dipendente della suddetta impresa, nella quale lo F.S. rivestiva la qualità di datore di lavoro. Il PL.G. era impegnato, al momento del sinistro, nella lavorazione di alcuni tubicini in plastica di colore rosso mediante alcune macchine spezzonatrici: i tubicini in plastica, una volta lavorati e tagliati dalla singola macchina con un'apposita lama, venivano raccolti in una scatola ove si posizionavano dopo essere transitati da uno scivolo della macchina stessa; durante l'operazione, il PL.G., per raccogliere un tubicino dalla scatola, infilava una mano nello scivolo e la spingeva fino al punto ove era posizionata la lama, così da subire l'amputazione della falange distale del terzo dito della mano destra: lesioni giudicate guaribili in 91 giorni.
Allo F.S. é contestato di avere agito, nella sua qualità datoriale, senza adottare le necessarie misure di sicurezza, con particolare riguardo al dispositivo di protezione originariamente apposto sulla macchina (fissato con apposite viti) e idoneo a impedire che le mani e le dita potessero passare all'interno dello scivolo, mettendo a disposizione del lavoratore un macchinario non conforme alle normative di sicurezza in quanto privato del suddetto dispositivo di protezione, nonché omettendo di prendere le misure necessarie all'utilizzo in sicurezza dell'apparecchiatura.
La sentenza d'appello, a fronte dei motivi di doglianza dell'imputato, ha valorizzato in particolare la prova che l'utilizzo delle macchine spezzonatrici avveniva correntemente a protezione rimossa, e ha concluso che l'imputato, nella ridetta qualità, era venuto meno alle sue responsabilità datoriali connesse al fatto che egli, titolare di posizione di garanzia in tema di sicurezza del lavoro, non ottemperava alle suddette prescrizioni e in tal modo non impediva il verificarsi dell'Infortunio pur avendone l'obbligo giuridico.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre lo F.S.. Il ricorso é articolato in due motivi. 
2.1. Con il primo motivo, teso a contestare vizio di motivazione nella detta pronunzia di condanna, l'esponente si duole del fatto che la Corte di merito ha attribuito alle prove raccolte un significato diverso da quello effettivo, prestando acritica fede alle dichiarazioni della persona offesa e non considerando alcuni dati fondamentali emersi nel giudizio di merito: ad esempio, la rimozione delle viti con le quali era fissato il dispositivo di protezione era un'operazione complessa, perché comportava ogni volta la necessità di recarsi in officina per prendere gli attrezzi necessari; la Corte di merito ha poi insistito sull'aspetto riguardante un'asserita carenza di formazione del lavoratore e di individuazione del rischio, contro ogni evidenza probatoria (le dichiarazioni della persona offesa sul punto sono smentite dalla presenza in atti di attestati di partecipazione a corsi specifici) e oltretutto al di fuori del perimetro dell'imputazione; ancora, la sentenza impugnata aderisce alle dichiarazioni del PL.G. quando costui asserisce che la protezione veniva rimossa sistematicamente dal macchinario, senza però riferire chi fosse a rimuoverla; e ravvisa un riscontro a tali dichiarazioni nella deposizione del teste S., il quale però ha dichiarato di avere quasi sempre operato sulla macchina con le protezioni inserite, limitandosi a riferire che, se egli veniva visto operare con le protezioni smontate, veniva redarguito dagli addetti al controllo. Lamenta infine il ricorrente l'omessa valutazione della relazione del consulente della difesa a proposito della successiva installazione di un dispositivo in plexiglas (dispositivo apoditticamente ritenuto più idoneo di quello precedente a fini di protezione) e della conseguente individuazione del comportamento alternativo lecito che lo F.S. avrebbe dovuto tenere.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione alla ritenuta equivalenza delle attenuanti generiche, a fronte del fatto che vi erano elementi, come l'avvenuto risarcimento del danno, che avrebbero dovuto condurre a un giudizio di prevalenza.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso é fondato e assorbente.
La Corte di merito ha sostanzialmente ritenuto sussistente la violazione dell'art. 71 D.Lgs. 81/2008, che fa obbligo al datore di lavoro di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione di una macchina; al riguardo, secondo la Corte ambrosiana, il rischio nella specie concretizzatosi (derivante da un uso improprio e non sicuro delle macchine spezzonatrici) sarebbe stato conosciuto o quanto meno conoscibile da parte del datore di lavoro, ma non sarebbe stato da lui adeguatamente fronteggiato. In proposito, assume la Corte di merito che sarebbe stato comprovato che i lavoratori procedevano ricorrentemente, o per lo meno in modo non episodico, ad eseguire le lavorazioni senza la protezione della quale la macchina era corredata, soprattutto per poter rimuovere i tubicini in plastica rossa (che avevano la tendenza ad appiccicarsi sulle pareti del macchinario), e ciò sebbene la rimozione della protezione fosse manovra che richiedeva di agire sulle viti di fissaggio e nonostante il fatto che i lavoratori eseguissero tale manovra in modo da non farsi vedere dal personale dell'azienda preposto alla vigilanza, per come riferito in particolare dal teste S.. Da ciò, la Corte ambrosiana riferisce che lo F.S., pur mettendo a disposizione degli operatori un'apparecchiatura provvista di un dispositivo di sicurezza, sarebbe stato a conoscenza della sopra descritta prassi elusiva (ossia del fatto che tale dispositivo veniva in alcuni casi rimosso) e, nonostante ciò, non avrebbe preteso che l'uso dell'apparecchiatura avvenisse in conformità alle norme d'impiego, omettendo di attivarsi per impedire che le macchine spezzonatrici fossero impiegate senza il dispositivo di protezione e che i dipendenti, anche solo accidentalmente, posizionassero le dita o le mani in corrispondenza della zona di taglio, come accadde al PL.G..
2. Tuttavia, in base al percorso motivazionale seguito dalla Corte di merito, non si ricava in alcun modo la certezza che lo F.S. fosse realmente (o potesse realmente essere) a conoscenza di tale prassi, pur volendosi ammettere che essa fosse davvero così diffusa e frequente come affermato dalla persona offesa e, in parte, dal teste S..
Invero, dallo stesso racconto di quest'ultimo risulterebbe che la rimozione della protezione veniva eseguita dai lavoratori in modo da non essere notati dal personale preposto al controllo, che non avrebbe tollerato tale condotta.
Ciò, a ben vedere, costituisce un primo elemento deponente per la presenza in azienda di un sistema di vigilanza finalizzato ad assicurare l'espletamento "in sicurezza" delle lavorazioni.
Ma, a parte tale aspetto, quand'anche volesse ritenersi assodato che i sorveglianti fossero a conoscenza della prassi anzidetta, la loro posizione di soggetti subordinati gerarchicamente allo F.S. (nella sua qualità di direttore generale) non può dirsi ex se sufficiente a trarne la conclusione, come fa apoditticamente la Corte ambrosiana, che l'odierno ricorrente fosse necessariamente messo da costoro a conoscenza del fatto che i suoi dipendenti rimuovevano, più o meno abitualmente, la protezione posizionata sulle macchine spezzonatrici: il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro non costituisce di per sé prova né della conoscenza, né della conoscibilità, da parte di quest'ultimo, di prassi aziendali (più o meno ricorrenti) volte ad eludere i dispositivi di protezione presenti sui macchinari messi a disposizione dei dipendenti. Tanto più che tale deduzione non viene messa neppure in correlazione con la struttura e con le dimensioni della società di cui lo F.S. era legale rappresentante: un elemento, questo, rimasto inesplorato nel giudizio di merito e che tuttavia avrebbe potuto avere un peso nella ricostruzione della conoscibilità di prassi aziendali contra legem da parte dello F.S..
Ciò che si intende affermare é che il datore di lavoro é, bensì, responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l'utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di non esigere che tali dispositivi non vengano rimossi; ma, nel caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse o ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi, o che le avesse colposamente ignorate.
Tale certezza può, in alcuni casi, inferirsi sul piano logico (ad esempio qualora la rimozione dei dispositivi di protezione sia univocamente frutto di una precisa scelta aziendale chiaramente finalizzata a una maggiore produttività); ma, quando - come in questo caso - non vi siano elementi di natura logica per dedurre la conoscenza o la certa conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del titolare della posizione di garanzia datoriale, é necessaria l'acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che attestino tale conoscenza/conoscibilità. Diversamente opinando, si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale "di posizione" tale da eludere l'accertamento della prevedibilità dell'evento - imprescindibile nell'ambito dei reati colposi - e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva.
3. Alla luce di quanto precede la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Milano, per nuovo giudizio nel quale saranno debitamente valutati gli aspetti dianzi evidenziati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.

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CIVA | Servizi telematici certificazione e verifica impianti e apparecchi

ID 8366 | | Visite: 14559 | News Sicurezza

CIVA

CIVA | Servizi telematici di certificazione e verifica impianti e apparecchi

Dal 27 maggio 2019 i servizi di certificazione e verifica di impianti e apparecchi INAL si richiedono on line: Civa.

INAIL, 14.05.2019

Il nuovo applicativo messo a disposizione dall’Inail consente di richiedere on line i servizi più significativi, tra cui l’immatricolazione e la messa in servizio, relativi a impianti e attrezzature. Una parte residuale dei servizi sarà oggetto di un secondo rilascio. Le richieste per queste prestazioni, al momento, vanno inoltrate via pec.

A partire dal 27 maggio 2019, accedendo dal portale dell’Istituto e seguendo le istruzioni fornite con la circolare n. 12 del 13 maggio 2019, devono essere richiesti attraverso l’applicativo Civa i seguenti servizi:

- la denuncia di impianti di messa a terra;
- la denuncia di impianti di protezione da scariche atmosferiche;
- la messa in servizio e l’immatricolazione delle attrezzature di sollevamento;
- il riconoscimento di idoneità dei ponti sollevatori per autoveicoli;
- le prestazioni su attrezzature di sollevamento non marcate CE;
- la messa in servizio e l’immatricolazione degli ascensori e dei montacarichi da cantiere;
- la messa in servizio e l’immatricolazione di apparecchi a pressione singoli e degli insiemi;
- l’approvazione del progetto e la verifica primo impianto di riscaldamento;
- le prime verifiche periodiche.

Per utilizzare l’applicativo è necessario essere registrati al portale Inail e accedere utilizzando uno dei profili a disposizione.

A questi è stato aggiunto il nuovo profilo “consulente per le attrezzature e impianti”.

Il pagamento attraverso i canali di “PagoPa”. Con l’avvio del servizio telematico Civa, cambiano anche le procedure di pagamento delle prestazioni richieste. Il sistema “PagoPa” mette infatti a disposizione diversi canali, come home banking e PayPal, e consente l’abbinamento immediato della somma pagata con il servizio erogato. Grazie a un’apposita funzione presente sull’applicativo, sarà comunque possibile inserire un pagamento già effettuato attraverso i canali tradizionali durante il periodo di passaggio al nuovo sistema.

La fase di transizione. Fino al completamento del processo per la gestione online delle prestazioni di certificazione e verifica, ulteriori servizi, come la messa in servizio cumulativa di attrezzature a pressione, riparazione e taratura valvole, dovranno essere richiesti utilizzando i moduli disponibili sul portale, da inviare tramite posta elettronica certificata. La posta ordinaria o la consegna a mano saranno ammesse solo per particolari allegati per i quali le procedure di digitalizzazione risultino troppo complicate. In attesa di definire e sviluppare apposite funzioni, i servizi richiesti tramite gli Sportelli Unici per le Attività Produttive (S.U.A.P.) e quelli relativi al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca continueranno ad essere inoltrati via pec all’Unità operativa territoriale Inail competente. Le strutture del Miur potranno, in alternativa, avvalersi di consulenti tecnici per l’inoltro tramite Civa.

https://www.inail.it/cs/internet/attivita/ricerca-e-tecnologia/certificazione-verifica-e-innovazione.html
________

Circolare Inail n. 12 del 13 maggio 2019

Servizi telematici di certificazione e verifica: CIVA

Al fine di dare attuazione a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 luglio 2011 in materia di presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici, tra le imprese e le amministrazioni pubbliche esclusivamente in via telematica, l’Inail ha implementato la gestione informatizzata dei servizi di certificazione e verifica resi dall’Istituto alle diverse tipologie di utenti.

L’articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462 prevede che i datori di lavoro comunichino, entro 30 giorni, all’Unità operativa territoriale Inail (Uot) competente la messa in servizio degli impianti di messa a terra e dei dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche e inviino, altresì, la dichiarazione di conformità dell’impianto rilasciata dall’installatore.

Per quanto concerne le attrezzature di lavoro ricomprese nell’allegato VII al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e, tra queste, le attrezzature di sollevamento, i datori di lavoro devono comunicarne la messa in servizio alla Uot Inail competente -che provvede all’assegnazione di una matricola - nonché richiedere la prima delle verifiche periodiche secondo le scadenze indicate nel richiamato allegato.

Con riguardo alle attrezzature a pressione e agli “insiemi” di cui al decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 93, il datore di lavoro o l’utilizzatore ha l’obbligo  di effettuare la dichiarazione di messa in servizio alla Uot Inail di riferimento. Ai sensi del decreto ministeriale 1 dicembre 2004, n. 329 alcune apparecchiature sono soggette anche alla verifica di messa in servizio.

Le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche sono definite dal decreto ministeriale 11 aprile 2011, le cui disposizioni si applicano ai seguenti gruppi di attrezzature:

Gruppo SC Apparecchi di sollevamento materiali non azionati a mano e idroestrattori a forza centrifuga;
Gruppo SP Sollevamento persone;
Gruppo GVR Gas, Vapore, Riscaldamento.

Il Titolo II del decreto ministeriale 1° dicembre 1975 stabilisce i requisiti di sicurezza che i generatori di calore per impianti di riscaldamento ad acqua calda sotto pressione, con temperatura non superiore a quella di ebollizione a pressione atmosferica, devono soddisfare per la prevenzione degli infortuni.

In particolare l’articolo 18 del citato decreto ministeriale prevede i casi in cui deve essere presentata una denuncia all’Inail per i generatori soggetti alle disposizioni del decreto. L’articolo 241, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 stabilisce che l’Inail provveda al riconoscimento d’idoneità dei ponti sollevatori per veicoli destinati alle officine che effettuano la revisione dei veicoli. Tale attività prevede la verifica della rispondenza del ponte sollevatore destinato a officine autorizzate per la revisione alle disposizioni di cui al paragrafo h) dell’allegato tecnico al decreto ministeriale 23 ottobre 1996, n. 628.

Rilascio dell’applicativo CIVA

Con la presente circolare si comunica che a decorrere dal 27 maggio 2019, l’Inail mette a disposizione dell’utenza l’applicativo CIVA che consente la gestione informatizzata dei sottoriportati servizi di certificazione e verifica:

- la denuncia di impianti di messa a terra;
- la denuncia di impianti di protezione da scariche atmosferiche;
- la messa in servizio e l’immatricolazione delle attrezzature di sollevamento;
- il riconoscimento di idoneità dei ponti sollevatori per autoveicoli;
- le prestazioni su attrezzature di sollevamento non marcate CE;
- la messa in servizio e l’immatricolazione degli ascensori e dei montacarichi da cantiere;
- la messa in servizio e l’immatricolazione di apparecchi a pressione singoli e degli insiemi;
- l’approvazione del progetto e la verifica primo impianto di riscaldamento;
- le prime verifiche periodiche.

Ne consegue, pertanto, che dalla suindicata data i servizi di certificazione e verifica sopra richiamati dovranno essere richiesti esclusivamente utilizzando il servizio telematico CIVA.

Gli ulteriori servizi di certificazione e verifica appartenenti al gruppo GVR- per esempio messa in servizio cumulative di attrezzature a pressione, riparazione,  taratura valvola - saranno sviluppati in immediato prosieguo e della loro implementazione verrà data notizia con successiva circolare esplicativa. Fino al completamento dei servizi online, le prestazioni relative a questi servizi dovranno essere richieste utilizzando la modulistica presente sul portale con invio tramite posta elettronica certificata (Pec). Potranno essere accettati con altra modalità (posta ordinaria o consegna a mano presso le Strutture dell’Istituto) solo allegati che per la loro particolarità (es. elaborati complessi o elaborati relativi a vecchi impianti) presentino difficoltà a essere digitalizzati; ovviamente l’invio con altra modalità degli allegati e la loro descrizione deve essere contenuta nella comunicazione effettuata via Pec.

Considerato che il nuovo applicativo CIVA consente un’interlocuzione più agevole con l’utenza per la gestione delle diverse fasi delle procedure richieste (per esempio, emissione della matricola, richiesta di documentazione integrativa, assegnazione del tecnico, ecc.), si ritiene opportuno invitare l’utenza a voler verificare la correttezza dell’indirizzo Pec dedicato, e a curarne il costante aggiornamento, in quanto indispensabile per le comunicazioni che l’applicativo invia e riceve al/dal richiedente.

Con questo rilascio si realizza, inoltre, il collegamento dei processi di lavoro concernenti le attività amministrative di certificazione e verifica con le altre procedure Inail, ivi incluso il servizio “pagoPA@Inail”, tramite il quale l'utenza Inail può effettuare i propri pagamenti verso l'Istituto. Il pagamento attraverso il sistema “pagoPA” consente l’abbinamento immediato, analitico e automatico del versamento effettuato al servizio reso.

Con la messa in esercizio di CIVA, pertanto, il pagamento delle prestazioni di certificazione e verifica va effettuato attraverso i diversi canali messi a disposizione da “pagoPA” (es. carta di credito, home banking, PayPal, etc); per il dettaglio è possibile consultare la pagina dell’Inail dedicata al servizio https://pagopa.inail.it/PagamentiPa/Index.do ovvero il sito dell’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) www.agid.gov.it/it/piattaforme/pagopa.

Per coloro che, in questa fase di passaggio alle nuove modalità di richiesta del servizio, avessero già effettuato il pagamento con i canali tradizionali (bonifico bancario, bollettino di conto corrente) è possibile inviare una comunicazione - tramite l’apposita funzione presente sull’applicativo - per richiedere di attestare il pagamento effettuato.

Nel sistema CIVA, inoltre, è rinvenibile, per ciascun utente, la lista degli impianti e degli apparecchi a esso associati – con indicazione della relativa matricola – presenti negli archivi dell’Istituto.

È tuttavia possibile che per carenza di dati nella fase di migrazione non sia stato possibile effettuare l’abbinamento tra utente e impianto/apparecchio posseduto.

È stata, pertanto, sviluppata una funzione che consente all’utente di richiedere la visualizzazione degli impianti/apparecchi gestiti attraverso l’indicazione della matricola, non presente in prima battuta nella lista delle apparecchiature, consentendone così l’associazione.

È possibile anche per gli utenti comunicare all’Istituto l’acquisizione dell’attrezzatura ovvero la sua cessione o dismissione, attraverso il servizio di voltura per acquisizione/cessione dell’impianto/apparecchio.

Le richieste presentate prima dell’entrata in esercizio dell’applicativo CIVA e ancora in corso di trattazione sono inserite nel nuovo sistema.

Qualora l’utente non dovesse trovare una richiesta presentata potrà utilizzare la funzione di “richiesta di visualizzazione delle pratiche presentate” indicando la matricola dell’impianto/apparecchio oggetto della prestazione, consentendone così l’associazione, ovvero potrà contattare direttamente la Uot Inail alla quale era stata presentata la richiesta.

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Fonte: INAIL

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Accordo CSR 18 novembre 2010

ID 8371 | | Visite: 1867 | Conferenza Stato-Regioni

Accordo CSR 18 novembre 2010

Accordo, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 27 agosto 1997, tra Governo, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni e Comunita' montane, concernente "Linee di indirizzo per la prevenzione nelle scuole dei fattori di rischio indoor per allergie ed asma".

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Relazione 2018 Legge quadro alcol e problemi correlati

ID 8367 | | Visite: 4043 | News Sicurezza

Relazione 2018 Legge quadro alcol e problemi correlati

Relazione 2018 Legge quadro alcol e problemi correlati

Relazione del ministro della Salute al Parlamento sugli interventi realizzati ai sensi della legge 30.3.2001 n. 125 in materia di alcol e problemi alcol correlati: anno 2018. La relazione è stata trasmessa al Parlamento il 29 aprile 2019 e si riferisce agli interventi effettuati dalle Regioni nel corso dell'anno 2017 e dal ministero della Salute nell'anno 2018.

Otto milioni e 600mila consumatori a rischio, 68mila persone alcoldipendenti prese in carico dai servizi alcologici, 4575 incidenti stradali rilevati soltanto da Polizia e Carabinieri. Questi alcuni dati contenuti nella Relazione al Parlamento sugli interventi realizzati nel 2018 in materia di alcol e problemi correlati, trasmessa dal ministro della Salute Giulia Grillo alle Camere il 29 aprile 2019.

Consumatori a rischio, minori e over 65 i più incosapevoli

La prevalenza dei consumatori a rischio, elaborata dall’Istituto Superiore di Sanità, è stata nel 2017 del 23,6% per uomini e dell’8,8% per donne di età superiore a 11 anni, per un totale di oltre 8.600.000 persone, 6.100.000 maschi (M) e 2.500.000 femmine (F), che nel 2017 non si sono attenuti alle indicazioni di salute pubblica.

L’analisi per classi di età mostra che la fascia di popolazione più a rischio per entrambi i generi è quelle dei 16-17enni (M=47,0%, F=34,5%), che non dovrebbero consumare bevande alcoliche e dei “giovani anziani” (65-75 anni). Verosimilmente a causa di una carente conoscenza o consapevolezza dei rischi che l’alcol causa alla salute, circa 700.000 minorenni e 2.700.000 ultra sessantacinquenni sono consumatori a rischio per patologie e problematiche alcol-correlate, persone, quindi, non precocemente identificate e che andrebbero sensibilizzate sul loro consumo non conforme alle raccomandazioni di sanità pubblica. La prevalenza di consumatori a rischio di sesso maschile è superiore a quelle delle donne per tutte le classi di età, ad eccezione di quella dei minorenni, dove invece le differenze non raggiungono la significatività statistica.

Dipendenza dall'alcol, 68 mila persone hanno fatto ricorso servizi alcologici, 27,1% sono nuovi utenti

I dati sull’alcoldipendenza mostrano la presa in carico nel 2017 presso i Servizi Alcologici di circa 68.000 (67.975) soggetti. Il 27,1% dell’utenza complessiva è rappresentato da utenti nuovi; la quota restante da soggetti già in carico dagli anni precedenti o rientrati nel corso dell’anno dopo aver sospeso un trattamento precedente. Il rapporto M/F è pari a 3,5 per il totale degli utenti. A livello regionale questa maggiore presenza maschile risulta più evidente al centro-sud.

