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Decreto 22 aprile 2022

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Decreto 22 aprile 2022

Decreto 22 aprile 2022 / Modalita' e livelli di esposizione lavoratori e personale di intervento

Decreto 22 aprile 2022 - Modalita' e livelli di esposizione dei lavoratori e del personale di intervento ai sensi dell'articolo 124, comma 12, del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101.

(GU n.105 del 06.05.2022)

Entrata in vigore: 07.05.2022

Decreto Legislativo 31 Luglio 2020 n. 101

Art. 124 co. 12 Esposizioni accidentali o di emergenza
[...]
12. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dello sviluppo economico, sentito il Dipartimento della protezione civile sono stabiliti le modalita' e i livelli di esposizione dei lavoratori e del personale di intervento.

_______

Art. 1. Obiettivi

1. Il presente decreto stabilisce le modalità e i livelli di esposizione alle radiazioni ionizzanti dei lavoratori e del personale di intervento che partecipa alle attività emergenziali e che, in relazione all’attività a cui sono adibiti, sono suscettibili di incorrere in una esposizione professionale di emergenza, comportante il rischio di superare anche uno dei limiti di dose stabiliti per i lavoratori esposti.

Art. 2. Definizioni

1. Ai fini dell’applicazione del presente decreto, si fa riferimento alle definizioni contenute nell’art. 7 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101.

Art. 3. Indicazioni generali finalizzate alla limitazione dell’esposizione di emergenza

1. Durante una situazione di esposizione di emergenza l’intervento prevede la pronta attuazione delle misure definite nell’ambito della preparazione all’emergenza, compresi:

a) la tempestiva attuazione di misure protettive, possibilmente prima che abbia inizio l’esposizione;
b) la valutazione dell’efficacia delle strategie e delle azioni attuate e loro adeguamento alla situazione esistente;
c) il confronto tra le dosi e il livello di riferimento applicabile, con particolare attenzione per i gruppi esposti a dosi superiori al livello di riferimento;
d) l’attuazione di ulteriori strategie protettive, se necessario, a seconda delle condizioni esistenti e delle informazioni disponibili.

Art. 4. Attività su scenari di intervento

1. Le principali attività che determinano esposizione professionale di emergenza per lavoratori e personale di intervento sono:

a) il soccorso e il salvataggio delle persone in imminente pericolo;
b) il contenimento degli effetti di danno alle persone, ai beni, agli animali e all’ambiente mediante operazioni di soccorso tecnico urgente e spegnimento di incendi;
c) la messa in sicurezza di materiali radioattivi;
d) la decontaminazione delle persone, di mezzi ed equipaggiamenti;
e) la delimitazione delle aree contaminate;
f) il monitoraggio delle matrici e dei prodotti alimentari;
g) la verifica dell’effettivo ripristino delle condizioni di sicurezza dei siti di intervento;
h) la bonifica di ambienti contaminati.

Art. 5. Valutazione dello scenario operativo

1. Gli interventi che determinano modalità di esposizione professionale in emergenza prevedono misure di valutazione dello scenario operativo con particolare riguardo a:

a) tipologia delle radiazioni ionizzanti e i dispositivi di protezione individuale disponibili più idonei in relazione all’emergenza;
b) caratteristiche e il numero delle persone da soccorrere, l’accessibilità al sito, le condizioni atmosferiche, la presenza di elementi di rischio aggiuntivi o di pericolo;
c) presenza di aree contaminate e, appena noti, la natura e la tipologia della sostanza radioattiva rilasciata, nonché i quantitativi, la provenienza e le modalità di rilascio della stessa;
d) estensione e caratteristiche dell’area operativa all’interno della quale è necessario effettuare le operazioni di emergenza.

Art. 6. Misure protettive per la gestione dell’emergenza

1. Sono considerate misure protettive efficaci per la gestione dell’emergenza:

a) l’applicazione dei principi generali della radioprotezione per le situazioni di esposizione di emergenza, come indicati dall’art. 173 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101;
b) la delimitazione e suddivisione dell’area operativa, all’interno della quale è presente una condizione che possa determinare un’esposizione a dosi superiori ai limiti previsti per le diverse categorie;
c) l’impiego di mezzi di sorveglianza dosimetrica da utilizzarsi in relazione alle funzioni svolte per ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione;
d) il monitoraggio ambientale dell’area operativa;
e) il controllo dell’esposizione professionale o accidentale degli addetti all’emergenza che accedono all’area operativa;
f) la sorveglianza degli accessi all’area operativa;
g) l’applicazione di tecniche operative che non espongono direttamente gli operatori agli effetti delle radiazioni, anche mediante sistemi robotizzati o azionati a distanza.

Art. 7. Strategie di gestione dell’emergenza

1. Sono considerate strategie e azioni efficaci per la gestione dell’emergenza:

a) la predisposizione da parte della Prefettura dei piani di emergenza per le installazioni e gli impianti, nei casi previsti dagli articoli 174, 175, 177, 185, 186 e 187 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, che si avvale per tale fine del «comitato per la pianificazione
dell’emergenza radiologica e nucleare», con i contenuti previsti dall’allegato XXXII dello stesso decreto;
b) la capacità di condividere da parte del responsabile della segnalazione dell’emergenza, nell’immediatezza, tutte le informazioni finalizzate alla gestione dell’intervento con il Comando dei vigili del fuoco, la prefettura, la questura, il servizio di emergenza sanitaria 118, l’ARPA/APPA e il sindaco;
c) l’adozione di un modello di intervento in grado di assicurare la gestione degli allarmi, il flusso di comunicazione tra i soggetti impegnati nell’emergenza e lo svolgimento coordinato delle attività operative in campo, individuando la direzione tecnica dei soccorsi in capo al Comando dei vigili del fuoco competente per territorio, con l’attivazione di un Posto di comando avanzato al quale dovranno fare riferimento i responsabili di tutte le funzioni individuati nei piani di emergenza; per la gestione delle operazioni il direttore tecnico dei soccorsi si avvale dell’esperto di radioprotezione dell’esercente, anche riguardo al controllo dell’esposizione professionale e accidentale di emergenza;
d) la definizione di specifiche misure protettive, anche comprendenti misure di salute pubblica, da adottare nei confronti della popolazione, nonché di informazione pubblica;
e) l’impiego delle squadre speciali di intervento laddove previsto nei piani di emergenza indicati dal titolo XIV del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101.

Art. 8. Squadre speciali di intervento

1. Per le esigenze connesse all’attuazione dei piani di emergenza, nei casi in cui è necessario che siano previste squadre speciali di emergenza, si applicano le seguenti disposizioni.
2. Il personale, individuato su base volontaria, è chiaramente ed esaustivamente informato in anticipo in merito ai rischi per la salute associati alle esposizioni e alle misure di protezione disponibili.
3. Ai lavoratori e al personale delle squadre speciali di emergenza che, in relazione all’attività cui sono adibiti, siano suscettibili di incorrere in esposizioni professionali di emergenza, comportanti il rischio di superare anche uno dei limiti di dose stabiliti per i lavoratori esposti, si applicano le disposizioni di cui ai commi 4, 5, 6 e 7 dell’art. 124 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101.
4. Nel caso del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le disposizioni di cui al presente articolo si applicano al personale facente parte dei nuclei di intervento N-R. In caso di intervento del personale non facente parte dei nuclei di intervento N-R, in ottemperanza all’art. 124, comma 9, del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, dovranno essere previste ed adottate le misure idonee ad evitare che lo stesso sia suscettibile di incorrere in esposizioni superiori ai limiti stabiliti per i lavoratori esposti di cui all’art. 146 del decreto legislativo n. 101 del 2020. In caso di avvenuta esposizione di emergenza, fermo restando quanto previsto dall’art. 124, comma 10, del decreto legislativo n. 101 del 2020, tale personale è comunque sottoposto alla sorveglianza sanitaria eccezionale di cui all’art. 141 del decreto legislativo n. 101 del 2020.

Art. 9. Disposizioni finali

1. Per quanto non riportato nel presente decreto si applicano le disposizioni del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 16819 | 02 Maggio 2022

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 02 Maggio 2022 n. 16819

Rischio da utilizzo di amianto nel ciclo lavorativo

Penale Sent. Sez. 4 Num. 16819 Anno 2022
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 20/04/2022

Ritenuto in fatto

l. Il presente procedimento, concernente reati di lesioni personali colpose e omicidio colposo aggravati dalla violazione dell'art.2087 cod. civ., derivanti da plurime condotte lesive dell'integrità fisica dei lavoratori correlate al rischio da utilizzo di amianto nel ciclo lavorativo, trae origine da una denuncia presentata presso la Procura della Repubblica successivamente alla estinzione, per decesso degli imputati, di analoghi reati contestati a R.G., presidente e amministratore delegato, e F.C., amministratore delegato e direttore generale della Officine Casaralta s.p.a. L'organo inquirente aveva chiesto l'archiviazione del procedimento per difetto di posizione di garanzia degli odierni ricorrenti in relazione alla qualifica rivestita in ambito aziendale; richiesta rigettata dal giudice per le indagini preliminari, che aveva disposto la formulazione dell'imputazione e, all'esito dell'udienza preliminare, il rinvio a giudizio in relazione ai delitti per i quali non era maturato il termine di prescrizione e per i quali le persone offese erano lavoratori dipendenti delle Officine Casaralta s.p.a. nel periodo in cui gli imputati avevano rivestito la posizione di componenti del consiglio di amministrazione, ossia R. C. dal 1977, Z.F. dal 1979, R. A. dal 1961.

2. Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 13/07/2017, per quanto qui interessa, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di R. A., R. C. e Z.F. per i reati di lesioni personali nei confronti di OMISSIS per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di R. A. per il reato di lesioni colpose ai danni del lavoratore C.G. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione; ha dichiarato R. C. responsabile dei reati di omicidio colposo nei confronti dei lavoratori OMISSIS; ha dichiarato Z.F. responsabile dei reati di omicidio colposo ai danni dei lavoratori OMISSIS; ha dichiarato R. A. responsabile dei reati di omicidio colposo ai danni dei lavoratori OMISSIS, condannando i predetti imputati R. C. e Z.F. alla pena di anni due di reclusione e R. A. alla pena di anni tre di reclusione nonché al risarcimento dei danni nei confronti della Associazione Lavoratori Bolognesi Esposti Amianto (ALBEA), degli eredi di OMISSIS.

3. In data antecedente al giudizio di appello le costituite parti civili hanno revocato la costituzione in giudizio in conseguenza dell'avvenuto risarcimento dei danni effettuato da tutti gli imputati e la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha concesso agli imputati le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, così dichiarando non doversi procedere nei confronti degli appellanti in ordine ai reati ai danni di OMISSIS perché estinti per sopravvenuta prescrizione, assolvendo R. A. dal reato ai danni di M.P. per insussistenza del fatto nonché R. C. e R. A. dal reato ai danni di B.G. per non aver commesso il fatto, revocando le statuizioni civili della sentenza impugnata e confermando tale sentenza nel resto.

4. Hanno proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della corte bolognese, R. A., R. C. e Z.F.. Illustrano, in primo luogo, quale sia l'interesse sotteso all'impugnazione. Essi mirano ad ottenere una sentenza irrevocabile di assoluzione in quanto tale sentenza, ai sensi dell'art. 652, comma 1, cod. proc. pen., ha efficacia di giudicato nel giudizio civile promosso dal danneggiato; inoltre, sostengono che la palese contraddittorietà della motivazione sul punto concernente la loro posizione di garanzia è idonea ad arrecare loro un significativo pregiudizio, ove si consideri che la dichiarazione della causa estintiva è avvenuta previa concessione delle circostanze attenuanti generiche sul presupposto della sussistenza della prova positiva della loro colpevolezza.
4.1. Con il primo motivo di ricorso e con riferimento ai capi relativi ai reati di lesioni colpose e omicidio colposo contestati ai ricorrenti R. C. e Z.F. per i quali è stata pronunciata declaratoria di non doversi procedere, deducono violazione di legge e vizio di motivazione in merito all'accertamento della datazione del periodo in cui presso le Officine di Casaralta è cessato l'utilizzo dell'amianto. Sul punto la difesa richiama una serie di prove documentali dalle quali emergerebbe con evidenza che l'uso dell'amianto presso le Officine sarebbe cessato a partire dalla seconda metà degli anni '70.
4.2. Con il secondo motivo e con riguardo ai capi relativi ai reati di lesioni colpose e di omicidio colposo per i quali è stata pronunciata declaratoria di prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla prova circa la sussistenza del fatto e il nesso di causa, con particolare riferimento alla prova scientifica concernente l'accertamento dell'ascrivibilità ai ricorrenti di condotte causalmente incidenti sulle malattie contratte dalle persone offese.
4.3. Con il terzo motivo, sempre con riguardo ai reati per i quali è stata dichiarata l'intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, impugnano l'ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna il 2 novembre 2016 e la parte della sentenza confermativa di tale provvedimento per violazione di legge processuale, art. 360, comma 5, cod. proc. pen. deducendo la conseguente inutilizzabilità ai sensi dell'art.191 cod. proc. pen. dell'appendice alla consulenza tecnica del pubblico ministero redatta dal dott. Murer relativa agli esami istologici e immunoistochimici del materiale biologico dei casi di mesotelioma pleurico, nonchè per vizio di motivazione sul punto relativo alla diagnosi dei casi di tumore del polmone e di asbestosi. La difesa lamenta di non essere stata messa nelle condizioni di interloquire sulle modalità e sulle tecniche di esecuzione degli esami immunoistochimici eseguiti dal dott. Murer, ritenendoli accertamento tecnico non ripetibile in quanto il tessuto utilizzato viene modificato con specifici reagenti; lamenta, altresì, che analoga valutazione non sia stata fatta per i casi di sospetto del tumore del polmone, asbestosi e placche pleuriche, con conseguente incertezza diagnostica idonea a determinare mancanza o insufficienza della prova, tanto più nei casi di asbestosi e placche pleuriche riferibili a soggetti fumatori. In particolare, la difesa sottolinea come per i lavoratori OMISSIS. Nello la diagnosi di asbestosi fosse incerta, tanto più che M. e L.M. sono fumatori. Con riferimento ai casi di placche pleuriche, per l'unico non fumatore, C.G., non vi è evidenza di alterazioni polmonari mentre gli altri lavoratori, C., R.C. e S., sono tutti fumatori.
4.4. Con un quarto motivo, e con riguardo ai capi relativi ai reati per i quali è stata pronunciata declaratoria di intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, deducono violazione di legge e vizio di motivazione sul punto relativo alla prova della cosiddetta causalità della colpa, essendo del tutto mancante nell'accertamento del nesso causale la valutazione dell'efficacia eziologica del comportamento alternativo lecito; secondo quanto considerato dai consulenti tecnici del pubblico ministero, l'utilizzo di maschere di carta per la protezione da inalazione di polveri sarebbe stato rimedio solo molto probabile per il tumore polmonare e il mesotelioma.
4.5. Con un quinto motivo, e per i capi relativi ai reati per i quali è stata pronunciata declaratoria di intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, hanno dedotto violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta posizione di garanzia e alla colpa dei ricorrenti. La difesa ha precisato il carattere pregiudiziale e assorbente della presente questione in quanto, con riguardo al reato commesso, secondo l'accusa, in danno di B.G., la corte territoriale, richiamando giurisprudenza di legittimità sul punto, ha escluso la posizione di garanzia sulla base di considerazioni che avrebbero dovuto essere estese a tutti i reati per i quali si procede.

5. Con nota del 31 marzo 2022 il difensore di R. A. ha depositato certificato di morte della ricorrente.

Considerato in diritto

1. L'intervenuto decesso, in data 22 febbraio 2022 come da certificato in atti, di R. A. impone l'immediata dichiarazione di estinzione di tutti i reati alla stessa contestati per i quali è intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione. Non è consentito al Collegio, essendo sopravvenuto il decesso dell'imputata, esaminare il relativo ricorso, trattandosi di causa estintiva del rapporto processuale che preclude ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 49783 del 24/09/2009, Martinenghi, Rv. 245162; Sez. 5, n. 10696 del 16/12/2021, dep.2022, Alfieri; Sez. 3, n.23906 del 12/05/2016, Patti, Rv. 267384; Sez. 1, n. 24507 del 09/06/2010, Lombardo, Rv. 247790). A tale conclusione deve pervenirsi anche nelle ipotesi nelle quali vi sia evidenza della causa di proscioglimento, giacchè la morte del ricorrente prima della decisione del ricorso determinerebbe, come costantemente affermato dalla Corte di legittimità, l'inesistenza giuridica del provvedimento eventualmente adottato. La soluzione indicata già da Sez. U. n. 3489 del 23/01/1982, Renna è l'unica adeguata alla situazione che si determina con la morte del ricorrente: il venir meno del soggetto processuale nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti e la conseguente dissoluzione del rapporto procedimentale impediscono ogni altro tipo di provvedimento, il quale necessiterebbe pur sempre della previa utilizzazione di forme procedimentali che presuppongono un potenziale contraddittorio, e sono ad esso funzionali; contraddittorio invece ormai impossibile (Sez. 6, Ord. n. 31299 del 15/07/2009, Metastasio, Rv. 244703).

2. Il primo tema da esaminare concerne, ora l'interesse dei ricorrenti R. C. e Z.F. a presentare la presente impugnazione, trattandosi di ricorso proposto avverso i punti della sentenza in cui la Corte di appello ha confermato la dichiarazione di estinzione dei reati di lesioni colpose già pronunciata dal giudice di primo grado con riferimento ai lavoratori L.M., M.R., R.C., S., T. e C.G. e ha dichiarato di non doversi procedere per sopravvenuta estinzione dei reati di omicidio colposo, revocando le statuizioni civili, con riferimento ai lavoratori Omissis.
2.1. In generale, si riconosce l'interesse dell'imputato ad impugnare una sentenza che non lo proscioglie con la formula più favorevole. Ai fini dell'ammissibilità del ricorso secondo i canoni dell'art.568 cod. proc. pen., l'atto d'impugnazione deve tuttavia indicare l'interesse concreto, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare che, i.n quanto attualmente pregiudizievoli, il ricorrente chiede siano eliminati. Tale interesse può consistere sia nel conseguimento di effetti penali più vantaggiosi (quali ad esempio l'assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), sia nel perseguimento di conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l'ordinamento rispettivamente fa derivare dall'efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652 cod. proc. pen.), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653 cod. proc. pen.), e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 cod. proc. pen.). In altri termini, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell'ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all'imputato, questi ha interesse a impugnare la sentenza qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l'eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole (Sez. 1, n. 7671 del 05/12/2000, dep. 2001, Patteri, Rv. 218311; Sez. 6, n. 8450 del 17/06/1998, Mazzilli, Rv. 212226). Tale principio interpretativo è stato in passato declinato con sentenza delle Sezioni Unite nel senso dell'insussistenza di un interesse concreto all'impugnazione della sentenza assolutoria ai sensi dell'art.530, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, dep.1996, Fachini, Rv. 203762), posto che in tal caso la formula del dispositivo non potrebbe mutare e che la motivazione che mostri perplessità sull'innocenza dell'imputato non lede posizioni soggettive giuridicamente rilevanti. Successivamente, pur confermandosi il criterio interpretativo espresso nella sentenza Fachini, si è nel tempo precisato: che l'interesse dell'imputato a impugnare la sentenza di assoluzione emessa ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. va valutato in concreto (Sez. 5, n. 40826 del 21/09/2004, Belluomini, Rv. 230112, in un caso in cui era pendente l'accertamento del reato di calunnia contestato alla parte offesa); che sussiste l'interesse giuridico dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula «perché il fatto non costituisce reato», al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria «perché il fatto non sussiste» (Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv. 252150) in ragione dei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 cod. proc. pen., connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare (Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, Mussari, Rv. 276524); che sussiste l'interesse dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula «perché il fatto non costituisce reato», al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria «perché il fatto non sussistè», allorquando egli deduca che l'accertamento del fatto materiale oggetto del processo penale possa pregiudicare le situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi, anche distinti rispetto a quelli di danno, ovvero disciplinari (Sez. 4, n. 49710 del 04/11/2014, Di Cuonzo, Rv. 261178).
2.2. Nel caso concreto, ferma restando l'assenza di interesse concreto e attuale ad impugnare il punto della sentenza in cui è stata confermata la dichiarazione d'improcedibilità pronunciata in primo grado in relazione alle lesioni personali subite dai lavoratori L.M., M.R., R.C. , S. , T. e C.G., trattandosi di decisione priva di qualsivoglia effetto pregiudizievole concreto e attuale in quanto non supportata da alcuna motivazione (Sez. 4, n.12175 del 3/11/2016, dep. 2017, Bordogna, in motivazione; Sez. U civili, n. 1768 del 26/01/2011, Rv. 616366), a diversa conclusione deve giungersi con riguardo alla declaratoria di estinzione dei reati di omicidio colposo in danno dei lavoratori OMISSIS. A tale pronuncia la Corte territoriale è, infatti, pervenuta per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, dunque previo accertamento della sussistenza del fatto e della colpevolezza degli imputati. L'accertamento della responsabilità penale costituisce, infatti, l'indefettibile antecedente logico-giuridico per accedere al momento decisionale attinente all 'irrogazione della pena e, in quest'ambito, alla verifica della sussistenza di eventuali circostanze attenuanti e determina l'interesse dei ricorrenti nei termini sopra indicati.

3. Va precisato, tuttavia, che il principio al quale hanno fatto richiamo i ricorrenti, laddove hanno dedotto il loro interesse a ottenere una sentenza irrevocabile di assoluzione che possa avere effetto nei giudizi civili di danno, rimarcando che solo alcune delle persone offese dai reati loro contestati si sono costituite parti civili nel giudizio di primo grado, va coniugato, qualora sia impugnata la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, con il disposto dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., che consente al giudice di accedere alla pronuncia di proscioglimento nel merito esclusivamente qualora, pur ricorrendo la causa estintiva del reato, risulti «evidente» l'innocenza dell'imputato .
3.1. La prima conseguenza di tale disposizione è l'inapplicabilità della regola di cui all'art.530, comma 2, cod. proc. pen. (e del correlato princìpio dettato dall'art.533, comma 1, cod. proc, pen.) in presenza di una causa estintiva di reato. In tale situazione al giudice non è consentito equiparare la prova incompleta alla mancanza di prova, né compiere attività ulteriori rispetto alla mera constatazione (Sez. 6, n. 27725 del 22/03/2018, Princi, Rv. 273679), prevalendo la regola dettata dall'art . 129, comma 1, cod. proc. pen., che esprime il principio di economia processuale. E' stato, in proposito, argomentato che la «evidenza » richiesta dall'art. 129, comma 2, cit. presuppone la manifestazione di una verità processuale cosi chiara, manifesta e obiettiva da rendere superflua ogni altra dimostrazione, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova, che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, Giuffrida, Rv. 258441; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, Rizzo, Rv. 256202; Sez. 2, n. 9174 del 19/02/2008, Palladini, Rv. 239552). Tale regola cede il passo alla possibilità per il giudice di pervenire al proscioglimento nel merito, quindi al princìpio secondo il quale il processo penale deve tendere all'accertamento della verità, qualora il giudice dell'impugnazione sia comunque tenuto ad esaminare funditus il tema della responsabilità dell'imputato per la presenza nel processo della parte civile ovvero nel caso in cui il giudice di appello ritenga infondato nel merito l'appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado resa ai sensi dell' art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (Sez.U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
3.2. Ulteriore conseguenza della disposizione in esame, consacrata nella sentenza delle Sezioni Unite Tettamanti, è l'inammissibilità in sede di legittimità dei motivi di ricorso che denuncino vizi di motivazione della sentenza impugnata tali da comportare un annullamento con rinvio, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez.5, n.588 del 04/10/2013, dep. 2014, Zambonini, Rv. 258670).
3.3. In ogni caso, la tutela del diritto dell'imputato all'accertamento della sua innocenza è garantita, da un lato, dalla medesima disposizione dettata dall'art.129, comma 1, cod. proc. pen., che impone l'immediata pronuncia della sentenza non solo al ricorrere di una causa di non punibilità in senso stretto ma anche quando il giudice riconosca che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso e, dall'altro, dalla facoltà, riconosciutagli dall'art.157 cod. pen. come integrato dal Giudice delle leggi, di rinunciare alla causa estintiva (la Corte Costituzionale, con sent.n.275 del 23 maggio 1990, ha sottolineato come detta rinunciabilità debba considerarsi quale strumento efficace per l'esplicazione del diritto di difesa ai fini del perseguimento dell'interesse morale ad un'assoluzione con formula piena).

4. Si può, dunque, affermare che, qualora l'imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga appello o ricorso per cassazione avverso la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, è tenuto, a pena di inammissibilità, a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilità dell'elemento soggettivo del reato, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ponendosi così rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Pintilie, Rv. 275219; con riguardo all'appello Sez. 3, n. 46050 del 28/03/2018, M., Rv. 274200). La deduzione di specifici motivi nel senso indicato nelle massime è, in tal caso, anche funzionale ad evidenziare l'interesse dell'impugnante a conseguire l'unico possibile esito decisorio, più favorevole, consentito dalla legge.
4.1. Nel caso in esame, il difensore ha coerentemente specificato che «gli elementi dai quali evincere la non commissione dei reati da parte degli odierni ricorrenti si ricavano dalla immediata constatazione delle violazioni di legge (sostanziale e processuale) dedotte nonché dalla evidente e marcata contraddittorietà della sentenza impugnata, senza necessità di ulteriori accertamenti o approfondimenti». Considerato, tuttavia, che nel ricorso si afferma che il vizio di motivazione emerge dallo stesso tenore della motivazione «o dal raffronto tra quest'ultima e gli atti processuali specificamente indicati e allegati», con riguardo a tale ultimo inciso va aggiunto che, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, in presenza della causa estintiva della prescrizione, l'obbligo di declaratoria, da parte del giudice di legittimità, di una più favorevole causa di proscioglimento ai sensi dell'art. 129, comma 2, cit. comporta il controllo unicamente della sentenza impugnata, nel senso che gli atti dai quali può essere desunta la sussistenza della causa più favorevole sono costituiti unicamente dalla predetta sentenza, in conformità con i limiti di deducibilità del vizio di mancanza o manifesta illogicità di motivazione, la quale, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. deve risultare dal testo del provvedimento impugnato (ex multis, Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258169; Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, Amurri, Rv. 253458).
4.2. Per converso, essendo stato impugnato anche il punto della sentenza con cui è stata confermata la declaratoria di intervenuta prescrizione per i reati di lesioni colpose pronunciata dal tribunale, è bene rimarcare che non risultano dedotte censure di omessa motivazione in ordine a cause di proscioglimento nel merito prospettate con l'atto di gravame, come si desume anche da quanto affermato a pag.5 del ricorso («l'accoglimento del presente ricorso non determinerebbe la necessità di un rinvio al giudice del merito»). Ne deriva che, anche per tale profilo dell'impugnazione, il giudizio di questa Corte non può che pervenire all'inammissibilità del ricorso in relazione a tale punto della sentenza.

5. Non ultimo elemento da porre in evidenza è che, mentre il giudice di primo grado ha rilevato l'intervenuta prescrizione di alcuni dei reati contestati senza riconoscere le circostanze attenuanti generiche, nella sentenza impugnata la Corte d'appello ha emesso la declaratoria di prescrizione di alcuni dei residui reati di omicidio colposo per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, le quali, determinando ai sensi dell'art.157 cod. pen. vigente anteriormente all'entrata in vigore della legge 5 dicembre 2005, n.251 la riduzione della pena edittale massima, hanno comportato il decorso del termine massimo di sette anni e sei mesi per tutti i reati contestati.
5.1. Al riconoscimento delle anzidette attenuanti, che concernono all'evidenza il trattamento sanzionatorio, la Corte di merito, come detto, è pervenuta dopo avere previamente accertato, richiamando la motivazione offerta dal giudice di primo grado, la sussistenza del fatto e la colpevolezza degli imputati. L'accertamento della responsabilità penale costituisce, infatti, l'indefettibile antecedente logico-giuridico per accedere al momento decisionale attinente all'irrogazione della pena e, in quest'ambito, alla verifica della sussistenza di eventuali circostanze attenuanti. Questa premessa serve per meglio comprendere la portata precettiva della norma di cui all'art. 531 cod. proc. pen., secondo cui «il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere, enunciandone la causa nel dispositivo». Nell'ipotesi, però, che alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione si giunga attraverso la concessione di circostanze attenuanti (e il relativo giudizio di prevalenza sulle eventuali circostanze aggravanti), la sentenza di proscioglimento dovrà contenere, in motivazione, l'accertamento incidentale della responsabilità penale, quale passaggio logico pregiudiziale al riconoscimento delle attenuanti medesime (Sez. 1, n. 55026 del 07/06/2017, Baratta, Rv. 271890; Sez. 6, n. 6687 del 16/12/2014, dep.2015, Matarazzo, Rv. 263655; Sez. 6, n. 12048 del 05/10/2000, Barbieri, Rv. 218210; Sez. 4, n. 5069 del 04/04/1996, Messina, Rv. 204960).
5.2. Si è, infatti, chiarito che in simili ipotesi è interesse dell'imputato conoscere le ragioni della decisione e dovere del giudice fornire supporto giustificativo in merito all'accertamento incidentale di responsabilità; tale interesse, che travalica il principio della immediata dichiarazione della causa estintiva, non si traduce comunque nella possibilità di proporre ricorso per vizi della motivazione o per incompletezze istruttorie.

6. Si esamina, ora, il quinto motivo di ricorso in quanto inerisce a questione che, nella prospettazione difensiva, assume carattere pregiudiziale e assorbente.
6.1. E si esamina in primo luogo, il passo della sentenza nel quale si valutato il caso del lavoratore B.G., manovale e magazziniere in Casaralta dal 19 maggio 1967 al 4 dicembre 1979 al quale furono diagnosticate nel 1997 placche pleuriche e nel 2011 asbestosi e che decedette il 22 marzo 2013 a causa di neoplasia vescicale operata e asbestosi polmonare, come da certificato del 2 aprile 2013 a firma della dott.ssa Vincenza Perlangieri della AUSL di Bologna.
6.2. Ebbene, in base alla decisione di primo grado, fatta propria dai giudici di appello, le acquisizioni documentali avevano fornito la prova della riconducibilità eziologica del decesso di tale lavoratore a patologie asbesto correlate e all'esposizione ad asbesto durante l'attività lavorativa in Casaralta, cosicchè la responsabilità per il suo decesso era stata ascritta sia a R. A. che a R. C., mentre era stata esclusa la responsabilità di Z.F. in quanto entrato nel consiglio di amministrazione in data sostanzialmente coincidente con la cessazione del rapporto di lavoro del B. presso Casaralta.
6.3. Con riguardo a R. A., l'intervenuto decesso preclude l'esame del motivo di ricorso.
6.4. Con riguardo a R. C., sul rilievo che quest'ultimo aveva assunto a soli ventuno anni la carica di consigliere di amministrazione il 18 maggio 1977 e che il rapporto di lavoro del B. era cessato due anni e mezzo dopo, la Corte ha ritenuto che non vi fosse prova certa che egli avesse avuto il tempo di conoscere e percepire le condizioni di pericolosità alle quali il lavoratore era esposto e, conseguentemente, di attivarsi per eliminare tale situazione di pericolo. I giudici di appello hanno evidenziato: che R. C., al momento dell'assunzione della formale qualifica di consigliere di amministrazione, non aveva alcuna esperienza gestionale; che non era emersa alcuna prova in ordine alle sue competenze concernenti la pericolosità dell'esposizione all'amianto; che non era emersa la conoscenza della situazione di pericolosità per coloro che, come il B., svolgevano le mansioni di manovale e magazziniere, dunque erano soggetti a esposizioni passive; che non vi era la prova che dal 18 maggio 1977 al 4 dicembre 1979 il consiglio di amministrazione avesse assunto decisioni in materia di sicurezza sul lavoro o che fossero state sottoposte al medesimo organo questioni concernenti la pericolosità dell'amianto presente in fabbrica; che non vi era prova che tale imputato avrebbe potuto evitare, per un lavoratore che era esposto da dieci anni, la patologia mortale.
6.5. Le affermazioni di cui sopra non consentono, però, di pervenire all'accoglimento del motivo di ricorso con riferimento a R. C. sulla base della motivazione di assoluzione svolta in relazione al lavoratore B., data l'esclusiva riferibilità degli argomenti sviluppati alla posizione di tale lavoratore. Come si evince dal capo d'imputazione e dalle indicazioni contenute nelle due sentenze di merito in relazione alle posizioni di ciascuna persona offesa, gli altri lavoratori hanno prestato attività lavorativa presso la Casaralta con permanenza di almeno quattro anni successiva all'assunzione della carica di consigliere di amministrazione da parte di R. C.: B. 1958- 87, B. 1972-85, D. 1954-89, G. 1961-85, P. 1971-91, B. 1951-86, M. 1960-94, B. 1980-82, C. 1963-98, F. 1954-81, M. 1971-83, S. 1946-81, V. 1957-87, D. 1963-87, M. 1946-86.

7. Si esamina, dunque, il primo motivo di ricorso, tendente a dimostrare l'evidenza della prova che, all'epoca in cui R. C. e Z.F. assunsero la carica di componenti del consiglio di amministrazione, fosse già cessato l'utilizzo di amianto in Casaralta.
7.1. A tal fine, si deduce che la commessa per n. 30 locomotive E656 in corso di esecuzione nel 1977 riguardava, come reso evidente dall'album del Servizio Materiale e Trazione FS prodotto dalla difesa, rotabili realizzate con coibenti diversi dall'amianto e che neppure le carrozze a due piani di cui alla commessa delle Ferrovie Nord di Milano e delle Ferrovie dello Stato degli anni 1978-79 comparivano nel predetto album; tale argomento non si confronta con quanto si legge a pag. 25 della sentenza di primo grado, in cui, pur dando atto del mancato raggiungimento della prova che tutte le commesse relative a tali locomotive riguardassero serie contenenti amianto, il giudice ha valorizzato la testimonianza del dipendente R.C., falegname in servizio presso Casaralta dal 1969 al 1989, il quale ha affermato che il sistema di coibentazione con l'amianto era continuato sino ai primi anni '80 del 900, da ultimo proprio in relazione alle carrozze a due piani.
7.2. Si deduce, inoltre, l'evidenza della prova che le commesse ricevute dalle Ferrovie dello Stato per ristrutturare e rinnovare le carrozze del gruppo 23000 riguardavano esclusivamente il sottogruppo con numeri da 23100 a 23149 in costruzione negli anni 1949-1951 e non contenenti amianto, senza confrontarsi con le emergenze istruttorie che hanno condotto il giudice di primo grado a ritenere che anche le carrozze prodotte negli anni 1956-1957, che presentavano coibentazione in amianto, fossero state ristrutturate, almeno in buona parte, preso Casaralta (pagg.32 segg. sentenza di primo grado). Con riferimento specifico alle ristrutturazioni, il giudice di merito ha ritenuto che l'amianto continuò ad essere presente sino alla prima metà degli anni '80, non ritenendo significativa la campionatura effettuata il 10 dicembre 1980 da personale del consorzio sociosanitario di Bolognina-Lame-Corticella all'interno dello stabilimento a fronte del dato emergente dalla prova dichiarativa e dal dato documentale costituito dall'avvenuto pagamento da parte della Firema Trasporti s.p.a. (costituita il 1.12.1984 e incorporante la Casaralta s.p.a. dal 1993) di premi supplementari per il rischio asbestosi sino al 30 giugno 1988. Tale documento ancorché non dirimente, è stato ritenuto coerente con quanto emerso dalla prova dichiarativa.
7.3. Si deduce, quindi, l'evidenza della prova dell'assenza di amianto in Casaralta nel periodo di interesse, emergente dalle attività di campionatura effettuata dall'autorità sanitaria già dalla metà degli anni '70, contestando la valutazione di tale prova documentale presente alle pagg.34-35 della sentenza di primo grado.
7.4. Si sono richiamate in dettaglio le argomentazioni difensive, confrontandole con le pronunce di merito, onde metterne in luce l'inammissibilità. Si tratta, a ben vedere, di sollecitazioni rivolte alla Corte di legittimità affinchè esprima un giudizio di maggiore attendibilità delle prove fornite dalla difesa rispetto a quelle valorizzate dai giudici di merito, in palese contrasto con i limiti del presente giudizio, già evidenziati al par.3.

8. Si esamina, ora, il secondo motivo di ricorso, limitandone l'esame agli argomenti che riguardano i ricorrenti R. C. e Z.F.. Il motivo è infondato. Si tratta di censura che tende a dimostrare «la violazione di legge o, comunque, la manifesta contraddittorietà della motivazione relativa alle prove scientifiche» concernenti, da un lato, il processo di cancerogenesi; dall'altro, la valutazione del preteso effetto sinergico tra fumo di sigaretta e presunta esposizione ad amianto nell'eziologia del tumore del polmone nel caso di M. rispetto a casi analoghi.
8.1. Secondo la difesa, la declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione con riguardo ai casi di mesotelioma pleurico dovrebbe cedere il passo all'assoluzione nel merito in ragione del fatto che i giudici di merito, malgrado la dichiarata adesione alla c.d. teoria multistadio, hanno sposato in realtà la tesi scientifica secondo la quale le esposizioni successive alla fase di induzione avrebbero l'effetto di accelerare il momento della manifestazione del tumore, in contrasto con le tesi dei consulenti del pubblico ministero e di quello della difesa, con l'insufficienza dei dati epidemiologici (causalità generale) ai fini del giudizio sul nesso di causa e con i dati epidemiologici relativi alla coorte di Casaralta, dimostrativi del fatto che a maggiore esposizione corrisponde una maggiore latenza della malattia. A sostegno del motivo si riportano passi della consulenza tecnica di parte a firma Prof. Violante.
8.2. Si deduce, quindi, la contraddittorietà tra l'assoluzione pronunciata in merito alla patologia riscontrata nel lavoratore M., deceduto il 16 agosto 2013 per neoplasia polmonare, rispetto alla declaratoria di prescrizione dei reati concernenti le analoghe vicende riguardanti le persone offese OMISSIS.
8.3. Il tema proposto nella prima parte del presente motivo attiene all'accertamento della cd. causalità individuale; ovvero dell'attribuzione del singolo decesso all'esposizione della persona offesa durante il tempo in cui i ricorrenti assunsero la posizione di garanzia. Ma si tratta di assunto del tutto destituito di fondamento, non riscontrandosi nel percorso motivazionale l'applicazione di teorie scientifiche diverse dalla teoria c.d . multistadio, oltre che inammissibile laddove tende ad avvalorare la tesi scientifica sostenuta dal consulente tecnico della difesa. Il giudice di primo grado ha svolto ampia motivazione per giustificare le seguenti conclusioni: che la data di dismissione dell'amianto in Casaralta sia databile intorno al 1985 (pagg.21-35); che fino a quella data l'esposizione dei lavoratori ad amianto non fosse protetta (pagg. 40- 77); che la tesi scientifica più attendibile in ordine al processo di cancerogenesi è quella sposata dai consulenti tecnici del pubblico ministero, confermata in dibattimento dalle deposizioni dei due periti nominati dal tribunale nei precedenti processi Casaralta (teoria multistadio correlata alla dose-dipendenza); che la comunità scientifica ha individuato la durata della latenza propriamente detta in un periodo stimabile in circa 10 anni; che, in ogni caso, pur avendo rilevanza nel processo di cancerogenesi tutte le esposizioni a fibre di amianto successive alla prima, nessuna incidenza debba riconoscersi alle dosi inalate dopo l'innesco del processo di cancerogenesi irreversibile (termine della fase di induzione), nè sotto il profilo della gravità né sotto il profilo dei tempi di latenza della malattia (pagg. 87-108). Nella sentenza (pagg. 89 e 98) il giudice ha anche spiegato le ragioni per le quali le valutazioni del consulente della difesa non potessero essere condivise. Il giudice, a pag.117, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità per affermare l'irrilevanza della impossibilità di individuare il momento in cui si completa la fase dell'induzione ai fini dell'accertamento causale delle patologie tumorali asbesto-correlate anche qualora si sia verificato un avvicendamento nelle posizioni di garanzia, ritenendo sufficiente che il giudice accerti indici significativi secondo la legge scientifica di copertura, come la correttezza della diagnosi della patologia tumorale, l'esposizione all'agente cancerogeno e la relativa durata, l'assenza di fattori causali alternativi.
8.4. Il sindacato del giudice di legittimità, nel caso di ricorso proposto dall'imputato che non ha rinunciato alla prescrizione, non può spingersi oltre la verifica dell'evidenza probatoria circa l'assenza del nesso di causa tra le condotte ascritte agli imputati e gli eventi che ne sono derivati secondo l'ipotesi accusatoria. Tale evidenza probatoria non è desumibile dall'asserita opinabilità di una legge di copertura, neppure essendo consentito verificare se la teoria scientifica seguita, comunque autorevolmente proposta e condivisa dalla comunità scientifica, sia stata motivatamente falsificata, dovendosi altrimenti ammettere la possibilità, negata in premessa, dell'annullamento con rinvio della sentenza per vizio di motivazione. Nel caso concreto, in altre parole, non risulta alcuna certezza che, nel periodo di riferimento, l'esposizione dei lavoratori non abbia avuto incidenza sui decessi per mesotelioma, trattandosi di lavoratori che hanno prestato continuativamente la loro attività nel periodo in cui i ricorrenti ricoprivano la carica di consiglieri di amministrazione e che sono deceduti tutti negli anni 2009-2011. Né risulta corretto, in questa sede, richiamare le pronunce di legittimità nelle quali si è affrontata la questione della maggiore o minore attendibilità della tesi del c.d. effetto acceleratore sulla base dei dati relativi ai tempi di latenza in correlazione ai tempi di esposizione dei lavoratori ad amianto, essendo estranea al presente giudizio, secondo quanto già precisato al par.3, la possibilità di applicare la regola dettata dall'art.533, comma 1, cod. proc. pen.; manca, soprattutto, specifica evidenza che il processo patogenetico riguardante una o più tra le persone offese si sia sviluppato in un periodo significativamente più breve, tanto da consentire di datare con certezza il termine della fase di induzione in epoca antecedente agli anni 1977-1979 .
8.5. Ad analoghe conclusioni, qui da intendersi richiamate le valutazioni di cui al par.8.4, deve giungersi con riguardo alla seconda parte del presente motivo. Va, in primo luogo, esclusa ogni valutazione con riguardo al lavoratore P.G., il cui decesso era stato ascritto in via esclusiva a R. A.. Secondariamente, si osserva che la difesa fa riferimento a dati epidemiologici «relativi alla coorte Casaralta», al modello additivo dei fattori di rischio applicabile in assenza di asbestosi e alle analogie con la posizione del lavoratore M. (fumatore, periodo di lavoro 1957-1967 e causa del decesso, avvenuto nel 2013, neoplasia polmonare diagnosticata nel 2011) per contestare l'attendibilità delle valutazioni espresse dai giudici di merito circa il nesso di causa tra le condotte ascrivibili ai ricorrenti e il decesso dei lavoratori B. (forte fumatore, periodo di lavoro 1980-1982 e causa del decesso, avvenuto nel 2007, neoplasia polmonare diagnosticata nel 2006) e F. (fumatore, periodo di lavoro 1954-1981 e causa del decesso, avvenuto nel 2004, neoplasia polmonare M3 dopo carcinoma della laringe operato nel 2000). Premessa l'inesistenza nel caso di specie di specifici studi di coorte riferibili allo stabilimento di Casaralta, si osserva che nella sentenza di merito sono state esaminate, e motivatamente disattese, le obiezioni mosse dal consulente della difesa e che, in ogni caso, risulta evidente la non comparabilità dei percorsi causali individuali riferibili ai lavoratori indicati.

9. Si esamina, dunque, il terzo motivo, con cui è stata dedotta l'inutilizzabilità degli esami istologici e immunoistochimici del materiale biologico inerente ai casi di mesotelioma pleurico in quanto tali esami, richiesti all'anatomopatologo dott. Murer dai consulenti del pubblico ministero a fini di «conclusiva revisione» di ciascuna diagnosi e allegati in appendice alla consulenza tecnica dell'accusa, sono stati eseguiti in violazione dell'art.360, comma 5, cod. proc. pen.; si tratterebbe, secondo la difesa, di accertamenti non ripetibili sul medesimo tessuto posti in essere in violazione del diritto di difesa. Dall'inutilizzabilità di tali esami, ma anche dall'assenza di analoga richiesta di esami di conferma per i casi di tumore del polmone, la difesa desume l'assenza di prova certa in ordine alle diagnosi relative alle patologie asbesto-correlate. Trattasi, con evidenza, di una prospettazione inammissibile nel presente giudizio, secondo quanto già evidenziato al par.3.

10. Con riguardo al quarto motivo di ricorso, si tratta di censura inammissibile. La difesa lamenta la violazione degli artt.40, 41, 43, comma 1, 589 e 590 cod. pen. in relazione all'art.533, comma 1, cod. proc. pen. in punto di prova della causalità della colpa nonché vizio di motivazione in punto di diagnosi dei casi di neoplasia polmonare e di asbestosi. Le sentenze di merito non avrebbero affrontato, secondo l'assunto difensivo, il tema dell'efficacia eziologica del c.d. comportamento alternativo lecito in relazione a norme cautelari elastiche, quali sono le disposizioni del d.P.R. 19 marzo 1956, n.303 in materia di cautele da adottare contro il rischio di diffusione di polveri nocive, e in ogni caso hanno fondato il giudizio di colpevolezza sul dato tecnico secondo il quale l'uso di maschere di carta per la protezione dall'inalazione di polveri avrebbe con certezza limitato il rischio di asbestosi ma solo con «molta probabilità» avrebbe limitato il rischio di tumore polmonare e mesotelioma, così cadendo in errar in iudicando.
10.1. La tesi difensiva, che attinge il profilo oggettivo della colpa, non trova riscontro nell'esame della sentenza di primo grado, ove alle pagg.135-143 è stato sviluppato in dettaglio il tema delle condizioni di lavoro in Casaralta nel periodo di riferimento, concludendo tale esame con un giudizio di ritenuta «sistematica e grave violazione in Casaralta dei più elementari obblighi in materia di igiene del lavoro», con particolare riferimento alle norme in materia di difesa contro le polveri; inoltre, alle pagg.142-143, è stato espressamente affrontato il tema dei plurimi rimedi (separazione degli ambienti, uso di aspiratori, umidificazione, sistematico controllo circa l'uso di mascherine di carta) che avrebbero «se non escluso, quantomeno ridotto la concretizzazione del rischio verificatosi», emergendo anche per tale profilo l'inammissibilità per aspecificità della censura.
10.2. I limiti del presente sindacato non consentono di esaminare la sentenza oltre tale punto. La collocazione cronologica dei fatti oggetto del processo, allorchè un espresso divieto di uso dell'amianto non era ancora positivizzato, induce a richiamare i chiari princìpi espressi con riguardo al tema dell'accertamento della causalità della colpa in relazione a norme c.d. «aperte» dalla sentenza Bartalini (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006, dep.2007, Rv. 235661, più nota come sentenza di Porto Marghera): «Esistono regole di condotta ad ampio spettro che - o perché le conoscenze dell'epoca in cui sono state dettate erano ancora limitate o perché si è in presenza di cause dannose o eventi talmente numerosi da rendere impossibile non solo l'enumerazione completa ma anche la loro anticipata individuazione - si limitano a dettare la regola di condotta in relazione all'astratta possibilità del verificarsi di eventi dannosi alcuni dei quali possono essere ancora ignoti. Se una sostanza è riconosciuta come dannosa il legislatore ne può vietare l'impiego, o limitarne l'uso con l'adozione di determinate cautele, proprio perché eventuali conseguenze, se del caso più gravi di quelle note, non sono ancora conosciute». E non può escludersi la responsabilità di colui che violi divieti o regole di condotta che «sono preordinati, in caso di regole per così dire "aperte", anche a prevenire le conseguenze non conosciute ma comunque riconducibili all'area di protezione della norma», posto che in tal caso l'agente si assume tutte le conseguenze della sua condotta, comprese quelle non ancora conosciute, a condizione che la norma sia stata dettata per prevenire anche tali conseguenze. Il discrimine tra il versari in re illicita (la responsabilità oggettiva) e la colpa - ipotizzabile solo in presenza della prevedibilità dell'evento e della realizzazione del rischio - è costituito, nel caso di violazione di una regola cautelare aperta, dalla circostanza che l'evento rientri nel tipo di eventi che la norma mira a prevenire «e purchè non sia completamente diverso da quelli presi in considerazione nella formulazione della regola di cautela e non costituisca uno sviluppo eccezionale della violazione». La questione, sottoposta al collegio, per cui è inadeguato a fondare un giudizio di colpa il comportamento che «molto probabilmente» avrebbe evitato l'evento, imporrebbe un approfondimento valutativo che esula dai limiti del presente sindacato; basterà, in merito, ricordare che il comportamento alternativo lecito in relazione alla violazione di regole cautelari aperte, nonché in relazione ad attività pericolose che si sono svolte in settori in cui, in una determinata epoca, il rischio è consentito, non è quello che garantisce in maniera certa che l'evento non si verifichi ma quello che esprime l'adozione di cautele che la scienza, l'esperienza e l'evoluzione tecnologica dell'epoca sono in grado di suggerire come idoneo nel caso concreto a scongiurare con significative probabilità l'evento effettivamente concretizzatosi (Sez. 4, n. 19512 del 14/02/2008, Aiana, Rv. 240172).

11. Da questo coacervo di elementi emerge un quadro certamente complesso, da interpretare con cautela, ma lontano dal fornire la prova della «evidenza» dell'innocenza che, per quanto sopra si è detto, sola avrebbe imposto l'esito assolutorio richiesto dai ricorrenti; ne consegue il rigetto dei ricorsi proposti da R. C. e Z.F. in relazione alla declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati di omicidio colposo loro rispettivamente ascritti ai danni dei lavoratori Omissis, con condanna dei ricorrenti ai sensi dell'art.616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di R. A., in relazione ai reati per i quali in primo e in secondo grado è intervenuta dichiarazione di prescrizione, essendo tali reati estinti per morte dell'imputata.
Dichiara inammissibili per carenza d'interesse i ricorsi avverso la conferma della declaratoria di estinzione dei reati rispettivamente ascritti a R. C. e Z.F. nei confronti di L.M., M.R., R.C., S. e T. .
Rigetta nel resto i ricorsi di R. C. e Z.F. e li condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20 aprile 2022

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Uso obbligatorio mascherine nei luoghi di lavoro fino a giugno 2022

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Uso obbligatorio mascherine nei luoghi di lavoro fino a giugno 2022

Uso obbligatorio mascherine nei luoghi di lavoro fino a giugno 2022

ID 16554 | 04.05.2022 / In allegato Comunicato MLPS del 4 maggio 2022 

Mantenere il protocollo di sicurezza per il contrasto al Covid nei luoghi di lavoro di aprile 2021 che tra l'altro prevede l'uso obbligatorio delle mascherine "in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all'aperto" (non necessario nel caso di attività svolte da soli) e poi una verifica entro fine giugno per un aggiornamento.

E', a quanto si apprende, la posizione emersa alla riunione delle parti sociali con il ministero del Lavoro, Salute e Mise per la valutazione del "Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid negli ambienti di lavoro".

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Comunicato MLPS del 4 maggio 2022 - Covid: parti sociali confermano validità applicazione protocolli sicurezza e salute

Oggi si è svolta la riunione, con la presenza di rappresentanti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero della Salute, del Ministero dello Sviluppo Economico, dell’INAIL e di tutte le parti sociali per valutare le misure prevenzionali previste dal Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro del 6 aprile 2021.

Tutti i presenti hanno rilevato che, nonostante la cessazione dello stato d'emergenza, persistano esigenze di contrasto del diffondersi della pandemia da COVID-19.

Dopo un approfondito confronto, i partecipanti alla riunione hanno confermato unanimemente di ritenere operante il Protocollo nella sua interezza e di impegnarsi a garantirne l’applicazione, proseguendo dunque lungo la direzione dell’importante funzione prevenzionale che l’accordo ha consentito per contrastare e contenere la diffusione dei contagi dal virus nei luoghi di lavoro.

