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Norme tecniche nel TUS

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Norme Tecniche TUS

Norme tecniche nel TUS

Il presente documento è stato elaborato per l'importanza che rivestono le norme tecniche nella gestione degli Obblighi del D.Lgs. 81/08, e riporta tutti i riferimenti delle norme tecniche a cui rinvia genericamente (Parte A) o specificatamente (Parte B) il Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/08.

Nella Parte A, vengono elencati i rifermenti come rinvio generico all’applicazione della norma tecnica, definita all’articolo 2 del Dlgs 81/08, ovvero quale specifica tecnica, approvata e pubblicata da un’organizzazione internazionale, da un organismo europeo o da un organismo nazionale di normalizzazione, la cui osservanza non sia obbligatoria.

Nella Parte B vengono individuati nel corpo del TUS i riferimenti di specifiche norme tecniche. Per quanto attiene le norme tecniche individuate nel TUS, che risultano non essere più in vigore, sono riportati i riferimenti delle norme ad oggi vigenti.

Definizione di norma tecnica:

Norme Tecniche TUS 01

Parte A - Rinvio generico all’applicazione delle norme tecniche nel TUS

Norme Tecniche TUS 02

Segue

PARTE B. Indicazione delle norme tecniche specifiche

Norme Tecniche TUS 04

Segue

Certifico Srl - IT Rev. 00 2018

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Allegato riservato Norme tecniche nel TUS Rev. 00 2018.pdf
Certifico S.r.l. - Rev. 00 2018
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Macchine non a norma: è possibile la vendita per "riparazione"

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macchine non a norma vendita riparazione

Macchine non a norma: è possibile la vendita per "riparazione"

Con il recente Interpello n. 1 del 13 Dicembre 2017 e la menzionata (nello stesso) Sentenza della Cassazione Penale, Sez. 3, 01 ottobre 2013, n. 40590, possono occorre i termini per la vendita di una macchina non a norma (comunque vietata dall'Art 33), "laddove la vendita venga effettuata per un esclusivo fine riparatorio della macchina in vista di una futura utilizzazione, una volta ripristinata e messa a norma".

E' il caso di vendita ad una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma"con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all’origine.

In particolare, nella pronuncia della Sentenza della Cassazione Penale, Sez. 3, 01 ottobre 2013, n. 40590, si afferma che sulla base di “[...] un principio di ragionevolezza, non disgiunto da una regola di ordine economico generale [...] fermo restando che è vietato l’impiego di macchinari non a norma con la conseguenza che una vendita di prodotti di tal fatta è, di regola, vietata stante la conseguenzialità e normalità dell’impiego della macchina nel ciclo produttivo, nell’ottica del passaggio del prodotto industriale alla fase economica successiva (utilizzo), laddove quest’ultimo passaggio non vi sia (come nel caso dello stazionamento del macchinario presso una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all’origine), non può ritenersi vietata la vendita di un macchinario in quanto avente uno scopo ben circoscritto, senza alcuna previsione di utilizzazione.”

Accordo riparazione macchine non a norma

Modello accordo di "riparazione" macchine non a norma

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D.M. 13 ottobre 1994

ID 5724 | | Visite: 8520 | Prevenzione Incendi

D.M. 13 ottobre 1994

Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei depositi di G.P.L. in serbatoi fissi di capacità complessiva superiore a 5 mc(1) e/o in recipienti mobili di capacità complessiva superiore a 5.000 kg.

G.U. 12/11/1994, n. 265

Fonte: VVF

L'impatto e la diffusione delle ICT

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ICT 2018 INAIL

L'impatto e la diffusione delle ICT

La diffusione delle information and communication technology (ICT) ha comportato profondi cambiamenti che influenzano la società, il mercato e l’organizzazione del lavoro nonché le abitudini di vita.

I nuovi processi collegati alle ICT, oltre a creare nuove opportunità di lavoro e migliorarne la qualità, possono anche determinare l’insorgenza di nuovi rischi. È importante analizzare le opportunità e le criticità derivanti dall’uso delle ICT e di comprendere quale sia l’impiego da parte delle aziende in ambito di salute e sicurezza sul lavoro, anche alla luce delle trasformazioni in atto nelle modalità di lavoro e nei processi informativi/formativi.

__________

ICT: INNOVAZIONE NELLE MODALITÀ FORMATIVE NEL SETTORE SSL

L’accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 ha introdotto diversi elementi di novità in merito alla durata e ai contenuti minimi dei percorsi formativi per responsabili e addetti dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP/ ASPP) e ha apportato modifiche agli accordi che regolamentano la formazione delle altre figure in materia di salute e sicurezza sul lavoro (SSL).

Nell’accordo è stato, infatti, dedicato ampio spazio alla metodologia di insegnamento e di apprendimento, sia per quanto attiene alla modalità di formazione in presenza che in modalità a distanza, con la finalità di uniformare, per quanto possibile, i criteri di qualificazione della formazione rivolta ai soggetti con ruoli in materia di prevenzione e di fornire un quadro di riferimento completo e di facile lettura per il datore di lavoro e gli operatori del settore.

In particolare l’allegato II riporta i requisiti e le specifiche di carattere organizzativo e tecnico per lo svolgimento della formazione in SSL in modalità e-learning, unitamente ai profili di competenze per la gestione didattica e tecnica e alla documentazione che l’ente erogatore deve predisporre ai fini della certificazione della formazione.

Al fine di superare le incertezze applicative in tema di formazione in e-learning è stato chiarito che per i corsi in materia di SSL tale modalità è da ritenersi valida solo se espressamente prevista da norme, accordi o dalla contrattazione collettiva come nel caso della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS).

L’accordo ha esteso la possibilità di utilizzare la modalità e-learning al Modulo A per RSPP/ASPP e alla formazione specifica per i lavoratori a rischio basso, così come riportato nell’allegato II dell’accordo del 21 dicembre 2011. Poiché la formazione specifica per i lavoratori deve essere riferita all’effettiva mansione svolta tenendo conto degli esiti della valutazione dei rischi, l’e-learning vale anche per la formazione specifica dei lavoratori che, a prescindere dal settore di appartenenza, non svolgono mansioni che comportino la loro presenza, anche saltuaria, nei reparti produttivi e d’altro canto non è consentito per tutti quei lavoratori che svolgono mansioni che li espongono ad un rischio medio o alto anche se operano in aziende inserite nel rischio basso. 

ICT: NUOVE MODALITÀ DI LAVORO

ICT: DISTORSIONI D’USO

ICT: PIATTAFORME SOCIAL E DI COLLABORAZIONE SUL LAVORO

ICT E BENESSERE DEI LAVORATORI

Fonte: INAIL

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 1/2018

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 1 del 14 Febbraio 2018

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 14 Febbraio 2018 (n. 1/2018):

14/02/2018 - n. 01/2018 Destinatario: ANIP
Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - Risposta al quesito relativo agli obblighi di cui all’art. 18, comma 1, lettera b), del Dlgs 81/08 e al D.M. 10 marzo 1998, per un datore di lavoro che svolga le proprie attività esclusivamente presso unità produttive di un datore di lavoro committente.

L’ANIP, su segnalazione di una propria Associata che, erogando servizi a soggetti committenti, “si trova nella condizione di non avere la disponibilità giuridica ed esclusiva dei luoghi in cui si svolge l’appalto, ma utilizza locali della Committenza (spogliatoi, magazzini, uffici) e soprattutto eroga i servizi in tutti gli ambienti (reparti, hall, corridoi, stanze, spazi esterni, uffici, ambulatori, laboratori, officine, ecc.)”, ha richiesto alla Commissione un parere formale sui tre quesiti che seguono:

“1) Per un DL che svolge le proprie attività esclusivamente presso unità produttive del DL Committente, l’obbligo imposto dall’art. 18, comma 1, lettera b), del Dlgs 81/08 può ritenersi assolto attraverso la presa d’atto che il DL committente ha predisposto un PGE che coinvolge anche eventuali lavoratori di Aziende terze?

2) Le sue squadre di emergenza e primo soccorso possono considerarsi sufficienti per tutelare tutti i Soggetti, anche Appaltatori, presenti nei suoi luoghi di lavoro?

3) La presa d’atto che il DL committente ha predisposto un PGE che coinvolge anche eventuali lavoratori di Aziende terze, e ha nominato le squadre di emergenza e primo soccorso, potrebbe avvenire nell’ambito delle misure di cooperazione e coordinamento già previste all’art. 26 del T.U. Sicurezza: questa presa d’atto, formalizzata attraverso un verbale di condivisione del PGE stesso, è sufficiente per ritenere soddisfatto l’obbligo per l’Appaltatore di cui all’art. 18, comma 1, lettera b),Dlgs 81/08?"

Al riguardo occorre premettere che l’articolo 18 - Obblighi del datore di lavoro e del dirigente, comma 1, lettera b), del Dlgs 81/08 prevede che: “Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: (…) b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza”.

L’art. 43, comma 2, del Dlgs 81/08 prevede, inoltre, che “ai fini delle designazioni di cui al comma 1, lettera b) - ossia dei lavoratori di cui all’articolo 18, comma 1, lettera b) - il datore di lavoro tiene conto delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici…”.

In considerazione, dunque, di quanto previsto dal citato articolo 43, comma 2, del Dlgs 81/08 il numero degli addetti non può essere aprioristicamente determinato, in quanto la designazione dei lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza, deve avvenire sulla base degli esiti della valutazione dei rischi e del piano di emergenza, qualora sia previsto.

L’articolo 46, comma 4), del Dlgs 81/08 stabilisce che: “Fino all’adozione dei Decreti di cui al comma 3, continuano ad applicarsi i criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro di cui al decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998”.

[...]

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Circolare prot. n. 3468/4122 del 6/4/1993

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Circolare prot. n. 3468/4122 del 6/4/1993

Registro manutenzione edilizia scolatica

Il registro è composto da fogli numerati ove sono annotati gli interventi di manutenzione e ispezione periodica, con date e firme degli addetti e ragguagli sulle esercitazioni svolte.
________

D.M. 26 agosto 1992 “Norme di prevenzione incendi per l'edilizia scolastica”. 

D.M. 12 maggio 2016 “Prescrizioni per l'attuazione, con scadenze differenziate, delle vigenti normative in materia di prevenzione degli incendi per l'edilizia scolastica”.

12. Norme di esercizio 

A cura del titolare dell'attività dovrà essere predisposto un registro dei controlli(39) periodici ove sono annotati tutti gli interventi ed i controlli relativi all'efficienza degli impianti elettrici, dell'illuminazione di sicurezza, dei presidi antincendio, dei dispositivi di sicurezza e di controllo, delle aree a rischio specifico e dell'osservanza della limitazione dei carichi d'incendio nei vari ambienti dell'attività. 

Tale registro deve essere mantenuto costantemente aggiornato e disponibile per i controlli da parte dell'autorità competente. 

12.0. Deve essere predisposto un piano di emergenza e devono essere fatte prove di evacuazione, almeno due volte nel corso dell'anno scolastico.

Linee guida per la prevenzione rischio servizi necroscopici

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Linee guida novembre 2017

Linee guida per la prevenzione del rischio biologico nel settore dei servizi necroscopici, autoptici e delle pompe funebri

Conferenza Stato - Regioni del 09.11.2017

Approvazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lett. z) del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, delle “Linee guida per la prevenzione del rischio biologico nel settore dei servizi necroscopici, autoptici e delle pompe funebri”. 

Repertorio Atti n.: 198/CSR del 09/11/2017 

Gli ambienti destinati al servizio mortuario devono corrispondere a quanto indicato nel DPR 285/90 e s.m. ed int. che, all'art. 66, definisce in particolare le caratteristiche minime delle sale per autopsie, nonchè rispettare le indicazioni della circolare del Ministero della Sanità n. 24 del 24/06/1993 ed inoltre quali luoghi in cui sono prestate attività lavorative devono risultare conformi alle disposizioni del D.Lgs. 81/08 sui luoghi di lavoro.

Nei confronti del rischio di esposizione ad agenti biologici per le attività nei servizi sanitari, comprese le unita di isolamento e post mortem, richiamate nel campo di applicazione del titolo X e Titolo X Bis del D.lgs. 81/08, trovano applicazione sia le misure tecniche, organizzative e procedurali genericamente previste nell'art. 272 sia le specifiche misure previste dagli articoli 273 e 274 dello stesso decreto.

Va inoltre evidenziato che nel caso di sospetta o accertata patologia da microrganismi di gruppo 3 o prioni l'eventuale riscontro autoptico richiesto dovrà essere effettuato solo nei centri autorizzati o comunque presso centri dotati di anatomia patologica di livello di biosicurezza 3. In caso di sospetta o accertata patologia da microorganismi di gruppo 4 l'esame autoptico non deve essere disposto.

Le linee guida analizzano le varie attività e i punti critici della procedura rispetto a procedure attuate, punti critici e misure di prevenzione per la corretta gestione del rischio biologico in caso di morte naturale in abitazione o in struttura ospedaliera o sanitaria residenziale o di degenza, riscontro autoptico e sezione della salma in sala settoria, attività a rischio per decessi da causa violenta in ambienti esterni, punti critici nell'esecuzione dell'attività e misure di prevenzione, livelli minimi di sicurezza ambientale ed organizzativa compatibili con lo svolgimento sicuro dell' attività per le strutture necroscopiche e funerarie.

Ad esempio nella constatazione del decesso i punti critici sono l’ispezione manuale della salma con possibile contatto con liquidi organici e feci, da percolazione da lesioni cutanee o provenienti da orifizi naturali, contaminazione superficie esterna dei DPl (camice, mascherina, occhiali), contaminazione accidentale della modulistica utilizzata.

Le misure di prevenzione indicano l’utilizzo dei DPI e attuazione di procedure corrette nel togliere gli stessi, evitando di toccare la superficie esterna e procedere ad immediata igiene delle mani con adeguato lavaggio prima di procedere agli adempimenti amministrativi.

La disposizione dei DPI non può, da sola, essere garanzia di efficacia e e deve essere accompagnata da una valutazione del rischio, sulla base della quale individuare le misure di protezione necessarie, e dalla realizzazione di azioni di sensibilizzazione, informazione, formazione ed addestramento.

Linee guida per la prevenzione del rischio biologico nel settore dei servizi necroscopici

Tabella - DPI Linee guida Conferenza Stato - Regioni del 09.11.2017

Le linee guida prevedono anche l’attività di formazione e di prevenzione. Il lavoratore deve ricevere una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza e in merito al rischio specifico che deve essere rinnovata per trasferimento o cambiamento di mansioni, per introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi, in seguito al verificarsi di esposizioni ad agenti biologici.

Nelle strutture o servizi sanitari dove si fa uso di dispositivi medici taglienti, ii datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la salute e sicurezza dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi alla vita professionale secondo quanto prescritto dagli articoli 286-ter e -quater del D.Lgs. 81/08.

Fonte: Conferenza Stato - Regioni 

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Cassazione Civile Sent. Sez. 6 n. 4037 | 20 Febbraio 2018

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Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile Sent. Sez. 6 20 febbraio 2018 n. 4037

Infortunio mortale: responsabilità direttore di cantiere e responsabile della sicurezza

Civile Ord. Sez. 6 Num. 4037 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: DELL'UTRI MARCO
Data pubblicazione: 20/02/2018

Rilevato

che, con sentenza resa in data 14/7/2016, la Corte d'appello di Milano, tra le restanti statuizioni, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato F.V., in solido con altri, al risarcimento dei danni subiti da OMISSIS in conseguenza del decesso del relativo congiunto, Y.H., avvenuto in occasione della prestazione, da parte di quest'ultimo, della propria attività lavorativa quale dipendente della società Heso Herzog & Sonderegger s.a. (ora Kummler+Matter AG) per la quale il F.V. esercitava le funzioni di direttore di cantiere e di responsabile della sicurezza;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha confermato la responsabilità del F.V. per l'inadempimento degli obblighi inerenti la sicurezza dei lavoratori impiegati nella propria azienda, a nulla rilevando la circostanza dell'eventuale assenza dello stesso dal cantiere all'interno del quale il lavoratore aveva perduto la propria vita, tenuto conto dei doveri di vigilanza e di custodia del cantiere nella specie totalmente disattesi;

che, avverso la sentenza d'appello, F.V. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d'impugnazione;

che la Ferrovienord s.p.a., la Zürich insurance Public Limited Company e la Kummler+Matter AG resistono con controricorso; che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede; che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell'art. 380-bis il ricorrente ha presentato memoria;
considerato che, con il primo motivo, il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata, nonché della violazione degli artt. 156 c.p.c. e 9 legge n. 890/82 (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di rilevare l'inesistenza della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio, siccome consegnato in luogo diverso da quello di residenza del convenuto, a nulla rilevando la successiva corretta destinazione della comunicazione di avvenuto deposito (c.d. CAD) presso l'effettiva e reale residenza dello stesso, attesa la radicale non sanabilità della notificazione (non già nulla, bensì) inesistente, e, in ogni caso, l'inapplicabilità dell'art. 156 c.p.c. in relazione alle notificazioni effettuate a mezzo posta, attesa la previsione rimediale speciale di cui all'art. 9 della legge n. 890/82;

che la censura è manifestamente infondata;

che, al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale, nel ritenere sanabile, ex art. 156 c.p.c., la notificazione eseguita in luogo diverso da quello dovuto (in ragione del collegamento obiettivo con la persona del destinatario), si è correttamente allineata al principio, fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il luogo in cui la notificazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell'atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo (cfr. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640604 - 01);
che, sotto altro profilo, del tutto priva di fondamento deve ritenersi la pretesa inapplicabilità del meccanismo di sanatoria di cui all'art. 156 c.p.c. alle ipotesi di notificazioni effettuate ai sensi della legge n. 890/82, trattandosi, con riguardo alla regola di cui all'art. 156, co. 3, c.p.c., di un principio di carattere generale, suscettibile di trovare applicazione in ogni ipotesi di procedimento notificatorio (cfr. ex plurimis, con riguardo alla notificazione a mezzo posta, Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 24823 del 05/12/2016, Rv. 642027 - 01);

che, peraltro, varrà considerare come parte ricorrente abbia del tutto trascurato di svolgere qualsivoglia considerazione critica sulle ragioni della pretesa inidoneità allo scopo della notificazione del recapito del secondo avviso, essendosi lo stesso limitato ad argomentare la sola pretesa inapplicabilità dell'art. 156, co. 3, c.p.c., omettendo di specificare se il ricevimento della notizia della notificazione, mediante il secondo avviso, gli abbia effettivamente impedito di costituirsi tempestivamente in primo grado (circostanza che, in ogni caso, quand'anche negativa, avrebbe comunque aperto all'interessato - ferma la sanatoria della nullità - la strada della richiesta di rimessione in termini ex art. 294 c.p.c.);

che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 4 del d.p.r. n. 547/55, nonché per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto, in capo al F.V., la qualità di direttore di cantiere e responsabile della sicurezza sulla base di un piano di sicurezza redatto dalla società datrice di lavoro che non risultava sottoscritto dal medesimo F.V., essendo stato quest'ultimo unicamente incaricato, dalla propria società, dello svolgimento di sole prestazioni di consulenza e assistenza tecnica;

che, con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto la responsabilità del ricorrente, in relazione al decesso del lavoratore, senza approfondire l'esame del carattere decisivo, sul piano causale, della condotta tenuta dallo stesso lavoratore in occasione dell'incidente in cui perse la vita;

che entrambi i motivi illustrati dal ricorrente - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione della risoluzione delle questioni dedotte - sono inammissibili;

che, al riguardo, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), il ricorrente si sia sostanzialmente spinto a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un'errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c.), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente il F.V. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa (con particolare riferimento all'esatta individuazione delle proprie mansioni all'interno della società Heso e al ruolo causalmente rilevante del comportamento del lavoratore in occasione della vicenda ch'ebbe a condurlo al decesso), rispetto a quanto operato dal giudice a quo, che, con riguardo al preteso vizio di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c., è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza del ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l'omissione rilevante ai fini dell'art. 360 n. 5 cit. (avendo il giudice a quo comunque considerato - anche attraverso il richiamo delle argomentazioni, fatte proprie, del giudice di primo grado - tanto il valore probatorio del piano di sicurezza contestato, quanto il ruolo causale del comportamento del lavoratore deceduto), bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all'intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d'indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, rilevata la manifesta infondatezza delle ragioni d'impugnazione proposte dal ricorrente, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui dispositivo, oltre al pagamento del
doppio contributo ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002;


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna parte, in complessivi euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile - 3, il 13 dicembre 2017.

