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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 19646 | 08 Maggio 2019

ID 16481 | | Visite: 1348 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/16481

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 3 dell'08 maggio 2019 n. 19646

Infortunio mortale durante la realizzazione di una trincea per il posizionamento di tubature. Responsabilità del direttore dei lavori

Presidente: ACETO ALDO
Relatore: CORBETTA STEFANO
Data Udienza: 08/01/2019

Fatto

1. Giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 40817 del 2012, deliberata il 10/07/2012 e depositata il 17/10/2012, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania, appellata dal P.G. e dalla parte civile, condannava V.P., T.M. e E.G.G. alla pena di due anni di reclusione ciascuno, condizionalmente sospesa per tutti gli imputati, in relazione al delitto di cui all'art. 589 cod. pen. in danno dell'operaio G.V..
2. Va premesso, per una migliore comprensione della vicenda, che agli imputati - nelle rispettive qualità di appaltatore di lavori per conto del Comune di Laurino il V.P., subappaltatore dei lavori e titolare della s.r.l. CO.GE.M. il T.M., di direttore tecnico di cantiere il E.G.G. - era addebitato di avere omesso il rispetto delle misure di sicurezza antinfortunistiche, così cagionando per colpa il decesso dell'operaio G.V., il quale, intento al lavoro di scavo all'interno di una trincea profonda due metri, veniva travolto dallo smottamento del terreno, rimanendo seppellito. Fatto accertato in Laurino il 6 giugno 2000.
In particolare, al V.P. e T.M. era stato contestato di non aver predisposto il piano di coordinamento dei lavori in cui rilevare i rischi per la sicurezza dovuti alla contemporanea presenza delle due imprese; al E.G.G. era stato addebitato che, in qualità di direttore tecnico del cantiere, non aveva fatto rispettare le prescrizioni del piano di sicurezza dell'appaltatore e, in specie, quelle relative al contrasto delle pareti degli scavi per evitare i crolli.
3. In riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Vallo della Lucania - che aveva dichiarata non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere il reato estinto per prescrizione - con sentenza del 3 ottobre 2011 la Corte di Appello di Salerno, dopo avere rilevato che la prescrizione era stata erroneamente pronunciata, in quanto il relativo termine era di quindici anni e non di sette anni e sei mesi, e quindi non era ancora maturato, giudicando nel merito assolveva gli imputati per non aver commesso il fatto. Osservava la Corte di merito che dall'istruttoria svolta era emerso che le lesioni che avevano condotto alla morte il E.G.G. - riconducibili a un violento trauma con conseguente lacerazione del fegato e spappolamento del rene destro - non erano compatibili con il seppellimento, ma erano ricollegabili a un colpo ricevuto dalla benna dell'escavatrice azionata dal collega di lavoro D.P.. Infatti, l'entità del trauma non era compatibile con l'urto di pietre, le quali, peraltro, non erano presenti nello scavo, né poteva attribuirsi un rilievo concausale alla condotta degli imputati, in quanto non vi era alcuna prova che la benna fosse stata azionata per soccorrere l'operaio dopo il crollo della trincea e il parziale seppellimento della vittima.
4. Con sentenza n. 40817 del 2012, in accoglimento del ricorso promosso dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Salerno e dalle parti civili D.G. e F.G., questa Corte annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo esame.
La Corte premetteva che nel corso del processo erano state prospettate tre diverse ipotesi sulla causa della morte dell'operaio G.V.: 1) secondo il capo di imputazione, la causa della morte sarebbe stato il seppellimento della vittima nella trincea scavata e priva di armature di sostegno nei fianchi dello scavo, dal che la responsabilità dei tre imputati per non avere provveduto all'installazione dei presidi antinfortunistici; 2) secondo un'altra ipotesi ricostruttiva, una volta patito il seppellimento, per salvare il E.G.G., vista l'impossibilità in tempi rapidi di scavare il terreno, era stata utilizzata la benna dal D.P. per rimuovere la massa di terreno e, per un'errata j^r manovra, l'operaio sarebbe stato colpito provocandogli le lesioni letali; anche secondo tale ricostruzione, sarebbe possibile ipotizzare una responsabilità degli imputati, in quanto, con la loro condotta colposamente omissiva, avevano posto in essere un antecedente necessario per il verificarsi dell'evento; 3) secondo una terza ipotesi ricostruttiva, accolta dalla Corte di Appello, l'esclusivo responsabile del fatto di reato era da individuarsi nel D.P., conducente dell'escavatore, il quale, durante l'ordinario lavoro, aveva colpito con la benna il V.G. provocandogli le ferite mortali; di conseguenza, la morte sarebbe stata determinata esclusivamente dall'azione malaccorta del D.P., senza alcuna incidenza causale dell'irregolarità dello scavo ove il V.G. era poi rotolato.
