Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 18323 | 03 Maggio 2019
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Omessa valutazione del rischio connesso allo svolgimento di attività lavorative con impegno di prodotti infiammabili
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18323 Anno 2019
Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 11/01/2019
1. Con sentenza del 10/04/2018, la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia del Tribunale di Livorno che - dichiarato E.M. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1, cod. pen. - riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava, limitatamente al profilo di colpa di cui all'art. 29 D.lgs.n.81/2008, alla pena di giorni 30 di reclusione, sostituita la pena detentiva con la multa pari ad euro 7.500.
2. In particolare, il E.M., in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della COREMAS s.r.l., nonché in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e rappresentante del servizio di sicurezza e protezione della SOGESE s.r.l. e, quindi, di datore di lavoro per entrambe le ditte, non avendo effettuato una valutazione del rischio connesso allo svolgimento di attività lavorative con impegno di prodotti infiammabili, causava a G.F. - operaio dipendente della SOGESE e temporaneamente distaccato presso la COREMAS - lesioni consistite in ustioni in varie parti del corpo con prognosi superiore a 40 giorni. Questi, intento ad effettuare un taglio con impegno di fiamma ossidrica, omettendo di accertarsi che nelle vicinanze non vi fosse materiale a rischio di accensione, determinava - verosimilmente per una favilla scaturita dall'attrezzatura utilizzata - l'innesco di fiamme che si propagavano da un fusto in cui vi erano residui di un diluente altamente infiammabile che si trovava a circa 3 metri di distanza. In Collesalvetti, loc. Stagno, il giorno 01/02/2013.
3. Avverso la sentenza di appello, l'imputato, a mezzo del difensore, interpone ricorso per cassazione, articolando due motivi.
3.1. Con il primo, deduce inosservanza o erronea applicazione di legge. Richiama il comma 5 dell'art. 29 D.lgs.n.81/2008 - unica violazione residuata rispetto all'originario capo di imputazione - laddove statuisce che, fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui al comma 6, lett. f), gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi. Con nota in data 31/01/2013, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali chiariva poi che il termine ultimo per l'utilizzo da parte delle imprese sino a dieci lavoratori dell'autocertificazione era il 31 maggio. Infatti, essendo il decreto interministeriale, richiamato dal citato art. 29, entrato in vigore il 06/02/2013, da quel momento solo sarebbero decorsi i tre mesi indicati dalla norma per permettere ai datori di lavoro di effettuare la valutazione del rischio. Poiché l'infortunio è occorso in data 01/02/2013, appare chiaro che, all'epoca dei fatti, non vi fosse per l'imputato alcun obbligo di redazione del documento di valutazione dei rischi. Il profilo di colpa specifica viene dunque meno. La Corte evidenzia che la COREMAS aveva effettuato l'autocertificazione ammessa ex lege per poi dire che nel DVR la valutazione del rischio è stata completamente omessa. Peraltro, il documento che la Corte analizza non è un DVR ex art. 29 D.lgs.n.81/2008 ma una valutazione sul rischio chimico, in conformità ad altra normativa (d. lgs. 626/1994), anteriore alla pubblicazione del TU, che prevedeva che il datore di lavoro dovesse valutare il rischio chimico non come rischio di infortunio ma come analisi di agenti patogeni chimici per possibili malattie professionali.
3.2. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione. La condotta del dipendente è stata abnorme perché egli ha preso un bidone dalla stanza dedicata alle sostanze infiammabili e lo ha utilizzato per sgabello durante le operazioni di saldatura. Il datore di lavoro aveva creato un'apposita stanza per effettuare le operazioni di diluizione e travaso delle sostanze chimiche infiammabili e aveva previsto il loro stoccaggio esclusivamente in tale luogo. Non si comprende quindi come l'omissione della valutazione del rischio esplosione avrebbe potuto in qualche modo incidere sul comportamento tenuto dal dipendente
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
2. La dinamica dell'evento risulta essere stata puntualmente ricostruita sulla base delle acquisizioni istruttorie che hanno individuato le cause dell'infortunio nel fatto che l'operaio stava operando nelle strette vicinanze di un bidone vuoto che conteneva vapori di sostanza facilmente infiammabile.
3. Su entrambe le doglianze proposte dalla difesa dell'imputato, la Corte di appello ha fornito adeguata e congrua motivazione. In particolare, quanto al primo motivo, già illustrato con l'atto di appello, ha sottolineato che il ragionamento difensivo prescinde totalmente dalla circostanza, pacificamente provata, alla stregua delle risultanze istruttorie, della presenza, sul luogo di lavoro ove operavano i dipendenti della società COREMAS, di fusti o bidoni contenenti residui di sostanze altamente infiammabili. Ricorda al riguardo, oltre alla testimonianza dell'infortunato G.F., quelle dei suoi colleghi, G. e D., e del responsabile della sicurezza, Q.. Costituiva fatto notorio che i bidoni, già contenenti diluenti per vernici, si trovassero sul piazzale di lavoro e non confinati nell'apposito locale predisposto ad hoc dal datore di lavoro, contravvenendo la regola precauzionale, raccomandata peraltro anche dal fabbricante del diluente, di evitare qualsiasi sorgente di calore nelle vicinanze di esso.
Correttamente il Giudice di appello evidenzia lo specifico obbligo in capo al datore di lavoro, l'odierno imputato, di valutazione del rischio di esplosione, il quale, contrariamente a quanto emerge dall'autocertificazione dallo stesso presentata ai sensi dell'art. 29, comma 5,D.lgs.n.81/2008, risulta del tutto omesso nel DVR adottato dall'anzidetta società. In tale documento, ricorda la Corte di merito, i prodotti chimici utilizzati, tra cui il diluente Nitro, risultano valutati quale fattore di rischio per le malattie professionali e non certo come possibile causa di innesco di incendio a seguito dell'esposizione a fonti di calore ovvero ai residui prodotti da interventi effettuati con cannello a fiamma ossiacetilenica. Il DVR utilizzato non era dunque adeguato perché non valutava affatto l'anzidetto rischio, manifestando in conseguenza una evidente carenza sotto il profilo delle misure preventive da adottare.
4. Con riguardo al secondo motivo, il Collegio rileva che la Corte territoriale, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, se da un lato ha escluso la concreta previsione del rischio e conseguentemente la sua corretta gestione, per altro verso ha escluso ogni condotta incongrua del lavoratore: quest'ultima infatti - come più volte affermato da questa Corte Suprema (ex multis, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Serafica e altro, Rv. 267253) - può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento solo quando si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, mentre nel caso di specie l'evento e la condotta omissiva che vi ha dato causa sono riconducibili proprio all'area di rischio tipica della prestazione lavorativa. Invero, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227).
Il datore di lavoro ha dunque l'obbligo giuridico di analizzare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre ad aggiornamenti periodici il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.lgs.n.81/2008, all'interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l'essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943). E ciò perché in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo deve essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si è concretamente verificato [Sez.4, n. 8622 del 04/12/2009 (dep. 03/03/2010), Giovannini, Rv. 246498].
E, sotto questo profilo, appare indubbio che, ove le condizioni lavorative fossero state conformate alle esigenze di sicurezza, l'evento di cui trattasi non si sarebbe verificato.
5. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 11 gennaio 2019
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