Lavori elettrici in alta tensione

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INAIL Lavori elettrici in alta tensione 2018

Lavori elettrici in alta tensione

INAIL - Salute e sicurezza 22 Febbraio 2018

Con la pubblicazione del d.lgs. 81/2008 e delle norme CEI 11-15 e CEI 11-27, IV edizione, e con il recepimento della norma EN 50110-1:2013, sono a disposizione dei datori di lavoro tutte le disposizioni legislative e normative da mettere in atto per ridurre il rischio nei lavori con rischio elettrico.

Quanto è riportato nel testo di questo volume è di interesse per i lavoratori che si occupano dell’esercizio, della manutenzione o delle verifiche dei sistemi elettrici di impianti a tensione > 1000 V e per i lavoratori che svolgono la propria attività nei pressi di tali impianti, pur non avendo direttamente a che fare con essi.

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Il Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008 e s.m.i.) dedica un intero “Capo” (il III del Titolo III) all’attenzione che il datore di lavoro deve dedicare alla riduzione del possibile rischio elettrico.

Per la maggior parte dei lavoratori il rischio elettrico è qualcosa a cui sono esposti solo a seguito del venir meno delle barriere di sicurezza di cui sono stati dotati in fase realizzativa gli impianti o le apparecchiature, pertanto solo a seguito di un’errata realizzazione o di incuria nell’uso.

Vi sono invece lavoratori, come quelli che si occupano dell’esercizio, della manutenzione o delle verifiche dei sistemi elettrici, che hanno particolarmente a che fare con il rischio elettrico durante l’attività lavorativa.

Alcuni lavoratori, infine, svolgono la propria attività lavorativa nei pressi di impianti elettrici, pur non avendo direttamente a che fare con essi, ad esempio per la potatura di piante o per attività in cantieri che si sviluppano nei pressi di elettrodotti.

Con la pubblicazione del d.lgs. 81/2008 e delle norme CEI 11-15 e CEI 11-27, IV Edizione, e con il recepimento della norma EN 50110-1:2013, sono a disposizione dei datori di lavoro tutte le disposizioni legislative e normative da mettere in atto per ridurre il rischio nei lavori con rischio elettrico.

L’Inail ha preso parte all’evoluzione della normativa e svolge attività di ricerca e di formazione sulla valutazione del rischio anche in tale campo. Il presente lavoro ha lo scopo di presentare le disposizioni legislative e normative per i lavori in alta tensione o in prossimità di parti attive in alta tensione.

...

1. Obblighi di legge per i lavori elettrici sotto tensione a tensioni superiori a 1000 V a frequenza industriale
1.1 Introduzione
1.2 Definizioni
1.3 I lavori con rischio elettrico
1.3.1 I lavori sotto tensione in bassa tensione
1.3.2 I lavori sotto tensione in media e alta tensione
1.3.3 I lavori in vicinanza di parti attive
1.4. Il d.m. 4 febbraio 2011
1.4.1. La richiesta di autorizzazione per le aziende che effettuano i lavori sotto tensione in alta tensione
1.4.2. La richiesta di autorizzazione per i soggetti formatori per i lavori sotto tensione in alta tensione
2. La sicurezza nell’esecuzione dei lavori elettrici
2.1. Introduzione
2.2. Sicurezza
2.2.1. Esclusioni e manovre
2.2.2. Condizioni atmosferiche
2.2.3. Distanze elettriche
2.2.4. Comunicazioni
2.2.5. Piano di lavoro
2.2.6. Piano di intervento
2.2.7. Metodologie di lavoro
2.3. Esecuzione dei lavori
3. Il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 4 febbraio 2011
3.1. Introduzione
3.2. Campo di applicazione
3.3. La Commissione per i lavori sotto tensione
3.3.1. Composizione della Commissione per i lavori sotto tensione
3.3.2. Compiti della Commissione per i lavori sotto tensione
3.3.3. Organizzazione della Commissione per i lavori sotto tensione
3.4. L’organizzazione delle aziende che chiedono l’autorizzazione
3.5. L’organizzazione dei soggetti formatori
3.6. Documenti necessari per il rilascio dell’autorizzazione all’effettuazione dei lavori sotto tensione
3.7. Documenti necessari per il rilascio dell’autorizzazione dei soggetti formatori
3.8. Condizioni e validità delle autorizzazioni
4. Persone coinvolte nei lavori elettrici
4.1. Introduzione
4.2. Persona o Unità Responsabile dell’impianto elettrico
4.3. Persona designata alla conduzione dell’impianto elettrico
4.4. Persona o Unità Responsabile della realizzazione del lavoro
4.5. Persona preposta alla conduzione dell’attività lavorativa
4.6. Alcune considerazioni sulle diverse figure coinvolte nell’organizzazione e nell'esecuzione dei lavori
4.7. Considerazioni sulla figura del preposto ai lavori
5. I dispositivi di protezione individuale
5.1. Introduzione
5.2. Definizione
5.3. Obbligo di uso dei DPI
5.4. Requisiti di sicurezza dei DPI e marcatura CE
5.5. Classificazione in categorie
5.6. Contenuti delle istruzioni e informazioni del fabbricante
5.7. Requisiti di sicurezza supplementari contro lo shock elettrico
5.8. Scelta dei DPI
5.9. Dispositivi di protezione individuale per i lavori elettrici sotto tensione
5.10. Panoramica non esaustiva di DPI, abbigliamento e attrezzature per i lavori elettrici
6. La formazione per i lavori in alta tensione
6.1. Introduzione 
6.2. Caratteristiche dei corsi di formazione
6.2.1. Esercitazioni pratiche
6.2.2. Corsi di aggiornamento periodici
6.3. Idoneità e abilitazione
6.3.1. Esami finali
6.3.2. Idoneità

Fonte: INAIL

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Direttiva (UE) 2015/1794

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Direttiva (UE) 2015/1794

del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 ottobre 2015 che modifica le direttive 2008/94/CE, 2009/38/CE e 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 98/59/CE e 2001/23/CE del Consiglio, per quanto riguarda i marittimi

GUUE L 263/1 dell'8.10.2015 

Entrata in vigore: 09 ottobre 2015

Decreto Legislativo 22 giugno 2012 n. 113

ID 5656 | | Visite: 3902 | Decreti Sicurezza lavoro

Decreto Legislativo 22 giugno 2012 n. 113 

Attuazione della direttiva 2009/38/CE riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie.

GU Serie Generale n.174 del 27-07-2012

Entrata in vigore del provvedimento: 11/08/2012

Nota DCPREV prot. n. 8879 del 4 luglio 2012

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Nota DCPREV prot. n. 8879 del 4 luglio 2012

OGGETTO: Sistemi di protezione attiva antincendio a Sprinkler realizzati secondo norme di riferimento diverse dalla EN 12845.

In riferimento ai quesiti pervenuti con le note indicate a margine ed inerenti l'argomento in oggetto, sentite al riguardo le competenti Aree di questa Direzione, tenendo conto dello stato dell'arte concernente la normativa tecnica e di prodotto nonché dei contenuti dell'emanando decreto sui sistemi di protezione attiva antincendio, si fornisce un quadro di sintesi sulle problematiche prospettate.

In linea generale, la norma EN 12845, recepita dall'UNI, rappresenta la regola dell'arte in ambito europeo per la progettazione dei sistemi sprinkler. Fatto salvo quanto prescritto per tali sistemi dalle disposizioni di prevenzione incendi che impongano eventuali particolari requisiti prestazionali o vincolino la progettazione a seguire una particolare norma, l'utilizzo, per ragioni che devono essere esplicitate nella documentazione tecnica, di norme di progettazione diverse ma comunque riconosciute valide a livello internazionale ed in grado di assicurare la realizzazione, in relazione allo specifico rischio, dell'impianto a regola d'arte, si ritiene possibile.

Una volta effettuata la scelta della norma di progettazione idonea per la protezione del rischio in esame, il professionista è necessariamente tenuto a seguirla integralmente, inclusa la tipologia ed il dimensionamento dell'alimentazione idrica e delle eventuali misure accessorie.

Per l'impianto realizzato con la norma prescelta dovrà essere poi prodotta la dichiarazione di conformità prevista dalla normativa vigente, corredata da una specifica attestazione, a firma del tecnico progettista, con l'indicazione della norma internazionalmente riconosciuta, applicata nella realizzazione e della idoneità della stessa ad assicurare la protezione dello specifico rischio, così come conseguito per gli impianti eseguiti secondo la regola dell'arte.

Per quanto riguarda i prodotti, è fondamentale considerare congiuntamente tre distinti aspetti:

  1. Tutte le norme tecniche di progettazione ed installazione di tali sistemi contengono sempre i riferimenti di tutte le norme di prodotto dei componenti con cui i sistemi devono essere realizzati. Tale requisito è fondamentale affinché siano garantite le prestazioni attese del sistema.

  2. Trattandosi di installazioni fisse, tali sistemi ricadono nel campo di applicazione della direttiva 89/196/CEE "prodotti da costruzione". Tale direttiva prevede obbligatoriamente la marcatura CE dei prodotti immessi sul mercato dell'Unione Europea e del SEE per i quali siano disponibili norme armonizzate di prodotto e sia terminato il periodo di coesistenza con le disposizioni nazionali previgenti. È questo, attualmente, il caso delle testine sprinkler (EN 12259-1), le valvole di allarme idraulico (EN 12259-2), le valvole di allarme a secco (EN 12259-3), gli allarmi a motore ad acqua (EN 12259-4), gli indicatori di flusso (EN 12259-5). Inoltre per prodotti innovativi o che deviano da norma armonizzata, è possibile su base volontaria richiedere il rilascio di un benestare tecnico europeo (ETA) che rappresenta un percorso alternativo per la marcatura CE dei prodotti.

    Per i sistemi sprinkler si segnala che tale procedura è stata attivata, per quanto noto, dai fabbricanti per le testine sprinkler di tipo "ESFR" e per quelle di tipo "extended coverage".

  3. Per quanto riguarda il gruppo di pompaggio antincendio a servizio di un sistema sprinkler, occorre notare che la norma EN 12845 cita la norma di prodotto prEN 12259-12, che non è ancora stata emanata dal CEN. Pertanto, pur essendo anch'esso un prodotto da costruzione, nelle more che la parte 12 della EN 12259 assuma lo status di norma armonizzata e sia pubblicata nella G.U.U.E., il gruppo di pompaggio deve recare la marcatura CE ai sensi delle altre direttive applicabili (ad esempio Macchine, Bassa Tensione e Compatibilità elettromagnetica 2004).

Conseguentemente, qualora si ricorra a norme di progettazione diverse dalla EN 12845, è fondamentale che i prodotti ricadenti nel campo di applicazione delle parti da 1 a 5 della norma armonizzata EN 12259 siano in possesso della marcatura CE ovvero, per i prodotti innovativi o che deviano da norma armonizzata, di Benestare Tecnico Europeo, mentre per il gruppo pompa vale quanto indicato al precedente punto 3. Ai prodotti si applicano poi anche le diverse certificazioni di prodotto eventualmente richieste dalla norma di progettazione seguita (ad es. quelle rilasciate da FM Global, UL o altre analoghe). 

Linee guida VR chimico lavoro UE

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Linee guida VR chimico EU

Linee guida VR chimico lavoro UE

LINEE DIRETTRICI PRATICHE DI CARATTERE NON OBBLIGATORIO SULLA PROTEZIONE DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI CONTRO I RISCHI CONNESSI CON GLI AGENTI CHIMICI SUL LAVORO (Articoli 3, 4, 5, 6 e punto 1 dell’allegato II della direttiva 98/24/CE)

La direttiva 98/24/CE, sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro ha come base giuridica l’articolo 137 del trattato sull’Unione europea e, quindi, stabilisce le condizioni minime di sicurezza e salute che dovranno essere applicate dagli Stati membri, fermo restando il loro diritto di disporre di una legislazione più rigorosa al riguardo.

Il presente documento è conforme alle prescrizioni dell’articolo 12, paragrafo 2 della direttiva 98/24/CE relativa all’elaborazione di linee direttrici pratiche da parte della Commissione europea sugli articoli 3, 4, 5 e 6 e sul punto 1.3 dell’allegato della stessa direttiva. In questo senso, si deve sottolineare che esso non abbraccia la totalità del testo della direttiva, ma esclusivamente gli aspetti contenuti in tali articoli, che sono: 

- metodi di misura e valutazione delle concentrazioni nell’aria, sul luogo di lavoro, in rapporto ai valori limite di esposizione professionale della direttiva 2000/39/CE,

- valutazione dei rischi, D" principi generali di prevenzione,

- misure specifiche di prevenzione e protezione,

- sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti al piombo e ai suoi derivati ionici. L’obiettivo di queste linee direttrici pratiche è di fornire un supporto agli Stati membri perché sviluppino le proprie politiche nazionali e di facilitare l’applicazione della loro legislazione in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Nonostante il loro carattere indicativo e non obbligatorio, queste linee direttrici dovranno essere considerate dagli Stati membri nella più ampia misura possibile, in conformità all’articolo 12, paragrafo 2 della direttiva stessa.

Il presente documento fissa alcune linee generali di azione preventiva contro gli agenti chimici e fornisce alcuni strumenti pratici per affrontare taluni aspetti concreti, come la valutazione dei rischi. Questi strumenti devono essere interpretati come un aiuto agli Stati membri per ottenere una corretta applicazione della loro legislazione nazionale, in particolare nelle piccole e medie imprese, ma in nessun caso devono essere considerate come le uniche esistenti a tale scopo.

Da ultimo, va segnalato che esistono alcuni problemi di ordine pratico nell’identificazione della pericolosità degli agenti chimici o nella valutazione dei rischi da essi derivanti. Si tratta dei seguenti casi: D" sostanze non classificate come pericolose (a causa della loro non pericolosità o del fatto che non si hanno informazioni sufficienti al riguardo, in particolare sugli effetti a lungo termine, sicché si tende a considerarle come non pericolose, non disponendosi di ulteriori dati); D" sostanze per le quali non vi sono informazioni sufficienti alla loro corretta classificazione secondo la direttiva 67/548/CEE, il che potrebbe portare a sottovalutarne o sopravvalutarne la pericolosità, con la conseguente perdita di efficacia del sistema di classificazione; D" preparati classificati ai sensi della direttiva 1999/45/ CE, per i quali la valutazione delle proprietà pericolose può risultare meno rigorosa della valutazione delle proprietà di ognuna delle sostanze che li compongono. La problematica derivante da questi casi non viene trattata in modo esaustivo in questo documento, pertanto si raccomanda agli Stati membri di sviluppare linee direttrici più dettagliate in materia.

Commissione europea 2005

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European Commission 2005
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Attuazione negli Enti Locali del nuovo Regolamento Privacy

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Privacy comuni

Attuazione negli Enti Locali del nuovo Regolamento UE n. 679/2016 sulla protezione dei dati personali

11° Quaderno ANCI - 11 febbraio 2018

Dal 25 maggio 2018 sarà direttamente applicabile, anche nell’ordinamento italiano, il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, che introduce importanti novità anche per gli enti locali.

La nuova disciplina impone un diverso approccio nel trattamento dei dati personali, prevede nuovi adempimenti e richiede un’intensa attività di adeguamento organizzativo, preliminare alla sua definitiva applicazione a partire, appunto, dal suindicato termine del 25 maggio 2018.

Tra le principali novità ordinamentali della materia si segnalano, infatti, la responsabilità diretta dei titolari del trattamento in merito al compito di assicurare, ed essere in grado di comprovare, il rispetto dei principi applicabili al trattamento dei dati personali; la nuova categoria di dati personali (già dati sensibili); la nomina della nuova figura del Responsabile della protezione dei dati (che si aggiunge al Responsabile del trattamento dei dati); l’istituzione del registro delle attività di trattamento; la predisposizione di adeguate attività formative per il personale; la revisione dei processi gestionali al fine di individuare quelli che presentano maggiori rischi collegati al trattamento dei dati.

L’Anci, al fine di fornire un supporto operativo ai Comuni in questa fase di prima attuazione della nuova disciplina, ha predisposto l’11° Quaderno operativo della propria collana editoriale “Manuali tecnici per gli Amministratori”. Il volume, infatti, contiene lo schema di delibera del Consiglio Comunale e il modello del Regolamento adeguato alle novità normative.

In particolare, nello schema di Regolamento, si segnalano i suggerimenti operativi per i Comuni di minore dimensione demografica: l’esercizio in forma associata della nuova funzione assegnata ad un unico Responsabile della protezione dei dati, che può essere sia un dipendente adeguatamente formato, sia un soggetto esterno selezionato con procedura ad evidenza pubblica.