Infine i partecipanti hanno convenuto di fissare un nuovo incontro entro il prossimo 30 giugno per verificare l’opportunità di apportare i necessari aggiornamenti al testo del Protocollo connessi all’evoluzione della situazione epidemiologica.

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Fonte: MLPS 

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Smart working: Proroga per lavoratori fragili al 30.06.2022

ID 16524 | | Visite: 2924 | News Sicurezza

Smart working Proroga per lavoratori fragili al 30 06 2022

Smart working: Proroga per lavoratori fragili al 30.06.2022

ID 16524 | 01.05.2022

Approvato in Commissione Affari Sociali alla Camera l’emendamento, fortemente sostenuto dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, che proroga al 30 giugno 2022 il regime di tutela per i lavoratori fragili (diritto allo smart working per tutti i fragili e per specifiche categorie di fragili, ove non sia possibile svolgere lavoro in modalità agile, equiparazione al ricovero ospedaliero), in sede di esame del disegno di legge di conversione al decreto-legge n. 24 del 2022 (Covid riaperture).

Prorogato inoltre il diritto allo smart working anche per i genitori di figli con fragilità, nonché, fino al 31 agosto 2022, le modalità di comunicazione semplificata per lo smart working per tutti i lavoratori del settore privato.

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Fonte: MLPS

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Advanced robotics, artificial intelligence and the automation of tasks

ID 16500 | | Visite: 1084 | Documenti Sicurezza UE

Advanced robotics  artificial intelligence and the automation of tasks

Advanced robotics and artificial intelligence for the automation of tasks at work: current status and considerations for OSH

EU-OSHA, 27.04.2022

Automation in the workplace is rising. While advances in technologies are opening up new opportunities, they also offer new challenges for the future of occupational safety and health (OSH).

As part of its 4-year research programme on digitalisation, EU-OSHA has published an initial report to address types and definitions of artificial Intelligence (AI) and advanced robotics for the automation of tasks at work. The report also maps current and potential uses across sectors and tasks – from industrial and warehousing robots to AI software in the healthcare sector and gives an overview of policies and strategies at EU and national level.

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Table of contents

1 Introduction and objectives

2 Methodology

3 Types and definitions of AI-based systems for the automation of tasks
3.1 The task approach
3.2 Definitions of AI-based systems
3.3 Major technologies for the automation of cognitive and physical tasks
3.4 Taxonomy for AI-based systems and the automation of tasks

4 Mapping of current and potential uses
4.1 Automation of cognitive tasks
4.1.1 Distribution of technologies and applications
4.1.2 Sectoral distribution
4.1.3 Impacted tasks (and jobs)
4.2 Automation of physical tasks
4.2.1 Distribution of technologies and applications
4.2.2 Sectoral distribution
4.2.3 Impacted tasks (and jobs)
4.3 Task impact – Evaluation and preliminary OSH implications

5 Overview of policies and strategies
5.1 European level
5.1.1 Regulation
5.1.2 Strategies, programmes, initiatives and campaigns
5.1.3 Gaps and needs
5.2 National level
5.2.1 Regulation
5.2.2 Strategies, programmes, initiatives and campaigns
5.2.3 Gaps and needs

6 Summary and Conclusion

7 References

8 ANNEX
8.1 Detailed methodology systematic literature reviews
8.2 Detailed review results
8.2.1 AI-based systems
8.2.2 Human-robot interaction
8.2.3 Automation of tasks (AOT)
8.3 Overview of analysed studies

List of figures and tables

Figure 1: Selection process for scientific literature
Figure 2: Task categorisation with example tasks
Figure 3: Evolution of EU policy on AI and advanced robotic systems
Figure 4: Taxonomy for AI-based systems and advanced robotics for the automation of tasks
Figure 5: Automation of cognitive tasks – NACE sector distribution according to scientific literature
Figure 6: Automation of physical tasks – NACE sector distribution according to scientific literature
Figure 7: NACE (v. 2) code of enterprises with HRI according to ESENER-3
Figure 8: Procedure for the systematic literature searches
Figure 9: Overview of selection process for systematic reviews on AI-based systems
Figure 10: Overview of selection process for meta-analyses on AI-based systems
Figure 11: Overview of selection process for systematic reviews on HRI
Figure 12: Overview of selection process for meta-analyses on HRI
Figure 13: Overview of selection process for systematic reviews on AOT
Figure 14: Overview of selection process for meta-analyses on AOT

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Fonte: EU OSHA

Direttiva 2004/37/CE

ID 4196 | | Visite: 19970 | Legislazione Sicurezza UE

Direttiva 2004 37 CE

Direttiva 2004/37/CE / Consolidato Aprile 2022

ID 4196 | 19.06.2017

Direttiva 2004/37/CE del Parlamento europeo del Consiglio del 29 aprile 2004 sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro (sesta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio)

(GU L 229/23 del 29.6.2004)

Entrata in vigore: 19.07.2004
______

Parte A
Direttive abrogate: (di cui all'articolo 20)

Direttiva 90/394/CEE del Consiglio (GU L 196 del 26.7.1990, pag. 1)
Direttiva 97/42/CE del Consiglio (GU L 179 dell'8.7.1997, pag. 4)
Direttiva 1999/38/CE del Consiglio (GU L 138 dell'1.6.1999, pag. 66)
_______

Modificata da:

Direttiva 2014/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (GU L 65 1 5.3.2014) - Consolidato 03.2014
Direttiva (UE) 2017/2398 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 Dicembre 2017 (GU L 345/87 27.12.2017)
Direttiva (UE) 2019/130 del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 gennaio 2019 (GU L 30/112 31.01.2019)
Direttiva (UE) 2019/983 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 (GU L 164/23 20.06.2019) 
Regolamento (UE) 2019/1243 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 (GU L 198/241 25.7.2019)  - Consolidato 07.2019
Direttiva (UE) 2022/431 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2022 (GU L 88/1 del 16.03.2022) - Consolidato 04.2022
Direttiva (UE) 2024/869 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 marzo 2024 (GU L 2024/869 del 19.3.2024) [...]

Rettificata da:

Rettifica, GU L 229 del 29.6.2004, pag. 23 (2004/37/CE)
Rettifica, GU L 041, 14.2.2018, pag. 15 (2017/2398)
Rettifica, GU L 146, 5.6.2019, pag. 116 (2019/130)

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 1471 | 15 gennaio 2014

ID 16482 | | Visite: 1387 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale, Sez. 4, 15 gennaio 2014, n. 1471

Infortunio mortale: responsabilità penale di un direttore dei lavori?

 

Con sentenza n. 1471 del 15 gennaio 2014, la Corte di Cassazione ha affermato che il direttore dei lavori non è sempre responsabile penalmente per l’infortunio mortale occorso al lavoratore edile che, senza gli adeguati dispositivi di protezione individuale, muore cadendo dal muro in costruzione.

 

La Suprema Corte ha specificato che la responsabilità in materia di sicurezza, per poter essere imputata al direttore dei lavori, deve essere verificata attraverso documenti o comportamenti che possano provare tale incarico, in quanto la nomina a direttore dei lavori non necessariamente comporta anche la delega alla sicurezza sul lavoro, ma può riguardare esclusivamente la sorveglianza tecnica dell’esecuzione del progetto.

 

Fatto

1. Con sentenza del 10/12/2012 la Corte d'Appello di Palermo, quale giudice di rinvio a seguito di sentenza di annullamento della Sezione Quarta della Corte di Cassazione del 17/04/2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 09/06/2008, ha ridotto la pena a mesi sette di reclusione ciascuno nei confronti di G. G. e M. B. per il reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, c.p. per avere cagionato per colpa, nelle rispettive vesti di agente tecnico e di direttore dei lavori del cantiere di costruzione di un casotto di campagna, la morte di R. D. V. a seguito di lesioni da precipitazione, dichiarando il concorso di colpa della persona offesa nella misura del 25%.

2. Ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore anzitutto G. G. che, con un primo motivo, lamenta l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40 cpv., 45, 113 e 589 c.p. Dopo avere premesso che la Corte di cassazione era giunta ad annullare la sentenza di condanna avendo questa omesso di stabilire se la temporanea assenza dal cantiere di G. lo esonerasse dalle obbligazioni sullo stesso gravanti, e dopo avere precisato i compiti spettanti al preposto in relazione a quanto disposto dagli artt. 2 e 19 del d. lgs. n. 81 del 2008 (ed in particolare l'obbligo di sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge e delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e di protezione individuale), evidenzia che gli stessi presuppongono la presenza nel cantiere; si duole che a fronte del legittimo allontanamento dal cantiere di G. la Corte di Palermo abbia ancora una volta affermato che allo stesso dovesse attribuirsi la responsabilità del fatto per avere omesso di costantemente sorvegliare e vigilare sull'operato degli altri lavoratori.

2.1. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell'obbligo di uniformarsi alla decisione della questione di diritto della Corte di cassazione avendo ancora una volta sottolineato che la assenza di G. dal cantiere non poteva escluderne la responsabilità.

2.2. Con un terzo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione per contrasto con la sentenza di annullamento della Corte di cassazione, avendo la sentenza recuperato la responsabilità di G. facendo perno sull'affidamento colpevolmente riposto nelle capacità del capo squadra C., definitivamente condannato, e, così facendo, mutato la natura della responsabilità, trasformata da culpa in vigilando in culpa in eligendo. In sostanza, a G. si sarebbe rimproverato di avere consentito che le mansioni di capo squadra venissero svolte in sua assenza dall'imputato C. quale soggetto tuttavia inidoneo perché dotato della qualifica dì bracciante agricolo. Tuttavia tale argomentazione viene contraddittoriamente smentita da altre affermazioni contenute nella sentenza e, segnatamente, dal rilievo in ordine al fatto che l'investitura di C. avvenne non per estemporanea iniziativa di G. ma, prima ancora dell'inizio dei lavori, in ragione di un ordine scritto firmato dal direttore dei lavori M. e che la scelta delle persone da avviare al lavoro in ciascun cantiere era sempre da ricondurre al direttore dei lavori M.. In ogni caso contesta che C. fosse soggetto non idoneo alla mansione ricoperta posto che presupposto funzionale all'affermazione di responsabilità dello stesso da parte della Corte di cassazione è stato il vaglio preliminare delle capacità tecniche dello stesso con riguardo alla specifica incombenza da espletare (e senza rilevare peraltro che la attività di sorveglianza non richiedeva invece una specifica abilità tecnica posto che l'attività pericolosa posta in essere non era attinente alle tecniche di costruzione del ponteggio ma alle modalità di trasporto di materiali).

2.3. Con un quarto motivo lamenta la nullità della sentenza per erronea applicazione degli articoli 40 e 589 c.p. e di altre norme giuridiche presupposte o richiamate, dovendo valere anche per il ricorrente il criterio di elisione di responsabilità per incapacità tecnica o inadeguatezza all'espletamento della mansione; pur essendo stata rimproverata all'imputato l'inosservanza in particolare dell’articolo 2087 c.c. e dell’articolo 381 del d.p.r. n. 547 del 1955 per omessa vigilanza sull'uso del casco da parte della vittima, nessuna delle sentenze di merito ha mai revocato in dubbio che G. non fosse dotato di alcuna specifica competenza tecnica non essendo geometra né dotato di alcuna abilitazione; rileva inoltre che il principio civilistico non può essere applicato a soggetti diversi dall’imprenditore, soprattutto quando questi non siano dotati della necessaria formazione e preparazione professionale; del resto l'attribuzione al preposto di una mole considerevole di oneri e obblighi presuppone che egli possa adempiervi in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli; e nella specie la legge regionale Sicilia n. 16 del 1996 dispone che agli agenti tecnici possano essere richieste prestazioni proprie di tutti i profili professionali compresi nella qualifica, salvi i casi in cui siano richieste specifiche abilitazioni. Rileva inoltre che nessuna delle violazioni contestate potrebbe essere posta in efficienza causale rispetto all'evento e, ancor prima, al comportamento imprudente posto in essere dal lavoratore giacché nessuna delle misure indicate dalla Corte avrebbe in concreto evitato l'evento quand'anche adottata. Illogica e contraddittoria è poi l'affermazione di responsabilità per l'asserita violazione dell'art. 381 del d.p.r. n. 547 del 1955, perché è stato provato che l'imputato ebbe a consegnare il 5 maggio 2000 a tutti i lavoratori i presidi personali di sicurezza e nessuna violazione delle regole di condotta funzionale risulta essere stata mai segnalata dai lavoratori al preposto nei giorni precedenti l'incidente; d'altra parte l'uso effettivo del casco avrebbe dovuto essere verificato da chi era presente in cantiere nelle fasi immediatamente precedenti l'infortunio e non da chi era giustificatamente assente. Né la morte della persona offesa è stata causata da trauma cranico bensì da lesioni Interne con conseguente assenza del nesso causale.

2.4. Con un quinto motivo si duole della manifesta illogicità risultante da atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e in particolare del travisamento della prova. Premette che nell'originario atto di appello si era contestata l'affermazione della Corte di avere egli impartito, su disposizione di M., l'ordine di costruire il ponteggio al lavoratore R. D. posto che da un lato in sede di esame dibattimentale l'imputato aveva affermato che egli lo stesso giorno era impegnato presso altri cantieri e dall'altro risultando tale presenza presso diversi cantieri dai documenti prodotti all'udienza del 28 maggio 2007. In proposito la Corte di Cassazione, annullando la sentenza, aveva rilevato come, di fronte a dette acquisizioni probatorie, la corte territoriale avrebbe dovuto motivare adeguatamente la scelta in forza della quale giungeva alle conclusioni relative all'impartito ordine. Ciò posto, lamenta che la nuova sentenza della corte territoriale è incorsa in ulteriori e più gravi travisamenti di prova laddove ha ritenuto provato il conferimento dell'ordine di realizzazione del ponteggio in base alle dichiarazioni del teste M., posto che questi, nel ricordare il programma dei lavori da svolgersi che comprendeva anche l'erezione di un ponteggio, ha collocato la riunione, nella quale egli apprese tale circostanza nei pomeriggio del 10 maggio 2000, ovvero proprio il giorno in cui si verificò l'infortunio; sicché, fu in quel giorno che avvenne l'incontro presso i locali dell'ispettorato provinciale tra M. e G., mentre prima di quella data non era stato ancora disposto che il tetto venisse realizzato e che il ponteggio venisse innalzato, come ulteriormente confermato dallo stesso teste M.. Pone infine in ogni caso in rilievo l'illogica motivazione della sentenza impugnata ove la stessa continua a non dare conto del perché la documentazione inerente i concomitanti impegni del G. il 9 maggio 2000 (ovvero la data in cui C. ha riferito di avere ricevuto l’ordine di elevazione del ponteggio) fosse da ritenersi irrilevante o superabile.

3. Ha proposto ricorso anche M. B..

Con un primo motivo lamenta violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova. In particolare lamenta che la Corte avrebbe stravolto il contenuto delle dichiarazioni del teste M. secondo cui la disposizione di erigere l'impalcatura era stata data da M. a G. e da questi era stata data al capo operaio C.. Tuttavia, poiché secondo M. dette disposizioni erano evidentemente state date da M. all'interno del suo ufficio in occasione dell'unico incontro tra questi svoltosi a Palermo il giorno stesso dell'infortunio ai fini delle programmazione dell'attività nei giorni seguenti, nessuna specifica disposizione sull'erezione del ponteggio poteva essere stata data. Inoltre lo stesso G. ha escluso di avere ricevuto tale disposizione da M.. Lamenta inoltre, illustrando l'ordinario assetto organizzativo dei cantieri, la non corretta ricostruzione dell'organizzazione del lavoro nel cantiere di specie che, secondo la Corte, avrebbe reso, in assenza di specifiche attribuzioni, tutti responsabili di tutto. Censura altresì le argomentazioni della Corte in ordine al non idoneo impiego ed inquadramento dei lavoratori impegnati nel cantiere, tra cui la persona offesa, in relazione ai loro profili professionali.

3.1. Con un secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 43 c.p., 2087 c.c., 21, 22 e 36 quater del d.P.R. n. 626 del 1994 nonché art. 381 del d.P.R. n. 547 del 1977. Con riguardo anzitutto all'art. 2087 c.c. osserva che, incombendo alle figure apicali dell'assessorato competente l'intera materia concernente la sfera organizzativa dei cantieri, il direttore del cantiere potrebbe essere ritenuto responsabile solo ove lo stesso si fosse dìscostato dagli schemi organizzativi impostigli.

Quanto all'art. 36 quater cit. osserva che, a fronte di un obbligo, previsto da un complesso di norme antinfortunistiche, di misure da apprestarsi per i ponteggi posti ad un'altezza di almeno due metri dal suolo, nella specie il piano di lavoro non superava 1,20 - 1,50 metri; circa poi la violazione degli artt. 21 e 22 del d. lgs. n. 626 del 1994, contestando nuovamente la mancanza di elementi per affermare una omessa formazione ed informazione dei lavoratori sui rischi e sulle norme antinfortunistiche, incombenze, queste, attribuibili non certo a M. ma al direttore generale delle foreste, all'ispettore provinciale o al responsabile della sicurezza e, se del caso, all'assessore pro tempore; parimenti contesta che a M. fosse addebitabile l'omessa vigilanza sull'uso del casco da parte della vittima anche ammesso che nella circostanza tale uso non sia effettivamente avvenuto.

3.2. Con un terzo motivo lamenta la violazione di legge in ordine alla mancanza di nesso di causalità tra la condotta colposa e l'evento. Osserva che l'unica condotta atta a impedire concretamente l'evento, tanto più essendo stato il comportamento della persona offesa palesemente anomalo, imprevedibile ed imprevisto, avrebbe dovuto essere il controllo fisico diretto, continuo e costante, spettante al solo caposquadra C., riconosciuto infatti come definitivamente colpevole. Anche l'attribuzione di una responsabilità ad ognuno nella misura del 25% sarebbe sganciata da una puntuale individuazione di ogni singola condotta asseritamente illecita. In particolare, rispetto alle violazioni di legge addebitate a M. non vi sarebbe in sentenza alcuna indicazione da cui potere desumere l’efficienza causale delle stesse rispetto alla verificazione dell'evento. Nessun accorgimento tecnico nella attività di montaggio del ponteggio in particolare sulla base di un piano precedentemente redatto, avrebbe impedito che la persona offesa salisse scriteriatamente sul muro per passare delle tavole.

Diritto

4. Entrambi i ricorsi sono fondati nelle parti in cui lamentano, all'interno dei vari motivi di doglianza (segnatamente, il primo, secondo, terzo e quarto del ricorso di G. ed il secondo e terzo motivo del ricorso di M.), una mancanza di motivazione in ordine al profilo della colpa addebitata agli imputati in relazione ai rilievi evidenziati dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio.

Va anzitutto posto in rilievo come la Corte territoriale, sia pure ai fini di delineare, in relazione alla rimodulazione del trattamento sanzionatorio e alla determinazione delle percentuali di responsabilità gravanti su ciascuno degli appellanti, il comportamento imprudente ed imperito tenuto dal lavoratore R. D., abbia ricostruito, nella sentenza impugnata, la dinamica dell'accaduto in termini chiari ed inequivoci: il lavoratore, hanno infatti precisato i giudici del rinvio a pag. 15 della sentenza impugnata, ebbe "senza caschetto protettivo e privo di imbracatura peraltro non predisposta, facendo forse affidamento sulle proprie capacità di equilibrio e comunque nel rispetto della direttiva ricevuta, agendo senza il dovuto controllo da parte del G. e del M. oltre che del C." ad avventurarsi "sul cordolo alla sommità del muro in costruzione allo scopo di passare ai compagni di lavoro alcune tavole di lavoro per montare un ponteggio", così contribuendo al verificarsi dell'evento.

Ne consegue come, a fronte, del resto, dell'imputazione incentrata espressamente sulla mancata adozione delle "necessarie cautele", in tanto può essere addebitata agli imputati una condotta omissiva colposa in quanto siano individuate a loro carico condotte omissive (rispetto a doveri sugli stessi incombenti per legge) che si pongano in relazione di causalità con tale evento secondo il necessario parametro del giudizio cosiddetto "controfattuale" nel senso della necessità di verificare se lo stesso, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), si sarebbe ugualmente verificato.

Ciò posto, la Corte territoriale avrebbe dunque dovuto, per necessaria coerenza con quanto da essa stessa ricostruito in ordine alla dinamica dell'infortunio, individuare, all'interno di un percorso motivazionale che tenesse conto, altresì, delle indicazioni evidenziate dalla Quarta Sezione di questa Corte nella sentenza di annullamento, specifiche condotte che, ove tenute, avrebbero (come già affermato con riferimento all'imputato G.) evitato che il lavoratore si "avventurasse", appunto, sulla sommità del muro noncurante delle misure protettive (segnatamente caschetto ed imbracatura) e, in tal modo, cadesse a terra dall'alto.

Sennonché, mentre con riguardo al già condannato C., la condotta omissiva è stata propriamente individuata, come già posto in rilievo da questa Corte, nel non avere lo stesso, presente al momento del fatto in cantiere, impedito al lavoratore di salire appunto, in assenza di ogni possibile cautela, sulla sommità del tetto, ove era in costruzione un ponteggio, per passare agli altri operai il materiale da utilizzare per detta costruzione, con riguardo agli odierni ricorrenti la motivazione della sentenza impugnata si è soffermata, senza adeguatamente considerare i rilievi svolti nella sentenza di annullamento con rinvio, su condotte che, per come valutate in sentenza, appaiono di per sé non conferenti rispetto al già considerato necessario piano di causalità colposa.

E ciò anzitutto con riguardo all'addebito, sul quale la sentenza impugnata si sofferma con particolare attenzione, rappresentato dall'impartito ordine di realizzazione dell'impalcatura.

Secondo la sentenza impugnata, infatti (si vedano in particolare le pagg. 11 e 12), l'ordine di realizzare detta impalcatura venne dato, come confermato dal teste M., collega di lavoro di M., da quest'ultimo a G. affinché egli poi lo riferisse in particolare al capo operaio C. che era autorizzato, in assenza dell'agente tecnico, ad impartire le disposizione agli altri operai. E tuttavia, pur apparendo non sindacabile la valutazione delle prove che hanno logicamente condotto la Corte ad una tale conclusione (censurata da G. con sulla base di considerazioni tutte inammissibili giacché volte ad introdurre considerazioni fattuali e di natura alternativa esulanti dai limiti di cognizione di questa Corte), la sentenza non spiega, fondamentalmente ricadendo nell'impostazione già censurata nella sentenza della Quarta Sezione, perché un tale ordine (peraltro espressivo di una condotta commissiva e non omissiva), di per sé solo concretante né più né meno che una lecita disposizione di lavoro, dovrebbe integrare in sé solo considerato un profilo di colpa da porsi in relazione causale con un evento (la caduta dal tetto del casotto) da tale ordine dipendente solo per un fatto di consequenzialità occasionale.

Avrebbe invece la Corte dovuto spiegare le ragioni per le quali in realtà, evidentemente, non tanto l'ordine in sé di realizzare l'impalcatura quanto quello di procedere ai lavori ad essa finalizzati in consapevole assenza delle necessarie regole di cautela (quale condotta del resto addebitata anche al già condannato C.) fosse ricollegabile e in che modo alla posizione dei due imputati.

E ciò senza trascurare, da un lato, le rispettive qualifiche dagli imputati stessi rivestite, peraltro all'Interno di una organizzazione che la sentenza stessa (vedi pag.10 - 11 della sentenza) ha definito come "piramidale" (da ciò derivando la necessità di tenere conto, nel contesto evidentemente gerarchico che contrassegna l'Ispettorato Forestale, della latitudine di spazi decisionali consentita ai vari soggetti in esso operanti), ed i conseguenti compiti da esse derivanti in concreto e, dall'altro, l'elemento della assenza dal cantiere, il giorno del fatto, dell'agente tecnico G..

Sotto il primo aspetto, in particolare, deve ribadirsi, quanto al direttore dei lavori M., che, come già ricordato dalla Sezione Quarta di questa Corte, la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro ben potendo l’incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto (Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003, Viscovo, Rv. 227070;Sez. 4, n. 12993 del 25/06/1999, Galeotti, Rv. 215165; Sez.3, n. 11593 del 01/10/1993, Telesca, Rv.196929). Si è infatti chiarito, sia pure con riferimento agli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 547 del 1955 (essendo sotto tale profilo analogo il disposto degli attuali art. 17, 18 e 19 del d. lgs. n. 81 del 2008), che destinatari delle norme antinfortunistiche sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, mentre il direttore dei lavori per conto del committente è tenuto alla vigilanza dell'esecuzione fedele del capitolato di appalto nell'interesse di quello e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche ove non sia accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l’individuazione di comportamenti che possano testimoniare in modo in equivoco l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere o l'esercizio di tali funzioni.

Sotto il secondo aspetto, poi, sempre questa Corte, con la sentenza di annullamento con rinvio, ha posto in rilievo la necessità di stabilire se la temporanea assenza comunque giustificata di G. potesse dare luogo a valido esonero dalle obbligazioni di garanzia che sullo stesso gravavano.

Entrambi tali aspetti, già evidenziati con la sentenza di annullamento di questa Corte, sono stati formalmente presi in esame dal giudice di rinvio; quanto al primo, avendo i giudici di appello definito, sulla base delle dichiarazioni del teste M., M. "principale gestore del cantiere" e non semplice incaricato della sorveglianza tecnica, e, quanto al secondo, avendo ritenuto che a nulla potesse valere,a fronte dell'omissione di cautele doverose, il fatto del contestuale impegno lavorativo presso altri cantieri, tanto più essendo emerse palesi carenze nella individuazione dei collaboratori.

Entrambe le risposte, tuttavia, si fondano sulla premessa, come già visto in principio, non corretta, che a fondare la colpa contestata sia stata di per sé sufficiente la sola prescrizione, rivolta, lungo la "catena" gerarchica, al lavoratore di procedere alla realizzazione dell'impalcatura mentre l'analisi dell'incidenza "esimente" dei due profili indicati nella sentenza di annullamento avrebbe dovuto essere, più correttamente, secondo i principi sopra esposti, parametrata sul nesso di causalità con l'evento verificatosi rispetto al quale tale realizzazione si poneva unicamente come antecedente storico.

Sicché, in definitiva, la sentenza impugnata ha finito per riproporre le cadenze di un ragionamento già ritenute non correttamente motivate, imponendosene, quindi, l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sopra evidenziati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 29792 | 1° giugno 2015

ID 16480 | | Visite: 1395 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 1° giugno 2015 n. 29792

Cade un montacarichi sull'operaio assunto irregolarmente. Per affermare la responsabilità di un direttore dei lavori è necessario provare l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere

Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA
Data Udienza: 17/06/2015

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro ben potendo l'incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto.
Si è, infatti, chiarito, sia pure con riferimento al d.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 5, (essendo sotto tale profilo analogo il disposto degli attuali d.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 17, 18 e 19), che destinatari delle norme antinfortunistiche sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, mentre il direttore dei lavori per conto del committente è tenuto alla vigilanza dell'esecuzione fedele del capitolato di appalto nell'interesse di quello e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche ove non sia accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere.
Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano testimoniare in modo inequivoco l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere o l'esercizio di tali funzioni.
Nel caso in esame, la Corte di merito, ha ritenuto il direttore dei lavori corresponsabile della situazione di grave disordine del cantiere, a prescindere dalla questione del difetto del dispositivo di sicurezza anticaduta del montacarichi, che aveva dato causa all'evento mortale e non si è soffermata sulle concrete attribuzioni allo stesso affidate e sulle circostanza indicative della sua ingerenza nella organizzazione del cantiere.

Fatto

P.E. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in parziale riforma di quella di primo grado, riconosciute le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, ha dichiarato non doversi procedere a suo carico per il reato di omicidio colposo, commesso in violazione della normativa antinfortunistica [in danno del lavoratore D.W.A., in data 26.6.2003], confermando le statuizioni civili.
La Corte di merito, ripercorrendo gli argomenti già sviluppati in primo grado, individuava i profili di colpa del P.E., quale direttore dei lavori in un cantiere per la edificazione di un edificio abitativo, nella posizione di garanzia dallo stesso rivestita nella qualità di direttore dei lavori e nella inerzia dello stesso, che aveva contribuito, sia pure in misura minore rispetto alla gravissima condotta colposa del coimputato M., non ricorrente, alla determinazione dell'infortunio mortale, verificatosi a seguito della caduta del montacarichi, sganciatosi dall'anello e precipitato sull'operaio, irregolarmente assunto nel cantiere.
Con il ricorso si articolano due motivi.
Con il primo si deduce la manifesta illogicità della motivazione sostenendo il travisamento della prova testimoniale resa dall'ispettore del lavoro che aveva affermato la sussistenza di un grande disordine nel cantiere il giorno dopo l'evento mortale senza nulla riferire sulla consapevolezza in capo all'imputato- che saltuariamente controllava la conformità urbanistica della edificando costruzione- di una evidente pericolosità nella organizzazione del cantiere. Si lamenta, altresì, la manifesta illogicità della sentenza laddove la Corte di merito, dopo aver affermato che il direttore dei lavori diviene responsabile solo nel caso di ingerenza nella organizzazione dei lavori, aggiungeva che "non era questo il caso".
Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla conferma delle statuizioni civili nonostante il riconoscimento della preponderanza della colpa del coimputato.

Diritto

La Corte ritiene che il ricorso sia fondato, sia pure nei limiti di seguito indicati.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale l'intervenuta declaratoria di prescrizione del reato con la sentenza impugnata, non esclude che debba esaminarsi l'eventuale fondatezza del ricorso, anche laddove evoca un difetto di motivazione della sentenza gravata, essendovi le statuizioni civili su cui occorre provvedere, onde l'auspicato [dal ricorrente] proscioglimento nel merito dovrebbe essere adottato ex articolo 129, comma 2, c.p.p., per il principio del favor rei, anche allorquando si vertesse in ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova della responsabilità (cfr. Sezioni unite, 28 maggio 2009, Tettamanti).
Nel caso in esame la motivazione della sentenza gravata appare lacunosa poiché la Corte distrettuale non ha adeguatamente affrontato il tema della colpa imputabile al P.E. nella qualità di direttore dei lavori, essendosi soffermata sulla posizione di garanzia dallo stesso rivestita e su una situazione di estremo disordine del cantiere, al quale avrebbe contribuito in modo ineludibile l'inerzia dell' imputato.
Tali conclusioni non si confrontano con le censure sviluppate con i motivi di impugnazione e con i principi consolidati di questa Corte in ordine agli obblighi gravanti sul direttore dei lavori.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte ( v. da ultimo, Sezione IV, 13 febbraio 2014, n. 18459, Brioschi ed altri), la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro ben potendo l'incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto ( v. in questo senso anche Sezione IV, 26 marzo 2003, Viscovo, rv. 227070).
Si è, infatti, chiarito, sia pure con riferimento al d.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 5, (essendo sotto tale profilo analogo il disposto degli attuali d.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 17, 18 e 19), che destinatari delle norme antinfortunistiche sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, mentre il direttore dei lavori per conto del committente è tenuto alla vigilanza dell'esecuzione fedele del capitolato di appalto nell'interesse di quello e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche ove non sia accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere.
Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano testimoniare in modo inequivoco l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere o l'esercizio di tali funzioni.
Nel caso in esame, la Corte di merito, ha ritenuto il P.E. corresponsabile della situazione di grave disordine del cantiere, a prescindere dalla questione del difetto del dispositivo di sicurezza anticaduta del montacarichi, che aveva dato causa all'evento mortale e non si è soffermata sulle concrete attribuzioni allo stesso affidate e sulle circostanza indicative della sua ingerenza nella organizzazione del cantiere.
In questa situazione il giudice di appello ha affermato, senza i necessari riscontri, che il P.E. sarebbe venuto meno ai doveri fondamentali gravanti sul direttore dei lavori, omettendo di esercitare un efficace controllo ed una diligente vigilanza al fine di far rispettare le disposizioni impartite.
Si impone, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente precisato che, nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato senza adeguatamente motivare in ordine alla responsabilità dell'imputato ai fini delle statuizioni civili, l'eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'imputato impone l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell'art. 622 c.p.p.(così Sezioni unite, 18 luglio 2013, Sciortino, rv. 256087). Il giudice civile si pronuncerà anche sulla questione prospettata con il secondo motivo di ricorso afferente le statuizioni civili irrogate con la sentenza di primo grado.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette il regolamento delle spese tra le parti anche per il presente giudizio.

Così deciso in data 17 giugno 2015

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 25816 | 07 Giugno 2018

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 07 Giugno 2018 n. 25816

Estrema genericità sia del documento di valutazione dei rischi, sia del POS

Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.25816 del 07/06/2018
udienza del 18/01/2018
Presidente BLAIOTTA ROCCO MARCO 
Relatore MICCICHE' LOREDANA 

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, a seguito di giudizio abbreviato, ha affermato la responsabilità di G.D., A.A. e M.A. in ordine al reato di cui agli artt. 113, 81 e 589 c.p..
1.1. La sentenza è stata parzialmente riformata in punto di pena dalla Corte d'Appello di Messina che ha rideterminato la condanna inflitta a G.D.. Agli imputati si è contestato di aver cagionato per colpa la morte dei lavoratori G.P. e D.G., vittime di infortunio nell'esecuzione dei lavori di revisione e manutenzione straordinaria dei corpi illuminanti del molo di (OMISSIS), lavori appaltati dalla Autorità Portuale e aggiudicati alla società E. F. di G.D. e C sas, di cui l'imputato G.D. era socio accomandatario e A.A. socio accomandante. Il M., addetto all'Ufficio del Genio civile di Palermo, era stato chiamato a rispondere quale direttore dei lavori.
1.2. Secondo la ricostruzione dei fatti, il (OMISSIS) i due operai, incaricati di procedere alla sostituzione dei corpi illuminanti posti su un palo dell'illuminazione di altezza di circa 30 metri (cd. torre - faro) avevano abbassato l'altezza del suddetto palo a 2,50 m. Mentre erano intenti a lavorare su una scala a forbice, smontati i fari da sostituire, a causa di un non corretto utilizzo del meccanismo di contrappeso che consentiva abbassamento e l'innalzamento del palo, dovuto alla assoluta mancanza di informazione circa il regolare funzionamento del sistema, avevano provocato la caduta del contrappeso con conseguente immediato innalzamento ed "effetto a molla" del palo. I due lavoratori, rimasti aggrappati alla sommità del palo, erano stati quindi violentemente sbalzati a notevole distanza, precipitando e riportando lesioni che li conducevano a morte immediata. Agli imputati si era rimproverato, in punto di colpa specifica, la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4, 22 e 35, per non aver valutato i rischi della lavorazione e non aver fornito ai lavoratori le informazioni necessarie per eseguire i lavori cui erano addetti e, altresì, per non aver previsto l'adozione di dispositivi di protezione individuale (cinture di sicurezza e dispositivi anticaduta). Al M., direttore dei lavori incaricato dalla committente Autorità portuale, si è invece contestato di non aver illustrato alla ditta appaltatrice il funzionamento del meccanismo "a bilancia" inserito all'interno del palo, che ne regolava la movimentazione verso il basso e verso l'alto. Il M., dipendente del Genio Civile - Opere marittime per la Sicilia, aveva redatto il progetto dei lavori di manutenzione straordinaria del porto di (OMISSIS) per incarico della Autorità portuale di M., e risultava nominato Direttore dei lavori con dichiarazione del dirigente del Genio Civile. Il lavoratore
G.P. era dipendente della A. C. S.r.l., cui la società appaltatrice E. F. aveva affidato un incarico di collaborazione nei lavori di manutenzione della banchina portuale, mentre l'altro lavoratore, D.G., era dipendente della appaltatrice E. F..
2. Il Tribunale, richiamata la normativa antinfortunistica all'epoca vigente e, in particolare, gli specifici obblighi in capo al committente di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996 e, per gli appalti pubblici, del D.P.R. n. 554 del 1999, rilevava, in primo luogo, una assoluta carenza dei progetti della committenza circa la compiuta descrizione delle opere da eseguire, nonchè la mancata predisposizione del piano di sicurezza e coordinamento e di un documento progettuale valutativo dei rischi specifici dei lavori di manutenzione della torre - faro. Rilevava poi che il geometra M. risultava, in base a tutti i documenti dell'appalto, anche quale direttore tecnico, oltre che direttore dei lavori e che, in tale veste, aveva specifici compiti di controllo dei lavori e di informazione in ordine ai rischi connessi alla movimentazione della torre - faro; per di più, avendo predisposto il progetto in ordine alla realizzazione delle opere, avrebbe dovuto mettere a disposizione i documenti progettuali della cd torre faro, senza contare sulla asserita specializzazione della Ditta appaltatrice; al contrario, egli stesso aveva ammesso di non essere stato neppure presente per la gran parte della esecuzione dei lavori. Veniva poi affermata la responsabilità del datore di lavoro G.D., legale rappresentante della società E. F., per omessa valutazione del rischio da caduta in ordine ai lavori da eseguire sulla torre - faro e per mancata predisposizione e fornitura ai lavoratori dei presidi di sicurezza. Affermava poi la responsabilità anche dell'A., socio accomandante, ritenendo accertato il compimento, da parte di quest'ultimo, delle attività di gestione della società e dell'assunzione, pertanto, del ruolo di amministratore di fatto e quindi del ruolo datoriale; inoltre, il predetto rivestiva - su espressa delega conferita da parte del socio accomandatario G.D., risultante dal POS - anche la qualifica di direttore tecnico del cantiere.
3. La Corte d'Appello di Messina confermava la sentenza di primo grado, ribadendo la configurabilità delle posizioni di garanzia del legale rappresentante della E. F. D.G. e dell'A., amministratore di fatto e direttore tecnico del cantiere, ribadendo la violazione, da parte di questi ultimi, della normativa antinfortunistica, anche sotto il profilo della mancata acquisizione della documentazione inerente al funzionamento delle torri - faro, della mancata previsione dei rischi della relativa lavorazione del documento di valutazione rischi; nella formazione e informazione dei lavoratori. Quanto al M., la Corte territoriale, nell'argomentare in ordine ai motivi di appello inerenti all'erronea attribuzione della qualifica di direttore dei lavori e, comunque, di una posizione di garanzia, - richiamata la formale lettera di nomina, considerava che il D.P.R. n. 554 del 1999, art. 127 attribuisce al direttore dei lavori la funzione di coordinatore per l'esecuzione dei lavori previsti dalla normativa sulla sicurezza. Ribadiva altresì che il M. era in possesso dei requisiti previsti dalla legge, in quanto perfettamente a conoscenza delle regole di funzionamento delle torri-faro; che egli rispondeva, in qualità di direttore dei lavori nominato dalla committente, per mancato rilascio del know-how ricadente nella sua sfera di controllo, circa le modalità di funzionamento dei pali di illuminazione del porto, come da egli stesso ammesso (il M. aveva infatti dichiarato di aver custodito presso il proprio ufficio i grafici di funzionamento della torre - faro; e risultava inoltre che egli era in possesso del libretto di manutenzione e non aveva mai visionato il piano di sicurezza predisposto dal datore di lavoro). Inoltre, egli era in grado di accorgersi della assoluta inesistenza delle misure di sicurezza, senza poter fare affidamento sulle capacità specialistiche della impresa appaltatrice.
4. Avverso la sentenza della Corte d'Appello di hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, tutti e tre i coimputati.
5. M.A. lamenta, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 2 a 10, nonchè D.P.R. n. 124 del 1999, artt. 125 e 127, D.P.R. n. 34 del 2000, art. 26. Al M. era stata contestata una condotta omissiva colposa consistita nel non aver spiegato alla E. f. l'esatto funzionamento del c.d. meccanismo "a bilancia" delle torri - faro. Invece, si era da tempo chiarito, anche in giurisprudenza, che il direttore dei lavori per conto del committente non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche, a meno che non sia accertata una sua diretta ingerenza nell'organizzazione del cantiere o nell'esercizio di fatto delle funzioni di garante per la sicurezza. Orbene, la stessa contestazione, formulata in termini di condotta omissiva, escludeva che fosse addebitabile di fatto una condotta commissiva costituita dall'ingerenza del M. nella organizzazione del cantiere e nella vigilanza sul rispetto della normativa antinfortunistica.
Erroneamente, poi, i giudici di merito avevano riconosciuto che il M. avrebbe ricoperto una posizione di garanzia in quanto "direttore tecnico" e "coordinatore per l'esecuzione"; funzioni che, invece, non erano mai state ricoperte dal ricorrente. Invero, in applicazione del principio generale vigente in tema di sicurezza sul lavoro, per l'attribuzione di responsabilità è necessaria una piena dimostrazione della assunzione delle funzioni integranti una posizione di garanzia e che le deleghe devono essere formali ed effettive; la normativa vigente all'epoca (precisamente, il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 4) prevede una espressa designazione, da parte del committente del coordinatore per l'esecuzione: certamente, dunque, l'assunzione dei compiti di direttore dei lavori non implicava alcun automatismo circa il rivestire anche la qualifica di coordinatore per l'esecuzione, con i correlati obblighi in materia di sicurezza. L'insussistenza di automatismi è altresì ricavabile dalla lettura sistematica del complesso normativo di riferimento, e precisamente laddove si richiede, ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 10, il possesso di determinati requisiti. Il necessario possesso dei requisiti soggettivi esclude certamente che la designazione quale coordinatore per l'esecuzione possa discendere in via automatica dalla posizione di direttore dei lavori in virtù del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 127. L'interpretazione illustrata è avvalorata dalla nuova formulazione della norma, sostituita nel nuovo testo del regolamento approvato con il D.P.R. n. 207 del 2010, secondo cui le funzioni "possono" essere svolte dal direttore dei lavori, se provvisto dei requisiti previsti dalla normativa. Nel caso in esame, non risulta certamente alcun atto di nomina da parte del committente e del responsabile dei lavori di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori, funzione, dunque, che non è mai stata assunta dal M.. Per di più, in ogni caso non si sarebbe resa necessaria la nomina del coordinatore, in quanto, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, nell'area di cantiere non lavoravano più imprese. La Corte territoriale aveva confuso la presenza di più lavorazioni in tutta l'area portuale, in si svolgevano i più svariati lavori, con l'area del cantiere E. F., in cui operava soltanto la predetta impresa. In più, la sentenza era del tutto erronea avendo sommato, in capo al M., le qualifiche di direttore dei lavori e di direttore tecnico (di cui al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 125), figure, tra loro, del tutto incompatibili, in quanto il direttore lavori è nominato dalla committenza e il direttore tecnico, che ha specifiche competenze in materia di sicurezza, è invece emanazione della impresa appaltatrice. Invero, nel caso di questione (e di ciò danno atto i giudici di merito) il ruolo di direttore tecnico era rivestito dal coimputato A.. Infine, la Corte messinese aveva operato una inammissibile equiparazione e assimilazione tra la posizione del committente, del responsabile dei lavori e del direttore tecnico, posizione, quest'ultima nettamente distinta e non assimilabile alle prime due in ordine all'essere destinatario degli obblighi di sicurezza.
6. Con il secondo motivo deduce il ricorrente manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. La sentenza impugnata aveva, da un lato, escluso che il M. avesse trasmesso alla impresa appaltatrice le nozioni in ordine al funzionamento del meccanismo della torre - faro, dallo stesso possedute, e, dall'altro, aveva affermato che "risultava accertato che al momento della consegna dei lavori il M. aveva visionato insieme agli appaltatori grafici relativi al funzionamento delle torri - faro (pag. 12 sentenza di appello).
7. Con il terzo motivo si denuncia vizio di travisamento della prova.
La Corte territoriale aveva affermato che il M. fosse in possesso del libretto di manutenzione della torre faro, circostanza che, invece, era stata esclusa dalle acquisizioni probatorie processuali. Infine, con l'ultimo motivo, articolato in via subordinata in caso di mancato accoglimento dei primi due, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al ritenuto nesso di causalità tra l'omissione e l'evento. Dall'esame del CT del PM era emerso che il cartello rinvenuto ai piedi del palo riportava precise istruzioni di funzionamento, perfettamente comprensibili da parte di qualsiasi "profano" e del personale specializzato della ditta appaltatrice. La verificazione del sinistro, dunque, non poteva certo ricollegarsi alla asserita omissione riguardo alla trasmissione delle informazioni inerenti al funzionamento del meccanismo delle torri faro da parte del M..
8. Propongono altresì ricorso, a mezzo dei difensori di fiducia, A.A. e G.D..
9. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. In totale contrasto con le chiare risultanze dell'istruttoria espletata, i giudici di merito avevano affermato la sussistenza di un rapporto di lavoro tra le vittime e la E. F., mentre emergeva che il D. fosse un libero professionista che aveva redatto, su incarico della società, il Piano Operativo Sicurezza, mentre il G. P. era dipendente di altra società, la AMP. Del tutto contraddittoria era la motivazione anche ove aveva escluso il comportamento abnorme delle vittime che avrebbero avuto tutto il tempo di scendere dalla torre faro prima che questa iniziasse raggiungesse l'altezza dalla quale erano precipitati. Inoltre, i giudici di merito avevano del tutto ignorato i precisi obblighi della committenza in tema di sicurezza, posto che era l'Autorità portuale la proprietaria della torre faro e unica conoscitrice dei meccanismi di funzionamento che aveva omesso di illustrare alla impresa appaltatrice, cui non aveva neppure consegnato il libretto di manutenzione, come ampiamente emerso dalle risultanze istruttorie analiticamente elencate. Inoltre, non sussisteva la violazione addebitata circa la mancata fornitura dei dispositivi di protezione, atteso che il lavoro da eseguire non rientrava nel novero dei lavori in quota e che non era insicuro l'utilizzo della scala a forbice, in considerazione del limitato livello di rischio e della breve durata di impiego.
10. Con il secondo motivo, lamentano i ricorrenti la mancata assunzione di prova decisiva consistente nella mancata disposizione di una perizia per risolvere i contrasti tra i CT del pubblico ministero e della difesa; nonchè per disporre l'escussione del teste ing. D., che aveva redatto parere pro veritate.
11. Con il terzo motivo, si deduce violazione di legge, essendo erroneo il calcolo del termine di prescrizione, poichè la norma che ha introdotto il raddoppio dei termini per gli omicidi colposi commessi in violazione della normativa antinfortunistica era successiva alla data dei fatti.
12. Con l'ultimo motivo, infine, i ricorrenti censurano la pronuncia impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, concesse invece al coimputato M., che, a differenza di ricorrenti, incensurati, aveva invece riportato precedenti penali. In più, manifestamente illogico ed errato era il ragionamento della Corte territoriale che aveva fondato il giudizio sulla mera scelta processuale dei ricorrenti, rimasti contumaci.

