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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 20828 | 15 Maggio 2019

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 15 maggio 2019 n. 20828

Infortunio durante le operazioni di carico del calcestruzzo. Ruolo di un datore di lavoro, di un capo cantiere, di un CSE e di un gruista

Penale Sent. Sez. 4 Num. 20828 Anno 2019
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 03/04/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Brescia, in data 8 luglio 2016, ha parzialmente riformato in punto di trattamento sanzionatorio, rideterminandolo in mitius, la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo, il 5 maggio 2014, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia L.G.B., A.M., F.D. e F.P. per il delitto di omicidio colposo in cooperazione colposa (artt. 113 e 589 cod.pen.), con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in Casazza (BG) il 12 novembre 2011 in danno di E.M.. Con la stessa pronunzia la Corte di merito ha concesso i doppi benefici di legge al A.M., al F.D. e al F.P. e ha, nel resto, confermato la sentenza di primo grado; limitatamente al L.G.B. é stata altresì confermata la penale responsabilità in ordine alle contravvenzioni previste dall'art. 70 comma 1 e dall'art. 87, comma 2, lettere A ed E del d.lgs. 81/2008.
2. Brevemente riassumendo l'episodio per cui é processo, per come descritto nell'imputazione, il E.M. era intento a preparare del calcestruzzo nell'ambito di lavori edili appaltati alla Costruzioni L.G.B. S.p.A. (per la realizzazione di una casa di riposo); indi procedeva a versare l'impasto cementizio in un cassone e quindi agganciava le catene della gru che avrebbe dovuto sollevare il cassone stesso; in tale occasione non si avvedeva che il gancio presentava un gioco che ne rendeva insicuro il funzionamento, di tal che esso si collocava in modo improprio con l'anello di ancoraggio della benna che si incuneava tra l'estremità del gancio e la linguetta di sicurezza. Quindi dava il via per il sollevamento al gruista A.M., il quale aveva in precedenza posizionato sul gancio della gru le due brache a doppio tirante e portato le catene nei pressi del cassone da caricare; ma, essendosi posizionato a un livello superiore rispetto all'area di preparazione del calcestruzzo, non aveva una visuale idonea e iniziava il sollevamento del cassone senza sincerarsi che il E.M. si fosse spostato. Il carico, giunto a un'altezza di circa 2 - 2,5 metri, sia a causa del posizionamento del gancio in posizione non coincidente con la verticale del cassone, sia a causa del precario collegamento fra gancio e benna, si sganciava improvvisamente dalla gru e cadendo andava a colpire il E.M. che ancora si trovava in prossimità del punto iniziale di sollevamento della benna.
2.1. Al L.G.B., in qualità di legale rappresentante della società appaltatrice e datore di lavoro del E.M. (che da essa dipendeva) é addebitato di avere agito in violazione dell'art. 71, d.lgs. 81/2008, degli artt. 172, 181 e 182 d.P.R. n. 547/1955 e del punto 3.2.3. dell'allegato VI al citato d.lgs. 81/2008 e, in specie, di avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature inidonee sotto il profilo della sicurezza, atteso che due dei quattro ganci autobloccanti posti all'estremità delle brache a doppio tirante utilizzate per il sollevamento del cassone presentavano dei "giochi" all'apertura, e di avere altresì omesso di adottare le misure necessarie, ossia di disporre o eseguire un'ispezione visiva mensile per controllare i ganci e per verificare il sistema di blocco, nonché di adottare misure organizzative adeguate, come la nomina di un capo manovra per siffatte operazioni di sollevamento dei carichi.
2.2. Al F.P., quale coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, é invece rimproverato di avere violato l'art. 92 del d.lgs. 81/2008, avendo omesso di verificare, mediante opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'attuazione del piano di sicurezza e coordinamento ed in specie la verifica dei dispositivi di sicurezza dei ganci per impedire l'accidentale sganciamento del carico; nonché di non essersi assicurato che venisse data attuazione alle previsioni del punto 3.2.3. dell'allegato VI al citato d.lgs. e dell'art. 182 del d.P.R. 547/1955, in relazione alle misure da adottare per garantire all'operatore durante il sollevamento dei carichi la perfetta visibilità della zona di azione del mezzo.