Trovano spazio nel Manuale anche fac-simili di registri delle attività, fondamentali per l’obbligatoria mappatura dei processi e l’individuazione del rischio di violazioni della privacy.

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Il Regolamento Generale sulla Protezione dei dati personali (Regolamento UE 679/2016 - di seguito indicato “RGPD”) è un atto con il quale la Commissione europea intende rafforzare e rendere più omogenea la protezione dei dati personali dei cittadini, sia all’interno che all’esterno dei confini dell’Unione europea. Il testo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 4 maggio 2016, diventerà definitivamente applicabile in via diretta in tutti i Paesi UE a partire dal 25 maggio 2018.

Il RGPD è parte del cosiddetto “Pacchetto protezione dati personali”, l’insieme normativo che definisce un nuovo quadro comune in materia di tutela dei dati personali per tutti gli Stati membri dell’UE e comprende anche la Direttiva in materia di trattamento dati personali nei settori di prevenzione, contrasto e repressione dei crimini.

Dal 25 maggio 2018 dunque, anche per gli enti locali, il RGPD andrà a sostituire la direttiva sulla protezione dei dati (ufficialmente Direttiva 95/46/EC) istituita nel 1995.

Nell’ambito del nuovo quadro normativo che la Commissione europea ha voluto delineare e al quale gli Stati membri devono conformarsi, l’Italia ha recepito i nuovi principi attraverso l’art. 13 della legge n. 163/20171, entrata in vigore il 21 novembre 2017, che ha attribuito al Governo la delega ad adottare (entro 6 mesi) uno o più provvedimenti rivolti a:

- abrogare le disposizioni del Decreto Legislativo n. 196/2003 (l’attuale Codice Privacy) che siano in contrasto o comunque incompatibili con la nuova disciplina europea in tema di trattamento di dati personali e a modificarlo al fine di dare puntuale attuazione alle disposizioni del RGPD;
- valutare l’opportunità di avvalersi dei poteri specifici del Garante per la protezione dei dati personali (di seguito Garante Privacy) affinché adotti provvedimenti attuativi e integrativi volti al perseguimento delle finalità previste dal RGPD;
- adeguare l’attuale regime sanzionatorio, a livello penale e amministrativo, alle disposizioni del RGPD, al fine di garantire la corretta osservanza della nuova normativa.

Tali decreti legislativi non sono stati ancora approvati in questa legislatura, tuttavia si sottolinea che essendo il Regolamento europeo direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, dal 25 maggio 2018 la nuova disciplina in materia di privacy entrerà comunque in vigore.

Infine, si segnala che in merito all’attuazione dell’art. 28 della legge 20 novembre 2017 n. 167 (entrata in vigore il 12 dicembre 2017)2, che modifica i rapporti tra titolare e responsabile del trattamento dei dati personali, stabilendo che gli stessi siano stipulati in forma scritta, si è in attesa dei modelli che saranno definiti dal Garante Privacy.

Dunque, per un adeguamento coerente dell’intera nuova disciplina prevista dal Regolamento UE, occorrerà comunque attendere l’emanazione dei suddetti decreti legislativi e delle indicazioni del Garante Privacy, di cui l’ANCI darà puntuale informativa.

Pertanto, nelle more del completamento del nuovo assetto ordinamentale in materia, il presente Quaderno e gli allegati schemi di atti e provvedimenti rappresenta il primo contributo che l’Associazione vuole fornire ad Amministratori ed operatori locali per la concreta, prima attuazione - entro il 25 maggio 2018 - della nuova disciplina vigente in materia di protezione dei dati personali.

...

INDICE
Introduzione
1. Il contesto normativo di riferimento
2. Il nuovo Regolamento UE sulla protezione dei dati personali
2.1. I soggetti ed i nuovi strumenti
3. Il passaggio dal Codice Privacy al RGPD: la creazione di un sistema comunale
di data protection. Adempimenti
Schema di Regolamento comunale per l’attuazione del Regolamento UE 2016/679
relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali
Allegati
A) Registro attività di trattamento
B) Registro categorie di attività di trattamento
C) Registro unico dei trattamenti
Glossario regolamento
Glossario registri
Schema di delibera di Consiglio comunale per l’adozione del Regolamento comunale di attuazione del Regolamento UE 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali
Schema di atto di designazione del Responsabile della Protezione dei Dati personali (RDP) ai sensi dell’art. 37 del Regolamento UE 2016/679
Linee Guida del Garante per la protezione dei dati personali all’applicazione del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali

Fonte: ANCI

Collegati:

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Regolamento Privacy small

REGOLAMENTO PRIVACY | REGOLAMENTO (UE) 2016/679

Ed 2.0 Maggio 2019

Download Indice Ed. 2.0 Maggio 2019

Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati). 
(GUUE L 119/1 del 4 maggio 2016)

Disponibile il testo Riservato Abbonati, che sarà aggiornato con guide e documenti, in formato PDF stampabile/copiabile.

Info e download

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ANCI - 11° Quaderno 15 febbraio 2018
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17° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

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17° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche 

14 Febbraio 2018

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto Direttoriale n. 12 del 14 Febbraio 2018

Con il Decreto direttoriale n. 12 del 14 febbraio 2018, è stato adottato il diciassettesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del Decreto interministeriale 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Il suddetto decreto consta di sei articoli:

- all'articolo 1 viene rinnovata l'iscrizione per i soggetti che hanno regolarmente trasmesso la documentazione richiesta e per i quali la Commissione di cui al d.i. 11 aprile 2011 ha espresso parere favorevole;

- all'articolo 2 sono apportate le variazioni alle iscrizioni già in possesso in termini di estensione ovvero di riduzione, sulla base delle richieste pervenute nei mesi precedenti, già concesse ai soggetti interessati;

- all'articolo 3 viene decretato l'inserimento "ex novo", delle società ivi indicate, nell'elenco dei soggetti abilitati;

- all'articolo 4 viene decretato il subentro della società indicata in luogo della società precedentemente iscritta nell'elenco dei soggetti abilitati con un altro nome;

- all'articolo 5 viene specificato che con il presente decreto si adotta l'elenco aggiornato, in sostituzione di quello adottato con il decreto del 16 gennaio 2018;

- all'articolo 6 sono riportati, come di consueto, gli obblighi cui sono tenuti i soggetti abilitati.

L'elenco adottato in allegato al decreto sostituisce integralmente il precedente elenco allegato al Decreto direttoriale del 16 gennaio 2018

Fonte: MPLS

Tutti gli elenchi pubblicati

D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature

Consulta il database dei Soggetti abilitati

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La protezione dai fulmini dei parchi avventura

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La protezione dai fulmini parchi avventura

La protezione dai fulmini dei parchi avventura

INAIL 13 febbraio 2018

I parchi avventura (percorsi acrobatici in altezza, percorsi su corde alte e percorsi vita sospesi) sono strutture composte da percorsi aerei, ponti tibetani ed altri elementi, realizzati in legno, corda e cavi d’acciaio.

In Italia i parchi avventura sono circa 200. Il lavoro è dedicato al rischio di fulminazione e ai danni prodotti dai fulmini per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e dei visitatori dei parchi avventura.

Secondo quanto definito dal Testo Unico sulla Sicurezza del lavoro (art. 80 del d.lgs. 81/08) è fatto obbligo al datore di lavoro di provvedere affinché i lavoratori nei luoghi di lavoro siano protetti dai rischi di natura elettrica ed in particolare dal rischio di fulminazione.

Il presente lavoro ha lo scopo di presentare:

- i possibili effetti dei fulmini sugli elementi costituenti le attrazioni;
- i possibili effetti della fulminazione sugli esseri umani;
- indicazioni per lo svolgimento della valutazione dei rischi;
- indicazioni per la scelta delle misure di protezione;
- indicazioni per la predisposizione di piani di sicurezza;
- codici comportamentali per visitatori e lavoratori in caso di temporale con fulmini;
- indicazioni di primo soccorso.

Allo scopo di eliminare o ridurre a livello accettabile i rischi, il datore di lavoro redige un documento di valutazione degli stessi sulla base del quale adotta i dispositivi di protezione collettivi e individuali necessari e predispone procedure lavorative adeguate.

Per quanto riguarda il rischio di fulminazione, ai sensi dell’art. 84 del Testo unico, si ritengono adeguate le misure di protezione adottate sulla base delle norme tecniche.

Purtroppo, attualmente, le norme tecniche non forniscono indicazioni per la protezione dai fulmini di una realtà come quella dei parchi avventura.

Con i termini parchi avventura, percorsi acrobatici in altezza, percorsi su corde alte e percorsi vita sospesi si definiscono strutture composte da percorsi aerei, tirolesi, ponti tibetani ed altri elementi, realizzati in legno, corda e cavi d’acciaio. Tali realizzazioni sono create per offrire ai visitatori la possibilità di testare le proprie capacità e l’attitudine agli sport di montagna, in modo divertente e sicuro.

Le strutture sono realizzate in genere in aree boschive, per favorire il contatto con la natura, elemento importante in questo tipo di realizzazioni, ma anche su elementi e travi artificiali, o in locali al coperto, per favorire la fruizione in ogni periodo dell’anno.

Per motivi di interesse pubblico, relativo alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e dei visitatori dei parchi avventura, l’INAIL ha prodotto un contributo sul rischio di fulminazione e sulla protezione dal rischio di fulminazione in tali strutture.

Il contributo in questione, contenuto nel presente lavoro, è stato preparato dal Laboratorio Apparecchiature e Impianti Elettrici ed Elettronici del Dipartimento Innovazioni Tecnologiche dell’Istituto, in virtù della ventennale esperienza maturata nel campo della protezione dagli effetti delle scariche atmosferiche.

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Indice

1. Il fenomeno della fulminazione
1.1. Introduzione
1.2. Il fenomeno fisico
1.3. Formazione dei temporali
1.4. Parametri caratteristici dei fulmini
1.5. Cause e formazione
1.6. Tipi di fulmini al suolo
2. Danni causati dai fulmini
2.1. Pericolosità dei fulmini
2.2. Danni agli esseri umani
3. Effetti delle correnti di fulmine
3.1. Valori dei parametri delle correnti di fulmine da utilizzare per calcoli e prove
3.1.1. Impulso positivo
3.1.2. Colpo lungo
3.1.3. Primo impulso negativo
3.1.4. Impulsi susseguenti
3.2. Effetti termici delle correnti di fulmine
3.3. Danneggiamento termico nel punto d’impatto del fulmine
3.3.1. Il fenomeno del punto caldo in serbatoi e tubazioni
3.4 Scariche disruptive
3.4.1. Danni dovuti ad onda d’urto acustica
3.5. Effetti meccanici delle correnti di fulmine
3.5.1. Effetti degli sforzi elettrodinamici
3.5.2. Effetti combinati meccanici e termici
3.6. Tensioni indotte
3.7. Tensioni di contatto e passo
3.7.1. Tensioni di contatto
3.7.1.1. Misure di protezione contro le tensioni di contatto
3.7.2. Tensioni di passo
3.7.2.1. Misure di protezione contro le tensioni di passo
4. Protezione dai fulmini dei Parchi Avventura
4.1. Danni dovuti ai fulmini in un parco avventura
4.2. Una strategia adottabile per la protezione dai fulmini
4.3. Informazioni sull’approssimarsi di un temporale
4.4. Valutazione della necessità delle misure di protezione
4.5. Alcune considerazioni
5. Rifugi
5.1. Caratteristiche dei rifugi
5.2. Protezione contro i fulmini
5.3. Prevenzione delle tensioni di contatto
5.4. Prevenzione delle tensioni di passo
5.5. Rifugi metallici
6. Comportamenti
6.1. Comportamenti consigliati quando ci si trova in un rifugio o in un edificio chiuso
6.2. Comportamenti consigliati quando ci si trova in un campo aperto o al limitare di un bosco
6.3. Comportamenti consigliati quando ci si trova in montagna
6.4. Comportamenti consigliati quando ci si trova in un campo da golf o una radura
6.5. Comportamenti consigliati quando ci si trova al di sotto di una tettoia
6.6. Comportamenti consigliati quando ci si trova su un campo sportivo
6.7. Comportamenti consigliati quando ci si trova in acqua
6.8. Comportamenti consigliati quando ci si trova a pesca
6.9. Comportamenti consigliati quando ci si trova in automobile
6.10. Altri comportamenti consigliati
7. Prestare soccorso
7.1. Valutazione della scena
7.2. Valutazione dello stato di coscienza
7.3. Valutazione ABC
7.4. Rianimazione cardio-polmonare
7.5. Modifiche apportate alle procedure
7.6. La posizione laterale di sicurezza (PLS)
7.7. Uso del defibrillatore
8. Cenni di elettrofisiologia
8.1. Il comportamento delle cellule
8.2. Impedenza del corpo, tensione e corrente
8.3. Soglie di pericolosità
8.4. Effetti fisiologici
8.4.1. Contrazione muscolare, blocco respiratorio e fibrillazione cardiaca
8.4.2. Effetti termici
8.4.3. Effetti neurologici
8.4.4. Traumi da arco elettrico e traumi indiretti
9. Riferimenti

Fonte:INAIL

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Interpello 13 dicembre 2017, n. 1

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interpello1 2017

Interpello 13 dicembre 2017, n. 1

Risposta al quesito relativo all'ambito di applicazione dell’articolo 23 del d.lgs. n. 81/2008

Commissione per gli Interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro

(ARTICOLO 12 DEL DECRETO LEGISLATIVO 9 APRILE 2008, N. 81) INTERPELLO N. 1/2017

Roma, 13 dicembre 2017

Alla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia

Oggetto: Quesito ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni relativo all’articolo 23, del d.lgs. n. 81/2008. Seduta della Commissione del 13 dicembre 2017.

La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha proposto istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione per gli interpelli, di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, in merito all’ambito di applicazione dell’articolo 23 del d.lgs. n. 81/2008, in particolare chiedendo se “[...] alla luce di una recente sentenza della Cassazione Penale, Sez. 3, 01 ottobre 2013, n. 40590 - Vendita di un macchinario privo delle necessarie condizioni di sicurezza: se è ceduto per essere riparato non c’è violazione [...] l’atto di vendita/trasferimento di proprietà ai fini della messa a norma dell'attrezzatura di lavoro, dispositivo di protezione individuale o impianto, non configuri una violazione del precetto normativo di cui sopra limitatamente alle vendite in cui l'acquirente è un rivenditore di tale tipologia di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale o impianti, ovvero un soggetto che si occupa di revisione e messa a norma degli stessi.
Si chiede sia precisato inoltre se la vendita di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, possa ritenersi legittima nel caso nel disposto contrattuale di vendita, noleggio o concessione sia prevista, da parte dell'acquirente, la messa a norma delle stesse prima del loro utilizzo.
Si chiede altresì venga precisato se l'esposizione ai fini della vendita, noleggio o concessione in uso delle attrezzature, dei dispositivi e degli impianti di cui sopra, in spazi commerciali, compresi spazi all'aperto e fiere, nel caso gli stessi (attrezzature/dispositivi/impianti) non siano rispondenti alle disposizioni normative sulla sicurezza sul lavoro, costituisca violazione al succitato articolo, indipendentemente dal perfezionamento dell'atto di trasferimento, sotto tutte le forme indicate, anche temporanee, del bene, salvo restando la possibilità di esporre limitate parti degli stessi, non potenzialmente funzionanti se non completate dalle parti indispensabili a soddisfare la normativa vigente sulla sicurezza sul lavoro
".

Occorre preliminarmente ricordare che l’articolo 23, comma 1, del citato d.lgs. n. 81/2008 stabilisce che “[...] sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In caso di locazione finanziaria di beni assoggettati a procedure di attestazione alla conformità, gli stessi debbono essere accompagnati, a cura del concedente, dalla relativa documentazione’’.
Coerentemente a tale divieto il successivo articolo 72 del medesimo decreto legislativo stabilisce che “Chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o messi in servizio al di fuori della disciplina di cui all'articolo 70, comma 1, attesta, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V”.
Gli articoli 23 e 72 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, nel vietare la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale o impianti non conformi alla normativa tecnica, intendono perseguire la finalità di anticipare la tutela della salute e dell’Integrità fisica dei lavoratori, garantendo l’utilizzo unicamente di quei beni conformi ab origine ovvero di quelli preventivamente adeguati alla normativa.
La giurisprudenza in materia (Cassazione penale, sez. III, n. 40590 del 3 maggio 2013) ha affermato come il divieto posto dall’articolo 23 sopra richiamato possa subire “[...] un qualche temperamento in chiave derogatoria laddove la vendita venga effettuata per un esclusivo fine riparatorio della macchina in vista di una futura utilizzazione, una volta ripristinata e messa a norma.
In particolare, nella pronuncia innanzi richiamata si afferma che sulla base di “[...] un principio di ragionevolezza, non disgiunto da una regola di ordine economico generale [...] fermo restando che è vietato l’impiego di macchinari non a norma con la conseguenza che una vendita di prodotti di tal fatta è, di regola, vietata stante la conseguenzialità e normalità dell’impiego della macchina nel ciclo produttivo, nell’ottica del passaggio del prodotto industriale alla fase economica successiva (utilizzo), laddove quest’ultimo passaggio non vi sia (come nel caso dello stazionamento del macchinario presso una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all’origine), non può ritenersi vietata la vendita di un macchinario in quanto avente uno scopo ben circoscritto, senza alcuna previsione di utilizzazione.
Sulla base di tali elementi la Commissione ritiene che la circolazione di attrezzature di lavoro, di dispositivi di protezione individuale ovvero di impianti non conformi, senza alcuna previsione di utilizzazione, ma con esclusivo e documentato fine demolitorio ovvero riparatorio per la messa a norma, così come la mera esposizione al pubblico, non ricadono nell’ambito di applicazione delle citate disposizioni normative, in considerazione della relativa ratio legis.

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE
Dott.ssa Maria Teresa Palatucci

Accordo riparazione macchine non a norma

Modello accordo di "riparazione" macchine non a norma



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Risposta al quesito ambito applicazione art. 23 del d.lgs. n. 81/2008
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Cassazione Penale, Sez. 3, 01 ottobre 2013, n. 40590

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale, Sez. 3, 01 ottobre 2013, n. 40590

Vendita di un macchinario privo delle necessarie condizioni di sicurezza: se è ceduto per essere riparato non c'è violazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARIO GENTILE - Presidente
Dott. AMEDEO FRANCO - Consigliere
Dott. RENATO GRILLO - Rel. Consigliere
Dott. GIULIO SARNO - Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO  Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A. GIOVANNI N. IL 14/06/1951
avverso la sentenza n. 2674/2010 GIP TRIBUNALE di VERBANIA, del 11/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/05/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ... che ha concluso per l'annullamento senza rinvio.