Motivi della decisione

1. Il ricorso di M.A. in relazione alla posizione di garanzia è fondato, e deve pertanto trovare accoglimento nei termini di seguito specificati. Diversamente, devono rigettarsi i ricorsi dei coimputati G.D. e A.A..
2. E' opportuna una generale ricapitolazione delle posizioni di garanzia operanti nella normativa della prevenzione contro gli infortuni sul lavoro in materia di appalti, con particolare riferimento alla disciplina degli appalti pubblici. Le considerazioni che seguono, sebbene riferite alla normativa vigente ratione temporis per il caso odierno, trovano sostanziale conferma anche nel regime attualmente vigente, che ha operato una risistemazione ed una più ordinata organizzazione del materiale normativo preesistente, recependo le consolidate elaborazioni giurisprudenziali.
2.1. Nel sistema del lavoro in appalto, è all'appaltatore che debbono essere riferite le disposizioni sugli obblighi propri del datore di lavoro e dei soggetti da costui eventualmente delegati, a norma, essenzialmente, del D.Lgs. n. 626 del 1994 e, con specifico riferimento al settore edilizio, del D.Lgs. n. 494 del 1996 (oggi sostituiti dal D.Lgs. n. 81 del 2008). E' invero l'impresa appaltatrice che di fatto svolge i lavori, realizza i cantieri, mette a disposizione attrezzature e manodopera.
2.2. Tanto premesso, va rammentato che il datore di lavoro, oltre ad essere il primo destinatario del generale obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., in quanto garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21 ottobre 2014, Ottino, Rv. 263200), è tenuto, a norma del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 3 e 4 (oggi meglio delineati dal D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 17 e 18) alla redazione del documento di valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079), del piano operativo di sicurezza (Sez. 4, n. 31304 del 19 aprile 2013, Giorgi, Rv. 255953), nonchè alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Si tratta di obblighi non delegabili, tranne che in presenza di rischi particolarmente complessi e specifici che richiedano la presenza di un soggetto altamente specializzato. Ad ogni modo, il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione dei suddetti documenti non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia (Sez. 4, n. 27295 del 2 dicembre 2016, Furlan, Rv. 270355; Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016, Morini, Rv. 266859).
E' inoltre sempre sul datore di lavoro che grava il fondamentale obbligo di formazione ed informazione dei lavoratori (Sez. 4, n. 39765 del 19 maggio 2015, Vallani, Rv. 265178; Sez. 4, n. 21242 del 12 febbraio 2014, Nogherot, Rv. 259219). L'ampiezza e la natura dei poteri è ora anche indirettamente definita dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16 che, con riferimento alla delega di funzioni, si occupa del potere di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
2.3. Accanto alla figura del datore di lavoro si pongono il dirigente e il preposto. Come acutamente osservato, con considerazioni che qui si ripropongono (S.U., 24 aprile 2014, n.38343, Espenhahn) il dirigente costituisce il livello di responsabilità intermedio: è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli. Infine, il preposto, è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l'esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'Incarico. Per ambedue le ultime figure occorre tener conto da un lato dei poteri gerarchici e funzionali che costituisco: base e limite della responsabilità; e dall'altro del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono.
2.3. Con riferimento specifico all'obbligo di nominare l'RSPP, occorre ribadire che gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti (Sez. 4, n. 50605 del 5 aprile 2013, Porcu, Rv. 258125). In effetti, la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 24958 del 26 aprile 2017, Rescio, Rv. 270286), in quanto prevista dalla legge, ma non confondibile con quella, del tutto facoltativa ed eventuale, del dirigente delegato all'osservanza delle norme antinfortunistiche ed alla sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 47363 del 10 novembre 2005, Oberrauch, Rv. 233181).
2.4. Meritano un cenno, ai fini del presente procedimento, le figure del direttore tecnico ed il capo cantiere, inquadrabili nei modelli legali, rispettivamente, del dirigente e del preposto (Sez. 4, n. 39606 del 28/06/2007, Rv. 237879). In materia di appalti pubblici, norma del D.P.R. n. 34 del 2000, art. 26 (Regolamento per l'istituzione di un sistema di qualificazione unico dei soggetti esecutori di lavori pubblici) "la direzione tecnica è l'organo cui competono gli adempimenti di carattere tecnico- organizzativo necessari per la realizzazione dei lavori". Il direttore tecnico è soggetto che svolge il proprio ruolo in misura univoca per l'impresa per cui è designato, della quale infatti è di norma il legale rappresentante, l'amministratore o il socio. Diversamente, deve comunque essere dipendente dell'impresa stessa o in possesso di contratto d'opera professionale regolarmente registrato.
2.5. Ricapitolando, quindi, l'impresa appaltatrice, incaricata di eseguire i lavori, è investita della maggior parte degli obblighi in materia prevenzionistica, gravanti in particolar modo sul datore di lavoro (ovvero anche sul dirigente e sul preposto, secondo i rispettivi ambiti di responsabilità) coadiuvati dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, soggetto che il datore di lavoro ha l'obbligo specifico e non delegabile di nominare.
3. Ciò chiarito, è necessario ora soffermare l'attenzione sul versante del soggetto committente, con riferimento alla specifica normativa in materia di appalti pubblici. Qui viene in rilievo la posizione del committente e quella del responsabile dei lavori, disciplinati, ratione temporis, dal D.Lgs. n. 494 del 1996, poi sostituito dal vigente D.Lgs. n. 81 del 2008. Per gli appalti pubblici, la normativa di riferimento è costituita dal D.P.R. n. 554 del 1999, (Regolamento di attuazione della Legge - quadro sui lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109) poi modificato dal D.P.R. n. 207 del 2010 (Regolamento di attuazione del D.Lgs. 12 aprile 2006, cd, "codice dei contratti pubblici"; ulteriormente sostituto dal recente D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50).
3.1. Quanto alla figura del committente, la relativa posizione di garante ha trovato compiuto riconoscimento e regolamentazione solo con il D.Lgs. n. 494 del 1996 (cd "decreto cantieri"). La giurisprudenza di legittimità più risalente escludeva infatti che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell'approntamento del cantiere e nell'esecuzione dei lavori. Tali violazioni venivano poste a carico esclusivamente del datore di lavoro appaltatore. Una responsabilità concorrente del committente veniva ravvisata in sostanza quando questi travalicava siffatto ruolo, assumendo di fatto posizione direttiva: perché si ingeriva nell'esecuzione dei lavori (Sez. 4, n. 1543 del 31 ottobre 1967, Ronco, Rv. 106806); perchè di fatto datore di lavoro; quando i lavori erano stati eseguiti dall'appaltatore senza autonomia tecnica, con l'apprestamento da parte del committente delle apparecchiature di lavoro (Sez. 5, n. 1337 del 9 luglio 1969, Pampo, Rv. 112527), etc. In sostanza, il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità era nel senso che il committente di lavori edili non rivestisse una autonoma posizione di garanzia a tutela della salute e della vita dei lavoratori dipendenti dal soggetto appaltatore (Sez. 4, n. 1659 del 11 ottobre 1989, Mulas, Rv. 183235).
3.2. Il D.Lgs. n. 494 del 1996 è intervenuto a dettare un'espressa definizione di committente (art. 2, comma 1, lett. b), e ad esplicitare gli obblighi gravanti sul medesimo (art. 3), riconoscendosi l'esigenza di regolare la prevenzione di una specifica serie di rischi propri dell'attività svolta in cantieri, quali i rischi da compresenza di più lavoratori dipendenti di diverse imprese nonchè dalla compresenza di differenti lavorazioni (cf. rischio interferenziale). Il committente, nella fase di progettazione esecutiva dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 (oggi art. 26 T.U.); determina altresì, al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza, dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, la durata di tali lavori o fasi di lavoro. Nella fase di progettazione esecutiva dell'opera, valuta attentamente, ogni qualvolta ciò risulti necessario, il piano di sicurezza e di coordinamento e il piano generale di sicurezza.
3.3. Il committente può delegare, sempre a norma del D.Lgs. n. 494 del 1996, un responsabile dei lavori, il quale, in caso di appalto pubblico, è il responsabile unico del procedimento, a norma del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 7, secondo cui "le fasi di progettazione, affidamento ed esecuzione di ogni singolo intervento sono eseguite sotto la diretta responsabilità e vigilanza di un responsabile del procedimento, nominato dalle amministrazioni aggiudicatrici nell'ambito del proprio organico". Il committente o il responsabile del procedimento provvedono poi a nominare il direttore dei lavori (in materia di appalto di lavori pubblici, ciò è regolato dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 124).
3.4. In caso di pluralità di imprese presenti sul cantiere, il committente deve obbligatoriamente nominare il coordinatore per la progettazione ed il coordinatore per l'esecuzione dei lavori. Il coordinatore per la progettazione, a norma del D.Lgs. n. 424 del 1996, art. 4 e ssgg. (oggi sostituiti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 88 ss.) redige o fa redigere il piano di sicurezza e di coordinamento ed il piano generale di sicurezza. Il coordinatore per l'esecuzione, invece, a norma del D.Lgs. n. 424 del 1996, art. 5, essenzialmente assicura, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani e delle relative procedure di lavoro, nonchè procede al relativo adeguamento in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute.
3.6. Riassumendo, quindi, il soggetto appaltante pubblico (committente) può delegare le proprie funzioni al responsabile del procedimento. Il responsabile del procedimento, se delegato, o il committente medesimo provvedono alla nomina del direttore dei lavori, e, se ricorre l'obbligo di legge - ossia, sostanzialmente, se sul luogo dei cantieri è prevista la compresenza di più imprese - nominano altresì il coordinatore per la progettazione ed il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, il quale ultimo ha precisi compiti in materia antinfortunistica.
4. La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di delimitare in maniera precisa le posizioni di garanzia in materia antinfortunistica del direttore dei lavori da un lato e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori dall'altro, fermi restando, come visto, in ogni caso gli specifici obblighi gravanti sull'appaltatore.
4.1. Il principio generale relativo alla posizione del direttore dei lavori, infatti, è quello per cui, in tema di prevenzione degli infortuni, il direttore dei lavori nominato dal committente svolge normalmente una attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di questi, con la conseguenza che risponde dell'infortunio subito dal lavoratore solo se è accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Sez. 3, n. 1471 del 14 novembre 2013, Gebbia ed altro, Rv. 257922; Sez. 3, n. 11593 del 1 ottobre 1993, Telesca, Rv. 196929). Egli dunque, pur essendo normalmente estraneo, quale figura tecnica, a qualsivoglia obbligo di natura prevenzionistica, nondimeno può essere riconosciuto responsabile dell'infortunio sul lavoro quando gli venga affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell'organizzazione del lavoro (Sez. 4, n. 49462 del 26 marzo 2003, Viscovo, Rv. 227070). Evidentemente, affinchè tale posizione di garanzia possa ritenersi sussistente, è necessaria la prova certa dell'ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Sez. 4, n. 12993 del 25 giugno 1999, Galeotti, Rv. 215165).
4.2. Quanto al coordinatore per l'esecuzione dei lavori, in materia di infortuni sul lavoro, egli, ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell'incolumità dei lavoratori nonchè di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni (Sez. 4, n. 18651 del 20 marzo 2013, Mongelli, Rv. 255106; Sez. 4, n. 31296 del 18 aprile 2013, Dho, Rv. 256427). La giurisprudenza di legittimità afferma costantemente che egli svolge pertanto una funzione di c.d. "alta vigilanza", ossia una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (Sez. 4, n. 45853 del 13 settembre 2017, P.C. in proc. Revello, Rv. 270991; Sez. 4, n. 18149 del 21 aprile 2010, Cellie ed altro, Rv. 247536). Tale funzione di vigilanza ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto (Sez. 4, n. 46991 del 12 novembre 2015, Portera ed altri, Rv. 265661).
Fondamentale, per comprendere la posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione è il concetto di rischio interferenziale, connesso con la condizione essenziale in presenza della quale la legge impone la nomina di detto coordinatore, ossia la compresenza, nei luoghi di lavoro, di più imprese. La funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attività dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo (Sez. 4, n. 3288 del 27 settembre 2016, Bellotti ed altro, Rv. 269046).
Il coordinatore, pertanto, è chiamato a vigilare solo sulla generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e non anche ad esercitare un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative (Sez. 4, n. 27165 del 24 maggio 2016, Battisti, Rv. 267735). Di talchè la posizione di garanzia ricoperta da costui si limita agli eventi che siano conseguenza della violazione di tale dovere di alta vigilanza. Il coordinatore, pertanto, ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di alta vigilanza, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonchè sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (così, in motivazione, Sez. 4, n. 3288 del 27 settembre 2016, Bellotti ed altri, Rv. 269046; Sez. 4, n. 44977 del 12 giugno 2013, Lorenzi ed altri, Rv. 257167).
L'alta vigilanza della quale fa menzione la giurisprudenza di questa Corte, quindi, lungi dal poter essere interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia indica piuttosto il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici. Mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri doveri di intervento diretto ed immediato, il coordinatore opera attraverso procedure.
Può dirsi che il coordinatore per l'esecuzione identifica momenti topici delle lavorazioni e predispone attività che assicurino rispetto ad esse l’attuazione dei piani attraverso la necessaria mediazione dei datori esecutori.
Ad ulteriore chiarimento di questi principi, si noti che il D.Lgs. n. 81 del 2008 ha ancor più nettamente connesso l'opera del coordinatore per l'esecuzione alla sicura organizzazione complessiva del cantiere, con ciò intendendosi la conformazione dell'opera, dell'area di cantiere e della sequenza delle lavorazioni
– tenuto conto del rischio da interferenze - alle necessità della sicurezza dei lavoratori. Le singole lavorazioni, per contro, devono essere organizzate in modo sicuro dai datori di lavori chiamati alla loro esecuzione (così, in motivazione, Sez. 4, n. 3288 del 27 settembre 2016, Bellotti ed altri, Rv. 269046).
5. Venendo al caso di specie, i lavori di manutenzione straordinaria e completamento arredi sulla banchina (OMISSIS) erano stati aggiudicati alla E. F. di G.D. e C. S.a.s. (impresa appaltatrice) dall'Autorità Portuale di M. (committente) con delibera di aggiudicazione del 7 novembre 2005. Legale rappresentante e socio accomandatario della E. F. era l'imputato G. D.. Concorreva alla realizzazione dei lavori, in forza di una lettera di collaborazione sottoscritta dal G. in data 10 aprile 2006, anche l'A.M.P. C. S.r.l., della quale il medesimo G. era amministratore unico. Il progetto dei lavori di manutenzione straordinaria era stato redatto dal Genio Civile Opere Marittime per la Sicilia per conto del committente, tra gli altri, dal geom. M., quale funzionario tecnico. Il progetto era stato poi approvato dal responsabile del procedimento, ing. D.S.F.. Il M. veniva nominato dal Genio Civile, con comunicazione al responsabile del procedimento, direttore dei lavori. Il POS (piano operativo di sicurezza) relativo ai lavori de quibus era stato redatto - come per legge – dalla E. F., a firma del G.D., e vi risultavano indicati il defunto D.G. quale RSPP ed il coimputato A., socio accomandante della E. F., quale direttore tecnico di cantiere.
6. In conclusione, il G.D., legale rappresentante della società appaltatrice, rivestiva la posizione di datore di lavoro, l' A.A. rivestiva il ruolo di direttore tecnico della stessa società ed il M.A. quello di direttore dei lavori, nominato dalla Amministrazione committente con approvazione da parte del responsabile del procedimento.
7. Tanto premesso, il motivo di ricorso proposto dal M. relativo alla sua posizione di garanzia deve essere accolto.
7.1. Come si è detto, in capo al direttore dei lavori in quanto tale non grava alcun obbligo di carattere antinfortunistico, ma solo di generale controllo sulla correttezza tecnica dello svolgimento dei lavori appaltati per conto del committente. Solamente in caso di sua ingerenza allora si potrebbe ritenere sussistente una posizione di garanzia a suo carico. Ciò premesso, la sentenza impugnata ritiene che la posizione di garanzia del M. risulti provata non già per ingerenza, sulla quale nulla si dice, ma perchè lo stesso - a norma del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 127 - avrebbe ricoperto altresì la carica di coordinatore per l'esecuzione, e avrebbe di conseguenza violato i propri obblighi prevenzionistici. Il sinistro non si sarebbe verificato, infatti, se egli avesse consegnato le adeguate informazioni inerenti al funzionamento della torre faro, nonchè richiesto alla ditta appaltatrice di tenere gli standard minimi di sicurezza e consegnato un POS che contenesse specifiche informazioni relative al funzionamento della macchina. Ciò in quanto il citato art. 127 riferirebbe le funzioni del coordinatore per l'esecuzione al direttore dei lavori, senza ulteriori condizioni.
7.3. Al riguardo, tuttavia, il ricorrente lamenta la confusione operata dalla Corte territoriale - nonchè dal giudice di primo grado - circa la posizione di garanzia del M. e propone una diversa interpretazione dell'art. 127. Secondo il ricorrente, la nomina a coordinatore per l'esecuzione, ove necessaria, si configurerebbe come una vera e propria delega di funzioni, come ricavato dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, comma 7, dovendo dunque essere espressa e non ammettendo alcun automatismo. Non sarebbe possibile ritenere che il direttore dei lavori, per il solo fatto di essere stato nominato tale, assumerebbe anche, sic et simpliciter, la qualifica di coordinatore, non fosse altro che tale presunto meccanismo farebbe saltare la necessaria verifica dei requisiti soggettivi in capo al direttore dei lavori per ricoprire anche il ruolo di coordinatore. La mancanza di tale necessaria coincidenza di funzioni risulterebbe provata anche dal disposto del D.P.R. n. 207 del 2010, art. 151, (norma che ha sostituito quella in discorso) il quale prevede che le funzioni di coordinatore "possono" essere svolte dal direttore dei lavori, rimanendo diversamente in capo al committente o al responsabile del procedimento. Secondo il ricorrente, poi, il fatto che non fosse stata operata alcuna nomina a coordinatore per l'esecuzione - e che dunque il M., non avendo assunto altro incarico che quello di direttore dei lavori, non fosse titolare di alcuna posizione di garanzia sul tema della sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro - si giustifica logicamente con la radicale mancanza dei presupposti di legge in presenza dei quali tale nomina risulta obbligatoria ex D.Lgs.
n. 494 del 1996, art. 3, ossia la presenza di più imprese nell'area di cantiere. Soltanto la E. F. era tenuta alla realizzazione dei lavori di manutenzione straordinaria nel Porto di (OMISSIS) e non era previsto che altre ditte intervenissero nel cantiere allestito per i lavori appaltati. Sul punto, i giudici di merito avrebbero confuso l'area del cantiere con la più generale area del porto, nella quale vi sarebbe stata la occasionale presenza di altre imprese. Non essendovi la contemporanea presenza di più imprese nell'area del cantiere non vi era alcun obbligo legale di nominare il coordinatore, e di certo non può ritenersi che tale funzione sia stata esercitata automaticamente dal direttore dei lavori M..
8. Ritiene il Collegio di non potere accogliere l'interpretazione proposta dal ricorrente del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 127, ostandovi la lettera della legge. Ciononostante, evidenti sono la lacunosità e la confusione in cui è incorsa la Corte distrettuale nella ricostruzione della posizione di garanzia del M..
8.1. Il D.P.R. n. 554 del 1999, art. 127, comma 1 dispone: "Le funzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori previsti dalla vigente normativa sulla sicurezza nei cantieri sono svolte dal direttore lavori.
Nell'eventualità che il direttore dei lavori sia sprovvisto dei requisiti previsti dalla normativa stessa, le stazioni appaltanti devono prevedere la presenza di almeno un direttore operativo avente i requisiti necessari per l'esercizio delle relative funzioni". Non è pertanto revocabile in dubbio che, in caso sia necessaria la figura del coordinatore per l'esecuzione, le sue funzioni vengono svolte dal direttore dei lavori, il quale è infatti espressione della committenza e generalmente dotato dei requisiti di professionalità richiesti. Ove poi così non dovesse essere - ossia ove egli risultasse sprovvisto di tali requisiti - soccorrerebbe il secondo periodo della medesima disposizione. Non è in alcun modo evincibile dal testo della disposizione menzionata la necessità che alla qualifica di Direttore tecnico si sovrapponga un ulteriore atto di nomina a coordinatore per l'esecuzione. Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata non può essere censurata. L'argomentazione avanzata dal ricorrente, relativa al D.P.R. n. 207 del 2010, art. 151, non appare risolutiva, dato che la parola "possono" in esso introdotta, non fa che confermare, come appare evidente dal tenore della disposizione nel suo complesso, che il direttore dei lavori può svolgere il ruolo di coordinatore solamente se provvisto dei requisiti soggettivi, circostanza già presente sotto la vigenza del D.P.R. n. 554 del 1999. Medesimo è il tenore del vigente D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 101, comma 3, lett. d).
8.2. Il ragionamento della Corte territoriale non è quindi censurabile sotto questo profilo, essendosi attenuto all'interpretazione letterale che il Collegio ritiene di condividere, ma lo è, invece, in relazione al presupposto per l'operatività stessa di tale interpretazione, ossia alla necessità della presenza del coordinatore. Come detto, il coordinatore è figura obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3 quando vi sia, nell'area dei cantieri ove si svolgono i lavori appaltati, la compresenza, anche non contemporanea, di più imprese, con rischi dovuti all'interferenza fra le stesse (nei casi previsti dal D.Lgs.
n. 424 del 1996, art. 3, commi 3, 4 e 4-bis, vigenti all'epoca dei fatti) ossia, testualmente: a) nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea se l'entità presunta del cantiere è pari ad almeno 100 uomini/giorno; b) nei cantieri di cui all'art. 11, comma 1, lett. a); c) nei cantieri di cui all'art. 11, comma 1, lett. b); d) nei cantieri di cui all'art. 11, comma 1, lett. c), se l'entità presunta del cantiere sia superiore a 300 uomini-giorni; e) nei cantieri di cui all'art. 13. Tale nomina può avvenire anche nel caso in cui, dopo l'affidamento dei lavori ad un'unica impresa, l'esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese (comma 4-bis).
Del tutto carente è la motivazione circa la sussistenza o meno di questo requisito. La Corte si limita ad affermare che non poteva essere trascurata la presenza di una pluralità di imprese nell'area ove si svolgevano i lavori. Non vi è stato alcun approfondimento circa l'effettiva compresenza, nel luogo del cantiere, di più imprese, nè tantomeno si è svolta alcuna analisi tenendo presente la funzione di alta vigilanza relativa al rischio interferenziale.
8.4. In secondo luogo, e conseguentemente, infatti, la sentenza impugnata è altresì censurabile sotto il profilo della corretta ricognizione degli obblighi spettanti alle varie figure in discorso. Non al committente nè al direttore dei lavori competono obblighi di informazione e formazione dei lavoratori, ossia quelli contestati al M. e che i giudici hanno ritenuto causalmente rilevanti per la verificazione dell'evento, ma bensì al datore di lavoro ed al preposto della società appaltatrice. D'altra parte, nessuna analisi è stata compiuta circa la violazione dei doveri specificamente gravanti sul coordinatore, ma si è semplicemente ritenuto che il direttore dei lavori fosse anche e necessariamente coordinatore per l'esecuzione e che su di esso gravassero parte di quegli obblighi di informazione e formazione causalmente rilevanti per la verificazione dell'infortunio. Si impone, quindi, l'annullamento, sul punto, della decisione impugnata.
8.6. Il giudice del rinvio dovrà quindi procedere ad attenta verifica circa la sussistenza dei presupposti per ritenere ravvisabile la figura del coordinatore per l'esecuzione. Una volta eventualmente riscontrato tale requisito, si dovrà valutare se il M. abbia violato l'obbligo di alta vigilanza su di lui incombente, secondo i principi suesposti.
9. Vanno adesso esaminati i ricorsi G. e A.. Si è già dato conto, peraltro, di come certe siano le posizioni di garanzia gravanti sui due imputati: G.D. era il datore di lavoro, legale rappresentante della società appaltatrice, mentre l'A. ricopriva il ruolo di direttore tecnico, e quindi di preposto dell'appaltatore. Inoltre, i giudici di merito hanno concordemente e diffusamente accertato come quest'ultimo si sia costantemente ingerito nella esecuzione dei lavori appaltati.
10. Quanto alle doglianze inerenti alla sussistenza del rapporto di lavoro fra la E. F. ed i due lavoratori deceduti, nonchè all'abnormità o meno del comportamento di questi ultimi, le sentenze di merito argomentano in maniera esaustiva, facendo corretta applicazione dei principi di diritto elaborati da questa Corte. Si ritiene infatti che in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell'impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all'ambito imprenditoriale (Sez. 4, n. 37840 del 1 luglio 2009, Vecchi ed altro, Rv. 245274; Sez. 4, n. 6348 del 18 gennaio 2007, P.C. in proc. Chiarini, Rv. 236105; Sez. 7, n. 11487 del 19 febbraio 2016, Lucchetti, Rv. 266129). Se ciò è vero per persone estranee all'organizzazione dell'impresa, a maggior ragione viene affermato anche con riferimento ai lavoratori autonomi che vengano a svolgere la propria attività nel cantiere del datore di lavoro garante, atteso che la legge impone a quest'ultimo di curare la cooperazione con i predetti e le interazioni con le attività che avvengono all'interno del cantiere (Sez. 4, n. 29204 del 20 giugno 2007, Di Falco, Rv. 236904; Sez. 3, n. 18396 del 15 marzo 2017, Cojocaru, Rv. 269637).
Nel caso di specie, è stato accertato che D.G., pur non essendo dipendente della E. F., lavorava stabilmente sul cantiere, nè, come sopra ricordato, rileva la eventuale natura autonoma, e non subordinata, del rapporto. E non può essere invocato ai fini dell'esclusione della responsabilità il fatto che il D., come dedotto dai ricorrenti, risultasse indicato come RSPP nel POS, posto che ciò non esclude certo la responsabilità dell'appaltatore - datore di lavoro per la violazione degli obblighi di prevenzione. Il G.P. risultava invece formalmente dipendente dell'A.M.P. C. S.r.l., con la quale l'impresa appaltatrice E. F. aveva stipulato un contratto di collaborazione per la realizzazione dei lavori. Orbene, le sentenze di merito argomentano, attraverso un compiuto esame delle risultanze istruttorie che, da un lato, la AMP era priva di una stabile organizzazione e che la vittima, di fatto, era soggetta agli ordini e direttive da parte responsabili della E. F. (pag. 21 e seguenti sentenza di primo grado) correttamente concludendo che, di fatto, anche il G.P. era legato da uno stabile rapporto lavorativo con l'impresa appaltatrice.
10.2. Priva di pregio è altresì la doglianza relativa al fatto che la condotta dei lavoratori dovesse considerarsi abnorme. Al contrario, tale condotta è stata posta in essere proprio durante lo svolgimento delle loro ordinarie mansioni ed è stata determinata dall'omessa informazione in ordine al funzionamento "a bilancia" del macchinario. Del tutto istintiva - in assenza di qualsivoglia informazione sulla macchina
- è stata correttamente ritenuta la loro reazione di aggrapparsi al primo supporto utile, ossia alla corona, la quale, a velocità sostenuta, si stava alzando, mentre, a circa 3 metri di altezza, stavano per cadere da una scala a forbice, presidio del tutto inadeguato rispetto al lavoro da svolgere.
10.3. Parimenti infondato è il rilievo che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che il lavoro nel corso del quale si è verificato il sinistro fosse da annoverarsi fra quelli in quota e che quindi al datore di lavoro andasse addebitata la mancata fornitura degli adeguati dispositivi di protezione. Il CT D'A. ha ricostruito con precisione la dinamica delle operazioni che gli operai stavano svolgendo. Si trattava, in effetti, di sostituire i corpi illuminanti che si trovavano montati su una corona, facendo scendere quest'ultima, che tuttavia non poteva essere appoggiata al suolo, ma si attestava ad un'altezza di circa 2,5/3 metri a causa della presenza del plinto di sostegno del palo, di circa un metro, e della botola di ispezione. Di conseguenza, avrebbe dovuto essere messo a disposizione dei lavoratori uno specifico ponteggio per il lavoro in quota, con un piano di lavoro ed un parapetto. E' stato invece accertato che erano stati approntati dei presidi precari, costituiti dai c.d. "pallet", con i quali era stata realizzata una specie di pedana, e che i lavoratori si servivano di una pericolosa scala a forbice, in violazione delle precise disposizioni sui lavori in quota ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996.
10.4. La Corte d'Appello ha poi proceduto a puntuale motivazione in ordine alla violazione degli obblighi di informazione e formazione gravanti sui ricorrenti, non potendosi dunque sostenere che essi incombessero sulla committenza. Inoltre, i giudici di merito hanno sottolineato l'estrema genericità sia del documento di valutazione dei rischi, sia del POS, che nulla di specifico rappresentava in ordine alle modalità di bilanciamento dei pesi presenti nella corona porta-faro. In particolare, infatti, il piano non risultava provvisto di uno specifico capitolo dedicato ai lavori di manutenzione della torre-faro nè con riguardo alle modalità di intervento sulla stessa, nè con riguardo ai meccanismi di funzionamento e manutenzione. Nonostante il fatto che al momento dell'incidente la documentazione relativa al funzionamento della torre-faro fosse custodita presso l'autorità committente, la mancata acquisizione della medesima costituisce anche una grave violazione nella quale sono incorsi gli imputati, gravando su di essi l'obbligo di acquisire tutte le informazioni necessarie affinchè i lavori loro demandati si svolgessero in sicurezza. Risultava inoltre, dalle dichiarazioni del M., che sia A. sia G. gli avevano fatto presente - in occasione della comune presa visione, al momento della consegna dei lavori, dei grafici relativi al funzionamento delle torri-faro - di essere esperti in tali lavori, tanto da non necessitare di ulteriori spiegazioni. Nè sufficiente al fine di informare adeguatamente i lavoratori può considerarsi il contenuto del cartello posto alla base della torre-faro, il quale, infatti, indicava solamente le modalità di abbassamento della corona, ma non anche indicazioni in ordine al bilanciamento dei pesi.
11. Infondato è anche il secondo motivo, relativo alla mancata assunzione della perizia richiesta in grado di appello. La mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. Un., n. 39746 del 23 marzo 2017, Rv. 270936; Sez. 4, n. 7444 del 17 gennaio 2013, Sciarra, Rv. 255152; Sez. 4, n. 4981 del 5 dicembre 2003, P.G. in proc. Ligresti ed altro, Rv. 229665). Legittimamente, quindi, la Corte d'Appello ha respinto la relativa istanza, valutando le prove richieste non assolutamente necessarie ai fini della decisione.
12. Il terzo motivo, relativo al calcolo della prescrizione, è manifestamente infondato. La L. 5 dicembre 2005, n. 251, che ha modificato l'art. 157 c.p. introducendo, tra le altre cose, il raddoppio dei termini di prescrizione per il reato di cui all'art. 589 c.p., commi 2 e 3, è in vigore dall'8 dicembre 2005, ossia da epoca anteriore rispetto al fatto per cui è processo, verificatosi il (OMISSIS).
13. Infine, infondato è anche il quarto ed ultimo motivo, relativo alla mancata applicazione delle attenuanti generiche in misura prevalente. E' giurisprudenza costante quella per cui in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione o del bilanciamento (Sez. 5, 43952 del 13 aprile 2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, 3896 del 20 gennaio 2016, De Cotiis, Rv. 265826).
La sentenza impugnata, in modo non contraddittorio nè illogico, fa riferimento alla estrema gravità del fatto contestato, ostativa ad un più mite trattamento sanzionatorio.
14. Per tali motivi si impone l'annullamento della sentenza impugnata in relazione alla posizione dell'imputato M., affinchè il giudice del rinvio proceda a corretta ricostruzione della posizione di garanzia gravante su costui, valutando in particolar modo la presenza o meno del rischio interferenziale derivante dalla compresenza di più imprese nel luogo del cantiere. Vanno invece integralmente rigettati i ricorsi di
A. e G., i quali vanno pertanto condannati al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di costituzione delle parti civili, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.A. con rinvio alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, cui demanda pure la regolazione delle spese tra le parti del presente giudizio di legittimità.
Rigetta i ricorsi di G.D. e A.A. e li condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè al rimborso delle spese di giudizio in favore delle parti civili difese dall'Avv. F. B., liquidate in complessivi Euro xxx oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2018. Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2018

 
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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 15493 | 21 Aprile 2022

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 21 Aprile 2022 n. 15493

Infortunio con un macchinario e risparmio dei costi per il suo adeguamento. Impugnazione avverso l'ordinanza che ammette l'imputato alla messa alla prova

Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: VIGNALE LUCIA
Data Udienza: 23/03/2022

Fatto diritto

1. Con sentenza del 18 dicembre 2019 - della cui motivazione è stata data lettura in udienza ai sensi dell'art. 544, comma 1, cod. proc. pen. - il Tribunale di Trento ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti dell'ente «La Sportiva S.p.A», essendo estinto per esito positivo della messa alla prova l'illecito ascritto alla società.

L'illecito contestato all'ente - e ritenuto estinto - è quello previsto dall'art. 25 septies, comma 3, d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in relazione al delitto di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. Secondo l'assunto accusatorio, violando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro - e, segnatamente, l'art. 71, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - il legale rappresentante della società, D.L. (che è stato a sua volta ammesso alla prova e nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di estinzione del reato), si è reso responsabile del delitto di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. e da questo delitto l'ente ha tratto vantaggio economico risparmiando sui costi connessi all'adeguamento del macchinario che la persona offesa stava utilizzando quando si verificò l'infortunio.

2. Avverso la sentenza - che è stata comunicata alla Procura generale presso la Corte di appello di Trento il 23 dicembre 2019 - il Procuratore generale ha proposto ricorso il 7 gennaio 2020.
Il Procuratore ricorrente deduce, con i primi due motivi, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, non essendo applicabile agli enti l'istituto previsto dall'art. 168 bis cod. pen.
Con il terzo e il quarto motivo deduce, inoltre, mancanza e contraddittorietà della motivazione dell'ordinanza con la quale è stata disposta l'ammissione alla prova dell'ente. Precisa che tale ordinanza non è mai stata comunicata all'ufficio di Procura generale che, pertanto, non ha potuto impugnarla subito e ne ha avuto notizia solo con la comunicazione della sentenza.

3. Il 18 gennaio 2022 il difensore della società ha depositato memoria rilevando che i motivi di ricorso avanzati dalla Procura generale di Trento sono stati affrontati e risolti nell'ordinanza di ammissione alla prova e che la possibilità di applicare l'istituto previsto dall'art. 168 bis cod. pen. agli enti in relazione agli illeciti previsti dal d.lgs. 231/2001 è stata riconosciuta non solo dal Tribunale di Trento, ma anche da altri giudici di merito. La difesa sottolinea, inoltre, che, nel corso della prova, la società ha provveduto ad eliminare gli effetti negativi dell'illecito risarcendo il danno, rivedendo il proprio modello organizzativo e svolgendo lavoro di pubblica utilità, consistito nel fornire ad un organismo religioso calzature di propria produzione. Desume da ciò che gli scopi previsti dall'istituto della messa alla prova possono essere raggiunti anche se l'ammissione alla prova riguardi un ente e che «l'introduzione di un virtuoso percorso della condotta dell'azienda con,gli obblighi di fare» costituisce rimedio più idoneo rispetto «ad un esborso in denaro che viene solitamente imputato a costi di impresa». Tali argomenti sono stati approfonditi in successive memorie, nelle quali sono richiamate le ragioni esposte a sostegno della richiesta nel corso giudizio di merito.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte e - richiamando precedenti giurisprudenziali che affermano la legittimazione del Procuratore generale presso la corte di appello ad impugnare l'ordinanza di ammissione alla prova ai sensi dell'art. 464 quater, comma 7, cod. proc. pen (in specie: Sez. 1, n. 43293 del 27/10/2021, Ongaro, Rv. 282156; Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, Lorini, Rv. 277138) - ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata e delle ordinanze con le quali la società è stata ammessa alla prova.

5. Il Collegio rileva che l'esame nel merito del ricorso dipende dalla decisione della seguente questione: «se il procuratore generale sia legittimato a proporre impugnazione avverso l'ordinanza che ammette l'imputato alla messa alla prova ai sensi dell'art. 464 bis cod. proc. pen. e avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 464 septies cod. proc. pen, e quali siano i vizi deducibili con il ricorso avverso tale sentenza».
Se, infatti, si dovesse ritenere che il procuratore generale presso la corte di appello non sia legittimato all'impugnazione - o non lo sia per motivi che riguardano eventuali vizi dell'ordinanza di ammissione alla prova - non si potrebbe procedere all'esame della questione di merito dedotta dal ricorrente, che lamenta violazione di legge per essere stato esteso agli illeciti previsti dal d.lgs. n. 231/2001 un istituto, come quello della messa alla prova, che, per previsione espressa dell'art. 168 bis cod. pen., si applica a «reati» puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché ai «delitti» indicati dall'art. 550, comma 2, cod. proc. pen.

6. Come noto, la disciplina processuale dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova è contenuta nel titolo V bis del libro VI del codice di rito, dedicato ai procedimenti speciali. Ai fini che qui interessano vengono in considerazione, in particolare: l'art. 464 quater, comma 7, in base al quale «l'imputato e il pubblico ministero anche su istanza della persona offesa» possono ricorrere per cassazione «contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova» e «l'impugnazione non sospende il procedimento»; l'art. 464 septies, comma 1, in base al quale, «decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell'imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo»; l'art. 464 septies, comma 2, in base al quale «in caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso».
Nel caso in esame, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trento non ha impugnato l'ordinanza ammissiva della prova ai sensi dell'art. 464 quater cod. proc. pen. perché la stessa non gli è mai stata comunicata e assume di essere in termini per farlo avendone avuto conoscenza solo in data 23 dicembre 2019, quando ha ricevuto comunicazione della sentenza che dichiarava estinto l'illecito per esito positivo della prova.

7. Sul tema la giurisprudenza di legittimità ha espresso orientamenti contrapposti.
7.1. Secondo un primo orientamento, il procuratore generale presso la corte di appello «è legittimato ad impugnare l'ordinanza di accoglimento dell'istanza di sospensione del procedimento unitamente alla sentenza con la quale il giudice dichiara l'estinzione del reato per esito positivo della prova, qualora non sia stata effettuata nei suoi confronti la comunicazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza di sospensione» (Sez. 1, n. 43293 del 27/10/2021, Ongaro, Rv. 282156; Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, Lorini, Rv. 277138; Sez. 5, n. 7231 del 06/11/2020, dep. 24/02/2021, Hoelzi, non massimata; Sez. 2, n. 7477 del 08/01/2021, dep. 25/02/2021, Sperindeo, non massimata).
7.2. Secondo un altro orientamento, invece, il procuratore generale presso la corte di appello non sarebbe legittimato a impugnare l'ordinanza di accoglimento dell'istanza di sospensione del procedimento «non essendo individuato tra i soggetti - l'imputato, il pubblico ministero e la persona offesa - che possono proporre ricorso per cassazione [...] ai sensi dell'art. 464 quater, comma 7, cod. proc. pen.» (Sez. 6, n. 18317 del 09/04/2021, Stompanato, Rv. 281272).
Nell'ambito di questo orientamento si registrano due diverse impostazioni.
Mentre la sentenza n. 18317 del 09/04/2021, Stompanato, Rv. 281272 esclude che il procuratore generale presso la corte d'appello possa impugnare l'ordinanza di accoglimento dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova non essendo comunque individuato tra i soggetti legittimati ai sensi dell'art. 464 quater cod. proc. pen., una precedente sentenza della Sesta sezione (Sez. 6, n. 21046 del 10/06/2020, Betti, Rv. 279744) esclude in termini espliciti solo che il pubblico ministero possa impugnare tale ordinanza «ai sensi dell'art. 586 cod. proc. pen., quindi congiuntamente alla sentenza di non luogo a procedere, parallelamente a quanto previsto avverso le ordinanze di rigetto, impugnabili dall'imputato unitamente alla sentenza di condanna» e dichiara inammissibile il ricorso proposto dal procuratore generale contro la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 464 septies cod. proc. pen. sottolineando che, con l'impugnazione di tale sentenza non possono più essere dedotte doglianze relative «all'originaria insussistenza di uno dei presupposti stabiliti dall'art. 168 bis cod. pen. per l'accesso al rito speciale» (pag. 3 della motivazione).
Di tenore analogo sono le sentenze della Quinta sezione n. 5093 del 14/01/2020, Cicalini Rv. 278144 e n. 17951 del 01/04/2019, dep. 30/04/2019, Bonifacio (non massimata), nelle quali non si esclude in termini espliciti la possibilità per il procuratore generale di impugnare l'ordinanza di ammissione alla prova, ma, a fronte di un ricorso proposto contro la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato, si sostiene che tale impugnazione non possa essere proposta per vizi afferenti al provvedimento di sospensione del processo di cui all'art. 464-quater cod. proc pen.; vizi che avrebbero dovuto essere fatti valere con l'impugnazione del provvedimento.
7.3. La sentenza della Sesta sezione n. 1603 del 09/11/2021, dep. 17/01/2022, Conte, (non massimata) sembra porsi in contrasto con la sentenza n. 18317 del 09/04/2021, Stompanato, Rv. 281272. Valuta infatti «tempestivo» (così testualmente pag. 5 della motivazione) il ricorso proposto dal procuratore generale contro un'ordinanza di ammissione alla prova - ancorché proposto unitamente alla sentenza - rilevando che l'ordinanza non era stata comunicata alla procura generale. Riconosce, dunque, che il procuratore generale debba essere avvisato dell'ammissione alla prova e sia legittimato ad impugnare la relativa ordinanza, dichiarando il ricorso inammissibile per altro motivo.

8. Così sinteticamente delineato il quadro degli orientamenti assunti dalla giurisprudenza, si deve osservare che non v'è sostanziale contrasto nell'escludere la possibilità per il procuratore generale che abbia avuto notizia della ammissione alla prova di impugnare la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 464 septies cod. proc. pen. per violazioni di legge o vizi motivazionali che riguardino l'ordinanza di ammissione alla prova; si reputa, in particolare, che la sentenza di cui all'art. 464 septies cod. proc. pen. possa essere impugnata soltanto per motivi «attinenti alla fase del procedimento successiva all'ordinanza di sospensione», ma non per motivi inerenti all'ammissibilità della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, che avrebbero dovuto essere fatti valere impugnando l'ordinanza ai sensi dell'art. 464 quater cod. proc. pen.
Tutte le sentenze esaminate si uniformano, sul punto, all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 33216 del 31/03/2016, Rigacci, Rv. 267237, che ha escluso la ricorribilità immediata dell'ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione con riferimento all'imputato, rilevando che questi è titolare del ben più ampio potere di rinnovare la richiesta di accesso al rito fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento e, in ogni caso, una volta emessa la sentenza di primo grado, può sempre appellare l'ordinanza congiuntamente alla sentenza, secondo la regola generale fissata dall'art. 586 cod. proc. pen. Nell'affermare questo principio, le Sezioni Unite hanno chiarito - fornendo una ricostruzione di sistema dell'istituto della messa alla prova - che con la previsione dell'art. 464 quater, comma 7, cod. proc. pen. il legislatore ha consentito l'impugnazione diretta e autonoma del solo provvedimento di accoglimento dell'istanza dell'imputato e che, contro tale provvedimento, il pubblico ministero può proporre ricorso per motivi consentiti dall'art. 606 cod. proc. pen. relativi a violazioni di legge e a vizi di motivazione, può dunque sollecitare il sindacato di legittimità anche sulla sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 168 bis cod. pen. per l'ammissione al beneficio.

9. Il contrasto sorge, dunque, con riguardo alla possibilità per il procuratore generale di impugnare l'ordinanza ammissiva della prova o a seguito della comunicazione del relativo avviso o unitamente alla sentenza. Possibilità, quest'ultima, che viene sostenuta con riferimento alla specifica ipotesi in cui il procuratore generale non sia stato avvisato dell'ordinanza e ne venga a conoscenza solo con la comunicazione della sentenza.
9.1. Si discute, in particolare, se l'espressione «pubblico ministero» contenuta nell'art. 464 quater, comma 7, cod. proc. pen. riguardi anche il procuratore generale presso la corte di appello, come inducono a pensare le pronunce delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 22531, 31/05/2005, Campagna, Rv. 231056 e n. 31011 del 28/05/2009, Colangelo, Rv. 244029) secondo le quali l'espressione «pubblico ministero» è utilizzata dal codice di rito indifferentemente per il procuratore della Repubblica presso il tribunale e per il procuratore generale presso la corte di appello; o se invece, in un'ottica di favore per l'istituto della messa alla prova che giustificherebbe una selezione dei soggetti titolari del diritto di impugnazione contro l'ordinanza ammissiva, l'espressione «pubblico ministero» contenuta nell'art. 464 quater, comma 7, cod. proc. pen. debba essere interpretata in senso restrittivo con esclusivo riferimento al procuratore della Repubblica presso il tribunale.

9.2. Di conseguenza, ci si chiede se l'ordinanza di ammissione alla prova debba essere portata a conoscenza, mediante lettura in udienza o mediante notifica o comunicazione dell'avviso di deposito, oltre che delle parti che hanno diritto all'avviso della data d'udienza, anche del procuratore generale presso la corte di appello. Invero, se il procuratore generale è escluso dal novero dei soggetti titolari del diritto di impugnazione, nessun avviso gli è dovuto e l'ordinanza di ammissione alla prova deve essere comunicata alle parti del procedimento che hanno diritto all'avviso della data dell'udienza. Se, invece, in assenza di limitazioni espresse, il procuratore generale è titolare del diritto di impugnazione, allora egli ha diritto ad essere informato dell'ordinanza ai sensi dell'art. 128 cod. proc. pen., che prevede la comunicazione o notificazione dell'avviso di deposito dei provvedimenti impugnabili «a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione» (in quest'ultimo senso si sono espressamente pronunciate: Sez. 1, n. 43293 del 27/10/2021, Ongaro, Rv. 282156, pag. 3; Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, Lorini, Rv. 277138, pag.4; Sez. 6, n.1603 del 09/11/2021, dep. 17/01/2022, Conte, non massimata, pag. 5).

9.3. Chi aderisce a questa seconda tesi, sostiene che, se il procuratore generale non ha ricevuto l'avviso di deposito dell'ordinanza e quindi non ha potuto impugnarla, può farlo quando apprende della sua esistenza, vale a dire quando riceve la comunicazione della sentenza di cui all'art. 464 septies cod. proc. pen. In questi casi, l'ordinanza ammissiva della prova può essere impugnata insieme alla sentenza in virtù del fatto che, se l'ordinanza è viziata per violazione di legge, dal suo annullamento «deriva>> l'annullamento della sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 464 septies cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, Lorini, Rv. 277138 pag. 6).

10. Le tesi in contrasto sono supportate entrambe da argomenti di indubbio spessore.

10.1. La sentenza Sez. 6, n. 18317 del 09/04/2021, Stompanato, Rv. 281272 esclude che il procuratore generale possa essere individuato tra i soggetti che hanno diritto all'impugnazione dell'ordinanza con la quale il giudice sospende il processo e ammette l'imputato alla prova suita base di argomenti sistematici e logico-giuridici.

Osserva che il sistema dei rimedi esperibili avverso le ordinanze che decidono sull'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova «è improntato, sul piano dell'economia processuale, alla finalità di ridurre sensibilmente le ipotesi di regressione del procedimento, se non addirittura di eliminarle del tutto e di garantire il massimo favore all'istituto della sospensione con messa alla prova (cfr. Sez. U, n.33216 del 31/03/2016, Rigacci, Rv.267237)».

Sostiene che la fase della ammissione alla prova deve essere ricostruita come un vero e proprio procedimento incidentale dotato di autonomia rispetto all'ordinario processo di cognizione sia con riferimento ai requisiti di ammissibilità (previsti dall'art. 168 bis cod. pen.), che alla fase del trattamento. Si tratta - sottolinea la sentenza - di «una fase procedimentale alternativa rispetto a quella principale che, in caso positivo, approda ad un esito, la sentenza di cui all'art. 464 septies cod. proc. pen., rispetto alla quale, secondo la giurisprudenza innanzi richiamata, non sono più rilevabili eventuali vizi dell'ordinanza di ammissione, ma solo vizi della fase procedimentale· successiva all'ammissione della prova ed errores in iudicando».

Ricorda che compete al legislatore stabilire non solo «i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e [ ... ] il mezzo con cui possono essere impugnati», ma anche i soggetti ai quali è espressamente conferito dalla legge il diritto di impugnazione. Rileva che, proprio in applicazione di tale principio, in alcuni casi, in deroga alla regola prevista dall'art. 570 cod. proc. pen., la legittimazione del procuratore generale presso la corte di appello è stata esclusa. Richiama in proposito le ordinanze del tribunale della libertà, in sede di riesame o di appello, in cui il testo normativo non fa riferimento generico al «pubblico ministero», ma specifica espressamente che legittimati all'impugnazione sono «il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura» e «il pubblico ministero presso il Tribunale indicato nel comma 7 dell'art. 309»; i provvedimenti adottati dal giudice dell'esecuzione, avverso quali «la legittimazione ad impugnare spetta, in via esclusiva, per espressa designazione del legislatore, al pubblico ministero che ha assunto il ruolo di parte nel procedimento».

Dal carattere incidentale del procedimento di messa alla prova (sottolineato anche da Sez. U n. 36272 del 31/03/2016, Sorcinelli, Rv. 267238) la sentenza in esame trae argomenti a sostegno della interpretazione restrittiva proposta, che ritiene conforme al principio di tassatività delle impugnazioni. Osserva che, secondo la linea interpretativa tracciata dalle Sezioni Unite nella sentenza Rigacci, col ricorso per cassazione avverso la sentenza di proscioglimento ex art. 464 septies cod. proc. pen. «non possono essere proposti motivi attinenti all'ammissibilità della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova perché preclusi dall'avvenuta decorrenza del termine entro il quale deve essere proposto il mezzo di impugnazione avverso l'ordinanza di cui all'art. 464 quater, commi 3 e 7, cod. proc. pen.» e ciò dà luogo ad un regime disgiunto di impugnazione che deroga all'art. 586, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen. ed è ispirato alla finalità di ridurre sensibilmente le ipotesi di regressione del procedimento. Sostiene che «la natura autonoma del procedimento incidentale e il descritto sistema di impugnazione [ ...] escludono, altresì, il fondamento del potere di impugnazione del procuratore generale della corte di appello quale organo costituito presso il giudice di merito di livello superiore». Questi, infatti, non ha alcuna competenza nella materia in esame, non essendo istituito «presso il giudice che ha emanato il provvedimento impugnato (e dal quale deriva la competenza in materia di impugnazione) né presso il giudice avente giurisdizione di merito a livello superiore, dal momento che [ ...] l'ordinanza di sospensione del procedimento per messa alla prova è impugnabile solo con il ricorso per cassazione». Sostiene che, in questo quadro, il riferimento all'art. 570 cod. proc. pen. non possa assumere rilievo.

10.2. Di segno opposto le argomentazioni contenute nelle sentenze Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, Lorini, Rv. 277138 e Sez. 1, n. 43293 del 27/10/2021, Ongaro, Rv. 282156, secondo le quali, in assenza di una previsione espressa, il carattere incidentale del procedimento di messa alla prova non vale ad escludere il procuratore generale dai soggetti legittimati al ricorso. Nel procedimento incidentale cautelare, infatti, il legislatore ha previsto che siano legittimati a ricorrere per cassazione contro le ordinanze cautelari emesse in sede di riesame o di appello, solo il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura e il pubblico ministero presso il tribunale del riesame e questa espressa previsione era necessaria, nonostante la natura incidentale del procedimento cautelare, proprio perché, salvo che sia espressamente stabilito, quando le disposizioni in materia di impugnazioni menzionano come soggetto legittimato il pubblico ministero, fanno riferimento ad entrambe le figure del procuratore della Repubblica e del procuratore generale presso la corte di appello.

Le sentenze in esame osservano che «se la legge non distingue e non seleziona per il profilo soggettivo uno specifico ufficio del pubblico ministero, il riferimento al pubblico ministero come titolare del potere di impugnazione non può che significare la legittimazione anche del procuratore generale. Vale, infatti, la regola generale dell'art. 570, comma 1, cod. proc. pen. ove, a parte il rinvio ad una previsione di eccezione per l'appello, si stabilisce l'attribuzione concorrente del potere di impugnazione in capo ad entrambi gli uffici del pubblico ministero, per mezzo della specificazione che il procuratore generale può impugnare pur quando il pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento (quindi il procuratore della Repubblica) abbia a sua volta impugnato o, di contro, abbia prestato acquiescenza al provvedimento» (sentenza Ongaro, pagg. 3 e 4).

Le sentenze in esame - non diversamente dalla sentenza n. 18317/2021 - escludono che il pubblico ministero possa, in via generale, impugnare l'ordinanza di sospensione del procedimento ex art. 464 quater cod. proc. pen. congiuntamente alla sentenza di non luogo a procedere, come può fare invece l'imputato per quanto riguarda le ordinanze di rigetto. Osservano infatti che la possibilità di impugnare ordinanze dibattimentali per la prima volta insieme alle sentenze postula che le prime non siano impugnabili in via autonoma come è invece, nel caso del pubblico ministero, per l'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. Ne desumono però che «l'ordinanza ex art. 464 quater cod. proc. pen, deve essere portata a conoscenza, mediante lettura in udienza o mediante notifica o comunicazione dell'avviso di deposito, non solo alle parti del procedimento che hanno diritto all'avviso della data dell'udienza», ma anche al procuratore generale presso la corte di appello, titolare del potere di impugnazione al pari del procuratore della Repubblica ai sensi dell'art. 570 cod. proc. pen. Per giungere a questa interpretazione, applicano i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite in tema di individuazione del pubblico ministero legittimato all'impugnazione (Sez. U, n. 22531, 31/05/2005, Campagna, Rv. 231056 e n. 31011 del 28/05/2009, Colangelo, Rv. 244029) secondo le quali l'espressione «pubblico ministero» è utilizzata dal codice di rito indifferentemente per il procuratore della Repubblica presso il tribunale e per il procuratore generale presso la corte di appello. Sottolineano che tali principi non sono mutati a seguito dell'introduzione dell'art. 593 bis cod. proc. pen., che ha lasciato inalterata, per il ricorso in cassazione, la regola secondo la quale il procuratore generale ha il potere di proporre impugnazione contro i provvedimenti emessi, nell'ambito dell'ordinario processo di cognizione, dai giudici del distretto, anche quando il pubblico ministero del circondario abbia già compiuto in merito la sua valutazione positiva o negativa («Salvo quanto previsto dall'articolo 593 bis, comma 2, il procuratore generale può proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento>>). Sostengono che il potere di surroga del procuratore generale, in base al quale detto organo è legittimato, in via ordinaria, ad impugnare tutti i provvedimenti potenzialmente definitivi emessi nel giudizio di cognizione, trova il suo fondamento in un complesso normativo, esplicativo del disposto dell'art. 570 cod. proc. pen. - contenuto negli artt. 548, comma 3, 585, comma 2, lett. d), e 608, comma 4, cod. proc. pen. - che precisa le modalità di esercizio del diritto d'impugnazione prescrivendo gli adempimenti necessari a far conoscere al suo titolare i provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della circoscrizione diverso dalla corte d'appello.

Le sentenze in esame non sottovalutano il dato obiettivo che, in qualche procedimento, la legittimazione del procuratore generale ad impugnare sia esclusa, ma sostengono che non v'è ragione alcuna di inserire tra questi l'art. 464 quater cod. proc. pen. Rilevano che l'espressione «pubblico ministero» utilizzata dal legislatore non è dirimente in tal senso e che le deroghe previste si riferiscono a procedimenti incidentali dotati di autonomia rispetto all'ordinario processo di cognizione, mentre «l'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova è idonea solo in via eventuale a dare vita ad uno sviluppo procedimentale alternativo rispetto a quello principale di cognizione, dal momento che ne è sempre possibile la revoca con la ripresa dell'ordinario corso del procedimento volto, come tale, all'accertamento dei fatti e della punibilità dell'accusato nonché alla determinazione dell'eventuale trattamento sanzionatorio» (sentenza Ongaro, pag. 6).

11. Per quanto esposto, considerata l'esistenza, nella materia in esame, di un contrasto giurisprudenziale, il Collegio ritiene necessario rimettere alle Sezioni Unite la risoluzione del seguente quesito di diritto: «Se il procuratore generale sia legittimato a proporre impugnazione avverso l'ordinanza che ammette l'imputato alla messa alla prova ai sensi dell'art. 464 bis cod. proc. pen. e avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 464 septies cod. proc. pen, e quali siano i vizi deducibili con il ricorso avverso tale sentenza»

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite. Così deciso il 23 marzo 2022

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 13220 | 30 Marzo 2022

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 30 marzo 2022 n. 13220

Mano dell'operaio schiacciata tra il rullo mobile ed il rullo fisso del macchinario. Prescrizione

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 30/03/2022

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Bologna il 19 maggio 2020 ha integralmente confermato la sentenza con cui il Tribunale di Reggio Emilia il 27 aprile 2016, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto D.P. responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandolo, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, in favore della parte civile, cui è stata assegnata provvisionale.
Occorre dare atto che all'udienza del 12 luglio 2018 (come si legge alla p. 16 della sentenza impugnata) la costituzione di parte civile è stata revocata in ragione dell'avvenuto risarcimento dei danni da parte dell'assicurazione.