L’analisi per età evidenzia che il 75,1% dell’utenza ha un’età compresa tra i 30 e i 59 anni, mentre i giovani al di sotto dei 30 anni rappresentano il 7,5% dei soggetti trattati; non trascurabile è la quota degli individui di 60 anni e oltre pari al 17,4%.

La bevanda alcolica maggiormente consumata è il vino (48,1%), seguito dalla birra (27,1%), dai superalcolici (10,3%) e dagli aperitivi, amari e digestivi (5,5%). La distribuzione degli utenti per tipo di bevanda alcolica di uso prevalente è molto variabile regionalmente: il vino è utilizzato in genere più frequentemente al nord mentre la birra e i superalcolici al sud.

Nel corso del 2017 si sono verificati complessivamente 39.182 accessi in Pronto Soccorso caratterizzati da una diagnosi principale o secondaria attribuibile all’alcol. Di questi il 70% si riferisce ad accessi di maschi e il restante 30% ad accessi di femmine. La distribuzione degli accessi in Pronto Soccorso per triage medico mostra che il 64% degli accessi avviene in codice verde, il 20% in codice giallo, il 13,5% in codice bianco e il 2% in codice rosso.

I dati disponibili più recenti relativi ai decessi totalmente alcol-attribuibili si riferiscono all’anno 2015. Si evince che in Italia, il numero di decessi di persone di età superiore a 15 anni per patologie totalmente alcol-attribuibili è stato pari a 1.240, di cui 1016 (81,9%) uomini e 224 donne (18,1%); queste percentuali corrispondono a circa 38 decessi per milione di abitanti tra gli uomini e a quasi 1 decesso per milione tra le donne. Le due patologie che causano il numero maggiore di decessi per entrambi i sessi sono le epatopatie alcoliche e sindromi psicotiche indotte da alcol.

Incidenti stradali, nel 7,8% dei casi un conducente era in stato di ebbrezza

Carabinieri e Polizia Stradale, organi che rilevano circa un terzo del totale degli incidenti stradali con lesioni, hanno reso disponibili i dati riferiti all’anno 2017 sulle contravvenzioni elevate per guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti in occasione di incidente stradale. Da tali dati risulta che, in totale per i due organi di rilevazione, sono 4.575 gli incidenti stradali per i quali almeno uno dei conducenti dei veicoli coinvolti era in stato di ebbrezza e 1.690 sotto l’effetto di stupefacenti, su un totale di 58.583 incidenti. Il 7,8% e 2,9% degli incidenti rilevati dai Carabinieri e dalla Polizia Stradale è correlato dunque, rispettivamente ad alcol e droga, percentuali in aumento rispetto al 2015 quando erano pari al 7,6% e al 2,3%.

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PREMESSA

PRESENTAZIONE
PARTE I
1. IL QUADRO EPIDEMIOLOGICO
1.1 I consumi di bevande alcoliche e i modelli di consumo
1.1.1 Il consumo di bevande alcoliche nel Mondo ed in Europa
1.1.2 Il consumo di bevande alcoliche nella popolazione italiana
1.1.3 L’alcol nelle Linee Guida
1.1.4 Consumatori a rischio
1.2 L’alcoldipendenza
1.3 La morbilità e la mortalità alcol correlate
1.3.1 Accessi in Pronto Soccorso con diagnosi di patologie totalmente alcol attribuibili
1.3.2 Le stime di mortalità dell’Istituto Superiore di Sanità
1.3.3 Gli incidenti stradali e le violazioni del Codice della Strada
2. LA SPESA FARMACEUTICA PER LA TERAPIA FARMACOLOGICA DELLE ALCOLDIPENDENZE
PARTE II
3. I SERVIZI ALCOLOGICI E L'UTENZA DOPO L'EMANAZIONE DELLA LEGGE 30.3.2001 N.125 ANNO 2015
3.1 Il personale dei Servizi
3.2 Le caratteristiche demografiche dell’utenza
3.3 I consumi alcolici dell’utenza
3.4 I modelli di trattamento
3.5 La collaborazione dei Servizi con gli Enti e le Associazioni del volontariato,
e del Privato Sociale
3.6 Le Associazioni di Auto Mutuo Aiuto – AICAT, AA
4. CRITICITA’ DEL SISTEMA
TABELLE E GRAFICI
PARTE III
5. GLI INTERVENTI DEL MINISTERO DELLA SALUTE IN ATTUAZIONE DELLA LEGGE 30.3.2001 N. 125
5.1 Gli interventi di indirizzo
5.2 Gli interventi in materia di informazione e comunicazione
5.3 L'utilizzo dei finanziamenti previsti dalla legge 125/2001 ai fini del monitoraggio
5.4 La partecipazione alle politiche internazionali
PARTE IV
6. I CONSUMI ALCOLICI E I MODELLI DI CONSUMO NELLE REGIONI
7. PROGETTO NAZIONALE ALCOL: “Valutazione e monitoraggio delle politiche e delle azioni sanitarie e sociali in tema di alcol e problemi alcol correlati”

...

Fonte: Ministero della Salute

Relazioni precedenti

Collegati:

Cassazione Penale, Sez.VII, 17 aprile 2019 n.16715

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Cassazione 17 aprile 2019 n 16715 Attestato Formazione Falso

Corte di Cassazione - Penale, Sez.VII- Sentenza n. 16715 del 17 aprile 2019

Infortunio sul cantiere per la posa di cavi di fibra ottica. Attestato di formazione falso

Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO
Data Udienza: 08/02/2019

Fatto

1. Il Tribunale di Genova, con sentenza 8.11.2017 dichiarava l'imputato A. colpevole delle violazioni contravvenzionali in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 71, co. 3, sanzionato dall'art. 87, co. 3, lett. b), d. Lgs. n. 81 del 2008; artt. 71, co. 7, lett. a), 73, commi 4 e 5, in relazione all'art. 87, comma 2, lett. c) e d), d. Lgs. n. 81 del 2008), in relazione a fatti del 2.11.2015 condannandolo alla pena di 11.200€ di ammenda.

2. Con il ricorso per cassazione, articolato con due motivi, il difensore iscritto all'Albo speciale ex art. 613 c.p.p., deduce:
1) violazione di legge in relazione all'art. 533, c.p.p. e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione (si censura la sentenza impugnata per aver il giudice di merito ritenuto i dipendenti della FIAN non adeguatamente formati e non equipaggiati, pervenendo altresì ad affermare che gli attestati sulla formazione fossero falsi perché precedenti alla data di assunzione; diversamente, si sostiene, la circostanza che l'imputato avesse impiegato operai non formati sarebbe rimasta sfornita di prova, avendo solo presunto il giudice che la circostanza fosse stata provata in base ad una valutazione di inverosimiglianza circa il fatto che il dipendente P.L. potesse aver ricevuto la formazione in data 24.10.2015, ossia prima ancora di essere assunto, senza tener conto che si trattava di operai assunti a tempo determinato, i quali venivano licenziati e riassunti in base alle commesse, e senza peraltro tenere in considerazione che spesso i corsi di formazione precedono l'avviamento al lavoro vero e proprio; il giudice avrebbe poi ricostruito l'incidente in conformità a quanto sostenuto dall'operatore della ASL che aveva formulato una mera ipotesi ricostruttiva, disattendendo invece quella dei due operai presenti al fatto, che avevano descritto una modalità della sua verificazione assolutamente diversa);
2) violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonché per la mancata applicazione della disciplina del concorso formale o della continuazione (si sostiene, anzitutto, che le attenuanti generiche sarebbero state negate erroneamente, basando il diniego sul mancato risarcimento al lavoratore infortunato, sulla sua mancata partecipazione al processo e sull'invio alla ASL di documentazione falsa per evitare di dar corso alle prescrizioni; in particolare, non si sarebbe tenuto conto di una serie di fattori attenuanti (condotta di vita antecedente al reato; condotta di vita contemporanea e susseguente; condizioni di vita individuale, familiare e sociale; comportamento processuale cristallino dell'imputato), laddove gli elementi valorizzati per il diniego non giustificavano in realtà tale giudizio, anzitutto perché il risarcimento è dovuto dall'INAIL e dalla compagnia assicuratrice, in secondo luogo perché la mancata partecipazione al processo è stata necessitata dalla notevole distanza tra la residenza in Sicilia dell'imputato e la sede del processo in Liguria; infine, quanto all'invio alla ASL di documentazione falsa, non vi sarebbe prova in atti, essendo frutto tale affermazione di una ipotesi del giudice non comprovata dagli atti processuali; il giudice, infine, avrebbe errato sia nel non riconoscere il concorso formale, trattandosi di danno effettuato con una sola azione od omissione che ha violato più norme, sia, ancora, nel non riconoscere la continuazione tra le violazioni contestate, erroneamente ritenendo che non vi fossero elementi a sostegno).

Diritto

3. Il ricorso è inammissibile in quanto proposto per motivi non consentiti dalla legge.

4. Ed invero, la sentenza impugnata illustra con dovizia di particolari e con percorso logico-argomentativo privo di sbavature od errori ricostruttivi le ragioni per le quali l'imputato è stato ritenuto colpevole delle contravvenzioni in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, accertate a seguito di un infortunio sul cantiere allestito in Genova per la posa di alcuni cavi di fibra ottica ad un lavoratore extracomunitario suo dipendente; in particolare, dopo aver descritto i particolari dell'infortunio occorso al dipendente, il giudice è passato ad esaminare i fatti rilevanti ai fini dell'affermazione di responsabilità per i reati contravvenzionali rilevando che: a) il personale presente sul cantiere (segnatamente il P.L.) non aveva la formazione adatta per lo svolgimento dell'attività certamente pericolosa posta in essere; b) sul luogo era mostrato il POS in cui il datore di lavoro, conformemente alla visura camerale della CCIAA, risultava essere l'attuale ricorrente e non era presente alcuna indicazione sulla formazione specifica dei lavoratori; c) il coordinatore per la sicurezza, presente in loco, non essendo in condizione di fornire documentazione al riguardo, in un secondo momento aveva fatto pervenire la documentazione inviatagli dalla FIAN, da cui risultava che in nessuno degli eventi formativi organizzati dalla società erano però stati presenti i due lavoratori impiegati in quel cantiere, né il P.L. né il lavoratore infortunatosi, tale S., né tantomeno un terzo lavoratore, tale F., poi incontrato al pronto soccorso; d) le indagini successivamente svolte sul P.L., che aveva materialmente operato la movimentazione, consentivano di accertare che lo stesso era stato recentemente assunto in data 27.10.2015 e che il medesimo non avesse ricevuto formazione; e) richiesta di documentazione al riguardo, la FIAN aveva risposto inviando un attestato per la formazione successiva alla data del 2.11.2015, ma che recava una data antecedente; f) la falsità di tale attestato, in particolare, veniva desunta dal giudice non solo perché la data della supposta formazione (24.10.2015) era antecedente all'assunzione del P.L. (27.10.2015), ma soprattutto dal fatto che il progressivo dell'attestato corrispondeva ad un codice fiscale diverso rispetto a quello del lavoratore P.L.; g) gli accertamenti eseguiti presso la società che effettuava i corsi di formazione avevano dato infatti esito positivo, risultando invero che il progressivo indicato nell'attestato riguardava in effetti un altro lavoratore ed un altro corso; h) la deposizione resa dal P.L., infine, era risultata falsa, avendo egli fornito una versione assolutamente inverosimile sulla questione relativa all'attività di formazione che avrebbe svolto prima della data dell'infortunio al collega di lavoro (venendo a più riprese fatto oggetto di contestazione ex art. 500, c.p.p. da parte del PM nel corso dell'esame testimoniale) sia sulla sua situazione lavorativa con la FIAN (asserendo in chiusura del suo esame, di non avere più rapporti) sia, ancora, mostrando una disarmante ingenuità nell'affermare, a domanda del PM se qualcuno gli avesse indicato le modalità di movimentazione del pozzetto, che nessuno lo aveva fatto perché non ce n'era bisogno considerata la semplice manovra di sollevamento da svolgere; i) infine, sempre dalla sentenza emerge come lo stesso lavoratore infortunato avesse chiarito come la cinghia impressa sulle fotografie non era neppure quella usata per il posizionamento del pozzetto, precisando che quella utilizzata era molto più usurata ed era stata cambiata mentre egli veniva caricato sull'autoambulanza, aggiungendo di non aver ottenuto per il danno subito (amputazione di due dita) alcun risarcimento da parte della ditta dell'imputato o da terzi.

5. Sulla base, dunque, di tali consistenti elementi, il giudice ha concluso per la esistenza delle contravvenzioni oggetto di accertamento, non avendo provveduto, da un lato, ad adottare adeguate misure tecniche ed organizzative affinchè fossero impiegati accessori rispondenti alle vigenti normative idonei a garantire che il sollevamento del pozzetto avvenisse con una configurazione dell'imbracatura tale da evitare l'oscillazione lungo l'asse di rotazione, atteso che nel cantiere era presente solo una cinghia del tutto inidonea a spostare il pozzetto. Dall'altro, non avendo preso le misure necessarie affinchè il P.L., addetto alle manovre di sollevamento con la gru, avesse ricevuto una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l'utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in relazione ai rischi che potevano esser causati ad altre persone; tale mancanza di formazione, come evidenzia il giudice di merito, ha avuto una diretta incidenza causale sull'infortunio, poiché i pezzi del manufatto, legati insieme e non singolarmente, sono entrati in rotazione, colpendo il lavoratore sito dentro lo scavo.

6. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente appaiono del tutto prive di pregio, in quanto si risolvono non solo in censure puramente contestative ed in fatto, ma tradiscono in realtà il "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5r n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
E, sul punto, che l'attività di formazione del personale sul cantiere non fosse stata curata bene è desunta logicamente dal giudice con riferimento alla posizione del lavoratore P.L., al punto tale che la stessa società di cui l'imputato è legale rappresentante giunse a formare un documento falso che ne attestava la formazione, falsità corroborata non solo dall'anteriorità della data in cui la formazione sarebbe avvenuta rispetto alla data dell'assunzione, ma soprattutto dagli accertamenti svolti presso la società di formazione che avevano consentito di appurare che il cronologico esistente sull'attestato riguardasse in realtà un lavoratore diverso.

7. Quanto, poi, alla censura relativa al trattamento sanzionatorio, il giudice motiva il diniego delle attenuanti generiche escludendo la presenza di elementi giustificativi, dovendosi in particolare valorizzare, tra i tre elementi indicati dalla Corte, particolarmente la produzione della falsa documentazione da parte dell'imputato, che non solo denota particolare callidità nell'azione, ma è chiaramente descrittiva, nell'ottica del giudice, di un negativo giudizio sulla personalità dell'imputato, elemento che deve essere valutato ex art. 133, c.p., smentendo nel contempo la sussistenza dei fattori attenuanti invocati, tra cui proprio la condotta del reo successiva al reato, concretizzatasi nel produrre un documento falso all'organo di vigilanza per ottenere i benefici derivanti dalla procedura di cui al d. lgs. n. 758 del 1994, osta al riconoscimento dell'art. 62 bis, c.p.
Deve, in ogni caso, essere qui ribadito che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'Interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 - dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419).

8. Quanto poi alla contestata mancata applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, il giudice ne esclude l'applicabilità.
Sul punto, deve qui rilevarsi, quanto al concorso formale, che non risulta soddisfatta la condizione richiesta dal comma primo dell'art. 81, c.p. (ossia la violazione di diverse disposizioni di legge ovvero la commissione di più violazioni della medesima disposizione di legge con una sola azione od omissione, atteso che le violazioni di cui ai capi a) e b) sono riferite a condotte diverse; quanto poi alla mancata applicazione della disciplina del reato continuato, è ben vero che l'art. 81, comma secondo, cod. pen., non pone alcuna distinzione tra delitti e contravvenzioni, limitandosi a stabilire che "Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge".
La norma, infatti, si riferisce alle violazioni in genere e dunque ai reati, che possono essere indifferentemente sia i delitti che le contravvenzioni. La riduzione dei diversi reati, purché non eterogenei, in un trattamento sanzionatorio unico, rientra tuttavia nelle previsioni di detta norma alla sola condizione che in tema di continuazione l'elemento soggettivo comune ai reati presi in esame sia il dolo e non la colpa: circostanza da escludersi, nel caso di specie, trattandosi per ambedue le violazioni di reati contravvenzionali punibili a titolo di colpa. Ed invero è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l'elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali (da ultimo, v.: Sez. 3, n. 10235 del 24/01/2013 - dep. 05/03/2013, Vitale, Rv. 254423).

9. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, l'8 febbraio 2019

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Circolare 8 maggio 2019 - D.P.R. 435/91

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Circolare 8 maggio 2019

Circolare 8 maggio 2019 (Prot. 29364) 

D.P.R. 435/91 - Libro II - Titolo VII - "Radiotelegrafia e radiotelefonia" esenzione dall'installazione della stazione radiotelefonica ad onde ettometriche

La circolare n.2/2019 fornisce chiarimenti per garantire l’omogeneità di comportamento degli ispettori di bordo in sede di collaudo e di ispezione a stazioni radio, per la gestione delle esenzioni dall'installazione della stazione radiotelefonica ad onde ettometriche rilasciate alle unità trasporto passeggeri ai sensi del D.P.R. 435/91.

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Estratto:

Questo Comando Generale è stato recentemente compulsato dalla Capitaneria di porto di Genova per quanto attiene alcune evidenze emerse in sede di visite di sicurezza su unità da passeggeri rientranti nel campo di applicazione del DPR 435/91 Libro II – Titolo VII ed attinenti a provvedimenti di esenzione emanati ex art. 154 del D.P.R. 435/91 e condizioni/limitazioni operative ritenute meno restrittive rispetto ai requisiti indicati nella Circolare RT/RTF n. 9/2017 in data 19/01/2017 ovvero, in taluni casi a quelli imposti dalla Circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998.

In merito alla circolare RT/RTF n. 9/2017, si ritiene opportuno chiarire che la stessa:
- elenca i criteri già adottati dal Comando generale, a partire dal 2009, per il rilascio dell’esenzione di cui trattasi; prevedendo apparati radioelettrici da installare in funzione della navigazione e del servizio svolto dall’unità, aggiuntivi rispetto a quelli richiesti con i provvedimenti antecedentemente rilasciati anche in conformità alla Circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998;
- delega alle Capitanerie di porto, nel rispetto dei criteri in essa contenuti, la fase istruttoria ed il rilascio dell’esenzione di cui trattasi;
- non intende revocare od annullare provvedimenti di esenzione già in forza laddove non siano mutate le condizioni che ne hanno determinato il rilascio né tantomeno quelli emessi in accordo alle prescrizioni della Circolare RT/RTF n. 2/1998.
Relativamente, invece, alla Circolare RT/RTF n. 2/1998, si evince che per le unità da passeggeri:
- adibite alla navigazione entro un miglio dalla costa, durante la stagione estiva, in ore diurne ed in condizioni meteo marine favorevoli, e nel presupposto della presenza – nella zona di impiego – del servizio di ascolto continuo in VHF di stazioni radio-costiere restano valide le esenzioni già rilasciate;
- adibite alla navigazione nazionale litoranea, entro un’ora da porti, l’esenzione poteva essere rilasciata/mantenuta nel rispetto di precisi, nuovi, parametri operativi ed in presenza di specifiche apparecchiature radioelettriche (vds punto 2 della Circolare);
- in caso di difformità le Autorità marittime avrebbero dovuto informare tempestivamente (si ricorda era il 18 maggio 1998) lo scrivente Comando generale.
Alla luce di quanto sopra si riporta, quindi, di seguito, l’attuale corretta applicazione delle circolari di cui trattasi per la gestione delle esenzioni rilasciate alle unità trasporto passeggeri:
A. fino al 17 maggio 1998:
a) unità adibite alla navigazione entro un miglio dalla costa, durante la stagione estiva, in ore diurne ed in condizioni meteo marine favorevoli, e nel presupposto della presenza – nella zona di impiego – del servizio di ascolto continuo in VHF di stazioni
radio-costiere restano valide le esenzioni già rilasciate nel rispetto delle condizioni appena citate;
b) unità adibite alla navigazione nazionale litoranea, entro un’ora da porti, le esenzioni restano valide purchè nelle stesse sia stato previsto, così come richiesto dalla circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998, il secondo VHF che potrà essere anche di tipo portatile;
B. dal 18 maggio 1998 al 18 gennaio 2017:
a) unità adibite alla navigazione entro un miglio dalla costa, durante la stagione estiva, in ore diurne ed in condizioni meteo marine favorevoli, e nel presupposto della presenza – nella zona di impiego – del servizio di ascolto continuo in VHF di stazioni radio-costiere, le esenzioni già rilasciate restano valide nel rispetto delle condizioni appena citate;
b) unità adibite alla navigazione nazionale litoranea, entro un’ora da porti, le esenzioni già rilasciate restano valide se i punti 2.1, 2.2 e 2.3 della Circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998 sono rispettati,
c) restano valide le esenzioni rilasciate da questo Comando Generale nelle quali sia stato previsto l’obbligo di installazione degli equipaggiamenti poi previsti nella circolare serie RT/RTF n.09/2017.
C. dal 19 gennaio 2017: trova applicazione la circolare serie RT/RTF n.09/2017.
Eventuali deviazioni rispetto all’applicazione dei contenuti dei punti A., B. o C. di cui sopra, devono essere gestite alla luce della novellata disciplina introdotta con le Circolari “Radiocomunicazioni” n. 5/2004 o RT/RTF n. 9/2017 a scelta dell’armatore a seconda della abilitazione dell’unità.