Ciò chiarito, dopo aver ribadito che, nel caso di specie, non era ravvisabile alcuna violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto la causalità alternativa era stata introdotta come argomento difensivo per escludere la responsabilità degli imputati secondo l'originaria imputazione, la Corte di Cassazione ha censurato la sentenza assolutoria, essendo viziata da erronea applicazione della legge e da vizio di motivazione, "laddove, dopo avere ritenuto che le lesioni letali siano state inferte dalla benna per una errata manovra del D.P., prima che il V.G. cadesse nello scavo, non ha valutato la incidenza della condotta omissiva degli imputati, i quali non hanno adottato misure idonee ad evitare che l’operaio V.G. lavorasse al di fuori della sfera di operatività della benna e, quindi, senza reciproca pericolosa interferenza". 
La Corte ha richiamato, a tal proposito, il disposto dell'art. 118, comma 3, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (che ha sostituito, riproducendone il contenuto, l'art. 12 d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, vigente all'epoca del fatto), a tenore del quale "nei lavori di escavazione con mezzi meccanici deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco". La Corte ha chiarito come "la violazione di tale obbligo è stata più volte fonte di affermazione di responsabilità di coloro che erano tenuti all'attuazione e controllo delle misure di sicurezza (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 46719 del 14/10/2009, dep. 04/12/2009, Rv. 245612; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 31296 del 17/05/2005, dep. 19/08/2005, Rv. 231658)". La Corte ha perciò annullato la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Napoli "perché valuti la sussistenza della responsabilità degli imputati, anche in relazione all'ipotesi ricostruttiva che il traumatismo mortale sia stato determinato dall'errata manovra della benna, ciò per l'omesso rispetto delle norme che vietano l'interferenza tra operai ed escavatore durante l'attività operativa di quest'ultimo macchinario".
5. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli ha ravvisato la penale responsabilità degli imputati, palese essendo l'incidenza che ebbe sull'eziologia dell'incidente (provocato dalla manovra malaccorta dell'escavatore posta in essere dall'operaio D.P.) la condotta omissiva degli imputati medesimi, i quali, nelle rispettive qualità sopra indicate, avevano violato la prescrizione di cui all'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008, che impone l'adozione di misure idonee a tutelare l'incolumità fisica dei lavoratori in caso di utilizzo di escavatori.
6. Avverso l'indicata sentenza, E.G.G., per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
6.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 18, comma 8, l. n. 90 del 1955, 2087 cod. civ., 4 d.P.R. n. 547 del 1995, 299 d.lgs. n. 81 del 2008 e relativo vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza della titolarità della posizione di garanzia. Assume il difensore che la Corte territoriale avrebbe ravvisato in maniera apodittica, in capo al E.G.G., la qualifica di direttore del cantiere, come emergerebbe da alcuni passi della deposizione del teste Paladino, non essendo dimostrativa in tal senso la scheda dei dati aziendali contenuta nel piano di sicurezza, trasmessa al Comune di Laurino in data 19 luglio 1999, in quanto documento non attribuibile al ricorrente ma confezionato unilateralmente dal titolare della ditta appaltatrice, e non essendo dimostrata l'accettazione dell'incarico da parte del E.G.G.. In ogni caso, sul punto la Corte d'appello avrebbe omesso di considerare le specifiche deduzioni difensive.