2. I fatti, in estrema sintesi, come ricostruiti dai giudici di merito (pp. 3-11 della sentenza di appello e pp. 3-5 di quella del Tribunale).
L'imputato, in veste di procuratore della s.p.a. "Padana tubi e profilati acciaio" e di delegato in materia di sicurezza e salute sul lavoro, è stato ritenuto responsabile dell'infortunio occorso il 23 aprile 2013 al lavoratore dipendente G.B., mentre lo stesso era intento a rimuovere manualmente una sottile lastra metallica che era uscita dalla corretta posizione di scorrimento e che si era aggrovigliata nella zona dei rulli, inibendo il funzionamento della macchina, detta "linea di taglio TR2", impiegata per spianare la lamiera. La mano sinistra dell'operaio è rimasta schiacciata tra il rullo mobile ed il rullo fisso del macchinario, macchinario che era sotto il controllo a distanza di un altro operatore, nel caso di specie il capo-macchina Go. (quel giorno in sostituzione del titolare Z.), che è colui che è risultato avere riavviato il macchinario mentre il collega aveva ancora la mano nella zona dei rulli. La persona offesa ha riportato la frattura frammentaria di quattro dita della mano, pur protetta dal guanto di sicurezza, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per quarantacinque giorni e grado di menomazione dell'integrità fisica del 35 %.
I profili di colpa ravvisati sussistenti sono di tipo sia generico, ossia negligenza, imprudenza e imperizia, che specifico, in particolare violazione dell'art. 71, comma 3, del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e dei punti nn. 1.6.2., comma 3, e 1.6.3. dell'allegato VI al d. lgs. n. 81 del 2008, per avere cioè l'imputato: consentito che il capo-macchina, che dava i comandi da dentro una cabina, fosse collocato in una posizione, alle spalle dei lavoratori, da cui non aveva la visuale completa; per non avere fornito ai dipendenti uno strumento 'idoneo per recuperare le c.d.. "rifile" cioè le strisce di acciaio fuoriuscite dal macchinario, circostanza che accadeva con relativa frequenza, avendo gli operai di propria iniziativa realizzato artigianalmente un "rampino" ossia un gancio che utilizzavano allo scopo; per non avere disciplinato la procedura di recupero delle lastre di acciaio, che avveniva a mano e con l'aiuto del gancio di cui si è detto; per non avere proibito la lavorazione su· parti in movimento; per non avere previsto appositi avvisi, chiaramente visibili, circa gli specifici pericoli connessi alla lavorazione su parti mobili; per avere consentito l'instaurarsi di una prassi che "bypassava" il sistema di sicurezza incentrato sulle fotocellule installate sui cancelli che delimitavano la zona di rischio; in ogni caso, per non avere adeguatamente formato ed informato i lavoratori.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi, con i quali denunzia difetto di motivazione (i primi due motivi) e violazione di legge (il terzo motivo).
3.1. Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione quanto alla dinamica dell'infortunio, con particolare riferimento al funzionamento dell'impianto al momento dell'incidente, con travisamento delle prove dichiarative ed omesso esame dei motivi di appello sui profili di colpa. Ciò sotto più profili.
3.1.1.I giudici di merito (p. 3 della sentenza di primo grado e p. 7 di quella di appello) avrebbero errato nel ritenere l'incidente scaturito dal riavvio del macchinario in modalità automatica, mentre nei motivi aggiunti di appello si era sostenuto, con richiamo di plurime testimonianze, che, in realtà, l'impianto era fermo e che quando è stato riattivato dal capo-macchina è stato riattivato in modalità manuale lenta: sicchè il contributo conoscitivo dei testi al riguardo, che si richiama anche nel corpo del ricorso, sarebbe stato travisato.
Peraltro, il comando manuale sarebbe previsto proprio per consentire operazioni di riparazione o di manutenzione quale quella che si stava svolgendo.
3.1.2. Sempre con richiamo al contenuto dei motivi aggiunti di appello, si evidenzia essersi criticata, quanto alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio e all'impiego dell'uncino in sostituzione delle mani per "aripionare" le lamine di metallo che fuoriuscivano dai corretti binari, la ritenuta - dal Tribunale - inattendibilità del teste Go., cioè colui che quel giorno svolgeva le funzioni di capo-macchina e, viceversa, essersi criticata la ritenuta - sempre da parte del Tribunale - credibilità della persona offesa, senza trovare adeguata risposta.
Dunque, le considerazioni della Corte territoriale circa la conoscenza da parte dei dipendenti della necessità di utilizzare l'uncino, che in effetti avevano a disposizione, sarebbero frutto di travisamento delle risultanze istruttorie.
3.1.3. Sarebbe stato ignorato anche il rilievo difensivo svolto nei motivi aggiunti circa la idoneità dell'uncino, seppure artigianalmente realizzato, allo scopo di agganciare le lamine di acciaio senza necessità di adoperare le mani.

3.1.4. Stesso vizio presenterebbero le considerazioni dei Giudici sulla ritenuta mancanza di formazione e di informazione, avendo trascurato il contenuto, riferito alla p. 7 dei motivi aggiunti, delle dichiarazioni dei testimoni che hanno affermato di avere avuto formazione e avere seguito corsi di aggiornamento.
3.1.5. Diversa la situazione della mancanza dei cartelli di pericolo: la Difesa non ne contesta l'assenza ma sottolinea che ciò non ha avuto alcùn rilievo causale nell'infortunio poiché dall'istruttoria è emerso che i dipendenti erano a conoscenza che avrebbero dovuto agire solo a macchina ferma. Ebbene, la Corte di appello si sarebbe limitata a confermare che l'assenza dei cartelli costituirebbe profilo di colpa, senza però confrontarsi con i rilievi critici svolti nell'appello.
3.2. Mediante il secondo motivo D.P. si duole di vizio di motivazione circa la sussistenza del rapporto causale, essendosi verificato l'infortunio, ad avviso del ricorrente, a causa di una condotta abnorme e, comunque, estranea all'attività lavorativa dell'infortunato, avendo la Corte territoriale ignorato le doglianze sul punto dell'appellante, che aveva valorizzato le dichiarazioni dell'ispettore della U.S.L. Ferraresi, che ha parlato di errore sia del capo-macchina sia della persona offesa. In realtà, alla luce delle testimonianze dell'infortunato e dei suoi colleghi, non sarebbe possibile ricostruire con precisione la dinamica dell'infortunio e, quindi, «non si può escludere [ ...] che la responsabilità de/l'infortunio sia da attribuire ad una condotta dell'infortunato imprevedibile ed estranea alle mansioni che gli erano state affidate» (così alle pp. 10-11 del ricorso), con conseguente necessità di adozione di pronunzia assolutoria.
3.3. Con l'ultimo motivo il ricorrente censura violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
Richiamata la motivazione con cui la Corte di appello (pp. 15-17) ha disatteso la richiesta di applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., si sottolineano gli elementi che avrebbero dovuto condurre a diversa valutazione ossia il "non elevato grado di colpa", desumibile dalla deposizione dell'ispettore della U.S.L. e già espressamente ritenuto dal Tribunale (alla p. 6), richiamando al riguardo un precedente di legittimità (Sez. 4, n. 6566 del 07/10/2019, dep. 2020, rie. Vitrano, non mass.) in cui si è ritenuto applicare di ufficio la causa di non punibilità in ragione dell'assenza di precedenti penali, dell'avvenuto risarcimento dei danni, della non gravità del fatto, anche in ragione della condanna alla sola pena pecuniaria.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1.Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il relativo termine di prescrizione massimo pari a sette anni e mezzo dal fatto (non risulta nessun rinvio chiesto dalla Difesa nei gradi di merito).
Deve rilevarsi infatti che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione: ciò con particolare riferimento al tema della mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., invocato dalla Difesa nei motivi aggiunti (pp. 10-11), in relazione alla espressa valutazione di "non elevato grado di colpa" che si rinviene alla p. 6 della sentenza del Tribunale.
Pertanto sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare l'esistenza di una cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturata successivamente rispetto all'adozione della sentenza impugnata (fatto del 23 aprile 2013; sentenza di secondo grado del 19 maggio 2020; prescrizione massima maturatasi, non essendo intervenuti eventi sospensivi, il 23 ottobre 2020; atti pervenuti alla S.C. il 21 aprile 2021).
E' poi appena il caso di sottolineare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle congrue e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di appello nella sentenza impugnata: non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazlone" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 ), si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato contestato estinto per prescrizione.

2. Motivazione semplificata, dovendosi fare applicazione nel caso di specie di principi giuridici già reiteratamente affermati dalla Corte di cassazione e condivisi dal Collegio, ricorrendo le condizioni di cui al decreto del Primo Presidente della S.C. n. 84 dell'8 giugno 2016.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso il 30/03/2022.

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DUVRI: Procedura gestione interferenze contratti d'appalto

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Cover Procedura valutazione e gestione delle inteferenze

La procedura per la gestione delle interferenze nei contratti d'appalto / Rev. 1.0 Aprile 2022

ID 15665 | Rev. 1.0 del 04.04.2022 / In allegato Procedura e schede

La procedura definisce le modalità con le quali il Committente valuta le possibili interferenze del proprio ciclo produttivo, e delle attività ad esso connesse, con quelli degli operatori economici ai quali intende affidare un contratto di appalto o d'opera o di somministrazione, secondo quanto previsto dall’articolo 26 del D.Lgs 81/08, e successive modificazioni e integrazioni, di seguito D.Lgs 81/08.

Un'importante novità normativa, disposta dal DL n. 146/2021 (convertito / Legge 17 dicembre 2021 n. 215) al D.Lgs. 81/2008, prevede che, nei casi di appalto e subappalto, dal 21 dicembre 2021, il datore di lavoro, sia appaltatore che subappaltatore, ha l’obbligo di indicare espressamente, al datore di lavoro committente, il personale che svolge la funzione di preposto (art. 26, comma 8 bis). Previste Sanzioni per il datore di lavoro appaltante Art. 55. (Vedi Modelli Comunicazione preposto appalto e subappalto art. 26 co. 8 bis TUS).

La Procedura, nel caso i rischi di interferenze siano accertati, fornisce le modalità con le quali definire il Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenti, nonché la gestione del coordinamento e della cooperazione dei soggetti coinvolti.

La procedura riguarda principalmente le attività affidate da un operatore economico Committente ad altro operatore economico con un contratto di appalto o d'opera o di somministrazione regolati dal diritto privato, in particolare nel settore industriale (in settori merceologici diversi). Essa intende fornire alle aziende del comparto industriale uno strumento metodologico di carattere generale utile all’adempimento di quanto disposto dalla normativa nazionale in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.

I criteri, i contenuti, le istruzioni operative contenute nella procedura possono essere però un riferimento anche per altre tipologie di attività.

Lo strumento vuole essere un utile ausilio per garantire al Committente, in applicazione di quanto previsto dall'articolo 26 del D.Lgs 81/08, un approccio sistematico alla valutazione e alla gestione dai rischi derivanti da interferenze e dunque dovrà essere adattato alle singole realtà aziendali nelle quali vengono rese operative la valutazione e la gestione delle interferenze.

Vedi DUVRI Documento Unico per la Valutazione Rischi da Interferenze 2022

In allegato:

01. Procedura per la valutazione e gestione delle Interferenze [pdf]
Allegati
02. Diagramma di flusso [pdf]
03. Scheda 1 Committente [pdf/.doc]
04. Scheda 2 Autocertificazione [pdf/.doc]
05. Scheda 2 bis Contratto di concessione di uso “a freddo” [pdf/.doc]
06. Scheda 3 Operatore Economico [pdf/.doc]
07. Scheda 4 Verbale della riunione preliminare/periodica di sopralluogo, valutazione e cooperazione [pdf/.doc]
08. Scheda 5 Elaborazione del DUVRI [pdf/.doc]

D.Lgs 81/08

Articolo 26 Obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione

1. Il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo: (2)
a) verifica, con le modalità previste dal decreto di cui all'articolo 6, comma 8, lettera g), l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al periodo che precede, la verifica è eseguita attraverso le seguenti modalità:
1) acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato;
2) acquisizione dell'autocertificazione dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000 n. 445;
b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.

2. Nell'ipotesi di cui al comma 1, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori:
a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;
b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.

3. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze ovvero individuando, limitatamente ai settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali di cui all'articolo 29, comma 6-ter, con riferimento sia all'attività del datore di lavoro committente sia alle attività dell'impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi, un proprio incaricato, in possesso di formazione, esperienza e competenza professionali, adeguate e specifiche in relazione all'incarico conferito, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta dell'ambiente di lavoro, per sovrintendere a tali cooperazione e coordinamento. In caso di redazione del documento esso è allegato al contratto di appalto o di opera e deve essere adeguato in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture. A tali dati accedono il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Dell'individuazione dell'incaricato di cui al primo periodo o della sua sostituzione deve essere data immediata evidenza nel contratto di appalto o di opera. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Nell'ambito di applicazione del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, tale documento è redatto, ai fini dell'affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto. (3) (4)

3-bis. Ferme restando le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, l'obbligo di cui al comma 3 non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini-giorno, sempre che essi non comportino rischi derivanti dal rischio di incendio di livello elevato, ai sensi del decreto del Ministro dell'interno 10 marzo 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 64 alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, o dallo svolgimento di attività in ambienti confinati, di cui al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011 n. 177, o dalla presenza di agenti cancerogeni, mutageni o biologici, di amianto o di atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all'allegato XI del presente decreto. Ai fini del presente comma, per uomini-giorno si intende l'entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all'effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all'arco temporale di un anno dall'inizio dei lavori.» (3) (4)

3-ter. Nei casi in cui il contratto sia affidato dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 34, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, o in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il documento di valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall'esecuzione del contratto. Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell'inizio dell'esecuzione, integra il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà espletato l'appalto; l'integrazione, sottoscritta per accettazione dall'esecutore, integra gli atti contrattuali.

4. Ferme restando le disposizioni di legge vigenti in materia di responsabilità solidale per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, l'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

5. Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli articoli 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 del codice civile, devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell'articolo 1418 del codice civile i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni. I costi di cui primo periodo non sono soggetti a ribasso. Con riferimento ai contratti di cui al precedente periodo stipulati prima del 25 agosto 2007 i costi della sicurezza del lavoro devono essere indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti siano ancora in corso a tale data. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

6. Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

7. Per quanto non diversamente disposto dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo modificate dall'articolo 8, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, trovano applicazione in materia di appalti pubblici le disposizioni del presente decreto.

8. Nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento (1) corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro.

8-bis. Nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto. (6)

(Note)

(1) La l. 13 agosto 2010, n. 136, all’art. 5 dispone che nella tessera di riconoscimento, prevista dall'art. 18, comma 1, lett. u) dovrà essere precisata anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione.
(2) Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro-Circolare 10 febbraio 2011, n. 3328 "Lettera circolare in ordine alla approvazione della Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere."
(3) Il Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, all'art. 32, c. 1, lett. a, dispone la sostituzione dei commi 3 e 3 bis
(4) Comma modificato dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia
(5) Decreto Legislativo 18 aprile 2016 n. 50 - Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori acqua, energia, trasporti (Codice degli appalti)
(6) Comma aggiunto dalla Legge 17 dicembre 2021 n. 215 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 ottobre 2021 n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. (GU n.301 del 20.12.2021).

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Piano nazionale di lotta al lavoro sommerso

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Piano nazionale di lotta al lavoro sommerso

Piano nazionale di lotta al lavoro sommerso

MLPS - 13.04.2022

Su proposta del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando, nasce il Portale unico del contrasto al lavoro sommerso che accentra in un'unica banca dati i risultati delle attività di vigilanza in materia di lavoro sommerso esercitate dai diversi organi ispettivi.

Al fine di una efficace programmazione dell’attività ispettiva nonché del monitoraggio del fenomeno del lavoro sommerso su tutto il territorio nazionale, le risultanze dell’attività di vigilanza svolta dall’Ispettorato nazionale del lavoro, dal personale ispettivo dell’INPS, dell’INAIL, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza sulle violazioni in materia di lavoro sommerso, nonché in materia di lavoro e legislazione sociale, confluiscono in un portale unico nazionale gestito dall’Ispettorato nazionale del lavoro denominato Portale Nazionale del Contrasto al Lavoro Sommerso. Lo prevede una norma proposta dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando, contenuta nel Decreto legge con misure urgenti di attuazione del PNRR approvato dal Consiglio dei Ministri.

Il Portale Nazionale del Contrasto al Lavoro Sommerso sostituisce e integra le banche dati esistenti attraverso le quali l’Ispettorato nazionale del lavoro, l’INPS e l’INAIL condividono le risultanze degli accertamenti ispettivi. Nel portale, al quale accedono le amministrazioni che concorrono alla sua alimentazione, confluiscono i verbali ispettivi nonché ogni altro provvedimento consequenziale alla attività di vigilanza, ivi compresi tutti gli atti relativi ad eventuali contenziosi istaurati sul medesimo verbale.

Si tratta di un ulteriore tassello per rafforzare il contrasto al lavoro sommerso portato avanti dal ministero guidato da Andrea Orlando.

Nelle scorse settimane il ministro Orlando ha insediato il Tavolo tecnico per l’approvazione del Piano nazionale di lotta al lavoro sommerso che rientra tra gli interventi previsti dal PNRR nella parte di competenza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il Tavolo tecnico avrà tempo fino al 15 ottobre 2022 per elaborare il Piano nazionale, che dovrà poi essere adottato entro la fine di quest’anno, tramite un apposito Decreto Ministeriale. Il Tavolo tecnico garantirà nei prossimi mesi la corretta e puntuale elaborazione del Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso e fra le varie funzioni delineerà un’opportuna strategia d’indirizzo dell’attività ispettiva; studierà forme e modalità concrete di denuncia da parte dei lavoratori costretti a lavorare in condizioni di lavoro irregolare e favorirà il dialogo e la collaborazione con le parti sociali.

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Fonte: MLPS

Fornitura di calcestruzzo in cantiere: Chiarimenti / Quadro procedurale

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Fornitura di calcestruzzo in cantiere Chiarimenti   Quadro procedurale

Fornitura di calcestruzzo in cantiere: Chiarimenti / Quadro procedurale - Update 2022

ID 15362 | 04.01.2022 / Documenti allegati 

Il Documento allegato fornisce Chiarimenti in merito alla fornitura e posa in opera di calcestruzzo preconfezionato in accordo con Circolari e Note emanate dal 2011 al 2020 (allegate), Sentenza in merito, altri Documenti d'interesse.

Allegati:

- Fornitura di calcestruzzo in cantiere Chiarimenti - Quadro procedurale

00. Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere

01. Nota INL 1753 del 11.08.2020
02. Focus m.1 Sicurezza nelle forniture di calcestruzzo-ruoli e responsabilità
03. Circolare MLPS 3328 del 10.02.2011
04. Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere ANCE
05. Circolare MLPS 10 febbraio 2016 n. 2597
06. Circolare CNI n. 315 del 14.11.2018

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Nota INL 1753 del 11.08.2020

Chiarimenti in merito alla fornitura e posa in opera di calcestruzzo preconfezionato / Nota di aggiornamento INL

La Direzione centrale tutela, sicurezza e vigilanza del lavoro dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 1753 (allegato 01 / ndr), inviata ad agosto 2020, ha fornito agli Ispettorati interregionali e territoriali del lavoro, chiarimenti in merito alla fornitura e posa in opera di calcestruzzo preconfezionato.

La nota si è resa necessaria poiché gli Ispettorati territoriali e i coordinatori per la sicurezza in fase di esecuzione continuano a richiedere il piano operativo di sicurezza (POS) ai fornitori di calcestruzzo, anche in caso di mera fornitura del materiale.

La richiesta di POS viene motivata dal fatto che le imprese fornitrici di calcestruzzo non si limiterebbero alla mera fornitura, ma parteciperebbero anche alla posa in opera dello stesso, dal momento che l’operatore addetto al pompaggio del calcestruzzo sposta a distanza il braccio della pompa, seguendo le indicazioni dell’impresa esecutrice, mediante l’apposito radio-comando.

Tale interpretazione non è in linea con quanto riportato agli artt. 26, comma 3 bis, e 96, comma 1 bis, del D. Lgs. n. 81/2008, nella lettera circolare del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 10 febbraio 2011, recante “La procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere” e nella nota prot. n. 2597 del 10/02/2016 (allegato 05 / ndr), emanata dalla DG per l’Attività Ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

L’INL, con la nota in commento, ha ritenuto opportuno chiarire nuovamente gli elementi che distinguono la mera fornitura di calcestruzzo dalla fornitura e posa in opera dello stesso.

In particolare, la fattispecie della mera fornitura di calcestruzzo si realizza ove i lavoratori della ditta fornitrice non partecipano alle operazioni di getto del conglomerato, e non manovrano il terminale in gomma della pompa o la benna o il secchione nel caso di scarico dalla betoniera, ma si limitano a posizionare l’autobetoniera e la canala di distribuzione, o a direzionare, a distanza o da cabina, il braccio, ma non il terminale in gomma, della pompa per calcestruzzo o dell’autobetonpompa a seconda della modalità di consegna.

I lavoratori della ditta esecutrice, invece, provvedono alla posa in opera dirigendo materialmente il getto del calcestruzzo, manovrando e posizionando la benna, il secchione o il terminale in gomma della pompa, in modo da garantire l’omogenea distribuzione del conglomerato durante la lavorazione, nel rispetto della regola dell’arte.

Pertanto, le materiali attività dei lavoratori della ditta esecutrice che eseguono i getti (conducendo, ad esempio, il terminale in gomma della pompa), si distinguono da quelle degli addetti alla conduzione di pompe per calcestruzzo, generalmente dipendenti della ditta fornitrice, che consistono nella manovra del braccio della pompa per calcestruzzo, o dell’autobetonpompa, per effettuare la consegna (scarico) del materiale.

La fattispecie della fornitura e posa in opera del calcestruzzo, invece, si realizza quando i lavoratori della stessa azienda provvedono sia alla fornitura (consegna/scarico) del conglomerato sia alla sua posa in opera (esecuzione dei getti) effettuando entrambe le operazioni. In tal caso, l’impresa si configura contemporaneamente come fornitrice ed esecutrice.

Alla luce di tali indicazioni, l’Ispettorato chiarisce che il personale ispettivo dovrà verificare nel caso concreto se le fasi della fornitura e della posa in opera sono messe in atto da imprese diverse ovvero dalla stessa impresa.

Nel primo caso, dovrà accertarsi che la ditta che effettua la mera fornitura (impresa fornitrice) segua la Procedura approvata dalla Commissione Consultiva Permanente nel 2011 (allegato 04 / ndr), e che la ditta che esegue materialmente i getti (impresa esecutrice) abbia redatto il POS di cui all’articolo 89, comma 1, lett. h) del D. Lgs. n. 81/2008.

Nel secondo caso, l’ispettore dovrà verificare che l’unica impresa che effettua sia la fornitura che la posa in opera abbia redatto il POS relativo alle lavorazioni della fase della posa in opera.

Per quanto concerne la manovra del braccio della pompa, ANCE ricorda che l’operazione è svolta degli operatori pompisti dell’impresa fornitrice, che devono seguire il corso di formazione previsto dall’art. 73, comma 5, del D. Lgs. n. 81/2008 e dell’Accordo Stato-Regioni del 2012, allegato X.

Fig    Schema fornituta calcestruzzo   POS

Fig. Fornitura di calcestruzzo - POS

Per completezza di informazioni, si segnala che anche il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI), nel 2018 (allegato 06 / ndr), ha inviato agli ordini territoriali, una circolare, d’accordo con Ance, in cui ha ribadito che si tratta di mera fornitura di calcestruzzo nel caso in cui il lavoratore non tenga e non manovri il terminale in gomma della pompa o la benna, il secchione e la canala nel caso di scarico da autobetoniera.

La discriminante, pertanto, non è l’uso della pompa o dell’autobetoniera, quanto la partecipazione alla posa in opera che si esplica, appunto, nello svolgimento da parte del lavoratore dell’impresa fornitrice di operazioni che competono ai lavoratori dell’impresa esecutrice.

Anche se, in caso di mera fornitura, non è obbligatoria la redazione del POS da parte dei fornitori, la procedura del ministero del Lavoro richiede che le informazioni tra i diversi soggetti coinvolti nell’operazione vengano scambiate, ad esempio nell’ambito di una riunione di coordinamento, attraverso documenti di cui sia possibile tenere traccia sia per dimostrare il coordinamento di cantiere, sia in caso specifico di infortunio.

Tale riunione dovrebbe essere promossa dal coordinatore per la sicurezza di cantiere, in modo da avere la possibilità di chiarire e constatare personalmente la natura della prestazione ed efficacia delle informazioni scambiate.
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Cassazione: obbligo Imprese fornitrici di calcestruzzo redazione POS  anche con il solo incarico della ditta fornitrice di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile

La Sentenza n. 11739 del 10 marzo 2017 stabilisce che è necessario il POS anche per fornitura e il getto di calcestruzzo con l’autobetonpompa (che non è da considerare "mera fornitura di materiali")

Infatti con la Sentenza n. 11739 del 10 marzo 2017, la suprema Corte ha sostenuto che sono assoggettate agli obblighi di redigere il POS, anche le imprese che effettuano la fornitura e posa in opera di materiali nei cantieri edili quali sono la fornitura e il getto di calcestruzzo con l’autobetonpompa, motivando che tale operazione non è da considerare "mera fornitura di materiali". 

La Corte di Cassazione a precisato che mettere a disposizione dell’impresa richiedente la fornitura anche dei lavoratori, come è avvenuto nel caso in esame, con l’incarico di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile comporta un contributo tecnico ed esecutivo da parte del personale della ditta fornitrice certamente eccedente la fornitura dei materiali e delle attrezzature.
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Vedi tutto l'articolo

Per la Cassazione l'azionamento della macchina e il comando a distanza del braccio snodabile non è "mera fornitura di materiali"

Per la Cassazione (Sentenza n. 11739 del 10 marzo 2017) esiste l’obbligo da parte delle Imprese fornitrici di calcestruzzo dellaredazione POS anche con il solo incarico della ditta fornitrice di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile motivando che tale operazione non è da considerare "mera fornitura di materiali". 

Vedi Sentenza

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D.Lgs. 81/2008
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Art. 96 - Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti

1. I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti:

a) adottano le misure conformi alle prescrizioni di cui all'allegato XIII;
b) predispongono l'accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili;
c) curano la disposizione o l'accatastamento di materiali o attrezzature in modo da evitarne il crollo o il ribaltamento;
d) curano la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute;
e) curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il committente o il responsabile dei lavori;
f) curano che lo stoccaggio e l'evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente;
g) redigono il piano operativo di sicurezza di cui all'articolo 89, comma 1, lettera h).

1-bis. La previsione di cui al comma 1, lettera g), non si applica alle mere forniture di materiali o attrezzature. In tali casi trovano comunque applicazione le disposizioni di cui all'articolo 26.

2. L'accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100, nonché la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni di cui all'articolo 17 comma 1, lettera a), all'articolo 26, commi 1, lettera b), 2, 3, e 5, e all'articolo 29, comma 3.

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Valutazione del rischio ATEX centrali termiche gas

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Valutazione rischio ATEX Centrali termiche gas

Valutazione del rischio ATEX centrali termiche gas

ID 12042 | 16.11.2020

Con la Nota VVF 5 Novembre 2020 Prot. n. 14766 "Valutazione della formazione di atmosfere potenzialmente esplosive per impianti di produzione del calore ricadenti nel campo di applicazione del DM 08/11/2019 - Quesiti", e' chiarito la valutazione rischio ATEX per gli impianti di produzione del calore a combustibile gassoso di portata termica complessiva maggiore di 35 kW di cui al decreto 8 novembre 2019, indipendentemente dal luogo di installazione, deve essere effettuata in accordo con lo stesso decreto e non con la procedura di valutazione di cui al titolo XI del D.Lgs. 81/2008, in quanto non si applica all'uso di “apparecchi”, discliplinati ATEX dal D.Lgs. 85/2016 (ATEX Prodotti)

Decreto 8 novembre 2019

Art. 1. Campo di applicazione

1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano alla progettazione, realizzazione ed esercizio degli impianti per la produzione di calore civili extradomestici di portata termica complessiva maggiore di 35 kW alimentati da combustibili gassosi della 1a, 2a e 3a famiglia con pressione non maggiore di 0,5 bar, asserviti a:
a) climatizzazione di edifici e ambienti;
b) produzione di acqua calda, acqua surriscaldata e vapore;
c) cottura del pane e di altri prodotti simili (forni) ed altri laboratori artigiani;
d) lavaggio biancheria e sterilizzazione;
e) cottura di alimenti (cucine) e lavaggio stoviglie, anche nell’ambito dell’ospitalità professionale, di comunità e ambiti similari.

Il decreto 8 novembre 2019 stabilisce, puntualmente, le situazioni in cui è necessario effettuare la valutazione del rischio di formazione di atmosfere potenzialmente esplosive (punto 2.2.1 e 2.2.2, secondo la indicazione del punto 8.1.6).

Decreto 8 novembre 2019

2.2 Valutazione del rischio

2.2.1 Disposizioni per i generatori di aria calda, i moduli a tubi radianti e i nastri radianti

1. Nel caso in cui le lavorazioni o le concentrazioni dei materiali in deposito negli ambienti da riscaldare comportino la formazione di gas, vapori e/o polveri suscettibili di dare luogo ad incendi e/o esplosioni, l'installazione deve garantire il raggiungimento degli obiettivi di cui all'art.2 del decreto attraverso la valutazione del rischio di formazione di atmosfere esplosive di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e secondo le modalita' operative indicate dai relativi allegati, quale parte integrante della piu' generale valutazione del rischio di incendio prevista dal decreto legislativo medesimo. La possibilita' di installazione di tali apparecchi e pertanto subordinata all'individuazione delle zone classificate pericolose ai fini della formazione di atmosfere potenzialmente esplosive in presenza di gas e o di polveri combustibili e dell'estensione dei relativi volumi nell'ambiente di lavoro, in conformita' alle norme tecniche vigenti.

2. All'interno di dette aree potranno essere installati solo apparecchi idonei ai sensi del decreto legislativo 19 maggio 2016 n.85.

3. All'esterno di tali aree gli apparecchi a gas possono essere installati ad opportune distanze di sicurezza dalle superfici esterne dei volumi e/o dell'inviluppo delle zone classificate pericolose in cui si prevede la formazione di atmosfere potenzialmente esplosive.

2.2.2 Disposizioni per gli apparecchi di tipo A realizzati con diffusori radianti ad incandescenza

1. La possibilita' di installazione di apparecchi realizzati con diffusori radianti ad incandescenza in luoghi soggetti ad affollamento di persone, quali ad esempio i luoghi di culto, e subordinata all'effettuazione di una valutazione di rischio, che prenda in considerazione i fattori di rischio indicati alla Sezione 8 della presente regola tecnica, utili all'elaborazione delle conseguenti misure di prevenzione e protezione che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 2 del decreto. In ogni caso devono essere rispettate le istruzioni, le avvertenze e le limitazioni di installazione, uso e manutenzione eventualmente specificate dal fabbricante degli apparecchi a gas.

8.1.6 Disposizioni particolari

1. Per la valutazione del rischio dovuto alla presenza delle linee di alimentazione del gas all'interno dell'ambiente, devono essere presi in esame almeno i seguenti fattori:

- individuazione delle sorgenti di emissione di una eventuale perdita di gas (trafilamenti da tenute di valvole, da giunzioni e raccordi delle tubazioni ecc.);
- determinazione della portata di rilascio;
- individuazione delle fonti di innesco efficaci;
- valutazione delle aree con rischio di esplosione.

2. Per la riduzione del rischio entro limiti ritenuti accettabili possono essere prese in esame misure compensative riconducibili all'impianto interno del gas, ovvero ad altri apprestamenti quali, ad esempio, impianti di rivelazione ed allarme, valvole di intercettazione automatica del flusso, pressostati, prove di tenuta a cadenza periodica, etc, privilegiando in ogni caso, per le tubazioni del gas, un percorso il piu' possibile esterno al manufatto.

3. Deve essere rispettata una distanza minima di 4 m tra il piano di calpestio e gli elementi radianti.

4. La distanza tra gli elementi radianti ed eventuali materiali combustibili in deposito deve essere tale da impedire il raggiungimento di temperature pericolose sulla superficie dei materiali stessi ai fini dello sviluppo di eventuali incendi e/o reazioni di combustione, ed in ogni caso non minore di 1,5 m.

Valutazione rischio ATEX Centrali termiche gas   Applicazione

Fig. 1 - Procedura VR ATEX installazione di generatori di aria calda, moduli a tubi radianti, nastri radianti

Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81

Titolo XI
PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE

Capo I
Disposizioni generali

Art. 287. Campo di applicazione

1. Il presente titolo prescrive le misure per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti al rischio di atmosfere esplosive come definite all'articolo 288.
2. Il presente titolo si applica anche nei lavori in sotterraneo ove è presente un'area con atmosfere esplosive, oppure è prevedibile, sulla base di indagini geologiche, che tale area si possa formare nell'ambiente.
3. Il presente titolo non si applica:
a) alle aree utilizzate direttamente per le cure mediche dei pazienti, nel corso di esse;
b) all'uso di apparecchi a gas di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1996, n. 661;
c) alla produzione, alla manipolazione, all'uso, allo stoccaggio ed al trasporto di esplosivi o di sostanze chimicamente instabili;
d) alle industrie estrattive a cui si applica il decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624;
e) all'impiego di mezzi di trasporto terrestre, marittimo, fluviale e aereo per i quali si applicano le pertinenti disposizioni di accordi internazionali tra i quali il Regolamento per il trasporto delle sostanze pericolose sul Reno (ADNR), l'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne (ADN), l'Organizzazione per l'Aviazione civile internazionale (ICAO), l'Organizzazione marittima internazionale (IMO), nonché la normativa comunitaria che incorpora i predetti accordi. Il presente titolo si applica invece ai veicoli destinati ad essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva.
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Lista di controllo Stress Lavoro-Correlato

ID 15698 | | Visite: 10725 | Documenti Riservati Sicurezza

Lista di controllo valutazione preliminare

Lista di controllo valutazione preliminare e questionario indicatore valutazione approfondita stress lavoro-correlato (SLC)

ID 15698 | 08.02.2022 / Liste di controllo allegate

In allegato:

1. Lista di controllo valutazione preliminare stress lavoro-correlato SLC
2. Questionario-strumento indicatore per la valutazione approfondita SLC

Per il Documento di Valutazione Stress L-C completo, vedasi: Modello DVR Stress lavoro-correlato

In allegato, Lista di controllo valutazione preliminare stress lavoro-correlato (SLC) nella rilevazione, in tutte le aziende, di “indicatori di rischio da stress lavoro-correlato oggettivi e verificabili e ove possibile numericamente apprezzabili”, a solo titolo esemplificativo individuati dalla Commissione Consultiva Permanente (vedi Circolare MLPS 18 novembre 2010 rischio da stress lavoro-correlato - Indicazioni CCP). In allegato, inoltre, il Questionario-strumento indicatore per la valutazione approfondita, versione italiana del Management standard indicator tool sviluppato dall’HSE.

In accordo con le indicazioni della CCP (Circolare MLPS 18 novembre 2010), sono state elaborate le Linee guida Streess lavoro-correlato INAIL 2010 e 2017 sulle quali si basa sia la Lista di controllo valutazione preliminare SLC che il Questionario-strumento indicatore per la valutazione approfondita proposto.

Circolare MLPS 18 novembre 2010
Approvazione delle indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato di cui all'articolo 28, comma 1- bis, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81

NB

In accordo con le indicazioni della CCP (Circolare MLPS 18 novembre 2010) sono state elaborate le Linee guida Streess lavoro-correlato INAIL 2010 e 2017.

Percorso metodologico di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato secondo le indicazioni della Commissione Consultiva

Tra le novità introdotte dal D.Lgs. 81/08, di certo un ruolo di primo piano assume la definizione, mutuata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, del concetto di “salute” intesa quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità” (art. 2, comma 1, lettera o), premessa per la garanzia di una tutela dei lavoratori anche nei confronti dei rischi psicosociali.

Contestualmente, con la definizione anche del concetto di “sistema di promozione della salute e sicurezza” come “complesso dei soggetti istituzionali che concorrono, con la partecipazione delle parti sociali, alla realizzazione dei programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori” (art. 2, comma 1, lett. p), viene introdotta una visione più ampia della prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro che rimanda a quelli che sono i principi della “Responsabilità Sociale” definita (art. 2, comma 1, lett. ff) come “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende ed organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.

Nel complesso delle attività di prevenzione, un ruolo di primo piano è assegnato allo studio dell’organizzazione del lavoro, concretizzato nell’inserimento all’art. 15, comma 1, lett. d) del D.Lgs. 81/08, del “…rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro…” e nella conferma, in linea con quanto peraltro già disposto dall’art. 3, comma 1, lett. f del D.Lgs. 626/94, del “…rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo”.

Inoltre, l’art. 32, comma 2 dello stesso D.Lgs. 81/08 sottolinea che la formazione del RSPP deve riguardare anche i rischi “di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato.

Per quanto riguarda, in particolare, la “valutazione dei rischi”, il D.Lgs. 81/08 stabilisce che essa deve fare riferimento a “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004” (art. 28, comma 1).

Con le integrazioni successivamente apportate al D.Lgs. 81/08 dal D.Lgs. 106/09, la valutazione dello stress lavoro-correlato deve essere effettuata, (art. 28, c. 1-bis), “nel rispetto delle indicazioni di cui all’articolo 6, comma 8, lettera m-quater, e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010”, termine, quest’ultimo, successivamente prorogato al 31 dicembre 2010 dalla L.122/10.

D.Lgs. 81/08

Art. 28 - Oggetto della valutazione dei rischi

1-bis. La valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cui all'articolo 6, comma 8, lettera m-quater), e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010.

È la Commissione Consultiva Permanente per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro, (di seguito nel testo denominata Commissione Consultiva), destinataria del compito di elaborare le indicazioni di cui all’art. 6 comma 8 lettera m-quater del D.Lgs. 81/08, al fine di dare piena attuazione allo specifico obbligo valutativo; in data 17/11/2010, la Commissione Consultiva ha approvato le indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato, diffuse dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sul proprio sito internet, con Lettera Circolare prot. 15/SEGR/0023692 (Circolare MLPS 18 novembre 2010) e successivamente rese note anche con Comunicato ufficiale del Ministero stesso (G.U. 304 del 30/12/2010).

Indicazioni per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato

Come riportato nella nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di accompagnamento alle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato, le linee di indirizzo che hanno guidato l’elaborazione delle stesse sono:

a) “brevità e semplicità”;
b) “individuazione di una metodologia applicabile ad ogni organizzazione di lavoro”;
c) “applicazione di tale metodologia a gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress lavoro-correlato”;
d) “individuazione di una metodologia di maggiore complessità rispetto alla prima, ma eventuale” da utilizzare nel caso in cui la conseguente azione correttiva
non abbia abbattuto il rischio;
e) “valorizzazione delle prerogative e delle facoltà dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei medici competenti”;
f) “individuazione di un periodo transitorio per quanto di durata limitata per la programmazione e il completamento delle attività da parte dei soggetti obbligati”.

Premessa indispensabile che la Commissione Consultiva opera è quella di precisare che “il documento indica un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro…”, sottolineando così che l’approccio per fasi alla valutazione (percorso metodologico) viene vincolato a prescrizioni minime (livello minimo) non precludendo, quindi, la possibilità di un percorso più articolato e basato sulle specifiche necessità e complessità delle aziende stesse.

Nelle indicazioni elaborate dalla Commissione Consultiva viene ribadito che la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato è “parte integrante della valutazione dei rischi” ed è effettuata dal datore di lavoro (obbligo non delegabile ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a), in collaborazione con il RSPP ed il MC (art. 29, comma 1), previa consultazione del RLS/RLST (art. 29, comma 2); la data di decorrenza dell’obbligo, il 31 dicembre 2010, è da intendersi come “…data di avvio delle attività di valutazione…” la cui programmazione temporale e l’indicazione del termine “…devono essere riportate nel documento di valutazione dei rischi” (DVR). Viene altresì precisato che la valutazione va fatta prendendo in esame “non singoli ma gruppi omogenei di lavoratori…esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale…” e che “…le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti”.

L’intero percorso metodologico individuato dalla Commissione Consultiva è riportato nella Figura 1.

Percorso metodologico di valutazione del rischio da stress lavoro correlatonsecondo le indicazioni della Commissione Consultiva

Fig. 1 - Percorso metodologico di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato secondo le indicazioni della Commissione Consultiva

Valutazione preliminare

Consiste nella rilevazione, in tutte le aziende, di “indicatori di rischio da stress lavoro-correlato oggettivi e verificabili e ove possibile numericamente apprezzabili”, a solo titolo esemplificativo individuati dalla Commissione Consultiva, appartenenti “quanto meno” a tre famiglie distinte:

1) eventi sentinella;
2) fattori di contenuto del lavoro;
3) fattori di contesto del lavoro.

Relativamente agli strumenti da utilizzare, in tale prima fase “possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione…”.

Per quanto concerne il ruolo delle figure della prevenzione presenti in azienda, viene precisato che “in relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto…occorre sentire i lavoratori e/o il RLS/RLST. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di lavoratori”; la modalità attraverso cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro “anche in relazione alla metodologia di valutazione adottata”. È proprio tale marcato coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti che caratterizza e rende peculiare la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato rispetto a quella degli altri rischi che, al momento, si limita a prevedere solo una consultazione preliminare degli RLS.

Se la valutazione preliminare non rileva elementi di rischio da stress lavoro-correlato e, quindi, si conclude con un “esito negativo”, tale risultato è riportato nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) con la previsione, comunque, di un piano di monitoraggio.

Nel caso in cui la valutazione preliminare abbia un “esito positivo”, cioè emergano elementi di rischio “tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi…”; se questi ultimi si rilevano “inefficaci”, si passa alla valutazione successiva, cosiddetta “valutazione approfondita”.

Questionario indicatore valutazione approfondita SLC

Valutazione approfondita

Come in precedenza riportato, tale fase va intrapresa, come approfondimento, nel caso in cui nella fase precedente, a seguito dell’attività di monitoraggio, si rilevi l’inefficacia delle misure correttive adottate e relativamente “ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche”. A tal fine, le indicazioni della Commissione Consultiva prevedono la “valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori… sulle famiglie di fattori/indicatori…” già oggetto di valutazione nella fase preliminare con la possibilità, per le aziende di maggiori dimensioni, del coinvolgimento di “…un campione rappresentativo di lavoratori”.

Gli strumenti indicati per la suddetta valutazione della percezione soggettiva sono individuati a titolo esemplificativo, tra “…questionari, focus group, interviste semistrutturate…”, fermo restando che, per le imprese fino a 5 lavoratori, in sostituzione, il datore di lavoro “può scegliere di utilizzare modalità di valutazione (es. riunioni) che garantiscano il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia”.

Si riporta la versione italiana del Management standard indicator tool sviluppato dall’HSE. Questionario suggerito dalla linea guida INAIL per un eventuale valutazione approfondita.

Il Questionario strumento indicatore è uno strumento multidimensionale che misura gli aspetti del Contenuto e del Contesto del lavoro ritenuti come potenziali fattori di SLC. Lo strumento, sviluppato a partire dal modello dei Management standard, è stato validato sia nella versione inglese che in quella italiana.

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Agricoltura sociale: processi, pratiche e riflessioni per l’innovazione sociosanitaria

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Rapporti ISTISAN 22 9

Agricoltura sociale: processi, pratiche e riflessioni per l’innovazione sociosanitaria

Rapporti ISTISAN 22/9

L’ambiente naturale viene riconosciuto come un fattore di contesto importante per la prevenzione e la promozione della salute, inclusa la salute mentale. Questo rapporto propone una riflessione sulle pratiche e i processi in atto in Italia sul tema dell’agricoltura sociale.

Utilizzando risorse agricole, come animali e piante, l’agricoltura sociale è in grado di soddisfare esigenze sociali specifiche, tra cui la riabilitazione, l’occupazione protetta, l’istruzione permanente e attività che contribuiscono all’inclusione sociale, allo stesso tempo, rafforzando la redditività economica e sociale delle comunità rurali.

I contributi raccolti in questo rapporto sono il frutto del lavoro di una rete di ricercatori e ricercatrici italiani/e che in diverse università e istituti di ricerca svolgono attività di studio e analisi su questi temi. Vengono proposte riflessioni che coniugano analisi di pratiche territoriali con processi istituzionali più ampi che vogliono accompagnare e informare l’evoluzione dei sistemi sociosanitari, anche alla luce del Piano Nazionale di Prevenzione 2020-2025 e del recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

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Fonte: ISTISAN

Lavoro marittimo: IV meeting Convenzione Quadro lavoro marittimo MLC 2006

ID 16555 | | Visite: 1303 | News Sicurezza

Lavoro marittimo IV meeting Convenzione Quadro lavoro marittimo   MLC   2006

Lavoro marittimo: IV meeting Convenzione Quadro lavoro marittimo MLC 2006

MIMS, 04.05.2022

Il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili seguirà i lavori del Comitato Tripartito Speciale (STC) della Convenzione Quadro sul Lavoro Marittimo (MLC 2006) che si terranno dal 5 al 13 maggio 2022 presso l’Organizzazione internazionale del Lavoro.

Durante tali lavori verranno esaminate le proposte di emendamenti al Codice della MLC 2006, presentati dagli Stati che hanno ratificato la Convenzione e dalle Organizzazioni Sindacali e Armatoriali internazionali di settore.

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Maritime Labour Convention, 2006, as amended (MLC, 2006)

Fourth Meeting of the Special Tripartite Committee of the Maritime Labour Convention, 2006 (MLC, 2006) - Part II (5 to 13 May 2022)

The fourth meeting of the Special Tripartite Committee will take place in two parts. Part I was held in a virtual format from 19 to 23 April 2021. Part II will take place from 5 to 13 May

Following a decision adopted by the ILO Governing Body at its 340th Session (October-November 2020), the fourth meeting of the Special Tripartite Committee will take place in two parts.

- Part I was held in a virtual format from 19 to 23 April 2021.
- Part II will take place from 5 to 13 May 2022 (hybrid format).

Following consultations with the Officers of the STC and taking into account the evolution of the COVID-19 pandemic, the Fourth meeting (Part II) of the STC will take place from 5 to 13 May 2022 in a hybrid format. Physical attendance to the ILO headquarters in Geneva will be limited to a number of seafarers’ and shipowners’ representatives, 2 representatives per Member State having ratified the MLC, 2006 and 1 representative per Member State which have not ratified the Convention. All other accredited representatives will be able to participate via the zoom platform.

The online accreditation system to the meeting will stay open until 2 May 2022 (deadline extended). The necessary access codes were sent to each Government through their Permanent Missions in Geneva (or as otherwise agreed), to the secretariats of the Shipowners’ and Seafarers’ groups and to the Observers invited to the meeting. Persons interested in following the meeting online as visitors may request the relevant link to the secretariat at Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

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Fonte: ILO
MIMS

Elaborazione di buone pratiche per i lavoratori del settore veterinario

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Elaborazione buone pratiche settore veterinario

Elaborazione di buone pratiche per i lavoratori del settore veterinario

I processi dei controlli ufficiali alle importazioni ed agli scambi intracomunitari

INAIL, marzo 2022

Il lavoro, realizzato nell’ambito del progetto di prevenzione “Elaborazione e definizione di buone prassi per i lavoratori del settore veterinario operanti nei processi dei controlli ufficiali alle importazioni e agli scambi intracomunitari”, ha approfondito le problematiche inerenti i rischi cui sono esposti i lavoratori nel settore veterinario a contatto con animali e prodotti di origine animale destinati all’alimentazione umana e animale.

Sulla scorta di quanto emerso sono state elaborate buone prassi per il miglioramento della salute e sicurezza degli operatori del settore.

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Indice

Presentazione

Premessa

1. Uffici periferici del Ministero della salute (UVAC, PCF)

2. Legislazione di riferimento

3. Schede attività lavorative

4. Tabelle buone pratiche

5. Dispositivi di protezione individuale (Dpi)

6. Considerazioni conclusive

7. Riferimenti normativi

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Fonte: INAIL

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Relazione Commissione sulle condizioni di lavoro in Italia - 20.04.2022

ID 16504 | | Visite: 2337 | Documenti Sicurezza Organi Istituzionali

Relazione Commissione sulle condizioni di lavoro in Italia   20 04 2022

Relazione Commissione sulle condizioni di lavoro in Italia - 20.04.2022

ID 16504 | 27.04.2022 / Relazione intermedia in allegato

Senato della Repubblica  - Relazione intermedia, 20 aprile 2022

Commissione sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati

Il raggio di azione si è presto allargato per approfondire fenomeni di sfruttamento presenti non solo nel settore agricolo, ma anche nel comparto tessile (significativa tra tutte, la missione svolta nella realtà del distretto tessile di Prato) e, più in generale, in alcune realtà industriali a volte insospettabili.

Ne è emerso un quadro di come il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori, da parte di caporali senza scrupoli, si sia evoluto significativamente nel corso degli ultimi anni.

Si è passati, infatti, in un breve arco temporale, dai casi di un forte coinvolgimento della malavita organizzata locale a situazioni di sfruttamento di lavoratori indifesi, quasi sempre stranieri, da parte di loro connazionali che organizzano il loro trasferimento dal Paese d’origine fino al luogo di lavoro nel quale quotidianamente verranno negati i loro diritti di persone, prima ancora che di lavoratori.

La Commissione, inoltre, ha voluto dedicare un ulteriore focus specifico anche alle ulteriori nuove forme di sfruttamento che si affiancano, purtroppo, ai casi di sfruttamento più tradizionali.

Da questo punto di vista le missioni della Commissione hanno consentito di acquisire utili elementi informativi, con un rilievo particolare per il settore della logistica.

Nel complesso, tutti i dati e le informazioni acquisite in occasione delle audizioni e dei sopralluoghi sono stati elaborati per formulare proposte concrete di intervento, anche di natura normativa.

Nella presente relazione, dopo una prima parte introduttiva, dedicata ad una panoramica sui temi della sicurezza dei lavoratori e delle diverse forme di sfruttamento, è presente uno studio, senza dubbio innovativo, elaborato da uno specifico gruppo di lavoro istituito in seno alla Commissione, volto ad analizzare l’impatto sociale ed economico degli incidenti sui luoghi di lavoro in Italia.

Vi è, quindi, uno specifico capitolo dedicato alle nuove forme di sfruttamento dei lavoratori attraverso l’utilizzo delle moderne tecnologie. Si tratta del nuovo fenomeno che ha assunto la denominazione di « caporalato digitale » e che vede nell’utilizzo degli algoritmi il fulcro per lo sfruttamento del lavoratore.

Un’attenzione particolare è poi dedicata al settore della logistica con l’individuazione di specifiche proposte normative per evitare situazioni di sfruttamento dei lavoratori.

Nell’ottica, infine, di affiancare al sistema dei controlli tradizionali di natura esterna, un efficace meccanismo di controlli interni, una parte della relazione è dedicata alle recenti iniziative legislative (contenute nel decreto- legge n. 146 del 2021 in materia di sicurezza lavoro) con cui si è inteso implementare la figura del preposto per rafforzare il sistema di prevenzione attraverso il controllo dall’interno della sicurezza dei luoghi di lavoro.

Da ultimo, nella parte finale, vi è un capitolo con alcune prime considerazioni in merito alla sicurezza sui luoghi di lavoro a seguito dell’emergenza pandemica provocata dal COVID-19.

Nella parte finale della relazione, il lavoro di analisi svolto dalla Commissione trova una propria conclusione in una serie di proposte normative che si affidano alle riflessioni del Parlamento, del Governo e, più in generale, delle diverse realtà istituzionali che, a vario titolo, si occupano del tema della sicurezza sul lavoro.

Tutto questo nella consapevolezza che eventuali ulteriori interventi normativi mirati potranno sicuramente essere di aiuto anche se, per contrastare il fenomeno degli incidenti sul lavoro vi è la necessità di intraprendere una serie di azioni sinergiche composte non solo da interventi normativi, ma anche da adeguate campagne formative ed informative di sensibilizzazione sul tema.