Fonte: MISE

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Definizione sistema di qualificazione imprese e lavoratori autonomi

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Sistema di qualificazione imprese e lavoratori autonomi D Lgs  81 2008

Definizione sistema di qualificazione imprese e lavoratori autonomi: il D.Lgs. 81/2008

Decreto in attesa (Art. 6. c. g)

D.Lgs. n. 81/2008

Art. 6. Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul Lavoro
...
8. La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha il compito di:
...
g) elaborare i(1) criteri finalizzati alla definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all'articolo 27. Il sistema di qualificazione delle imprese è disciplinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere della Conferenza per i rapporti permanenti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto; (2)
...
Art. 27.  Sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi (3)(4)

1. Con il decreto del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g), sono individuati i settori, ivi compresi i settori della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico, e i criteri finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati, e sulla base delle attività di cui all’articolo 21, comma 2, nonché sull’applicazione di determinati standard contrattuali e organizzativi nell’impiego della manodopera, anche in relazione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile, certificati ai sensi del titolo VIII, capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. (5)

1-bis. Con riferimento all'edilizia, il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi si realizza almeno attraverso la adozione e diffusione, nei termini e alle condizioni individuati dal decreto del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 6, comma 8, lettera g), di uno strumento che consenta la continua verifica della idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi, in assenza di violazioni alle disposizioni di legge e con riferimento ai requisiti previsti, tra cui la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e i provvedimenti impartiti dagli organi di vigilanza. Tale strumento opera per mezzo della attribuzione alle imprese ed ai lavoratori autonomi di un punteggio iniziale che misuri tale idoneità, soggetto a decurtazione a seguito di accertate violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L'azzeramento del punteggio per la ripetizione di violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro determina l'impossibilità per l'impresa o per il lavoratore autonomo di svolgere attività nel settore edile.

2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1-bis, che potrà, con le modalità ivi previste, essere esteso ad altri settori di attività individuati con uno o più accordi interconfederali stipulati a livello nazionale dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, il possesso dei requisiti per ottenere la qualificazione di cui al comma 1 costituisce elemento preferenziale per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l'accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, sempre se correlati ai medesimi appalti o subappalti.

2-bis. Sono fatte salve le disposizioni in materia di qualificazione previste dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.
__________

(1) Comma modificato dall'art. 20, comma 1 lett. c, 5, 5.1, 5.2, 5.3, 5.4 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151 - Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183

(2) Lettera modificata dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia

(3) D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 - Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

(4) Commissione Consultiva Permanente, 18 aprile 2012 - Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi dell’art. 3 comma 3 del dpr 177/2011

(5) Comma modificato dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia.

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Età minima ingresso al lavoro

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Nota MLPS prot. 9799 del 20 luglio 2007

Età minima ingresso al lavoro anni 16

L'art. 37 della Costituzione prevede che sia la legge a stabilire il limite minimo di età per il lavoro salariato e tale limite è stato disciplinato dall'art. 3 della L. n. 977/1967, modificato dall'art. 5 del D.Lgs n. 345/1999: "l'età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non inferiore ai 15 anni compiuti". Vige quindi il principio in virtù del quale l'età minima di ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui cessa l'obbligo scolastico. E' proprio questo il principio che è stato espresso dalla Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), in particolare ove si afferma che l'innalzamento dell'obbligo di istruzione ad almeno 10 anni determina quale "conseguenza" l'aumento da 15 a 16 anni dell'età per l'accesso al lavoro.

Premesso quanto sopra, poiché la stessa legge fa espressamente decorrere l'innalzamento dell'obbligo di istruzione a far data "dall'anno scolastico 2007/2008", dal 1° settembre 2007 decorre anche l'innalzamento a 16 anni dell'età di ingresso al lavoro per i minori.

Legge 27 dicembre 2006, n. 296
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Principi su istruzione scolastica obbligatoria
622. L'istruzione impartita per almeno dieci anni e' obbligatoria ed e' finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di eta'. L'eta' per l'accesso al lavoro e' conseguentemente elevata da quindici a sedici anni. Resta fermo il regime di gratuita' ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.

L'adempimento dell'obbligo di istruzione deve consentire, una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l'acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore, sulla base di un apposito regolamento adottato dal Ministro della pubblica istruzione ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Nel rispetto degli obiettivi di apprendimento generali e specifici previsti dai predetti curricula, possono essere concordati tra il Ministero della pubblica istruzione e le singole regioni percorsi e progetti che, fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, siano in grado di prevenire e contrastare la dispersione e di favorire il successo nell'assolvimento dell'obbligo di istruzione.

Le strutture formative che concorrono alla realizzazione dei predetti percorsi e progetti devono essere inserite in un apposito elenco predisposto con decreto del Ministro della pubblica istruzione. Il predetto decreto e' redatto sulla base di criteri predefiniti con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, in conformita' ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione, nonche' alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

L'innalzamento dell'obbligo di istruzione decorre dall'anno scolastico 2007/2008.

Decreto Legislativo 12 aprile 2001 n. 206

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Decreto Legislativo 12 aprile 2001 n  206

Decreto Legislativo 12 aprile 2001 n. 206

Attuazione della direttiva 98/81/CE che modifica la direttiva 90/219/CE, concernente l'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati. 

(GU n.126 del 1-6-2001 - Suppl. Ordinario n. 133)


Art. 1. (campo di applicazione)

1. Il presente decreto stabilisce le misure per l'impiego confinato dei microorganismi geneticamente modificati, volte a tutelare la salute dell'uomo e l'ambiente.
2. Il Ministro della sanita' coordina le attivita' amministrative e tecnico-scientifiche relative alla integrale attuazione delle misure contenute nel presente decreto, d'intesa, per quanto di rispettiva competenza, con i Ministri dell'ambiente, del lavoro e della previdenza sociale, delle politiche agricole e forestali, dell'interno, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e del commercio con l'estero e dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica.

Art. 2. (definizioni)

1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) microorganismo: ogni entita' microbiologica cellulare o non cellulare capace di replicarsi o di trasferire materiale genetico, compresi virus, viroidi, cellule animali e cellule vegetali in coltura;
b) microorganismo geneticamente modificato (MOGM): un microorganismo il cui materiale genetico e' stato modificato in un modo che non avviene in natura per incrocio e/o ricombinazione naturale.
Nell'ambito di tale definizione:
1) la modificazione genetica avviene almeno mediante l'impiego delle tecniche elencate nell'allegato I, parte A;
2) le tecniche elencate nell'allegato I, parte B, non sono considerate tecniche che hanno per effetto una modificazione genetica;
c) impiego confinato: ogni attivita' nella quale i microorganismi vengono modificati geneticamente o nella quale tali MOGM vengono messi in coltura, conservati, utilizzati, trasportati, distrutti, smaltiti o altrimenti utilizzati, e per la quale vengono usate misure specifiche di contenimento, al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione o con l'ambiente;
d) incidente: ogni evento imprevisto che comporti una diffusione non intenzionale di agenti biologici e di MOGM nel corso del loro impiego confinato che possa presentare un pericolo immediato o differito, per la salute dell'uomo o per l'ambiente;
e) titolare dell'impianto: il datore di lavoro cosi' come definito all'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche ed integrazioni;
f) utilizzatore: il responsabile scientifico e gestionale dell'impiego confinato di MOGM;
g) notifica: la presentazione da parte dell'utilizzatore o del titolare dell'impianto al Ministero della sanita' dei documenti contenenti le informazioni richieste a norma del presente decreto.

Art. 6. (misure di contenimento e di prevenzione e di protezione)
1. Salvo quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, e dai paragrafi 2 e 3 dell'allegato IV, l'utilizzatore:
a) si assicura che siano applicate le misure minime di contenimento e di protezione di cui alle tabelle dell'allegato IV, corrispondenti alla classe dell'impiego confinato. Le misure indicate in tali tabelle sostituiscono, per quanto riguarda i MOGM, le
corrispondenti misure contenute negli allegati XII e XIII del decreto legislativo n. 626 del 1994, e successive modifiche ed integrazioni;
b) conserva, su supporto cartaceo o informatico, registrazioni delle operazioni eseguite.
2. L'utilizzatore e' tenuto a riesaminare periodicamente, e comunque almeno ogni tre anni per gli impieghi confinati delle classi 1 e 2 e annualmente per gli impieghi confinati di classe 3 e 4, la valutazione di cui all'articolo 5, comma 2, le misure di contenimento e le altre misure di protezione applicate. Tale riesame e' effettuato immediatamente:
a) quando vi e' ragione di ritenere che le misure di contenimento o la classe attribuita all'impiego confinato non siano piu' adeguate alle nuove conoscenze tecniche o scientifiche;
b) in caso di incidente;
c) su motivata richiesta del Ministero della sanita', sentita la Commissione di cui all'articolo 14, anche a seguito di segnalazione degli organi di vigilanza di cui all'articolo 17.
3. Nel caso di impieghi di classe 3 e 4 l'utilizzatore, ultimato il riesame ai sensi del comma 2, invia una relazione documentata al Ministero della sanita'.
4. All'esito del riesame di cui ai commi 2 e 3, l'utilizzatore redige apposito documento, secondo le modalita' di cui all'allegato III, parte C, che consegna al titolare dell'impianto.
5. Il titolare dell'impianto:
a) conserva presso l'impianto il documento di cui al comma 4;
b) su richiesta, mette il documento di cui al comma 4 a disposizione del Ministero della sanita', del Ministero dell'ambiente, del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e degli organi di vigilanza di cui all'articolo 17.
6. L'articolo 65, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994, e successive modificazioni ed integrazioni, e' sostituito dal seguente: "2. Nelle zone di lavoro di cui all'articolo 64, comma 1, lettera b), e' vietato assumere cibi e bevande, fumare, conservare cibi destinati al consumo umano, usare pipette a bocca e applicare cosmetici".
7. L'articolo 80, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994, e successive modificazioni ed integrazioni, e' sostituito dal seguente: "2. Nelle aree di lavoro in cui c'e' rischio di esposizione e' vietato assumere cibi e bevande, fumare, conservare cibi destinati al consumo umano, usare pipette a bocca e applicare cosmetici".

Art. 7. (impianti)

1. Il titolare dell'impianto in cui si intende procedere all'impiego confinato di microorganismi geneticamente modificati e' tenuto a darne preventiva notifica, contenente almeno le informazioni elencate nell'allegato V, parte A, al Ministero della sanita' e, per conoscenza, alla regione o provincia autonoma interessata.
2. Gli impianti costituiti esclusivamente da locali destinati ad impieghi di classe 1 si intendono autorizzati trascorsi 45 giorni dal ricevimento della notifica da parte del Ministero della sanita' senza che quest'ultimo abbia espresso indicazioni contrarie.
3. Per gli impianti comprendenti locali destinati ad impieghi delle classi 2, 3 o 4, il Ministero della sanita' rilascia per iscritto esplicita autorizzazione entro il termine di 60 giorni per i locali destinati ad impieghi di classe 2,e 90 giorni per quelli destinati ad impieghi delle classi 3 e 4.
4. Il Ministero della sanita' invia copia delle autorizzazioni di cui al presente articolo alla regione o provincia autonoma interessata.

Art. 8. (impieghi di MOGM di classe 1)

1. Gli impieghi confinati della classe 1 possono aver luogo, negli impianti autorizzati a norma dell'articolo 7, comma 2, senza ulteriori notifiche.

Art. 9. (impieghi di MOGM di classe 2)

1. L'utilizzatore, per gli impieghi confinati della classe 2, in impianti autorizzati ai sensi dell'articolo 7, trasmette, sia in occasione del primo impiego che di quelli successivi, una notifica al Ministero della sanita' che contiene almeno le informazioni elencate nell'allegato V, parte B; prima della trasmissione al Ministero della sanita', detta notifica e' portata a conoscenza del titolare dell'impianto.
2. Se gli impianti non sono stati oggetto di una precedente notifica relativa ad impieghi confinati di una classe piu' elevata, l'impiego confinato della classe 2 puo' aver luogo, in assenza di indicazioni contrarie da parte
del Ministero della sanita', 60 giorni dopo la presentazione della notifica di cui al comma 1, o entro un termine piu' breve in caso di autorizzazione da parte del Ministero della sanita'.
3. Se gli impianti sono stati oggetto di una precedente notifica relativi ad impieghi di classe piu' elevata e sono stati rispettati gli obblighi previsti dall'autorizzazione, l'impiego confinato della classe 2 puo' aver luogo subito dopo la notifica. L'utilizzatore, comunque, puo' richiedere al Ministero della sanita' un'autorizzazione formale che deve essere rilasciata entro 45 giorni dalla presentazione della notifica.

Art. 10. (impieghi di MOGM di classe 3 e 4)

1. L'utilizzatore, per gli impieghi confinati della classe 3 o della classe 4 da eseguire in impianti autorizzati a norma dell'articolo 7, trasmette al Ministero della sanita', sia in occasione del primo impiego che di quelli successivi, una notifica che contiene almeno le informazioni elencate nell'allegato V, parte C; prima dalla trasmissione al Ministero della sanita', detta notifica e' portata a conoscenza del titolare dell'impianto.
2. Un impiego confinato della classe 3 o della classe 4 non puo' aver luogo senza l'autorizzazione scritta del Ministero della sanita'.
3. L'autorizzazione di cui al comma 2 e' comunicata all'utilizzatore ed al titolare dell'impianto, nonche' alla regione o provincia autonoma Interessata:
a) entro e non oltre 60 giorni dalla presentazione della notifica di cui al comma 1, se gli impianti sono stati oggetto di precedente notifica relativa a impieghi confinati della classe 3 o della classe 4, e se sono state rispettate le prescrizioni previste dalla precedente autorizzazione per un impiego confinato della stessa classe o di una classe superiore;
b) entro e non oltre 90 giorni dalla presentazione della notifica di cui al comma 1, negli altri casi

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In allegato Testo consolidato al 06.06.2019 riservato Abbonati, contenente tutte le modifiche/abrogazioni dal 2002 al 2013.

Modifiche:

03/01/2002 Il DECRETO 6 dicembre 2001, (in G.U. 03/01/2002, n.2) ha disposto (con l'art. 1, comma 1) la modifica dell'Allegato II.
22/08/2003 Il DECRETO LEGISLATIVO 8 luglio 2003, n. 224 (in SO n.138, relativo alla G.U. 22/08/2003, n.194) ha disposto (con l'art. 6, commi 7 e 8) la modifica dell'art. 14, comma 8.
20/04/2006 Il DECRETO 13 gennaio 2006, (in G.U. 20/04/2006, n.92) ha disposto (con l'art. 1, comma 1) la modifica dell'Allegato II.
06/07/2007 Il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 14 maggio 2007, n. 86 (in G.U. 06/07/2007, n.155) ha disposto (con l'art. 8, comma 4) l'abrogazione dei commi 1, 2, 3 e 6 dell'art. 14.
27/04/2013 Il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 28 marzo 2013, n. 44 (in G.U. 27/04/2013, n.98) ha disposto (con l'art. 2, comma 1, lettera g)) la modifica dell'art. 14.

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La movimentazione manuale dei carichi

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L’Approccio ergonomico alla Movimentazione Manuale dei Carichi nelle attività assistenziali sanitarie

Introduzione e inquadramento generale Le affezioni cronico-degenerative della colonna vertebrale sono di assai frequente riscontro presso le più disparate collettività lavorative dell’industria, dell’agricoltura e del terziario; nell’ambito delle professioni sanitarie assumono particolare rilievo tra gli addetti alla mobilizzazione dei pazienti.

Sotto il profilo dei costi economici e sociali indotti in termini di assenze per malattia, cure, spostamenti di mansione, invalidità, le lombalgie rappresentano uno dei principali problemi per chi si occupa degli aspetti sanitari nel mondo del lavoro. Vero è che le affezioni in questione hanno una genesi tipicamente multifattoriale nella quale ricorrono fattori costituzionali, anagrafici, metabolici, endocrini e psicologici.

In molteplici occasioni possono essere evocati fattori meccanici e traumatici, fra cui quelli di natura professionale possono svolgere un ruolo significativo.

Quando una persona solleva, spinge o traina un oggetto si producono forze che possono determinare un effetto avverso sul sistema muscolo-scheletrico. Queste forze sono normalmente avvertite dal soggetto e vengono bilanciate dalla messa in atto di meccanismi automatici di protezione degli apparati coinvolti.

Tuttavia, specialmente in quelle condizioni operative che richiedono rapidità di intervento, possono esistere condizioni che impongono incrementi di forza o superiori a quelli attesi del soggetto o che, tollerati in condizioni normali, non lo possono essere per situazioni di alterazione delle proprietà biomeccaniche delle strutture coinvolte nello sforzo.

La revisione della letteratura dimostra come la riflessione su questo problema abbia spesso condotto ad analisi epidemiologiche sullo stato fisico della popolazione e su quale sia il carico di lavoro meccanico mediamente richiesto a un soggetto per svolgere un determinato compito. Nel settore industriale questi studi sono stati finalizzati a garantire l’adattamento della capacità fisiche di un lavoratore alle esigenze produttive. Nei numerosi studi condotti sono state considerate le caratteristiche dell’individuo e del lavoro che possono o produrre incremento della frequenza di comparsa di danni o ridurre l’incidenza di lesioni gravi. In particolare, negli ultimi vent’anni la letteratura ha focalizzato l’attenzione sulla prevalenza delle alterazioni che possono derivare al tratto lombare dalle attività lavorative richiedenti sollevamento, abbassamento, trasporto con spinta o traino di carichi.
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Segue in allegato

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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 23140 | 27 Maggio 2019

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 3 del 27 maggio 2019 n. 23140

Caduta mortale dall'alto e totale mancanza di parapetti. Le cinture di sicurezza non bastano

Penale Sent. Sez. 3 Num. 23140 Anno 2019
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: MENGONI ENRICO
Data Udienza: 26/03/2019

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 17/4/2018, la Corte di appello di Salerno, pronunciandosi in sede di rinvio, riformava parzialmente la pronuncia emessa il 19/6/2013 dal Tribunale di Larino e, per l'effetto, rideterminava in sei mesi di reclusione la pena inflitta a G.V.; lo stesso, quale titolare di un'impresa edile, direttore tecnico di cantiere e datore di lavoro, era riconosciuto responsabile dell'omicidio colposo del lavoratore A.U., il cui decesso era addebitato all'imputato per non aver dotato un cantiere di parapetti idonei ad impedire cadute dall'alto.
2. Propone ricorso per cassazione il G.V., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- violazione dell'art. 627 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 4 e 389, d.P.R. n. 547 del 1955; vizio motivazionale. La Corte di appello sarebbe pervenuta alla sentenza di condanna con un esame ex novo dell'intero compendio probatorio, così però dichiarando responsabile il ricorrente in relazione ad una noma cautelare specifica - l'art. 16, d.P.R. n. 164 del 1956, in tema di adozione di parapetti - già esclusa dalla stessa Corte con la sentenza poi annullata; in particolare, il Collegio di merito, in sede di rinvio, non avrebbe considerato che la Corte di cassazione aveva annullato la precedente pronuncia con riguardo esclusivo ad un profilo di colpa omissiva generica, in quanto soltanto questo era stato riconosciuto nella prima decisione di appello. Con riguardo alla quale, peraltro, il Procuratore generale non aveva proposto ricorso per cassazione, sì che l'originario profilo di colpa specifico doveva ormai ritenersi coperto da giudicato, non potendo, dunque, esser "recuperato" dal Collegio di appello in sede di rinvio. Ciò, in forza di costante giurisprudenza di legittimità che il ricorso richiama;
- violazione degli artt. 10 e 16, d.P.R. n. 164 del 1956; travisamento della prova; mancanza di motivazione su punto decisivo. La sentenza avrebbe erroneamente affermato che, pur in presenza di regolare dotazione di cinture di sicurezza per gli operai, il cantiere dovesse comunque esser provvisto di parapetti; questa tesi, tuttavia, risulterebbe tutt'altro che pacifica, atteso che le citate cinture - se indossate - avrebbero scongiurato del tutto il pericolo di caduta. Quel che, peraltro, sarebbe stato affermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte. Sul punto, ancora, la sentenza avrebbe travisato la deposizione dell'ispettrice del lavoro Di Lalla circa l'inadeguatezza dell'impalcatura montata lungo una parete dello stabile, che, per emergenza pacifica, nessun ruolo avrebbe avuto nell'incidente mortale; il A.L., infatti, sarebbe caduto dal lastrico, non scivolando da una parete;
- violazione degli artt. 1 ss., d. lgs. n. 494 del 1996, d.P.R. 222 del 203, 627 cod. proc. pen.; violazione del principio di specialità; mancata motivazione su punto decisivo. La sentenza avrebbe omesso di considerare, nel caso in esame, l'applicabilità di normativa speciale rispetto a quella contestata, ossia del d. lgs. n. 494 del 1996; questo testo, poi attuato dal d.P.R. n. 222 del 2003, definirebbe in modo diverso obblighi e posizioni di garanzia negli appalti di opere pubbliche (come quello in esame), assegnando al committente il dovere di prevedere e prescrivere all'appaltatore l'adozione di misure di sicurezza, tra le quali l'eventuale installazione di ponteggi o parapetti. Tale materia, quindi, non sarebbe stata di competenza del G.V., in assenza di apposita previsione da parte della committenza pubblica/stazione appaltante (che nulla aveva imposto in materia). Peraltro, l'intervenuta assoluzione del coimputato L.B., direttore dei lavori, con riguardo alla mancata installazione di ponteggi o parapetti, avrebbe comportato il medesimo esito anche per il datore di lavoro; esito ormai cristallizzato, in assenza di ricorso da parte del Procuratore generale. Questione - si ribadisce - sulla quale, dunque, la Corte di appello, in sede di rinvio, non si sarebbe potuta pronunciare. E con la precisazione che il G.V., nel rispetto della normativa allora vigente, avrebbe correttamente delineato ruoli, competenze e poteri, anche con nomina di un preposto per la sicurezza, nella persona di G.I.; al quale solo, dunque, potrebbe esser riferita la responsabilità per un incidente - come quello per cui è processo - originato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa. In sintesi, nessun addebito potrebbe esser mosso al ricorrente, che avrebbe correttamente adempiuto a tutti gli obblighi impostigli, compresa la redazione del POS, la formazione ed informazione dei dipendenti, nonché la dotazione di tutti gli apparati di sicurezza individuali;
- violazione degli artt. 194, 500, 514 cod. proc. pen.; manifesta illogicità della motivazione. Ribadito quanto censurato con il primo motivo, il ricorso contesta il travisamento della deposizione di V.B.; questi, infatti, non avrebbe detto che, al momento della caduta, il A.L. stesse arrotolando la guaina spalle al mare, e ciò per la ragione che il teste non lo avrebbe visto. Le sue, pertanto, sarebbero soltanto mere supposizioni sulle modalità dell'incidente. Con la precisazione, peraltro, che le precedenti dichiarazioni rese a s.i.t., che pur il pubblico ministero aveva tentato di introdurre nel dibattimento, non vi avevano fatto ingresso per opposizione del difensore, né il pubblico ministero aveva chiesto di poterne effettuare deposito agli atti. In termini eguali e contrari, peraltro, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto di dichiarazioni invece rese dal teste (motivo n. 5), che avrebbe riferito che l'incidente si era verificato quando tutti i lavoratori erano fermi per la pausa pranzo, e perciò si erano tolti le cinture di sicurezza. La medesima censura, di seguito, è proposta con riguardo alla deposizione di D.M. (motivo n. 6), il quale avrebbe dichiarato di aver visto il A.L. cadere a faccia in giù, con il ventre verso il basso; orbene, la Corte di appello ne avrebbe travisato le parole, affermando che - secondo il ricordo del teste - la vittima avrebbe impattato con il terreno con la parte posteriore del corpo, operando una semi-giravolta verso il suolo dopo l'impatto, non già prima, come invece riferito dal D.M.. Valutando correttamente questa deposizione, anziché travisandola, la Corte di appello avrebbe dunque potuto accedere alla tesi dell'eccezionalità dell'evento, dovuto ad un improvviso malore in capo al A.L., così ulteriormente scagionando il G.V.;
- stesse censure, da ultimo, con riguardo alla motivazione della sentenza in tema di comportamento abnorme tenuto dallo stesso lavoratore, che la Corte di appello avrebbe escluso travisando le dichiarazioni degli operai che stavano eseguendo la lavorazione ed i rilievi fotografici; peraltro, affermare che la vittima stesse svolgendo il rotolo di spalle, così avvicinandosi pericolosamente al bordo del lastrico, varrebbe ammettere un comportamento del tutto anomalo ed inspiegabile, peraltro tenuto - in piena autonomia - durante la pausa pranzo, in assenza degli altri operai e senza allacciare la cintura di sicurezza.
4. Propone ricorso per cassazione anche il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Salerno, sostenendo gli argomenti di cui al primo ed all'ultimo motivo del ricorso G.V..