2.3. Al F.D., quale capocantiere e preposto, si rimprovera di non avere verificato, in violazione dell'art. 19 del d.lgs. 81/2008, l'efficienza dei dispositivi di sicurezza sui ganci e permetteva che si operasse da un posto di manovra che non consentiva di osservare direttamente l'intera traiettoria del carico.
2.4. Al A.M., gruista, si rimprovera infine di avere violato il disposto dell'art. 20 del ridetto d.lgs. 81/2008, non essendosi curato dell'efficienza dei dispositivi di sicurezza dei ganci ed avendo operato da un posto di manovra che non gli consentiva di osservare direttamente l'intera traiettoria del carico e la posizione del collega che lo aveva agganciato.
3. Secondo il percorso argomentativo posto a base della conferma della penale responsabilità degli imputati da parte della Corte di merito, l'utilizzo e la tipologia degli strumenti lavorativi risultati non sicuri e le condotte contestate agli imputati hanno formato oggetto di scrutinio e hanno trovato riscontro in base alle acquisizioni probatorie in primo grado e, in specie, attraverso deposizioni testimoniali di lavoratori presenti in cantiere, nonché di carabinieri e personale ASL intervenuti sul posto, e sulla base dei contributi di consulenti e periti e dello stesso esame degli imputati. E' stato fra l'altro escluso che nella specie si usasse un aggancio "a strozzo", utilizzato quando c'é una sola catena senza ulteriori ganci. Sono stati poi sottoposti a verifica il problema della carenza di coordinamento nello svolgimento dei vari lavori nel cantiere e quello dell'esecuzione dell'operazione di spostamento del carico in carenza di visibilità da parte del gruista e senza la presenza di un capo manovra, come previsto dal punto 3.2.3. dell'allegato 6 al d.lgs. 81/2008. E' stata respinta inoltre la contestazione difensiva in punto di violazione dell'art. 521 cod.proc.pen. (che era stata formulata in relazione al fatto che il giudice di prime cure, discostandosi dall'imputazione, avrebbe ricollegato l'infortunio alla mancanza di una tettoia), perché secondo la Corte distrettuale doveva in realtà escludersi che vi fosse una violazione tale da avere pregiudicato l'esercizio del diritto di difesa. All'esito, hanno trovato conferma le contestazioni mosse ai sopraindicati imputati, nelle rispettive qualità, restando esclusa secondo la Corte di merito l'ipotizzata anomalia del comportamento del E.M. quale fatto interruttivo del nesso causale fra la condotta addebitata agli imputati e l'evento mortale.
4. Avverso la prefata sentenza ricorre il F.P., con atto firmato dai suoi difensori di fiducia; e ricorrono altresì il L.G.B., il A.M. e il F.D., con unico atto firmato dal loro difensore di fiducia, nonché con successiva memoria contenente motivi nuovi.
5. Iniziando dal ricorso del F.P., esso é affidato a due motivi di lagnanza.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione lamentando che la Corte di merito, pur dando atto della discrasia tra l'oggetto dell'imputazione e la ricostruzione causale dell'evento accolta dal primo giudice (e quindi della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza), ha ugualmente affermato la responsabilità del F.P. sulla base dell'inidoneità del gancio usato dal E.M. e, quindi, sulla base deM'omissione dei compiti di controllo assegnati ai F.P. nella sua qualità di C.S.E. dalla quale sarebbe dipesa la rottura del dispositivo di chiusura del gancio.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione all'addebito di tipo omissivo formulato a carico del F.P., laddove il gancio incriminato, lungi dal potersi considerare componente strutturale dei mezzi di lavoro a disposizione del cantiere, era in realtà un mero accessorio, su cui il ricorrente non aveva onere di controllo, essendogli assegnate funzioni di alta vigilanza in ordine alle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale e non potendo confondersi la sua posizione con quella del datore di lavoro. La gru formava oggetto di verifiche periodiche a cura del C.S.E., che erano previste solo per la sezione delle parti fisse sino al dispositivo finale di aggancio, ove non vi sono stati problemi di sorta. Ugualmente erronea la motivazione della sentenza impugnata laddove si conferma l'addebito, mosso al F.P., di non avere formato-informato i lavoratori presenti nel cantiere e di non avere agito a tutela della sicurezza dei medesimi: compiti, questi, eccentrici rispetto a quelli assegnati al coordinatore per la sicurezza, a fronte del fatto che il dispositivo in base al quale veniva eseguita la movimentazione del carico era il radiocomando a disposizione del A.M., sul quale non può essere mosso alcun addebito organizzativo al F.P..