Udito, per la parte civile, l'Avv. 
Uditi i difensori Avv. ...

Fatto

1.1 Con sentenza dell'11 ottobre 2011, il Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di Verbania dichiarava A. Giovanni, imputato del reato di cui all'art. 23 comma 1° del D.L.vo 81/08 [Reato commesso il 20 luglio 2009], colpevole della detta contravvenzione, condannandolo, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di € 1.000,00 di ammenda, cosi diminuita per il rito.

1.2 Il Tribunale, dopo aver sommariamente ricostruito i tratti salienti della vicenda, disattendeva la tesi difensiva basata sulla pretesa inapplicabilità della norma violata in quanto non aderente al dettato normativo che postula una tutela anticipata del bene-sicurezza al momento della costruzione e/o vendita, noleggio, concessione in uso del macchinario , affermando, quindi, che il momento consumativo del reato si perfeziona all'atto di una di dette circostanze (costruzione, vendita, etc).

1.3 Propone ricorso avverso la detta sentenza l'imputato a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo, con un primo motivo, l'inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale (art. 3 del D. L.vo 81/08): pur concordando con la ratio cui si ispira il decreto legislativo in parola (attuazione specifica della tutela antinfortunistica) e - per quanto qui rileva - il divieto di utilizzazione di macchinari non sicuri con correlato divieto di messa in commercio di macchinari che si trovino in condizioni similari, afferma che, nel caso in esame, il macchinario ceduto era, in realtà, destinato ad altra società con la specifica - ed unica - finalità di essere assoggetto a riparazione da quella società onde poi essere messo in commercio in condizioni di sicurezza. Con il secondo motivo la difesa deduce vizio di motivazione per sua carenza e/o manifesta illogicità, sostenendo che la tesi della cd. "continuità normativa" tra l'art. 7 del D.P.R. 547/55 e l'art. 23 del D. L.vo 81/08 (giudicata in astratto corretta) avrebbe dovuto indurre il giudice a motivare specificamente sulle ragioni della non applicabilità della norma laddove - come nel caso in esame - si fosse trattato non di messa in circolazione o di vendita a tali fini, ma di vendita per riparazione con riserva di una messa in circolazione dopo l'esito della riparazione: motivazione, nel caso de quo, per un verso assente e, per altro verso, manifestamente illogica per avere ritenuto soltanto il profilo della vendita equivalente alla messa in circolazione. Con un terzo, ed ultimo, motivo la difesa lamenta vizio di erronea applicazione della legge penale (artr. 133 cod. pen.) per avere il GUP proceduto alla determinazione della pena in termini eccessivi ed in violazione dell'art. 133 cod. pen., applicato in modo erroneo.

Diritto

1. Il ricorso è fondato nei termini e per le ragioni che seguono. Punto di partenza della vicenda è la vendita, in data 20 luglio 2009, da parte dell'A., nella sua qualità di legale rappresentante della TECNO STAMPI s.a.s., di un macchinario (macchina fresatrice Induma 2035) alla società STEMAN s.r.l. di San Lazzaro di Savena. Secondo la prospettazione accusatoria, poi recepita dal G.U.P., tale macchina, al momento della vendita, non corrispondeva alle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, in palese violazione della normativa vigente in materia.

2. Nessuna contestazione muove il ricorrente sul fatto storico, in sé considerato, della vendita né sullo stato di irregolarità del macchinario: il punto critico sul quale divergono la soluzione adottata dal Giudice rispetto a quella auspicata dall'imputato è dato dalle ragioni della vendita e, di conseguenza, dalla corretta interpretazione della norma incriminatrice che il ricorrente contesta così come effettuata dal GUP.

3. Il dato normativo di riferimento (art. 23 comma 1° del D. L.vo 81/08, intitolato "Obblighi dei fabbricanti e dei fornitori") testualmente recita: "Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro".

3.1 Trattasi di una norma non di certo nuova, posto che - come del resto ricordato dal GUP e dallo stesso ricorrente - già in passato esisteva apposita previsione normativa (art. 7 comma 1° del D.P.R. 547/55, intitolato "Produzione, vendita e noleggio per il mercato interno") secondo la quale: "Sono vietate dalla data di entrata in vigore del presente decreto [D.P.R. 547/55] la costruzione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di parti di macchine, di attrezzature, di utensili e di apparecchi in genere, destinati al mercato interno, nonché la installazione di impianti, che non siano rispondenti alle norme del decreto stesso. [...]".

3.2 In aggiunta a tale dato, va ricordato che il successivo art. 6, commi 1° e 2° del D. L.vo 626/94 (intitolato "Obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori") ha, a sua volta, previsto nel comma secondo che: "Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza. Chiunque concede in locazione finanziaria beni assoggettati a forme di certificazione o di omologazione obbligatoria è tenuto a che gli stessi siano accompagnati dalle previste certificazioni o dagli altri documenti previsti dalla legge".

3.3 Già sotto il vigore del D.L.vo 626/94 si era posto il problema dei rapporti tra l'art. 7 del menzionato D.P.R. 547/55 e l'art. 6 comma 2° del detto D. L.vo 626/94: problema che la giurisprudenza di questa Corte aveva risolto nel senso dì ritenere la disposizione di cui all'art. 7 speciale rispetto all'art. 6 del D. L.vo 626/94, che aveva una portata più generale intendendo assicurare il rispetto di tutte le norme di legge e regolamentari, mentre la norma di cui al citato D.P.R. prescriveva esclusivamente l'obbligo per il fabbricante o venditore o concedente in uso di rispettare il D.P.R. 547/55. Da qui la ritenuta specialità della disposizione di cui all'art. 7 citato, nient'affatto abrogata dalla nuova disciplina del 1994, ma pienamente applicabile (vds. per una specifica applicazione dell'art. 7 del D.P.R. 547/55, Sez. 4^ 29.4.2003 n. 41985P.G. in proc. Morra e altro, Rv. 227285, nella quale si afferma, tra gli altri, il principio della vigenza ed applicabilità dell'art. 7 del D.P.R. 547/55, pur in costanza dell'art. 26 del D. L.vo 758/94 che ha sostituito la sanzione originaria da L. 250.000 a L. 1.500.000, come aggiornata dall'art. 113 della L. 24 novembre 1981, n. 689, con quella dell'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da Lire un milione a L. sei milioni, senza che si profilasse, quindi, alcuna depenalizzazione).

3.4 La successiva emanazione del D. L.vo 81/08 ha posto il problema della continuità normativa, o meno, tra l'art. 7 più volte citato e l'art. 23 comma 1 del D. L.vo 81/08. Anche in questo caso la giurisprudenza di questa Corte è intervenuta affermando - seppure con riguardo a fattispecie prevista dall'art. 5 del D. L.vo 494/96, rispetto all' allegato 18 del D. L.vo 81/08 - la continuità tra le due norme perché di identico contenuto prescrittivo (Sez. 4A 14.12.2010 n. 5005, Sessa e altri, Rv. 249624; v. anche Sez. 4A 3.11.2011 n. 46849, P.G. in proc. Di Carlantonio e altro, Rv. 252148).

3.5 Nel caso in esame il raffronto tra il testo dell'art. 7 D.P.R. 547/55, come novellato dall'art. 6 comma 1 del D. L.vo 494/96 e l'art. 23 del D. L.vo 81/08, consente di pervenire agevolmente alla conclusione della continuità normativa, stante l'identità del contenuto precettivo, fermo restando il diverso regime sanzionatorio aumentato nel tempo, ma senza alcuna abrogazione implicita della precedente normativa.

4. Appare ben più interessante verificare se il concetto di vendita come esplicitato nell'art. 23 più volte citato debba interpretarsi in modo assoluto, come divieto di messa in commercio o in circolazione di macchina non a norma, ovvero possa subire un qualche temperamento in chiave derogatoria laddove la vendita venga effettuata per un esclusivo fine riparatorio della macchina in vista di una futura utilizzazione, una volta ripristinata e messa a norma.

4.1 La risposta, a giudizio di questa Corte, è certamente positiva, a condizione, però, che si accerti in concreto quali siano le condizioni di vendita; i soggetti parte dell'atto e gli obblighi gravanti sia sul venditore che sul diretto destinatario, nonché il ruolo da questi esercitato (se, cioè, autorizzato a mettere a sua volta in circolazione il macchinario una volta riparato, ovvero a riconsegnarlo al venditore che potrà poi venderlo a terzi per un utilizzo sul mercato).

4.2 E' evidente, infatti, che se la cessione del macchinario non a norma è effettuata unicamente con il proposito di non metterlo in circolazione ma di affidarlo ad un soggetto (il cessionario) per la riparazione, la previsione normativa non potrà più trovare applicazione.

4.3 Invero è un principio di ragionevolezza, non disgiunto da una regola di ordine economico generale, quello che sta alla base della norma contestata, nel senso che, fermo restando che è vietato l'impiego di macchinari non a norma con la conseguenza che una vendita di prodotti di tal fatta è, di regola, vietata stante la conseguenzialità e normalità dell'impiego della macchina nel ciclo produttivo, nell'ottica del passaggio del prodotto industriale alla fase economica successiva (l'utilizzo), laddove quest'ultimo passaggio non vi sia (come nel caso dello stazionamento del macchinario presso una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all'origine), non può ritenersi vietata la vendita dì un macchinario in quanto avente uno scopo ben circoscritto, senza alcuna previsione di utilizzazione.

5. E' ovvio che si tratta di una indagine di fatto rimessa al giudice del merito il quale, nel caso in esame, non ha prestato alcun rilievo alla documentazione allegata dalla difesa ad integrazione della testimonianza sollecitata ex art. 438 comma 5 cod. proc. pen. e non accolta dal GUP: si tratta di una dichiarazione-certificazione a firma di V. Roberto, legale rappresentante della ditta STAMAN s.r.l. nella quale si evidenziava che da parte della ditta suddetta, nella qualità di cessionaria, che la stessa aveva assunto il preciso impegno nei confronti della ditta cedente TECNOC STAMPI s.a.s, a prendere in carico il macchinario costituito dalla fresatrice "INDUMA 2035" non a norma (per come dichiarato dalla stessa ditta cedente al momento della vendita) e a metterlo in commercio (letteralmente: "cederlo ad utilizzatori finali") revisionato e munito di tutte le protezioni di sicurezza secondo la normativa vigente del paese di destinazione. E' poi aggiunto in tale dichiarazione che la società STAMAN sì occupa, tra l'altro "di "revisioni e messe a norma di macchinari industriali" con la previsione - nel caso di impossibilità di ricondìzionare il macchinario non a norma - del suo smantellamento previo recupero delle parti meccaniche utilizzabili.

6. Ne deriva, quindi, una motivazione quanto meno insufficiente (avendo il GUP il dovere di accertare, previa escussione del teste, come richiesto dall'imputato all'atto della formulazione dell'accesso al rito abbreviato condizionato le modalità di tale cessione e le sue effettive finalità), se non proprio illogica (nel momento in cui attribuisce alla vendita del macchinario e sulla base della documentazione disponibile, un significato assoluto che la certificazione escludeva) che postula l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio. In tale sede dovrà il giudice verificare in concreto, alla luce delle regole interpretative enunciate da questo Supremo, quali fossero le modalità della vendita e se in effetti la ditta cessionaria STEMAN s.r.l. svolgesse o meno attività di riparazione e riposizionamento a norma di macchinari non in regola secondo le prescrizioni antinfortunistiche del mercato interno.

7. L'accoglimento di tale motivo assorbe ogni altra censura.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Verbania.
Così deciso in Roma il 3 maggio 2013. Depositato in Cancelleria il 01 ottobre 2013

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Lavori in ambienti sospetti di inquinamento
Rischi specifici nell’accesso a silos, vasche e fosse biologiche, collettori fognari, depuratori e serbatoi utilizzati per lo stoccaggio e il trasporto di sostanze pericolose.
Art. 66 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81:“Lavori in ambienti sospetti di inquinamento”

Il D.Lgs. 81/08, in linea con il previgente D.Lgs. 626/94, ha ribadito la necessità di effettuare la valutazione dei rischi, ponendo specifica attenzione alle attività che espongono i lavoratori a fattori di rischio per la sicurezza e la salute a causa della presenza di sostanze tossiche, asfissianti o infiammabili.

Le statistiche relative agli infortuni sul lavoro mostrano che un considerevole numero di morti e infortuni gravi è associato proprio alla presenza di tali sostanze, con un’incidenza maggiore nelle attività svolte in ambienti confinati, all’interno dei quali possono venirsi a creare condizioni atmosferiche e ambientali tali da favorire il verificarsi dell’evento incidentale.

Maggiormente critica si presenta inoltre l’esecuzione di attività occasionali, ovvero di tipo non ripetitivo. È infatti più frequente, in tali casi, la tendenza a non pianificare adeguatamente il processo lavorativo che, troppo spesso, viene lasciato all’improvvisazione delle squadre operative, non sempre sufficientemente formate ed informate dei rischi cui si trovano ad essere esposte.

Tale realtà si è rivelata all’opinione pubblica, in maniera drammatica e prorompente, a seguito di recenti gravi incidenti verificatisi nei luoghi lavoro. Tali episodi hanno confermato che ad essere colpite sono, in larga misura, le microimprese che operano, talvolta, in subappalto presso dei committenti.

Il presente documento è pertanto rivolto in maniera particolare a queste ultime che, nel nostro Paese, rappresentano la realtà produttiva principale e maggiormente vulnerabile dal punto di vista della sicurezza,poiché dotata di minori risorse aziendali e competenze da dedicare all’approfondimento e all’aggiornamento degli aspetti gestionali e tecnici che influiscono sulla salute e sicurezza dei lavoratori. Esso non intende porsi come una linea guida di comparto,esaustiva di tutti i rischi presenti nelle attività trattate, ma ha il solo scopo di fornire indicazioni per l’individuazione, la valutazione e la gestione dei rischi legati alla presenza di sostanze pericolose non sufficientemente conosciute o non prontamente identificabili in ambienti confinati.

Lo stesso potrà essere utilizzato come uno strumento specifico di supporto ed integrazione per l’esecuzione della valutazione dei rischi che il datore di lavoro è tenuto ad effettuare,ai sensi del D.Lgs. 81/08, con specifico riferimento alle attività di manutenzione, riparazione, controllo e ispezione che si svolgono in ambienti confinati in cui sono presenti o possono svilupparsi sostanze tossiche, asfissianti, infiammabili o esplosive; non sono
state invece considerate le lavorazioni inserite nel ciclo produttivo di attività industriali.

Nel documento sono state affrontate le criticità nell’accesso ad ambienti confinati quali silos, vasche e fosse biologiche, collettori fognari e serbatoi adibiti al trasporto di sostanze pericolose. Sono state pertanto considerate solo quelle sostanze che costituiscono “iniziatori“ di incidente ripetitivi o di elevata gravità e che, con maggiore frequenza, sono presenti o si sviluppano in tali luoghi. In particolare sono state considerate le sostanze in
forma aerodispersa (anche a seguito di evaporazione o sublimazione di sostanze liquide o solide) e le polveri.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 9167 | 28 Febbraio 2018

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Sentenze cassazione penale

Infortunio mortale lavoro marittimo: Responsabilità del comandante e del coordinatore dei lavori di allestimento della nave 

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 9167 Anno 2018

Penale Sent. Sez. 4 Num. 9167 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 01/02/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Firenze, con la pronuncia in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Lucca nei confronti di V.J.H. e di G.B. (oltre che nei confronti del responsabile civile OMISSIS s.p.a., non ricorrente) in relazione al reato previsto dagli artt.589, commi 1 e 2, cod. pen. per avere cagionato per colpa il decesso di T.J. in Viareggio il 27 febbraio 2007.

2. All'imputato V.J.H. era contestato di avere cagionato, in qualità di comandante dell'imbarcazione «Romanza», la morte di un membro dell'equipaggio che, mentre eseguiva lavori di manutenzione dell'imbarcazione, che si trovava a secco, era precipitato a terra dalla prua della nave; in particolare, di aver dato disposizioni ai membri dell'equipaggio circa le opere di manutenzione da svolgere sull'imbarcazione senza adottare alcuna precauzione, in violazione dell'art.16 d.P.R. 7 gennaio 1956, n.164 e degli artt.8 e 27 d.P.R. 27 aprile 1955, n.547, atta ad impedire la caduta dall'alto dell'equipaggio, che si trovava a prua della nave a sette metri da terra, trascurando che il ponteggio fosse stato montato a cm.60 dal bordo destro del ponte di prua della nave, che nessuna protezione laterale fosse presente sul bordo destro del ponte di prua, che la situazione di pericolo non era segnalata e che la presenza di teli di nylon, apposti per evitare la dispersione di gas e vapori durante le operazioni di verniciatura, occultasse la situazione di pericolo conseguente, alla distanza del ponteggio ed all'assenza di protezione laterale.

3. All'imputato G.B. era contestato di avere cagionato, quale coordinatore dei lavori di allestimento e responsabile dell'ufficio esercizio nave per conto della OMISSIS s.p.a., la morte del marinaio per non aver promosso, in violazione degli artt.7, comma 3, e 89, comma 2 lett.b), d. lgs. 19 settembre 1994, n.626, la cooperazione ed il coordinamento delle misure di prevenzione e protezione dai rischi presenti nell'ambiente di lavoro, pur in presenza di lavoratori di diverse imprese che contemporaneamente prestavano attività lavorativa; in particolare, in violazione degli artt.16 e 23 d.P.R. n.164/1956 e dell'art.6, comma 3, d. lgs. n.626/1994, per aver consentito il montaggio del ponteggio in mancanza di un progetto, per non essersi avveduto della situazione di rischio determinata dall'errato montaggio del ponteggio, dall'assenza di protezioni lungo il bordo destro del ponte di prua della nave tali da impedire la caduta dall'alto dei lavoratori e dalla presenza di teli di nylon che rendevano non percepibile la situazione di pericolo di caduta dall'alto.