Considerato in diritto

3. Ritiene il Collegio che entrambi i ricorsi debbano essere rigettati, perché infondati.
4. Al riguardo, è necessario affrontare per prima la questione processuale sollevata dai ricorrenti, in forza della quale la Corte di appello, pronunciandosi in sede di rinvio, non avrebbe potuto esaminare nuovamente quei profili di colpa (specifica) esclusi nella precedente decisione di secondo grado, perché ormai coperti da giudicato in assenza di ricorso da parte del pubblico ministero, ma si sarebbe dovuta limitare a verificare l'unico profilo di colpa (generica) per il quale il G.V. aveva proposto ricorso per cassazione e sul quale la quarta Sezione di questa Corte si era pronunciata.
Ebbene, questo assunto non può essere condiviso, al riguardo dovendo muovere dalla lettera dell'alt. 627, comma 2, cod. proc. pen. (che stabilisce che il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge) e dall'interpretazione operatane dal Collegio di appello nell 'incipit proprio della sentenza qui in esame.
5. La Corte di merito, in particolare, ha richiamato la pacifica e condivisa giurisprudenza di legittimità in forza della quale, a seguito di annullamento per vizio di motivazione (come nel caso di specie), il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio, con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata - salve le sole limitazioni previste dalla legge e consistenti nel non fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione -, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato ed il valore delle relative fonti di prova (tra le molte, Sez. 3, n. 34794 del 19/5/2017, F., Rv. 271345 e Sez. 2, n. 27116 del 22/5/2014, Grande Aracri, Rv. 259811; Sez. 5, n. 34016 del 22/6/2010, Rv. 248413. Si veda, sul punto, anche Sez. 5, n. 42814 del 19/6/2014, Cataldo, Rv. 261760, in forza della quale i poteri attribuiti al giudice del rinvio sono diversi a seconda che l'annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, come nel caso in esame. Nella prima ipotesi, resta ferma la valutazione dei fatti come accertati dal provvedimento annullato; nella seconda, invece, "l'annullamento travolge gli accertamenti e le valutazioni già operate e, dunque, i poteri del giudice di rinvio hanno la massima latitudine" (corsivo dell'estensore), imponendo - si ribadisce - un nuovo ed esaustivo esame del materiale probatorio, con l'unico limite negativo già sopra richiamato).
6. Quanto precede, peraltro, con la precisazione che, qualora l'annullamento con rinvio avvenga - sempre per vizio di motivazione - mediante l'indicazione dei punti specifici di carenza o contraddittorietà, come nel caso di specie, il potere del giudice di rinvio non è limitato all'esame dei singoli punti specificati, come se essi fossero isolati dal restante materiale probatorio, essendo il giudice stesso tenuto a compiere anche eventuali atti istruttori necessari per la decisione (tra le altre, Sez. 5, n. 33847 del 19/4/2018, Cesarano, Rv. 273628). E con l'ulteriore corollario in forza del quale, in tali casi, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando a lui solo il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali tutte e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (tra le molte, Sez. 5, n. 36080 del 27/3/2015, Knox, Rv. 264861).
7. Ne consegue - conclusivamente sul punto, e con particolare rilievo per la vicenda in esame - che non viola l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità (per tutte, Sez. 2, n. 1726 del 5/12/2017, Liverani, Rv. 271696; Sez. 4, n. 2044 del 17/3/2015, S., Rv. 263864). 
8. I principi appena richiamati, dei quali la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, trovano poi un unico limite nell'avvenuta formazione del giudicato progressivo, il cui effetto - che l'art. 627, comma 2, cit. trasforma in obiettivo - è quello di delimitare sempre più l'oggetto del giudizio e non consentire una protrazione "ad libitum" del processo (così Sez. 5, n. 36080 del 27/3/2015, Knox, Rv. 264860); effetto che, peraltro, può conseguire sia alla sentenza di appello poi annullata, sia a quella di legittimità che abbia pronunciato un annullamento parziale. Proprio a tale ultimo riguardo, questa Corte ha costantemente affermato, ad esempio, che l'annullamento con rinvio disposto ai soli fini della rideterminazione della pena comporta la definitività dell'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato, sicché la formazione del giudicato progressivo impedisce, in sede di giudizio di rinvio, di dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (tra le molte, Sez. 2, n. 4109 del 12/1/2016, Serafino, Rv. 265792. A tale riguardo, si veda anche Sez. 3, n. 54357 del 3/10/2018, C, Rv. 274129, in forza della quale in caso di annullamento parziale della sentenza, la rimessione al giudice del rinvio della sola verifica circa la sussistenza o meno dell'ipotesi lieve di cui aM'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, determina il formarsi del giudicato sull'accertamento del "fatto-reato", con conseguente preclusione per il giudice del rinvio di dichiarare la prescrizione dello stesso, non solo quando la causa estintiva sia sopravvenuta, ma anche qualora la prescrizione, preesistente al giudizio rescindente, non sia stata valutata dalla Corte di cassazione). Analogamente, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che in caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante, il giudicato formatosi sull'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sopravvenuta alla pronuncia di annullamento (Sez. 1, n. 43710 del 24/9/2015, Catanese, Rv. 264815. Con la conseguenza - di cui a Sez. 6, n. 18061 del 15/3/2018, Cerra, Rv. 272974 - che, nel caso di annullamento con rinvio limitatamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, al giudice del rinvio è preclusa la possibilità di dichiarare la non punibilità del fatto ai sensi dell'art. 131-ò/s cod. pen. non rilevata nel giudizio rescindente, essendosi formato il giudicato sull'insussistenza della causa di non punibilità. Specularmente - come da Sez. 3, n. 38380 del 15/7/2015, Ferraiuolo, Rv. 264796 - qualora la Corte di cassazione annulli con rinvio limitatamente all'accertamento dell'esistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio è tenuto a verificare esclusivamente l'applicabilità in fatto di tale causa di esclusione della punibilità, ma non può rilevare l'eventuale decorso del termine di prescrizione, stante la formazione del giudicato progressivo in punto di accertamento del reato e affermazione di responsabilità dell'imputato).
9. Tanto premesso in termini generali, i ricorrenti - come già richiamato - lamentano che la Corte di merito, in sede di rinvio, non avrebbe potuto "recuperare" quegli addebiti di colpa specifica (tra i quali quello attinente alla mancata adozione dei ponteggi) ormai coperti proprio dal giudicato progressivo (successivo alla sentenza di appello), dovendo limitare il proprio esame all'unico profilo di colpa generica riconosciuto dalla pronuncia di legittimità ed oggetto dell'annullamento con rinvio.
10. Orbene, questo assunto, seppur suggestivo, non risulta tuttavia corretto, dovendosi al riguardo valorizzare il concetto di "capo" della sentenza - suscettibile di passare in giudicato (anche progressivo) - per come definito dalla più autorevole giurisprudenza di questa Corte, da ultimo ampiamente richiamata nella significativa sentenza a Sezioni Unite Aiello del 2016 (n. 6093 del 27/5/2016, Rv. 268966).
11. Il Supremo Collegio, in particolare, ha evidenziato che già la pronuncia Tuzzolino (Sez. U, n. 1 del 28/6/2000, Rv. 216329) aveva chiarito che il giudicato parziale può formarsi soltanto con riguardo ai "capi" e non con riguardo ai "punti" della decisione. Per "capo” della sentenza deve intendersi «ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato» e tale nozione ha rilievo in particolare per la sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell'unico processo dell'esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, «tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza». Il concetto di "punto della decisione", cui fa espresso riferimento l'art. 597, comma 1, cod. proc. pen., ha invece una portata più ristretta, riguardando «tutte le statuizioni - ma non le relative argomentazioni svolte a sostegno - suscettibili di autonoma considerazione e necessarie per ottenere una decisione completa su un capo». I punti della decisione, in particolare, vengono a coincidere con le parti della sentenza relative alle «statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato» e, nell'ambito di ogni capo, segnano un "passaggio obbligato" per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato (ad esempio, l'accertamento del fatto, l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione giuridica, l'inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza). Le Sezioni Unite Tuzzolino, dunque, avevano definito il capo come «un atto giuridico completo, tanto che la sentenza che conclude una fase o un grado del processo può assumere struttura monolitica o composita, a seconda che l'imputato sia stato chiamato a rispondere di un solo reato o di più reati, nel senso che, nel primo caso, nel processo è dedotta un'unica regiudicanda, mentre, nel secondo, la regiudicanda è scomponibile in tante autonome parti quanti sono i reati per i quali è stata esercitata l'azione penale. Nell'ipotesi di processo cumulativo o complesso, la cosa giudicata può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall'impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di giudicato parziale»
12. Il principio dell'autonomia dei singoli capi della sentenza - già affermato, anche nella vigenza del codice del 1930, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7 del 26/02/1955, Zoccola, Rv. 097507 - è stato poi ribadito dallo stesso Supremo Collegio, successivamente alla sentenza Tuzzolino, nella decisione n. 10251 del 9/3/2007, Michaeler, Rv. 235699, in cui si è condivisa la definizione del capo come atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza.
13. Sì da doversi concludere, ancora con la fondamentale pronuncia Tuzzolino (ripresa ripetutamente dalla successiva giurisprudenza di legittimità; tra le molte, Sez. 5, n. 46513 del 14/7/2014, Lamkja, Rv. 261036), che, poiché la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza - nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli -, e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all'effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, in caso di condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell'imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l'impugnante abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, sicché la "res iudicata" si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame. Con la conseguenza - significativa - che l'eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce Così come, nella medesima ratio, il principio per cui, nel caso di ricorso per cassazione articolato in più motivi avverso una sentenza avente ad oggetto un solo reato, la fondatezza del motivo concernente la pena accessoria, da ritenere a tutti gli effetti "punto" della decisione, comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al "capo" di imputazione cui si riferisce e consente di rilevare l'eventuale estinzione del reato per prescrizione (tra le altre, Sez. 6, n. 58095 del 30/11/2017, Tornei, Rv. 271965).
14. In forza di tutto quanto precede - e sottolineato che, nel caso di specie, la Corte di appello non aveva formalmente assolto l'imputato dai profili di colpa specifica concernenti l'unico reato (capo) contestato ex art. 589 cod. pen., rimasti dunque senza alcuna espressa pronuncia, in fase di merito come in quella di legittimità - ecco allora che la prima sentenza di appello, così come l'annullamento con rinvio disposto da questa Corte, non ha coperto di definitività gli stessi addebiti di colpa specifica, poiché evidentemente meri "punti" - e non "capi" - della condanna di primo grado, concernenti soltanto una porzione dell'unico ed ampio profilo di addebito soggettivo, la "colpa", come tali inscindibili sotto il profilo in esame e, dunque, insuscettibili - ex se - di passare in giudicato; sicché - per riprendere ancora la sentenza Tuzzolino - non sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli.
15. In sintesi, sull'unico capo della sentenza in oggetto - da intendere quale esclusivo ed integrale profilo di contestazione, nei termini sopra citati - non si è ancora formato alcun giudicato, come invece dedotto dai ricorrenti, neppure in esito alla prima sentenza di appello impugnata parzialmente dal solo imputato, sicché la stessa Corte di merito, in sede di rinvio, è stata nuovamente investita dell'intero giudizio per come delineato nell'atto di gravame, dovendosi quindi pronunciare - come correttamente ha fatto - su tutte le questioni in allora proposte - id est: sull'intero addebito di responsabilità per colpa - e sull'integrale motivazione per come redatta dal primo Giudice, e con l'unico limite di non poter ripetere il percorso logico censurato dalla Corte rescindente.
16. E senza che, da ultimo sul tema, possa ritenersi di contrario avviso la sentenza a più riprese citata nel ricorso dell'Imputato (Sez. 6, n. 11641 del 20/2/2018, Ranzi, Rv. 272641), a mente della quale il giudice del rinvio è tenuto ad uniformarsi non solo al principio di diritto, ma anche alle premesse logico- giuridico-fattuali poste a base dell’annullamento, non potendo nuovamente valutare questioni che, anche se non esaminate nel giudizio rescindente, costituiscono i presupposti della pronuncia sui quali si è formato il giudicato implicito interno. Questo assunto, infatti, è stato sostenuto con riguardo ad un caso di annullamento con rinvio per violazione di legge (non, dunque, per vizio di motivazione), nel quale il principio di diritto vincolante era stato affermato sulla base di presupposti fattuali convalidati dalla Corte di legittimità, e premessa della regula iurìs dettata; un contesto, quindi, del tutto diverso da quello in 
esame, nel quale i profili di colpa specifica contestati al G.V. non erano mai stati esaminati dal Giudice di legittimità, né avevano costituito premessa alcuna della decisione assunta, alla quale non erano in alcun modo legati da un vincolo di consequenzialità.
Il primo motivo proposto dai ricorrenti, pertanto, deve ritenersi infondato.
17. Con riguardo, poi, ai successivi, gli stessi risultano in parte inammissibili, in parte da rigettare.
18. Inammissibile, in primo luogo, è la seconda censura, in forza della quale l'adozione dei parapetti non sarebbe stata necessaria sul cantiere, attesa la (pacifica) dotazione agli operai della cintura di sicurezza. Osserva la Corte, infatti, che la questione è posta in termini palesemente fattuali - quindi, irricevibili in questa sede - muovendo dall'asserzione secondo la quale non sarebbe "affatto pacifica, come sembra far credere la Corte Salernitana..., la tesi dell'obbligatorietà dei parapetti in aggiunta all'obbligatorietà delle cinture di sicurezza". A ciò si aggiunga, peraltro, che la giurisprudenza di legittimità ha già rilevato - in senso contrario a quanto dedotto nel ricorso - che in tema di infortuni sul lavoro, l’uso delle cinture di sicurezza - misura di carattere generale e imperativo - deve essere adottato in tutti i casi in cui il lavoratore sia esposto al rischio di caduta dall’alto, con la sola esclusione della ipotesi di presenza di impalcati di protezione e di parapetti idonei a scongiurare del tutto il rischio di caduta: ne consegue che l’esonero dalla protezione delle cinture non è previsto allorché tali parapetti siano idonei soltanto a facilitare il lavoro, o, tutt’al più, ad attenuare soltanto il rischio (Sez. 4, n. 10213 del 13/1/2005, Vecchiato, Rv. 231249). Quel che si concilia con lo speculare e condivisibile principio - richiamato anche nella sentenza impugnata - per il quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’obbligo del datore di lavoro, nel caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, di apprestare (quando possibile) impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali non può essere sostituito dall’uso delle cinture di sicurezza, previsto solo sussidiariamente o in via complementare (per tutte, Sez. 4, n. 25134 del 19/4/2013, Urso, Rv. 256525).
19. Ancora, la stessa doglianza richiama stralci di alcune deposizioni (Di Lalla, V.B., D.M.) in tema di adeguatezza di un'impalcatura montata lungo una parete, evocando sì il travisamento della prova, ma di fatto chiedendo una diversa valutazione delle stesse dichiarazioni, pacificamente non consentita; al riguardo, infatti, occorre ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia Soggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
20. Infondata, di seguito, risulta la terza censura del ricorso G.V., con la quale si deduce la violazione del d. lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili) e del d.P.R. 222 del 3 luglio 2003, con mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia; la tesi difensiva - per la quale questa disciplina avrebbe posto integralmente in capo al committente, non al datore di lavoro quale il G.V., l'eventuale obbligo di adottare i parapetti nell'ambito del PSC (Piano Sicurezza e Coordinamento) - non può esser infatti accolta.
21. Osserva il Collegio, al riguardo, che la normativa richiamata è stata introdotta per ampliare - non certo per restringere - la sfera di tutela del lavoratore e dei luoghi di lavoro, espandendo - non certo limitando - le figure di garanzia e gli obblighi ad esse relativi, particolarmente avvertiti qualora i lavori da eseguire siano complessi o prevedano interferenze tra i vari soggetti coinvolti. Ecco dunque il Piano di Sicurezza e Coordinamento (i cui contenuti minimi sono definiti dagli artt. 2, 3 e 4, d.P.R. n. 223), redatto dal committente o dal responsabile dei lavori; il Piano di Sicurezza Sostitutivo, redatto a cura dell'appaltatore e del concessionario; il Piano Operativo di Sicurezza, redatto da ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici (il G.V., nel caso di specie); strumenti che, all'evidenza, non si sostituiscono, ma si integrano, nell'ottica di una messa in sicurezza del cantiere che il legislatore tende a garantire sempre con maggiore rigore. Come confermato, del resto, dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha delineato gli ambiti di responsabilità anche del committente (dal quale, peraltro, non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo; tra le altre, Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016, Vettor, Rv. 270100; Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi, Rv. 264974), senza tuttavia rimuovere alcun profilo di responsabilità in capo al datore di lavoro, primo destinatario della posizione di garanzia nei confronti dei propri dipendenti, allorquando - anche a fronte di competenze altrui - destini gli stessi a mansioni oggettivamente pericolose, in ragione del generale contesto in cui si svolgono.
22. Responsabilità che, nel caso di specie, è stata individuata dalla Corte di appello con adeguato argomento, fondato su oggettive emergenze istruttorie e privo di illogicità manifeste; in forza del quale, in particolare, "nonostante i lavori dovessero essere effettuati su una terrazzina all'altezza di circa otto metri dal suolo, il cantiere veniva allestito senza apprestare impalcature, ponteggi e le altre opere provvisionali. Nel POS, infatti, non era stata prevista l'installazione di parapetti o di opere similari, essendo stato previsto come unico presidio di sicurezza la sola dotazione delle cinture con le relative imbracature", avendo colposamente ritenuto - la stazione appaltante ed il datore di lavoro - che questi presidi potessero efficacemente assicurare gli operai da rischi di cadute pericolose o addirittura mortali, come nel caso di specie. Quel che, all'evidenza, costituisce un profilo di responsabilità proprio ed esclusivo del datore di lavoro G.V., anche nella qualità di redattore del POS, e senza che, pertanto, possa essere richiamata - come invece nel ricorso - la diversa figura di G.I., nominato responsabile dei lavoratori per la sicurezza quanto alla fase operativa.
23. Inammissibili, di seguito, risultano anche i motivi nn. 4, 5 e 6 del ricorso G.V., con i quali, ancora, le dedotte violazione di legge ed illogicità manifesta della motivazione appaiono coprire una reiterata richiesta - o sollecitazione - di una diversa lettura delle medesime emergenze istruttorie (deposizioni V.B. e D.M.) già esaminate dai Giudici del merito; quel che non è ammesso alla Corte di legittimità, come già in precedenza evidenziato.
24. A ciò si aggiunga che la sentenza impugnata - rispondendo proprio alle censure relative alle modalità dell'infortunio mortale - ha sviluppato un più che adeguato percorso motivazionale, sottolineando che il dibattimento (deposizioni DM., D.M. e V.B.) aveva provato che: a) il A.L. stava srotolando la guaina di coibentazione del lastrico - attività di sua competenza - di spalle all'esterno, così via via avvicinandosi sempre più al margine, dal quale era infine purtroppo precipitato; b) l'eventuale pausa-lavoro che gli altri operai stessero osservando, quand'anche provata, non escluderebbe di per sé il nesso eziologico tra la condotta colposa riscontrata ed il comportamento del lavoratore (che, in tale ottica, sarebbe tornato alle proprie mansioni prima degli altri, fuori da una certa "ufficialità"), atteso che - come da giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 4, n. 42510 del 25/6/2013, Dall'Olio, Rv. 258239) - "il cantiere deve essere sempre in sicurezza e i lavoratori debbono essere sempre protetti dai rischi che le norme a contenuto cautelare tendono a scongiurare, anche nei momenti di sospensione, pausa o interruzione dell'attività di lavoro"; c) non era risultata provata alcuna ipotesi alternativa alla caduta per assenza di parapetti, quale un malore o lo stato di ebbrezza, come da analitica motivazione sul punto che i ricorsi neppure menzionano; d) le modalità di quanto occorso deponevano, oltre ogni ragionevole dubbio, per una caduta avvenuta di spalle (per l'appunto, durante la fase di srotolamento della guaina), come confermato dalle deposizioni richiamate al riguardo e dall'esame autoptico, che aveva concluso per un impatto al suolo avvenuto con la parte occipitale della testa, non già con la zona frontale.
Conclusioni - queste che precedono - che il ricorso del G.V. intenderebbe superare con una nuova lettura delle citate deposizioni, su plurimi profili palesemente fattuali, all'evidenza non consentita nei termini già a più riprese citati; al riguardo, peraltro, evocando numerosi travisamenti della prova che, tuttavia, non emergono dal testo della sentenza impugnata, risolvendosi in una diversa interpretazione delle stesse prove dichiarative.
24. Da ultimo, il settimo motivo, con il quale - invero in termini appena accennati - sembra riproporsi la tesi della condotta abnorme tenuta dal lavoratore; consistita, nell'ottica proposta dai ricorrenti, proprio nel fatto che questi stesse srotolando la guaina andando verso il bordo, il che "equivale ad ammettere che egli abbia deciso autonomamente ed inspiegabilmente di compiere un'azione del tutto anomala rispetto alla normale pratica della lavorazione richiesta."
25. Argomento con il quale, tuttavia, i ricorsi (anche quello proposto dal Procuratore generale) non si confrontano affatto con l'ampia motivazione stesa sul punto dalla Corte di appello, la quale - anche a fronte di una condotta di certo colposa del lavoratore - non ha escluso il nesso causale con l'omissione riconosciuta al G.V.. In particolare, con argomento che si sottrae alla censura avanzata, il Collegio di merito ha richiamato il costante indirizzo - ben riferibile al caso di specie - in forza del quale in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. (Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014,c Scarselli, Rv. 259321: fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
26. Nei medesimi termini, ancora, la censura in esame non si misura con l'ulteriore parte motiva sul tema, con riguardo al presunto comportamento abnorme che avrebbe tenuto il A.L.. Argomento sul quale, in particolare, la Corte di appello - alla luce delle risultanze istruttorie tutte - ha escluso una simile ipotesi (il lavoratore stava eseguendo la mansione che gli era stata assegnata), facendo buon governo del principio secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le molte, Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014, Bonelli, Rv. 261946).
Ipotesi esclusa dalla Corte di appello con adeguati argomenti, in forza delle considerazioni che precedono.
27. Entrambi i ricorsi debbono pertanto essere rigettati, con condanna del G.V. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale, nonché il ricorso di G.V., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019

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Stress lavoro: riconosciuta sindrome OMS

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Stress lavoro

Stress lavoro: riconosciuta sindrome OMS

Ginevra, 28 Maggio 2019

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha stabilito che lo stress da lavoro o da disoccupazione, ossia il «burnout» è una una sindrome. L’agenzia speciale dell’Onu per la salute ha anche fornito direttive ai medici per diagnosticarla e l’ha inserita nella sua classificazione internazionale "International Classification of Diseases (ICD)", quella che viene utilizzata come punto di riferimento.