6. Il ricorso del L.G.B., del A.M. e del F.D. consta invece di tre motivi, ai quali si sono aggiunti cinque motivi nuovi.
6.1. Con il primo motivo, riguardante la posizione del L.G.B., si denuncia vizio di motivazione in relazione al fatto che la pena del medesimo é stata determinata senza che agli atti risultasse il nuovo provvedimento del Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Bergamo, con il quale venivano revocati alcuni decreti penali di condanna precedentemente emessi a carico dell'imputato (per fattispecie ex arti. 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000); peraltro la determinazione della pena sia per il L.G.B., sia per gli altri imputati, é stata adottata in assenza di qualsiasi motivazione.
6.2. Con il secondo motivo si denuncia in primo luogo vizio di motivazione in relazione all'applicazione dell'art. 71 del d.lgs. 81/2008 nei confronti del L.G.B.: non era possibile infatti realizzare una tettoia in un cantiere mobile (come era stato invece ritenuto dal primo giudice, peraltro al di fuori del perimetro imputativo) e del resto la sua realizzazione non avrebbe impedito l'evento; né può affermarsi che i ganci fossero inidonei, atteso che i dipendenti sentiti come testi (es. i testi D., I. e P.) hanno riferito che i ganci a loro disposizione erano perfettamente nuovi: la causa dello sganciamento andava riferita alle modalità di aggancio del cassone. E, quand'anche il gancio in questione avesse avuto dei problemi, erano disponibili altri ganci in perfetta efficienza, che quindi potevano formare oggetto di sostituzione a cura dei dipendenti; neppure sussiste la violazione dell'art. 70, comma 4, d.lgs. 81/2008, essendo risultato che le apparecchiature di sollevamento venivano regolarmente controllate da una ditta esterna appaltatrice. Quanto invece alla posizione del F.D. si denuncia vizio di motivazione in ordine all'addebito a lui mosso ex art. 19, d.lgs. 81/2008: non vi é infatti prova che i ganci non venissero controllati prima delle operazioni di sollevamento, anzi vi é prova del contrario, sulla base delle deposizioni testimoniali sul punto; inoltre la traiettoria del carico é risultata essere del tutto regolare e pienamente visibile dal gruista A.M.: fu invece anomalo il comportamento del E.M., che non si spostò dalla zona di carico durante il sollevamento. Infine, quanto alla posizione del A.M., si denuncia vizio di motivazione in ordine alla violazione a lui attribuita ex art. 20 del d.lgs. 81/2008, non essendo dimostrato che fosse lui a dover controllare i ganci al momento del sollevamento, né che i ganci non fossero stati controllati.
6.3. Con il terzo motivo si denuncia mancata assunzione di una prova decisiva con riferimento all'omessa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sollecitata dalla difesa: gli accertamenti peritali erano infatti stati eseguiti con un dato mancante, rappresentato dall'assenza del cassone, dissequestrato e portato in discarica, e sono stati eseguiti in una condizione di oggettiva differenza rispetto alla situazione oggetto di verifica, per cui non era possibile ricostruire l'accaduto in termini pertinenti e affermare che vi fosse una relazione fra lo stato della "linguetta" di sicurezza e il sinistro.
6.4. Con il primo dei cinque motivi nuovi, ad integrazione del terzo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione delle dinamiche dell'evento, con travisamento di prova decisiva: l'espletamento degli accertamenti peritali che indusse la difesa a richiedere un supplemento di perizia in ordine alle cause dello sganciamento é rimasto inevaso; vengono poi richiamate le considerazioni svolte dal consulente tecnico della difesa ing. F. a sostegno dell'esclusione del nesso di causalità fra l'allargamento della levetta del gancio e lo sganciamento del cassone, a fronte delle quali la Corte di merito ha scelto una diversa ricostruzione dei fatti senza prendere in esame alcuna ipotesi alternativa.