4. I giudici di merito, con pronunce conformi, hanno ricostruito il fatto come segue: dal mese di dicembre 2006 lo yacht «Romanza» si trovava nel cantiere consortile Polo Nautico di Viareggio e l'impresa costruttrice OMISSIS s.p.a., che agiva quale appaltatrice dell'armatore, vi stava eseguendo lavori di allestimento unitamente a varie imprese subappaltatrici; nel momento dell'infortunio erano in corso lavori di verniciatura, affidati alla subappaltatrice Storm Ltd., e di carpenteria meccanica, affidati alla subappaltatrice Lottini s.r.l.; nei documenti di sicurezza redatti dall'appaltatrice OMISSIS e nel piano di coordinamento erano compresi anche tali lavori; durante i lavori, parte dell'equipaggio era rimasto a bordo e si occupava di attività di ordinaria manutenzione, tra l'altro rimuovendo tutti gli acciai, ivi compresi candelieri, corrimano e battagliola; il marinaio Thompson stava apponendo, per ordine del superiore, ufficiale Stickland S.D., del nastro biadesivo per sistemare i teli di cellophane in precedenza applicati a protezione dell'imbarcazione in quanto in quel momento due operai della Lottini s.r.l. stavano eseguendo lavori di molatura della vetroresina, producendo polvere che entrava copiosamente nelle cabine; mentre eseguiva il lavoro, il marinaio era caduto nello spazio lasciato libero dal ponteggio, realizzato in quel punto ad una certa distanza dallo scafo, in un varco non facilmente percepibile anche per la presenza di teli antistatici completamente bianchi che avvolgevano l'imbarcazione impedendo una corretta percezione degli spazi.

5. V.J.H. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) mancanza e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in relazione agli artt.589 cod. pen., 16 d.P.R. n.164/56, 8 e 27 d.P.R. n.547/55. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia travisato la prova testimoniale, dalla quale era emerso solo quale fosse la prassi seguita in cantieri simili, affermando che i pochi marinai rimasti a bordo della Romanza effettuavano lavori di manutenzione alla stregua delle altre imprese. Invece i testimoni avevano tutti negato che i marinai eseguissero lavori di manutenzione, affermando che custodivano la barca, si occupavano di pulire gli interni e le cabine e di andare al supermercato a fare la cambusa; la rimozione degli oggetti d'ingombro era compito dei verniciatori; alla battagliola era stata impropriamente attribuita funzione di protezione anticaduta dall'alto, laddove tale funzione è pacificamente svolta dal ponteggio e dalle sue protezioni laterali, tanto da dover essere costruito a distanza non superiore a 20 centimetri dal filo della costruzione, palazzo o imbarcazione, alla quale afferisce. Non dovendo i marinai eseguire alcun lavoro di manutenzione all'esterno dell'imbarcazione, deve essere escluso che il Comandante dovesse garantire la sicurezza e la regolarità del montaggio del ponteggio. Al momento dell'Infortunio il marinaio Th. stava svolgendo un compito di pertinenza esclusiva dei verniciatori, del tutto estraneo alle sue incombenze, per cui la conclusione alla quale sono pervenuti i giudici di merito contrasta con la totale assenza di interferenza dell'equipaggio con l'attività in corso da parte delle varie imprese, né era emerso che la rimozione della battagliola avesse aggravato il pericolo e chi avesse effettuato tale rimozione;
b) erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla posizione di garanzia del Comandante. Il ricorrente ritiene che il contenuto della posizione di garanzia del datore di lavoro sia stato indebitamente ampliato fino a renderlo del tutto astratto e privo di significato, posto che l'obbligo di garanzia del comandante si sarebbe dovuto ritenere esaurito nella scelta delle imprese adatte e preparate e nell'affidamento dell'imbarcazione ad un cantiere specializzato tra i più rinomati del mondo, i cui responsabili avevano controllato il ponteggio senza avvedersi di alcuna irregolarità; né il ricorrente avrebbe potuto prevedere che i verniciatori avrebbero occultato con teli bianchi di plastica la presenza di quel piccolo varco lasciato dai ponteggiatori;
c) violazione dell'art. 321 cod. nav. e contraddittorietà della motivazione per quanto riguarda la qualifica di comandante e l'assunzione della posizione di garanzia nei confronti dell'equipaggio. Il ricorrente si era allontanato dall'Italia il 1 febbraio 2007, per cui a norma dell'art.321 cod. nav. vi era stato l'automatico passaggio delle funzioni di Comandante al primo ufficiale di macchina S.D.; nel considerare che la posizione di garanzia permanesse in capo al Comandante V.J.H., i giudici di merito hanno violato tale norma. Sia nel momento in cui sono stati montati i teli bianchi, sia nel momento in cui è stato impartito l'ordine al marinaio le funzioni di comandante erano esercitate dal S.D..
6. G.B. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) omessa motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. La Corte territoriale ha rigettato tale istanza con motivazione assolutamente insufficiente, non fornendo alcuna spiegazione in merito ai dubbi sollevati dal medico legale in ordine al fatto che fosse incomprensibile come una persona alta circa due metri e del peso di quasi cento chili potesse essere caduta di testa in uno spazio di cm.60 senza riportare alcuna escoriazione; 
b) vizio di motivazione in ordine alla corretta individuazione delle posizioni di garanzia e violazione dell'art.7 d. Lgs. n.626/1994. Il ricorrente contesta che su di lui incombesse l'obbligo di promuovere il coordinamento, posto che tale compito spetta in base all'art.7, comma 3, d. lgs. n.626/94 al datore di lavoro committente, ossia alla società armatrice Romanza Corporation, che aveva acquistato l'imbarcazione nel 2006. La OMISSIS, datrice di lavoro del ricorrente, era la società appaltatrice, i lavori non si svolgevano presso il cantiere di tale società, l'infortunio ha riguardato un membro dell'equipaggio della Romanza, l'ordine di asportare il parapetto in acciaio era stato dato dal Comandante della Romanza. Sul ricorrente incombeva l'obbligo di cooperare per il coordinamento, mentre la Corte di Appello ha desunto l'obbligo di coordinare gli interventi di protezione antinfortunistica ed eliminare i rischi dovuti alle interferenze a carico del G.B. su base fattuale, trascurando che l'infortunio non ha riguardato un'impresa subappaltatrice ma un lavoratore dell'impresa committente. La sentenza è contraddittoria perché, pur non contestando che la società armatrice fosse la committente, ha tuttavia attribuito a G.B. l'obbligo di promuovere il coordinamento. La Corte di Appello ha attribuito rilevanza al documento sulla sicurezza redatto da Azimut ai sensi dell'art.38 d. Lgs. 27 luglio 1999, n.272, trascurando che si tratta di documento redatto quando la nave era ormeggiata e che tale normativa è stata dichiarata inapplicabile nel caso concreto, essendo la nave tirata a secco, proprio dal giudice di primo grado. Affermando che la valutazione dei rischi era comunque imposta dal d. Igs. n.626/94, la Corte di Appello ha trascurato che, nel caso concreto, l'infortunio sia stato causato dall'ordine di rimozione del parapetto dato dal comandante al suo equipaggio, piuttosto che dall'omessa valutazione dei rischi. Né incombeva sul ricorrente alcun dovere di coordinamento dei marinai, dipendenti del datore di lavoro committente;
c) mancanza di motivazione per omessa valutazione delle dichiarazioni testimoniali che attestavano che il ricorrente avesse esercitato i suoi poteri- doveri di controllo tramite l'intervento dell'ing. M. e della dott.ssa L., quotidianamente presenti in cantiere anche al fine di verificare la qualità dei lavori;
d) mancanza di motivazione e violazione di legge in relazione all'art.516 cod. proc. pen.: la Corte di Appello ha dichiarato palesemente infondata l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado laddove aveva attribuito al ricorrente la violazione del dovere di cooperare al coordinamento ai sensi dell'art. 7, comma 2, d. lgs n.626/94 a fronte della contestata violazione dell'obbligo di promuovere il coordinamento ai sensi dell'art. 7, comma 3, d. lgs. n.626/94, ma non ha indicato le ragioni del diniego;
e) mancanza di motivazione per avere la Corte di Appello trascurato la tesi difensiva in ordine all'applicabilità al caso in esame della normativa di cui al d. lgs. 27 luglio 1999, n.271, che aveva il compito di adeguare la normativa vigente dettata dal d. lgs. n.626/94 alle particolari esigenze dei servizi espletati sulle navi e che poneva a carico dell'armatore l'obbligo di promuovere la cooperazione ed il coordinamento in relazione ai rischi specifici ed interferenziali previsti dall'art.10, comma 2, d. lgs. n.626/94.

7. All'odierna udienza il difensore della parte civile ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Considerato in diritto

Le posizioni di garanzia

1. L'esame dei motivi di ricorso non può prescindere da un preliminare inquadramento normativo delle posizioni di garanzia dei due ricorrenti come strutturate nel capo d'imputazione e nelle sentenze di merito. Si tratta, infatti, di posizioni di garanzia che traggono origine da fonti normative distinte e che delineano distinte aree di rischio della cui gestione ciascuno degli imputati è stato ritenuto responsabile.
1.1. Con riguardo a V.J.H., la posizione di garanzia si è individuata nella qualifica di datore di lavoro pacificamente rivestita dall'imputato nei confronti del lavoratore deceduto; in tale veste, si è ritenuto che su tale soggetto incombesse l'obbligo di gestire il rischio di caduta dall'alto dei membri dell'equipaggio, tanto in applicazione delle generali norme cautelari dettate dagli artt.8 e 27 d.P.R. n.547/55 quanto in osservanza della specifica regola cautelare dettata con riferimento all'idoneità dei ponteggi dall'art.16 d.P.R. n.164/56, data la condizione di fatto in cui nel caso concreto si svolgevano le attività a bordo dell'imbarcazione per la contemporanea presenza di attività di cantiere.
1.2. Con riguardo a G.B., la posizione di garanzia non poteva che sorgere dalla natura interferenziale del rischio la cui concretizzazione ha determinato l'infortunio, posto che non sussistevano fonti di natura contrattuale che dessero origine ad obblighi di protezione o di controllo a carico di tale imputato nei confronti del lavoratore infortunato.
1.3. Giova sottolineare che sotto la vigenza del d.lgs. n. 626/1994, in caso di contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione, l'obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi - denominato come piano di sicurezza e coordinamento - era posto in capo a tutti i datori di lavoro; quindi, sia al datore di lavoro committente che ai datori di lavoro delle imprese appaltataci (la Corte di Cassazione ha chiarito che, solo a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, l'omessa valutazione del rischio interferenziale é divenuto reato proprio del committente e non può pertanto più essere imputata anche al datore di lavoro appaltatore, Sez.3, n. 2285 del 14/11/2012, dep.2013, Formentini, Rv. 254836). Il presupposto dell'obbligo di neutralizzare i rischi interferenziali in caso di appalto cosiddetto endoaziendale si rinviene nell'art.7, comma 3, d. lgs. n.626/94, e riguarda tutte le attività che si svolgono all'Interno di una singola unità produttiva (art.7, comma 1, d.lgs. n.626/94), indipendentemente dal fatto che vi siano taluni rischi da interferenze che possano riguardare esclusivamente i dipendenti dell'appaltatore ovvero i lavoratori autonomi presenti nell'ambiente di lavoro ovvero i lavoratori dipendenti del committente. Si tratta di una regola evidentemente finalizzata ad individuare i titolari della posizione di garanzia in relazione ai rischi da interferenze in coloro che hanno una posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nell'unità produttiva di più imprese.
1.4. Correlato alle suesposte previsioni normative è l'obbligo del giudice di merito di chiarire, preliminarmente, se una determinata attività abbia dato luogo ad un rischio interferenziale. Si tratta, in altre parole, di analizzare se sussista il rischio derivante dalla convergenza di articolazioni di aziende diverse verso il compimento di un'opera unitaria (nel caso concreto, lavori di allestimento dell'imbarcazione) (Sez. 4, n. 14167 del 12/03/2015, Marzano, Rv. 263150).

Il rischio interferenziale

2. Il tema rileva nel contesto spaziale e lavorativo in cui si è verificato l'evento in occasione della convergenza delle attività di lavoratori dipendenti dal committente e dalle imprese subappaltatrici, coordinate dall'appaltatore OMISSIS s.p.a., avendo i giudici di merito descritto la situazione di rischio dalla quale si è originato l'evento come effetto dell'erroneo posizionamento del ponteggio, realizzato da un subappaltatore, dell'imbracatura del natante con teli protettivi, posta in essere da altro subappaltatore, e della rimozione della battagliola, funzionale a proteggere le parti metalliche dalle operazioni di verniciatura e posta in essere dai membri dell'equipaggio.
2.1. L’interpretazione del concetto di «interferenza», da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione, come ricavabili dall'art.7 d. lgs. n.626/94 (ora art.26, commi 1, lett. a) e b) e 3, d.lgs. n.81/2008, con riferimento alla posizione del committente, e comma 2 lett. a) e b) stesso decreto, con riferimento alla posizione dell'appaltatore e del subappaltatore), non viene definita dal testo normativo, ma una sua definizione normativa la si può rinvenire nella Determinazione n.3/2008 dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come «circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti».
2.2. Gli obblighi di cui al richiamato art. 7 presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i beneficiari della tutela che deriva dai rapporti ai quali fa riferimento l'intero art.7, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. In particolare, la ratio della norma di cui all'art. 7 d. lgs. n.626/94 è quella di far sì che il datore di lavoro organizzi la prevenzione dei rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la loro attività lavorativa. Se questa è la ratio, ciò che rileva ai fini della normativa di cui all'art. 7 del citato d. lgs., non è solo la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, ma soprattutto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte e per i terzi estranei ai suddetti rapporti che si trovino ad operare nel cantiere. Quindi, anche se si accetta l'interpretazione del concetto di interferenza offertaci dalla richiamata Determinazione n. 3/2008, al fine di individuare i confini della stessa occorre far riferimento alla suindicata ratio per comprendere quando l'interferenza sia rilevante anche ai fini della qualificazione giuridica del fatto. Non solo il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche la coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni; l'elemento rilevante è, in tal caso, il potere di interferenza dell'appaltatore (Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini, Rv.264957; Sez. 4, n. 36398 del 23/05/2013, Mungiguerra, in motivazione).
2.3. Gli obblighi di cooperazione e coordinamento gravanti a norma dell'art.7 d. lgs. n.626/94 sui datori di lavoro così individuati rappresentano la cifra della « loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro'!/ responsabilità. L'assolvimento di tali obblighi risponde, infatti, all'esigenza, avvertita come primaria dal legislatore comunitario, al quale si ispira l'attuale normativa antinfortunistica, di gestire preventivamente tale categoria di rischio.

I motivi di ricorso di V.J.H. .

3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, fondandosi su una lettura parcellizzata della sentenza di merito, in cui, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, si sono riportate chiaramente le deposizioni testimoniali concernenti le attività svolte in concreto dall'equipaggio (pag.9). Risulta dirimente la circostanza, data per pacifica nel ricorso, che i tre marinai presenti a bordo si occupassero della pulizia delle cabine: esattamente su tale presupposto si fonda quanto accertato dai giudici di merito laddove hanno ritenuto, con motivazione ineccepibile, che fosse del tutto naturale che i marinai addetti alla pulizia dell'imbarcazione dovessero proteggere gli interni dalla polvere provocata dalle lavorazioni, particolarmente copiosa il giorno dell'infortunio in concomitanza con le attività di molatura della vetroresina, e che a tal fine andassero ad aggiustare i teli in precedenza apposti dagli operai addetti alla verniciatura (pag.10). Tanto al fine di chiarire la pertinenza dell'attività svolta dalla vittima rispetto alle sue ordinarie mansioni.
Destituito di fondamento, proprio in relazione alla indiscussa libertà lasciata ai membri dell'equipaggio di percorrere i bordi del ponte di prua, anche al fine di curare la pulizia dell'imbarcazione, è l'assunto per cui sul Comandante non incombesse alcun obbligo impeditivo dell'evento, sul presupposto che la funzione della battagliola non fosse quella di prevenire le cadute dall'alto e che la regolarità del ponteggio non rientrasse nei suoi obblighi di controllo. Si tratta di considerazioni in fatto tendenti ad una nuova lettura delle emergenze istruttorie, contrastante con quanto congruamente illustrato dai giudici di merito a proposito dell'obbligo gravante sul comandante, in qualità di datore di lavoro dei membri dell'equipaggio rimasti in servizio, di garantire la sicurezza del luogo di lavoro, rappresentato dall'imbarcazione, mettendo in sicurezza i passaggi laterali del ponte.
L'argomento secondo il quale non vi fosse interferenza dell'equipaggio con le attività delle varie imprese che lavoravano all'allestimento del natante, risulta inconferente, alla luce di quanto chiarito circa le distinte fonti della posizione di garanzia dei due imputati, in relazione all'imputato V.J.H., posto che su tale imputato gravavano obblighi di protezione la cui fonte era il diretto rapporto di lavoro con l'infortunato.
3.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La posizione di garanzia del comandante è stata correttamente ritenuta operante in virtù del fatto che vi fossero taluni membri dell'equipaggio che prestavano servizio a bordo dell'imbarcazione. Quest'ultima, quale luogo di lavoro, costituiva l'ambito spaziale entro il quale il datore di lavoro era tenuto a garantire i lavoratori dal rischio di cadute dall'alto; rischio attivato, principalmente, dall'erronea installazione del ponteggio a distanza superiore a cm. 20 dal filo del natante e dall'apposizione di teli che falsavano la percezione dell'insidia e solo aggravato dalla rimozione della battagliola.
La Corte territoriale, con specifica replica alla tesi difensiva secondo la quale il comandante facesse affidamento sulle competenze tecniche delle imprese che operavano nel cantiere, ha evidenziato (pag.13) l'esigibilità di una condotta alternativa da parte del datore di lavoro della vittima, correlata alla possibilità di percepire la presenza del varco, prevedere il pericolo ed apporre barriere idonee ovvero vietare tassativamente l'accesso a quella zona del ponte di prua. Con motivazione coerente con il criterio interpretativo più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il principio dell’affidamento trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale il soggetto garante del rischio è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della «ragionevole» prevedibilità in base alle circostanze del caso concreto (Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Schettino, Rv. 27078001; Sez. 4, n. 46741 del 08/10/2009, Minunno, Rv. 24566301).
3.2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Si sostiene che, non essendo l'imputato in servizio alla data dell'infortunio, il passaggio di consegne all'ufficiale in servizio a quella data avrebbe escluso la posizione di garanzia del V.J.H.. Nella sentenza tale questione è stata espressamente affrontata, e risolta (pag.13), attribuendo rilievo causale alla condotta omissiva posta in essere dall'imputato allorché rivestiva la posizione di garanzia, non potendosi escludere il nesso causale per la presenza di altri garanti.