Quello che risulta necessario, infatti, è un vero e proprio cambio di passo, o, meglio, di cultura di mentalità, che porti a concepire come il diritto alla sicurezza sul lavoro, riguardando beni tutelati dalla nostra Carta fondamentale, come il diritto alla vita e alla integrità fisica, è insito nel concetto stesso di diritto al lavoro.

[...] Segue in allegato

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Indice

PREMESSA

INTRODUZIONE

1. Una panoramica sui temi della sicurezza sui luoghi di lavoro e sulle forme di sfruttamento alla luce dell’attività svolta dalla Commissione d’inchiesta

2. L’impatto sociale ed economico degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali
2.1. Valutazione del fenomeno e degli impatti economici e sociali
2.2. L’importanza dei dati
2.3. Impatto economico
2.4. Costi per l’azienda/datore di lavoro
2.5. Costi per la società
2.6. Impatto sociale
2.7. Studi condotti in altri Paesi
2.8. Riflessioni conclusive

3. Le nuove forme di sfruttamento in un mondo del lavoro in trasformazione: il caporalato digitale e le cooperative spurie

4. La sicurezza sui luoghi di lavoro nel settore della logistica
4.1. Premessa: la logistica nel sistema delle catene di produzione del valore
4.2. La catena del valore
4.3. Catene globali del valore e ruolo delle multinazionali
4.4. Il settore della logistica
4.5. Lo sfruttamento del lavoro nel comparto italiano del facchinaggio
4.6. Comparti principali della logistica italiana e le cooperative di facchinaggio
4.7. Cooperative e sfruttamento del lavoro: appalto e subappalto
4.8. I dati risultanti del Rapporto INL 2020
4.9. L’indagine fiorentina nel settore dello sfruttamento del lavoro nella logistica
4.10. I limiti del contrasto normativo

5. L’importanza del sistema dei controlli interni: la figura del preposto per la prevenzione e protezione dei lavoratori

6. Il Covid 19 e la sicurezza sui luoghi di lavoro

7. Le principali proposte di intervento normativo

8. Le audizioni svolte dalla Commissione
– Audizione di rappresentanti dell’INAIL – 6a seduta – 24 giugno 2021
– Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Andrea Orlando – 7a seduta – 6 luglio 2021
– Audizione del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali – 8a seduta- 6 luglio 2021
– Audizione del procuratore generale della Corte di cassazione – 9a seduta – 15 luglio 2021
– Audizione del Direttore capo dell’Ispettorato nazionale del lavoro – 10a seduta – 22 luglio 2021
– Audizione del Presidente del CNEL – 11a seduta – 16 settembre 2021
– Audizione del Presidente di Assologistica, dottor Umberto Ruggerone – 12a seduta – 23 settembre 2021
– Audizione del presidente dell’Associazione fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro – 13a seduta – 7 ottobre 2021
– Audizione del Presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) – 14a seduta – 11 novembre 2021

APPENDICE I – ELENCO DEI DOCUMENTI ACQUISITI DALLA COMMISSIONE IN OCCASIONE DEI SOPRALLUOGHI SVOLTI (*)
– 30 giugno 2021 – Sopralluogo a Latina
– 23 luglio 2021 – Sopralluogo a Padova
– 28 settembre2021 – Sopralluogo presso Cancello ed Arnone (CE) e Castelvolturno (CE)
– 5 ottobre 2021 – Sopralluogo a Prato
– 30 novembre 2021 – Sopralluogo a Bologna

APPENDICE II – ELENCO DEI DOCUMENTI ACQUISITI DALLA COMMISSIONE IN OCCASIONE DELLE AUDIZIONI SVOLTE

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Fonte: Senato della Repubblica

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Comunicato INAIL 26 aprile 2022: MC Allegato 3B

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Comunicato INAIL 26 aprile 2022 MC Allegato 3B

Comunicato INAIL 26 aprile 2022: MC Allegato 3B

Disponibile l’aggiornamento della funzionalità “Rinnova associazioni” della piattaforma informatica “Comunicazione medico competente".

In riferimento alle problematiche relative alla trasmissione delle informazioni sui dati collettivi aggregati e sanitari di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria nell’anno 2021, prevista per il 31 marzo e prorogata al 31 luglio 2022 con nota del Ministero della salute n. 636 del 17 febbraio 2022, si comunica che è disponibile l’aggiornamento della funzionalità “Rinnova associazioni” della piattaforma informatica “Comunicazione medico competente”, disponibile sul portale.

Tale funzionalità consente ai medici competenti l’associazione delle informazioni relative alle aziende o alle singole unità produttive precedentemente inserite.

In particolare, selezionando dal menu dell’applicativo la funzione “Associa Unità Produttive”, il medico competente ha a disposizione le unità produttive inerenti le precedenti comunicazioni inviate sia nel 2020 che nel 2021.

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Fonte: INAIL

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Nota INL n. 856/2022 del 20 aprile 2022

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Nota INL n  856 2022

Nota INL n. 856/2022 del 20 aprile 2022 / Maxisanzione per lavoro sommerso

ID 16459 | 21.04.2022 / In allegato Nota INL n. 856/2022

MAXISANZIONE PER LAVORO SOMMERSO 

In calce all'articolo testo della Nota INL n. 856/2022 "Maxisanzione per lavoro sommerso"

AMBITO DI APPLICAZIONE

a) soggettivo

Datori di lavoro privato, indipendentemente dal fatto che siano o meno organizzati in forma di impresa, ad esclusione del datore di lavoro domestico. Tale esclusione “non opera nel caso in cui il datore di lavoro occupi il lavoratore assunto come domestico in altra attività imprenditoriale o professionale” (cfr. ML circ. n. 38/2010).

In altre parole, il lavoratore assunto come domestico (quindi per finalità esclusivamente riferite alle necessità private e familiari del datore di lavoro in veste di privato cittadino) e rispetto al quale sono stati altresì posti in essere gli adempimenti di formalizzazione di un rapporto di lavoro domestico, ivi compresa la comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, resta comunque un lavoratore in “nero” nell’ipotesi in cui venga impiegato in attività d’impresa o professionale facente capo al medesimo datore di lavoro (cfr. ML lett. circ. n. 8906/2007).

Sono compresi nel novero dei datori di lavoro privato anche gli enti pubblici economici tenuti alle comunicazioni ex art. 9 bis del D.L. n. 510/1996 secondo la tempistica ivi prevista.

I medesimi principi trovano applicazione anche con riferimento alle ipotesi di utilizzo di prestazioni rese in regime di Libretto Famiglia che non risultino conformi al disposto dell’art. 54-bis, comma 6 lett. a), del D.L. n. 50/2017. Secondo tale diposizione le persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale nonché le società sportive di cui alla L. n. 91/1981, tramite Libretto Famiglia, possono fare ricorso a prestazioni di lavoro occasionali entro determinati e tassativi limiti economici.

Mediante il Libretto Famiglia, ai sensi del comma 10 dell’art. 54-bis, l’utilizzatore può remunerare esclusivamente le prestazioni di lavoro occasionali rese in suo favore per:

a) lavori domestici, inclusi i lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione;
b) assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità;
c) insegnamento privato supplementare;
c-bis) attività degli "steward" negli impianti sportivi, di cui al decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2007, limitatamente alle società sportive di cui alla L. n. 91/1981.

L’utilizzatore del Libretto di famiglia deve provvedere a comunicare i dati identificativi del prestatore, il compenso pattuito, il luogo di svolgimento e la durata della prestazione, nonché ogni altra informazione necessaria ai fini della gestione del rapporto, entro il terzo giorno del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione.

Tanto premesso, la maxisanzione andrà applicata anche nelle ipotesi in cui il prestatore, impiegato mediante Libretto Famiglia - pur correttamente gestito mediante la piattaforma INPS - venga di fatto adibito in attività diverse da quelle previste dall’art. 54-bis non rientranti, quindi, in nessuna delle categorie che legittimano l’utilizzo del Libretto Famiglia.

b) oggettivo

L’illecito è integrato dai seguenti requisiti:

- mancanza della comunicazione preventiva di assunzione: il datore di lavoro deve aver omesso di effettuare la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro che, ai sensi dell'art. 9-bis del D.L. n. 510/1996, deve essere effettuata entro le ore 24 del giorno antecedente a quello di instaurazione del relativo rapporto;
- subordinazione: il rapporto di lavoro instaurato di fatto deve presentare i requisiti propri della subordinazione ai sensi di quanto previsto dall'art. 2094 c.c.

Sono, pertanto, escluse dall’applicazione della maxisanzione le prestazioni lavorative che rientrano nell’ambito del rapporto societario ovvero di quello familiare, difettando di norma in tali casi l’essenziale requisito della subordinazione. Per tali figure (in particolare coniuge, parenti, affini, affiliati e affidati del datore di lavoro) che non sono soggette all’ordinaria comunicazione UNILAV, la legge prevede una comunicazione ex art. 23 del D.P.R. n. 1124/1965.

In termini generali e ad ulteriore precisazione di quanto affermato dal Ministero del lavoro con circ. n. 38/2010, occorre sottolineare che la maxisanzione non può trovare diretta applicazione per la sola omissione di detta comunicazione essendo comunque necessario verificare in concreto il requisito della subordinazione. Tale indice non può darsi per accertato ma va debitamente ed accuratamente dimostrato (cfr. ML circ. n. 38/2010 e lett. circ. n. 10478/2013).

MAXISAZIONE E COLLABORAZIONI OCCASIONALI EX ART. 2222 C.C.

Ai sensi dell’art. 2222 c.c., il contratto d’opera è quel contratto in forza del quale una persona si obbliga a compiere un'opera o un servizio, verso un corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

Tra le parti sorge un’obbligazione di risultato, posto che la causa contrattuale è insita nel legame sinallagmatico tra il compimento di un’opera o un servizio e un corrispettivo e pertanto, deve potersi agevolmente individuare un risultato concretamente apprezzabile, al cui raggiungimento mira il committente.

A tale fondamentale requisito si accompagna il rischio economico posto in capo al lavoratore autonomo del mancato raggiungimento dell’opera o del servizio richiesto. Solo ove tale risultato sia compiutamente raggiunto, secondo gli accordi precedentemente pattuiti, il lavoratore autonomo avrà diritto al proprio compenso, indipendentemente dall’impegno e dal lavoro comunque profuso. Caratteri essenziali della collaborazione autonoma occasionale sono pertanto:

a) prestazione di lavoro prevalentemente personale;
b) assenza di vincolo di subordinazione;
c) occasionalità della prestazione (carattere episodico della stessa);
d) corresponsione di un corrispettivo.

La collaborazione genuina è legata, pertanto, all’accertamento in concreto dei suddetti requisiti, con particolare riguardo all’insussistenza dei tradizionali indici sintomatici della subordinazione e all’occasionalità della prestazione, intesa come assenza dei requisiti della professionalità e della prevalenza (INL nota n. 5546/2017). Tale verifica potrà fondarsi, oltre che sulla base della documentazione acquisita in corso di accesso, anche sulle dichiarazioni testimoniali “incrociate” raccolte nel corso delle indagini.

Esclusa la natura autonoma della prestazione e accertata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, occorrerà verificare che la prestazione risulti sconosciuta alla P.A. dovendosi, in caso contrario, procedere alla riqualificazione del rapporto.

A tale riguardo assume peculiare rilevanza l’obbligo di comunicazione preventiva di tali prestazioni all'Ispettorato territoriale del lavoro competente per territorio, introdotta all’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008 da parte dell’art. 13 del D.L. n. 146/2021 (conv. da L. n. 215/2021).

A fronte di tale novità, la maxi-sanzione potrà trovare applicazione soltanto nel caso di prestazioni autonome occasionali che non siano state oggetto di preventiva comunicazione, sempreché la prestazione sia riconducibile nell’alveo del rapporto di lavoro subordinato e non siano stati già assolti, al momento dell’accertamento ispettivo, gli ulteriori obblighi di natura fiscale e previdenziale, ove previsti, idonei ad escludere la natura “sommersa” della prestazione.

In tal senso occorrerà verificare, ad esempio, il versamento della ritenuta d’acconto del 20% mediante modello F24 ovvero la circostanza che la prestazione autonoma risulti indicata sul modello 770 del committente. Tali adempimenti dovranno essere assolti preventivamente rispetto all’accertamento ispettivo e riconducibili alla prestazione oggetto di verifica. (cfr. ML nota n. 16920/2014; circc. n. 33/2009 e n. 38/2010).

A tali documenti occorre aggiungere la Certificazione Unica, relativa ai compensi corrisposti per lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi che il committente, in veste di sostituto d’imposta, deve trasmettere annualmente all’Agenzia delle entrate, ex art. 4 del D.P.R. n. 322/1998. Va ricordato che la Comunicazione Unica, oltre ad essere trasmessa all’Agenzia delle entrate, deve altresì essere consegnata direttamente al lavoratore e, a differenza del 770, riporta i dati anagrafici del lavoratore, oltre ai compensi corrisposti e all’indicazione delle trattenute operate. Tali elementi risultano indispensabili per verificare che i versamenti fiscali siano stati effettivamente eseguiti a favore di quel determinato lavoratore.

Oltre agli adempimenti fiscali andranno verificati, eventualmente, anche quelli di natura previdenziale. Si ricorda, infatti, che con il superamento della soglia dei 5.000 euro annui, in relazione ai compensi superiori a tale soglia il committente è altresì tenuto al versamento della relativa contribuzione alla Gestione separata INPS.

L’assolvimento di uno o più di tali obblighi, anche in assenza di comunicazione preventiva, comporterà quindi la semplice riqualificazione del rapporto di lavoro con applicazione delle conseguenti sanzioni e recuperi contributivi nonché con la eventuale adozione della diffida accertativa per la tutela della posizione retributiva del lavoratore.

In presenza della comunicazione preventiva, infine, è sempre esclusa l’applicazione della maxisanzione ricorrendo invece la sola riqualificazione del rapporto.

Le prestazioni rese da lavoratori autonomi iscritti nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane, adibiti nel settore dell’edilizia alle attività di manovalanza, muratura, carpenteria, rimozione amianto, posizionamento di ferri e ponti, addetti a macchine edili fornite dall’impresa committente o appaltatore e simili, per le quali sussistono i requisiti della subordinazione non sono soggette a maxisanzione per lavoro “nero” ma all’impianto sanzionatorio previsto nelle ipotesi di riqualificazione dei rapporti di lavoro (cfr. ML circ. n. 16/2012).

In tal caso, oltre ai recuperi contributivi a carico del committente, andranno applicate le sanzioni amministrative per mancata consegna della dichiarazione di assunzione (art. 4-bis, primo periodo, comma 2, D.Lgs. n. 181/2000), l’omessa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro (art. 9-bis, comma 2, 2-bis e 2-ter, D.L. n. 510/1996) nonché le omesse registrazioni sul libro unico del lavoro (art. 39, comma 7, D.L. 112/2008) trattandosi di prestazione di lavoro autonomo non soggetto “a priori” a registrazioni sul libro unico del committente. Inoltre, andranno applicate anche le sanzioni connesse agli illeciti riscontrabili in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria e di mancata formazione ed informazione dei lavoratori, adottando apposito provvedimento di prescrizione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994.

Diversamente, laddove il lavoratore risulti iscritto nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane per un’attività estranea al settore dell’edilizia, non potendosi inquadrare il fenomeno nell’ambito di una riqualificazione, andrà applicata, oltre alle sanzioni in materia di salute e sicurezza, anche la maxisanzione per lavoro “nero”, con esclusione, prevista dalla norma, delle sanzioni amministrative sopra richiamate, in materia di dichiarazione di assunzione, comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro e omesse registrazioni sul libro unico del lavoro.

Tale ultimo principio andrà applicato anche a settori diversi dall’edilizia, tutte le volte in cui un soggetto iscritto nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane venga impiegato quale lavoratore subordinato, senza comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, per un’attività non coerente a quella normalmente resa in forza della sua iscrizione.

NATURA DELL’ILLECITO

La condotta di impiego irregolare di lavoratori subordinati integra un illecito di natura permanente che si consuma nel momento in cui la condotta antigiuridica cessa in seguito alla cessazione del rapporto o alla sua regolarizzazione (cfr. ML n. 26/2015).

Tale ricostruzione ha effetti sulla individuazione della legge da applicare nel caso di condotte illecite che si protraggano ricadendo nel periodo di vigenza di più norme succedutesi nel tempo. Poiché, infatti, la commissione dell’illecito coincide con la cessazione della condotta antigiuridica, la disciplina da applicare, in virtù del principio del tempus regit actum, è quella vigente in quel momento, diversamente da quanto previsto per gli illeciti di rilevanza penale per i quali vige il principio del favor rei (cfr. ML circ. n. 29/2006).

SANZIONI

La sanzione, a seguito dell’intervento normativo del 2015, è stata graduata per fasce in base alla durata del comportamento illecito. La sanzione così determinata è stata inoltre aumentata del 20% ai sensi dell’art. 1, comma 445 lett. d), della L. n. 145/2018.

Attualmente la sanzione è quindi determinata come di seguito:

a) da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro;
b) da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro;
c) da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro.

In forza dell’art. 3, comma 3-quater, le sanzioni sono aumentate del 20% in caso di impiego di:

- lavoratori stranieri ai sensi dell'art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998;
- minori in età non lavorativa (cioè coloro che non possono far valere dieci anni di scuola dell’obbligo e il compimento dei sedici anni);
- percettori del reddito di cittadinanza di cui al D.L. n. 4/2019 (conv. da L. n. 26/2019).

La legge di bilancio 2019 ha altresì previsto, oltre alla maggiorazione del 20% degli importi dovuti a titolo di sanzione, il raddoppio di tali percentuali laddove il datore di lavoro, nei tre anni precedenti, sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti (c.d. recidiva).

Ai fini della verifica sulla sussistenza della “recidiva” occorre accertare che:

a) il destinatario delle sanzioni corrisponda al soggetto che, nell’ambito della medesima impresa, ha rivestito la qualità di “trasgressore” persona fisica ex L. n. 689/1981 che agisce per conto della persona giuridica (generalmente coincidente con il legale rappresentante dell’impresa o persona delegata all’esercizio di tali poteri). Non si avrà, quindi, recidiva tutte le volte in cui, sebbene gli illeciti siano riferibili indirettamente alla medesima persona giuridica, siano commessi da trasgressori diversi; analogamente, in tutte le ipotesi in cui le violazioni siano commesse dalla medesima persona fisica per conto di persone giuridiche diverse (cfr. INL nota n. 1148/2019 e n. 2594/2019);
b) il trasgressore sia stato destinatario delle medesime sanzioni irrogate con provvedimenti divenuti definitivi nel triennio precedente alla commissione del nuovo illecito per il quale va effettuato il calcolo della sanzione. L’arco triennale di riferimento deve essere inteso sia quale periodo in cui l’illecito è stato commesso, sia quale periodo in cui lo stesso è stato definitivamente accertato (cfr. INL nota n. 2594/2019).

Per illeciti definitivamente accertati, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza in riferimento all’art. 8-bis della L. n. 689/1981, devono intendersi quelli per i quali:

- sia decorso il termine per impugnare l’ordinanza-ingiunzione ex art. 18 L. n. 689/1981;
- sia stata pagata la sanzione ingiunta;
- sia passata in giudicato la sentenza emessa a seguito di impugnazione della medesima ordinanza. Gli illeciti presi in considerazione (c.d. fondanti) sono anche quelli commessi prima dell’entrata in vigore della legge di bilancio (cfr. INL nota n. 2594/2019).

La maggiorazione per recidiva non si applica:
- nelle ipotesi di estinzione degli illeciti amministrativi contestati, qualora sia intervenuto il pagamento in misura ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981, ai sensi di quanto disposto espressamente dal comma 5 dell’art. 8-bis, cui va equiparato il pagamento ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004;
- con riferimento agli illeciti per i quali il contravventore abbia adempiuto alla prescrizione effettuando i relativi pagamenti ai sensi degli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994 e dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004.

A seguito dell’introduzione delle predette maggiorazioni con l’art. 1, comma 445 lett. d) ed e), della L. n. 145/2018 è stato istituito il nuovo codice tributo “VAET”. Pertanto:

1. per il versamento tramite F23 dei maggiori introiti derivanti dall’incremento delle sanzioni amministrative previsto dalla citata norma è da utilizzare il codice “VAET”, denominato “Maggiorazione sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale disposta dall’articolo 1, comma 445, lett. d) ed e), della legge 30 dicembre 2018, n. 145” (cfr. Ag. Entrate ris. 7/E del 22 gennaio 2019 e INL nota n. 779/2019);

2. per effettuare l’iscrizione a ruolo delle sole somme dovute ai sensi dell’art. 1, comma 445 lett. d) ed e) e contraddistinte dal codice tributo VAET si utilizzano i codici:
- 3U56 “Sanzione in materia di lavoro e legislazione sociale art. 1, comma 445, lett. d) e), L. n. 145/2018”;
- 3U57 “Maggiorazione materia di lavoro e legislazione sociale art. 1, comma 445, lett. d) e), L. n. 145/2018”.

Come chiarito con nota INL n. 4502/2019, per le altre quote relative alle medesime sanzioni amministrative contraddistinte dai codici tributo 741T e 79AT, si utilizzeranno rispettivamente i codici:

- per il 741T: 5030 e 5031 per le maggiorazioni;
- per il 79AT: 2Y25 e 2Y26 per le maggiorazioni.

Segue: assorbimento altre sanzioni

La disposizione contenuta nell’art. 3, comma 3-quinquies, del D.L. n. 12/2002 e succ. mod. prevede in modo espresso, in caso di irrogazione della maxisanzione, la non applicazione delle sanzioni di cui all'art. 19, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 276/2003 relative alla comunicazione di instaurazione dei rapporti di lavoro e alla consegna della lettera di assunzione (cfr. ML lett. circ. n. 16494/2015), nonché delle sanzioni in materia di libro unico del lavoro di cui all’art. 39, comma 7, D.L. n. 112/2008 per omesse registrazioni.

Diversamente, laddove il datore di lavoro non abbia mai istituito il libro unico e sia tenuto a farlo in ragione del lavoratore in “nero”, oggetto di accertamento, la sanzione per omessa istituzione, prevista dal comma 6 del medesimo art. 39, non essendo espressamente richiamata nell’esclusione di cui all’art. 3, comma 3-quinques, andrà sempre applicata.

La sanzione prevista per i pagamenti non effettuati con strumenti tracciabili, ai sensi dell’art. 1, comma 913, L. n. 205/2017, può coesistere con la maxisanzione per lavoro “nero”.

Il comma 910 della citata L. n. 205/2017 non consente più che la retribuzione sia versata in contanti ai lavoratori subordinati (nonché ai collaboratori coordinati e continuativi o ai soci di cooperativa con contratto di lavoro di qualsiasi tipo) in quanto la stessa norma impone, a fini di piena tracciabilità dei flussi retributivi ed a tutela dei lavoratori, di servirsi unicamente di alcuni strumenti di pagamento, individuati dal medesimo comma.

Nell’ipotesi di impiego irregolare di personale, generalmente retribuito in contanti o mediante gli strumenti di pagamento non ammessi dal citato comma 910, troverà quindi applicazione sia la maxisanzione per lavoro “nero” sia la sanzione prevista dal l’art. 1, comma 913, della L. n. 205/2017.

Inoltre, “stante il tenore letterale del comma 910, l’illecito si configura solo laddove sia accertata l’effettiva erogazione della retribuzione in contanti; peraltro, atteso che nelle ipotesi di lavoro “nero” la periodicità della erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, in ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro in “nero” sono state effettuate” (cfr. INL nota n. 9294/2018).

Ciò vuol dire che deve essere acquisita prova dell’effettiva erogazione delle somme. Al riguardo, va altresì rammentato che l’ulteriore determinazione del compenso percepito è funzionale all’adozione della diffida accertativa in favore del lavoratore (usualmente sottopagato in rapporto al livello del CCNL applicato/applicabile) e alla comunicazione da inoltrare alla GdF e al competente Ufficio dell’Agenzie delle entrate in relazione alle somme percepite e non denunciate al fisco.

DIFFIDA A REGOLARIZZARE

La novella del 2015 (art. 22, comma 3-ter, del D.Lgs. n. 151/2015) ha reintrodotto la diffidabilità della maxisanzione al fine di promuovere la regolarizzazione dei rapporti sommersi (cfr. ML circ. n. 26/2015).

Al riguardo, occorrerà distinguere 3 ipotesi:

1. regolarizzazione del rapporto di lavoro in “nero” per i lavoratori ancora in forza

Per ottemperare alla diffida - nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale unico - devono realizzarsi le seguenti condizioni:

a) instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato alternativamente con:
- contratto a tempo indeterminato, anche part-time con una riduzione oraria non superiore al 50%;
- contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi.
b) mantenimento in servizio di tali lavoratori per un periodo non inferiore a tre mesi, cioè non inferiore a 90 giorni di calendario. Tale periodo va computato “al netto” del periodo di lavoro prestato in “nero”, il quale andrà comunque regolarizzato. In altri termini, il contratto decorrerà dal primo giorno di lavoro “nero” mentre il periodo di 3 mesi utile a configurare l’adempimento alla diffida andrà “conteggiato” dalla data dell’accesso ispettivo

Nei casi di interruzione del rapporto di lavoro non imputabili al datore di lavoro è possibile ottemperare alla diffida con un separato contratto, stipulato successivamente all’accesso ispettivo, che dovrà consentire il mantenimento del rapporto per almeno tre mesi.

In ogni caso, entro il 120° giorno dalla notifica del verbale deve trovare pieno compimento l’intero periodo di mantenimento in servizio del lavoratore (3 mesi).

Ai fini della dimostrazione dell’ottemperanza alla diffida, il datore di lavoro dovrà dimostrare di aver:

- regolarizzato l’intero periodo di lavoro, con avvenuto pagamento anche dei contributi e premi;
- stipulato uno dei contratti di lavoro sopra indicati;
- mantenuto in servizio il lavoratore per almeno 3 mesi. Tale circostanza deve essere provata attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine per l’adempimento;
- pagato la sanzione nella misura minima.

Laddove il datore di lavoro abbia provveduto alla regolarizzazione del lavoratore attraverso una delle tipologie contrattuali sopra indicate, ma prima della notifica del verbale unico, sarà possibile adottare il provvedimento di diffida contenente il solo obbligo di mantenimento del lavoratore in servizio per 3 mesi e la richiesta del pagamento della sanzione in misura minima. Nella redazione del verbale unico si dovrà dare atto della intervenuta stipula del contratto.

Nell’ipotesi in cui, successivamente all’accesso ma prima della redazione del verbale unico, il datore abbia già fornito dimostrazione di tutti gli adempimenti richiesti dalla norma - ivi compreso il pagamento di contributi e premi ed il mantenimento in servizio per almeno 3 mesi - il personale ispettivo adotterà nei suoi confronti un provvedimento di diffida ora per allora, con la quale verrà ammesso al pagamento della sanzione amministrativa pari al minimo edittale, nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale.

In caso di inottemperanza alla diffida entro il termine di 120 giorni, il verbale unico produce gli effetti della contestazione e notificazione degli illeciti accertati nei confronti del trasgressore e dell’obbligato in solido ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/1981.

Nel parere INL n. 4441/2017 si è ribadito, in linea con il tenore letterale della norma e con quanto chiarito con la circ. n. 26/2015, che la diffida costituisce elemento oggettivo di applicabilità della sanzione in misura minima che, in qualche misura, bilancia gli oneri sostenuti dal datore di lavoro per il mantenimento del rapporto di lavoro. Pertanto, non potrà ritenersi adempiuta nei casi di assenza di mantenimento effettivo del rapporto di lavoro per tre mesi nei 120 giorni dalla notifica del verbale, qualunque ne sia la ragione, anche per cause non imputabili al trasgressore.

2. Regolarizzazione del rapporto di lavoro per lavoratori regolarmente occupati per un periodo successivo a quello prestato in “nero” (ipotesi corrispondente alla precedente maxisanzione affievolita)

La diffida ha ad oggetto esclusivamente la regolarizzazione del periodo di lavoro in “nero”, con dimostrazione, nel termine di 45 giorni, di:
- rettifica della data di effettivo inizio del rapporto di lavoro;
- pagamento dei contributi e premi;
- pagamento delle sanzioni in misura minima.

3. Regolarizzazione di lavoratori in “nero” non in forza all’atto dell’accesso ispettivo

Anche in tale ipotesi, analogamente alla precedente, non trova applicazione l’obbligo del mantenimento in servizio “per almeno tre mesi”, riservato dalla norma ai soli lavoratori irregolari ancora in forza all’atto dell’accesso ispettivo.

TERMINE PER IL PAGAMENTO DELLE SANZIONI E PER LA PRESENTAZIONE DEL RICORSO EX ART. 17, D.LGS. N. 124/2004 IN CASO DI PLURALITÀ DI ILLECITI

In caso di contestazione di una pluralità di illeciti diffidabili secondo termini diversi o non diffidabili, il termine per il pagamento della sanzione in misura ridotta (60 giorni ex art 16, L. n. 689/1981) decorre dalla scadenza dei termini per l’adempimento alla diffida per la maxisanzione.

Anche il termine di 30 giorni per la presentazione del ricorso ex art 17 del D.Lgs. n. 124/2004 decorre dalla scadenza dei 120 giorni per l’ottemperanza alla diffida per tutti gli illeciti contestati nel medesimo verbale unico (cfr. ML circ. n. 41/2010 e n. 26/2015).

REGOLARIZZAZIONE E TIPOLOGIE CONTRATTUALI

Contratto intermittente: tale tipologia non è ammissibile ai fini della regolarizzazione in quanto non assicura la necessaria continuità richiesta dalla norma per il previsto periodo di tre mesi.

Contratto a tempo determinato: la tipologia in esame è sottoposta ai limiti propri della disciplina tra cui, in particolare, le percentuali di contingentamento legale o contrattuale. Pertanto, la regolarizzazione con contratto a termine non è ammissibile nei casi di superamento delle soglie indicate.

Contratto di apprendistato: in quanto contratto subordinato a tempo indeterminato, esso può essere utilizzato ai fini della regolarizzazione dei lavoratori, laddove ricorrano i presupposti e ferma restando la valutazione in ordine alla concreta possibilità di recuperare il debito formativo accumulato durante il periodo di lavoro in “nero” (cfr. ML circ. n. 5/2013). Ai fini della regolarizzazione con contratto di apprendistato, occorre altresì la redazione di un piano formativo individuale con indicazione di tutti gli elementi previsti dalla legge e dal CCNL applicato.

ORGANI COMPETENTI A CONTESTARE LA MAXISANZIONE

L’art. 4 della L. n. 183/2010, sostituendo il comma 5 dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002 (conv. da L. 73/2002), ha ampliato il novero dei soggetti abilitati a contestare l’illecito in questione attribuendo tale potere a tutti gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza, confermando, contestualmente, la competenza a ricevere il rapporto in capo agli Ispettorati territoriali ai sensi dell’art. 17 L. n. 689/1981.

Indicazioni puntuali in tal senso sono state fornite sia dal Ministero del lavoro con circ. n. 38/2010, sia dall’INAIL con circ. n. 36/2011.

FATTISPECIE PARTICOLARI

Si tratta delle fattispecie per le quali è prevista l’applicazione della maggiorazione del 20% della sanzione, ai sensi dell’art. 3, comma 3-quater, D.L. n. 12/2002 con esclusione della applicabilità della diffida.

1. Lavoratori extracomunitari clandestini

Nelle ipotesi di impiego irregolare di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, la configurabilità del delitto di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998 non esclude la possibilità di contestare l’illecito amministrativo con conseguente irrogazione della maxisanzione.

Le due disposizioni, infatti, sono poste a presidio di beni giuridici diversi: l’una punisce la violazione di norme finalizzate a regolamentare i flussi migratori a tutela della pubblica sicurezza e l’altra l’impiego di lavoratori non regolarizzabili (cfr. ML n. 38/2010).

Ciò trova conferma nell’orientamento della Corte di Cassazione (sez. civ. n. 12936 del 25 maggio 2018) nella quale è stato evidenziato come, nell’ipotesi in cui un datore impieghi in “nero” lavoratori clandestini, scatti nei suoi confronti “tanto la sanzione di carattere penale quanto quella amministrativa, senza per questo che sia integrata la violazione del principio ne bis in idem, a fronte della diversa natura dei beni giuridici offesi dalle condotte contestate e delle diverse finalità sottese all’irrogazione della sanzione penale e di quella amministrativa”.

Ai fini della configurabilità della fattispecie di reato, all’assenza del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è equiparata l’ipotesi in cui il permesso sia scaduto e non sia stata presentata richiesta di rinnovo.

Per le fattispecie sopra descritte, ferma restando la configurabilità dell'ipotesi di reato di cui all'art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998 e la contestazione della fattispecie aggravata di maxisanzione (art. 3, comma 3-quater, D.L. n. 12/2002), va esclusa l'operatività della diffida atteso che il lavoratore straniero non può essere considerato "occupabile".

Diversamente, l’art. 5, comma 9-bis, TUI consente al soggetto richiedente il permesso per lavoro subordinato, di svolgere temporaneamente l’attività lavorativa per la quale è stato autorizzato il suo ingresso nelle more del suo rilascio o del rinnovo sempre che:
- la domanda di rilascio sia stata presentata entro 8 giorni dall’ingresso sul territorio italiano, all’atto della stipula del contratto di soggiorno presso lo Sportello unico per l’immigrazione (art. 35 D.P.R. n. 394/1999) oppure, in caso di rinnovo, prima della scadenza del permesso;
- il richiedente sia in possesso del modulo di richiesta del permesso di soggiorno (cfr. art. 36 del D.P.R. n. 394/1999) e della ricevuta rilasciata dal competente ufficio attestante la presentazione della domanda (cfr. ML e INL nota prot. n. 4079 del 7 maggio 2018).

Pertanto, nell’ipotesi in cui il cittadino straniero risulti in possesso della documentazione sopra indicata non potrà ritenersi integrata la fattispecie penale di cui all'art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998, ma sarà pur sempre applicabile la maxisanzione qualora ne ricorrano i presupposti.

Con riferimento alle prestazioni lavorative rese dai lavoratori richiedenti protezione internazionale ed asilo politico, i quali possono invece essere impiegati previo rilascio della ricevuta attestante la verbalizzazione della domanda, dal quale decorrono i sessanta giorni richiesti dalla norma per l’espletamento dell’attività lavorativa, si rinvia ai chiarimenti forniti con parere ML 26 luglio 2016, prot. n. 14751.

Nello specifico, va evidenziato che ai sensi dell’art. 22, D.Lgs. n. 142/2015, la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di protezione internazionale, rilasciata contestualmente alla verbalizzazione della domanda costituisce permesso di soggiorno provvisorio; il permesso di soggiorno per richiesta di asilo consente al richiedente protezione internazionale di espletare attività lavorativa decorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda di protezione laddove il relativo procedimento non si sia concluso ed il ritardo non sia ascrivibile al richiedente.

Con riferimento alla procedura di emersione di cui all’art. 103, D.L. n. 34/2020, l’impiego senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro dei lavoratori subordinati stranieri che hanno presentato l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2, del medesimo articolo è punito con il raddoppio delle sanzioni previste dall’art. 3, comma 3, del D.L. n. 12/2002.

Tale previsione trova applicazione con riguardo a tutti gli stranieri che, per aver presentato la domanda, sono coinvolti nella procedura di emersione e alla ricerca di un contratto di lavoro subordinato regolare, a prescindere dal fatto che abbiano o meno ottenuto già un permesso provvisorio (cfr. INL parere n. 1118 del 15 dicembre 2020).

L’aggravante in questione, quindi, trova applicazione nei soli confronti di lavoratori che abbiano presentato, ai sensi del comma 16 del citato art. 103, istanza volta all’ottenimento del permesso di soggiorno temporaneo, in ragione della quale viene rilasciata apposita attestazione che consente all'interessato di svolgere lavoro subordinato per un massimo di sei mesi entro i quali, peraltro, è previsto il rilascio del permesso temporaneo richiesto.

Il permesso temporaneo consente, quindi, l’impiego del lavoratore durante il periodo di validità del permesso unicamente nei settori interessati dalla procedura di emersione come specificati dall’allegato 1 al D.M. 27 maggio 2020.

Pertanto, laddove venga riscontrato l’impiego di detti lavoratori in settori differenti, non avendo gli stessi un valido titolo per svolgere attività lavorativa, andrà applicata l’ipotesi aggravata di cui al comma 3-quater dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002, senza la possibilità di applicare la procedura di diffida ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004.

Si ricorda che in tali ipotesi, ai fini della revoca del provvedimento di sospensione, è necessario procedere alla regolarizzazione delle prestazioni esclusivamente sotto il profilo contributivo.

2. Minori

La non diffidabilità e la maggiorazione del 20% della sanzione è prevista anche nei casi in cui siano impiegati lavoratori minori, bambini e adolescenti privi dei requisiti legalmente stabiliti per l’ammissione al lavoro (L. n. 977/1967, come modificata dal D.Lgs. n. 345/1999), ad esclusione quindi di coloro che possono far valere i dieci anni di scuola dell’obbligo con il compimento dei sedici anni.

Per inciso va ricordato che ai fini della revoca del provvedimento di sospensione è necessario procedere alla regolarizzazione delle prestazioni esclusivamente sotto il profilo contributivo.

3. Percettori reddito di cittadinanza

L’art. 7, comma 15-bis, del D.L. n. 4/2019 (conv. da L. n. 26/2019) prevede l’applicazione dell’aumento del 20% degli importi della maxisanzione anche in caso di impiego di lavoratori beneficiari del reddito di cittadinanza. Ai fini dell’applicazione dell’aggravante è tuttavia necessario che sia accertato il godimento del Rdc da parte del nucleo familiare di appartenenza del lavoratore.

Il richiamo all’art. 3, comma 3-quater, del citato D.L. n. 12/2002 comporta la non diffidabilità dell’illecito. Si evidenzia che, in tale ipotesi, diversamente dalle precedenti, non sussistendo l’impossibilità giuridica all’assunzione del lavoratore percettore del beneficio, il datore di lavoro dovrà procedere alla regolarizzazione amministrativa e contributiva del periodo lavorativo in “nero” accertato ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell’attività ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.

4. Maxisanzione nel settore marittimo

Il settore marittimo si caratterizza per il necessario adempimento di obblighi specifici fissati e sanzionati ai sensi del codice della navigazione, tra i quali la sottoscrizione della convenzione di arruolamento, la sua registrazione sui documenti di bordo (ruolo/licenza), nonché sul libretto di navigazione del marittimo, presidiati da una specifica sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma variabile da euro 154 a 1.559 (art. 1178, R.D. 30 marzo 1942, n. 327).

Per quanto concerne le modalità per l’assunzione del personale iscritto alle matricole della gente di mare, nonché per coloro che prestano ad ogni modo servizio a bordo delle imbarcazioni è prevista una apposita procedura di comunicazione attraverso il modello “UniMare” da effettuarsi entro il ventesimo giorno successivo alla data di imbarco. Tale adempimento rappresenta il presupposto utile ai fini della conoscibilità nei confronti della P.A. dei lavoratori marittimi impiegati, analogamente alla funzione assolta dalla comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro utilizzabile per la generalità dei lavoratori da effettuarsi entro le ore 24 del giorno antecedente all’assunzione.

L’unico discrimen tra le due tipologie di comunicazioni riguarda, quindi, la tempistica per effettuarle; si ritiene dunque che fino alla decorrenza dei venti giorni fruibili dal datore di lavoro per la comunicazione mediante il modello UniMare, pur in assenza degli ulteriori adempimenti documentali sopra evidenziati, non sia possibile adottare il provvedimento di maxisanzione per lavoro “nero”. Resta salva, comunque, la possibilità di irrogare la sanzione specifica di cui al citato art. 1178.

Laddove sia decorso il temine di venti giorni consentito senza che sia stata effettuata la specifica comunicazione UniMare e siano stati tuttavia adempiuti gli obblighi documentali previsti per il settore marittimo, non troverà applicazione la maxisanzione per lavoro “nero”, in quanto l’osservanza di tali annotazioni obbligatorie attesta la volontà di non occultare il rapporto, costituendo quindi una ipotesi di scriminante al pari degli adempimenti di carattere contributivo (cfr. ML circ. n. 38/2010 e n. 26/2015).

Nell’ipotesi in cui si accerti l’assenza della comunicazione ed anche la mancata registrazione sui documenti di bordo, in considerazione del fatto che la violazione di cui all’art. 1178 non è annoverata tra quelle assorbite ai sensi del comma 3-quinquies dell’art. 3, del D.L. n. 12/2002 si ritiene che debbano essere contestati entrambi gli illeciti.

CASI DI ESCLUSIONE DELLA MAXISANZIONE: SCRIMINANTI

In forza dell’art. 3, comma 4, del D.L. n. 12/2002, la sanzione di cui al comma 3 non trova applicazione tutte le volte in cui, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi la volontà del datore di lavoro di non occultare il rapporto di lavoro, anche laddove si tratti di una differente qualificazione dello stesso (cfr. ML circ. n. 38/2010).

Conseguentemente, il personale ispettivo non adotterà la maxisanzione nei casi di:

- intervenuta regolarizzazione spontanea ed integrale del rapporto di lavoro originariamente in “nero”, prima di qualsiasi accertamento da parte di organismi di vigilanza in materia giuslavoristica, previdenziale o fiscale o prima dell’eventuale convocazione per espletamento del tentativo di conciliazione monocratica;
- differente qualificazione del rapporto di lavoro.

Per intervenuta regolarizzazione si intendono i casi in cui:

a. il datore di lavoro abbia proceduto ad effettuare entro la scadenza del primo adempimento contributivo (cioè fino al giorno 16 del mese successivo a quello di inizio del rapporto di lavoro) anche la sola comunicazione di assunzione, dalla quale risulti la data di effettiva instaurazione del rapporto di lavoro. Restano fermi i successivi e i conseguenti adempimenti previdenziali e la piena sanzionabilità anche della tardiva comunicazione;
b. il datore di lavoro - nel caso sia scaduto il termine del primo adempimento contributivo - abbia denunciato spontaneamente la propria situazione debitoria entro 12 mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o dei premi dovuti agli Istituti previdenziali ed abbia effettuato il versamento degli interi importi dei contributi o premi dovuti per tutto il periodo di irregolare occupazione entro trenta giorni dalla denuncia, unitamente al pagamento della sanzione civile prevista dall’art. 116, comma 8 lett. b), della L. n. 388/2000, previa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da cui risulti la data di effettivo inizio della prestazione.

INFORTUNIO

In caso di accertamenti connessi all’erogazione di prestazioni economiche (indennità di inabilità temporanea assoluta, rendita diretta o a superstiti, ecc.) o ad eventi infortunistici con esiti mortali, ai fini di una corretta valutazione della spontaneità della regolarizzazione del lavoratore in “nero” assume rilevo anche la data dell’evento. Pertanto, in tutti i casi in cui, anche laddove la regolarizzazione del lavoratore infortunato/deceduto sia intervenuta prima dell’accesso ispettivo, non si potrà ritenere “spontanea” laddove la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro non sia stata effettuata almeno 24 ore prima dell’evento infortunistico e non sia provata, da parte del datore di lavoro, la volontà di non occultare il rapporto di lavoro (cfr. INAIL circ. n. 36/2011).

UNIURG E MAXISANZIONE

La maxisanzione non opera nei casi di impossibilità per il datore di lavoro di effettuare la comunicazione del rapporto di lavoro a causa della chiusura, anche per ferie, dello studio di consulenza o associazione di categoria cui il datore di lavoro ha affidato la gestione degli adempimenti in materia di lavoro (cfr. ML circ. n. 20/2008 e n. 38/2010).

In tal caso, in sede di accesso ispettivo, occorre verificare:

- l’affidamento degli adempimenti in materia di lavoro al soggetto abilitato e la effettiva chiusura dello studio o ufficio;
- l’invio a mezzo fax mediante modello UniUrg della comunicazione preventiva di assunzione.

Resta fermo l’obbligo di comunicare l’assunzione attraverso la modalità ordinaria il primo giorno utile dalla riapertura dello studio o dell’ufficio.

Non si applica la maxisanzione in tutti i casi in cui il datore di lavoro, con l’esercizio dell’ordinaria diligenza, a causa dell’imprevedibilità dell’evento e dell’improcrastinabilità dell’assunzione, non avrebbe potuto prevederla ed è quindi nell’impossibilità di conoscere numero e nominativi del personale da assumere (cfr. ML note n. 440/2007, n. 4746/2007 e circ. n. 38/2010).

Nelle suddette ipotesi, il personale ispettivo deve dare atto nel verbale di primo accesso delle giustificazioni addotte circa la mancata comunicazione preventiva e l’oggettiva impossibilità di conoscere anticipatamente tale circostanza e i dati dei lavoratori.

MAXISANZIONE E PROSECUZIONE DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

Particolare attenzione richiede l’analisi e la verifica di quelle situazioni nelle quali la prestazione di lavoro sia proseguita oltre il termine fissato dalle parti con un contratto di lavoro a tempo determinato. In tale ipotesi, infatti, la maxisanzione può trovare applicazione unicamente dopo il decorso dei cosiddetti periodi “cuscinetto” (30 giorni in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero 50 giorni negli altri casi).

L’art. 22, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 prevede che, qualora il rapporto di lavoro continui oltre tali periodi, il contratto si trasformi in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Pertanto, i periodi compresi nei 30 o 50 giorni successivi alla scadenza sono coperti ex lege dall’iniziale comunicazione di assunzione e la maxisanzione potrà essere applicata solo a partire dal 31° o 51° giorno successivo alla scadenza ove, evidentemente, il rapporto sia proseguito oltre i periodi cuscinetto (cfr. vademecum L. n. 92/2012 e ML note n. 7258/2013 e n. 6689/2009).

Si rammenta, in proposito, che ai sensi del comma 1 del citato art. 22, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore. Pertanto, all’interno dei periodi “cuscinetto”, ove il personale ispettivo accerti la mancata corresponsione delle predette maggiorazioni, potrà essere adottata diffida accertativa.

Va ricordato che, affinché sia applicabile il regime dell’art. 22, comma 2, è necessario che il personale ispettivo accerti di essere in presenza di una prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro a tempo determinato. In altri termini, alla scadenza del contratto il lavoratore deve aver svolto l’attività lavorativa dopo la scadenza del contratto per tutto il periodo “cuscinetto” e successivamente senza alcuna interruzione.

Laddove, invece, sia accertata l’interruzione della prestazione lavorativa, la sua ripresa configura un nuovo e distinto rapporto di lavoro rispetto al quale, ove difetti la comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, la maxisanzione risulterà applicabile sin dal primo giorno del relativo impiego. Tuttavia, in sede di regolarizzazione mediante diffida, si dovrà tenere conto di quanto previsto dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 secondo il quale, qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Pertanto, ove il nuovo rapporto irregolare sia iniziato entro 10 o 20 giorni dalla data di scadenza del precedente contratto a tempo determinato, l’eventuale diffida impartita in relazione ai lavoratori irregolari ancora in forza presso il datore di lavoro dovrà prevedere esclusivamente la stipula di un contratto a tempo indeterminato.

MAXISANZIONE E CONTRATTO DI PRESTAZIONE OCCASIONALE (ART. 54-BIS D.L. N. 50/2017)

Secondo l’art. 54-bis, comma 6 lett. b), del D.L. n. 50/2017 il contratto di prestazione occasionale è uno strumento mediante il quale determinati soggetti - diversi dalle persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale - acquisiscono, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità, entro determinati e tassativi limiti economici (5.000 euro per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori; 5.000 euro per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori; 2.500 euro per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore).

In tale ambito, la maxisanzione troverà applicazione nelle ipotesi in cui la prestazione rivesta i caratteri della subordinazione e risulti, altresì, sconosciuta alla P.A. in riferimento agli adempimenti previsti dal citato art. 54-bis, in particolare ai commi 9 e 17-19, che disciplinano la corretta attivazione e gestione di tale contratto.

Il comma 9 prevede che tali adempimenti siano effettuati - anche tramite un intermediario di cui alla L. n. 12/1979 - all'interno di un'apposita piattaforma informatica, gestita dall'INPS, previa registrazione dell’utilizzatore e del prestatore. Ai sensi del comma 17, l'utilizzatore deve trasmettere, almeno un'ora prima dell'inizio della prestazione, attraverso la suddetta piattaforma informatica ovvero avvalendosi dei servizi di contact center messi a disposizione dall'INPS, una dichiarazione contenente, tra l'altro, le seguenti informazioni:

a) i dati anagrafici e identificativi del prestatore;
b) il luogo di svolgimento della prestazione;
c) l'oggetto della prestazione;
d) la data e l'ora di inizio e di termine della prestazione ovvero, se imprenditore agricolo, la durata della prestazione con riferimento a un arco temporale non superiore a tre giorni;
e) il compenso pattuito per la prestazione, in misura non inferiore a 36 euro, per prestazioni di durata non superiore a quattro ore continuative nell'arco della giornata, fatto salvo quanto stabilito per il settore agricolo ai sensi del comma 16.

Il rapporto di lavoro potrà quindi ritenersi sconosciuto alla P.A. - con la conseguente possibilità di contestare l’impiego di lavoratori in “nero” in presenza di tutti gli indici di subordinazione - nei casi di mancata trasmissione della comunicazione preventiva secondo le modalità sopra riepilogate ovvero nei casi di invio della stessa nel corso dell’accesso ispettivo o ancora laddove l’utilizzatore abbia proceduto alla revoca della comunicazione a fronte di una prestazione di lavoro giornaliera effettivamente svolta.

Si precisa che la mera registrazione del lavoratore sulla piattaforma predisposta dall’Istituto non costituisce di per sé elemento sufficiente ad escludere l’applicazione della maxisanzione, non essendo adempimento idoneo a rendere noto e, quindi, non sommerso il rapporto intercorrente tra prestatore ed utilizzatore.

Diversamente, pur in assenza della comunicazione preventiva, la maxisanzione non troverà applicazione ove si accerti la contestuale sussistenza delle seguenti condizioni:

- la prestazione sia comunque possibile in ragione del mancato superamento dei limiti economici e temporali (280 ore) previsti dallo stesso art. 54-bis;
- la prestazione possa effettivamente considerarsi occasionale in ragione di precedenti analoghe prestazioni lavorative correttamente gestite, così da potersi configurare una mera violazione dell’obbligo di comunicazione. Al riguardo appare ragionevole ritenere che ricorra la mera violazione dell’obbligo comunicazionale di cui all’art. 54-bis, comma 20 - con conseguente applicazione della specifica misura sanzionatoria - nel caso in cui l’omissione della comunicazione preventiva riguardi una singola prestazione giornaliera a fronte di una pluralità di prestazioni occasionali regolarmente comunicate nel corso del medesimo mese (cfr. INL circ. n. 5/2017 e INPS circ. n. 107/2017).

MAXISANZIONE APPALTO, DISTACCO E SOMMINISTRAZIONE

Le fattispecie di lavoro “nero” e di intermediazione illecita di manodopera, derivante tanto da pseudo-appalto, quanto da distacco privo dei requisiti di legge, richiedono un necessario coordinamento in ragione della posizione del lavoratore interessato.

a. Lavoratore regolarmente assunto dall’appaltatore/distaccante/somministratore

Nei casi in cui l’appalto, il distacco o la somministrazione risultano illeciti, trovano applicazione esclusivamente le sanzioni previste dall’art. 18, comma 1 e 5-bis, del D.Lgs. n. 276/2003 e non quella per lavoro sommerso. Il rapporto di lavoro infatti è regolarmente costituito in capo al datore di lavoro distaccante, appaltatore o somministratore il quale assolve ai connessi adempimenti retributivi e contributivi (vedi ML interpello n. 27/2014). Peraltro, tali adempimenti ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 81/2015 e dell’art. 30, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 276/2003 restano in ogni caso salvi anche per il soggetto utilizzatore a seguito dell’iniziativa giudiziale intrapresa dal lavoratore, intesa a costituire il rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 414 c.p.c.

b. Lavoratore non regolarmente assunto dall’appaltatore/distaccante/somministratore

Nel caso in cui il lavoratore sia stato impiegato senza regolare assunzione occorre distinguere le fattispecie lecite di appalto, distacco o somministrazione dalle ipotesi illecite.