6.5. Con il secondo motivo nuovo si denuncia violazione di legge in punto di ricostruzione del nesso causale, risultata diversa tra la sentenza di primo grado (allorché si ritennero decisivi la mancata realizzazione di una tettoia e la tenuta della catena) e quella d'appello, in cui i suddetti aspetti sono stati completamente pretermessi e si é indicata la causa dell'accaduto nel malfunzionamento del sistema di sicurezza del gancio, salvo poi chiamare in causa la mancata utilizzazione di brache efficienti. In pratica la Corte non si confronta con il percorso motivazionale offerto dalla sentenza di primo grado, così integrando un vizio logico della sentenza.
6.6. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge per assenza di un nesso eziologico tra le condotte colpose e l'evento verificatosi, nonché vizio di motivazione, non avendo in alcun modo la Corte di merito valutato che la condotta colposa contestata agli esponenti della Società non risulta eziologicamente efficiente rispetto alla verificazione dell'evento, né risulta operato alcun ragionamento controfattuale in riferimento al caso che le norme cautelari fossero state rispettate.
6.7. Con il quarto motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'insussistenza delle contravvenzioni di cui al capo 2, già evidenziata nel secondo motivo del ricorso principale, eccependone altresì 
l'intervenuta prescrizione, peraltro rilevabile d'ufficio ex art. 609, comma 2, cod.proc.pen..
6.8. Con il quinto motivo di ricorso, che riprende e amplia il primo motivo, si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego della sospensione condizionale della pena in favore del L.G.B., a fronte della revoca in executivis di alcuni decreti penali di condanna precedentemente emessi a carico del medesimo.

Considerato in diritto

1. Iniziando dal ricorso del F.P., il primo motivo é infondato.
L'apparente - almeno parziale - scostamento del primo giudice dall'imputazione formulata a carico del F.P. e degli altri coimputati (laddove tra le cause del sinistro viene indicata anche l'omessa realizzazione di una tettoia nel luogo ove avvenivano le operazioni di carico del calcestruzzo) deve ritenersi del tutto riassorbito nel percorso motivazionale seguito dalla Corte di merito, che nell'enunciare le cause del sinistro non tiene di fatto conto di tale presunta manchevolezza e si attiene in modo esclusivo all'addebito riferito alle condizioni dei dispositivi di sicurezza presenti sui ganci cui il carico era appeso, nei termini indicati dall'editto imputativo. Pertanto, nella sentenza impugnata non é dato rilevare alcuna divaricazione fra accusa e condanna, atteso che gli addebiti oggetto della prima risultano pienamente recepiti nel percorso argomentativo a sostegno della seconda.
Inoltre la Corte distrettuale, nel replicare alle lagnanze articolate dagli appellanti ex art. 521 cod.proc.pen., ha convenientemente risposto osservando che l'articolata istruzione dibattimentale ha ampiamente consentito agli imputati di apprestare compiutamente le loro difese; e che nelle allegazioni del ricorrente non vi sono elementi deponenti in senso contrario. In proposito va richiamato l'indirizzo della giurisprudenza anche apicale di legittimità, in base al quale, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'Imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione é del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 248051); tale principio vale non solo per il profilo della diversa qualificazione giuridica del fatto, ma anche allorquando le condotte oggetto di declaratoria di responsabilità siano diverse da quella indicata in imputazione, purché quest'ultima contenga la descrizione, anche sommaria, del comportamento addebitato in sentenza; ed inoltre, come recentemente ribadito dalla Corte regolatrice con specifico riferimento ai procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell 'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (per tutte vds. Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265, nonché, in senso conforme, Sez. 4 , n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500).