E' necessario, qui, chiarire che la questione concerne il profilo causale dell'addebito di responsabilità secondo la clausola di equivalenza prevista dall'art.40, comma 2, cod. pen.; in altre parole, la questione se all'omissione addebitata all'imputato potesse collegarsi l'evento della perdita della vita della vittima. In tal senso, può ascriversi efficienza causale all'essere rimasto inerte, o all'aver agito altrimenti, laddove si sarebbe dovuto agire in modo da impedire che il marinaio precipitasse nel varco, addebitandosi al ricorrente di non aver contrastato adeguatamente fattori di rischio già presenti nella situazione esistente o di non averli contrastati con i provvedimenti adeguati richiesti dal caso. Si tratta, sotto il profilo funzionale, della categoria degli obblighi di controllo, che impone di neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto. Il più delle volte questi obblighi di controllo sono ricollegati all'esistenza di un «potere di organizzazione o di disposizione relativo a cose o situazioni potenzialmente pericolose».

Ma la Corte di Cassazione ha già avuto occasione di chiarire che non è condivisibile l'affermazione che il garante, perché risponda dell'evento, debba essere dotato di tutti i poteri impeditivi dell'evento, essendo richiesto all'agente che ponga in essere solo quelli da lui esigibili; la posizione di garanzia richiede l'esistenza dei poteri impeditivi che, peraltro, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi (per es. di natura sollecitatoria), e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificamente diretti ad impedire il verificarsi dell'evento. Del resto, nella gran parte dei casi i garanti non dispongono sempre e in ogni situazione di tutti i poteri impeditivi che invece, di volta in volta, si modulano sulle situazioni concrete. Saranno proprio le situazioni concrete a determinare l'ambito dei poteri impeditivi esigibili da parte del garante e questi poteri impeditivi possono essere limitati ad un mero obbligo di attivarsi. Insomma, all'obbligo giuridico di impedire l'evento deve accompagnarsi l'esistenza di poteri fattuali che consentano all'agente di porre in essere, almeno in parte, meccanismi idonei ad evitare il verificarsi dell'evento. In conclusione: l'agente non può rispondere del verificarsi dell'evento se, pur titolare di una posizione di garanzia, non disponga della possibilità di influenzare il corso degli eventi. Per converso, chi ha questa possibilità non risponde se non ha un obbligo giuridico di intervenire per operare la modifica del decorso degli avvenimenti (Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, Catalano, in motivazione).

Vale la pena di ricordare che nella giurisprudenza della Corte di Cassazione è stato già affermato il principio, che attiene alla cosiddetta causalità additiva o cumulativa, secondo il quale il nesso di causalità tra la condotta omissiva del titolare di una posizione di garanzia e l'evento non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi in tale ipotesi un concorso di cause ai sensi dell'art.41, primo comma, cod. pen. (Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 26373301; Sez. 4, n. 1194 del 15/11/2013, dep. 2014, Braidotti, Rv. 25823201; Sez. 4, n. 43078 del 28/04/2005, Poli, Rv. 23241601). La sussistenza del nesso di causalità, quando si tratta di omissioni, viene infatti di regola affermata o esclusa con ragionamento di deduzione logica di natura controfattuale, in base al quale deve verificarsi se, considerate tutte le circostanze del caso concreto, il comportamento alternativo corretto avrebbe evitato l'evento e se fossero o meno ravvisabili processi causali anomali o eccezionali. Nel caso concreto, in linea con il criterio probabilistico che assiste il procedimento logico controfattuale, i giudici di merito hanno valutato che, ove l'imputato avesse fatto apporre barriere idonee ovvero avesse tassativamente vietato l'accesso alla zona ove era presente il varco tra il bordo della prua ed il ponteggio, avrebbe con ragionevole probabilità impedito l'evento. Si tratta di giudizio che considera il succedersi di garanti alla stregua di una successione di aree di garanzia, per cui solo un errore nuovo, idoneo ad aprire nuovi scenari, nuove aree di rischio rispetto a quella innescata nello scenario di rischio in cui operava il primo garante, potrebbe sollevare dubbi sull'esistenza di un nesso di causa tra l'omissione del primo garante e l'evento. Errore od omissione che la difesa non ha sottoposto all'esame dei giudici di merito nel presente processo, posto che la condotta posta in essere dall'ufficiale che aveva ricevuto le consegne non avrebbe comunque creato una nuova area di rischio. Al succedersi di posizioni di garanzia, non risulta, in altre parole, che si sia affiancato alcun significativo mutamento della situazione di rischio già rilevabile all'epoca in cui il Comandante V.J.H. era in servizio.

I motivi di ricorso di G.B.

4. Il primo motivo di ricorso è infondato. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha in più occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art.603 cod. proc. pen. ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (Sez.2, n.41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 25696801; Sez.2, n.3458 del 1/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 23339101) precisando, altresì, che, considerata tale natura, una motivazione specifica è richiesta solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito, nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n.24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 24787201). Nel caso concreto, peraltro, la Corte territoriale ha espressamente spiegato le ragioni per le quali non fosse decisiva né assolutamente necessaria la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, considerando ampiamente sufficiente per la decisione il compendio istruttorio acquisito nel giudizio di primo grado per l'impossibilità di prospettare, alla luce delle evidenze fotografiche, ipotesi alternative alla caduta della vittima all'interno del varco esistente tra il ponteggio e lo scafo. 
4.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato. La Corte di Appello ha risposto analiticamente alla censura svolta nell'atto di appello in merito alla posizione di garanzia del ricorrente (pag.15), correlando tale posizione al rischio interferenziale creato dalla coesistenza di diverse lavorazioni svolte da diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera e rimarcando come la responsabilità del comandante (che, si deve ricordare, è stata affermata nella sua veste di datore di lavoro) non escludesse quella dell'appaltatore, chiamato ad organizzare ed a gestire il cantiere. Si richiama, sul punto, quanto già esposto al par.2, ribadendo che la gestione del rischio interferenziale ha la finalità di proteggere tutti coloro che si trovano ad operare nel cantiere, ancorché non legati da un rapporto contrattuale al garante del rischio.
[...]

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite in questo giudizio di legittimità, rappresentate dall'avv.to OMISSIS, che liquida in complessivi euro 7.000,00 oltre accessori come per legge. Così deciso il 1 febbraio 2018

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D.M. 30 novembre 1983

ID 5696 | | Visite: 23494 | Prevenzione Incendi

DM 30 novembre 1983

D.M. 30 novembre 1983 

Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi 

(GU n. 339 del 12 dicembre 1983)
_________

Testo del D.M. 30 novembre 1983(1) coordinato con le modifiche introdotte dal DM 9 marzo 2007 relativo alle prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni, integrato con ulteriori definizioni presenti nello stesso decreto, o che sono state introdotte successivamente in varie regole tecniche (come, ad es. "spazio calmo", "corridoio cieco", ecc.). 

Non vengono riportate quelle definizioni che, pur presenti nelle varie regole tecniche di prevenzione incendi, sono specifiche per l'attività considerata (es. "box", "rampa"… per le autorimesse, "sala", "scena"… per i locali di pubblico spettacolo, "area di servizio annessa", "area riservata"… per gli impianti sportivi, "mall", "attività di vendita monopiano"… per le attività commerciali, ecc.).

Non sono riportate inoltre le definizioni di cui al Cap. G.1 dell’allegato al D.M. 3 agosto 2015 (c.d. codice di prevenzione incendi).

Nelle note a piè di pagina in corsivo rosso sono riportati vari chiarimenti e commenti dell’autore, tratti anche da documentazione ministeriale. 

(1) Il testo non ha carattere di ufficialità.

_____________

Simboli grafici, riferibili a misure di prevenzione incendi, da adottarsi nell'esecuzione di elaborati tecnici

DM 30 novembre 1983 simboli

Collegati

Decreto 7 febbraio 2018 | Formazione marittima

ID 5689 | | Visite: 4045 | Decreti Sicurezza lavoro

Decreto 7 febbraio 2018  

Formazione ufficiali di Coperta e di macchina

Revisione degli allegati A e B del decreto 4 maggio 2017, inerente: «Aggiornamento dei programmi del corso di formazione per il conseguimento delle competenze di livello direttivo per gli ufficiali di coperta e di macchina di cui al decreto dirigenziale 4 dicembre 2013. (Decreto dirigenziale n. 130/2018).

GU Serie Generale n.46 del 24-02-2018
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Articolo unico 

Gli allegati A e B del presente decreto sostituiscono gli allegati A e B del decreto dirigenziale 4 maggio 2017 citato in premessa. Il presente decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
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ALLEGATO A Programma del corso di formazione del livello direttivo per gli ufficiali di Coperta

ALLEGATO B Programma del corso del livello direttivo per gli Ufficiali di macchina

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Collegati:

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 8028 | 20 Febbraio 2018

ID 5680 | | Visite: 4232 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 8028 del 20 Febbraio 2018 

Mancanza di qualsiasi dispositivo di protezione: infortunio mortale a seguito di caduta dall'alto
Responsabilità preposto

Penale Sent. Sez. 3 Num. 8028 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI
Data Udienza: 27/09/2017

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29 settembre 2011 il Tribunale di Spoleto condannò G.B. alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi nove di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, in relazione al reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. (perché, quale direttore tecnico e di cantiere, e dunque di preposto dall'impresa appaltatrice, Inter Alia S.r.l., che anche a seguito del subappalto continuava a essere presente sul cantiere, per negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per non aver vigilato sulla attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, e in particolare per non essersi accertato che i lavoratori indossassero le cinture di protezione e che fosse stata ripristinata la fune di sicurezza facente parte della linea di ancoraggio, costituita da tre paletti, di cui uno era stato rimosso, cagionava la morte di K.B., che, mentre era impegnato nei lavori di bonifica di una copertura in eternit, nell'afferrare un pannello da posizionare sopra tale copertura, perdeva l'equilibrio e cadeva a terra, precipitando da una altezza di circa otto metri e decedendo sul colpo), e anche in riferimento alla contravvenzione alle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro di cui al capo c) della rubrica.

1.1. La Corte di Appello di Perugia, con sentenza del 6 novembre 2012, pronunziando sulla impugnazione dell'imputato, dichiarò non doversi procedere nei suoi confronti in relazione alla contravvenzione di cui al capo c), per essere la stessa estinta per prescrizione, e rideterminò la pena inflittagli per il residuo reato di omicidio colposo in anni uno e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

1.2. La Quarta sezione penale di questa Corte, pronunciandosi con la sentenza n. 43836 del 2014 sul ricorso dell'imputato, annullò tale sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Firenze, rilevando che, secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito, il G.B. era direttore tecnico e capocantiere per conto della Inter Alia S.r.l., società che aveva subappaltato alla Canal System i lavori che essa aveva acquisito dalla Car. Ind., e che risultava ancora indistinta l'effettiva collocazione spettante all'imputato tra i soggetti debitori di sicurezza verso i lavoratori impegnati nel cantiere, mentre il riconoscimento di responsabilità in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro presuppone la prova sicura dell'attribuzione delle funzioni o dell'ingerenza nell'organizzazione del cantiere.
Venne, dunque, evidenziata la mancanza dell'accertamento in merito alla effettiva posizione di garanzia assunta dal G.B. nel contesto dei lavori in questione, al di là delle qualifiche formali, sottolineando l'insufficienza della sola sollecitazione all'uso dei dispositivi di protezione come fonte di una colpa per assunzione, non essendo tale comportamento di per sé solo sufficiente ad integrare quell'ingerenza che la giurisprudenza di legittimità riconosce poter essere fonte d obblighi prevenzionistici.

1.3. La Corte d'appello di Firenze, pronunziando quale giudice del rinvio con la sentenza indicata in epigrafe, ha nuovamente dichiarato non doversi procedere in relazione alla contravvenzione di cui al capo c) della rubrica in quanto estinta per prescrizione, rideterminando la pena per il residuo reato di omicidio colposo di cui al capo d) in anni uno e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Spoleto.
La Corte territoriale, pur dando atto che la posizione rivestita dal G.B., di direttore tecnico e capocantiere per conto della appaltatrice Inter Alia S.r.l., non rientra tra le posizioni di garanzia espressamente previste dalle disposizioni in materia antinfortunistica, e che lo stesso non era destinatario di una delega in tale ambito da parte dei titolari di dette posizioni di garanzia, lo ha ritenuto responsabile del reato contestatogli, in base al principio di effettività vigente in materia antinfortunistica, ai sensi dell'art. 299 d.lgs. 81/2008, in quanto lo stesso aveva assunto di fatto il ruolo di preposto nel cantiere presso la sede della CAR.IND., dove stavano lavorando i tre dipendenti della Canal System S.r.l., tra cui l'infortunato K.B., assumendo di conseguenza la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, medianti i difensori di fiducia, che lo hanno affidato a tre motivi, enunciati entro i limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.

2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione dell'art. 627 cod. proc. pen. e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alle statuizioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione n. 43836 del 2014, per avere la Corte d'appello omesso di uniformarsi ai principi di diritto enunciati in tale sentenza di annullamento con rinvio, nella quale è stato chiarito come non possa considerarsi ingerenza nell'organizzazione del cantiere la sola sollecitazione al rispetto delle norme antinfortunistiche, sicché erroneamente era stato ritenuto che il G.B. avesse poteri in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro o, comunque, poteri di ingerenza nella esecuzione dei lavori tali consentire di ravvisare a suo carico una posizione di garanzia, con i conseguenti obblighi nei confronti dei lavoratori.

2.2. Con un secondo motivo ha prospettato violazione dell'art. 299 d.lgs. 81/2008, non essendo state considerate adeguatamente dalla Corte territoriale le effettive mansioni svolte dal ricorrente, omettendo di tener conto del fatto che l'impresa di cui il G.B. era dipendente non operava nel cantiere, laddove lavoravano solo dipendenti della Canal System, sicché non vi era alcuna esigenza di coordinamento tra i dipendenti di più imprese, e il G.B. era stato incaricato solamente dalla sub committente Inter Alia di controllare la qualità dei materiali impiegati.

2.3. Con un terzo motivo ha lamentato violazione di legge penale e manifesta illogicità della motivazione, per l'omessa considerazione del fatto che l'infortunio mortale era avvenuto in un giorno in cui il cantiere avrebbe dovuto rimanere chiuso e gli operai non avrebbero dovuto lavorare, essendo stati chiamati in cantiere dall'amministratore della Canal System, del cui comportamento anomalo e imprevedibile non poteva rispondere l'imputato, che non ne aveva avuto comunicazione, cosicché ne risultava erronea l'affermazione di responsabilità.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è fondato.

2. Secondo quanto si ricava dalla incontestata narrativa delle sentente di merito, verso le ore 8,15 del 13 gennaio 2007 alcuni dipendenti della Canal System S.r.l., tra i quali il K.B., si trovavano sul tetto del capannone industriale della ditta Car. Ind., intenti ad eseguire i lavori di sistemazione della copertura, che la Canal System aveva avuto in subappalto dalla Inter Alia s.r.l., quando il K.B. era scivolato e precipitato al suolo da un'altezza di circa sette metri, perdendo la vita. Le testimonianze dei colleghi di lavoro permettevano di conoscere che in precedenza era stata montata sul tetto la fune del dispositivo di sicurezza, che tuttavia quella mattina non era in situ perché tolta il giorno precedente proprio dal K.B., caposquadra, il quale era peraltro sprovvisto di cintura di sicurezza.

L'infortunio veniva quindi addebitato al datore di lavoro, P.C., per non aver questi impartito al lavoratore uno specifico e adeguato addestramento professionale, tale da renderlo consapevole della necessità di utilizzare i dispositivi di protezione; e a G.B., direttore tecnico e capocantiere per conto della Inter Alia, il quale non aveva esercitato poteri di controllo sull'uso dei dispositivi di sicurezza e quindi non aveva tempestivamente bloccato gli interventi in corso al momento della rimozione della fune di sicurezza. Inoltre, il giudice distrettuale ha affermato esser stato accertato che il G.B. si era portato nel cantiere anche il giorno precedente al sinistro e si era reso conto che la piattaforma elevabile che doveva fungere da parapetto non era stata spostata in base all'andamento dei lavori ma si trovava a distanza di circa 4 metri dal luogo in cui gli operai stavano operando e ciò nonostante non aveva dato alcuna disposizione, nonostante il fatto che il mancato uso dei mezzi di protezione individuale, in particolare da parte del K.B., avrebbe dovuto indurlo a essere particolarmente attento nel rendere operativo il dispositivo di protezione collettiva costituito dalla piattaforma mobile.

Il fatto che il G.B. non fosse a conoscenza del fatto che nella giornata del sinistro, un sabato, gli operai avrebbero lavorato non è stato per la Corte territoriale sufficiente ad escludere la responsabilità dell'imputato, posto che la piattaforma già dai giorni precedenti era rimasta nella posizione che non le consentiva di svolgere la funzione di protezione.

3. La Corte d'appello di Firenze, pronunziandosi a seguito dell'annullamento disposto da questa Corte con la sentenza n. 43836 del 2014, ha dato atto della assunzione da parte del ricorrente del ruolo di preposto nel cantiere presso il quale erano in corso i lavori affidati dalla Car. Ind. alla Inter Alia e da questa subappaltati alla Canal System S.r.l., presso la quale lavoravano tre dipendenti di tale società, tra cui il defunto K.B., e della conseguente assunzione da parte sua dell'obbligo di garantire la sicurezza delle loro condizioni di lavoro.

In particolare la Corte d'appello ha sottolineato che il G.B. sovraintendeva quotidianamente e personalmente alle attività, impartiva istruzioni - anche quanto alla sicurezza del lavoro - e dirigeva gli operai, ponendosi, di fatto, in una posizione di garanzia antinfortunistica nei loro confronti, tanto da sollecitare continuamente l'utilizzo delle cinture di sicurezza e da ordinare al K.B., il pomeriggio antecedente l'infortunio, di riposizionare la fune d'acciaio di trattenuta che il lavoratore aveva rimosso (salvo poi non prendere provvedimenti pur avendo constato che il Kadldi non la aveva rimessa), essendo stato informato dagli altri operai che il KB. era solito toglierla quando il G.B. non era presente.

4. A fronte di tale coerente e analitica ricostruzione, sia della veste assunta in via di fatto dal ricorrente, sia della sua piena consapevolezza della sistematica inottemperanza proprio da parte del K.B. alle prescrizioni antinfortunistiche, le doglianze sollevate mediante il ricorso in esame risultano tutte infondate.