In caso di fattispecie lecite, l’impiego dei lavoratori non regolarmente assunti presso l’utilizzatore è riconducibile ad un interesse proprio dell’appaltatore (in ragione dell’appalto), del distaccante o del somministratore, che pertanto dispongono della prestazione lavorativa per perseguire una propria utilità. Per tale motivo la contestazione dell’impiego in “nero” del lavoratore non potrà essere rivolta all’utilizzatore che abbia regolato il proprio rapporto commerciale attraverso il ricorso ad uno schema tipico e lecito. Quest’ultimo, tuttavia, risponderà degli eventuali adempimenti retributivi e contributivi secondo i principi della responsabilità solidale ai sensi degli artt. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 e 35, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015.

In caso di fattispecie illecite, al contrario, la non corrispondenza dello schema negoziale tipico rispetto agli elementi di fatto riscontrati, comporta che l’impiego in “nero” del lavoratore andrà ricondotto in capo al soggetto utilizzatore quale effettivo beneficiario della prestazione lavorativa con conseguente contestazione della maxisanzione nei suoi confronti. In tal caso, infatti, attesa la natura sommersa del rapporto di lavoro, risultano del tutto assenti gli adempimenti che consentono di ricondurre, almeno su un piano meramente formale, il rapporto di lavoro in capo all’appaltatore/distaccante/somministratore.

Nel contempo non potranno trovare applicazione le sanzioni previste dall’art. 18, comma 1 primo periodo o del comma 5-bis, atteso che l’assenza di formalizzazione del rapporto, impedisce di ricostruire la fattispecie nell’ambito di una somministrazione, di un appalto o di un distacco, seppure illecite. Diversamente l’intera vicenda, ricorrendone i presupposti di fatto, potrebbe essere ricondotta nell’ambito di un’ipotesi di intermediazione illecita posta in essere dal soggetto pseudo appaltatore/distaccante/somministratore.

A ben vedere, infatti, lo pseudo appaltatore, il distaccante o la stessa agenzia di somministrazione si limitano a fare da tramite tra l’utilizzatore (effettivo datore di lavoro) ed il lavoratore, senza prima inserire quest’ultimo, almeno formalmente, nel proprio organico e creare, quindi, con lo stesso un legame datoriale. Ciò realizza una vera e propria attività di “intermediazione” non autorizzata con la possibile applicazione della sanzione prevista dall’art. 18, comma 1 secondo periodo, che punisce tale fattispecie con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda da euro 1.800 a euro 9.000 o, se non vi è scopo di lucro, con la sanzione amministrativa da euro 6.000 a euro 12.000.

LAVORATORI IN DISTACCO TRANSNAZIONALE

I lavoratori dipendenti di una società stabilita in uno Stato Membro (o anche extra UE) possono essere impiegati nell’ambito di una “prestazioni di servizi” da eseguire in Italia. La disciplina del distacco transnazionale dei lavoratori è contenuta, come noto, nel D.Lgs. n. 136/2016 che prevede un articolato quadro sanzionatorio per le ipotesi di distacco non autentico, in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall’art. 3.

La fattispecie illecita in questione risulta incompatibile con l’applicazione della maxisanzione. Ciò in quanto, il presupposto per avviare i lavoratori in distacco è che gli stessi siano dipendenti delle imprese estere distaccanti. La sussistenza di tale presupposto è verificabile consultando la documentazione che il referente nel nostro Paese nominato dal distaccante ai sensi dell’art. 10, comma 3, del decreto, deve conservare per esibirla agli organi di controllo, ove richiesto.

In particolare, nel novero della documentazione deve risultare il Mod. A1 attestante l’iscrizione del lavoratore presso il sistema di sicurezza sociale del paese di provenienza.

Va inoltre considerato che la comunicazione preventiva di distacco non risulta preordinata all’assunzione quanto, piuttosto, alla tracciabilità del loro impiego in Italia, per cui la sua assenza non può essere trattata alla stregua della mancata comunicazione obbligatoria di assunzione.

Pertanto, l’eventuale impiego in “nero” di manodopera proveniente da uno SM potrà configurarsi soltanto quando l’operazione commerciale non sia in alcun modo associabile ad una prestazione transnazionale di servizi dovendosi altrimenti valutare tutti gli elementi raccolti alla stregua di quanto previsto dall’art. 3 del D.Lgs. n. 136/2016 ai fini dell’eventuale illiceità del distacco.

In particolare, così come chiarito nelle Linee guida sul distacco transnazionale (v. nota n. 622/2018), si dovrà riscontare:

1. l’assenza di qualsiasi documento (Mod. A1, comunicazioni e documenti concernenti il rapporto di lavoro di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 136/2016);
2. il sostanziale “stabilimento” del lavoratore in Italia (residenza, famiglia ecc.).

Ai fini dell’individuazione del destinatario della maxisanzione, occorre distinguere le due seguenti ipotesi:

a) nel caso in cui l’utilizzatore stabilito in Italia abbia provveduto ad ingaggiare il lavoratore ed eserciti altresì il potere direttivo, la maxisanzione sarà contestata a quest’ultimo;
b) qualora, invece, risulti che sia stata l’impresa straniera ad ingaggiare il lavoratore e ad esercitare il potere direttivo, è possibile che si sia in presenza di una “esterovestizione”. Pertanto, si dovrà procedere ad effettuare una segnalazione alla GdF e all’Agenzia delle entrate, nonché alla contestazione della maxisanzione esclusivamente nei confronti del titolare/legale rappresentante della “sedicente/presunta” impresa straniera.

Troverà applicazione la maxisanzione, infine, in tutti i casi in cui, nonostante la prestazione di servizi abbia avuto termine (si pensi ad un contratto di appalto del tutto eseguito) il lavoratore distaccato continui a rendere la propria prestazione lavorativa nei confronti del soggetto distaccatario.

In proposito assume rilievo anche la data di cessazione del distacco rilevabile dalla comunicazione UNIdistaccoUE cui non sia seguita una eventuale comunicazione in variazione del termine finale del distacco.

CAPORALATO E MAXISANZIONE

La sanzione per lavoro “nero” risulta compatibile con il reato di sfruttamento della manodopera, punito ai sensi dell’art. 603 bis c.p., atteso che le due fattispecie tutelano beni giuridici differenti.

La presenza, infatti, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera non esclude l’applicabilità delle sanzioni amministrative per lavoro “nero”, che andranno sempre rivolte nei confronti del soggetto utilizzatore, difettando qualunque forma di pregressa formalizzazione del rapporto di lavoro.

In tali ipotesi, la procedura di diffida ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004, finalizzata alla regolarizzazione della posizione dei lavoratori in capo al soggetto utilizzatore, dovrà prestare particolare attenzione nell’imporre la corresponsione di trattamenti economici e normativi in linea con quelli previsti dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

In presenza di lavoratori privi di permesso di soggiorno, si configura peraltro anche la fattispecie di reato di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998.

MAXISANZIONE E TIROCINIO

Il tirocinio extracurriculare è una figura che non rientra tecnicamente nel novero delle forme tipiche di rapporto di lavoro ma costituisce un periodo di orientamento al lavoro di durata limitata con una componente di apprendimento e formazione, il cui obbiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare.

Pur non costituendo una forma di rapporto di lavoro, il tirocinio va comunicato al Centro per l’impiego tramite il sistema CO a cura del soggetto ospitante o, in sua vece, anche dal soggetto promotore, peraltro già tenuto a provvedere alle assicurazioni obbligatorie. Tale onere comunicazionale appare particolarmente rilevante nelle ipotesi in cui il rapporto di tirocinio difetti dei requisiti tipici e risulti, pertanto, non genuino. Infatti, ove la prestazione sia stata correttamente comunicata al Centro per l’impiego ma ricorrano gli indici della subordinazione, essa potrà essere solo oggetto di disconoscimento e riqualificazione in termini di rapporto di lavoro subordinato, non potendo trovare applicazione la maxisanzione per lavoro “nero”.

Diversamente, potrà trovare applicazione la maxisanzione in caso di omessa comunicazione di instaurazione del tirocinio e ricostruzione del rapporto in termini di lavoro subordinato.

Una particolare fattispecie può aversi nel caso in cui, pur essendo stato correttamente comunicato, il rapporto, al suo termine, prosegua oltre il periodo massimo fissato dalla legge regionale di riferimento, senza che ciò risulti dall’originaria comunicazione al Centro per l’impiego o sia oggetto di comunicazione di proroga. In tali casi, ferma restando la verifica della sussistenza della subordinazione, la sanzione andrà applicata con decorrenza dal predetto “sforamento” (cfr. INL circ. n. 8/2018).

Un ulteriore punto sul quale occorre porre attenzione è dato dalle conseguenze che possono derivare sull’intero rapporto di tirocinio da un pregresso periodo di lavoro sommerso.

Innanzitutto, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, nelle more dell’espletamento di tutte le formalità per la corretta attivazione del tirocinio, decida di impiegare ugualmente il futuro tirocinante in attività lavorativa in “nero”, troverà applicazione la maxisanzione. In tal caso, infatti, mancando qualsiasi ufficiale formalizzazione, il rapporto di tirocinio è del tutto inesistente e il lavoratore impiegato in attività lavorativa subordinata, senza regolare assunzione, non può che essere considerato a tutti gli effetti un lavoratore in “nero”.

Altra situazione si può avere nell’ipotesi in cui il personale ispettivo, nella verifica della regolarità di un tirocinio correttamente formalizzato, accerti che il tirocinante è stato impiegato in attività lavorativa sommersa antecedentemente all’instaurazione del rapporto di tirocinio.

In tal caso occorrerà preliminarmente verificare che la legge regionale di riferimento, in linea con quanto previsto dalle linee guida in materia di tirocini extracurriculari, diramate il 25 maggio 2017 dalla Conferenza permanente Stato Regioni, ritenga l’attivazione del tirocinio incompatibile con un precedente rapporto di lavoro subordinato o una collaborazione coordinata e continuativa, intrattenuti con il soggetto ospitante negli ultimi due anni.

[...]

Fonte: INL

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Allegato riservato Nota INL n. 856 2022 del 20 aprile 2022.pdf
Maxisanzione per lavoro sommerso
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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 19646 | 08 Maggio 2019

ID 16481 | | Visite: 1149 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 3 dell'08 maggio 2019 n. 19646

Infortunio mortale durante la realizzazione di una trincea per il posizionamento di tubature. Responsabilità del direttore dei lavori

Presidente: ACETO ALDO
Relatore: CORBETTA STEFANO
Data Udienza: 08/01/2019

Fatto

1. Giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 40817 del 2012, deliberata il 10/07/2012 e depositata il 17/10/2012, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania, appellata dal P.G. e dalla parte civile, condannava V.P., T.M. e E.G.G. alla pena di due anni di reclusione ciascuno, condizionalmente sospesa per tutti gli imputati, in relazione al delitto di cui all'art. 589 cod. pen. in danno dell'operaio G.V..
2. Va premesso, per una migliore comprensione della vicenda, che agli imputati - nelle rispettive qualità di appaltatore di lavori per conto del Comune di Laurino il V.P., subappaltatore dei lavori e titolare della s.r.l. CO.GE.M. il T.M., di direttore tecnico di cantiere il E.G.G. - era addebitato di avere omesso il rispetto delle misure di sicurezza antinfortunistiche, così cagionando per colpa il decesso dell'operaio G.V., il quale, intento al lavoro di scavo all'interno di una trincea profonda due metri, veniva travolto dallo smottamento del terreno, rimanendo seppellito. Fatto accertato in Laurino il 6 giugno 2000.
In particolare, al V.P. e T.M. era stato contestato di non aver predisposto il piano di coordinamento dei lavori in cui rilevare i rischi per la sicurezza dovuti alla contemporanea presenza delle due imprese; al E.G.G. era stato addebitato che, in qualità di direttore tecnico del cantiere, non aveva fatto rispettare le prescrizioni del piano di sicurezza dell'appaltatore e, in specie, quelle relative al contrasto delle pareti degli scavi per evitare i crolli.
3. In riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Vallo della Lucania - che aveva dichiarata non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere il reato estinto per prescrizione - con sentenza del 3 ottobre 2011 la Corte di Appello di Salerno, dopo avere rilevato che la prescrizione era stata erroneamente pronunciata, in quanto il relativo termine era di quindici anni e non di sette anni e sei mesi, e quindi non era ancora maturato, giudicando nel merito assolveva gli imputati per non aver commesso il fatto. Osservava la Corte di merito che dall'istruttoria svolta era emerso che le lesioni che avevano condotto alla morte il E.G.G. - riconducibili a un violento trauma con conseguente lacerazione del fegato e spappolamento del rene destro - non erano compatibili con il seppellimento, ma erano ricollegabili a un colpo ricevuto dalla benna dell'escavatrice azionata dal collega di lavoro D.P.. Infatti, l'entità del trauma non era compatibile con l'urto di pietre, le quali, peraltro, non erano presenti nello scavo, né poteva attribuirsi un rilievo concausale alla condotta degli imputati, in quanto non vi era alcuna prova che la benna fosse stata azionata per soccorrere l'operaio dopo il crollo della trincea e il parziale seppellimento della vittima.
4. Con sentenza n. 40817 del 2012, in accoglimento del ricorso promosso dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Salerno e dalle parti civili D.G. e F.G., questa Corte annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo esame.
La Corte premetteva che nel corso del processo erano state prospettate tre diverse ipotesi sulla causa della morte dell'operaio G.V.: 1) secondo il capo di imputazione, la causa della morte sarebbe stato il seppellimento della vittima nella trincea scavata e priva di armature di sostegno nei fianchi dello scavo, dal che la responsabilità dei tre imputati per non avere provveduto all'installazione dei presidi antinfortunistici; 2) secondo un'altra ipotesi ricostruttiva, una volta patito il seppellimento, per salvare il E.G.G., vista l'impossibilità in tempi rapidi di scavare il terreno, era stata utilizzata la benna dal D.P. per rimuovere la massa di terreno e, per un'errata j^r manovra, l'operaio sarebbe stato colpito provocandogli le lesioni letali; anche secondo tale ricostruzione, sarebbe possibile ipotizzare una responsabilità degli imputati, in quanto, con la loro condotta colposamente omissiva, avevano posto in essere un antecedente necessario per il verificarsi dell'evento; 3) secondo una terza ipotesi ricostruttiva, accolta dalla Corte di Appello, l'esclusivo responsabile del fatto di reato era da individuarsi nel D.P., conducente dell'escavatore, il quale, durante l'ordinario lavoro, aveva colpito con la benna il V.G. provocandogli le ferite mortali; di conseguenza, la morte sarebbe stata determinata esclusivamente dall'azione malaccorta del D.P., senza alcuna incidenza causale dell'irregolarità dello scavo ove il V.G. era poi rotolato.
Ciò chiarito, dopo aver ribadito che, nel caso di specie, non era ravvisabile alcuna violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto la causalità alternativa era stata introdotta come argomento difensivo per escludere la responsabilità degli imputati secondo l'originaria imputazione, la Corte di Cassazione ha censurato la sentenza assolutoria, essendo viziata da erronea applicazione della legge e da vizio di motivazione, "laddove, dopo avere ritenuto che le lesioni letali siano state inferte dalla benna per una errata manovra del D.P., prima che il V.G. cadesse nello scavo, non ha valutato la incidenza della condotta omissiva degli imputati, i quali non hanno adottato misure idonee ad evitare che l’operaio V.G. lavorasse al di fuori della sfera di operatività della benna e, quindi, senza reciproca pericolosa interferenza". 
La Corte ha richiamato, a tal proposito, il disposto dell'art. 118, comma 3, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (che ha sostituito, riproducendone il contenuto, l'art. 12 d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, vigente all'epoca del fatto), a tenore del quale "nei lavori di escavazione con mezzi meccanici deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco". La Corte ha chiarito come "la violazione di tale obbligo è stata più volte fonte di affermazione di responsabilità di coloro che erano tenuti all'attuazione e controllo delle misure di sicurezza (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 46719 del 14/10/2009, dep. 04/12/2009, Rv. 245612; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 31296 del 17/05/2005, dep. 19/08/2005, Rv. 231658)". La Corte ha perciò annullato la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Napoli "perché valuti la sussistenza della responsabilità degli imputati, anche in relazione all'ipotesi ricostruttiva che il traumatismo mortale sia stato determinato dall'errata manovra della benna, ciò per l'omesso rispetto delle norme che vietano l'interferenza tra operai ed escavatore durante l'attività operativa di quest'ultimo macchinario".
5. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli ha ravvisato la penale responsabilità degli imputati, palese essendo l'incidenza che ebbe sull'eziologia dell'incidente (provocato dalla manovra malaccorta dell'escavatore posta in essere dall'operaio D.P.) la condotta omissiva degli imputati medesimi, i quali, nelle rispettive qualità sopra indicate, avevano violato la prescrizione di cui all'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008, che impone l'adozione di misure idonee a tutelare l'incolumità fisica dei lavoratori in caso di utilizzo di escavatori.
6. Avverso l'indicata sentenza, E.G.G., per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
6.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 18, comma 8, l. n. 90 del 1955, 2087 cod. civ., 4 d.P.R. n. 547 del 1995, 299 d.lgs. n. 81 del 2008 e relativo vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza della titolarità della posizione di garanzia. Assume il difensore che la Corte territoriale avrebbe ravvisato in maniera apodittica, in capo al E.G.G., la qualifica di direttore del cantiere, come emergerebbe da alcuni passi della deposizione del teste Paladino, non essendo dimostrativa in tal senso la scheda dei dati aziendali contenuta nel piano di sicurezza, trasmessa al Comune di Laurino in data 19 luglio 1999, in quanto documento non attribuibile al ricorrente ma confezionato unilateralmente dal titolare della ditta appaltatrice, e non essendo dimostrata l'accettazione dell'incarico da parte del E.G.G.. In ogni caso, sul punto la Corte d'appello avrebbe omesso di considerare le specifiche deduzioni difensive.
6.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione dell'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 e relativo vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe tautologica, assiomatica e disancorata dagli elementi probatori, considerando che la vittima non sarebbe stata attinta dalla benna in un contesto di operatività del mezzo, ma dopo che lo scavo era stato ultimato, come emergerebbe dalla deposizione del teste D.P., le cui dichiarazioni sarebbero state travisate o, comunque, non correttamente apprezzate.
6.3. Con il terzo motivo si eccepisce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. per violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza. Deduce il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare se l'imputato abbia avuto modo di difendersi in relazione al profilo di colpa specifica posto a fondamento del giudizio di responsabilità, diverso da quello contestato nell'Imputazione, e costituito dall'inosservanza dell'obbligo di verificare che nel raggio di azione dell'escavatore non stazionassero operai.
7. Con memoria depositata il 3 settembre 2009, il difensore dell'imputato insiste nell'accoglimento dei motivi ribadendo che: a) il ricorrente non svolgeva effettivamente le funzioni di direttore di cantiere - questione in relazione alla quale la Corte territoriale avrebbe omesso di dare risposta b) sarebbe ravvisabile la violazione del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, come interpretato dalla giurisprudenza elaborata sul punto dalla Corte EDU a partire dalla nota sentenza "Drassich"; c) la Corte territoriale avrebbe fornito una lettura distorta dell'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, si osserva, in primo luogo, che in sede di rinvio, la Corte territoriale era tenuta a valutare "la sussistenza della responsabilità degli imputati, anche in relazione all'ipotesi ricostruttiva che il traumatismo mortale sia stato determinato dall'errata manovra della benna, ciò per l'omesso rispetto delle norme che vietano l'interferenza tra operai ed escavatore durante l'attività operativa di quest'ultimo macchinario".
In ogni caso, per costante giurisprudenza di questa Corte, va ribadito che il direttore dei lavori nominato dal committente è responsabile dell'infortunio sul lavoro quando gli viene affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell'organizzazione del lavoro (Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003 - dep. 31/12/2003, Viscovo, Rv. 227070; Sez. 4, n. 1559 del 26/11/1993 - dep. 08/02/1994, Disca, Rv. 197086).
Invero, premesso che l'infortunio ebbe a verificarsi per l'omessa adozione delle misure antinfortunistiche previste dall'art. 12 d.P.R. n. 164 del 1956, non può sostenersi che il E.G.G., quale direttore dei lavori del cantiere, non assumesse una posizione di garanzia rispetto alla sicurezza del luogo di lavoro e non fosse destinatario al pari dell'appaltatore e del subappaltatore, delle norme antinfortunistiche e, in particolare, di quella appena indicata. Contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, egli è fra i soggetti penalmente responsabili della mancata attuazione delle misure antinfortunistiche e ciò ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 164 del 1956 che richiama gli artt. 4, 5 e 6 del d.P.R. n. 547 del 1955. Peraltro, come ammesso dalle stesso ricorrente, egli era stato nominato direttore del cantiere (si veda anche la produzione fotografica in atti effigiante la fotografia dei dati relativi all'appalto, in cui, appunto il "direttore di cantiere" è in indicato nel "geom. E.G.G.") e, in ogni caso, vale il principio dell'effettività delle mansioni e, a dimostrazione che l'incarico svolto dal E.G.G. non fosse né saltuario, né occasionale, depone il fatto che egli, come accertato nella sentenza della Corte d'appello di Salerno del 3 ottobre 2011, accorse immediatamente sul luogo dell'infortunio, a riprova che alla qualifica formale corrispondevano i poteri ad essa connessi.
La responsabilità dell'evento è riconducibile, quindi, alle condotte omissive dell'appaltatore, del subappaltatore e anche del direttore del cantiere, per il principio della responsabilità concorsuale, e non alternativa, tra di loro delle diverse posizioni di garanzia.
3. Il secondo motivo è inammissibile in tutti i suoi profili.
3.1. Quanto alla ricostruzione delle cause dell'infortunio mortale, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata con apprezzamento fattuale logicamente argomentato e aderente alle emergenze processuali, il decesso del V.G. fu provocato da un colpo inferto dalla benna dell'escavatore del D.P., il quale stava effettuando la realizzazione di una trincea per il posizionamento di tubature. E difatti, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale sulla scorta degli esiti della consulenza medico-legale: la morte dell'operaio sopraggiunse per un'imponente e irrefrenabile emorragia, determinata dalla lacerazione del fegato e dallo spappolamento del rene destro; le lesioni riscontrate interessano la regione anteriore destra ed erano del tutto compatibili con l'azione esercitata dalla benna dell'escavatrice, corpo contundente di notevole forza cinetica, manovrato dall'operaio D.P.. Al cospetto di tale motivazione, il ricorrente pretende una diversa spiegazione degli accadimenti, che non è ammissibile in sede di legittimità.
3.2. Quanto, poi, all'interpretazione dell'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 (secondo cui "nei lavori di escavazione con mezzi meccanici deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco"), va osservato che la Corte di cassazione, in sede di annullamento con rinvio, ne ha fornito una chiara interpretazione, vincolante per il giudice del rinvio, precisando che, come si è detto, "la violazione di tale obbligo è stata più volte fonte di affermazione di responsabilità di coloro che erano tenuti all'attuazione e controllo delle misure di sicurezza". Uniformandosi a tale principio, la Corte territoriale ha accertato che il ricorrente, unitamente agli altri imputati nelle qualità loro rispettivamente ascritte, non adottò alcuna misura idonea ad evitare che l'operaio V.G. lavorasse al di fuori della sfera di operatività della benna, e, quindi, in una zona immune dalla pericolosa interferenza con il mezzo meccanico. La Corte, infine, ha parimenti escluso che la vittima avesse posto in essere, nell'espletamento delle proprie mansioni, un comportamento imprevedibile, eccezionale o abnorme, tale, quindi, da spezzare il nesso eziologico tra la condotta colposa dell'imputato e il verificarsi dell'evento lesivo.
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Al proposito, è sufficiente richiamare, ancora una volta, quanto già affermato dalla sentenza resa da questa Corte in sede di annullamento con rinvio, laddove ha dato continuità al costante orientamento di legittimità secondo cui "per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, dep. 13/10/2010, Rv. 248051).
Alla luce di tale principio, la Corte, nel caso di specie, ha affermato che "valutare la sussistenza della responsabilità degli imputati sulla base di una diversa ricostruzione del fatto, rispetto a quella contenuta nel capo di imputazione, non costituisce violazione del principio di correlazione, soprattutto quando, come nel caso che ci occupa, la causalità alternativa è stata introdotta come argomento difensivo per escludere la responsabilità degli imputati secondo la originaria imputazione". Il motivo, riproposto in questa sede, è perciò inammissibile.
5. Si osserva, infine, che il reato non è prescritto.
Invero, poiché il fatto è stato commesso il 06/06/2000, il termine massimo di prescrizione, pari a quindici anni, cui devono sommarsi 162 giorni di sospensione (dal 23/10/2015 al 25/11/2015, pari a 33 giorni, per rinvio su istanza della difesa, dal 25/11/2015 al 02/02/2016, pari a 69 giorni, per rinvio su istanza della difesa, dal 01/03/2005 al 29/11/2005, pari a 60 giorni, per legittimo impedimento del difensore), è maturato il 15/11/2015, e quindi prima della sentenza impugnata.
Va chiarito che nessuna efficacia può esplicare la rinuncia alla prescrizione espressa dall'imputato in data 23/10/2015, in quanto, a quella data, non era ancora decorsa; invero, per pacifica giurisprudenza, la rinunzia dell'imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima (da ultimo cfr. Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017 - dep. 19/10/2017, Comat Srl e altri, Rv. 271292).
Nondimeno, va rilevato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (per tutti, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818), come è. avvenuto nel caso di specie.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in 
dispositivo; consegue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili D.G. e F.G. nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna il ricorrente alla rifusione in favore delle parti civili delle spese del grado che liquida in euro 3.000 ciascuna, oltre spese generali nella misura del 15%, c.p.a. ed i.v.a.
Così deciso il 08/01/2019.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 43462 | 21 Settembre 2017

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 21 settembre 2017, n. 43462

"Solaio effimero" e infortunio mortale con un miniescavatore. Responsabilità del committente e ruolo di un direttore dei lavori

Penale Sent. Sez. 4 Num. 43462 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DI SALVO EMANUELE
Data Udienza: 18/05/2017

Fatto

1. M.A. e F.G. ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, nella parte in cui è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen., per avere cagionato la morte di P.DP., incaricato di movimentare del terreno, nonostante i volumi abusivamente realizzati al di sotto di esso non fossero stati riempiti e il solaio fosse stato sostituito da un piano non in materiale edilizio ma costituito da polistirolo e fuscelli, ponendo, al di sotto di essi, assi di legno. La suddetta fragile copertura non aveva retto al peso del miniescavatore condotto dalla persona offesa, crollando nel volume preesistente, al di sotto, non colmato, e provocando così il precipitare verso il basso dell' escavatore e la morte del P.DP..
2. M.A. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché non è stato effettuato alcun accertamento inerente all'ipotesi dell'esistenza del cosiddetto "solaio effimero". Del resto, la tesi della caduta dell' escavatore a causa del "solaio effimero" è smentita dalle risultanze autoptiche, da cui emerge un complesso lesivo di entità non rilevante. Peraltro, anche il P.DP., titolare di un'impresa specializzata nel movimento terra, era tenuto a verificare la pericolosità dello stato dei luoghi e aveva l'obbligo del montaggio del tettuccio, di cui non è stata trovata traccia, o della cabina sull'escavatore, dovendo operare su un terreno che era caratterizzato dalla presenza di buche e di svariate irregolarità. Del resto, il P.DP. lavorava senza alcun vincolo di subordinazione rispetto al M.A., che era soltanto il committente e non il datore di lavoro.
2.1. È stato ravvisato un concorso di colpa del P.DP., nella misura del 20%, ma non è stata, per l'effetto, diminuita la pena.
2.2. L'art. 181, comma 1 bis, d.l. n. 42 del 2004 è stato dichiarato, in parte, costituzionalmente illegittimo da Corte cost. 23-3-2016, n. 56, per cui va annullata la condanna per questo reato e diminuita la pena complessivamente inflitta. In subordine, la fattispecie concreta in esame può essere ricondotta alla contravvenzione di cui al comma 1 dell'art. 181, che è prescritta.
3. F.G. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto egli non rivestiva la qualità di responsabile dei lavori e comunque tale qualifica non comporta automaticamente la responsabilità della sicurezza sul lavoro, ben potendo l'incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica sull'esecuzione del progetto, poiché il direttore dei lavori, per conto del committente, è tenuto soltanto alla vigilanza sulla fedele esecuzione del capitolato di appalto. Nè il ricorrente aveva ricevuto deleghe in materia antinfortunistica dal committente. Nemmeno è stata dimostrata un'ingerenza del direttore dei lavori nell'organizzazione del cantiere.
3.1. Ancor meno vi è prova che il ricorrente abbia progettato la realizzazione del cosiddetto "solaio effimero", che costituisce frutto di una condotta, da qualificarsi abnorme, tenuta dal M.A. e non ascrivibile al F.G., che aveva invece previsto il riempimento del vano realizzato abusivamente dal M.A.. Quest'ultimo ha eseguito i lavori di ripristino con modalità individuate in modo del tutto autonomo e al di fuori di ogni prevedibilità da parte del F.G., realizzando il cosiddetto "solaio effimero" all'insaputa del direttore dei lavori, onde il nesso causale è da ritenersi interrotto. Per attribuire al ricorrente una condotta negligente occorreva almeno dimostrare che il F.G. fosse al corrente dell'avvio dei lavori ma tale prova non vi è, anche perché, allorquando il dissequestro venga ordinato dall'autorità giudiziaria, il controllo circa l'effettiva eliminazione delle opere abusive non è demandato al tecnico di parte ma al tecnico comunale nonché alla polizia giudiziaria. Ad ogni modo, la verifica dell'esecuzione delle opere di ripristino sarebbe stata effettuata all'esito dei lavori e dunque l'imputato non si sarebbe mai potuto avvedere della presenza del "solaio effimero". Tale circostanza deve quindi indurre a ritenere che il M.A. abbia taciuto al direttore dei lavori l'inizio delle attività di ripristino proprio per evitare che costui potesse contestarne le modalità esecutive. E comunque il direttore dei lavori non era consapevole delle finalità perseguite dal M.A..
3.2. In ogni caso, il riferimento agli obblighi di vigilanza che incombono sul direttore dei lavori è estraneo alla contestazione. L'imputato è stato infatti citato a giudizio per rispondere di una condotta colposa che gli è stata addebitata quale responsabile dei lavori, ai sensi della normativa antinfortunistica, ed è stato invece condannato per la violazione degli obblighi che la normativa urbanistica ascrive al direttore dei lavori.
3.3. I giudici di merito, pur avendo ritenuto sussistente il concorso di colpa della vittima, non hanno indicato i criteri sulla base dei quali hanno quantificato questo concorso di colpa nella misura del 20%.
3.4. Con i motivi di appello era stato espressamente richiesto il beneficio di cui all'art. 175 cod. pen. ma tale istanza è stata ignorata dal giudice a quo, che non ha spiegato le ragioni sulla base delle quali ha ritenuto di non concedere tale beneficio.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

Diritto

l. Il primo motivo del ricorso del M.A. è Infondato. Costituisce Infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6 , n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7¬2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli).
1.1. Nel caso In disamina, il giudice a quo ha evidenziato che l'attività della vittima si svolgeva su un piano privo della consistenza idonea a sopportare il peso del veicolo utilizzato. Infatti, al di sotto della zona riempita vi era un vuoto, delimitato da un solaio, realizzato con supporti metallici, fatti ad asta, su cui erano poste delle cannucce e, al di sopra di queste, dei fogli di polistirolo. Il P.DP. operava su tale superficie instabile, che crollò, provocando lo sprofondamento e il ribaltamento del mezzo, anche perché il riscontrato riempimento era stato effettuato con materiale di risulta non particolarmente pesante, destinato ad esser quindi solo superficialmente cosparso di terreno, onde realizzare l'apparenza di un ripristino conforme alle indicazioni contenute nell'autorizzazione comunale. Il M.A. - precisa il giudice a quo -, in veste sia di committente che di gestore dell'impresa esecutrice dei lavori e di responsabile del cantiere, era tenuto a predisporre condizioni idonee per l'intervento del P.DP., in modo da assicurare sia la solidità del piano di lavoro su cui quest'ultimo doveva operare sia un'adeguata informazione in ordine alla consistenza e alle caratteristiche dei luoghi, eventualmente delimitando le zone di pericolo. Il primo dei due obblighi rimase inadempiuto, attese le condizioni della superficie di lavoro. Ma - argomenta la Corte territoriale - non vi è nemmeno prova dell'adempimento del secondo degli obblighi indicati, non essendovi elemento alcuno in merito a disposizioni impartite, in presenza di una situazione così insidiosa, al P.DP., onde renderlo edotto della presenza del "solaio effimero". È peraltro evidente, sulla base del complessivo stato dei luoghi, come l'attività sia stata svolta senza alcuna reale programmazione, in maniera palesemente carente, sotto il profilo tecnico, e volutamente inadempiente alla pur sintetica relazione tecnica depositata in sede di comunicazione di inizio dei lavori, essendo perciò più che prevedibile il verificarsi dell'infortunio. Tanto più che - aggiunge il giudice a quo -, considerate le piccole dimensioni del mezzo e la collocazione verso l'esterno della parte ancora da riempire, appare davvero improbabile che il veicolo potesse lavorare rimanendo ad una distanza di sicurezza dal bordo dello scavo, essendo perciò ancora più cogente il dovere di informazione sulle caratteristiche dei luoghi nonché la valutazione della Idoneità del piano di lavoro. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto Idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
2. Anche il secondo motivo del ricorso del M.A. è infondato. La Corte d'appello non è entrata nel merito della quantificazione del risarcimento del danno, avendo confermato le statuizioni civili emesse dal primo giudice, il quale aveva demandato a un separato giudizio la determinazione del quantum, limitandosi a stabilire una provvisionale di euro 40.000, che il giudice di appello, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, ha ritenuto largamente inferiore al complessivo danno subito. La valutazione dell'incidenza del concorso di colpa della persona offesa, individuato dai giudici di merito nella misura del 20%, andrà dunque effettuata nell'ambito del giudizio civile di liquidazione del danno.
3. E' fondato invece il terzo motivo di ricorso. La Corte costituzionale, con sentenza n. 56 del 23 marzo 2016, ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 1 bis del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1 della medesima disposizione ricadano su aree o immobili che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico, con apposito provvedimento, emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori, oppure su aree o immobili tutelati, per legge, ai sensi dell'art. 142 del medesimo decreto. Per effetto di tale sentenza, integra la contravvenzione prevista dal comma 1 di detto articolo ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per legge, configurandosi invece il delitto previsto dal successivo comma 1-bis nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati (Cass., Sez. 3, n. 33047 del 19/04/2016, Rv. 268033; Cass., n. 15751 del 2016, Rv. 266588). La condotta ascritta al M.A. rientra dunque nell'ambito di applicabilità dell'art. 181, comma 1, d. lgs. n. 42 del 2004, norma che prevede un reato che, essendo di natura contravvenzionale, è estinto per prescrizione. Si impone pertanto un pronunciamento rescindente sul punto, con rinvio alla Corte d'appello per rideterminazione della pena.
4. Il primo motivo del ricorso del F.G. è fondato. Il giudice a quo ha infatti posto in rilievo che l'imputato risulta aver sottoscritto la relazione tecnica e la comunicazione di inizio dell' attività relativa ai lavori di ripristino. In quest'ultima veniva esplicitato che i lavori sarebbero stati diretti dal geometra F.G.. Al F.G. va dunque attribuita la qualifica di direttore dei lavori. Il direttore dei lavori è il soggetto incaricato dal committente di curare l'esatta esecuzione dei lavori stessi. Egli dunque svolge normalmente un'attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto, nell'interesse del committente (Cass., Sez. 4, n. 1300 del 20-11-2014, Martucci; Sez. 4, 12-12-2014, Zoni; Sez. 4, 15-1-2014, Gebbia). Dunque la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro, ben potendo l'incarico di direttore dei lavori limitarsi alla predetta sorveglianza tecnica, inerente alla fedele esecuzione del capitolato di appalto. Destinatari delle norme antinfortunistiche sono infatti i datori di lavoro, I dirigenti e i preposti mentre il direttore dei lavori, per conto del committente, è tenuto alla vigilanza sulla corretta esecuzione del progetto, nell'Interesse del committente stesso, e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche, ove non venga accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano dimostrare, in modo inequivoco, l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Cass., Sez. 4, n. 29792 del 1-6-2015, Pracanica).
Nel caso di specie, dalla motivazione della sentenza impugnata si desume che il M.A. era sia il proprietario dell'area nella quale avvenne l'Infortunio; sia l'autore delle opere edilizie abusive; sia il committente del lavori di ripristino; sia il gestore dell'impresa esecutrice; sia il responsabile del cantiere. In particolare, la concentrazione in capo al medesimo soggetto dei ruoli di committente e di gestore dell'impresa esecutrice delle opere rendeva inutile la figura del direttore dei lavori, poiché era lo stesso committente ad eseguire il progetto elaborato nel suo interesse. Alla luce di tali dati, il giudice a quo, lungi dal poter "prescindere dal coinvolgimento del F.G. nell'attività organizzativa del cantiere", come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello, avrebbe dovuto chiarire le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la prospettazione difensiva secondo la quale l'attribuzione della qualifica all'imputato avvenne solo formalmente ma non vi fu alcuna effettiva ingerenza nell'attività esecutiva, da parte del F.G.. Qualora infatti la prospettazione difensiva sia estrinsecamente riscontrata da alcuni dati oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l'inattendibilità, attraverso un adeguato apparato argomentativo. Più in generale, occorre osservare come il giudice sia tenuto ad interrogarsi in merito alla plausibilità di spiegazioni alternative alla prospettazione accusatoria, qualora esse vengano additate dall'oggettività delle acquisizioni probatorie. La regola di giudizio compendiata nella formula dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" impone infatti al giudicante l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria, volto a superare l'eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest'ultima, derivanti, ad esempio, da autocontraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi, come nel caso in disamina, all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità (Cass., Sez. l,n,4111 del 24-10-2011, Rv. 251507) . Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità , in conformità al canone dell'« oltre il ragionevole dubbio», soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e dell'ordinaria razionalità umana (Sez. 1 n. 17921 del 3-3-2010, Rv. 247449 ; Sez. 1 n. 23813 del 8-5¬2009, Rv. 243801; Sez. 1, n. 31456 del 21-5-2008, Rv. 240763). La condanna al di là di ogni ragionevole dubbio implica che, laddove venga prefigurata una ipotesi alternativa, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta, in modo che risulti l'irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell'ipotesi alternativa stessa (Cass., Sez. 4, n.30862 del 17-6-2011, Rv. 250903 ; Sez. 4, n. 48320 del 12-11-2009, Rv. 245879 ).
Dunque, sulla base dei criteri appena esposti, il giudice di merito avrebbe dovuto ricostruire, con precisione, l'accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali, e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale, potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale (Cass., 25-6-1996, Cotoli, Rv. 206131), facendo uso di massime di esperienza consolidate e affidabili e non di mere congetture. Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità e sulla base di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti (Sez. U., 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767).
Si impone, pertanto, relativamente alla problematica in esame, un pronunciamento rescindente. Tale epilogo decisorio determina l'ultroneità della disamina delle ulteriori doglianze dedotte dal F.G..
5. La sentenza impugnata va dunque annullata nei confronti di M.A., in ordine al reato di cui all'art. 181, comma 1, d. Igs. n. 42 del 2004- così modificata l'originaria imputazione - perché il reato è estinto per prescrizione, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli per la nuova determinazione della pena. Il ricorso del M.A. va invece rigettato nel resto. La sentenza impugnata va invece annullata nei confronti di F.G., con rinvio alla Corte d'appello di Napoli, per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.A. in ordine al reato di cui all'art. 181, comma 1, d. lgs. n. 42 del 2004- così modificata l'originaria imputazione- perché il reato è estinto per prescrizione. Rinvia alla Corte d'appello di Napoli per la nuova determinazione della pena. 
Annulla la stessa sentenza nei confronti di F.G., con rinvio alla Corte d'appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 18-5-2017.

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 24101 | 29 Maggio 2018

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 29 Maggio 2018 n. 24101

Crollo del locale officina nel corso dei lavori di realizzazione di un solaio carrabile sopraelevato

Penale Sent. Sez. 4 Num. 24101 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: MONTAGNI ANDREA
Data Udienza: 23/03/2018

Fatto

1. La Corte di Appello di Roma, per quanto rileva in questa sede, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo in data 21.01.2011, affermava la penale responsabilità di LG.G. in ordine ai reati di crollo (capo 16) e omicidio colposo (capo 18); concesse le attenuanti generiche equivalenti e ritenuto il concorso formale condannava il predetto alle pene di giustizia; la Corte rideterminava le pene originariamente inflitte nei confronti di T.P. e C.G., in ordine ai reati di cui ai capi 16 e 18 e nei confronti di L.F., che risponde del solo reato di cui al capo 18. La Corte di Appello revocava le statuizioni civili.
Le imputazioni traggono origine dal crollo del locale officina avvenuto nel corso dei lavori di realizzazione di un solaio carrabile sopraelevato, crollo che determinava il decesso di F.F. ed il ferimento di altri lavoratori. Segnatamente, L.F. nella sua qualità di legale rappresentante della committente Natili spa e direttore dei lavori, T.P. quale coordinatore per la sicurezza, C.G. quale progettista architettonico e direttore dei lavori e LG.G. quale progettista strutturale, sono chiamati a rispondere in cooperazione tra loro, con condotte autonome e nelle rispettive qualità, dei richiamati reati, per colpa generica, specifica e per non aver evitato la presenza di lavoratori al di sotto del solaio in costruzione, come prescritto dalle norme antinfortunistiche.
Il Collegio chiariva che non ricorrevano i presupposti per il rinnovo dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen., alla luce dell'elaborato peritale acquisito in sede di incidente probatorio. Confermava l'affermazione di responsabilità di L.F., T.P. e C.G.. In accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero, in riforma della pronuncia assolutoria del primo giudice, affermava la responsabilità anche del tecnico strutturista incaricato della realizzazione del progetto. Il Collegio rilevava che la responsabilità dell'imputato LG.G. emergeva dalla perizia svolta in incidente probatorio; considerava che era emerso che i calcoli utilizzati nel cantiere erano quelli redatti dal progettista LG.G.; e sottolineava che i testi escussi avevano riferito la circostanza relativa alla fisica presenza di LG.G. nel cantiere, fino a pochi giorni prima del crollo.
2. Avverso la citata sentenza della Corte di Appello di Roma hanno proposto ricorso per cassazione L.F., T.P., C.G. e LG.G., a mezzo dei difensori.
3. L.F. premette che le valutazioni espresse dalla Corte di Appello, rispetto alle cause del crollo, individuate nella errata progettazione del nodo trave pilastro da parte dell'ing. LG.G., modificano il quadro logico della decisione.
Ciò posto deduce il vizio motivazionale, osservando che la Corte di Appello ha erroneamente attribuito al L.F. anche il reato di disastro colposo di cui al capo 16, fattispecie non contestata al predetto imputato.
L'esponente considera che la Corte di Appello ha affermato che la mancata maturazione del cemento aveva determinato il crollo; osserva che in realtà, in base al crono programma, la posa in opera delle travi preassemblate si era conclusa 27 giorni prima del secondo getto di calcestruzzo. Sottolinea che una volta individuata la causa del crollo nella errata progettazione dello snodo trave-pilastro, il riferimento ai tempi di maturazione del cemento non risulta conferente. Il ricorrente osserva che i periti non hanno trattato il tema della omessa maturazione del calcestruzzo.
Il deducente rileva che, rispetto all'imputazione elevata a carico del L.F., la mancata previsione del rischio di crollo risulta estranea dalla norma prevenzionale asseritamente violata. Sul punto, rileva che l'evento non era prevedibile ex ante.
Sotto altro aspetto, il ricorrente osserva che la mancata apposizione dei puntelli non risulta rilevante rispetto al crollo come verificatosi, una volta condiviso il parere dei periti che hanno individuato l'elemento di criticità della progettazione nella scelta dello snodo trave-pilastro.
Il deducente osserva che illogicamente al L.F. si contesta di non aver verificato, nello svolgimento della funzione di alta vigilanza, che, durante la fase di getto di calcestruzzo per la realizzazione del pavimento industriale, nella officina sottostante fossero sospese le attività e allontanati gli operai. Ciò in quanto il getto venne effettuato in osservanza delle prescrizioni del Piano di sicurezza ed il crollo si verificò il giorno successivo rispetto al getto della soletta.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 81 cod. pen. e l'errata dosimetria della pena, posto che la Corte di Appello ha indebitamente attribuito al L.F. anche il reato di disastro colposo di cui al capo 16.
Con il terzo motivo la parte si duole del giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche, in rapporto di mera equivalenza sulle aggravanti, osservando che la Corte di Appello ha ignorato il comportamento dell'imputato che si è adoperato perché tutte le parti civili ottenessero l'integrale risarcimento dei danni.
4. T.P. con il primo motivo contesta l'affermazione di responsabilità penale in riferimento al reato di disastro colposo. Osserva di essere stato imputato nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione di un solaio carrabile sopraelevato. La parte si sofferma sui termini di fatto della vicenda e sottolinea che la committenza non voleva interrompere l'attività della officina sottostante, se non per il tempo strettamente necessario; considera che al fine di soddisfare tale esigenze erano stati scelti specifici materiali ad alta presa.
Il ricorrente osserva che i nominati periti hanno chiarito che la struttura sarebbe crollata anche in caso di corretta esecuzione delle fasi relative al getto del calcestruzzo, da parte della ditta incaricata, tenuto conto della errata progettazione del nodo trave pilastro, cioè a dire del punto di congiunzione tra il pilastro (struttura verticale) e la trave (struttura orizzontale).
L'esponente osserva che, rispetto a tale ricostruzione tecnica, non risulta conferente il riferimento effettuato dai giudici di merito alla mancata predisposizione di opere provvisionali, da parte dell'architetto T.P..
A sostegno dell'assunto, il ricorrente richiama le valutazioni dei tecnici, che hanno escluso la necessità che il nuovo solaio dovesse essere puntellato dopo la fase di montaggio. La parte rileva, anzi, che l'installazione di opere provvisionali, su un solaio autoportante precompresso, avrebbe determinato un fenomeno iperstatico con rischio di deformazione della lastra stessa.
L'esponente rileva che la Corte di Appello erroneamente ha affermato che l'opera crollata avesse poche ore di maturazione, posto che le travi preassemblate erano in esercizio, in realtà, da 28 giorni, come confermato anche dal perito, nel corso dell'esame dibattimentale. Considera che nel progetto strutturale a firma dell'ing. LG.G. non è previsto né il numero né il punto ove dovevano essere installati i puntelli.
La parte rileva che la Corte di Appello ha ritenuto l'imputato responsabile di omicidio colposo per omessa vigilanza e, automaticamente, anche per disastro colposo.
Nel ricorso viene denunciata la violazione di legge in riferimento alle norme che delimitano i compiti e le responsabilità del coordinatore per la sicurezza. L'esponente assume che il rischio «crollo» sia eccentrico rispetto alle funzioni del coordinatore, posto che a fronte di un tale rischio è possibile solo fermare l'attività del cantiere. Osserva che la Corte di Appello ha indebitamente fatto riferimento alla non assidua presenza in cantiere del T.P. ed alla sua mancata informazione rispetto ad infiltrazioni di acqua. Il ricorrente rileva che il crollo è stato improvviso, senza alcun segno premonitore. E considera che ove il prevenuto avesse avuto contezza di problemi statici avrebbe immediatamente sospeso tutte le lavorazioni di cantiere.
Il ricorrente richiama il principio di affidamento applicabile nelle attività in equipe, osservando che il professionista può confidare nel fatto che anche gli altri operatori si uniformino ai rispettivi modelli di comportamento, con il limite della riconoscibilità in concreto dell'errore altrui. Ciò posto considera che T.P. non doveva e non poteva conoscere l'errore progettuale relativo alla soletta.
Con il secondo motivo viene dedotta violazione di legge e carenza motivazionale in riferimento all'art. 589 cod. pen.
A sostegno degli assunti la parte si sofferma sulle modalità della vigilanza operata in cantiere, con la nomina dei responsabili per la sicurezza da parte di Euroedilizia, P. e C.. Osserva che il PSC prevedeva lo sgombero dei locali sottostanti durante la fase di getto del solaio; e rileva che T.P. non venne notiziato del giorno di inizio della fase di getto del cemento; e che neppure venne avvisato della presenza di crepe in corrispondenza della parte apicale di una colonna.
Con il terzo motivo l'esponente contesta la valutazione espressa dalla Corte territoriale nel rigettare la richiesta di rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, pure a fronte delle carenze emerse nell'operato dei periti.
5. C.G., dopo aver richiamato le censure affidate al primo motivo di appello, osserva che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che il direttore dei lavori C.G. avrebbe dovuto verificare la bontà della progettazione delle opere effettuata da terzi. Al riguardo, la parte deduce l'intervenuta violazione dell'art. 40 cod. pen., per la mancata individuazione dell'obbligo giuridico di impedire l'evento. Rileva che C.G. non aveva il potere di intervenire sulle modalità esecutive del progetto redatto da LG.G.; e sottolinea che quest'ultimo si recò più volte in cantiere, risolvendo le incertezze che erano emerse nel corso dell'esecuzione.
L'esponente osserva che il crollo era inevitabile anche nel caso in cui fossero stati apposti dei puntelli.
Con il secondo motivo viene denunciato il vizio motivazionale.
L'esponente sottolinea che la Corte di Appello ha riconosciuto la responsabilità del progettista strutturale LG.G.; osserva che gli addebiti mossi al richiamato progettista, presente in cantiere sino a pochi giorni prima del crollo, rendono illogica la motivazione allorquando viene genericamente addebitata a C.G. la mancata adozione di contromisure. A margine di tali rilievi, l'esponente contesta il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 114 cod. pen.
Con il terzo motivo il ricorrente osserva che al caso in esame deve essere applicata la più favorevole normativa in tema di prescrizione circa il reato di omicidio colposo. Osserva che nel caso non è stata contestata la fattispecie di cui all'art. 589, ultimo comma, cod. pen. di talché la pena massima ratione temporis risulta pari ad anni cinque. Tanto chiarito, osserva che applicando la vigente disciplina in tema di prescrizione, il termine massimo pari ad anni sette e mesi sei risulta decorso. Medesime considerazioni vengono svolte laddove si applicasse la disciplina anteriore alla novella del 2005, in costanza di attenuanti generiche o dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen.
6. L.G.G. con il primo motivo contesta la valutazione relativa al nesso causale tra la condotta addebitata al predetto imputato e l'evento morte.
Osserva che i lavori di completamento del solaio eseguiti nei giorni 22 e 23 aprile del 2004 vennero effettuati in difformità da quanto previsto dal progetto dell'ing. LG.G., senza apprestare la puntellatura. Rileva che se i lavoratori fossero stati allontanati non si sarebbe verificato alcun evento lesivo della loro incolumità. Il ricorrente osserva che contraddittoriamente la Corte di Appello ha affermato la penale responsabilità di LG.G., per la mancata predisposizione delle opere provvisionali, pur avendo addebitato al V. l'omessa adozione delle misure preventive atte ad assicurare la solidità della struttura.
Con il secondo motivo viene dedotto il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta attendibilità della perizia.
La parte osserva che la Corte di Appello si è basta sugli esiti della perizia, senza soffermarsi sulle considerazioni critiche espresse dai consulenti di parte, contravvenendo ai criteri di apprezzamento della prova scientifica indicati dalla Suprema Corte.
Sottolinea che il primo giudice si era motivatamente discostato dalle valutazioni dei periti, aveva escluso l'errore progettuale dell'ing. LG.G. ed aveva osservato che la causa del crollo andava rinvenuta nella omessa predisposizione di opere provvisionali. Nel ricorso vengono quindi riportati stralci delle dichiarazioni rese dal consulente di parte prof. Merli.
Con il terzo motivo il ricorrente evidenzia la contraddittorietà della motivazione rispetto agli atti acquisiti. Osserva che la Corte di Appello ha affermato che la società committente aveva preferito il progetto dell'ing. LG.G., laddove non vi è prova di alcun incarico conferito dalla società Natili spa al predetto professionista. E sottolinea che nel piano di sicurezza operativo quale progettista viene indicato l'architetto C.G.. L'esponente riporta ulteriore documentazione, attestante i compensi percepiti dal C.G.. Ciò posto, sottolinea che il ruolo dell'ing. LG.G. è stato quello di consulente esterno del C.G., per la progettazione delle opere in cemento armato. Contesta l'affermazione contenuta in sentenza, laddove il Collegio rileva che LG.G. assunse, di fatto, l'incarico di progettista strutturale, tanto da essere gravato dall'obbligo di eseguire gli accertamenti preliminari necessari, quali i carotaggi. 
Sotto altro aspetto, l'esponente rileva che la Corte territoriale ha errato nella valutazione dei documenti acquisiti e nell'apprezzamento delle circostanze di fatto relative alla effettiva collaborazione prestata dall'ing. LG.G., come indicate dai dichiaranti esaminati in giudizio.