2. Quanto al secondo motivo di lagnanza del F.P., esso deve invece ritenersi fondato.
Al F.P. si rimprovera in sostanza di non avere curato che sui dispositivi di aggancio dei carichi alle gru venissero eseguite le verifiche periodiche previste, affidate a una ditta esterna e delle quali non vi é documentazione (la sentenza impugnata dà anzi conto di fonti di prova orale che riferiscono di come i controlli sui ganci fossero carenti e inidonei). Ma in tal modo non viene preso in considerazione dalla Corte di merito il contenuto specifico della posizione di garanzia assegnata dall'ordinamento al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione: contenuto affatto diverso da quello che caratterizza la posizione di garanzia datoriale.
Ed invero va ribadito, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dalla normativa specifica, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che é demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto) (Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e altro, Rv. 247536; in termini analoghi Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Portera e altri, Rv. 265661).
Ciò posto, deve pure rammentarsi che in casi precedenti del tutto analoghi la Corte regolatrice ha escluso che le operazioni di controllo dell'efficienza e della sicurezza dei ganci da gru potessero rientrare nell'ambito delle citate funzioni di alta vigilanza e che, quindi, potesse assegnarsi al C.S.E. la posizione di garanzia integrante l'obbligo giuridico di attivarsi nel caso di malfunzionamenti di tali dispositivi. Invero, un caso analogo era stato affrontato in Sez. 4, Sentenza n. 31015 del 27/04/2015, Calgione e altri. Nella specie al C.S.E. era mosso l'addebito di avere omesso di controllare l'efficienza del gancio di una gru, in relazione a un episodio in cui lo sganciamento del carico aveva fatto si che il carico medesimo aveva travolto e ucciso un operaio. La Corte di legittimità ebbe ad osservare, al riguardo, che si fosse «trattato di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto», e che, quindi, l'evento non fosse «riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione: in tale ambito al coordinatore é affidato il formalizzato, generale dovere di alta vigilanza di cui si é ripetutamente detto». E, anche con riferimento al malfunzionamento del gancio, sarebbe stato necessario pervenire all'«accertamento della consapevolezza di tale circostanza» da parte del C.S.E, «unica ipotesi che gli avrebbe imposto, nella sua qualità, di sospendere i lavori.».
Ora, nel caso di specie, si versa in una situazione che per molti versi si presenta analoga, a fronte della quale non é corretto riportarsi tautologicamente all'imputazione, come ha fatto la Corte territoriale, senza effettuare una doverosa verifica della riconducibilità delle omissioni addebitate al F.P. alla specifica posizione di garanzia del coordinatore per la sicurezza in fase d'esecuzione: posizione di garanzia che - lo si ripete -, oltre a non essere in alcun modo sovrapponibile a quella datoriale, consiste essenzialmente nell'alta vigilanza finalizzata a prevenire il rischio interferenziale: un rischio, all'evidenza, del tutto estraneo alla vicenda che ne occupa, sia in relazione all'oggetto dei controlli asseritamente omessi, sia in riferimento al fatto che nel cantiere era impegnata una singola ditta appaltatrice.
Sul punto quindi la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, atteso che non può in alcun modo ascriversi al ricorrente F.P. una responsabilità riferita a una condotta omissiva non riconducibile a! rischio che egli era chiamato a governare; la formula terminativa corretta è, nella specie, "per non aver commesso il fatto".
3. Venendo ora ai ricorsi degli imputati L.G.B., A.M. e F.D., il primo motivo ivi articolato - relativo esclusivamente alla biografia penale del L.G.B. - é manifestamente infondato; e ciò vale anche per il quinto motivo nuovo di ricorso, che ad esso si richiama. 
Si argomenta nei motivi in esame che nei confronti del L.G.B. la pena era stata applicata senza che in atti risultasse il nuovo provvedimento del G.E. del Tribunale di Bergamo con il quale sono stati revocati alcuni decreti penali relativi ad altrettante violazioni tributarie.
Ora, avuto riguardo a quanto dedotto nel quinto motivo nuovo di ricorso, risulta in primo luogo evidente che il suddetto provvedimento non poteva essere conosciuto dalla Corte di merito, né poteva essere prodotto e acquisito agli atti alla data della sentenza impugnata, per l'ottima ragione che quest'ultima é stata pronunziata all'udienza dell'8 luglio 2016 e che il provvedimento del G.E. é datato 22 luglio 2016.