6.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione dell'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 e relativo vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe tautologica, assiomatica e disancorata dagli elementi probatori, considerando che la vittima non sarebbe stata attinta dalla benna in un contesto di operatività del mezzo, ma dopo che lo scavo era stato ultimato, come emergerebbe dalla deposizione del teste D.P., le cui dichiarazioni sarebbero state travisate o, comunque, non correttamente apprezzate.
6.3. Con il terzo motivo si eccepisce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. per violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza. Deduce il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare se l'imputato abbia avuto modo di difendersi in relazione al profilo di colpa specifica posto a fondamento del giudizio di responsabilità, diverso da quello contestato nell'Imputazione, e costituito dall'inosservanza dell'obbligo di verificare che nel raggio di azione dell'escavatore non stazionassero operai.
7. Con memoria depositata il 3 settembre 2009, il difensore dell'imputato insiste nell'accoglimento dei motivi ribadendo che: a) il ricorrente non svolgeva effettivamente le funzioni di direttore di cantiere - questione in relazione alla quale la Corte territoriale avrebbe omesso di dare risposta b) sarebbe ravvisabile la violazione del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, come interpretato dalla giurisprudenza elaborata sul punto dalla Corte EDU a partire dalla nota sentenza "Drassich"; c) la Corte territoriale avrebbe fornito una lettura distorta dell'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, si osserva, in primo luogo, che in sede di rinvio, la Corte territoriale era tenuta a valutare "la sussistenza della responsabilità degli imputati, anche in relazione all'ipotesi ricostruttiva che il traumatismo mortale sia stato determinato dall'errata manovra della benna, ciò per l'omesso rispetto delle norme che vietano l'interferenza tra operai ed escavatore durante l'attività operativa di quest'ultimo macchinario".
In ogni caso, per costante giurisprudenza di questa Corte, va ribadito che il direttore dei lavori nominato dal committente è responsabile dell'infortunio sul lavoro quando gli viene affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell'organizzazione del lavoro (Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003 - dep. 31/12/2003, Viscovo, Rv. 227070; Sez. 4, n. 1559 del 26/11/1993 - dep. 08/02/1994, Disca, Rv. 197086).
Invero, premesso che l'infortunio ebbe a verificarsi per l'omessa adozione delle misure antinfortunistiche previste dall'art. 12 d.P.R. n. 164 del 1956, non può sostenersi che il E.G.G., quale direttore dei lavori del cantiere, non assumesse una posizione di garanzia rispetto alla sicurezza del luogo di lavoro e non fosse destinatario al pari dell'appaltatore e del subappaltatore, delle norme antinfortunistiche e, in particolare, di quella appena indicata. Contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, egli è fra i soggetti penalmente responsabili della mancata attuazione delle misure antinfortunistiche e ciò ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 164 del 1956 che richiama gli artt. 4, 5 e 6 del d.P.R. n. 547 del 1955. Peraltro, come ammesso dalle stesso ricorrente, egli era stato nominato direttore del cantiere (si veda anche la produzione fotografica in atti effigiante la fotografia dei dati relativi all'appalto, in cui, appunto il "direttore di cantiere" è in indicato nel "geom. E.G.G.") e, in ogni caso, vale il principio dell'effettività delle mansioni e, a dimostrazione che l'incarico svolto dal E.G.G. non fosse né saltuario, né occasionale, depone il fatto che egli, come accertato nella sentenza della Corte d'appello di Salerno del 3 ottobre 2011, accorse immediatamente sul luogo dell'infortunio, a riprova che alla qualifica formale corrispondevano i poteri ad essa connessi.
La responsabilità dell'evento è riconducibile, quindi, alle condotte omissive dell'appaltatore, del subappaltatore e anche del direttore del cantiere, per il principio della responsabilità concorsuale, e non alternativa, tra di loro delle diverse posizioni di garanzia.
3. Il secondo motivo è inammissibile in tutti i suoi profili.