Diritto

1. I ricorsi in esame impongono le seguenti considerazioni.
2. Stante la comune natura delle dedotte censure, si procede congiuntamente all'esame del primo motivo del ricorso dell'imputato L.F., al primo e al secondo motivo del ricorso nell'interesse di T.P. e al primo e al secondo motivo del ricorso di C.G..
Tutte le richiamate doglianze si pongono ai limiti della inammissibilità.
2.1. Giova ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
Così delineato l'orizzonte dello scrutinio di legittimità, osserva in particolare il Collegio che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito. Come già sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa "lettura" dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all'ambito di cognizione della Corte di Cassazione. E bene, si deve in questa sede ribadire l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
2.2 Tanto chiarito deve rilevarsi che i ricorrenti omettono di confrontarsi con il ragionamento probatorio espresso in sede di merito e si limitano a prospettare una parziale, e per loro maggiormente vantaggiosa, ricostruzione del quadro fattuale.
Con particolare riguardo alle posizioni di L.F. e T.P., deve rilevarsi che la disposizione di cui all'art. 92, d.lgs. n. 81 del 2008, come interpretata dal diritto vivente, individua, in capo al coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori svolti in un cantiere edile, la titolarità di una posizione di garanzia - che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica - che comporta compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresi, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017 - dep. 05/10/2017, Prina, Rv. 27102601).
In tale ambito ricostruttivo, che il Collegio condivide e fa proprio, la valutazione sull'inidoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dall'impresa rientra tra gli specifici compiti che la disposizione di cui all'art. 92, d.lgs. n. 81 del 2008 assegna al coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
Preme pure evidenziare che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni (cfr. Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, Revello, Rv. 27099101); e che, del tutto legittimamente, la Corte territoriale ha rilevato che L.F., quale datore di lavoro e T.P., quale responsabile della sicurezza, avevano l'obbligo di prevedere l'apprestamento delle opere provvisionali ovvero di ordinare lo sgombero dei locali; e che T.P., in particolare, doveva esigere che gli venissero comunicati i tempi e i modi delle lavorazioni comportanti i maggiori rischi interferenziali, quale la gettata di calcestruzzo sul solaio sovrastante i locali che erano contemporaneamente occupati da altri operai addetti. Quanto poi al tema della utilità delle opere di puntellamento, la Corte di Appello, sviluppando un ragionamento immune da aporie di ordine logico, non sindacabile in questa sede di legittimità, ha chiarito che la previsione di tali opere avrebbe evitato il crollo del solaio nell'unità di tempo data, come chiarito dai periti.
A fronte di tali specifici obblighi impeditivi, che gravano sugli odierni imputati, risulta in termini privo di ogni conducenza il riferimento al generale principio di affidamento. Del resto, la Corte regolatrice ha chiarito che in tema di reato colposo, il responsabile legale di una struttura complessa che sia comunque venuto a conoscenza della situazione di pericolo e della sua continuità nel tempo non può invocare, ai fini di esenzione da responsabilità, l'affidamento nell'operato dei responsabili di settore (Sez. 3, n. 16422 del 11/01/2011, Busatto e altro, Rv. 24998301). Occorre poi considerare che il descritto ragionamento probatorio sviluppato dai giudici di secondo grado risulta logicamente coerente, anche nella prospettiva controfattuale: la Corte territoriale ha infatti insindacabilmente osservato che l'installazione di opere provvisionali avrebbe certamente evitato la verificazione del crollo del solaio, come in concreto verificatosi. Oltre a ciò, il Collegio ha correttamente evidenziato che il fatto che L.F., che rivestiva un ruolo di lata vigilanza, e T.P., coordinatore per la sicurezza, avessero consentito che gli operai occupassero i locali sottostanti, nel corso della lavorazione, contraddiceva frontalmente gli obblighi rispettivamente gravanti sui richiamati imputati, obblighi tanto più stringenti nei periodi di maggior rischio dovuto ad interferenze di lavoro tra le varie imprese operanti in cantiere.
2.3. Quanto poi al rigetto della richiesta di rinnovo della istruttoria dibattimentale, questione affidata al terzo motivo del ricorso T.P. - in disparte le considerazioni che si svolgeranno nel prosieguo analizzando la posizione del ricorrente LG.G. - deve rilevarsi che la Corte di merito ha offerto una giustificazione coerente con la situazione processuale specifica, qualificata dalla richiesta di riassunzione di prove già acquisite. La Corte di Appello ha infatti osservato di essere in grado di decidere allo stato degli atti, vista l'elaborata perizia espletata in sede di incidente probatorio.
3. Con specifico riguardo alla posizione dell'imputato C.G., oltre a richiamare le considerazioni sin qui svolte, deve in particolare rilevarsi che del tutto legittimamente la Corte di Appello ha considerato che il predetto, nella sua qualità di direttore dei lavori, a fronte delle perplessità che erano state segnalate sulla situazione statica dell'edificio, non aveva colposamente vigilato sulla regolare esecuzione delle opere e, anzi, aveva intrapreso la direzione dei lavori benché il progetto non fosse corredato dalle modalità esecutive di dettaglio. La Suprema Corte ha invero chiarito che, in tema di prevenzione degli infortuni, le omissioni o le carenze del documento di valutazione dei rischi adottato dal datore di lavoro non esonerano da responsabilità per le lesioni occorse ai lavoratori, gli ulteriori garanti della sicurezza sul lavoro, atteso che la constatazione dell'esistenza di un rischio impone loro, nell'ambito delle rispettive competenze, di adottare le misure appropriate per rimuoverlo (Sez. 4, n. 24452 del 19/03/2015, Fontanin, Rv. 26372601).
3.1 Osserva poi il Collegio che il nuovo motivo afferente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. risulta inammissibile in questa sede, non essendo stato dedotto dal C.G. avanti alla Corte territoriale, con l'atto di appello. Invero, nel gravame di merito, il tema del mancato riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 114 cod. pen. non venne altrimenti devoluto; la predetta circostanza attenuante, infatti, risulta richiamata in termini meramente assertivi solo in riferimento al calcolo del termine prescrizionale, in assenza di alcuna argomentata censura rispetto al mancato riconoscimento da parte del primo giudice.
3.2. A questo punto della trattazione deve osservarsi l'infondatezza delle argomentazioni affidate al terzo motivo del ricorso dell'imputato C.G., in tema di prescrizione del reato di omicidio colposo. Ed invero, il termine prescrizionale massimo, applicabile al caso di specie in forza delle disposizioni previste dall'art. 157 cod. pen., come modificato dalla legge 5.12.2005, n. 251, risulta pari ad anni quindici.
Si tratta, infatti, del reato di omicidio colposo di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., punito sino a cinque anni, in riferimento ai più favorevoli limiti edittali di pena applicabili in considerazione della data di commissione del fatto (23.04.2004). Conseguentemente, il termine ordinario di prescrizione, secondo la vigente disciplina, è pari ad anni sei; per effetto del disposto di cui all'art. 157, comma 6, cod. pen., che viene in rilievo rispetto al reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il termine di prescrizione deve poi essere raddoppiato, di talché lo stesso risulta pari ad anni dodici. Detto termine è infine aumentabile di un quarto per gli intervenuti atti interruttivi, ai sensi dell'art. 161, comma 2, cod. pen., sino ad anni quindici. Il termine prescrizionale massimo deve perciò essere fissato alla data del 23.10.2019.
Medesimo ordine di considerazioni si impone con riguardo al reato ex artt. 449 e 434 cod. pen., di cui al capo 16, in ragione della richiamata previsione di cui all'art. 157, comma 6, cod. pen., che fa riferimento espressamente alla predetta fattispecie.
Per completezza argomentativa si osserva che, pure applicando la disciplina dettata dall'art. 157, cod. pen., nella formulazione antecedente alla novella del 2005, i termini di prescrizione, nel caso di specie, risultano parimenti fissati in anni quindici (secondo tale disciplina, infatti, il termine ordinario di prescrizione è pari ad anni dieci, da aumentarsi sino alla metà, per gli atti interruttivi).
Si osserva che detto termine solo per il caso di concessione all'imputato delle attenuanti generiche, in rapporto di prevalenza, potrebbe essere ridotto ad anni sette e mesi sei (dovendo in tal caso farsi riferimento al termine ordinario di anni cinque, da aumentarsi della metà). Secondo la normativa previgente, infatti, ai fini del computo della prescrizione, veniva in rilievo il riconoscimento delle circostanze attenuanti; ma si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie, posto che la Corte di Appello ha espressamente chiarito che le attenuanti generiche potevano essere riconosciute a T.P. e C.G. con giudizio di equivalenza, sulle contestate aggravanti. Rafforza il convincimento considerare che il Tribunale, pur avendo riconosciuto le attenuanti generiche senza esplicitare i termini del relativo giudizio di bilanciamento, aveva inflitto pene di entità tale da evidenziare che la concessione era avvenuta in termini di equivalenza rispetto alla contestata aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen.: erano, infatti, state irrogate pene addirittura superiori alla misura mediana della cornice edittale prevista per l'ipotesi non aggravata di omicidio colposo, di cui all'art. 589, comma 1, cod. pen., laddove la concessione delle attenuanti generiche in rapporto di prevalenza avrebbe consentito di scendere al di sotto del minimo edittale. 
4. Si vengono ora ad esaminare le questioni affidate al secondo ed al terzo motivo del ricorso nell'interesse di L.F..
Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003, n. 36382 Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua", vedi Cass. Sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'alt. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298).
Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie. La Corte di Appello, infatti, in riferimento alla posizione di L.F., ha indicato in un anno l'entità della pena rispetto al reato di omicidio colposo ascritto al predetto imputato, tenuto insindacabilmente conto del minor grado di colpa, riferibile al prevenuto.
Tanto rilevato, deve osservarsi che erroneamente la Corte di Appello ha poi operato, sulla pena di un anno di reclusione, l'aumento di mesi sei di reclusione per il «concorso formale». Si tratta di aumento non legittimo, atteso che il reato di lesioni colpose, originariamente ascritto pure al L.F., è stato dichiarato estinto per prescrizione dalla medesima Corte territoriale; e posto mente al fatto che al L.F. non risulta addebitato alcun altro reato.
A mente dell'art. 620, lett. i), cod. proc. pen., la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio inflitto a L.F., deve essere annullata senza rinvio; ed il Collegio procede a rideterminare la pena, nei confronti di L.F., in un anno di reclusione. Con l'eliminazione dell'aumento di pena erroneamente operato per il concorso formale dei reati, viene emendata la statuizione del giudice di appello, sul punto, senza alcuna necessità della riedizione dei poteri discrezionali da parte del giudice di merito.
5. Procedendo all'esame dei motivi di doglianza affidati al ricorso nell'interesse di LG.G., il Collegio rileva la sussistenza della seguente causa di nullità della sentenza.
Le Sezioni Unite della Corte regolatrice hanno chiarito che il giudice di appello che riformi, anche ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio (Sez. U, Sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489). Segnatamente, le Sezioni Unite hanno chiarito che, ai fini della valutazione del giudice di appello investito di una impugnazione del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, devono ritenersi prove dichiarative decisive quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o contribuito a determinare un esito liberatorio e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, sono tali da rivelarsi potenzialmente idonee a incidere sull'esito del giudizio di appello. Parimenti, devono ritenersi decisive quelle prove dichiarative che, se pure ritenute di scarso valore dal primo giudice, sono risultate rilevanti nella prospettiva della parte appellante.
Le Sezioni Unite, nella sentenza ora richiamata, hanno precisato che il mancato rispetto, da parte del giudice di secondo grado, del dovere di procedere alla rinnovazione delle prove dichiarative, in vista di una reformatio in pejus, rinviene quale vizio di motivazione della sentenza di condanna resa all'esito del giudizio di appello. In tale ambito ricostruttivo, la sentenza di appello risulta viziata: qualora contenga una valutazione contra reum delle fonti dichiarative; se tale diversa valutazione sia in contrasto con quella resa dal giudice di primo grado; e se tale valutazione risulti decisiva, nei sensi sopra chiariti.
Si osserva, inoltre, che le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, hanno considerato che qualora il ricorso per cassazione censuri l'affermazione di responsabilità penale, per l'errata valutazione delle risultanze probatorie - come nel caso di specie - il giudice di legittimità ben può rilevare l'inosservanza del dovere da parte del giudice di appello di procedere al rinnovo delle fonti dichiarative, anche nel caso in cui il ricorrente non abbia dedotto specificamente la violazione dell'art. 603, cod. proc. pen., alla luce della richiamata giurisprudenza della Corte EDU. Preme pure evidenziare che il richiamato insegnamento, espresso dal Supremo Consesso, conforta, alle condizioni date, l'orientamento espresso dalle Sezioni semplici della Corte regolatrice, in base al quale si era rilevato che il giudice di appello, per riformare in pejus una sentenza di assoluzione, non può basarsi neppure sulla mera rivalutazione delle perizie e delle consulenze, dovendo procedere al riascolto degli autori dei predetti elaborati (Sez. 2, n. 34843, 01.07.2015, Sagone, Rv. 264542; ed invero, si tratta di insegnamento anche recentemente ribadito da Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 14/03/2017, P.C. in proc. Bordogna e altri, Rv. 27038501, in motivazione).
5.1 Applicando i richiamati principi al caso di specie, osserva conclusivamente il Collegio: che il ricorso di LG.G., mediante le censure motivazionali affidate in particolare al secondo ed al terzo motivo, ha determinato l'instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione; e che sussistono, di riflesso, i presupposti per rilevare, ad opera del giudice di legittimità, l'intervenuta violazione della citata regola processuale da parte della Corte di Appello di Roma. Ciò in quanto, il giudice di secondo grado ha rivalutato in malam partem sia gli apporti tecnici forniti dagli esperti, sia le prove dichiarative relative alla presenza in cantiere del predetto ingegnere ed al ruolo di fatto svolto dal medesimo nell'evoluzione dei lavori, senza disporre il rinnovo della istruttoria dibattimentale, al fine di procedere alla nuova assunzione dei diversi dichiaranti; ed ha quindi riformato, in accoglimento della impugnazione del pubblico ministero, la pronuncia assolutoria che era stata resa dal Tribunale di Viterbo nei confronti di LG.G., anche sulla base delle indicazioni offerte dai predetti testimoni.
Si impone, per quanto detto, l'annullamento della sentenza impugnata, vulnerata dall'evidenziato vizio motivazionale, limitatamente alla posizione di LG.G., con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo giudizio. Resta assorbito ogni diverso motivo di censura.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di L.F. limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in un anno di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di L.F..
Annulla la medesima sentenza in riferimento alla posizione di LG.G., con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma per nuovo giudizio.
Rigetta i ricorsi di T.P. e C.G., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso il 23 marzo 2018.

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Nota INL prot. n. 881 del 22 aprile 2022

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Nota prot  n  881 del 22 aprile 2022

Nota prot. n. 881 del 22 aprile 2022

Comunicazione lavoratori autonomi occasionali - termine periodo transitorio

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Si fa seguito alla nota prot. 573 del 28 marzo 2022 con la quale, nell’informare codesti Uffici circa l’attivazione, sul portale Servizi Lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, della nuova applicazione da utilizzare per la comunicazione dei rapporti di lavoro autonomo occasionale di cui all’art. 14 D.Lgs. n. 81/2008, è stata comunicata la data del 30 aprile p.v. quale termine ultimo per adempiere all’obbligo in questione a mezzo e-mail, utilizzando gli indirizzi di posta elettronica indicati nella nota prot. n. 29 dell’11 gennaio 2022.

Nel corso delle ultime settimane le comunicazioni in questione sono state effettuate, in buona parte, attraverso la citata applicazione che, evidentemente, rappresenterà un efficace strumento per gli Uffici per svolgere l’attività di monitoraggio richiesta dallo stesso dettato normativo.

Ciononostante, al fine di salvaguardare la possibilità di adempiere all’obbligo di legge anche in caso di malfunzionamento del sistema o in altre ipotesi connesse ad oggettive difficoltà del committente (ad es. quando il committente che abitualmente si rivolge al professionista per l’adempimento è invece costretto ad operare in proprio), si ritiene opportuno mantenere attive le caselle di posta elettronica già indicate con la citata nota dell’11 gennaio u.s..

Va tuttavia evidenziato che la trasmissione della comunicazione a mezzo e-mail non consente, contrariamente a quanto potrà avvenire attraverso il servizio predisposto dal Ministero del lavoro, un efficace monitoraggio degli adempimenti, proprio in ragione delle difficoltà di disporre di un “quadro complessivo” delle trasmissioni effettuate dal medesimo committente e dei relativi contenuti.

Per tali ragioni, d’intesa con la Direzione centrale tutela, vigilanza e sicurezza del lavoro, si ritiene opportuno che eventuali verifiche, anche a campione, che codesti Uffici vorranno attivare siano prioritariamente effettuate nei confronti di committenti che facciano uso della posta elettronica anziché della citata applicazione.

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Fonte: INL

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Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Marzo 2022

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Covid 19 Contagi sul lavoro denunciati all INAIL Schede regionali 31 Marzo 2022

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Marzo 2022

ID 16464 | 22.04.2022

Tra gennaio e marzo denunciati all’Inail quasi 49mila contagi sul lavoro da Covid-19

Le infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto nel primo trimestre di quest’anno hanno già superato il dato complessivo del 2021. Lo rileva il 26esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, che conferma anche l’andamento in forte calo dei casi mortali

ROMA - Il primo trimestre 2022, con 48.790 contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail, ha già superato i 47.858 casi registrati in tutto il 2021. Il mese di gennaio, in particolare, con 27.682 infezioni di origine professionale denunciate si colloca dopo novembre e marzo del 2020 e prima di tutti i mesi del 2021. Anche febbraio e marzo 2022, con 11.167 e 9.941 casi rispettivamente, precedono tutti i mesi del 2021, con la sola eccezione di gennaio. A rilevarlo è il 26esimo report nazionale sulle infezioni di origine professionale da nuovo Coronavirus elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, che conferma anche il trend in forte diminuzione dei casi mortali.

I decessi sono 853 ma solo cinque sono avvenuti nel 2022. Tra gennaio e marzo di quest’anno, infatti, sono stati denunciati solo cinque decessi, pari allo 0,6% degli 853 casi mortali registrati dall’inizio della pandemia. Rispetto agli 835 rilevati alla data dello scorso 28 febbraio, i casi mortali sono 18 in più, di cui solo due, però, sono avvenuti a febbraio e uno a gennaio 2022, mentre 13 sono riferiti al 2021 e due al 2020. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nei monitoraggi e nei mesi precedenti. Il 2020, in particolare, con 575 decessi da Covid-19 raccoglie il 67,4% di tutti i casi mortali segnalati all’Inail, mentre il 2021, con 273 decessi, pesa per il 32,0% sul totale.

I casi registrati da inizio pandemia sono circa 245mila. Dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 31 marzo i contagi sul lavoro da Covid-19 segnalati all’Inail sono 245.392, pari a circa un quinto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020 e all’1,7% del complesso dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità alla stessa data. Rispetto alle 229.037 denunce rilevate dal monitoraggio mensile precedente, i casi in più sono 16.355 (+7,1%), di cui 9.941 riferiti a marzo, 3.056 a febbraio e 2.482 a gennaio 2022, mentre gli altri 876 casi sono per l’89,5% riferiti al 2021 e il restante 10,5% al 2020.

Milano, Torino e Roma le tre province più colpite. Dall’analisi territoriale, che è possibile approfondire anche attraverso le schede regionali aggiornate, emerge una distribuzione delle denunce del 41,6% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 24,5%), del 22,9% nel Nord-Est (Veneto 10,5%), del 16,4% al Centro (Lazio 7,5%), del 13,5% al Sud (Campania 6,3%) e del 5,6% nelle Isole (Sicilia 4,0%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono quelle di Milano (9,9%), Torino (6,7%), Roma (6,0%), Napoli (4,1%), Genova (2,9%), Brescia (2,8%), Verona (2,4%), Varese (2,2%), Bologna e Firenze (entrambe con il 2,1%) e Treviso e Venezia (2,0% ciascuna). La provincia di Milano è anche quella che registra il maggior numero di contagi professionali nell’ultimo mese di rilevazione, seguita da Roma, Genova, Torino, Brescia, Reggio Calabria, Napoli, Venezia, Messina, Lucca e Treviso. Le province che hanno registrato gli incrementi percentuali maggiori rispetto al monitoraggio di fine febbraio, non per contagi avvenuti solo nel mese di marzo ma per il consolidamento dei dati in mesi precedenti, sono invece quelle di Reggio Calabria (+34,9%), Vibo Valentia (+34,4%), Latina (+32,4%), Agrigento (+30,5%), Fermo (+28,3%), Messina (+25,8%), Teramo (+21,3%), Cagliari (+17,6%) e Macerata (+16,7%).

Più di quattro denunce su 10 nella fascia 50-64 anni. La maggioranza delle infezioni di origine professionale riguarda le donne. La quota delle lavoratrici contagiate sul totale dei casi denunciati, infatti, è pari al 68,3%. La componente femminile supera quella maschile in tutte le regioni, con le sole eccezioni della Sicilia e della Campania, dove l’incidenza delle donne sul totale dei contagi segnalati all’Inail è, rispettivamente, del 47,7% e del 46,8%. L’età media dei contagiati dall’inizio della pandemia è di 46 anni per entrambi i sessi, ma nell’ultimo mese di rilevazione è scesa a 45 anni. Il 41,1% del totale delle denunce riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce di età 35-49 anni (36,8%), under 35 anni (20,2%) e over 64 anni (1,9%). Gli italiani sono l’87,6%, mentre il restante 12,4% delle denunce riguarda lavoratori stranieri. Le nazionalità più colpite sono quelle rumena (20,9% dei contagiati stranieri), peruviana (12,5%), albanese (8,1%), moldava (4,5%), svizzera (4,2%) ed ecuadoriana (4,1%).

Il 63,5% riguarda la sanità e assistenza sociale. Nell’evoluzione dei contagi, si riscontrano alcune differenze in diversi settori produttivi. La sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…), in cui ricade il 63,5% delle denunce da Covid-19 codificate, rispetto al 2020 e in termini assoluti ha mostrato un numero di contagi in costante discesa nel primo semestre del 2021, registrando nel mese di giugno il suo livello minimo con 61 infortuni (erano più di 400 a giugno 2020), tornando poi a crescere nella seconda parte dell’anno fino a sfiorare i tremila casi a dicembre, per poi avere un nuovo picco di oltre 11mila casi a gennaio 2022 e ridiscendere a febbraio (cinquemila denunce) e a marzo (circa quattromila).

L’incidenza del fenomeno per settore produttivo. In termini di incidenza, la sanità e assistenza sociale tra febbraio e giugno 2021 ha avuto riduzioni, per poi mostrare segnali di ripresa nel secondo semestre dell’anno, proseguiti e addirittura amplificati nel primo trimestre 2022, in particolare tra febbraio e marzo, in cui si sono registrati livelli di incidenza simili a quelli osservati nei periodi più acuti della pandemia. Altri comparti produttivi, come il trasporto e magazzinaggio, hanno registrato nel corso del 2021, ma anche tra gennaio e marzo di quest’anno, incidenze di contagi professionali maggiori rispetto al 2020. Nel caso del trasporto e magazzinaggio, inoltre, a gennaio 2022 si conta anche il numero più elevato di denunce da inizio pandemia (oltre 3.300 casi), con una flessione a febbraio (oltre 900) e a marzo (660 circa).

L’analisi per professione dell’infortunato. La categoria dei tecnici della salute si conferma quella più coinvolta dai contagi con il 37,5% delle denunce (in tre casi su quattro donne), l’82,5% delle quali relative a infermieri. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 16,9% (l’80,9% sono donne), i medici con il 9,0% (la metà sono donne, oltre un terzo medici internisti e generici), gli operatori socio-assistenziali con il 6,0% (l’85,2% donne), gli impiegati amministrativi con il 5,3% (i due terzi sono donne) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (l’80% ausiliari, ma anche portantini, barellieri) con il 4,5% (72,9% donne). I contagi professionali di insegnanti/professori e ricercatori di scuole di ogni ordine e grado e di università statali e private, riconducibili sia alla gestione dei dipendenti del Conto dello Stato sia al settore Istruzione della gestione Industria e servizi, sono poco più di cinquemila.

Dopo la flessione di un anno fa trend in aumento per alcune categorie. Anche rispetto alla professione dell’infortunato si osserva in generale un calo significativo delle denunce a partire da febbraio-marzo 2021, con incidenze in riduzione per alcune categorie, tra le quali le professioni sanitarie, che tuttavia nel secondo semestre dell’anno, e ancor di più nel primo trimestre del 2022, mostrano segnali di ripresa. Altre professioni, con la ripresa delle attività, hanno visto aumentare l’incidenza dei casi di contagio rispetto al 2020. È il caso degli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali o degli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, degli insegnanti di scuola primaria o degli impiegati addetti agli sportelli e ai movimenti di denaro.

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Fonte: INAIL

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Rischio biologico nelle attivit  Agro Zootecniche

Rischio biologico nelle attività Agro-Zootecniche

ID 16427 | 19.04.2022 / Pubblicazione in allegato

La pubblicazione ha l’obiettivo di fornire informazioni sulle misure di prevenzione e protezione correlate al rischio biologico per la tutela della salute degli operatori del settore agro-zootecnico.

Il testo presenta una sezione generale riguardante la normativa vigente in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, le sue applicazioni e i soggetti coinvolti, i concetti di rischio, pericolo e danno, la valutazione del rischio. Segue una sezione tecnica con schede monotematiche in cui sono descritte le caratteristiche degli agenti biologici più frequentemente riscontrabili ed emergenti in tale settore e dei loro effetti sulla salute.
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INDICE

SALUTE E SICUREZZA IN AGRICOLTURA

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

DEFINIZIONE DI AGENTE BIOLOGICO

VALUTAZIONE DEL RISCHIO
- VALUTAZIONE
- GESTIONE
- INFORMAZIONE E FORMAZIONE

SALUTE E SICUREZZA SONO UN LAVORO DI SQUADRA

RISCHIO BIOLOGICO IN AGRICOLTURA

RISCHIO OCCUPAZIONALE DA MALATTIE EMERGENTI

MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

PREVENZIONE DELLE ZOONOSI “VETTORE TRASMESSE”

DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI
- MANI
- VIE RESPIRATORIE
- VOLTO E OCCHI
- CORPO

SORVEGLIANZA SANITARIA

ATTIVITÀ AGRICOLE E POTENZIALI RISCHI BIOLOGICI
- PIENO CAMPO
- SERRICOLTURA
- FUNGHICOLTURA
- SELVICOLTURA
- ALLEVAMENTI
- ACQUACOLTURA
- APICOLTURA
- ELICICOLTURA E LOMBRICOLTURA

SCHEDE INFORMATIVE SULLE MALATTIE DA AGENTI BIOLOGICI
- MALATTIE DA BATTERI
- MALATTIE DA FUNGHI
- MALATTIE DA VIRUS
- MALATTIE DA PARASSITI

SCHEDE INFORMATIVE SU INSETTI E RETTILI

SCHEDE INFORMATIVE SULLE MALATTIE DA AGENTI BIOLOGICI EMERGENTI
- MALATTIE DA BATTERI
- MALATTIE DA VIRUS

ALLEGATI

Allegato 1 PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI SULLE ZOONOSI
Allegato 2 RIMOZIONE IN SICUREZZA DEI GUANTI
Allegato 3 REQUISITI DEI LUOGHI DI LAVORO (ALLEGATO IV DEL d.lgs. 81/2008 e s.m.i)
Allegato 4 RIMOZIONE DELLA ZECCA
Allegato 5 INSETTI RESPONSABILI DI PUNTURE VELENOSE

BIBLIOGRAFIA
RIFERIMENTI ALLE IMMAGINI

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Fonte: INAIL 2022

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INAIL 2022
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Attuazione PNRR: nuove norme sulla sicurezza sul lavoro

ID 16405 | | Visite: 3079 | News Sicurezza

Attuazione PNRR   Nuove norme sulla sicurezza sul lavoro

Attuazione PNRR: Nuove norme la prevenzione infortuni e maggiore sicurezza sui luoghi lavoro

ID 16405 | 15.04.2022 / MLPS

Nel Decreto con misure urgenti di attuazione del PNRR approvato dal Consiglio dei Ministri del 13 Aprile 2022 arriva la norma proposta dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando, per assicurare un’efficace azione di contrasto al fenomeno infortunistico e di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro nella fase di realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Si prevede che l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) promuova appositi protocolli di intesa con aziende e grandi gruppi industriali impegnati nella esecuzione dei singoli interventi previsti dal PNRR per l’attivazione, tra gli altri:

- di programmi straordinari di formazione in materia di salute e sicurezza che, fermi restando gli obblighi formativi spettanti al datore di lavoro, mirano a qualificare ulteriormente le competenze dei lavoratori nei settori caratterizzati da maggiore crescita occupazionale in ragione degli investimenti programmati;

- di progetti di ricerca e sperimentazione di soluzioni tecnologiche in materia, tra l’altro, di robotica, esoscheletri, sensoristica per il monitoraggio degli ambienti di lavoro, materiali innovativi per l’abbigliamento lavorativo, dispositivi di visione immersiva e realtà aumentata, per il miglioramento degli standard di salute e sicurezza sul lavoro;
- di sviluppo di strumenti e modelli organizzativi avanzati di analisi e gestione dei rischi per la salute e sicurezza negli ambienti di lavoro inclusi quelli da interferenze generate dalla compresenza di lavorazioni multiple;

- di iniziative congiunte di comunicazione e promozione della cultura della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Con la sottoscrizione di protocolli d’intesa da realizzare con aziende o grandi gruppi industriali pubblici o privati, l’Inail supporta ulteriormente la diffusione della cultura  della salute e della sicurezza  nei luoghi  di lavoro, anche  in logica di coerenza  con quanto  espresso  nella  Strategia  europea  in salute e sicurezza sul lavoro 2021-2027

Fonte MLPS

CdM 13.04.2022 / Comunicato stampa
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Attuazione  PNRR: Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (decreto-legge) 

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Mario Draghi, del Ministro dell’economia e delle finanze Daniele Franco, del Ministro per la pubblica amministrazione Renato Brunetta, del Ministro per l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale Vittorio Colao, del Ministro per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna, del Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, del Ministro della giustizia Marta Cartabia, del Ministro dell’università e della ricerca Maria Cristina Messa e del Ministro del turismo Massimo Garavaglia, ha approvato un decreto legge che introduce ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 

Il testo mira all’accelerazione del raggiungimento di specifici obiettivi del PNRR.

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Nuovi modelli scelta DPI lavoro

ID 14832 | | Visite: 6748 | Documenti Riservati Sicurezza

Nuovi modelli scelta DPI lavoro Rev  1 0 2022

Nuovi modelli scelta DPI lavoro / In accordo Decreto 20 Dicembre 2021 (modifica Allegato VIII D.Lgs. 81/2008)

ID 14832 | Rev. 1.0 del 23.02.2022 / In allegato modelli .doc/pdf

Rev. 1.0 del 23.02.2022

In allegato nuovi modelli di scelta dei DPI lavoro, contenuti nel Decreto del 20 dicembre 2021 che prevede la sostituzione dell’Allegato VIII al Decreto legislativo n. 81 del 2008.

Adottato, con pubblicazione sul sito del MLPS il 14 Febbraio 2022 - (Avviso in GU n.43 del 21.02.2022), il Decreto del 20 dicembre 2021 del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, che recepisce la Direttiva n. 2019/1832/UE della Commissione del 24 ottobre 2019, recante modifica degli allegati I, II e III della direttiva 89/656/CEE del Consiglio per quanto riguarda adeguamenti di carattere strettamente tecnico.

Il provvedimento prevede la sostituzione dell’Allegato VIII al Decreto legislativo n. 81 del 2008, aggiornandone il contenuto in conformità con le disposizioni introdotte dalla predetta direttiva n. 2019/1832/UE.
 
Allegati nuovi modelli di scelta dei DPI lavoro:
D.Lgs. ALLEGATO VIII - Parte I [.doc/pdf]
D.Lgs. ALLEGATO VIII - Parte II [.doc/pdf]
- D.Lgs. ALLEGATO VIII - Parte III [.doc/pdf]
- D.Lgs. ALLEGATO VIII - Parte IV [.doc/pdf]
 
Rev. 00 del 26.10.2021

In allegato nuovi modelli di scelta dei DPI lavoro, contenuti nella Direttiva (UE) 2019/1832 (modifica degli Allegati I, II e III direttiva 89/656/CEE) che doveva essere recepita entro il 20 Novembre 2021.

La Direttiva (UE) 2019/1832 della Commissione del 24 ottobre 2019 (in GU L279 del 31.10.2021) modifica gli allegati I, II e III della direttiva 89/656/CEE del Consiglio per quanto riguarda adeguamenti di carattere strettamente tecnico. La direttiva doveva essere recepita entro il 20 novembre 2021.

Allegati nuovi modelli di scelta dei DPI lavoro:
- Allegato I direttiva 89/656/CEE (DPI) modificato dalla Direttiva (UE) 2019/1832 [.doc/pdf]
- Allegato II direttiva 89/656/CEE (DPI) modificato dalla Direttiva (UE) 2019/1832 [.doc/pdf]
- Allegato III direttiva 89/656/CEE (DPI) modificato dalla Direttiva (UE) 2019/1832 [.doc/pdf]

La direttiva 89/656/CEE stabilisce le prescrizioni minime per l’uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro, che devono essere impiegate quando i rischi associati non possono essere evitati o sufficientemente limitati con mezzi tecnici di protezione collettiva o con misure, metodi o procedimenti di organizzazione del lavoro. Per facilitare l’elaborazione delle norme generali di cui all’articolo 6 della direttiva 89/656/CEE, gli allegati I, II e III della direttiva 89/656/CEE forniscono orientamenti non vincolanti intesi ad agevolare la scelta di attrezzature di protezione individuale adeguate ai rischi, alle attività e ai settori interessati.

Il regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio stabilisce le disposizioni relative alla progettazione, alla fabbricazione e alla commercializzazione dei dispositivi di protezione individuale. Con tale regolamento è stata modificata la classificazione dei prodotti in base ai rischi da cui proteggono, per consentire ai datori di lavoro di comprendere e di rendere effettivo l’uso dei dispositivi di protezione individuale, come ulteriormente illustrato negli orientamenti sui dispositivi di protezione individuale (Personal Protective Equipment Guidelines), in cui vengono precisate procedure e questioni di cui al regolamento (UE) 2016/425.

Gli allegati I, II e III della direttiva 89/656/CEE sono stati aggiornati per fare in modo che risultino coerenti con la classificazione dei rischi di cui al regolamento (UE) 2016/425, con la terminologia ivi utilizzata e con le tipologie di dispositivi di protezione individuale di cui al regolamento (UE) 2016/425.

L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 89/656/CEE stabilisce che il datore di lavoro deve fornire attrezzature di protezione individuale conformi alle pertinenti disposizioni dell’Unione riguardanti la progettazione e costruzione in materia di sicurezza e sanità. A norma di tale articolo, i datori di lavoro che forniscono tali attrezzature ai loro dipendenti devono assicurarsi che queste posseggano i requisiti di cui al regolamento (UE) 2016/425.

Nell’allegato I della direttiva 89/656/CEE è riportato uno schema indicativo e non esauriente per l’inventario dei rischi ai fini dell’impiego di attrezzature di protezione individuale e sono definite le tipologie dei rischi che possono manifestarsi nei luoghi di lavoro in relazione alle varie parti del corpo che si intende proteggere con tali attrezzature. L’allegato I pertanto è stato modificato al fine di tenere conto di alcune nuove tipologie di rischio nei luoghi di lavoro e per garantire la coerenza con la classificazione dei rischi e con la terminologia utilizzata, in particolare nel regolamento (UE) 2016/425.

L’allegato II della direttiva 89/656/CEE contiene un elenco indicativo e non esauriente delle tipologie delle attrezzature di protezione individuale, per tenere conto delle nuove tipologie di rischio riportate nell’allegato I di detta direttiva. L’allegato II è stato modificato per includere esempi di attrezzature di protezione individuale attualmente disponibili sul mercato in conformità al regolamento (UE) 2016/425 e alla terminologia in esso utilizzata.

L’allegato III della direttiva 89/656/CEE contiene un elenco indicativo e non esauriente delle attività e dei settori di attività per i quali può rendersi necessario mettere a disposizione attrezzature di protezione individuale, nel quale sono riunite le classificazioni dei rischi di cui all’allegato I della direttiva e le tipologie di attrezzature di protezione individuale di cui all’allegato II della medesima direttiva. Per garantire la coerenza tra la terminologia e le classificazioni utilizzate nei tre allegati e il regolamento (UE) 2016/425, è stato riorganizzato l’allegato III della direttiva 89/656/CEE. Ciò consentirà ai datori di lavoro di vari settori e rami industriali di individuare con maggiore esattezza le attrezzature di protezione individuale che corrispondono alle attività specifiche e alle concrete tipologie dei rischi ai quali sono esposti i lavoratori, e di fornirle a questi ultimi, conformemente alle indicazioni della valutazione dei rischi.
...
Allegato I - Rischi in relazione alle parti del corpo da proteggere con attrezzature di protezione individuale
Nuovi modelli scelta DPI lavoro Rev  0 0 2021   All  I Preview

...
segue in allegato

Certfico Srl - IT - Rev. 1.0 2022
@Copia autorizzata Abbonati

Matrice Revisioni

Rev. Data Oggetto Autore
1.0 23.02.2022 D.Lgs. Allegato VIII / Decreto del 20 dicembre 2021 Certifico Srl
0.0 26.10.2021 --- Certifico Srl

 

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Rischio biologico Coronavirus | Titolo X D.Lgs. 81/08

ID 10243 | | Visite: 294199 | Documenti Riservati Sicurezza

Rischio biologico Coronavirus Titolo X D Lgs  81 2008 Rev  34

Rischio biologico Coronavirus | Titolo X D.Lgs. 81/08 | Rev. 34.0 del 07 Aprile 2022

ID 10243 | Rev. 34.0 del 07.04.2022 (Rev. 39a Revisione tutte / 34a Revisione maggiore) | Documento completo allegato - ©PDF / DOC Abbonati

Il Modello DVR Rischio biologico Coronavirus Rev. 34.0 del 07 Aprile 2022 è stato completamente aggiornato alla cessazione dello stato di emergenza al 31.03.2022 (Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24), che modifica sostanzialmente le misure di contenimento.

Preview Rischio biologico Coronavirus Titolo X D.Lgs. 81.2008 Rev. 34.0 2022

Update 07.04.2022
Aggiornamenti a:
Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24
Linee guida riapertura attività economiche e produttive CSR Rev. 31 marzo 2022
- Aggiornato intero documento a seguito della cessazione Stato di emergenza

Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24 / Cessazione stato di emergenza
Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza. (GU n.70 del 24.03.2022).

In sintesi:

- Il 31 Marzo 2022 cessa lo stato emergenza Covid-19;
- Dal 1° Aprile 2022 cessano gli effetti del DPCM 02 marzo 2021 (DPCM protocolli);
- Dal 1° Aprile 2022 è necessario solo il green pass base per accedere ai luoghi di lavoro;
- Dal 1° aprile 2022 è abolito il sistema della classificazione regionale a colori;
- Dal 1° Maggio 2022 non sarà più necessario il green pass per accedere ai luoghi di lavoro.

Accesso al luogo di lavoro (vedi Fig. 1)

Dal 1° aprile 2022 sarà possibile per tutti, compresi gli over 50, accedere ai luoghi di lavoro con il Green Pass Base per il quale dal 1° maggio verrà eliminato l’obbligo. Fino al 31 dicembre 2022 resta l’obbligo vaccinale con la sospensione dal lavoro per gli esercenti le professioni sanitarie e i lavoratori negli ospedali e nelle RSA; fino alla stessa data rimane il green pass per visitatori in RSA, hospice e reparti di degenza degli ospedali.

Fig. 1 Accesso al luogo di lavoro - timeline (escluso RSA / Ospedali)

Vedi Documento sintesi Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24

Dal 1° Aprile 2022 restano comunque in vigore (in particolare):

- l’Art. 29 bis Obblighi DL tutela contro il rischio di contagio da COVID-19 del DL 8 marzo 2020 n. 23 / Convertito Legge 5 giugno 2020 n. 40.
- l’Art. 1 Misure di contenimento della diffusione del COVID-19 del Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 / Convertito Legge 14 luglio 2020 n. 74.

Documento in calce all'articolo e revisioni precedenti scaricabili Abbonati Sicurezza. Dopo il Login quale Abbonato, scorri tutta la pagina e scarica tutte le Revisioni rilasciate.

Aggiornamenti:

Il Prodotto "fotografa" la normativa e i documenti alla data del 07 Aprile 2022 e sarà aggiornato in relazione ad evoluzioni normative o altro (download gratuito nuove revisioni).

Nel Modello è analizzato il Rischio coronavirus nel luogo di lavoro ed integra il Documento di Valutazione del Rischio (Art. 17 e 28 del D.Lgs. 81/2008) a seguito della diffusione del coronavirus (COVID-19) nel territorio nazionale, per la parte luogo di lavoro secondo il Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14 Marzo 2020, integrato dal Protocollo del 24.04.2020 così come modificato dal Protocollo del 06.04.2021 e specifici. Documento aggiornato al Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24 che detta misure post cessazione dello stato di emergenza dal 1° Aprile 2022.

Il datore di lavoro ai sensi dell’Art. 17 e 28 del D.Lgs 81/08 è tenuto alla valutazione di "tutti i rischi durante l'attività lavorativa".

D.Lgs 81/08

Art. 28 Oggetto della valutazione dei rischi
...
c1. lett a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa.

La specifica valutazione per il rischio da agenti biologici (COVID-19) è prevista dal titolo X. Una valutazione del rischio specifico per COVID-19 è obbligatoria per tutte le fattispecie in cui il rischio legato all’attività sia diverso da quello della popolazione generale (vedi anche Direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020). 

Nell’ambiente di lavoro, il lavoratore è tenuto ad esempio a contatto con fornitori/clienti, a viaggi di lavoro, a interazione con soggetti potenzialmente infetti ecc.

Tali interazioni nell’ambiente di lavoro modificano potenzialmente il livello di rischio COVID-19 nel luogo di lavoro.

Si applica quindi il titolo X sugli agenti biologici e i disposti generali del titolo I del D.Lgs. 81/08.

VR Rischio biologico Titolo X Rev  26 00

L'EU OSHA ha precisato nel Documento COVID-19 EU-OSHA guidance for the workplaceche Le misure contro il COVID-9 dovrebbero essere incluse nella valutazione del rischio sul luogo di lavoro che copre tutti i rischi, compresi quelli causati da agenti biologici, come stabilito dalla legislazione nazionale e dell'UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L'OSHA US nel Guidance on Preparing Workplaces for COVID-19, ha  strutturato una stima del rischio a livelli per diversi tipi di attività, come simile già inserita nel DOC dalla Rev. 5.0.

In allegato tutti i Modelli di Documento Valutazione dei Rischi biologico (Coronavirus), valido per tutte le Aziende non sospese (con esclusione di quelle sanitarie), in accordo con il:

Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 06.04.2021 che integra il Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14 marzo 2020, già modificato dal Protocollo del 24.04.2020.
Protocollo condiviso COVID-19 settore trasporto e logistica del 12 novembre 2021;
Protocollo condiviso di COVID-19 settore cantieri edili;
Protocollo per prevenzione e sicurezza dei lavoratori settore rifiuti;
Protocollo sicurezza Covid dipendenti PA;
- Linee guida/ Protocolli regionali di cui al Decreto-Legge 16 maggio 2020 n. 33

0. Attività / Protocolli

Adozione Protocolli

Protocollo sicurezza condiviso misure Covid-19 negli ambienti di lavoro 06 aprile 2021.
Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19 nel settore del trasporto e della logistica
Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri edili
Protocollo per prevenzione e sicurezza dei lavoratori settore rifiuti
Protocollo di accordo per la prevenzione e la sicurezza dei dipendenti pubblici “Covid-19”
.
..
Tutti i Protocolli

Protocolli sicurezza settoriali

Decreto-Legge 16 maggio 2020 n. 33 (GU n.125 del 16-05-2020), convertito in legge dalla Legge 14 luglio 2020 n. 74 (GU n.177 del 15-07-2020)

Articolo 1 (Misure di contenimento della diffusione del COVID-19)
...
L'adozione dei Protocolli come misure di contenimento (dal 1° Aprile 2022 cessano gli effetti del DPCM 02 marzo 2021) è comunque prevista da:

- l’Art. 29 bis Obblighi DL tutela contro il rischio di contagio da COVID-19 del DL 8 marzo 2020 n. 23 / Convertito Legge 5 giugno 2020 n. 40.
- l’Art. 1 Misure di contenimento della diffusione del COVID-19 del Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 / Convertito Legge 14 luglio 2020 n. 74.

In allegato anche tutta la normativa aggiornata alla data del 7 Aprile 2022

Vedi il Prodotto completo DVR rischio COVID-19 (in aggiornamento)

DVR rischio COVID 19

Download Demo e Acquisto DVR Rischio COVID-19

Rischio biologico Coronavirus | Titolo X D.Lgs. 81/08: aggiornamenti

Nella Rev. 34.0 il documento è stato completamente aggiornato per la cessazione dello stato di emergenza al 31.03.2022 (Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24), che modifica sostanzialmente le misure di contenimento dal 1° Aprile 2022.

Aggiornamenti a:
Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24
Linee guida riapertura attività economiche e produttive CSR Rev. 31 marzo 2022
Aggiornato intero documento a seguito della cessazione Stato di emergenza 
Altro

Nella Rev. 33.0 sono stati:

Aggiornati
Cap. 6
Cap. 7
Aggiornata Sezione Normativa:
Decreto-Legge 7 gennaio 2022 n. 1

Nella Rev. 32.0 sono stati:

Aggiunto Nuovo Cap. 7.1.1
Aggiornata Sezione Normativa:
Legge 19 novembre 2021 n. 165
Decreto-Legge 26 novembre 2021 n. 172
Aggiornato:
Protocollo condiviso COVID-19 settore trasporto e logistica del 12 novembre 2021

Nella Rev. 31.0 sono stati:

Aggiunti: Cap. 1.8, 1.9, 6, 7
Aggiornata Sezione Normativa
Decreto-Legge 21 Settembre 2021 n. 127
Decreto-Legge 23 luglio 2021 n. 105
Decreto-Legge 10 settembre 2021 n. 122

DPCM 02 Marzo 2021misure prorogate dal 1° Agosto 2021 al 31 Dicembre 2021 dal DL 23 luglio 2021 n. 105 (GU n.175 del 23.07.2021)

Nella Rev. 30.0 sono stati:

Aggiornati: Premessa, Cap. 00, 0, Cap. 3.1 (inserita Definizione di contatto stretto), Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8, Cap. 3.10, Cap. 4, Cap 5.2.
DPCM 02 Marzo 2021 misure prorogate dal 1° Maggio 2021 al 31 Luglio 2021 dal DL 22 Aprile 2021 n. 52 (GU n.96 del 22.04.2021)
Aggiornato Allegato II – Normativa:
Decreto-Legge 22 Aprile 2021 n. 52

Nella Rev. 29.0 sono stati:

Aggiornati i riferimenti al Protocollo condiviso del 06.04.2021 (Cap. 3): 
Protocollo condiviso misure Covid-19 negli ambienti di lavoro | 06.04.2021
Aggiornati i riferimenti al Documento INAIL (Cap. 7):
Protocolli sicurezza e vaccini nei luoghi di lavoro 06.04.2021
Indicazioni ad interim vaccinazione anti-SARS-CoV-2/Covid-19 luoghi lavoro [/box-note]

Nella Rev. 28.0 sono stati:

Aggiornati: Premessa, Cap. 00, 0, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8, Cap. 3.10, Cap. 4, Cap 5.2, Cap. 5.3.1.2.
Aggiunto Cap. 7
DPCM 02 Marzo 2021 misure prorogate dal 7 al 30 Aprile 2021 dal DL 1 Aprile 2021 n. 44 (GU n.79 del 01.04.2021)
- Aggiornato Allegato II – Normativa:
Protocollo condiviso misure Covid-19 luoghi di lavoro del 06.04.2021
Protocollo nazionale piani aziendali vaccini nei luoghi di lavoro del 06.04.2021
- Decreto Legge 1 aprile 2021 n. 44

Nella Rev. 27.0 sono stati:

Aggiornati: Premessa, Cap. 00, Cap. 0, Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8, Cap. 3.10, Cap. 4, Cap 5.2, Cap. 5.3.1.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 2 Marzo 2021efficacia dal 6 marzo 2021 al 6 Aprile 2021
- Decreto-Legge 13 marzo 2021 n. 30 / Decreto Pasqua / DAD

Nella Rev. 26.0 sono stati:

Aggiornati: Premessa, Cap. 00, Cap. 0, Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 14 Gennaio 2021 efficacia dal 16 Gennaio 2021 al 5 Marzo 2021
- Staying safe from COVID-19 during winter
- ISO/PAS 45005:2020
- Criteri semplificati di validazione in deroga DPI

Nella Rev. 25.0 del 7 Dicembre 2020

Aggiunto: Cap. 00
Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 3 Dicembre 2020 efficacia dal 4 Dicembre 2020 al 15 Gennaio 2021
- Staying safe from COVID-19 during winter

Update 24.0 del 11 Novembre 2020

Aggiunto: Cap. 00
Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
-
DPCM 3 Novembre 2020 misure efficaci dal 6 Novembre 2020

Update 23.0 del 27 Ottobre 2020

- Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
- Aggiornato Allegato II – Normativa:
DPCM 24 Ottobre 2020 misure efficaci fino al 24 Novembre 2020

Update 22.0 del 13 Ottobre 2020

- Aggiornata: Sezione Coronavirus (Decreto-Legge 7 Ottobre n. 125)
- Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap 3.14.1, Cap. 4, 5.2 e Cap. 5.3.1.2 
- Aggiornati Allegato II – Normativa:
DPCM 13 Ottobre 2020 misure efficaci al 13 Novembre 2020
Decreto-Legge 7 Ottobre n. 125 proroga fino al 31 Gennaio 2021 dello stato di emergenza COVID-19

Update 21.0 dell'08 Settembre 2020

- Aggiornati: Cap. 1.3, 1.7, 2, 3.2, 3.,3, 3.4, 3.5, 3.6, 3.8, 3.13, 5.2
- Aggiornato Cap. 3.14.1 (Circolare 13 del 4 Settembre 2020)
- Aggiornato Cap. 3.14.2 (Circolare 13 del 4 Settembre 2020)
- Aggiornato Cap. 4. (Circolare 13 del 4 Settembre 2020)
- Aggiunti Allegato II - Normativa:
DPCM 07 settembre 2020 misure efficaci fino al 7 ottobre 2020
Circolare 13 del 4 Settembre 2020 (Chiarimenti lavoratori fragili)

Update 20.0 dell'08 Agosto 2020

- Aggiornati: Cap. 1.3, 1.7, 2, 3.2, 3.,3, 3.4, 3.5, 3.6, 3.8, 3.13, 5.2
- Modificata Sez. 5.3.1.1 Validazione straordinaria ed in deroga dei DPI
- Aggiunta Sez 5.3.1.2 Validazione in deroga Mascherine e DPI separati se Produttori UE o Importatori
- Aggiornata Sezione: Allegato II – Normativa:
DPCM 07 agosto 2020 misure efficaci fino al 7 settembre 2020 

Update 19.0 del 31.07.2020

Legge 17 luglio 2020 n. 77 Sez aggiunta al Cap. 5.3.1
- Aggiornata Sezione: Allegato II – Normativa:
- - Delibera del CdM 29 luglio 2020 proroga fino al 15 Ottobre 2020 dello stato di emergenza COVID-19
- - DPCM 14 luglio 2020 prorogato non oltre il 10 agosto 2020 (Art. 1 c. 5 D.L. 30 luglio 2020 n. 83)

Update 18.0 del 15.07.2020

- Aggiornato Cap. 2
- Aggiornata Sezione: Allegato II – Normativa:

- - DPCM 14 luglio 2020 proroga fino al 31 luglio delle misure del DPCM 11 giugno 2020

Update 17.0 del 13.06.2020

- Aggiornata Sezione Coronavirus a seguito della pubblicazione della Direttiva (UE) 2020/739.