Tanto premesso, va rammentato che non può sollecitarsi una rivalutazione di tale emergenza in sede di legittimità (ciò che forma oggetto del motivo in esame, atteso che vi si prospetta la formalizzazione - non conoscibile dalla Corte di merito - dell'abolitio criminis relativa ad alcune violazioni tributarie ascritte al L.G.B.), atteso che la presenza di precedenti condanne per reati poi depenalizzati può legittimamente essere valutata dal giudice come elemento ostativo alla presunzione che il colpevole si asterrà, per il futuro, da commettere ulteriori reati (cfr. per tutte Sez. 5, Sentenza n. 34682 del 11/02/2005 Ud. (dep. 28/09/2005 ) Rv. 232312); e che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.pen., sicché é inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena (v. Cass., Sez. 3, n. 1182/2008 del 17/10/2007, Cilia).
Ma soprattutto, nel motivare le proprie statuizioni in punto di pena nei riguardi del L.G.B., come del resto anche nei riguardi dei coimputati, la Corte non si é basata in alcun passaggio sulla biografia penale di alcuno di costoro (con conseguente irrilevanza dell'argomento posto a base dei motivi di lagnanza in esame) ed ha del resto fornito adeguata motivazione delle proprie statuizioni, chiarendo che il trattamento sanzionatorio doveva rimanere per tutti superiore al minimo edittale in relazione alla reiterazione della condotta omissiva e del rischio conseguente; ed ulteriormente argomentando le più gravose statuizioni sanzionatorie relative al L.G.B. in relazione alla sua qualifica datoriale, nonché all'elevato rischio presente in cantiere in conseguenza della condotta omissiva e dei plurimi profili di colpa specifica. Tale pur sintetico percorso argomentativo soddisfa i requisiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, specie ove si consideri che la pena applicata a tutti gli imputati, pur non coincidente con il minimo edittale, é ben al disotto del valore medio; ed é noto che, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non é necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo é desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese e altro, Rv. 267949).
4. Quanto al secondo motivo, nella parte in cui esso si riferisce alle violazioni addebitate al L.G.B. nella sua posizione datoriale, esso é infondato (lo stesso é a dirsi, in parte qua, in ordine al quarto motivo nuovo).
Rilevato che non ha assunto alcun rilievo nella condanna emessa a suo carico la questione - pur sollevata dal ricorrente - della mancata realizzazione della tettoia (non formante oggetto di imputazione), riguardo alla quale si rinvia alle considerazioni svolte a proposito del primo motivo del ricorso F.P., per il resto non vale a conferire fondamento alla doglianza il riferimento di alcuni testi, dipendenti dalla società, al fatto che sarebbero stati disponibili in ditta ganci perfettamente funzionanti; né a tal fine soccorre la considerazione che i lavoratori, in presenza di ganci difettosi, avrebbero avuto tutte le possibilità di sostituirli.
A conclamare la responsabilità del L.G.B. come datore di lavoro non vi é, infatti, solo il dato di fatto costituito dall'utilizzo, in particolare nell'operazione di carico tragicamente conclusasi, di ganci i cui sistemi di sicurezza erano inidonei e comunque mal funzionanti (ciò che comunque integra la violazione, da parte del L.G.B., dell'obbligo stabilito dall'art. 71 d.lgs. 81/2008, in base al quale il datore di lavoro «mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all' articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate ai lavoro da svolgere o adattate a tali scopi», avendo cura che tali attrezzature formino «oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nei tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all' articolo 70» dello stesso decreto legislativo).
Vi é, anche - e soprattutto -, la carenza a lui imputabile delle verifiche sull'effettività dei controlli sui ganci, demandati a una ditta esterna. Al riguardo é risultato radicalmente disatteso l'assunto del ricorrente in base al quale sarebbe stato dimostrato che venissero eseguite con regolarità le verifiche periodiche dei ganci ad opera di una ditta esterna: al contrario, risulta che non vi sia alcuna traccia di dette verifiche periodiche (a pag. 23 della sentenza si paria di «certa ed incontestabile assenza sui ganci di targhette identificative o simili apprestamenti» e di «mancanza di documentazione relativa all'obbligatoria specifica verifica trimestrale sui medesimi») e ciò, sicuramente, rappresenta un profilo omissivo della condotta imputabile al datore di lavoro, costituendo un rischio strutturale che incombeva al L.G.B. governare quale garante della sicurezza e della salute dei suoi dipendenti.