3.1. Quanto alla ricostruzione delle cause dell'infortunio mortale, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata con apprezzamento fattuale logicamente argomentato e aderente alle emergenze processuali, il decesso del V.G. fu provocato da un colpo inferto dalla benna dell'escavatore del D.P., il quale stava effettuando la realizzazione di una trincea per il posizionamento di tubature. E difatti, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale sulla scorta degli esiti della consulenza medico-legale: la morte dell'operaio sopraggiunse per un'imponente e irrefrenabile emorragia, determinata dalla lacerazione del fegato e dallo spappolamento del rene destro; le lesioni riscontrate interessano la regione anteriore destra ed erano del tutto compatibili con l'azione esercitata dalla benna dell'escavatrice, corpo contundente di notevole forza cinetica, manovrato dall'operaio D.P.. Al cospetto di tale motivazione, il ricorrente pretende una diversa spiegazione degli accadimenti, che non è ammissibile in sede di legittimità.
3.2. Quanto, poi, all'interpretazione dell'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 (secondo cui "nei lavori di escavazione con mezzi meccanici deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco"), va osservato che la Corte di cassazione, in sede di annullamento con rinvio, ne ha fornito una chiara interpretazione, vincolante per il giudice del rinvio, precisando che, come si è detto, "la violazione di tale obbligo è stata più volte fonte di affermazione di responsabilità di coloro che erano tenuti all'attuazione e controllo delle misure di sicurezza". Uniformandosi a tale principio, la Corte territoriale ha accertato che il ricorrente, unitamente agli altri imputati nelle qualità loro rispettivamente ascritte, non adottò alcuna misura idonea ad evitare che l'operaio V.G. lavorasse al di fuori della sfera di operatività della benna, e, quindi, in una zona immune dalla pericolosa interferenza con il mezzo meccanico. La Corte, infine, ha parimenti escluso che la vittima avesse posto in essere, nell'espletamento delle proprie mansioni, un comportamento imprevedibile, eccezionale o abnorme, tale, quindi, da spezzare il nesso eziologico tra la condotta colposa dell'imputato e il verificarsi dell'evento lesivo.
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Al proposito, è sufficiente richiamare, ancora una volta, quanto già affermato dalla sentenza resa da questa Corte in sede di annullamento con rinvio, laddove ha dato continuità al costante orientamento di legittimità secondo cui "per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, dep. 13/10/2010, Rv. 248051).
Alla luce di tale principio, la Corte, nel caso di specie, ha affermato che "valutare la sussistenza della responsabilità degli imputati sulla base di una diversa ricostruzione del fatto, rispetto a quella contenuta nel capo di imputazione, non costituisce violazione del principio di correlazione, soprattutto quando, come nel caso che ci occupa, la causalità alternativa è stata introdotta come argomento difensivo per escludere la responsabilità degli imputati secondo la originaria imputazione". Il motivo, riproposto in questa sede, è perciò inammissibile.
5. Si osserva, infine, che il reato non è prescritto.
Invero, poiché il fatto è stato commesso il 06/06/2000, il termine massimo di prescrizione, pari a quindici anni, cui devono sommarsi 162 giorni di sospensione (dal 23/10/2015 al 25/11/2015, pari a 33 giorni, per rinvio su istanza della difesa, dal 25/11/2015 al 02/02/2016, pari a 69 giorni, per rinvio su istanza della difesa, dal 01/03/2005 al 29/11/2005, pari a 60 giorni, per legittimo impedimento del difensore), è maturato il 15/11/2015, e quindi prima della sentenza impugnata.
Va chiarito che nessuna efficacia può esplicare la rinuncia alla prescrizione espressa dall'imputato in data 23/10/2015, in quanto, a quella data, non era ancora decorsa; invero, per pacifica giurisprudenza, la rinunzia dell'imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima (da ultimo cfr. Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017 - dep. 19/10/2017, Comat Srl e altri, Rv. 271292).
Nondimeno, va rilevato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (per tutti, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818), come è. avvenuto nel caso di specie.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in 
dispositivo; consegue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili D.G. e F.G. nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna il ricorrente alla rifusione in favore delle parti civili delle spese del grado che liquida in euro 3.000 ciascuna, oltre spese generali nella misura del 15%, c.p.a. ed i.v.a.
Così deciso il 08/01/2019.

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