La sindrome da burnout entra così ufficialmente nella lista dell'International Classification of Diseases (ICD) dell'Organizzazione mondiale della sanità. Si tratta del manuale che l'Oms fornisce ai medici per riconoscere e diagnosticare le malattie.

L'esaurimento da lavoro viene definito come uno dei fattori che "influenzano lo stato di salute o che portano al contatto con i servizi sanitari".

Il burnout è considerato un "problema associato con l'occupazione o la disoccupazione lavorativa", una sindrome conseguente allo "stress cronico sul posto di lavoro gestito senza successo".

Secondo l'Oms è caratterizzato da tre sintomi: sentimenti di esaurimento mentale o fisico; aumento della distanza mentale dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo o cinismo relativi al proprio lavoro; ridotta efficacia professionale. Il burnout si riferisce specificamente ai fenomeni nel contesto occupazionale e non dovrebbe essere applicato per descrivere esperienze in altri ambiti della vita.

La nuova classificazione delle malattie, denominata CIP-11 e già pubblicata lo scorso anno, è stata ufficialmente adottata dagli stati membri durante l'Assemblea mondiale dell'Oms, tenutasi a Ginevra a maggio 2019.

Entrerà in vigore il 1° gennaio 2022. Questo elenco, compilato dall'Organizzazione mondiale della sanità, si basa sui risultati ottenuti da esperti provenienti da tutto il mondo. La classificazione delle malattie dell'Oms fornisce un linguaggio comune attraverso il quale i professionisti della salute possono scambiarsi informazioni sanitarie.

...

International Classification of Diseases (ICD)

CHAPTER 24 Factors influencing health status or contact with health services

QD85 Burn-out

Burn-out is a syndrome conceptualized as resulting from chronic workplace stress that has not been successfully managed. It is characterized by three dimensions:
1) feelings of energy depletion or exhaustion;
2) increased mental distance from one’s job, or feelings of negativism or cynicism related to one's job; and
3) reduced professional efficacy. Burn-out refers specifically to phenomena in the occupational context and should not be applied to describe experiences in other areas of life.

Exclusions: Adjustment disorder (6B43)
Disorders specifically associated with stress (BlockL1‑6B4)
Anxiety or fear-related disorders (BlockL1‑6B0)
Mood disorders (BlockL1‑6A6)

Fonte: OMS

D.P.R. 26 maggio 1959 n. 689

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D.P.R. 26 maggio 1959 n. 689 / 1° Elenco attività sogette controllo VVF

Determinazione delle aziende e lavorazioni soggette, ai fini della prevenzione degli incendi, al controllo del Comando del Corpo dei vigili del fuoco.

(GU n.212 del 4-9-1959)

Provvedimento abrogato dal D.P.R. 1 agosto 2011 n. 151

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Cassazione Civile Sent. Sez. L n. 13643 | 21 Maggio 2019

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Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 maggio 2019, n. 13643

Infortunio di un neoassunto con la macchina ribobinatrice: disattivazione del dispositivo di sicurezza

Civile Sent. Sez. L Num. 13643 Anno 2019
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BLASUTTO DANIELA
Data pubblicazione: 21/05/2019

Ritenuto
1. In data 23 giugno 2006 il dipendente della Nuova Elleci s.r.l., D.G., subì un infortunio sul lavoro, indennizzato dall'INAIL, ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 38/2000. Il lavoratore esperì un'azione di responsabilità contrattuale ex art. 2087 cod. civ. nei confronti della società datrice di lavoro Nuova Elleci s.r.l. per il risarcimento del c.d. danno differenziale. Tale domanda, respinta in primo grado, veniva accolta dalla Corte di appello di Firenze che accertava la responsabilità della società, in quanto rimasta inadempiente ai propri obblighi di sicurezza.
2. La Corte di appello riteneva, in sintesi, sussistenti le seguenti condotte omissive: a) mancato assolvimento degli obblighi formativi nei confronti del dipendente neoassunto ex artt. 20 e 21 legge n. 626 del 1994; b) assegnazione del D.G., sin dal primo giorno di lavoro (o al massimo dal quarto), ad una macchina pericolosa, come la ribobinatrice, senza affiancamento di un operaio esperto per le opportune indicazioni operative e i necessari consigli tecnici; c) mancato allestimento di un sistema di doveroso controllo e coordinamento degli operai addetti alla linea, nella delicata fase di ripartenza dell'impianto di produzione della carta dopo una prolungata sosta in occasione del cambio di formato; d) mancata vigilanza, affinché il sistema di sicurezza della macchina fosse presente nella fase della sua ripartenza; e) mancata vigilanza affinché l'operazione di rimozione delle steccate avvenisse con impianto fermo.
2.1. La Corte di appello riteneva, inoltre, che la condotta del lavoratore infortunato non potesse considerarsi abnorme, poiché dalle risultanze dell'istruttoria era possibile affermare che l'intervento sulla macchina con il sistema di sicurezza disattivato non costituiva un evento eccezionale, tale da interrompere il nesso di causalità tra la condotta gravemente omissiva della società appellata e l'evento lesivo occorso al D.G., e che, ove pure vi fosse stato un comportamento inavvertito o imprudente del dipendente, finalizzato ad ovviare agli inconvenienti della lavorazione, questo non sarebbe valso ad escludere la responsabilità datoriale.
2.2. Sulla base della c.t.u. medico-legale, applicati i criteri delle c.d. tabelle milanesi e la personalizzazione del danno e detratta la quota di danno biologico indennizzata dall'INAIL, ossia il valore capitale della rendita e i ratei già corrisposti, per un totale complessivo di euro 88.050,00, il danno differenziale non coperto dalle prestazioni dell'Istituto assicuratore era pari ad euro 232.447,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla pronuncia al saldo, al cui pagamento veniva condannata la Nuova Elleci.
2.3. La Corte di appello accoglieva poi l'azione di regresso proposta dall'INAIL, rilevando che il datore di lavoro si era reso responsabile di condotte integranti gli estremi del reato di lesioni colpose gravi ex art. 590 cod. pen., e per tale titolo condannava la società a rimborsare all'INAIL il costo dell'infortunio nella misura di euro 223.874,57, oltre interessi legali dal 18 dicembre 2012 fino al saldo effettivo.
2.4. Inoltre, in accoglimento della domanda di manleva formulata dalla Nuova Elleci s.r.l. nei confronti della Fondiaria Sai s.p.a., dichiarava la compagnia di assicurazione obbligata a tenere indenne la società datrice di lavoro di quanto la stessa era tenuta a corrispondere al D.G. e all'INAIL, nei limiti del massimale. Al riguardo, rigettava l'eccezione della Fondiaria Sai, secondo cui vi era un difetto di copertura assicurativa. Osservava che l'aspetto sostanziale rilevante ai fini dell'operatività della polizza è che il giorno del sinistro, il 23 giugno 2006, fosse operante la regolare assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, come dichiarato dall'INAIL, mentre eventuali ritardi nelle comunicazioni non potevano rilevare, poiché alla data anzidetta non era applicabile ratione temporis la legge n. 296/07, che ha introdotto l'obbligo della comunicazione di assunzione dal giorno precedente.
2.5. Infine, la Corte di appello compensava le spese di lite tra la Nuova Elleci e la Fondiaria SAI.
3. Per la cassazione di tale sentenza la Nuova Elleci s.r.l. ha proposto ricorso principale affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorso il D.G. e l'INAIL, nonché UNIPOLSAI Assicurazioni s.p.a., quale società incorporante di Fondiaria - SAI s.p.a., la quale ha altresì proposto ricorso incidentale nei confronti della Nuova Elleci sulla base di un motivo. Sul ricorso incidentale la società è rimasta intimata.
4. Il D.G. e l'INAIL hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Considerato

1. Con il primo motivo del ricorso principale la società Nuova Elleci denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2733 e 2735 cod. civ. in relazione all'art. 360, primo comma n.3, cod. proc. civ., per avere la sentenza violato le norme sulle prove legali omettendo di considerare la dichiarazione confessori del D.G., il quale aveva ammesso che, eseguendo il ciclo produttivo della carta, aveva disattivato la sicurezza della ribobinatrice per rendere più rapida l'operazione di distacco delle steccate che erano rimaste incollate. Ribadisce il carattere abnorme e imprevedibile dell'azione posta in essere dal dipendente, consistita nella volontaria disattivazione delle misure di cautela, elusione cosciente delle norme di sicurezza da parte del lavoratore.
2. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. per avere la sentenza trascurato prove decisive per il giudizio. Si contesta che il D.G. operasse da solo e che fosse stato lasciato "allo sbaraglio", senza alcuna precisa direttiva, come pure l'affermazione di cui alla sentenza impugnata che la disattivazione della sicurezza fosse una pratica non inusuale in azienda. Si richiamano le testimonianze che non sarebbero state debitamente considerate dalla Corte territoriale. Si ribadisce che l'infortunio non si verificò nella fase di ripartenza della produzione e che fu invece il D.G. a manomettere la sicurezza della macchina ribobinatrice, contravvenendo a precise prescrizioni datoriali.
3. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia violazione falsa applicazione degli articoli 91 e 92 cod. proc. civ. in ordine alla statuizione con cui la Corte d'appello ha compensato le spese di lite nei rapporti tra la Nuova Elleci e Fondiaria SAI, anziché fare applicazione del principio della soccombenza e condannare la compagnia assicuratrice al pagamento delle spese. Sostiene la ricorrente che la motivazione della sentenza non aveva esplicitamente indicato quali fossero le gravi ed eccezionali ragioni tali da giustificare la compensazione integrale, non potendo a tal fine essere sufficiente il richiamo alle mere perplessità che il caso in esame avrebbe proposto.
4. Con unico motivo la ricorrente in via incidentale, UNIPOLSAI Assicurazioni, quale società incorporante Fondiaria SAI, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1917 e 1362 cod. civ., della legge 218/1952, artt. 17 e seguenti e successive modificazioni integrazioni (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.); omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.); violazione articolo 132 cod. proc. civ. e nullità della sentenza per omessa motivazione (art. 360 in. 4 cod. proc. civ.).
Premette che la società Nuova Elleci aveva stipulato una polizza di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, compresi i dipendenti della ditta assicurata, e aveva chiamato in causa la compagnia assicuratrice per essere manlevata in caso di accoglimento delle domande proposte nei suoi confronti dal D.G. e dall'INAIL. Deduce che al momento in cui si verificò l'infortunio, ossia il 23 giugno 2006, l'assunzione del lavoratore, risalente al 19 giugno, non era ancora stata comunicata al Centro per l'impiego, essendo tale comunicazione avvenuta il 27 giugno 2006, e che la tardiva regolarizzazione dell'assunzione aveva inciso sull'operatività della garanzia assicurativa, in presenza di una clausola contrattuale che subordina espressamente l'efficacia di detta garanzia alla condizione che l'assicurato, al momento del sinistro, sia in regola con gli obblighi delle assicurazioni di legge.
5. Sono infondati sia il ricorso principale, sia quello incidentale.
6. Preliminarmente, va osservato che il vizio denunciato con il primo motivo del ricorso principale, ossia la presunta violazione e falsa applicazione della legge di cui all'art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all'art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (ex plurimis, Cass. n. 16862 del 2013, n. 24298 del 2016).
6.1. Nel caso in esame, il ricorso non si confronta con la argomentata ricostruzione giuridica secondo cui l'insieme delle condotte omissive imputabili alla parte datoriale costituiscono violazione dell'art. 2087 cod. civ..
7. In realtà, con il primo motivo del ricorso principale, l'odierna ricorrente, sotto l'apparente veste dell'error in iudicando, tende a contestare la ricostruzione della vicenda accreditata dalla sentenza impugnata. In proposito, giova ribadire che il vizio di falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma " legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;
viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione (Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E' dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione - e dunque un errore interpretativo di diritto - su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.
8. Al fine dell'affermazione della responsabilità del datore di lavoro per mancato rispetto dell'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 cod. civ. è necessario che l'evento dannoso sia riferibile a sua colpa. Il relativo accertamento costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato (tra le tante, v. Cass. n. 1579 del 2000, n. 3785 del 2009). Elemento costitutivo della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 cod. civ. è la colpa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore (Cass. n. 6002 del 2012, n. 14192 del 2012).
8.1. Dalla ragionata ricostruzione della vicenda offerta dalla sentenza impugnata può escludersi che gli obblighi di attivazione, ritenuti nella specie omessi, riguardassero ipotesi di accorgimenti idonei a fronteggiare cause d'infortunio del tutto imprevedibili (cfr. Cass. n. 1312 del 2014). La Corte di appello ha fatto, invece, corretta applicazione del principio secondo cui l'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene protetto dall'art. 41, secondo comma, Cost. (ex plurimis, Cass. 6337 del 2012). Deve pertanto concludersi che l'operazione di sussunzione della fattispecie concreta, nei termini in cui è stata ricostruita dalla sentenza impugnata, in quella astratta di cui all'art. 2087 cod. civ. è conforme a diritto, mentre il prospettato carattere abnorme del comportamento posto in essere dal lavoratore muove da una diversa ricostruzione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.
9. Il secondo motivo del ricorso principale di Nuova Elleci s.r.l. è infondato.
9.1. Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operata dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (v., da ultimo, Cass. n. 29404 del 2017) L'esame e la valutazione dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056 del 2016, n. 1.7097 del 2010). Nel caso in esame, la censura di omesso esame di un fatto decisivo si risolve, invece, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa.
9.2. A ciò aggiungasi che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., come sostituito dall'art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134) qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. sent. 8053 del 2014).
10. Anche il terzo motivo del ricorso principale è infondato. In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n 3 cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. n. 24502 del 2017, n. 19613 del 2017, n. 8421 del 2017).
10.1. Quanto alle regole dettate dall'art. 92 cod. proc. civ., nei giudizi instaurati - come il presente (il ricorso introduttivo di primo grado risale al 2008)- nella vigenza della disciplina introdotta dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263 (prima delle modifiche apportate dall'art. 45, comma 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e poi nuovamente dall'art. 13, comma 1, del d.l. 12 settembre 2014, n 132, conv., con mod. nella L. 10 novembre 2014, n. 162) il giudice può procedere a compensazione parziale o totale tra le parti, in mancanza di soccombenza reciproca, solo se ricorrono "altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione", atteso il tenore dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 2, comma primo, lett. a), della legge citata (Cass. n. 13460 del 2012).
10.2. Nel caso di specie, la motivazione è stata esplicitata ed è consistita in alcune incertezze desumibili dalla narrativa della sentenza in merito alla data di assunzione del D.G.. Trattasi di motivazione non illogica e come tale sottratta al sindacato di legittimità.
11. Quanto al ricorso incidentale, innanzitutto, è rilevabile un profilo di inammissibilità consistente nella formulazione dell'atto mediante la mera sovrapposizione di mezzi d'impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall'art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., senza un'adeguata specificazione che consenta, nel contesto dell'illustrazione del motivo, di disarticolare l'unitarietà onde ricondurre specifiche questioni all'uno o all'altro profilo.
11.1. In particolare, il ricorso prospetta la violazione di norme di diritto sostanziale, di diritto processuale e vizi di motivazione mediante un'esposizione che mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d'impugnazione enunciati dall'art. 360 c.p.c. per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, a questa Corte il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.
12. Deve comunque rilevarsi che, a fronte dell'argomentato rilievo secondo cui il giorno del sinistro era operante l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, il motivo difetta di specificità, in violazione dell'art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., in quanto si limita a reiterare la tesi - sostenuta nel giudizio di merito e disattesa dalla Corte di appello - secondo cui rileverebbe la circostanza che la comunicazione al Centro per l'impiego faceva riferimento ad una data di inizio del rapporto posteriore di alcuni giorni a quella reale.
13. Infine, il motivo di ricorso richiama alcune clausole contrattuali del contratto di assicurazione che la Corte di appello avrebbe trascurato di considerare, ma parte ricorrente - che ne aveva l'onere ex art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ. - omette di trascriverne il contenuto, per cui anche sotto tale concorrente profilo il ricorso incidentale è inammissibile.
14. Tenuto conto dell'esito delle opposte impugnazioni, le spese del presente giudizio sono poste a carico della Nuova Elleci nei confronti del D.G. e dell'INAIL, mentre vanno compensare tra la stessa società e la UNIPOLSAI Assicurazioni s.p.a..
Le spese sono liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
15. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale sia della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell'impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.



P.Q.M.

La Corte rigetta sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese in favore di D.G. e dell'INAIL, liquidate in favore di ciascuna delle parti in euro 5.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge. Compensa le spese tra la Nuova Elleci s.r.l. e Unipolsai Assicurazioni s.p.a..
Ai sensi dell'art.13 comma 1-quater del d.P.R. n,115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e del ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo 2019

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Guida ai servizi di verifica di attrezzature macchine e impianti

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Guida INAIL 2019

Guida ai servizi di verifica di attrezzature, macchine e impianti di più ampia pratica e interesse

INAIL, 2019

La Guida è stata realizzata allo scopo di orientare l’utenza all’accesso rapido delle informazioni più richieste nel tempo in materia di verifica su attrezzature, macchine e impianti.

Tali attività, che il legislatore ha attribuito all’Inail in via esclusiva e non, sono finalizzate all’accertamento del loro esercizio in sicurezza sia nei luoghi di vita che di lavoro.

La pubblicazione non esaurisce il novero delle attività di verifica che l’Istituto è chiamato a prestare, ma contempla solo quelle di più ampia pratica e interesse per la platea dei fruitori. Per questo, sono stati selezionati alcuni ambiti di verifica e, per ciascuna, redatte specifiche schede di sintesi per illustrare le modalità di richiesta e l’iter procedurale di attivazione.

Le attività di verifica su attrezzature, macchine e impianti che il legislatore ha attribuito all’Inail, sono molteplici e hanno primariamente come finalità l’accertamento del loro esercizio in sicurezza sia nei luoghi di vita che di lavoro. Tali attività possono essere svolte, secondo la previsione normativa, in via esclusiva o per il tramite di altri operatori.

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Indice

1. Impianti di riscaldamento
1.1 Tipologia di verifica
Esame progetto e verifica di impianti di riscaldamento di nuova installazione (decreto ministeriale 1° dicembre 1975) non rientranti nelle attrezzature di lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
1.2 Tipologia di verifica
Esame progetto e verifica di impianti di riscaldamento (decreto ministeriale 1° dicembre 1975) sottoposti a verifiche non rientranti nelle attrezzature di lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 a seguito di modifica importante.
1.3 Tipologia di verifica
Prima verifica periodica degli impianti di riscaldamento rientranti nelle attrezzature di lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
2. Impianti di messa a terra e impianti di protezione contro le scariche atmosferiche
2.1 Tipologia di verifica
Verifica dell’impianto di messa a terra.
2.2 Tipologia di verifica
Verifica degli impianti e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche.
3. Recipienti di trasporto gas – bombole per GPL
3.1 Tipologia di verifica
Revisione periodica delle bombole soggette al decreto ministeriale 12 settembre 1925 e successive norme e circolari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e recipienti costruiti secondo la direttiva TPED.
4. Idroestrattori, carrelli semoventi a braccio telescopico, piattaforme di lavoro autosollevanti su colonne e ascensori e montacarichi da cantiere
4.1 Tipologia di verifica
Prima verifica periodica di taluni idroestrattori, di carrelli semoventi a braccio telescopico, piattaforme di lavoro autosollevanti su colonne e ascensori e montacarichi da cantiere.
5 Apparecchi di sollevamento
5.1 Tipologia di verifica
Prima verifica periodica di apparecchi di sollevamento cose e apparecchi di sollevamento persone.
6. Ponti sospesi e macchine agricole raccoglifrutta
6.1 Tipologia di verifica
Prima verifica periodica di ponti sospesi e macchine agricole raccoglifrutta.
7. Ponti sollevatori per veicoli
7.1 Tipologia di verifica
Riconoscimento di idoneità del ponte destinato a svolgere l’attività di revisione dei veicoli.

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Fonte: INAIL

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Rapporto Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato ISS 2019

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Rapporto ISTISAN 19 5

Rapporto Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato ISS 2019

Rapporto ISTISAN 19/5

Valutazione dell’Osservatorio Nazionale Alcol sull’impatto del consumo di alcol ai fini dell’implementazione delle attività del Piano Nazionale Alcol e Salute. Rapporto 2019. 