Sul piano del nesso causale, infine, l'assunto - sostenuto dal ricorrente - secondo il quale l'incidente si sarebbe verificato perché nel caso specifico l'aggancio del carico sarebbe stato effettuato in modo difettoso, la motivazione resa sul punto dalla Corte di merito - adesiva alle conclusioni del perito ing. Calvi ed ampiamente argomentata - é nel senso di ritenere che la causa della caduta del carico va attribuita all'uso di una braca di catene a due braccia munita di ganci aventi i sistemi di sicurezza insufficienti, con conseguente completa rottura del dispositivo di chiusura del gancio utilizzato (pag. 25 sentenza impugnata). In proposito ci si limita a osservare che la lagnanza in esame si risolve nella sollecitazione di una rivalutazione del materiale probatorio, volta ad ottenere una diversa lettura delle risultanze peritali in ordine ai risultati dell'istruttoria, in vista di una ricostruzione alternativa della serie causale: ciò che all'evidenza costituirebbe un'indebita ed inammissibile estensione del sindacato di legittimità a questioni di fatto di esclusiva pertinenza del giudice di merito.
5. Restando nel secondo motivo di ricorso, a proposito della posizione del F.D., esso é parimenti infondato.
La circostanza, sostenuta dal ricorrente, secondo cui i ganci sarebbero stati controllati prima delle operazioni di sollevamento (secondo alcune deposizioni testimoniali) ed in ogni caso non vi é prova del contrario, é smentita dalle già ricordate, difformi risultanze probatorie, valorizzate dalla Corte di merito, in base alle quali risulta che sia risultata sprovvista di riscontro l'asserzione secondo la quale venivano regolarmente eseguiti i controlli periodici sui ganci; del resto, secondo la sentenza impugnata, l'assenza di un adeguato controllo dei ganci é confermata non solo dall'oggettivo stato di deterioramento degli stessi, ma anche dalle stesse dichiarazioni del coimputato e gruista A.M., nonché da quanto emerso circa le condizioni in cui venivano lasciate le attrezzature adibite al sollevamento dei carichi, tenute all'aperto e riparate continuamente dagli stessi lavoratori, senza alcuna protezione dagli agenti atmosferici (la Corte distrettuale cita al riguardo le dichiarazioni del luogotenente D. e del tecnico ASL). A fronte di ciò, é noto che il capo cantiere (posizione ricoperta dal F.D.) é destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'Interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche (Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio e altro, Rv. 252149), oltreché di quello, indicato specificamente dall'art. 19 d.lgs. 81/2008, di segnalare tempestivamente al datore di lavoro le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro. Da quanto precede risulta evidente che il F.D. ha effettivamente violato gli obblighi nascenti dalla sua posizione di garanzia.
Si soggiunge che non può in alcun modo qualificarsi come abnorme il comportamento del E.M., per essere egli rimasto in prossimità del punto di sollevamento del carico. Va al riguardo richiamato il principio, affermato dalla sentenza n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247).
Nel caso di specie, l'infortunio é avvenuto mentre il E.M. era intento a eseguire l'operazione di sollevamento del carico (unitamente al A.M. come manovratore della gru) in esecuzione di precise disposizioni impartitegli dal capo cantiere, ossia dal F.D.. Dunque non può parlarsi di eccentricità rispetto alla sfera di rischio governata dai soggetti garanti, fra cui lo stesso F.D..