4.1. Non sussiste, anzitutto, alcuna violazione del dictum contenuto nella precedente sentenza di questa Corte, che, nell'annullare la precedente sentenza di secondo grado, aveva rilevato l'insufficienza della mera sollecitazione all'utilizzo dei dispositivi antinfortunistici a consentire di ravvisare l'assunzione da parte dell'imputato, in via di fatto, di una posizione di garanzia, perché la Corte d'appello, in sede di rinvio, ha affermato la configurabilità di tale posizione sulla base di un complesso di elementi, univoci e concordanti nel senso della sistematica ingerenza da parte del ricorrente nella organizzazione del lavoro, delle condizioni in cui lo stesso veniva svolto e del rispetto delle prescrizioni antinfortunistiche, sottolineandone la presenza costante in cantiere, l'adozione di provvedimenti organizzativi e la vigilanza (rivelatasi insufficiente) sul rispetto delle norme di sicurezza e sull'utilizzo di tutti i presidi antinfortunistici (evidenziando quanto riferito da uno dei lavoratori a proposito del fatto che era stato l'imputato a impartire le istruzioni su come montare i pannelli sul tetto, utilizzando come sistemi di sicurezza la fune e il sollevatore), nonché la consapevolezza della disapplicazione degli stessi proprio da parte del lavoratore deceduto a seguito della caduta del tetto conseguente alla rimozione dei necessari dispositivi di sicurezza (riferita concordemente da parte di tutti e due gli altri dipendenti della Canal System presenti nel cantiere e addetti alla medesima lavorazione dell'infortunato).

I giudici del rinvio hanno, dunque, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, tenuto conto di quanto evidenziato nella precedente sentenza di questa Corte, individuando i plurimi elementi sulla base dei quali hanno affermato in modo logico la configurabilità di una posizione di garanzia a carico del ricorrente, con la conseguenza che non è dato ravvisare alcuna violazione dell'art. 627 cod. proc. pen., né contraddittorietà o illogicità manifeste della motivazione.

4.2. Per le medesime ragioni risulta infondato il secondo motivo, mediante il quale è stata prospettata violazione dell'art. 299 d.lgs. 81 del 2008, in relazione alla affermazione della assunzione da parte del ricorrente della veste di coordinatore della sicurezza, in quanto la Corte territoriale non ha ricavato la posizione di garanzia dell'imputato dal ruolo di coordinatore della sicurezza (che lo stesso non possedeva), bensì, sulla base del ricordato complesso di interventi e ingerenze dello stesso, dalla assunzione in via di fatto del ruolo di preposto presso il cantiere della Car. Ind., laddove lavoravano dipendenti della Canal System, dei quali il ricorrente aveva chiaramente preso la stabile direzione, con la conseguente corretta affermazione della assunzione da parte sua di detta veste e della responsabilità per l'evento derivato dalla incompleta e insufficiente osservanza dei relativi obblighi di vigilanza.

4.3. La Corte d'appello ha, poi, sia pure implicitamente, escluso la rilevanza sul piano causale del fatto che, su disposizione di P.C., legale rappresentante della Canal System e direttore dei lavori, i tre lavoratori dipendenti di detta società erano stati inviati in cantiere di sabato, in quanto ha sottolineato la piena consapevolezza da parte dell'Imputato della rimozione, proprio da parte del lavoratore deceduto, della fune di sicurezza, al quale, il giorno antecedente alla verificazione dell'incidente, aveva ordinato di riposizionarla, omettendo però di adottare qualsiasi provvedimento nonostante detto lavoratore non avesse ottemperato a tale ordine: mediante tale sottolineatura la Corte d'appello ha, infatti, evidenziato l'incidenza sul piano causale della omessa vigilanza del ricorrente sul rispetto delle disposizioni antinfortunistiche e sull'utilizzo di tutti i relativi dispositivi di sicurezza, affermandone la decisività nella verificazione dell'evento, essendo stata riscontrata, senza adottare alcuna iniziativa, la rimozione dei dispositivi di sicurezza il giorno antecedente a quello in cui si verificò la caduta della vittima dal tetto su cui stava lavorando; il fatto che l'imputato potesse non essere informato della decisione di far eseguire lavorazioni anche nella giornata di sabato non esclude, pertanto, la rilevanza causale della sua condotta, avendo comunque lasciato il cantiere in una situazione di irregolarità e pericolosità (derivante anche dal fatto che la piattaforma elevabile che doveva fungere da parapetto non era stata spostata in base all'andamento dei lavori ma si trovava a distanza di circa 4 metri dal luogo in cui gli operai stavano operando), rivelatasi poi generatrice dell'evento, mentre, secondo un ordinario canone di prudenza e diligenza, avrebbe dovuto adottare tutti gli accorgimenti affinché il cantiere, alla ripresa del lavoro, fosse in condizioni di sicurezza.

5. In conclusione il ricorso in esame deve essere respinto, essendo infondati tutti i motivi ai quali è stato affidato.
Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/9/2017

La Metodologia CHEOPE-CLP VR chimico

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Cheope CLP

La Metodologia CHEOPE-CLP VR chimico

Dall’entrata in vigore del D. Lgs. 626/94, ormai più di 16 anni fa, l’approccio alla sicurezza e igiene del lavoro basato sulla valutazione del rischio è entrato nella mentalità di tutti gli operatori del settore e, di conseguenza, nel modo di gestire questi aspetti da parte dei Datori di lavoro.

Per sua natura, la valutazione dei rischi è, in generale, un processo dinamico, che si nutre di informazioni di natura anche molto diversa: caratteristiche dei pericoli presi in considerazione, caratteristiche strutturali dei luoghi di lavoro, modalità operative adottare, aspetti organizzativi di carattere generale, situazioni al contorno.

La valutazione del rischio da esposizione ad agenti chimici, a cui è dedicato il Titolo IX capo I del D.Lgs. 81/08, rientra appieno in questa fattispecie, anzi risulta tra i compiti più complessi da affrontare in termini di elementi che necessariamente debbono essere presi in considerazione. L’obiettivo di ogni valutazione dei rischi è quello di consentire al Datore di lavoro di individuare i provvedimenti che sono effettivamente necessari per la salvaguardia della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Come è noto, il rischio per i lavoratori è legato alla presenza di determinate condizioni di pericolo. In particolare, per quanto riguarda gli agenti chimici, l’Art. 222 del D. Lgs. 81/08 adotta le seguenti definizioni:

- pericolo: la proprietà intrinseca di un agente chimico di poter produrre effetti nocivi;

- rischio: la probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di utilizzazione o esposizione.

Negli approcci strutturati basati su indici numerici si definiscono specifiche funzioni matematiche che associano al pericolo e al rischio valori numerici (in genere crescenti con l’aumentare del livello di pericolo o di rischio). La funzione di pericolo deve essere correlata alle modalità e all’entità della proprietà intrinseca potenzialmente in grado di produrre effetti nocivi sui lavoratori. La funzione di rischio presuppone di definire un modello dell’esposizione dei lavoratori ad un dato pericolo, che consenta di porre in relazione l’entità del danno atteso con la probabilità del suo verificarsi, e questo per ogni condizione operativa all’interno di certe ipotesi al contorno.

Federchimica 2011

Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo attività lavorativa

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Circolare 5 2018 INL 19 02 2018

Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo attività lavorativa

Circolare INL n. 5/2018 del 19 Febbraio 2018 

Oggetto: indicazioni operative sull’installazione e utilizzazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo ai sensi dell’art. 4 della legge n. 300/1970.

L’art. 23 del d.lgs. n. 151/2015 e il successivo art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 185/2016 hanno modificato l’art. 4 della legge n. 300/1970 adeguando l’impianto normativo e le procedure preesistenti alle innovazioni tecnologiche nel frattempo intervenute. Lo scopo della norma, dunque, rimane quello di contemperare, da un lato, l’esigenza afferente all’organizzazione del lavoro e della produzione propria del datore di lavoro e, dall’altro, tutelare la dignità e la riservatezza dei lavoratori.

Con la presente circolare, condivisa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si forniscono indicazioni operative in ordine alle problematiche inerenti l’installazione e l’utilizzazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo.

Istruttoria delle istanze presentate

Una prima questione riguarda le modalità secondo cui effettuare l’istruttoria in ordine alle istanze presentate per il rilascio del provvedimento e, in particolare, la valutazione dei presupposti legittimanti il controllo a distanza dei lavoratori.

Va premesso che tale istruttoria non coinvolge normalmente aspetti tecnici particolari che debbano essere valutati da personale con la qualifica di “ispettore tecnico” e, pertanto, tale attività va demandata al personale ispettivo ordinario o amministrativo operante all’interno delle varie unità organizzative dell’Ufficio e, solo in casi assolutamente eccezionali comportanti valutazioni tecniche di
particolare complessità, anche al personale ispettivo tecnico.

L’oggetto dell’attività valutativa, infatti, va concentrata sulla effettiva sussistenza delle ragioni legittimanti l’adozione del provvedimento, tenendo presente in particolare la specifica finalità per la quale viene richiesta la singola autorizzazione e cioè le ragioni organizzative e produttive, quelle di sicurezza sul lavoro e quelle di tutela del patrimonio aziendale.

Conseguentemente, le eventuali condizioni poste all’utilizzo delle varie strumentazioni utilizzate devono essere necessariamente correlate alla specifica finalità individuata nell’istanza senza, però, particolari ulteriori limitazioni di carattere tecnico che talvolta finiscono per vanificare l’efficacia dello stesso strumento di controllo. L’eventuale ripresa dei lavoratori, di norma, dovrebbe avvenire in via incidentale e con carattere di occasionalità ma nulla impedisce, se sussistono le ragioni giustificatrici del controllo (ad esempio tutela della “sicurezza del lavoro” o del “patrimonio aziendale”), di inquadrare direttamente l’operatore, senza introdurre condizioni quali, per esempio, “l’angolo di ripresa” della telecamera oppure “l’oscuramento del volto del lavoratore”.

Parimenti, sempre in tema di videosorveglianza, non appare fondamentale specificare il posizionamento predeterminato e l’esatto numero delle telecamere da installare fermo restando, comunque, che le riprese effettuate devono necessariamente essere coerenti e strettamente connesse con le ragioni legittimanti il controllo e dichiarate nell’istanza, ragioni la cui effettiva sussistenza va sempre verificata in sede di eventuale accertamento ispettivo. Ciò in quanto lo stato dei luoghi e il posizionamento delle merci o degli impianti produttivi è spesso oggetto di continue modificazioni nel corso del tempo (si pensi ad esempio alla rotazione delle merci nelle strutture della grande distribuzione) e pertanto rendono scarsamente utile una analitica istruttoria basata su planimetrie che nel corso del breve periodo non sono assolutamente rappresentative del contesto lavorativo.

Del resto, un provvedimento autorizzativo basato sulle esibizione di una documentazione che “fotografa” lo stato dei luoghi in un determinato momento storico rischierebbe di perdere efficacia nel momento stesso in cui tale “stato” venga modificato per varie esigenze, con la conseguente necessità di un aggiornamento periodico dello specifico provvedimento autorizzativo, pur in presenza delle medesime ragioni legittimanti l’installazione degli strumenti di controllo.

Da ultimo va precisato che il provvedimento autorizzativo viene rilasciato sulla base delle specifiche ragioni dichiarate dall’istante in sede di richiesta. L’attività di controllo, pertanto, è legittima se strettamente funzionale alla tutela dell’interesse dichiarato, interesse che non può essere modificato nel corso del tempo nemmeno se vengano invocate le altre ragioni legittimanti il controllo stesso ma non dichiarate nell’istanza di autorizzazione.

Gli eventuali controlli ispettivi successivi al rilascio del provvedimento autorizzativo, pertanto, dovranno innanzitutto verificare che le modalità di utilizzo degli strumenti di controllo siano assolutamente conformi e coerenti con le finalità dichiarate.

Tutela del patrimonio aziendale

Fra le ragioni giustificatrici del controllo a distanza dei lavoratori l’elemento di novità introdotto dalla più recente normativa è rappresentato dalla tutela del patrimonio aziendale che in precedenza veniva considerato come unico criterio legittimante delle visite personali di controllo di cui all’art. 6 della stessa legge.

Tale presupposto necessita però di una attenta valutazione in quanto l’ampiezza della nozione di “patrimonio aziendale” rischia di non trovare una adeguata delimitazione e, conseguentemente, non fungere da “idoneo filtro” alla ammissibilità delle richieste di autorizzazione.

In primo luogo va chiarito che tale problematica non si pone per le richieste che riguardano dispositivi collegati ad impianti di antifurto che tutelano il patrimonio aziendale in quanto tali dispositivi, entrando in funzione soltanto quando in azienda non sono presenti lavoratori, non consentono alcuna forma di controllo incidentale degli stessi e pertanto possono essere autorizzati secondo le modalità di cui alla nota n. 299 del 28 novembre 2017.

Diversa invece è l’ipotesi in cui la richiesta di installazione riguardi dispositivi operanti in presenza del personale aziendale, in quanto in tal caso la generica motivazione di “tutela del patrimonio” va necessariamente declinata per non vanificare le finalità poste alla base della disciplina normativa.

In tali fattispecie, come ricorda il garante della privacy, i principi di legittimità e determinatezza del fine perseguito, nonché della sua proporzionalità, correttezza e non eccedenza, impongono una gradualità nell’ampiezza e tipologia del monitoraggio, che rende assolutamente residuali i controlli più invasivi, legittimandoli solo a fronte della rilevazione di specifiche anomalie e comunque all’esito dell’esperimento di misure preventive meno limitative dei diritti dei lavoratori.

Del resto, anche secondo la Corte di Cassazione, la sussistenza dei presupposti legittimanti la tutela del patrimonio aziendale mediante le visite personali di controllo, va valutata in relazione ai mezzi tecnici e legali alternativi attuabili, all’intrinseca qualità delle cose da tutelare, alla possibilità per il datore di lavoro di prevenire ammanchi attraverso l’adozione di misure alternative (Cass. sent. n. 84/5902).

Inoltre, tra gli elementi che devono essere tenuti presenti nella comparazione dei contrapposti interessi, non possono non rientrare anche quelli relativi all’intrinseco valore e alla agevole asportabilità dei beni costituendi il patrimonio aziendale 

Telecamere

I sistemi di videosorveglianza di più recente introduzione si basano su tecnologie digitali adatte all’elaborazione su PC e trasmissione su rete dati (tipo internet). Le nuove soluzioni video in tecnologia IP hanno rivoluzionato il concetto di videosorveglianza, rendendo possibili funzioni e scenari applicativi inimmaginabili fino a pochi anni fa.

I sistemi di videosorveglianza che utilizzano tale tecnologia sono caratterizzati dall’utilizzo di una rete IP, cablata oppure wireless, che consente il trasporto dei dati video e audio digitali da un computer all'altro attraverso internet; è anche possibile registrare, visualizzare e mantenere le informazioni video e audio in qualsiasi punto della rete opportunamente dimensionata. Inoltre è possibile installare impianti di videosorveglianza a circuito chiuso, collegati all’intranet aziendale o via internet a postazione remota.

A tal proposito si precisa che, ove sussistano le ragioni giustificatrici del provvedimento, è autorizzabile da postazione remota sia la visione delle immagini “in tempo reale” che registrate.

Tuttavia, l’accesso da postazione remota alle immagini “in tempo reale” deve essere autorizzato solo in casi eccezionali debitamente motivati.

L’accesso alle immagini registrate, sia da remoto che “in loco”, deve essere necessariamente tracciato anche tramite apposite funzionalità che consentano la conservazione dei “log di accesso” per un congruo periodo, non inferiore a sei mesi; pertanto non va più posta più come condizione, nell’ambito del provvedimento autorizzativo, l’utilizzo del sistema della “doppia chiave fisica o logica”.

Quanto invece al “perimetro” spaziale di applicazione della disciplina in esame, l’orientamento giurisprudenziale tende ad identificare come luoghi soggetti alla normativa in questione anche quelli esterni dove venga svolta attività lavorativa in modo saltuario o occasionale (ad es. zone di carico e scarico merci). La Corte di Cassazione penale (sent. n. 1490/1986) afferma infatti che l’installazione di una telecamera diretta verso il luogo di lavoro dei propri dipendenti o su spazi dove essi hanno accesso anche occasionalmente, deve essere preventivamente autorizzata da uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali ovvero da un provvedimento dell’Ispettorato del lavoro.

Sarebbero invece da escludere dall’applicazione della norma quelle zone esterne estranee alle pertinenze della ditta, come ad es. il suolo pubblico, anche se antistante alle zone di ingresso all’azienda, nelle quali non è prestata attività lavorativa.

Dati biometrici

L’utilizzo di dispositivi e tecnologie per la raccolta e il trattamento di dati biometrici sta andando incontro ad una crescente diffusione. Il Garante per la protezione dei dati personali ha emanato un Provvedimento generale prescrittivo in tema di biometria, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 2 dicembre 2014. Il Garante evidenzia, al punto 4.2, come “l'adozione di sistemi biometrici basati sull'elaborazione dell'impronta digitale o della topografia della mano può essere consentita per limitare l'accesso ad aree e locali ritenuti "sensibili" in cui è necessario assicurare elevati e specifici livelli di sicurezza oppure per consentire l'utilizzo di apparati e macchinari pericolosi ai soli soggetti qualificati e specificamente addetti alle attività”.

Ne consegue che il riconoscimento biometrico, installato sulle macchine con lo scopo di impedire l’utilizzo della macchina a soggetti non autorizzati, necessario per avviare il funzionamento della stessa, può essere considerato uno strumento indispensabile a “...rendere la prestazione lavorativa...” e pertanto si possa prescindere, ai sensi del comma 2 dell’art. 4 della L. n. 300/1970, sia dall’accordo con le rappresentanze sindacali sia dal procedimento amministrativo di carattere autorizzativo previsto dalla legge.

Fonte: INL

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Art. 4  legge n. 300/1970 - Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo

1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilita' di controllo a distanza dell'attivita' dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unita' produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in piu' regioni, tale accordo puo' essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unita' produttive dislocate negli ambiti di competenza di piu' sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalita' d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. 

Collegati:

Legge 23 luglio 1991 n. 223

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Legge 23 luglio 1991 n  223 Mercato del lavoro

Legge 23 luglio 1991 n. 223 

Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro.

(GU n.175 del 27-07-1991 - S.O. n. 43)

Entrata in vigore delle legge: 11-8-1991

In allegato:
- Testo nativo
- Testo consolidato 07.2021

Aggiornamenti all'atto 2021

23/01/1992
LEGGE 20 gennaio 1992, n. 22 (in G.U. 23/01/1992, n.18)

20/08/1992
DECRETO-LEGGE 14 agosto 1992, n. 364 (in G.U. 20/08/1992, n.195) convertito, con modificazioni, dalla L. 19 ottobre 1992, n. 406 (G.U. 19/10/1992, n. 246)

29/09/1992
DECRETO-LEGGE 29 settembre 1992, n. 393 (in G.U. 29/09/1992, n.229) convertito, con modificazioni, dalla L. 26 novembre 1992, n. 460 (in G.U. 28/11/1992, n. 281)

20/05/1993
DECRETO-LEGGE 20 maggio 1993, n. 148 (in G.U. 20/05/1993, n.116) convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 236 (in S.O. n. 82, relativo alla G.U. 30/8/1993, n. 203)

20/05/1994
DECRETO-LEGGE 16 maggio 1994, n. 299 (in G.U. 20/05/1994, n.116) convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1994, n. 451, (in G.U. 19/7/1994, n. 167)

20/09/1995
La Corte costituzionale, con sentenza 6 settembre 1995, n. 423 (in G.U. 20/09/1995 n. 39) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1 e dell'art. 16, comma 1.