Il consumo di alcol è un importante problema di salute pubblica, classificato in Europa come terzo fattore di rischio di malattia e morte prematura dopo il fumo e l’ipertensione arteriosa. L’Osservatorio Nazionale Alcol (ONA) è dal 1998 il riferimento formale e ufficiale nazionale, europeo e internazionale dell’Istituto Superiore di Sanità per la ricerca, la prevenzione, la formazione in materia di alcol e problematiche alcol-correlate.

L’ONA elabora e analizza ogni anno le basi di dati nazionali svolgendo attività di monitoraggio su mandato del Ministero della Salute e in base a quanto previsto dal Piano Statistico Nazionale e alle attività del “Sistema di Monitoraggio Alcol-correlato - SISMA” previste dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2017 e dalla recente attivazione in ISS dell’azione centrale SISTIMAL per la valutazione dell’implementazione delle politiche nazionale e regionali sull’alcol che il Ministero della Salute provvede a trasmettere alla World Health Organization (WHO).

L’ONA, sede del WHO Collaborating Centre for Research on Alcohol, è l’organismo indipendente di raccordo tra Ministeri, Presidenza del Consiglio, Commissione Europea e WHO per le attività tecnico-scientifiche di rilievo nazionale, europeo e internazionale.

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INDICE
Prefazione
Politiche sull’alcol in Europa
Factsheet della WHO sul consumo, sui danni e sull’attuazione delle politiche nei Paesi dell’UE
Il rapporto della WHO sui comportamenti degli adolescenti legati al consumo di alcol
Consumi nella popolazione italiana generale
Consumatori di alcol, astemi e astinenti degli ultimi 12 mesi
Consumatori di vino, birra, aperitivi alcolici, amari e superalcolici
Comportamenti a rischio
Consumatori abituali eccedentari
Consumatori fuori pasto
Consumatori binge drinking
Consumatori a rischio (criterio ISS)
Consumi alcolici e modelli di consumo nelle Regioni
Italia nord-occidentale
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Italia nord-orientale
Provincia Autonoma di Bolzano
Provincia Autonoma di Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia Romagna
Italia centrale
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Italia meridionale
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Italia insulare
Sicilia
Sardegna
Mortalità per decessi totalmente alcol-attribuibili
Mortalità totalmente alcol-attribuibile per età e genere
Mortalità alcol-attribuibile per regione di residenza.
Consumo di alcol tra i giovani
Consumatori di 11-17 anni
Consumatori di 18-20 anni
Consumatori di 21-25 anni
Consumo di alcol tra gli anziani
Consumatori giovani anziani (65-74 anni)
Consumatori anziani (75-84 anni)
Consumatori grandi anziani (≥ 85 anni)
Conclusioni

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Fonte: ISTISAN

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 20828 | 15 Maggio 2019

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Sentenze cassazione penale

Infortunio durante le operazioni di carico del calcestruzzo

Ruolo di un datore di lavoro, di un capo cantiere, di un CSE e di un gruista

Penale Sent. Sez. 4 Num. 20828 Anno 2019

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 03/04/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Brescia, in data 8 luglio 2016, ha parzialmente riformato in punto di trattamento sanzionatorio, rideterminandolo in mitius, la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo, il 5 maggio 2014, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia L.G.B., A.M., F.D. e F.P. per il delitto di omicidio colposo in cooperazione colposa (artt. 113 e 589 cod.pen.), con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in Casazza (BG) il 12 novembre 2011 in danno di E.M.. Con la stessa pronunzia la Corte di merito ha concesso i doppi benefici di legge al A.M., al F.D. e al F.P. e ha, nel resto, confermato la sentenza di primo grado; limitatamente al L.G.B. é stata altresì confermata la penale responsabilità in ordine alle contravvenzioni previste dall'art. 70 comma 1 e dall'art. 87, comma 2, lettere A ed E del d.lgs. 81/2008.
2. Brevemente riassumendo l'episodio per cui é processo, per come descritto nell'imputazione, il E.M. era intento a preparare del calcestruzzo nell'ambito di lavori edili appaltati alla Costruzioni L.G.B. S.p.A. (per la realizzazione di una casa di riposo); indi procedeva a versare l'impasto cementizio in un cassone e quindi agganciava le catene della gru che avrebbe dovuto sollevare il cassone stesso; in tale occasione non si avvedeva che il gancio presentava un gioco che ne rendeva insicuro il funzionamento, di tal che esso si collocava in modo improprio con l'anello di ancoraggio della benna che si incuneava tra l'estremità del gancio e la linguetta di sicurezza. Quindi dava il via per il sollevamento al gruista A.M., il quale aveva in precedenza posizionato sul gancio della gru le due brache a doppio tirante e portato le catene nei pressi del cassone da caricare; ma, essendosi posizionato a un livello superiore rispetto all'area di preparazione del calcestruzzo, non aveva una visuale idonea e iniziava il sollevamento del cassone senza sincerarsi che il E.M. si fosse spostato. Il carico, giunto a un'altezza di circa 2 - 2,5 metri, sia a causa del posizionamento del gancio in posizione non coincidente con la verticale del cassone, sia a causa del precario collegamento fra gancio e benna, si sganciava improvvisamente dalla gru e cadendo andava a colpire il E.M. che ancora si trovava in prossimità del punto iniziale di sollevamento della benna.
2.1. Al L.G.B., in qualità di legale rappresentante della società appaltatrice e datore di lavoro del E.M. (che da essa dipendeva) é addebitato di avere agito in violazione dell'art. 71,d.lgs. 81/2008, degli artt. 172, 181 e 182 d.P.R. n. 547/1955 e del punto 3.2.3. dell'allegato VI al citato d.lgs. 81/2008 e, in specie, di avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature inidonee sotto il profilo della sicurezza, atteso che due dei quattro ganci autobloccanti posti all'estremità delle brache a doppio tirante utilizzate per il sollevamento del cassone presentavano dei "giochi" all'apertura, e di avere altresì omesso di adottare le misure necessarie, ossia di disporre o eseguire un'ispezione visiva mensile per controllare i ganci e per verificare il sistema di blocco, nonché di adottare misure organizzative adeguate, come la nomina di un capo manovra per siffatte operazioni di sollevamento dei carichi.
2.2. Al F.P., quale coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, é invece rimproverato di avere violato l'art. 92 del d.lgs. 81/2008, avendo omesso di verificare, mediante opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'attuazione del piano di sicurezza e coordinamento ed in specie la verifica dei dispositivi di sicurezza dei ganci per impedire l'accidentale sganciamento del carico; nonché di non essersi assicurato che venisse data attuazione alle previsioni del punto 3.2.3. dell'allegato VI al citato d.lgs. e dell'art. 182 del d.P.R. 547/1955, in relazione alle misure da adottare per garantire all'operatore durante il sollevamento dei carichi la perfetta visibilità della zona di azione del mezzo.
2.3. Al F.D., quale capocantiere e preposto, si rimprovera di non avere verificato, in violazione dell'art. 19 del d.lgs. 81/2008, l'efficienza dei dispositivi di sicurezza sui ganci e permetteva che si operasse da un posto di manovra che non consentiva di osservare direttamente l'intera traiettoria del carico.
2.4. Al A.M., gruista, si rimprovera infine di avere violato il disposto dell'art. 20 del ridetto d.lgs. 81/2008, non essendosi curato dell'efficienza dei dispositivi di sicurezza dei ganci ed avendo operato da un posto di manovra che non gli consentiva di osservare direttamente l'intera traiettoria del carico e la posizione del collega che lo aveva agganciato.
3. Secondo il percorso argomentativo posto a base della conferma della penale responsabilità degli imputati da parte della Corte di merito, l'utilizzo e la tipologia degli strumenti lavorativi risultati non sicuri e le condotte contestate agli imputati hanno formato oggetto di scrutinio e hanno trovato riscontro in base alle acquisizioni probatorie in primo grado e, in specie, attraverso deposizioni testimoniali di lavoratori presenti in cantiere, nonché di carabinieri e personale ASL intervenuti sul posto, e sulla base dei contributi di consulenti e periti e dello stesso esame degli imputati. E' stato fra l'altro escluso che nella specie si usasse un aggancio "a strozzo", utilizzato quando c'é una sola catena senza ulteriori ganci. Sono stati poi sottoposti a verifica il problema della carenza di coordinamento nello svolgimento dei vari lavori nel cantiere e quello dell'esecuzione dell'operazione di spostamento del carico in carenza di visibilità da parte del gruista e senza la presenza di un capo manovra, come previsto dal punto 3.2.3. dell'allegato 6 al d.lgs. 81/2008. E' stata respinta inoltre la contestazione difensiva in punto di violazione dell'art. 521 cod.proc.pen. (che era stata formulata in relazione al fatto che il giudice di prime cure, discostandosi dall'imputazione, avrebbe ricollegato l'infortunio alla mancanza di una tettoia), perché secondo la Corte distrettuale doveva in realtà escludersi che vi fosse una violazione tale da avere pregiudicato l'esercizio del diritto di difesa. All'esito, hanno trovato conferma le contestazioni mosse ai sopraindicati imputati, nelle rispettive qualità, restando esclusa secondo la Corte di merito l'ipotizzata anomalia del comportamento del E.M. quale fatto interruttivo del nesso causale fra la condotta addebitata agli imputati e l'evento mortale.
4. Avverso la prefata sentenza ricorre il F.P., con atto firmato dai suoi difensori di fiducia; e ricorrono altresì il L.G.B., il A.M. e il F.D., con unico atto firmato dal loro difensore di fiducia, nonché con successiva memoria contenente motivi nuovi.
5. Iniziando dal ricorso del F.P., esso é affidato a due motivi di lagnanza.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione lamentando che la Corte di merito, pur dando atto della discrasia tra l'oggetto dell'imputazione e la ricostruzione causale dell'evento accolta dal primo giudice (e quindi della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza), ha ugualmente affermato la responsabilità del F.P. sulla base dell'inidoneità del gancio usato dal E.M. e, quindi, sulla base deM'omissione dei compiti di controllo assegnati ai F.P. nella sua qualità di C.S.E. dalla quale sarebbe dipesa la rottura del dispositivo di chiusura del gancio.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione all'addebito di tipo omissivo formulato a carico del F.P., laddove il gancio incriminato, lungi dal potersi considerare componente strutturale dei mezzi di lavoro a disposizione del cantiere, era in realtà un mero accessorio, su cui il ricorrente non aveva onere di controllo, essendogli assegnate funzioni di alta vigilanza in ordine alle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale e non potendo confondersi la sua posizione con quella del datore di lavoro. La gru formava oggetto di verifiche periodiche a cura del C.S.E., che erano previste solo per la sezione delle parti fisse sino al dispositivo finale di aggancio, ove non vi sono stati problemi di sorta. Ugualmente erronea la motivazione della sentenza impugnata laddove si conferma l'addebito, mosso al F.P., di non avere formato-informato i lavoratori presenti nel cantiere e di non avere agito a tutela della sicurezza dei medesimi: compiti, questi, eccentrici rispetto a quelli assegnati al coordinatore per la sicurezza, a fronte del fatto che il dispositivo in base al quale veniva eseguita la movimentazione del carico era il radiocomando a disposizione del A.M., sul quale non può essere mosso alcun addebito organizzativo al F.P..
6. Il ricorso del L.G.B., del A.M. e del F.D. consta invece di tre motivi, ai quali si sono aggiunti cinque motivi nuovi.
6.1. Con il primo motivo, riguardante la posizione del L.G.B., si denuncia vizio di motivazione in relazione al fatto che la pena del medesimo é stata determinata senza che agli atti risultasse il nuovo provvedimento del Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Bergamo, con il quale venivano revocati alcuni decreti penali di condanna precedentemente emessi a carico dell'imputato (per fattispecie ex arti. 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000); peraltro la determinazione della pena sia per il L.G.B., sia per gli altri imputati, é stata adottata in assenza di qualsiasi motivazione.
6.2. Con il secondo motivo si denuncia in primo luogo vizio di motivazione in relazione all'applicazione dell'art. 71 del d.lgs. 81/2008 nei confronti del L.G.B.: non era possibile infatti realizzare una tettoia in un cantiere mobile (come era stato invece ritenuto dal primo giudice, peraltro al di fuori del perimetro imputativo) e del resto la sua realizzazione non avrebbe impedito l'evento; né può affermarsi che i ganci fossero inidonei, atteso che i dipendenti sentiti come testi (es. i testi D., I. e P.) hanno riferito che i ganci a loro disposizione erano perfettamente nuovi: la causa dello sganciamento andava riferita alle modalità di aggancio del cassone. E, quand'anche il gancio in questione avesse avuto dei problemi, erano disponibili altri ganci in perfetta efficienza, che quindi potevano formare oggetto di sostituzione a cura dei dipendenti; neppure sussiste la violazione dell'art. 70, comma 4, d.lgs 81/2008, essendo risultato che le apparecchiature di sollevamento venivano regolarmente controllate da una ditta esterna appaltatrice. Quanto invece alla posizione del F.D. si denuncia vizio di motivazione in ordine all'addebito a lui mosso ex art. 19, d.lgs. 81/2008: non vi é infatti prova che i ganci non venissero controllati prima delle operazioni di sollevamento, anzi vi é prova del contrario, sulla base delle deposizioni testimoniali sul punto; inoltre la traiettoria del carico é risultata essere del tutto regolare e pienamente visibile dal gruista A.M.: fu invece anomalo il comportamento del E.M., che non si spostò dalla zona di carico durante il sollevamento. Infine, quanto alla posizione del A.M., si denuncia vizio di motivazione in ordine alla violazione a lui attribuita ex art. 20 del d.lgs. 81/2008, non essendo dimostrato che fosse lui a dover controllare i ganci al momento del sollevamento, né che i ganci non fossero stati controllati.
6.3. Con il terzo motivo si denuncia mancata assunzione di una prova decisiva con riferimento all'omessa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sollecitata dalla difesa: gli accertamenti peritali erano infatti stati eseguiti con un dato mancante, rappresentato dall'assenza del cassone, dissequestrato e portato in discarica, e sono stati eseguiti in una condizione di oggettiva differenza rispetto alla situazione oggetto di verifica, per cui non era possibile ricostruire l'accaduto in termini pertinenti e affermare che vi fosse una relazione fra lo stato della "linguetta" di sicurezza e il sinistro.
6.4. Con il primo dei cinque motivi nuovi, ad integrazione del terzo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione delle dinamiche dell'evento, con travisamento di prova decisiva: l'espletamento degli accertamenti peritali che indusse la difesa a richiedere un supplemento di perizia in ordine alle cause dello sganciamento é rimasto inevaso; vengono poi richiamate le considerazioni svolte dal consulente tecnico della difesa ing. F. a sostegno dell'esclusione del nesso di causalità fra l'allargamento della levetta del gancio e lo sganciamento del cassone, a fronte delle quali la Corte di merito ha scelto una diversa ricostruzione dei fatti senza prendere in esame alcuna ipotesi alternativa.
6.5. Con il secondo motivo nuovo si denuncia violazione di legge in punto di ricostruzione del nesso causale, risultata diversa tra la sentenza di primo grado (allorché si ritennero decisivi la mancata realizzazione di una tettoia e la tenuta della catena) e quella d'appello, in cui i suddetti aspetti sono stati completamente pretermessi e si é indicata la causa dell'accaduto nel malfunzionamento del sistema di sicurezza del gancio, salvo poi chiamare in causa la mancata utilizzazione di brache efficienti. In pratica la Corte non si confronta con il percorso motivazionale offerto dalla sentenza di primo grado, così integrando un vizio logico della sentenza.
6.6. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge per assenza di un nesso eziologico tra le condotte colpose e l'evento verificatosi, nonché vizio di motivazione, non avendo in alcun modo la Corte di merito valutato che la condotta colposa contestata agli esponenti della Società non risulta eziologicamente efficiente rispetto alla verificazione dell'evento, né risulta operato alcun ragionamento controfattuale in riferimento al caso che le norme cautelari fossero state rispettate.
6.7. Con il quarto motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'insussistenza delle contravvenzioni di cui al capo 2, già evidenziata nel secondo motivo del ricorso principale, eccependone altresì 
l'intervenuta prescrizione, peraltro rilevabile d'ufficio ex art. 609, comma 2, cod.proc.pen..
6.8. Con il quinto motivo di ricorso, che riprende e amplia il primo motivo, si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego della sospensione condizionale della pena in favore del L.G.B., a fronte della revoca in executivis di alcuni decreti penali di condanna precedentemente emessi a carico del medesimo.