6. Sempre nell'ambito del secondo motivo di ricorso, le doglianze afferenti la posizione del A.M. (gruista) sono a loro volta infondate. Oltre alla considerazione, evidenziata dalla Corte di merito, in base alla quaie l’obbligo di assicurarsi della stabilità del carico incombe sul manovratore della gru (Sez. 4, n. 41294 del 04/10/2007, Fatibardi, Rv. 237890), incombeva al gruista l'obbligo, imposto in generale ai lavoratori in base alle previsioni "responsabilizzanti" di cui all'art. 20, d.lgs. 81/2008, di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, di contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché di utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro. Orbene, la Corte di merito ha puntualmente osservato che, essendo il A.M. a conoscenza del fatto che, poco prima dell'operazione di sollevamento, vi era in prossimità della gru il E.M., che lo aveva aiutato ad agganciare il carico, egli ben poteva e doveva sincerarsi del fatto che il collega non fosse rimasto in prossimità del carico in corso di sollevamento (circostanza quanto meno non imprevedibile), indipendentemente dal fatto (ed anzi, a ben vedere, proprio per il fatto) che durante tale operazione egli non poteva vedere l'area dalla quale il sollevamento avveniva e dove si trovava in realtà il E.M..
7. E', poi, manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso.
Ed invero, basterà osservare quanto affermato dalle Sezioni Unite in ordine al fatto che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A e altro, Rv. 270936). Poiché nella specie, oltretutto, si sarebbe trattato di disporre una perizia invocata sul rilievo dell'assoluta necessità di procedere alle operazioni peritali avendo a disposizione un cassone del tipo di quello caduto in occasione dell'incidente, deve osservarsi che l'assunto mirato a sostenere tale assoluta necessità é del tutto aspecifico e privo di valenza dimostrativa, a fronte del fatto che il percorso argomentativo della sentenza impugnata, volto a illustrare le ragioni in base alle quali il sinistro avvenne a causa dei ganci mal funzionanti nel loro dispositivo di sicurezza, é correttamente ed ampiamente argomentato, sulla base di valutazioni espresse in particolare dal perito nominato dal G.i.p. durante le indagini e dal consulente del P.M.; con la conseguenza che neppure potrebbe parlarsi, in ogni caso, di necessaria rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, atteso che, come affermato dalla giurisprudenza anche a Sezioni Unite, permane valida la regola in base alla quale la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, é un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 2016, Ricci, Rv. 266820).
8. Quanto ai primi tre motivi nuovi di ricorso, che in sostanza si riagganciano, sia pure in chiave parzialmente diversa, al terzo e in parte al secondo dei motivi di ricorso principale, si tratta di lagnanze manifestamente infondate e comunque insuscettibili di esame in questa sede, trattandosi essenzialmente di una mera sollecitazione di valutazioni alternative rispetto agli esiti probatori, non compatibile con il presente giudizio di legittimità e di stretta pertinenza del giudice di merito, a fronte della quale il percorso argomentativo illustrato nella sentenza impugnata si caratterizza, come del resto emerso anche alla luce dei motivi di ricorso dianzi esaminati, come assistito da adeguata coerenza e congruità ed esente da palesi o macroscopiche lacune in termini di logicità.
9. E' invece fondato il quarto motivo nuovo di ricorso, nell'interesse del L.G.B., laddove vi si eccepisce che i reati contravvenzionali a lui contestati al capo 2 risultano effettivamente estinti per prescrizione: causa estintiva che va comunque nella specie dichiarata a fronte di motivi di ricorso che non risultano tutti manifestamente infondati.
10. Pertanto, a fronte della già argomentata decisione di annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza quanto alla posizione del F.P. per non avere il medesimo commesso il fatto, va annullata senza rinvio la sentenza stessa relativamente ai reati contravvenzionali ascritti al L.G.B., perché estinti per prescrizione; la pena dell'ammenda, applicata a suo carico in relazione a detti reati, può essere eliminata direttamente da questa Corte.
Nel resto il ricorso del L.G.B. va rigettato; del pari vanno rigettati i ricorsi di A.M. e F.D., i quali, essendo risultati interamente soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto a F.P. Ferruccio, per non aver commesso il fatto.
Annulla altresì senza rinvio la medesima sentenza relativamente ai reati contravvenzionali di cui all'art. 87, comma 2, lettere a) ed e), D.Lgs. 81/2008 ascritti a L.G.B. perché estinti per prescrizione ed elimina la pena dell'ammenda applicata al L.G.B. in relazione ai predetti reati. Rigetta nel resto il ricorso del L.G.B..
Rigetta i ricorsi di A.M. e F.D. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.

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