- Aggiornato Cap. 1.3 Strategie di Prevenzione Premessa - Allegato 10 DPCM 11 Giugno 2020. (Cap. 1.3)
- Aggiornato Cap. 2. Attività non sospese. (Cap. 2)
- Aggiunta Cap. 3.9.5 Posti lavaggio mani. (Cap. 3.9.5)
- Aggiornato Cap. 5.2 Misure generali di protezione DPCM 11 Giugno 2020. (Cap. 5.2)
- Aggiornata Sezione: Allegato II – Normativa:
- - Aggiunta Circolare n. 17664 del 22.05.2020.
- - Aggiunto DPCM 11 Giugno 2020.

Update 16.0 del 31.05.2020

- Aggiunto Cap. Dettaglio Apprestamenti anticontagio (3.8)
- - 3.8 Dettaglio Apprestamenti anticontagio
- - 3.8.1 Misura temperatura corporea
- - 3.8.2 Barriere
- - 3.8.3 Segnaletica distanze a terra
- - 3.8.4 Dispenser disinfettanti
- - 3.8.5 Segnaletica / Informativa
- Aggiunto Cap. Dettaglio Dispositivi anti contagio (3.9)
- Aggiunto Cap. Dettaglio Formazione del personale (3.10)

Update 15.0 del 29.05.2020

- Aggiornato Cap. 0 sul tempo di persistenza e disinfettanti estratto Circolare Min. Salute n. 0017644 del 22.05.2020 (Cap. 0)
- Aggiornato Cap. Sanificazione (Cap. 3.8.1)
- Aggiunto Cap. Prodotti disinfettanti (Cap. 3.8.2)
- Aggiornato Cap. Normativa di riferimento / Norme tecniche / Altri (Cap. 3.8.3)
- Aggiunto Cap. Aerazione locali e impianti di condizionamento in accordo Rapporto ISS n. 5/2020 Rev. 25.05.2020 (Cap.3.9)
- Aggiunta Circolare Min. Salute n. 0017644 del 22.05.2020 (Cap. 5.1)

Update 14.0 del 17.05.2020

- Inserito il D.P.C.M. 17 maggio 2020 
- Inserito COVID-19 Tempo di permanenza e disinfettanti (Cap. 0)
- Inserite Note Sanificazione ISS e altri (cap. 3.8.1)
- Inserito Ruolo medico competente lavoratori fragili (Cap. 3.10.1)
- Aggiornato paragrafo su Valutazione del Medico Competente (Cap. 4)
- Aggiunto paragrafo “Firme comitato” nel paragrafo finale “Firme” del DVR (Cap. 6)
- Aggiunto Linee guida / Linee CSR del 16 maggio 2020 /Ordinanze regionali (Cap. 3.7) 
- Modificato Misure generali di protezione DPCM 17 Maggio 2020 (Cap. 5.2) 
- Aggiornato Allegato II – Normativa 
- Eliminati Cap. 
- - 2.1 Comunicazione sospensione attività 
- - 2.1.1 Modello attività commerciali al dettaglio 
- - 2.1.2 Modello attività produttive industriali e commerciali 
- - 2.1.3 Modello attività dei servizi di ristorazione
- - 2.1.4 Modello attività dei servizi alla persona

Update 13.0 del 03.05.2020

- Inserito Cap. 3.8 Segnaletica/Informative
- Inserito Cap. 3.9 Misure lavoratori fragili

Update 12.0 del 27.04.2020

- Inserito DPCM 26 Aprile 2020;
- Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID – 19 cantieri edili (p. 3.3)

Update 11.0 del 24.04.2020

- Aggiornato con il nuovo Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 24.04.2020 che integra il Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14 marzo 2020
- Aggiunta Nuova Sezione 3.6 “Altri Protocolli specifici”. 

Il Protocollo generale, elencato in forma check list al Cap. 3.1, riporta in rosso le Integrazioni del Protocollo 24.04.2020 al Protocollo del 14 Marzo 2020

Update 10.0 del 23.04.2020

- Modificato il Metodo di Valutazione del Rischio in accordo con il “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione - INAIL
- Aggiunto il Protocollo sicurezza PA
- Aggiunto capitolo Termografi/misuratori di temperatura corporea EM - (Allegato I)
- Aggiunto Documento Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione - INAIL (Allegato II)

Update 9.0 del 17.04.2020

- Aggiunto capitolo 3.5 Pulizia/Disinfezione/Sanificazione
- Normativa Pulizia/Disinfezione/Sanificazione

Update 8.1 del 13.04.2020

- Aggiornato il metodo di stima del rischio COVID-19

Update 8.0 del 11.04.2020

- Revisionato l'intero documento in accordo DPCM 10 Aprile 2020
- Aggiunto DPCM 10 Aprile 2020
- Aggiunto Capitolo I.3 Distanza interpersonale

Update 7.1 del 03.04.2020

- Aggiunto estratto “Guidance on Preparing Workplaces for COVID-19” OSHA
- Inserito DPCM 01 Aprile 2020
- Aggiunto capitolo 5 “Valutazione del Medico Competente”

Update 7.0 del 29.03.2020

- Aggiunta Sezione D. Attività ambientale/rifiuti
- Protocollo per prevenzione e sicurezza dei lavoratori settore rifiuti 
- Aggiunta Sezione mascherine chirurgiche EN 14683
- Aggiornato Metodo di stima del livello di rischio

Update 6.1 del 26.03.2020

Nella Rev. 6.1 è stato aggiornato:
- Elenco attività sospese di cui al Decreto Ministeriale 25 Marzo 2020
- DPCM 22 Marzo 2020
- DPCM 8 Marzo 2020

Aggiunto:
Decreto Ministeriale 25 Marzo 2020

Update 6.0 del 23.03.2020

Nella Rev. 6.0 è stato aggiornato:
- Elenco attività sospese di cui al DPCM 22 Marzo 2020
- D.P.C.M. 8 Marzo 2020

ed aggiunto:
DPCM 22 marzo 2020

Update 5.0 del 21.03.2020

Nella Rev. 5.0 sono stati aggiunti:

- Metodo per la stima del livello di rischio (p. 1.1)
Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID – 19 nel settore del trasporto e della logistica (p. 3.1);
Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID – 19 cantieri edili (p. 3.2).

Update 4.1 del 18.03.2020

Nella Rev. 4.1 si precisa che per il coronavirus (agente biologico gruppo 2) non è prevista la comunicazione di cui all’Art. 269 c.1, in quanto il rischio biologico da coronavirus, non è legato all’attività che ne fa “uso”, ma è un rischio biologico potenziale “nel contesto dell’organizzazione”.

Art. 269.Comunicazione

1. Il datore di lavoro che intende esercitare attività che comportano uso di agenti biologici dei gruppi 2 o 3, comunica all'organo di vigilanza territorialmente competente le seguenti informazioni, almeno trenta giorni prima dell'inizio dei lavori:
a) il nome e l'indirizzo dell'azienda e il suo titolare;
b) il documento di cui all'articolo 271, comma 5.

Update 4.0 del 15.03.2020

- Documento è strutturato come aggiornamento DVR
- Aggiornato il DPCM 8 Marzo 2020 alla luce dei provvedimenti:

- Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro
- Circolare n. 15350 del 12 marzo 2020
- D.P.C.M 11 Marzo 2020
- D.P.C.M. 8 Marzo 2020

Update 3.0 del 12.03.2020

Nella Rev. 3.0 è stato aggiunto il D.P.C.M. 11 Marzo 2020 | Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (GU n. 64 del 11-03-2020), recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale.

Il D.P.C.M 11 Marzo 2020 dispone la sospensione di alcune attività ed un aggiornamento della valutazione del rischio di quelle non sospese finalizzato ad individuare nuove misure per la riduzione del rischio di esposizione ad agente biologico.

D.P.C.M. 11 Marzo 2020

...
Art. 2
(Disposizioni finali)
1. Le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data del 12 marzo 2020 e sono efficaci fino al 25 marzo 2020.
2. Dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto cessano di produrre effetti, ove incompatibili con le disposizioni del presente decreto, le misure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020.

Update 2.0 del 08.03.2020

1. Eliminato il D.P.C.M. 1° Marzo 2020 | Ulteriori misure COVID-19 abrogato dal D.P.C.M. 8 Marzo 2020 Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. (GU n.59 del 08-03-2020). Le disposizioni del D.P.C.M. 8 Marzo 2020 producono effetto dalla data dell’8 marzo 2020 e sono efficaci, salve diverse previsioni contenute nelle singole misure, fino al 3 aprile 2020.

D.P.C.M. 8 Marzo 2020
...
Art. 5.
Disposizioni finali

1. Le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data dell’8 marzo 2020 e sono efficaci, salve diverse previsioni contenute nelle singole misure, fino al 3 aprile 2020.
2. Le misure di cui agli articoli 2 e 3 si applicano anche ai territori di cui all’art. 1, ove per tali territori non siano previste analoghe misure più rigorose.3. Dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto cessano di produrre effetti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo e 4 marzo 2020.
4. Resta salvo il potere di ordinanza delle Regioni, di cui all’art. 3, comma 2, del decreto-legge 23 febbraio 2020 n. 6.
5. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

2. Aggiunto Documento doc: DPCM 8 marzo: Documento di sintesi misure nuova Zona arancione COVID-19

Update 1.0 del 02.03.2020

Nella Rev. 1.0 è stato riportato il D.P.C.M. 1° Marzo 2020 | Ulteriori misure COVID-19 con le misure di prevenzione nelle zone di epidemia e nel territorio nazionale.

Update 0.0 del 29.02.2020:
In allegato modello compilabile formato.doc: Autocertificazione visitatori/fornitori

Il presente documento analizza come integrare il proprio documento di valutazione del rischio a seguito della diffusione del coronavirus. L’analisi si sofferma sulle diverse misure di prevenzione che possono essere adottate in base agli scenari lavorativi ipotizzabili. Si fa riferimento alla Circolare Min. Salute n. 3190 del 03.02.2020 (operatori a “contatto con il pubblico”), (valutare come spunto per possibile estensione ad altre e più ampie attività lavorative/mansioni delle organizzazioni del settore pubblico/privato).

Il documento può essere inteso, anche, come "Istruzione Operativa di norme di comportamento precauzionali", essendo la presenza del virus, non identificabile in una determinata attività lavorativa, ma essendo il lavoro una condizione per la quale potenzialmente si può venire a contatto con persone esposte/potenzialmente esposte (es. autotrasportatori che possono venire a contatto con persone in zone a rischio contagio, in aree di sosta, ecc).

Il rischio da agenti biologici deve essere contestualizzato “durante l’attività lavorativa” dell’organizzazione, e non può essere oggetto di generalizzazione per tutte le attività lavorative / tutte le “mansioni” di  una attività lavorativa. Concentrare l’attenzione per tutto ciò che può essere “veicolo per il virus” durante l’attività lavorativa che viene svolta all’interno o all’esterno del perimetro aziendale. Inoltre la stessa azienda potrebbe essere interessata da “veicoli di virus” provenienti dall’esterno.

E’ da precisare, inoltre, che alla data della presente, non sono state emanate specifiche disposizioni MLPS, CSR o altri sul rischio biologico da coronavirus in relazione all'epidemia in atto.
...
_______

Valutazione rischio biologico coronavirus 14

Excursus

Il presente documento analizza il Rischio coronavirus nel luogo di lavoro ed integra il Documento di Valutazione del Rischio (Art. 17 e 28 del D.Lgs. 81/2008) a seguito della diffusione del coronavirus (COVID-19) nel territorio nazionale, per la parte luogo di lavoro in accordo con:

1. Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione del 23 Aprile 2020.
2. Protocollo sicurezza condiviso misure Covid-19 ambienti di lavoro del 06 aprile 2021.
3. Protocolli sicurezza settoriali
4. Con il Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24 Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza. (GU n.70 del 24.03.2022).

5. Sintesi effetti del Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24

- Il 31 Marzo 2022 cessa lo stato emergenza Covid-19;
- Dal 1° Aprile 2022 cessano gli effetti del DPCM 02 marzo 2021 (DPCM protocolli);
- Dal 1° Aprile 2022 è necessario solo il green pass base per accedere ai luoghi di lavoro;
- Dal 1° aprile 2022 è abolito il sistema della classificazione regionale a colori;
- Dal 1° Maggio 2022 non sarà più necessario il green pass per accedere ai luoghi di lavoro.

Accesso al luogo di lavoro (vedi Fig. 1)

Dal 1° aprile 2022 sarà possibile per tutti, compresi gli over 50, accedere ai luoghi di lavoro con il Green Pass Base per il quale dal 1° maggio verrà eliminato l’obbligo. Fino al 31 dicembre 2022 resta l’obbligo vaccinale con la sospensione dal lavoro per gli esercenti le professioni sanitarie e i lavoratori negli ospedali e nelle RSA; fino alla stessa data rimane il green pass per visitatori in RSA, hospice e reparti di degenza degli ospedali.

Fig. 1 Accesso al luogo di lavoro - timeline (escluso RSA / Ospedali)

Dal 1° Aprile 2022 restano comunque in vigore (in particolare):

- l’Art. 29 bis Obblighi DL tutela contro il rischio di contagio da COVID-19 del DL 8 marzo 2020 n. 23 / Convertito Legge 5 giugno 2020 n. 40.
- l’Art. 1 Misure di contenimento della diffusione del COVID-19 del Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 / Convertito Legge 14 luglio 2020 n. 74.

Vedi Documento sintesi Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24

Cessato il DPCM 2 Marzo 2021 / Protocolli applicabili

Le misure del DPCM 2 Marzo 2021 sono state prorogate:

- dal 7 al 30 Aprile 2021 dal DL 1 Aprile 2021 n. 44 (GU n.79 del 01.04.2021) ed ulteriormente prorogate
- dal 1° Maggio al 31 Luglio 2021 dal DL 22 Aprile 2021 n. 52 (GU n.96 del 22.04.2021)
- dal 1° Agosto al 31 Dicembre 2021 dal DL 23 luglio 2021 n. 105 (GU n.175 del 23.07.2021)
- dal 1° Gennaio al 31 Marzo 2022 dal Decreto Legge 24 Dicembre 2021 n. 221 (GU n.305 del 24.12.2021) (Art. 18).

I Protocolli restano comunque in vigore ai sensi di:

- l’Art. 29 bis Obblighi DL tutela contro il rischio di contagio da COVID-19 del DL 8 marzo 2020 n. 23 / Convertito Legge 5 giugno 2020 n. 40.
- l’Art. 1 Misure di contenimento della diffusione del COVID-19 del Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 / Convertito Legge 14 luglio 2020 n. 74.

Il documento può essere inteso, anche, come "Istruzione Operativa di norme di comportamento precauzionali", essendo la presenza del virus, non identificabile in una determinata attività lavorativa, ma essendo il lavoro una condizione per la quale potenzialmente si può venire a contatto con persone esposte/potenzialmente esposte (es. autotrasportatori che possono venire a contatto con persone in zone a rischio contagio, in aree di sosta, ecc.). 

Il rischio biologico è disciplinato per i lavoratori dal Titolo X del D. Lgs. 81/08.

D. Lgs. 81/08
...
Titolo X ESPOSIZIONE AD AGENTI BIOLOGICI

Capo I
Art. 266. Campo di applicazione

1. Le norme del presente titolo si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici.
...

Ai sensi del Titolo X s’intende per:

a) agente biologico: qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni;
b) microrganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico;
c) coltura cellulare: il risultato della crescita in vitro di cellule.

L’applicabilità, in merito al Coronavirus, del D. Lgs. 81/08 ed in particolare dal Titolo X è stata chiarita dal Ministero della Salute con la Circolare n. 3190 del 03.02.2020.

Circolare n. 3190 del 03.02.2020

Min Salute
...
OGGETTO: Indicazioni per gli operatori dei servizi/esercizi a contatto con il pubblico. In relazione alla epidemia da coronavirus 2019-nCoV, in corso nella Repubblica popolare cinese, sono pervenute a questo Ministero richieste di chiarimenti circa i comportamenti da tenersi da parte degli operatori che, per ragioni lavorative, vengono a contatto con il pubblico.
...

Con riguardo, specificatamente, agli operatori di cui all’oggetto si rappresenta preliminarmente che, ai sensi della normativa vigente (D. Lgs. 81/2008), la responsabilità di tutelarli dal rischio biologico è in capo al datore di lavoro, con la collaborazione del medico competente.

I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS).

Il virus che causa l'attuale epidemia di coronavirus è stato chiamato "Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2" (SARS-CoV-2).

La malattia provocata dal nuovo Coronavirus ha un nome: “COVID-19” (dove "CO" sta per corona, "VI" per virus, "D" per disease e "19" indica l'anno in cui si è manifestata). I sintomi più comuni includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l'infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. La maggior parte delle persone (circa l'80%) guarisce dalla malattia senza bisogno di cure speciali. Circa 1 persona su 6 con COVID-19 si ammala gravemente e sviluppa difficoltà respiratorie. Le persone più suscettibili alle forme gravi sono gli anziani e quelle con malattie pre-esistenti, quali diabete e malattie cardiache.

Il nuovo Coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette ad esempio tramite:

- la saliva, tossendo e starnutendo
- contatti diretti personali
- le mani, ad esempio toccando con le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi.

Normalmente le malattie respiratorie non si tramettono con gli alimenti, che comunque devono essere manipolati rispettando le buone pratiche igieniche ed evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti.

Studi sono in corso per comprendere meglio le modalità di trasmissione del virus.

Il periodo di incubazione varia tra 2 e 12 giorni; 14 giorni rappresentano il limite massimo di precauzione.
....

Il Titolo X classifica gli agenti biologici in 4 gruppi:

a) agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
b) agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
c) agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
d) agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

D.Lgs. 81/08

Articolo 271 - Valutazione del rischio

1. Il datore di lavoro, nella valutazione del rischio di cui all’articolo 17, comma 1, tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative, ed in particolare:

a) della classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana quale risultante dall’ALLEGATO XLVI o, in assenza, di quella effettuata dal datore di lavoro stesso sulla base delle conoscenze disponibili e seguendo i criteri di cui all’articolo 268, commi 1 e 2;
b) dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte;
c) dei potenziali effetti allergici e tossici;
d) della conoscenza di una patologia della quale è affetto un lavoratore, che è da porre in correlazione diretta all’attività lavorativa svolta;
e) delle eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sul rischio;
f) del sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati.

2. Il datore di lavoro applica i principi di buona prassi microbiologica, ed adotta, in relazione ai rischi accertati, le misure protettive e preventive di cui al presente Titolo, adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative.

3. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di modifiche dell’attività lavorativa significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata.

Direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020

Con la Direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020 la "Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 (SARS-CoV-2)" è inserita nell’allegato III della direttiva 2000/54/CE (direttiva agenti biologici, nella tabella relativa ai VIRUS (Ordine «Nidovirales», Famiglia «Coronaviridae», Genere «Betacoronavirus») è inserita la seguente voce tra «Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus (virus SARS)» e «Sindrome respiratoria medio-orientale da coronavirus (virus MERS)»:

Il rigoroso rispetto e l’applicazione delle disposizioni nazionali che recepiscono le norme dell’Unione in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono, più che mai, di massima importanza. La direttiva 2000/54/CE stabilisce norme per la protezione dei lavoratori contro i rischi che derivano o possono derivare per la loro sicurezza e salute dall’esposizione agli agenti biologici durante il lavoro, ivi comprese norme per la prevenzione di tali rischi. Essa si applica alle attività in cui i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti biologici a causa della loro attività lavorativa e stabilisce, per qualsiasi attività che possa comportare un rischio di esposizione ad agenti biologici, le misure da adottare al fine di determinare la natura, il grado e la durata dell’esposizione dei lavoratori a tali agenti.

L’allegato III della direttiva 2000/54/CE stabilisce l’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo, classificati secondo il livello del rischio di infezione. Conformemente alla nota introduttiva 6 di tale allegato, l’elenco dovrebbe essere modificato per tenere conto delle conoscenze più recenti riguardo agli sviluppi scientifici ed epidemiologici che hanno determinato notevoli cambiamenti, compresa l’esistenza di nuovi agenti biologici.

Il SARS-CoV-2 può causare gravi malattie umane nella popolazione infetta, presentando un serio rischio in particolare per i lavoratori anziani e quelli con una patologia soggiacente o una malattia cronica. Attualmente non sono disponibili vaccini o cure efficaci, ma si stanno compiendo sforzi significativi a livello internazionale e finora è stato individuato un numero considerevole di vaccini candidati.

Tenuto conto delle prove scientifiche più recenti e dei dati clinici disponibili nonché dei pareri forniti da esperti che rappresentano tutti gli Stati membri, il SARS-CoV‐2 dovrebbe quindi essere classificato come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3. Vari Stati membri e Stati dell’EFTA nonché altri paesi terzi hanno iniziato ad adottare misure riguardanti la classificazione del SARS-CoV‐2 nel gruppo di rischio 3.

Alla luce della gravità della pandemia di Covid‐19 a livello mondiale e in considerazione del fatto che ogni lavoratore ha diritto a un ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato, come previsto dal principio 10 del pilastro europeo dei diritti sociali, la presente direttiva dovrebbe prevedere un periodo di recepimento breve.

Sulla base di un’ampia consultazione è stato ritenuto appropriato un periodo di recepimento di cinque mesi. Viste le circostanze eccezionali, gli Stati membri sono invitati ad attuare la presente direttiva prima del termine di recepimento, ove possibile.

VR Rischio biologico Titolo X Rev  26 00

Allegato XLVI del D. Lgs. 81/08

[…]

Coronaviridae 2
Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus (virus SARS) 3
Direttiva (UE) 2019/1833

Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 (SARS-CoV-2) - Direttiva (UE) 2020/739
Sindrome respiratoria medio-orientale da coronavirus (virus MERS)Direttiva (UE) 2019/1833

[…]

1. Valutazione del rischio

1.1 Metodo di stima della Classe di rischio 

Il metodo di stima è in accordo con il Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione

Il rischio da contagio da SARS-CoV-2 in occasione di lavoro può essere classificato secondo tre variabili:
- Esposizione: la probabilità di venire in contatto con fonti di contagio nello svolgimento delle specifiche attività lavorative (es. settore sanitario, gestione dei rifiuti speciali, laboratori di ricerca, ecc.);
- Prossimità: le caratteristiche intrinseche di svolgimento del lavoro che non permettono un sufficiente distanziamento sociale (es. specifici compiti in catene di montaggio) per parte del tempo di lavoro o per la quasi totalità;
- Aggregazione: la tipologia di lavoro che prevede il contatto con altri soggetti oltre ai lavoratori dell’azienda (es. ristorazione, commercio al dettaglio, spettacolo, alberghiero, istruzione, ecc.).

Esposizione
0 = probabilità bassa (es. lavoratore agricolo);
1 = probabilità medio-bassa;
2 = probabilità media;
3 = probabilità medio-alta;
4 = probabilità alta (es. operatore sanitario).

Prossimità
0 = lavoro effettuato da solo per la quasi totalità del tempo;
1 = lavoro con altri ma non in prossimità (es. ufficio privato);
2 = lavoro con altri in spazi condivisi ma con adeguato distanziamento (es. ufficio condiviso);
3 = lavoro che prevede compiti condivisi in prossimità con altri per parte non predominante del tempo (es. catena di montaggio);
4 = lavoro effettuato in stretta prossimità con altri per la maggior parte del tempo (es. studio dentistico).
...
Matrice VR Covid 19

...

1.3 Strategie di Prevenzione

Sulla base di tale approccio di matrice di rischio si possono adottare una serie di misure atte a prevenire/mitigare il rischio di contagio per i lavoratori. La gestione della prima fase emergenziale ha permesso di acquisire esperienze prevenzionali che possono essere utilmente sviluppate nella seconda fase.
...

Misure di Prevenzione
...

Tabella 1 - Riepilogo delle classi di rischio e aggregazione sociale

Classi di rischio
..
1.5 Individuazione Classe di Rischio

Classe di rischio individuata
...
1.6 Misure
...
Misure

1.7 Applicazione Protocolli
...

Come gestire il rischio (SARS-CoV-2) in azienda dal 1° Aprile

In tutte le attività lavorative e non gli obblighi di Valutazione dei rischi (tra cui SARS-CoV-2) sono previsti dall’Art. 28 del D.Lgs. 81/2008.

Il Processo di Valutazione dei Rischi COVID-19 lavoro può essere così schematizzato:

(*) Scegliere il metodo adeguato
- L'EU OSHSA ha precisato nel Documento COVID-19 EU-OHCA guidance for the workplace, che “le misure contro il COVID-9 dovrebbero essere incluse nella valutazione del rischio sul luogo di lavoro che copre tutti i rischi, compresi quelli causati da agenti biologici, come stabilito dalla legislazione nazionale e dell'UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
- L'OSHA US nella Guidance on Preparing Workplaces for COVID-19, ha strutturato una stima del rischio a livelli per diversi tipi di attività.

(**) Possono includere misure quali green pass base (obbligo fino al 30 Aprile 2022), vaccinazioni, ecc (misure attuate dopo la VR).

...

3.8 Linee guida / Linee CSR / Protocolli regionali

....

Il Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24 Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza. (GU n.70 del 24.03.2022) modifica sostanzialmente le misure di contenimento.

Adozione Protocolli

Dal 1° Aprile 2022 cessano gli effetti del DPCM 02 marzo 2021 (DPCM protocolli), i Protocolli sono comunque applicabili ai sensi dei:

- DL 8 marzo 2020 n. 23 / Convertito Legge 5 giugno 2020 n. 40
Art. 29-bis. Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19

- DL 16 maggio 2020 n. 33 / Convertito Legge 14 luglio 2020 n. 74
Art. 1 Misure di contenimento della diffusione del COVID-19

...

VAlutazione rischio biologico coronavirus 05
.
..
3.12 Misure di Pulizia/Disinfezione/Sanificazione
...
Misure di pulizia
...

3.12.1 Sanificazione

Attività di "sanificazione": chi può svolgerla

Come da Direttive e Protocolli emanati emergenza COVID-19 che riportano frequentemente il termine "sanificazione", l'attività di sanificazione è regolamentata dal D.L. 31 gennaio 2007 n. 7 e Decreto 7 luglio 1997 n. 274 di cui a seguire e può essere svolta solo da Imprese autorizzate con specifici requisti tecnico-professionali.

Altresì, secondo diverse fonti inerenti il Covid-19, con il termine “Sanificazione”, si intende il complesso di procedimenti ed operazioni di pulizia e/o disinfezione e mantenimento della buona qualità dell’aria e ciò presupporebbe l’esclusione del termine ai sensi del Decreto 7 luglio 1997 n. 274.

Sanificazione termine covid 19

Ciò, comunque, non esclude di effettuare l’attività di Sanificazione in accordo con il Decreto 7 luglio 1997 n. 274 che prevede, in sintesi, l'incarico a Impresa autorizzata CCIAA.

Fonti inerenti il Covid-19 che precisano cosa si intende con il termine “Sanificazione”:

- l’ISS con il Rapporto ISS COVID-19 n. 25/2020. Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento. Versione del 15 maggio 2020, riporta che:

Rapporto ISS COVID-19 n. 25/2020

Quando si parla di sanificazione, anche in riferimento a normative vigenti, si intende il complesso di procedimenti ed operazioni di pulizia e/o disinfezione e mantenimento della buona qualità dell’aria.
...

3.13 Aerazione locali e impianti di condizionamento
...
Per l’aerazione dei locali di lavoro e modalità d'uso degli impianti di condizionamento e frequenza di pulizia, sono presi in esame i Documenti:
...
Covid 19 Impianti codizionamento

...

3.14 Misure lavoratori fragili
...

5.3 Classificazione mascherine

5.3.1 Mascherine EN 14683 (cd chirurgiche) 

Mascherine EN 14683

...
5.3.1.1 Validazione straordinaria ed in deroga dei DPI (Cessata) (*)
...

Validità Attestati di validazione in deroga mascherine chirurgiche: cessa il 31.03.2022

Con la Circolare del Ministero della Salute del 4 marzo 2022 cessa, il 31 marzo 2022, la validità degli Attestati di validazione in deroga delle mascherine chirurgiche. L'immissione sul mercato deve essere effettuata solo nel regime di marcatura CE ai sensi del Regolamento (UE) 2017/745 (DPI), in accordo con UNI EN 14683:2019 (in Presunzione di conformità).

...

5.3.2 Mascherine EN 149

Le semimaschere filtranti antipolvere sono classificate in base alla loro efficienza filtrante e della loro perdita di tenuta verso l’interno totale massima.

Sono previste 3 classi:

- FFP1
- FFP2
- FFP3
...
Titolo X Rischio biologico coronavirus 06

Figura 2 - Marcatura CE maschera facciale EN 149
...

6. Vaccinazioni
...
6.1 Operatori sanitari e lavoratori RSA, Altri
...

Obbligo vaccinale sanitari, lavoratori RSA, altri fino al 31.12.2022

A seguito della pubblicazione del Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24 n.44 (GU n.70 del 24.03.2022) riguardante disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2022 resta l’obbligo vaccinale con la sospensione dal lavoro per gli esercenti le professioni sanitarie e i lavoratori negli ospedali e nelle RSA; fino alla stessa data rimane il green pass per visitatori in RSA, hospice e reparti di degenza degli ospedali (oggi 2Gplus).
...

7. Green pass

7.1 Lavoratori pubblici e privati

Green pass lavoratori PA / Privati

A seguito della pubblicazione del Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24 n.44 (GU n.70 del 24.03.2022) riguardante disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza dal 1° Aprile 2022 per i lavoratori pubblici e privati con 50 anni di età sarà necessario il Green Pass base per l’accesso ai luoghi di lavoro fino al 30 aprile 2022. Dopo tale data non neccessario.

Misure di Prevenzione rischio Covid attuabili

Le misure Green pass / Green pass rafforzato possono essere misure di prevenzione in regime di Valutazione di Rischi di cui al DLgs. 81/2008.

...

Misure dal 1  Aprile 2022

(*) Esclusi Sanitari/RSA/Altri per i quali è obbligatorio il vaccino anti Covid-19

...

8. Conclusioni

Il Presente Documento Integra il Documento di Valutazione dei Rischi di cui all’Art. 17 del D.Lgs. 81/2008 in relazione al rischio COVID-19, esso è valido fino …………… e comunque fino a quando non siano variate attività/mansioni dell’Azienda o apportate modifiche delle disposizioni applicate:

[1] D.lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e sicurezza lavoro
[2] Guidance on Preparing Workplaces for COVID-19 | OSHA
[3] COVID-19: EU-OSHA guidance for the workplace
[4] DPCM 01 Aprile 2020
[5] Decreto Ministeriale 25 Marzo 2020
[6] Elenco attivita’ sospese Coronavirus
[7] DPCM 22 Marzo 2020
[8] Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro
[9] Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica
[10] Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 cantieri edili
[11] Protocollo per prevenzione e sicurezza dei lavoratori settore rifiuti
[12] Guida produzione locale di formulazioni per il lavaggio delle mani raccomandate dall'OMS
[13] Circolare n. 15350 del 12 marzo 2020
[14] DPCM 11 Marzo 2020
[15] Comunicazione sospensione attività lavorativa | DPCM 11 Marzo 2020
[16] DPCM 9 Marzo 2020
[17] DPCM 9 Marzo: Sintesi misure Zona protetta
[18] DPCM 9 Marzo 2020: autodichiarazione spostamento persone fisiche
[19] DPCM 9 Marzo 2020: dichiarazione spostamento Datore di Lavoro
[20] DPCM 8 Marzo 2020
[21] DPCM 8 Marzo: Sintesi misure Zona arancione
[22] D.P.C.M. 1 marzo 2020
[23] Raccomandazioni MLPS 2009: pandemia influenzale luoghi di lavoro
[24] Coronavirus: Garante Privacy e raccolta dei dati Lavoratori
[25] Il Rischio biologico lavoro: quadro normativo
[26] Nuovo Coronavirus: fonti di informazione
[27] UNI EN 14683 | Requisiti maschere facciali uso medico marcate CE
[28] Classificazione mascherine DPI NIOSH (US)
[29] UNI EN 149:2009 | Marcatura CE semimaschere filtranti FFP
[30] Decreto Cura Italia: validazione straordinaria dei DPI
[31] DPCM 10 Aprile 2020
[32] AIRCARR Impianti di climatizzazione nei luoghi di lavoro e COVID-19
[33] Gammaitoni et al. 1997; Kibbs et al. 2011
[34] Legge 25 gennaio 1994 n 82
[35] Decreto legge 31 gennaio 2007 n. 7
[36] Decreto 7 luglio 1997 n. 274
[37] Regolamento (UE) n. 528/2012
[38] UNI EN 16636:2015 - Servizi di gestione e controllo delle infestazioni (pest management) - Requisiti e competenze
[39] UNI EN 14885:2019 Disinfettanti chimici ed antisettici - Applicazione delle Norme Europee per i disinfettanti chimici e gli antisettici
[40] Vademecum Sanificazione Requisiti | Procedure COVID-19
[41] Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione
[42] Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 24.04.2020
[43] Indicazioni sanificazione degli ambienti interni emergenza SARS-COV 2
[44] EN 14126 | Indumenti di protezione contro gli agenti infettivi
[45] Circolare Min. Salute n. 0014915 del 29.04.2020
[46] D.P.C.M. 17 Maggio 2020
[47] Decreto-legge 15 maggio 2020 n. 33
[48] Rapporto ISS COVID-19 n. 25 del 15/05/2020
[49] Rapporto ISS n. 5/2020 del 25.05.2020
[50] Linee guida riapertura attività economiche e produttive CSR Rev. 22 maggio 2020
[51] Circolare Min. Salute n. 0017644 del 22.05.2020
[52] Rapporto ISS COVID-19 n. 33/2020 - Indicazioni impianti di ventilazione/climatizzazione
[53] D.P.C.M. 11 Giugno 2020
[54] Direttiva (UE) 2020/739
[55] DPCM 14 luglio 2020
[56] Legge 17 luglio 2020 n. 77
[57] Delibera del CdM 29 luglio 2020
[58] D.L. 30 Luglio 2020 n. 83
[59] DPCM 07 Agosto 2020
[60]
DPCM 07 Settembre 2020
[61]
Circolare 13 del 4 Settembre 2020
[62]
Decreto-Legge 7 Ottobre n. 125
[63]
DPCM 13 Ottobre 2020
[64] DPCM 24 Ottobre 2020
[64] DPCM 03 Novembre 2020
[66] DPCM 03 Dicembre 2020
[67] Staying safe from COVID-19 during winter
[68] DPCM 14 Gennaio 2021 
[69] ISO/PAS 45005:2020
[70] Criteri semplificati di validazione in deroga DPI
[71] DPCM 2 Marzo 2021
[72] Decreto-Legge 13 marzo 2021 n. 30
[73] Decreto-Legge 1 Aprile 2021 n. 44
[74] Protocollo condiviso misure Covid-19 luoghi di lavoro del 06.04.2021
[75] Protocollo nazionale piani aziendali vaccini nei luoghi di lavoro del 06.04.2021
[76] Indicazioni ad interim vaccini lavoro INAIL
[77] Decreto-Legge 22 aprile 2021 n. 52
[78] Decreto-Legge 23 luglio 2021 n. 105
[79] Decreto-Legge 10 settembre 2021 n. 122
[80] Decreto-Legge 21 Settembre 2021 n. 127
[81] Legge 19 novembre 2021 n. 165
[82] Decreto-Legge 26 novembre 2021 n. 172
[83] Protocollo condiviso COVID-19 settore del trasporto e logistica del 12 novembre 2021
[84] Decreto-Legge 7 gennaio 2022 n. 1
[85] Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24
[86] Linee guida riapertura attività economiche e produttive CSR Rev. 31 marzo 2022

Firme

ALLEGATO I - Istruzioni istituzionali
Allegato II - Normativa
...

Preview Rischio biologico Coronavirus Titolo X D.Lgs. 81.2008 Rev. 34.0 2022

segue in allegato

Fonti
GU
Ministero della Salute / Interno / Trasporti / Altri
ISS
OMS
UNI EN 149
UNI EN 14883
D.Lgs. 81/2008
Normativa collegata

Certifico Srl - IT | Rev. 34.0 2022 (Rev. 39a Revisione tutte / 34a Revisione maggiore) 
©PDF/DOC Abbonati
Pag.: 397

Matrice Revisioni

Rev. Data Oggetto Autore
34.0 07.04.2022 Update Rev. 34.0 del 07.04.2022
Decreto-Legge 24 marzo 2022 n. 24

Linee guida riapertura attività economiche e produttive CSR Rev. 31 marzo 2022
Aggiornato intero documento a seguito della cessazione stato di emergenza 
Certifico Srl
33.0 11.01.2022 Update Rev. 33.0 dell’11.01.2022
Aggiornato Nuovo Cap. 6
Aggiornato Nuovo Cap. 7
Aggiornata Sezione Normativa:
Decreto-Legge 7 gennaio 2022 n. 1
Certifico Srl
32.0 29.11.2021 Update Rev. 32.0 del 29.11.2021
Nuovo Cap. 7.1.1
Aggiornata Sezione Normativa:
Legge 19 novembre 2021 n. 165
Decreto-Legge 26 novembre 2021 n. 172
Aggiornato:
Protocollo condiviso COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 12 novembre 2021
Certifico Srl
31.0 21.09.2021 Update 21.09.2021
Nuovi Cap. 1.8, 1.9, 6, 7
Aggiornata Sezione Normativa
Decreto-Legge 21 Settembre 2021 n. 127
Decreto-Legge 23 luglio 2021 n. 105
Decreto-Legge 10 settembre 2021 n. 122
Certifico Srl
30.0 26.04.2021 Update 26.04.2021
Aggiornati Premessa, Cap. 00, 0, Cap. 3.1 (inserita Definizione di contatto stretto), Cap 3.2, Cap. 3.3,
Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8, Cap. 3.10, Cap. 4, Cap 5.2.
DPCM 02 Marzo 2021 misure prorogate 1° Maggio 2021 al 31 Luglio 2021 dal DL 22 Aprile 2021 n. 52 (GU n.96 del 22.04.2021)
Aggiornato Allegato II – Normativa:
Decreto-Legge 22 Aprile 2021 n. 52
Certifico Srl
29.0 09.04.2021 Update 09.04.2021
Aggiornati i riferimenti al Protocollo condiviso del 06.04.2021 (Cap. 3):
Protocollo condiviso misure Covid-19 negli ambienti di lavoro | 06.04.2021
Aggiornati i riferimenti al Documento INAIL (Cap. 7):
Protocolli sicurezza e vaccini nei luoghi di lavoro 06.04.2021
Indicazioni ad interim vaccinazione anti-SARS-CoV-2/Covid-19 luoghi lavoro
Certifico S.r.l.
28.0 07.04.2021 Update Rev. 28.0 del 07.04.2021
Nella Rev. 28.0 sono stati:
Aggiornati Premessa, Cap. 00, 0, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8, Cap. 3.10,
Cap. 4, Cap 5.2, Cap. 5.3.1.2.
Aggiunto Cap. 6
DPCM 02 Marzo 2021 misure prorogate dal 7 al 30 Aprile 2021 dal DL 1 Aprile 2021 n. 44 (GU n.79 del 01.04.2021)
Aggiornato Allegato II – Normativa:
Protocollo condiviso misure Covid-19 luoghi di lavoro del 06.04.2021
Protocollo nazionale piani aziendali vaccini nei luoghi di lavoro del 06.04.2021
Decreto Legge 1 aprile 2021 n. 44
Certifico S.r.l.
27.0 14.03.2021 Update Rev. 27.0 del 14.03.2021
Nella Rev. 27.0 sono stati:
Aggiornati: Premessa, Cap. 00, Cap. 0, Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6,
Cap. 3.8, Cap. 3.10, Cap. 4, Cap 5.2, Cap. 5.3.1.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 2 Marzo 2021efficacia dal 6 marzo 2021 al 6 Aprile 2021
- Decreto-Legge 13 marzo 2021 n. 30 / Decreto Pasqua / DAD
Certifico S.r.l.
26.0 18.01.2021 Nella Rev. 26.0 sono stati:
Aggiornato: Cap. 00
Aggiornati: Premessa, Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 14 Gennaio 2021 efficacia dal 16 Gennaio 2021 al 5 Marzo 2021
- Staying safe from COVID-19 during winter
- ISO/PAS 45005:2020
- Criteri semplificati di validazione in deroga DPI
Certifico S.r.l.
25.0 07.12.2020 Nella Rev. 25.0 sono stati:
Aggiunto: Cap. 00
Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 3 Dicembre 2020 efficacia dal 4 Dicembre  2020 al 15 Gennaio 2021
- Staying safe from COVID-19 during winter
Certifico S.r.l.
24.0 11.11.2020 Nella Rev. 24.0 sono stati:
Aggiunto: Cap. 00
Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 3 Novembre 2020 misure efficaci dal 6 Novembre 2020
Certifico S.r.l.
23.0 27.10.2020 Nella Rev. 23.0 sono stati:
Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap. 3.8 e Cap 5.2.
Aggiornato Allegato II – Normativa:
- DPCM 24 Ottobre 2020 misure efficaci fino al 24 Novembre 2020
Certifico S.r.l.
22.0 13.10.2020 Aggiornata: Sezione Coronavirus (Decreto-Legge 7 Ottobre n. 125)
Aggiornati: Cap. 1.7, Cap. 2, Cap 3.2, Cap. 3.3, Cap. 3.4, Cap. 3.5, Cap. 3.6, Cap 3.14.1, Cap. 4, 5.2 e Cap. 5.3.1.2
Aggiornati Allegato II – Normativa:
- DPCM 13 Ottobre 2020 misure efficaci al 13 Novembre 2020
- Decreto-Legge 7 Ottobre n. 125 proroga fino al 31 Gennaio 2021 dello stato di emergenza COVID-19
Certifico S.r.l.
21.0 08.09.2020 - Aggiornati: Cap. 1.3, 1.7, 2, 3.2, 3.,3, 3.4, 3.5, 3.6, 3.8, 3.13, 5.2
- Aggiornato Cap. 3.14.1 (Circolare 13 del 4 Settembre 2020)
- Aggiornato Cap. 3.14.2 (Circolare 13 del 4 Settembre 2020)
- Aggiornato Cap. 4. (Circolare 13 del 4 Settembre 2020)
- Aggiunti Allegato II - Normativa:
- DPCM 07 settembre 2020 misure efficaci fino al 7 ottobre 2020
Circolare 13 del 4 Settembre 2020 (Chiarimenti lavoratori fragili)
Certifico S.r.l.
20.0 08.08.2020 - Aggiornati: Cap. 1.3, 1.7, 2, 3.2, 3.,3, 3.4, 3.5, 3.6, 3.8, 3.13, 5.2
- Modificata Sez. 5.3.1.1 Validazione straordinaria ed in deroga dei DPI
- Aggiunta Sez 5.3.1.2 Validazione in deroga Mascherine e DPI separati se Produttori UE o Importatori
- Aggiornata Sezione: Allegato II – Normativa:
- DPCM 07 agosto 2020 misure efficaci fino al 7 settembre 2020
Certifico Srl
19.0 31.07.2020 Legge 17 luglio 2020 n. 77 Sez aggiunta al Cap. 5.3.1
- Aggiornata Sezione: Allegato II – Normativa:
- - Delibera del CdM 29 luglio 2020 proroga fino al 15 Ottobre 2020 dello stato di emergenza COVID-19
- - DPCM 14 luglio 2020 prorogato non oltre il 10 agosto 2020 (Art. 1 c. 5 D.L. 30 luglio 2020 n. 83)
Certifico Srl
18.0 15.07.2020 - Aggiornato Cap. 2
- Aggiornata Sezione: Allegato II – Normativa:

- - DPCM 14 luglio 2020 proroga fino al 31 luglio delle misure del DPCM 11 giugno 2020
Certifico Srl
17.0 13.06.2020 Nella Rev. 17.0 è stato/a:
- Aggiornata Sezione Coronavirus a seguito della pubblicazione della Direttiva (UE) 2020/739
- Aggiornato Cap. 1.3 Strategie di Prevenzione Premessa - Allegato 10 DPCM 11 Giugno 2020. (Cap. 1.3)
- Aggiornato Cap. 2. Attività non sospese. (Cap. 2)
- Aggiornato Cap. 5.2 Misure generali di protezione DPCM 11 Giugno 2020. (Cap. 5.2)
- Aggiornata Sezione: Allegato II - Normativa
- - Aggiunta Circolare n. 17664 del 22.05.2020
- - Aggiunto DPCM 11 Giugno 2020
Certifico Srl
16.0 31.05.2020 - Aggiunto Cap. Dettaglio Apprestamenti anticontagio (3.8)
- - 3.8 Dettaglio Apprestamenti anticontagio
- - 3.8.1 Misura temperatura corporea
- - 3.8.2 Barriere
- - 3.8.3 Segnaletica distanze a terra
- - 3.8.4 Dispenser disinfettanti
- - 3.8.5 Segnaletica / Informativa
- Aggiunto Cap. Dettaglio Dispositivi anti contagio (3.9)
- Aggiunto Cap. Dettaglio Formazione del personale (3.10)
Certifico Srl
15.0 29.05.2020 - Aggiornato Cap. 0 sul tempo di persistenza e disinfettanti  Circolare Min. Salute n. 0017644 del 22.05.2020 (Cap. 0)
- Aggiornato Cap. Sanificazione (Cap. 3.8.1)
- Aggiunto Cap. Prodotti disinfettanti (Cap. 3.8.2)
- Aggiornato Cap. Normativa di riferimento / Norme tecniche / Altri (Cap. 3.8.3)
- Aggiunto Cap. Aerazione locali e impianti di condizionamento Rapporto ISS n. 5/2020 Rev. 25.05.2020 (Cap.3.9)
- Aggiunta Circolare Min. Salute n. 0017644 del 22.05.2020 (Cap. 5.1)
Certifico Srl
14.0 17.05.2020 - Inserito il D.P.C.M. 17 maggio 2020 
- Inserito COVID-19 Tempo di permanenza e disinfettanti (Cap. 0)
- Inserite Note Sanificazione ISS e altri (cap. 3.8.1)
- Inserito Ruolo medico competente lavoratori fragili (Cap. 3.10.1)
- Aggiornato paragrafo su Valutazione del Medico Competente (Cap. 4)
- Aggiunto paragrafo “Firme comitato” nel paragrafo finale “Firme” del DVR (Cap. 6)
- Aggiunto Linee guida / Linee CSR del 16 maggio 2020 /Ordinanze regionali (Cap. 3.7) 
- Modificato Misure generali di protezione DPCM 17 Maggio 2020 (Cap. 5.2) 
- Aggiornato Allegato II – Normativa 
- Eliminati Cap. 
- - 2.1 Comunicazione sospensione attività 
- - 2.1.1 Modello attività commerciali al dettaglio 
- - 2.1.2 Modello attività produttive industriali e commerciali 
- - 2.1.3 Modello attività dei servizi di ristorazione
- - 2.1.4 Modello attività dei servizi alla persona
Certifico Srl
13.0 03.05.2020 - Inserito Cap. 3.8 Segnaletica/Informative
- Inserito Cap. 3.9 Misure lavoratori fragili
Certifico Srl
12.0 27.04.2020 - Inserito DPCM 26 Aprile 2020;
- Protocollo condiviso COVID – 19 cantieri edili(p. 3.3)
Certifico Srl
11.0 24.04.2020 - Aggiornato con il nuovo Protocollo condiviso covid-19 negli ambienti di lavoro del 24.04.2020 che integra il 
Protocollo condiviso covid-19 negli ambienti lavoro del 14 marzo 2020.
- Aggiunta Nuova Sezione 3.6 “Altri Protocolli specifici”.

Il Protocollo generale, elencato in forma check list al Cap. 3.1, in rosso le Integrazioni del Protocollo 24.04.2020
al Protocollo del 14 Marzo 2020
Certifico Srl
10.0 23.04.2020 - Modificato il Metodo di Valutazione del Rischio in accordo con il
Documento tecnico rimodulazione misure anticontagio SARS-CoV-2 luoghi di lavoro - INAIL
- Aggiunto il Protocollo sicurezza Covid dipendenti PA
- Aggiunto capitolo Termografi/misuratori di temperatura corporea EM – (Allegato I)
- Aggiunto “Documento tecnico rimodulazione misure anticontagio SARS-CoV-2 luoghi di lavoro - INAIL
Certifico Srl
9,0 17.04.2020 - Aggiunto capitolo 3.5 Pulizia/Disinfezione/Sanificazione
- Normativa Pulizia/Disinfezione/Sanificazione
Certifico Srl
8.1 13.04.2020 - Aggiornato il metodo di stima del rischio COVID-19 Certifico Srl
8.0 11.04.2020 - Revisionato l'intero documento in accordo DPCM 10 Aprile 2020
- Aggiunto DPCM 10 Aprile 2020
- Aggiunto Capitolo I.3 Distanza interpersonale
- Eliminati:
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 marzo 2020 
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2020
Certifico Srl
7.1 03.04.2020 - Aggiunto estratto “Guidance on Preparing Workplaces for COVID-19” OSHA
- Inserito DPCM 01 Aprile 2020
- Aggiunto capitolo 5 “Valutazione del Medico Competente”
Certifico Srl
7.0 29.03.2020 - Aggiunta Sezione D. Attività ambientale/rifiuti (D)
- Protocollo per prevenzione e sicurezza dei lavoratori
settore rifiuti
(3.3)
- Aggiunta Sezione mascherine chirurgiche EN 14683 (4.3.1)
- Aggiornato Metodo di stima del livello di rischio (p. 1.1)
Certifico Srl
6.1 26.03.2020 - Aggiornato Elenco attività sospese DM 25 Marzo 2020
- Aggiunto DM 25 Marzo 2020
- Aggiornato diagramma Sezione 1.2
Certifico Srl
6.0 23.03.2020 - Elenco attività sospese di cui al D.P.C.M. 22 Marzo 2020
- aggiornato D.P.C.M. 8 Marzo 2020
- Aggiunto D.P.C.M. 22 marzo 2020
- Aggiunta Sezione 2 e altre
Certifico Srl
5.0 21.03.2020 - Metodo per la stima del rischio (p. 1.1)
- Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento
della diffusione del COVID – 19 settore trasporto e logistica
(p.3.1)
Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento
della diffusione del COVID – 19 cantieri edili
 (p. 3.2)
Certifico Srl
4.1 18.03.2020 Precisazioni su D.Lgs. 81/2008 Art. 269. Comunicazione  Certifico Srl
4.0 15.03.2020 Protocollo regolazione virus Covid-19 negli ambienti di lavoro
Circolare n. 15350 del 12 marzo 2020
Certifico Srl
3.0 12.03.2020 D.P.C.M 11 Marzo 2020 | Ulteriori disposizioni attuative COVID 19 Certifico Srl
2.0 08.03.2020 D.P.C.M. 8 Marzo 2020 | Ulteriori disposizioni attuative COVID 19  Certifico Srl
1.0 02.03.2020 D.P.C.M. 1° Marzo 2020 | Ulteriori misure COVID-19 Certifico Srl
0.0 26.02.2020 --- Certifico Srl

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