Considerato in diritto

1. Iniziando dal ricorso del F.P., il primo motivo é infondato.
L'apparente - almeno parziale - scostamento del primo giudice dall'imputazione formulata a carico del F.P. e degli altri coimputati (laddove tra le cause del sinistro viene indicata anche l'omessa realizzazione di una tettoia nel luogo ove avvenivano le operazioni di carico del calcestruzzo) deve ritenersi del tutto riassorbito nel percorso motivazionale seguito dalla Corte di merito, che nell'enunciare le cause del sinistro non tiene di fatto conto di tale presunta manchevolezza e si attiene in modo esclusivo all'addebito riferito alle condizioni dei dispositivi di sicurezza presenti sui ganci cui il carico era appeso, nei termini indicati dall'editto imputativo. Pertanto, nella sentenza impugnata non é dato rilevare alcuna divaricazione fra accusa e condanna, atteso che gli addebiti oggetto della prima risultano pienamente recepiti nel percorso argomentativo a sostegno della seconda.
Inoltre la Corte distrettuale, nel replicare alle lagnanze articolate dagli appellanti ex art. 521 cod.proc.pen., ha convenientemente risposto osservando che l'articolata istruzione dibattimentale ha ampiamente consentito agli imputati di apprestare compiutamente le loro difese; e che nelle allegazioni del ricorrente non vi sono elementi deponenti in senso contrario. In proposito va richiamato l'indirizzo della giurisprudenza anche apicale di legittimità, in base al quale, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'Imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione é del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 248051); tale principio vale non solo per il profilo della diversa qualificazione giuridica del fatto, ma anche allorquando le condotte oggetto di declaratoria di responsabilità siano diverse da quella indicata in imputazione, purché quest'ultima contenga la descrizione, anche sommaria, del comportamento addebitato in sentenza; ed inoltre, come recentemente ribadito dalla Corte regolatrice con specifico riferimento ai procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell 'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (per tutte vds. Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265, nonché, in senso conforme, Sez. 4 , n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500).
2. Quanto al secondo motivo di lagnanza del F.P., esso deve invece ritenersi fondato.
Al F.P. si rimprovera in sostanza di non avere curato che sui dispositivi di aggancio dei carichi alle gru venissero eseguite le verifiche periodiche previste, affidate a una ditta esterna e delle quali non vi é documentazione (la sentenza impugnata dà anzi conto di fonti di prova orale che riferiscono di come i controlli sui ganci fossero carenti e inidonei). Ma in tal modo non viene preso in considerazione dalla Corte di merito il contenuto specifico della posizione di garanzia assegnata dall'ordinamento al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione: contenuto affatto diverso da quello che caratterizza la posizione di garanzia datoriale.
Ed invero va ribadito, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dalla normativa specifica, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che é demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto) (Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e altro, Rv. 247536; in termini analoghi Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Portera e altri, Rv. 265661).
Ciò posto, deve pure rammentarsi che in casi precedenti del tutto analoghi la Corte regolatrice ha escluso che le operazioni di controllo dell'efficienza e della sicurezza dei ganci da gru potessero rientrare nell'ambito delle citate funzioni di alta vigilanza e che, quindi, potesse assegnarsi al C.S.E. la posizione di garanzia integrante l'obbligo giuridico di attivarsi nel caso di malfunzionamenti di tali dispositivi. Invero, un caso analogo era stato affrontato in Sez. 4, Sentenza n. 31015 del 27/04/2015, Calgione e altri. Nella specie al C.S.E. era mosso l'addebito di avere omesso di controllare l'efficienza del gancio di una gru, in relazione a un episodio in cui lo sganciamento del carico aveva fatto si che il carico medesimo aveva travolto e ucciso un operaio. La Corte di legittimità ebbe ad osservare, al riguardo, che si fosse «trattato di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto», e che, quindi, l'evento non fosse «riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione: in tale ambito al coordinatore é affidato il formalizzato, generale dovere di alta vigilanza di cui si é ripetutamente detto». E, anche con riferimento al malfunzionamento del gancio, sarebbe stato necessario pervenire all'«accertamento della consapevolezza di tale circostanza» da parte del C.S.E, «unica ipotesi che gli avrebbe imposto, nella sua qualità, di sospendere i lavori.».
Ora, nel caso di specie, si versa in una situazione che per molti versi si presenta analoga, a fronte della quale non é corretto riportarsi tautologicamente all'imputazione, come ha fatto la Corte territoriale, senza effettuare una doverosa verifica della riconducibilità delle omissioni addebitate al F.P. alla specifica posizione di garanzia del coordinatore per la sicurezza in fase d'esecuzione: posizione di garanzia che - lo si ripete -, oltre a non essere in alcun modo sovrapponibile a quella datoriale, consiste essenzialmente nell'alta vigilanza finalizzata a prevenire il rischio interferenziale: un rischio, all'evidenza, del tutto estraneo alla vicenda che ne occupa, sia in relazione all'oggetto dei controlli asseritamente omessi, sia in riferimento al fatto che nel cantiere era impegnata una singola ditta appaltatrice.
Sul punto quindi la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, atteso che non può in alcun modo ascriversi al ricorrente F.P. una responsabilità riferita a una condotta omissiva non riconducibile a! rischio che egli era chiamato a governare; la formula terminativa corretta è, nella specie, "per non aver commesso il fatto".
3. Venendo ora ai ricorsi degli imputati L.G.B., A.M. e F.D., il primo motivo ivi articolato - relativo esclusivamente alla biografia penale del L.G.B. - é manifestamente infondato; e ciò vale anche per il quinto motivo nuovo di ricorso, che ad esso si richiama. 
Si argomenta nei motivi in esame che nei confronti del L.G.B. la pena era stata applicata senza che in atti risultasse il nuovo provvedimento del G.E. del Tribunale di Bergamo con il quale sono stati revocati alcuni decreti penali relativi ad altrettante violazioni tributarie.
Ora, avuto riguardo a quanto dedotto nel quinto motivo nuovo di ricorso, risulta in primo luogo evidente che il suddetto provvedimento non poteva essere conosciuto dalla Corte di merito, né poteva essere prodotto e acquisito agli atti alla data della sentenza impugnata, per l'ottima ragione che quest'ultima é stata pronunziata all'udienza dell'8 luglio 2016 e che il provvedimento del G.E. é datato 22 luglio 2016.
Tanto premesso, va rammentato che non può sollecitarsi una rivalutazione di tale emergenza in sede di legittimità (ciò che forma oggetto del motivo in esame, atteso che vi si prospetta la formalizzazione - non conoscibile dalla Corte di merito - dell'abolitio criminis relativa ad alcune violazioni tributarie ascritte al L.G.B.), atteso che la presenza di precedenti condanne per reati poi depenalizzati può legittimamente essere valutata dal giudice come elemento ostativo alla presunzione che il colpevole si asterrà, per il futuro, da commettere ulteriori reati (cfr. per tutte Sez. 5, Sentenza n. 34682 del 11/02/2005 Ud. (dep. 28/09/2005 ) Rv. 232312); e che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.pen., sicché é inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena (v. Cass., Sez. 3, n. 1182/2008 del 17/10/2007, Cilia).
Ma soprattutto, nel motivare le proprie statuizioni in punto di pena nei riguardi del L.G.B., come del resto anche nei riguardi dei coimputati, la Corte non si é basata in alcun passaggio sulla biografia penale di alcuno di costoro (con conseguente irrilevanza dell'argomento posto a base dei motivi di lagnanza in esame) ed ha del resto fornito adeguata motivazione delle proprie statuizioni, chiarendo che il trattamento sanzionatorio doveva rimanere per tutti superiore al minimo edittale in relazione alla reiterazione della condotta omissiva e del rischio conseguente; ed ulteriormente argomentando le più gravose statuizioni sanzionatorie relative al L.G.B. in relazione alla sua qualifica datoriale, nonché all'elevato rischio presente in cantiere in conseguenza della condotta omissiva e dei plurimi profili di colpa specifica. Tale pur sintetico percorso argomentativo soddisfa i requisiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, specie ove si consideri che la pena applicata a tutti gli imputati, pur non coincidente con il minimo edittale, é ben al disotto del valore medio; ed é noto che, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non é necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo é desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese e altro, Rv. 267949).
4. Quanto al secondo motivo, nella parte in cui esso si riferisce alle violazioni addebitate al L.G.B. nella sua posizione datoriale, esso é infondato (lo stesso é a dirsi, in parte qua, in ordine al quarto motivo nuovo).
Rilevato che non ha assunto alcun rilievo nella condanna emessa a suo carico la questione - pur sollevata dal ricorrente - della mancata realizzazione della tettoia (non formante oggetto di imputazione), riguardo alla quale si rinvia alle considerazioni svolte a proposito del primo motivo del ricorso F.P., per il resto non vale a conferire fondamento alla doglianza il riferimento di alcuni testi, dipendenti dalla società, al fatto che sarebbero stati disponibili in ditta ganci perfettamente funzionanti; né a tal fine soccorre la considerazione che i lavoratori, in presenza di ganci difettosi, avrebbero avuto tutte le possibilità di sostituirli.
A conclamare la responsabilità del L.G.B. come datore di lavoro non vi é, infatti, solo il dato di fatto costituito dall'utilizzo, in particolare nell'operazione di carico tragicamente conclusasi, di ganci i cui sistemi di sicurezza erano inidonei e comunque mal funzionanti (ciò che comunque integra la violazione, da parte del L.G.B., dell'obbligo stabilito dall'art. 71 d.lgs. 81/2008, in base al quale il datore di lavoro «mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all' articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate ai lavoro da svolgere o adattate a tali scopi», avendo cura che tali attrezzature formino «oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nei tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all' articolo 70» dello stesso decreto legislativo).
Vi é, anche - e soprattutto -, la carenza a lui imputabile delle verifiche sull'effettività dei controlli sui ganci, demandati a una ditta esterna. Al riguardo é risultato radicalmente disatteso l'assunto del ricorrente in base al quale sarebbe stato dimostrato che venissero eseguite con regolarità le verifiche periodiche dei ganci ad opera di una ditta esterna: al contrario, risulta che non vi sia alcuna traccia di dette verifiche periodiche (a pag. 23 della sentenza si paria di «certa ed incontestabile assenza sui ganci di targhette identificative o simili apprestamenti» e di «mancanza di documentazione relativa all'obbligatoria specifica verifica trimestrale sui medesimi») e ciò, sicuramente, rappresenta un profilo omissivo della condotta imputabile al datore di lavoro, costituendo un rischio strutturale che incombeva al L.G.B. governare quale garante della sicurezza e della salute dei suoi dipendenti.
Sul piano del nesso causale, infine, l'assunto - sostenuto dal ricorrente - secondo il quale l'incidente si sarebbe verificato perché nel caso specifico l'aggancio del carico sarebbe stato effettuato in modo difettoso, la motivazione resa sul punto dalla Corte di merito - adesiva alle conclusioni del perito ing. Calvi ed ampiamente argomentata - é nel senso di ritenere che la causa della caduta del carico va attribuita all'uso di una braca di catene a due braccia munita di ganci aventi i sistemi di sicurezza insufficienti, con conseguente completa rottura del dispositivo di chiusura del gancio utilizzato (pag. 25 sentenza impugnata). In proposito ci si limita a osservare che la lagnanza in esame si risolve nella sollecitazione di una rivalutazione del materiale probatorio, volta ad ottenere una diversa lettura delle risultanze peritali in ordine ai risultati dell'istruttoria, in vista di una ricostruzione alternativa della serie causale: ciò che all'evidenza costituirebbe un'indebita ed inammissibile estensione del sindacato di legittimità a questioni di fatto di esclusiva pertinenza del giudice di merito.
5. Restando nel secondo motivo di ricorso, a proposito della posizione del F.D., esso é parimenti infondato.
La circostanza, sostenuta dal ricorrente, secondo cui i ganci sarebbero stati controllati prima delle operazioni di sollevamento (secondo alcune deposizioni testimoniali) ed in ogni caso non vi é prova del contrario, é smentita dalle già ricordate, difformi risultanze probatorie, valorizzate dalla Corte di merito, in base alle quali risulta che sia risultata sprovvista di riscontro l'asserzione secondo la quale venivano regolarmente eseguiti i controlli periodici sui ganci; del resto, secondo la sentenza impugnata, l'assenza di un adeguato controllo dei ganci é confermata non solo dall'oggettivo stato di deterioramento degli stessi, ma anche dalle stesse dichiarazioni del coimputato e gruista A.M., nonché da quanto emerso circa le condizioni in cui venivano lasciate le attrezzature adibite al sollevamento dei carichi, tenute all'aperto e riparate continuamente dagli stessi lavoratori, senza alcuna protezione dagli agenti atmosferici (la Corte distrettuale cita al riguardo le dichiarazioni del luogotenente D. e del tecnico ASL). A fronte di ciò, é noto che il capo cantiere (posizione ricoperta dal F.D.) é destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'Interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche (Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio e altro, Rv. 252149), oltreché di quello, indicato specificamente dall'art. 19 d.lgs. 81/2008, di segnalare tempestivamente al datore di lavoro le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro. Da quanto precede risulta evidente che il F.D. ha effettivamente violato gli obblighi nascenti dalla sua posizione di garanzia.
Si soggiunge che non può in alcun modo qualificarsi come abnorme il comportamento del E.M., per essere egli rimasto in prossimità del punto di sollevamento del carico. Va al riguardo richiamato il principio, affermato dalla sentenza n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247).
Nel caso di specie, l'infortunio é avvenuto mentre il E.M. era intento a eseguire l'operazione di sollevamento del carico (unitamente al A.M. come manovratore della gru) in esecuzione di precise disposizioni impartitegli dal capo cantiere, ossia dal F.D.. Dunque non può parlarsi di eccentricità rispetto alla sfera di rischio governata dai soggetti garanti, fra cui lo stesso F.D..
6. Sempre nell'ambito del secondo motivo di ricorso, le doglianze afferenti la posizione del A.M. (gruista) sono a loro volta infondate. Oltre alla considerazione, evidenziata dalla Corte di merito, in base alla quaie l’obbligo di assicurarsi della stabilità del carico incombe sul manovratore della gru (Sez. 4, n. 41294 del 04/10/2007, Fatibardi, Rv. 237890), incombeva al gruista l'obbligo, imposto in generale ai lavoratori in base alle previsioni "responsabilizzanti" di cui all'art. 20, d.lgs. 81/2008, di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, di contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché di utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro. Orbene, la Corte di merito ha puntualmente osservato che, essendo il A.M. a conoscenza del fatto che, poco prima dell'operazione di sollevamento, vi era in prossimità della gru il E.M., che lo aveva aiutato ad agganciare il carico, egli ben poteva e doveva sincerarsi del fatto che il collega non fosse rimasto in prossimità del carico in corso di sollevamento (circostanza quanto meno non imprevedibile), indipendentemente dal fatto (ed anzi, a ben vedere, proprio per il fatto) che durante tale operazione egli non poteva vedere l'area dalla quale il sollevamento avveniva e dove si trovava in realtà il E.M..
7. E', poi, manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso.
Ed invero, basterà osservare quanto affermato dalle Sezioni Unite in ordine al fatto che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A e altro, Rv. 270936). Poiché nella specie, oltretutto, si sarebbe trattato di disporre una perizia invocata sul rilievo dell'assoluta necessità di procedere alle operazioni peritali avendo a disposizione un cassone del tipo di quello caduto in occasione dell'incidente, deve osservarsi che l'assunto mirato a sostenere tale assoluta necessità é del tutto aspecifico e privo di valenza dimostrativa, a fronte del fatto che il percorso argomentativo della sentenza impugnata, volto a illustrare le ragioni in base alle quali il sinistro avvenne a causa dei ganci mal funzionanti nel loro dispositivo di sicurezza, é correttamente ed ampiamente argomentato, sulla base di valutazioni espresse in particolare dal perito nominato dal G.i.p. durante le indagini e dal consulente del P.M.; con la conseguenza che neppure potrebbe parlarsi, in ogni caso, di necessaria rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, atteso che, come affermato dalla giurisprudenza anche a Sezioni Unite, permane valida la regola in base alla quale la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, é un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 2016, Ricci, Rv. 266820).
8. Quanto ai primi tre motivi nuovi di ricorso, che in sostanza si riagganciano, sia pure in chiave parzialmente diversa, al terzo e in parte al secondo dei motivi di ricorso principale, si tratta di lagnanze manifestamente infondate e comunque insuscettibili di esame in questa sede, trattandosi essenzialmente di una mera sollecitazione di valutazioni alternative rispetto agli esiti probatori, non compatibile con il presente giudizio di legittimità e di stretta pertinenza del giudice di merito, a fronte della quale il percorso argomentativo illustrato nella sentenza impugnata si caratterizza, come del resto emerso anche alla luce dei motivi di ricorso dianzi esaminati, come assistito da adeguata coerenza e congruità ed esente da palesi o macroscopiche lacune in termini di logicità.
9. E' invece fondato il quarto motivo nuovo di ricorso, nell'interesse del L.G.B., laddove vi si eccepisce che i reati contravvenzionali a lui contestati al capo 2 risultano effettivamente estinti per prescrizione: causa estintiva che va comunque nella specie dichiarata a fronte di motivi di ricorso che non risultano tutti manifestamente infondati.
10. Pertanto, a fronte della già argomentata decisione di annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza quanto alla posizione del F.P. per non avere il medesimo commesso il fatto, va annullata senza rinvio la sentenza stessa relativamente ai reati contravvenzionali ascritti al L.G.B., perché estinti per prescrizione; la pena dell'ammenda, applicata a suo carico in relazione a detti reati, può essere eliminata direttamente da questa Corte.
Nel resto il ricorso del L.G.B. va rigettato; del pari vanno rigettati i ricorsi di A.M. e F.D., i quali, essendo risultati interamente soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto a F.P. Ferruccio, per non aver commesso il fatto.
Annulla altresì senza rinvio la medesima sentenza relativamente ai reati contravvenzionali di cui all'art. 87, comma 2, lettere a) ed e), D.Lgs. 81/2008 ascritti a L.G.B. perché estinti per prescrizione ed elimina la pena dell'ammenda applicata al L.G.B. in relazione ai predetti reati. Rigetta nel resto il ricorso del L.G.B..
Rigetta i ricorsi di A.M. e F.D. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 20828 Anno 2019.pdf
 
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MMC | MR | SP: Legislazione, Norme tecniche e Documenti INAIL

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MMC | MR | ST: raccolta documentazione INAIL

ID 8261 | 27 Aprile 2019

Legislazione, Riferimenti norme tecniche e Raccolta documentazione INAIL sul rischio movimentazione manuale dei carichi di cui al D.Lgs. 81/2008 Titolo VI Movimentazione manuale dei carichi (artt. 167-171):

- movimentazione manuale dei carichi (MMC);
- movimenti ripetuti (MR);

- operazioni di spinta e traino (ST).
...

1. Riferimenti legislativi

Titolo VI Movimentazione manuale dei carichi (artt. 167-171)

D.Lgs. n. 81/2008
Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. 

Titolo VI MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

Capo I Disposizioni generali

Art. 167. Campo di applicazione

1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi che comportano per i lavoratori rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari.

2. Ai fini del presente titolo, s'intendono:

a) movimentazione manuale dei carichi: le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico, che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari;

b) patologie da sovraccarico biomeccanico: patologie delle strutture osteoarticolari, muscolotendinee e nervovascolari.

Art. 168. Obblighi del datore di lavoro

1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.

2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell'allegato XXXIII, ed in particolare:

a) organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute;

b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell'allegato XXXIII;

c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell'ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all'allegato XXXIII;

d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all'allegato XXXIII.

3. Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell'allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida.

Art. 169. Informazione, formazione e addestramento

1. Tenendo conto dell'allegato XXXIII, il datore di lavoro:

a) fornisce ai lavoratori le informazioni adeguate relativamente al peso ed alle altre caratteristiche del carico movimentato;

b) assicura ad essi la formazione adeguata in relazione ai rischi lavorativi ed alle modalità di corretta esecuzione delle attività.

2. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori l'addestramento adeguato in merito alle corrette manovre e procedure da adottare nella movimentazione manuale dei carichi.

Capo II Sanzioni 

Art. 170. Sanzioni a carico del datore di lavoro e del dirigente

1. Il datore di lavoro ed il dirigente sono puniti:

a) con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 fino a 6.400 euro per la violazione dell'articolo 168, commi 1 e 2.

b) con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 750 a 4.000 euro per la violazione dell'articolo 169, comma 1.

___________

ALLEGATO XXXIII
MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

La prevenzione del rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi dovrà considerare, in modo integrato, il complesso degli elementi di riferimento e dei fattori individuali di rischio riportati nel presente allegato.
ELEMENTI DI RIFERIMENTO

1. CARATTERISTICHE DEL CARICO
La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
- il carico è troppo pesante;
- è ingombrante o difficile da afferrare;
- è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;
- è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato a una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;
- può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.

2. SFORZO FISICO RICHIESTO
Lo sforzo fisico può presentare rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
- è eccessivo;
- può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;
- può comportare un movimento brusco del carico;
- è compiuto col corpo in posizione instabile.

3. CARATTERISTICHE DELL'AMBIENTE DI LAVORO
Le caratteristiche dell'ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
- lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell'attività richiesta;
- il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o è scivoloso  il posto o l'ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale di carichi a un'altezza di sicurezza o in buona posizione;
- il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi;
- il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;
- la temperatura, l'umidità o la ventilazione sono inadeguate.

4. ESIGENZE CONNESSE ALL'ATTIVITÀ
L'attività può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari se comporta una o più delle seguenti esigenze:
- sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati;
- pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti;
- distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;
- un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.

FATTORI INDIVIDUALI DI RISCHIO
Fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in tema di tutela e sostegno della maternità e di protezione dei giovani sul lavoro, il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi:
- inidoneità fisica a svolgere il compito in questione tenuto altresì conto delle differenze di genere e di età;
- indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore;
- insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione o dell'addestramento

RIFERIMENTI A NORME TECNICHE
Le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste all'articolo 168, comma 3.

2. Riferimenti Norme tecniche 

UNI ISO 11228-1:2009
Ergonomia - Movimentazione manuale - Parte 1: Sollevamento e trasporto
La norma specifica i limiti raccomandati per il sollevamento e il trasporto manuale prendendo in considerazione, rispettivamente, l'intensità, la frequenza e la durata del compito. La norma fornisce una guida sulla valutazione di diverse variabili del compito, consentendo di valutare i rischi per la salute per la popolazione lavorativa.

UNI ISO 11228-2:2009
Ergonomia - Movimentazione manuale - Parte 2: Spinta e traino
La norma specifica i limiti raccomandati per le azioni di spinta e traino svolte con il corpo intero. La norma fornisce una guida sulla valutazione dei fattori di rischio considerati importanti per la spinta ed il traino manuale, consentendo di valutare i rischi per la salute per la popolazione lavorativa

UNI ISO 11228-3:2009
Ergonomia - Movimentazione manuale - Parte 3: Movimentazione di bassi carichi ad alta frequenza
La norma stabilisce le raccomandazioni ergonomiche per compiti lavorativi ripetitivi che implicano la movimentazione manuale di bassi carichi ad alta frequenza. La norma fornisce una guida sull'identificazione e valutazione dei fattori di rischio comunemente associati alla movimentazione di bassi carichi ad alta frequenza, consentendo di conseguenza la valutazione dei relativi rischi per la salute per la popolazione lavorativa.

UNI ISO 11226:2000 
Ergonomics - Evaluation of static working postures

ISO/TR 12295:2014
Ergonomics - Application document for International Standards on manual handling (ISO 11228-1, ISO 11228-2 and ISO 11228-3) and evaluation of static working postures (ISO 11226)

ISO/AWI TR 23476
Ergonomics - Application of ISO 11228-1, ISO 11228-2, ISO 11228-3 and ISO 11226 in the agricultural sector

UNI EN 1005-2
Sicurezza del macchinario - Prestazione fisica umana: Movimentazione manuale di macchinario e di parti componenti il macchinario.

___________

3. Raccolta documentazione INAIL 

3.1 Portfolo Movimentazione manuale dei carichi (MMC)

Differenti comparti produttivi comportano la necessità da parte dell’operatore di effettuare attività di movimentazione manuale di carichi. Questi, fortemente eterogenei per pesi e dimensioni, possono essere movimentati seguendo modalità, geometrie e frequenze assai diversificate in base alle singole necessità lavorative. Certamente la suddetta attività implica un impegno fisico anche gravoso da parte dell’operatore, con il coinvolgimento in particolare delle strutture osteo-muscolari della colonna vertebrale.

Proprio la movimentazione di carichi può rappresentare una delle cause favorenti l’insorgenza di disturbi e patologie a livello di tale distretto anatomico. Necessario quindi procedere ad una corretta valutazione del rischio da movimentazione manuale di carichi, al fine dell’attuazione di idonei interventi di prevenzione e protezione che vadano a mitigare, se non annullare, eventuali danni a carico degli operatori.

Verranno di seguito fornite una serie di informazioni circa la problematica in esame per vari ambiti produttivi, indicando in proposito, oltre che i riferimenti normativi, anche quanto suggerito dalla letteratura tecnica di settore e da norme tecniche sulla valutazione del rischio da movimentazione manuale dei carichi.

Allegati portfolio:

- la movimentazione manuale dei carichi (pdf)
- mappa dell’area tematica (pdf)
- il d.lgs. 81/2008 (pdf)
- la norma tecnica ISO 11228.1 (pdf)
- la norma tecnica UNI EN 1005.2 (pdf)
- il technical report ISO/TR 12295:2014 (pdf)
- linee guida (pdf)
- nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura (pdf)
- attività di sollevamento semplici (pdf)
- attività di sollevamento complesse (pdf)
- agricoltura e allevamento (pdf)
- artigianato(pdf)
- comparto manifatturiero(pdf)
- edilizia(pdf)
- grande distribuzione (pdf)

___________

3.2 Potfolio Movimenti ripetuti (MR)

Le attività lavorative comportanti movimenti ripetuti degli arti superiori sono responsabili di un elevato numero di patologie a carico dei vari distretti articolari. Il numero di queste malattie, in costante crescita, costituisce buona parte delle patologie professionali registrate ogni anno da Inail. Lo svolgimento di compiti ripetitivi può inoltre comportare affaticamento, ridotta produttività e alienazione, dovuta alla monotonia di attività protratte per lunghi periodi.

Uno stato di alienazione può, a sua volta, condurre a situazioni di rischio. Questi effetti sono causati, nella maggior parte dei casi, da condizioni scadenti dal punto di vista ergonomico e possono essere considerevolmente ridotti attraverso una corretta progettazione/riprogettazione di vari aspetti dell’attività: natura del compito, organizzazione del lavoro, design della postazione e degli oggetti o utensili impiegati, forza richiesta e altri fattori.

In generale, un’attività lavorativa può essere costituita da uno o più compiti ripetitivi o non ripetitivi. I compiti ripetitivi sono caratterizzati da sequenze di azioni di durata relativamente breve, dette “cicli”, che si ripetono più volte uguali a loro stesse; le “azioni” non sono i singoli movimenti articolari, ma una serie di gesti e movimenti di uno o più distretti articolari finalizzati al compimento di un’operazione elementare.

Le operazioni comportanti movimenti ripetuti degli arti superiori possono essere di diversa tipologia: esse comprendono la movimentazione di oggetti di peso leggero effettuata ad alta frequenza e le attività in cui, pur non venendo movimentati carichi, i movimenti delle braccia vengono ripetuti spesso e talvolta per periodi di tempo molto lunghi.

Allegati portfolio:

- mappa dell’area tematica (pdf)
- il rischio da movimenti ripetuti nel d.lgs. n.81/08 (pdf)
- tabelle delle malattie professionali (pdf)
- la norma UNI ISO 11228-3(pdf)
- ISO_TR 12295_2014 (pdf)
- la norma UNI EN 1005-5 (pdf)
- allegato 1b Linee guida Lombardia (pdf)
- linee guida Regione Veneto (pdf)
- OCRA (pdf)
- checklist OCRA (pdf)
- strainindex(pdf)
- il metodo HAL/ACGIH TLV (pdf)
- misure di prevenzione e riprogettazione dell'attività (pdf)

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3.3 Portfolio Operazioni di spinta e traino (SP)

Come tutte le attività lavorative responsabili di determinare patologie muscolo-scheletriche, la movimentazione manuale eseguita trainando o spingendo un oggetto (con o senza ruote), se condotta in assenza di requisiti ergonomici (condizioni non ottimali e di tempi di recupero insufficienti), può creare i presupposti per determinare lesioni a carico delle strutture degli arti superiori e della schiena.
L’impiego dei carrelli o di attrezzature munite di ruote è comune in molti settori produttivi e può essere richiesto per il trasporto dei materiali all’interno dei diversi reparti di un’azienda, nelle attività di magazzinaggio e nei reparti di degenza ospedalieri per effettuare il trasporto dei pazienti.

Un improprio impiego di un carrello può comportare concreti rischi di sovraccaricare l’apparato muscolo-scheletrico e, conseguentemente, può aumentare la probabilità di maturare, in un periodo medio-lungo, patologie da sovraccarico biomeccanico.
Lesioni a carico del complesso muscolo-tendineo dell’articolazione scapolo-omerale o a danno delle strutture ossee o fibro-cartilaginee dei dischi intervertebrali, epicondiliti, neuropatie localizzate nell’articolazione del polso, rappresentano l’insieme delle possibili patologie per le quali la causa lavorativa può rivelarsi determinante qualora l’azione di traino (o di spinta) sia eseguita con modalità e mezzi non adeguati a compensare lo sforzo compiuto.

Progettare o riprogettare attività lavorative che comportino attività di traino o di spinta di carrelli significa rendere accettabile lo sforzo esercitato durante le operazioni di movimentazione del materiale e, pertanto, ridurre la fatica per l'operatore. Per tale motivo è importante valutare ed esaminare nel dettaglio tutti gli elementi che concorrono a determinare il sovraccarico biomeccanico. Oltre alle caratteristiche dei carichi movimentati nel corso di una giornata di lavoro, che comunque non rappresentano gli unici fattori in grado di condizionare lo sforzo esercitato, vanno considerate:

- la frequenza delle azioni;
- la forza applicata;
- la tecnica impiegata per la movimentazione (che influenza la postura dei diversi distretti articolari);
- la durata delle operazioni;
- le caratteristiche individuali dell’operatore (età, sesso, abilità, esperienza, ecc.);
- le caratteristiche ambientali in cui viene svolta l’attività lavorativa (microclima, illuminazione, ecc.);
- l’organizzazione del lavoro (distanza da percorrere, caratteristiche del sistema di trasporto, spazio a disposizione, ecc.).

L’entità del carico movimentato, la postura assunta, la durata richiesta dal compito e le caratteristiche dell’ambiente di lavoro condizionano il determinismo del rischio: per tale motivo è necessario approfondire l’analisi di questi fattori al fine di valutare il grado di sicurezza collegato alla movimentazione manuale.

Allegati portfolio:

- mappa area tematica (pdf)
- il rischio legato alle operazioni di spinta e traino nel d.lgs.81/08 (pdf)
- tabelle delle malattie professionali (pdf)
- la norma UNI ISO 11228-2 (pdf)
- approccio multidisciplinare nella valutazione del rischio (pdf)
- misure di prevenzione e riprogettazione dell'attività (pdf)

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Fonte: INAIL

Collegati:

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Allegato riservato Operazioni di spinta e traino Rev. 00 2019.pdf
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Allegato riservato Movimentazione manuale dei carichi Rev. 00 2019.pdf
Certifico S.r.l. Rev. 0.0 2019
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Linee-guida salute negli ambienti confinati

ID 8370 | | Visite: 4705 | Conferenza Stato-Regioni

Linee-guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati 

Accordo 27 settembre 2001

Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul documento concernente: «Linee-guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati».

(G.U. n.276 del 27-09-2001, SO n. 252)

Collegati

Limiti esposizione professionale agenti cancerogeni e mutageni: TLV (Threshold Limit Values) ACGIH

ID 3565 | | Visite: 98903 | Documenti Riservati Sicurezza

Limiti di esposizione professionale (agenti cancerogeni e mutageni) TLV - ACGIH

ID 3565 | 28.04.2017 (Documento in discussione)

I TLV (Threshold Limit Values) dell’ACGIH

Il decreto legislativo 81/2008 definisce come Valore Limite, il limite della concentrazione media, ponderata in funzione del tempo, di un agente cancerogeno o mutageno nell’aria, rilevabile entro la zona di respirazione di un lavoratore, in relazione a un periodo di riferimento determinato, stabilito nell’Allegato XLIII.

Rimane però ancora controversa l'opinione in base alla quale si può ritenere che esista, per le sostanze cancerogene, un livello di soglia “sicuro” al di sotto del quale il rischio di contrarre il tumore sia nullo. Esistono dei modelli matematici che descrivono la relazione dose-risposta per queste sostanze e che consentono di estrapolare il livello al di sotto del quale il rischio è pari a zero (NOEL, Not Observed Effect Limit).

Tuttavia, il comportamento di molte sostanze cancerogene è difficilmente classificabile in modelli comportamentali netti; la risposta individuale a tali sostanze è molto variabile ed adottare un modello matematico al posto di un altro, alle basse dosi, può portare a notevoli differenze nella stima della soglia di rischio. Nonostante i dubbi sulla loro efficacia, sono fissati a livello nazionale ed internazionale dei valori limite di esposizione professionali anche per gli agenti chimici cancerogeni e mutageni, nell’ottica che l’attribuzione di un limite possa comunque essere cautelativa per i lavoratori.

La definizione di Valore Limite nella nostra legislazione è, secondo l’art 222 comma 3 d del D. Lgs. 81/2008:

“d) valore limite di esposizione professionale: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media ponderata nel tempo di un agente chimico nell'aria all'interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un determinato periodo di riferimento; un primo elenco di tali valori è riportato nell'allegato XXXVIII;”.

Si rende quindi necessario un confronto con i più importanti Enti scientifici o governativi mondiali che raccomandano valori limite di esposizione per un ampio numero di sostanze, tra questi ricordiamo l’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), l’OSHA (Occupational Safety and Health Administration), il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) e il Comitato tedesco per i MAK.

______________

Direttiva 98/24/CE del Consiglio del 7 aprile 1998 sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)

"valore limite di esposizione professionale»: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media o ponderata nel tempo di un agente chimico nell’aria all’interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un periodo di riferimento specificato"

La filosofia dei limiti di esposizione

La filosofia alla base dei vari tipi di limite indicati a seguire è diversa a seconda della situazione socio-economica del periodo e della nazione in cui si affronta il problema.

Si accenna alle due tendenze estreme nella formulazione dei limiti, e cioè:

- quella basata su valutazioni esclusivamente tossicologiche e sanitarie (i cosiddetti healthbased occupational exposure limits) (OMS, UE)
- quella che tiene in primaria considerazione fattori socioproduttivi e di fattibilità tecnica. (MAK, PEL, OHSA, ILO)

La differenza fra i due tipi di limite è sostanziale e può essere di entità rilevante in particolari condizioni: fra quelli del primo tipo si possono annoverare i limiti proposti dall’OMS e dalla UE, mentre fra i secondi rientrano in forme diverse i MAK (Maximale Arbeitsplatz Conzentrazionen) tedeschi, i PEL (Permissible Exsposure Limits) dell’OSHA (Occupational Safety and Health Administration) ed i limiti proposti dall’ILO (International Labour Office).

E’ comunque da tener presente che la determinazione dei limiti generalmente in uso è forzatamente condizionata da considerazioni extrascientifiche, economiche, socio-culturali e politiche, tipiche dello Stato che li recepisce in un determinato periodo storico.

I TLV dell’ACGIH

In una posizione intermedia si colloca la filosofia alla base dei noti TLV (Threshold Limit Values) dell’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), il cui uso è probabilmente il più diffuso nei paesi industrializzati; questi “valori limite di soglia” indicano, per ognuna delle sostanze elencate, le concentrazioni delle sostanze aerodisperse alle quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta per turni lavorativi di otto ore al giorno, quaranta ore a settimana, quarantotto settimane all’anno, quaranta anni di vita lavorativa, senza effetti negativi per la salute.

Tuttavia, a causa della notevole variabilità della sensibilità individuale, una piccola percentuale di lavoratori può accusare disagi in presenza di alcune sostanze le cui concentrazioni siano pari o inferiori ai rispettivi TLV e, in una percentuale ancora minore di esposti, si può osservare un effetto più marcato per l’aggravarsi di condizioni patologiche preesistenti o per l’insorgere di una malattia professionale.

Alcuni individui possono inoltre essere ipersuscettibili o sensibili in modo insolito a talune sostanze in conseguenza di fattori genetici, età, abitudini personali (fumo, abuso di alcolici, altre droghe), cure farmacologiche o esposizioni pregresse. Tali lavoratori possono non risultare adeguatamente protetti contro gli effetti avversi per la salute da parte di agenti chimici presenti in concentrazioni pari o inferiori ai TLV e il medico competente deve stimare il grado di protezione addizionale opportuno per tali soggetti.

I TLV sono stati stabiliti (e vengono annualmente aggiornati) in base a dati della letteratura scientifica internazionale relativi a studi epidemiologici in campo industriale, a ricerche sperimentali sull’uomo, su animali e su colture cellulari, possibilmente combinando tutti questi elementi di giudizio. A seconda del tipo di sostanza presa in considerazione, possono variare sia la tipologia di danno che si vuole prevenire, sia la natura e l’entità delle informazioni tossicologiche e sanitarie disponibili per stabilire ed aggiornare i TLV.

In ogni caso bisogna rimarcare che questi limiti non costituiscono una linea di demarcazione netta fra concentrazione non pericolosa e concentrazione pericolosa, né un indice relativo di tossicità; essi non vanno adottati per scopi diversi o con modalità differenti da quelli per cui sono stati formulati ed, in ogni caso, non debbono essere utilizzati da persone non esperte nella disciplina dell’Igiene del Lavoro.

L’ACGIH prevede tre categorie di TLV:

- Valore limite di soglia- media ponderata nel tempo (TLV-TWA) concentrazione media ponderata nel tempo, su una giornata lavorativa convenzionale di otto ore e su quaranta ore lavorative settimanali, alla quale quasi tutti i lavoratori possono essere ripetutamente esposti, giorno dopo giorno, senza effetti negativi;

- Valore limite di soglia - limite per breve tempo di esposizione (TLV-STEL) concentrazione alla quale i lavoratori possono essere esposti continuativamente per breve periodo di tempo, purché il TLV-TWA giornaliero non venga superato, senza che insorgano irritazione, danno cronico o irreversibile del tessuto, riduzione dello stato di vigilanza di grado sufficiente ad accrescere le probabilità di infortuni od influire sulle capacità di mettersi in salvo o ridurre materialmente l’efficienza lavorativa. Il TLV-STEL non costituisce un limite di esposizione separato indipendente, ma piuttosto integra il TLV-TWA di una sostanza la cui azione tossica sia principalmente di natura cronica, qualora esistano effetti acuti riconosciuti. Gli STEL vengono raccomandati quando l’esposizione umana od animale ad alta concentrazione per breve durata ha messo in evidenza effetti tossici. Uno STEL viene definito come esposizione media ponderata su un periodo di 15 minuti, che non deve essere mai superata nella giornata lavorativa, anche se la media ponderata su 8 ore è inferiore al TLV. Esposizioni al valore STEL non devono protrarsi oltre i 15 minuti e non devono ripetersi per più di 4 volte al giorno. Fra esposizioni successive al valore STEL debbono intercorrere almeno 60 minuti. Un periodo di mediazione diverso dai 15 minuti può essere consigliabile se ciò è giustificato da effetti biologici osservati.

- Valore limite di soglia - Ceiling (TLV- C) concentrazione che non deve essere superata durante l’attività lavorativa nemmeno per un brevissimo periodo di tempo. Per alcune sostanze, quali i gas irritanti, riveste importanza la sola categoria del TLV-C; per altre sostanze, in funzione della loro azione fisiologica, possono essere importanti due o tre categorie di TLV.

E’ sufficiente che uno qualsiasi dei tre TLV venga superato per presumere che esista un potenziale rischio di esposizione per la sostanza in questione.

Esempio/Confronto

D.Lgs. 81/2008 ALLEGATO XLIII (Valori limite di esposizione professionale)

AGENTE VALORE LIMITE OSSERVAZIONI
mg/m3 ppm
Benzene 3,25 (5) 1 (5) Pelle (6)
EINECS 200-753-7 CAS 71-43-2
Cloruro di vinile monomero 7,77 (5) 3 (5) EINECS 200-831 CAS 75-01-4
Polveri di legno duro 5,00 (5,7) --- ---


(1) EINECS: Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti (European Inventory of Existing Chemical Susbstances).
(2) CAS: Numero Chemical Abstract Service.
(3) mg/m3 = milligrammi per metro cubo d'aria a 20° e 101,3 Kpa (corrispondenti a 760 mm di mercurio).
(4) ppm = parti per milione nell'aria (in volume: mL/m3 )
(5) Valori misurati o calcolati in relazione ad un periodo di riferimento di otto ore.
(6) Sostanziale contributo al carico corporeo totale attraverso la possibile esposizione cutanea.
(7) Frazione inalabile; se le polveri di legno duro sono mescolate con altre polveri di legno, il valore limite si applica a tutte le polveri di legno presenti nella miscela in questione.

(*)A tale proposito occorre ricordare che non c'è un accordo fra i ricercatori sulla esistenza di una dose soglia per gli agenti cancerogeni ed ancor più sulla possibilità della sua univoca determinazione; di conseguenza, per molti non è ammissibile stabilire un valore limite di esposizione, cioè definire un livello di rischio "accettabile", in quanto la patologia eventualmente insorta, pur se improbabile, è sempre della stessa gravità, non dipendente dall'intensità e durata dell'esposizione.

Comunque, il concetto di valore limite era già presente ed utilizzato, attraverso i TLV dell'ACGIH, perlomeno per una parte delle sostanze note come cancerogene, per cui il corretto utilizzo dello stesso attraverso un processo di prevenzione che risponda ai criteri prima descritti potrebbe anche essere considerato utile. La seconda considerazione coinvolge invece il merito dei valori limite proposti: in particolare, per il benzene il valore indicato, ponderato su 8 ore lavorative, appare francamente troppo elevato (9,75 mg/m3 sino al 31.12.2001, poi di 3,25 mg/m3) non soltanto perché molto superiore al corrispondente TLV dell'ACGIH (1,6 mg/m3 ), ma soprattutto in quanto non giustificabile in base a considerazioni tecniche.

Nell'industria chimica infatti esso è generalmente sostituibile senza particolari problemi, ed in ogni caso le misure di contenimento disponibili possono agevolmente ridurre l'esposizione a livelli molto inferiori (sino ai livelli dell'ambiente esterno) e per tempi limitati.

Un discorso analogo può esser fatto riguardo all'esposizione a polveri di legno duro, i corrispondenti TLV ACGIH, in attuale fase di revisione, appaiono comunque già più cautelativi.

Le misure suddette sono state sostanzialmente confermate nel Capo II, Titolo IX del D.Lgs 81/08.

(*)Alessandro Bacaloni
Sapienza Università degli Studi di Roma - Dipartimento di Chimica

2017 TLVs and BEIs

http://www.acgih.org/forms/store/ProductFormPublic/2017-tlvs-and-beis

Certifico Srl - IT Rev. 00 2017

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 18323 | 03 Maggio 2019

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Sentenze cassazione penale

Omessa valutazione del rischio connesso allo svolgimento di attività lavorative con impegno di prodotti infiammabili

Penale Sent. Sez. 4 Num. 18323 Anno 2019

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 11/01/2019

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 10/04/2018, la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia del Tribunale di Livorno che - dichiarato E.M. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1, cod. pen. - riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava, limitatamente al profilo di colpa di cui all'art. 29 D.lgs.n.81/2008, alla pena di giorni 30 di reclusione, sostituita la pena detentiva con la multa pari ad euro 7.500.
2. In particolare, il E.M., in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della COREMAS s.r.l., nonché in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e rappresentante del servizio di sicurezza e protezione della SOGESE s.r.l. e, quindi, di datore di lavoro per entrambe le ditte, non avendo effettuato una valutazione del rischio connesso allo svolgimento di attività lavorative con impegno di prodotti infiammabili, causava a G.F. - operaio dipendente della SOGESE e temporaneamente distaccato presso la COREMAS - lesioni consistite in ustioni in varie parti del corpo con prognosi superiore a 40 giorni. Questi, intento ad effettuare un taglio con impegno di fiamma ossidrica, omettendo di accertarsi che nelle vicinanze non vi fosse materiale a rischio di accensione, determinava - verosimilmente per una favilla scaturita dall'attrezzatura utilizzata - l'innesco di fiamme che si propagavano da un fusto in cui vi erano residui di un diluente altamente infiammabile che si trovava a circa 3 metri di distanza. In Collesalvetti, loc. Stagno, il giorno 01/02/2013.
3. Avverso la sentenza di appello, l'imputato, a mezzo del difensore, interpone ricorso per cassazione, articolando due motivi.
3.1. Con il primo, deduce inosservanza o erronea applicazione di legge. Richiama il comma 5 dell'art. 29 D.lgs.n.81/2008 - unica violazione residuata rispetto all'originario capo di imputazione - laddove statuisce che, fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui al comma 6, lett. f), gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi. Con nota in data 31/01/2013, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali chiariva poi che il termine ultimo per l'utilizzo da parte delle imprese sino a dieci lavoratori dell'autocertificazione era il 31 maggio. Infatti, essendo il decreto interministeriale, richiamato dal citato art. 29, entrato in vigore il 06/02/2013, da quel momento solo sarebbero decorsi i tre mesi indicati dalla norma per permettere ai datori di lavoro di effettuare la valutazione del rischio. Poiché l'infortunio è occorso in data 01/02/2013, appare chiaro che, all'epoca dei fatti, non vi fosse per l'imputato alcun obbligo di redazione del documento di valutazione dei rischi. Il profilo di colpa specifica viene dunque meno. La Corte evidenzia che la COREMAS aveva effettuato l'autocertificazione ammessa ex lege per poi dire che nel DVR la valutazione del rischio è stata completamente omessa. Peraltro, il documento che la Corte analizza non è un DVR ex art. 29 D.lgs.n.81/2008 ma una valutazione sul rischio chimico, in conformità ad altra normativa (d. lgs. 626/1994), anteriore alla pubblicazione del TU, che prevedeva che il datore di lavoro dovesse valutare il rischio chimico non come rischio di infortunio ma come analisi di agenti patogeni chimici per possibili malattie professionali.
3.2. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione. La condotta del dipendente è stata abnorme perché egli ha preso un bidone dalla stanza dedicata alle sostanze infiammabili e lo ha utilizzato per sgabello durante le operazioni di saldatura. Il datore di lavoro aveva creato un'apposita stanza per effettuare le operazioni di diluizione e travaso delle sostanze chimiche infiammabili e aveva previsto il loro stoccaggio esclusivamente in tale luogo. Non si comprende quindi come l'omissione della valutazione del rischio esplosione avrebbe potuto in qualche modo incidere sul comportamento tenuto dal dipendente

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va respinto.
2. La dinamica dell'evento risulta essere stata puntualmente ricostruita sulla base delle acquisizioni istruttorie che hanno individuato le cause dell'infortunio nel fatto che l'operaio stava operando nelle strette vicinanze di un bidone vuoto che conteneva vapori di sostanza facilmente infiammabile.
3. Su entrambe le doglianze proposte dalla difesa dell'imputato, la Corte di appello ha fornito adeguata e congrua motivazione. In particolare, quanto al primo motivo, già illustrato con l'atto di appello, ha sottolineato che il ragionamento difensivo prescinde totalmente dalla circostanza, pacificamente provata, alla stregua delle risultanze istruttorie, della presenza, sul luogo di lavoro ove operavano i dipendenti della società COREMAS, di fusti o bidoni contenenti residui di sostanze altamente infiammabili. Ricorda al riguardo, oltre alla testimonianza dell'infortunato G.F., quelle dei suoi colleghi, G. e D., e del responsabile della sicurezza, Q.. Costituiva fatto notorio che i bidoni, già contenenti diluenti per vernici, si trovassero sul piazzale di lavoro e non confinati nell'apposito locale predisposto ad hoc dal datore di lavoro, contravvenendo la regola precauzionale, raccomandata peraltro anche dal fabbricante del diluente, di evitare qualsiasi sorgente di calore nelle vicinanze di esso.
Correttamente il Giudice di appello evidenzia lo specifico obbligo in capo al datore di lavoro, l'odierno imputato, di valutazione del rischio di esplosione, il quale, contrariamente a quanto emerge dall'autocertificazione dallo stesso presentata ai sensi dell'art. 29, comma 5,D.lgs.n.81/2008, risulta del tutto omesso nel DVR adottato dall'anzidetta società. In tale documento, ricorda la Corte di merito, i prodotti chimici utilizzati, tra cui il diluente Nitro, risultano valutati quale fattore di rischio per le malattie professionali e non certo come possibile causa di innesco di incendio a seguito dell'esposizione a fonti di calore ovvero ai residui prodotti da interventi effettuati con cannello a fiamma ossiacetilenica. Il DVR utilizzato non era dunque adeguato perché non valutava affatto l'anzidetto rischio, manifestando in conseguenza una evidente carenza sotto il profilo delle misure preventive da adottare.
4. Con riguardo al secondo motivo, il Collegio rileva che la Corte territoriale, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, se da un lato ha escluso la concreta previsione del rischio e conseguentemente la sua corretta gestione, per altro verso ha escluso ogni condotta incongrua del lavoratore: quest'ultima infatti - come più volte affermato da questa Corte Suprema (ex multis, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Serafica e altro, Rv. 267253) - può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento solo quando si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, mentre nel caso di specie l'evento e la condotta omissiva che vi ha dato causa sono riconducibili proprio all'area di rischio tipica della prestazione lavorativa. Invero, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227).
Il datore di lavoro ha dunque l'obbligo giuridico di analizzare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre ad aggiornamenti periodici il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.lgs.n.81/2008, all'interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l'essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943). E ciò perché in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo deve essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si è concretamente verificato [Sez.4, n. 8622 del 04/12/2009 (dep. 03/03/2010), Giovannini, Rv. 246498].
E, sotto questo profilo, appare indubbio che, ove le condizioni lavorative fossero state conformate alle esigenze di sicurezza, l'evento di cui trattasi non si sarebbe verificato.
5. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 11 gennaio 2019

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