29/12/1995
LEGGE 28 dicembre 1995, n. 549 (in SO n.153, relativo alla G.U. 29/12/1995, n.302)

09/03/1996
LEGGE 7 marzo 1996, n. 109 (in SO n.44, relativo alla G.U. 09/03/1996, n.58)

02/10/1996
DECRETO-LEGGE 1 ottobre 1996, n. 510 (in G.U. 02/10/1996, n.231) convertito, con modificazioni, dalla L. 28 novembre 1996, n. 608 (in S.O. n. 209, relativo alla G.U. 30/11/1996, n. 281)

23/10/1996
DECRETO-LEGGE 23 ottobre 1996, n. 542 (in G.U. 23/10/1996, n.249) convertito, con modificazioni, dalla L. 23 dicembre 1996, n. 649 (in G.U. 23/12/1996, n. 300)

26/03/1997
DECRETO-LEGGE 25 marzo 1997, n. 67 (in G.U. 26/03/1997, n.71) convertito con modificazioni dalla L. 23 maggio 1997, n. 135 (in G.U. 24/05/1997, n. 119)

12/06/1997
DECRETO LEGISLATIVO 26 maggio 1997, n. 151 (in G.U. 12/06/1997, n.135)

29/12/1998
LEGGE 23 dicembre 1998, n. 448 (in SO n.210, relativo alla G.U. 29/12/1998, n.302)

17/05/1999
LEGGE 13 maggio 1999, n. 133 (in SO n.96, relativo alla G.U. 17/05/1999, n.113)

22/05/1999
LEGGE 17 maggio 1999, n. 144 (in SO n.99, relativo alla G.U. 22/05/1999, n.118)

09/08/1999
DECRETO LEGISLATIVO 8 luglio 1999, n. 270 (in G.U. 09/08/1999, n.185)

27/12/1999
LEGGE 23 dicembre 1999, n. 488 (in SO n.227, relativo alla G.U. 27/12/1999, n.302)

29/12/2000
LEGGE 23 dicembre 2000, n. 388 (in SO n.219, relativo alla G.U. 29/12/2000, n.302)

11/06/2002
DECRETO-LEGGE 11 giugno 2002, n. 108 (in G.U. 11/06/2002, n.135) convertito, con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2002, n. 172 (in G.U. 7/8/2002, n. 184)

15/01/2003
DECRETO LEGISLATIVO 19 dicembre 2002, n. 297 (in G.U. 15/01/2003, n.11)

27/12/2003
LEGGE 24 dicembre 2003, n. 350 (in SO n.196, relativo alla G.U. 27/12/2003, n.299)

03/05/2004
DECRETO LEGISLATIVO 8 aprile 2004, n. 110 (in G.U. 03/05/2004, n.102)

29/12/2007
LEGGE 24 dicembre 2007, n. 247 (in G.U. 29/12/2007, n.301)

25/06/2008
DECRETO-LEGGE 25 giugno 2008, n. 112 (in SO n.152, relativo alla G.U. 25/06/2008, n.147) convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 (in S.O. n. 196/L, relativo alla G.U. 21/8/2008, n. 195)

28/08/2008
DECRETO-LEGGE 28 agosto 2008, n. 134 (in G.U. 28/08/2008, n.201) convertito, con modificazioni, dalla L. 27 ottobre 2008, n. 166 (in G.U. 27/10/2008, n. 252)

11/02/2009
DECRETO-LEGGE 10 febbraio 2009, n. 5 (in G.U. 11/02/2009, n.34) convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33 (in S.O. n. 49/L, relativo alla G.U. 11/4/2009, n. 85)

30/12/2009
LEGGE 23 dicembre 2009, n. 191 (in SO n.243, relativo alla G.U. 30/12/2009, n.302)

26/06/2012
DECRETO-LEGGE 22 giugno 2012, n. 83 (in SO n.129, relativo alla G.U. 26/06/2012, n.147) convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (in SO n. 171, relativo alla G.U. 11/08/2012, n. 187)

03/07/2012
LEGGE 28 giugno 2012, n. 92 (in SO n.136, relativo alla G.U. 03/07/2012, n.153)

29/12/2012
LEGGE 24 dicembre 2012, n. 228 (in SO n.212, relativo alla G.U. 29/12/2012, n.302)

10/11/2014
LEGGE 30 ottobre 2014, n. 161 (in SO n.83, relativo alla G.U. 10/11/2014, n.261)

24/06/2015
DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 81 (in SO n.34, relativo alla G.U. 24/06/2015, n.144)

23/09/2015
DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 148 (in SO n.53, relativo alla G.U. 23/09/2015, n.221)

06/06/2018
DECRETO LEGISLATIVO 18 maggio 2018, n. 61 (in G.U. 06/06/2018, n.129)

14/02/2019
DECRETO LEGISLATIVO 12 gennaio 2019, n. 14 (in SO n.6, relativo alla G.U. 14/02/2019, n.38)

29/03/2019
DECRETO-LEGGE 29 marzo 2019, n. 27 (in G.U. 29/03/2019, n.75)

17/03/2020
DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 (in G.U. 17/03/2020, n.70)

08/04/2020
DECRETO-LEGGE 8 aprile 2020, n. 23 (in G.U. 08/04/2020, n.94)

29/04/2020
LEGGE 24 aprile 2020, n. 27 (in SO n.16, relativo alla G.U. 29/04/2020, n.110)

19/05/2020
DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34 (in SO n.21, relativo alla G.U. 19/05/2020, n.128)

28/10/2020
DECRETO-LEGGE 28 ottobre 2020, n. 137 (in G.U. 28/10/2020, n.269)

30/12/2020
LEGGE 30 dicembre 2020, n. 178 (in SO n.46, relativo alla G.U. 30/12/2020, n.322)

22/03/2021
DECRETO-LEGGE 22 marzo 2021, n. 41 (in G.U. 22/03/2021, n.70)

Collegati

Vademecum attrezzature captazione fumi saldatura EN ISO 15012-4

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Vademecum attrezzature captazione e separazione fumi saldatura EN ISO 15012-4:2016

ID 4156, 06.11.2017 / Documento completo allegato

Attenzione

La norma EN ISO 21904-1:2020 sostituisce la EN ISO 15012-4:2016, norma armonizzata tipo B Direttiva macchine 2006/42/CE (Com. 2017/C 183/02 del 9 Giugno 2017), che verrà ritirata dal 09.09.2022 (Decis. di es. (UE) 2021/377).

Vedi NUOVO Vademecum Attrezzature captazione e separazione fumi saldatura EN ISO 21904-1:2020

Documento di raccordo tra la norma di prodotto EN ISO 15012-4:2016 "Salute e sicurezza in saldatura e nelle tecniche affini - Attrezzatura per la captazione e la separazione dei fumi di saldatura - Parte 4: Requisiti generali" e i requisiti del D.Lgs 81/2008 relativi al rischio chimico, con evidenza dei punti principali della EN ISO 15012-4 in relazione al TUS Art. da 221 a 243 Titolo IX sostanze pericolose.

La saldatura di metalli, un processo industriale diffuso in molte realtà industriali, è sicuramente tra le attività più critiche per la salute dei lavoratori addetti.

Il rischio chimico della saldatura deriva principalmente dallo sviluppo dei fumi, complesse miscele di componenti chimici inorganici ed organici, anche cancerogeni, che si libera durante la fase di riscaldamento ed eventuale fusione del pezzo da saldare.

La recente armonizzazione della norma EN ISO 15012-4:2016, (tipo B) consente a chi fabbrica attrezzature per la captazione e la separazione dei fumi di saldatura, di poter avere un riferimento in "Presunzione di Conformità" per la marcatura CE delle stesse in Direttiva macchine.

Dal lato utilizzatori, la stessa norma, insieme a quelle della Serie EN 15012-X ad altre norme tra cui la EN 689:1997, riferimenti di Enti, ecc, permette di avere uno riferimento normativo importanti per la salute e sicurezza in saldatura e nelle tecniche affini, e per la gestione del il rischio chimico di sostanze pericolose e agenti cancerogeni, presenti nei fumi.

La ISO 15012-4 definisce i requisiti generali che sono necessari all'attrezzatura di ventilazione per mantenere a livelli accettabili l'esposizione ai fumi.

Il metodo di controllo più efficace, consiste nella captazione dei fumi e dei gas nei pressi della loro sorgente prima che entrino nella zona respiratoria di un lavoratore o nell'ambiente del luogo di lavoro in genere.

La presente parte 4 della EN ISO 15012 è pertinente in particolare per i seguenti gruppi di interlocutori che rappresentano gli attori del mercato in relazione alla sicurezza dei macchinari:

- fabbricanti di macchine (piccole, medie e grandi aziende);
- organismi per la salute e la sicurezza (regolamentatori, organizzazioni per la prevenzione degli incidenti, sorveglianza del mercato, ecc.).

Altri possono essere interessati dal livello di sicurezza dei macchinari ottenuto con i mezzi previsti dalla presente parte della ISO 15012 dai summenzionati gruppi di interlocutori:

- utilizzatori di macchine/datori di lavoro (piccole, medie e grandi aziende);
- utilizzatori di macchine/impiegati (per esempio unioni sindacali, organizzazioni per persone con esigenze speciali);
- fornitori di servizi, per esempio per la manutenzione (piccole, medie e grandi aziende);
- consumatori (nel caso di macchinari destinati all'utilizzo da parte dei consumatori).

Il Documento raccorda in modo trasversale la norma di prodotto e i requisti del TUS, evidenziando i punti principali della norma EN ISO 15012-4:2016, in relazione al rischio chimico fumi di saldatura, con inserito parte del "Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle attività di saldatura metalli - RL", presenti informazioni dell’Industrial Ventilation ACGIH 2007, riferimento D.Lgs. 81/2008 da Art. 221-243 e allegati pertinenti Titolo IX SOSTANZE PERICOLOSE Capo I Protezione da agenti chimici e Capo II Protezione da agenti cancerogeni e mutageni.

Excursus

A. LA NORMA EN ISO 15012-4:2016
...

EN ISO 15012-4:2016
Salute e sicurezza in saldatura e nelle tecniche affini - Attrezzatura per la captazione e la separazione dei fumi di saldatura - Parte 4: Requisiti generali

La norma definisce i requisiti generali per impianti di ventilazione utilizzati per controllare l'esposizione ai fumi generati dai processi di saldatura e affini. Si applica alla progettazione e alla realizzazione di tutte le parti delle apparecchiature compresi cappe, condotti, gruppi filtro, ventilatori, sistemi che informano della pericolosità di operazioni e pratiche sul posto di lavoro, per garantire il lavoro in sicurezza per quanto riguarda l’esposizione dei fumi.

La norma si applica a sistemi di aspirazione locale (LEV) e a impianti fissi e mobili.

Figura 1. Impianto di aspirazione localizzato fisso


Figura 2. Attrezzatura di aspirazione localizzata mobile


Non è applicabile a:

- la ventilazione generale, l'aria realizzazione o sistemi di movimentazione dell'aria;
- gli impianti di condizionamento;
- la separazione dei gas generati da o utilizzati da processi di saldatura e affini;
- i sistemi di aspirazione locale (LEV) utilizzati per la saldatura e processi che generano reazioni di particelle e atmosfere potenzialmente esplosive;
- polvere di rifinitura.

La Norma è armonizzata tipo B per la Direttiva macchine 2006/42/CE (Com. 2017/C 183/02 del 9 Giugno 2017)
..

3. TERMINI E DEFINIZIONI

3.1 attrezzatura per la separazione dei fumi di saldatura:
Attrezzatura di filtraggio dell’aria, avente lo scopo di separare dall'aria del luogo di lavoro le particelle prodotte in saldatura e nelle tecniche affini.
...

3.7 aspirazione locale; LEV:
Utilizzo dell'estrazione per rimuovere aria contaminata dalla sorgente o nei suoi pressi.
...

3.9 Dispositivo di estrazione

3.9.1 cappa di captazione:
Attrezzatura (mobile o fissa) che genera una velocità dell'aria sufficiente alla sorgente per la captazione e l'aspirazione dell'aria contaminata.

3.9.2 cappa di ricezione:
Attrezzatura passiva (mobile o fissa), generalmente posizionata su un processo caldo, dove l'aria contaminata è propulsa al suo interno dal movimento dell'aria indotto dal processo.
...

4. PERICOLI SIGNIFICATIVI

L'esposizione ai fumi e ai gas generati da saldatura e tecniche affini può essere nociva per la salute. Il controllo dell'esposizione solitamente può essere ottenuto utilizzando un'attrezzatura di ventilazione ma qualsiasi guasto a questa attrezzatura, quale, per esempio, una progettazione carente e l'utilizzo di parti realizzate di materiali inadeguati, può dare luogo a una ridotta efficienza di estrazione e quindi a una sovra-esposizione e a danni alla salute.

Gli effetti comuni sulla salute comprendono patologie respiratorie, ma durante la saldatura di materiali legati si può verificare, e quindi deve essere presa in considerazione, l'esposizione a sostanze cancerogene.
...

5. REQUISITI E VERIFICHE
...

5.2 Attrezzatura per la separazione dei fumi di saldatura
Tutte le parti e i materiali utilizzati nella fabbricazione dell'attrezzatura di ventilazione dei fumi di saldatura devono sopportare le condizioni (termiche, meccaniche, radiazioni UV) presenti nell'ambiente nel quale ne è previsto l'utilizzo.

La verifica deve essere eseguita mediante esame delle schede dati del fabbricante, del manuale di istruzioni, e facendo riferimento all'esperienza di lungo termine del fabbricante con i rispettivi dispositivi.

5.3 Dispositivi di estrazione

5.3.1 Generalità
Le cappe non metalliche devono essere realizzate con materiali a bassa infiammabilità. La verifica deve essere eseguita esaminando la conformità al metodo di prova al filo a incandescenza per prodotti finiti (GWEPT): 550 secondo la IEC 60695-2-12 (temperatura di prova del filo a incandescenza di 550 °C).

5.3.2 Cappe di captazione
Le cappe di captazione devono essere conformi ai requisiti della ISO 15012-2.

5.3.3 Cappe di ricezione
Deve essere impiegata una portata in volume d'aria sufficiente a rimuovere tutti i fumi ricevuti.

Nota 1
La portata in volume d'aria richiesta dipende dal flusso termico generato dal processo di saldatura dalla distanza verticale tra la sorgente dei fumi e la cappa e dalle dimensioni della cappa di ricezione.

La verifica che nessuna parte del fumo sfugga deve essere eseguita qualitativamente, mediante esame visivo, utilizzando una sorgente di fumi di saldatura. Vedere anche appendice A.

Nota 2
Un possibile metodo per l'esame visivo consiste nell'utilizzare una lampada per polvere (effetto Tyndall) nelle condizioni di saldatura corrispondenti al caso peggiore.

5.3.4 Dispositivi di chiusura (camere)
Durante la generazione dei fumi e per un periodo di svuotamento predeterminato e successivo, ci deve essere un apporto di aria attraverso tutte le aperture sufficienti a evitare qualsiasi fuga di fumi nell'ambiente esterno.

La verifica che nessuna parte del fumo sfugga deve essere eseguita qualitativamente, mediante esame visivo, con il processo di saldatura in funzione. La portata richiesta deve essere registrata. Vedere anche appendice A.

Nota 1 
La portata può essere differente per le diverse combinazioni di parametri/materiali di saldatura.

Nota 2 
Un possibile metodo per l'esame visivo consiste nell'utilizzare una lampada per polvere (effetto Tyndall) nelle condizioni di saldatura corrispondenti al caso peggiore.

5.4 Bracci, tubi e cappe flessibili



Figura 3. Braccio captazione flessibile


5.4.1 Movimento dei bracci flessibili
Deve essere possibile (vedere figura 4) spostare un braccio flessibile in qualsiasi direzione utilizzando una forza non maggiore di 60 N sulla maniglia della cappa:

a) con il braccio al 70% del suo intervallo massimo;
b) in un punto c, a 1 300 mm ± 100 mm sopra il livello del suolo;
c) nelle direzioni illustrate nella figura 4, su un intervallo che è il 10% dell'Intervallo massimo. Il movimento in direzione Z può seguire un arco con raggio a.

Nota 1 
Se i bracci flessibili non soddisfano i requisiti, il rischio di utilizzo errato o mancato utilizzo aumenta a causa d
i ragioni ergonomiche.

Nota 2
La maniglia è il punto sulla cappa destinato a essere toccato per il movimento.

Il braccio deve conservare la propria posizione sull'Intero intervallo operativo dopo che la forza è stata rimossa.

La verifica che il braccio è facilmente mobile deve essere ottenuta per misurazione delle forze mentre quella della conservazione della propria posizione è eseguita mediante esame visivo



Legenda

A 70% dell'intervallo massimo
B Punto di partenza del movimento
C Punto di misurazione della forza

Figura 4. Esempio di configurazione di prova di una forza in movimento
....

5.5 Proprietà dei condotti



Figura 5. Condotti di aspirazione

I condotti devono:

a) consentire l'accesso per l'ispezione e la manutenzione (per esempio mediante botole);
b) essere dimensionati, mediante calcolo, in modo da ottenere una velocità dell'aria sufficiente a ridurre al minimo la sedimentazione; ed
c) essere realizzati di metallo o di materiali a bassa infiammabilità.

Nota 1
Solitamente, per saldatura e tecniche affini, è considerata sufficiente una velocità dell’aria nel condotto compresa tra 10 m/s e 15 m/s. La corretta progettazione aerodinamica dei condotti, delle giunzioni, dei gomiti, dei giunti, eco., contribuisce a ridurre al minimo sedimentazione, caduta di pressione e rumorosità. Si preferisce una sezione trasversale arrotondata, invece che ad angolo retto.

Efficacia della separazione

L'efficacia della separazione richiesta è determinata dall'uso previsto dell'unità. Le possibili modalità di funzionamento sono: aria di scarico (punto 5.7.2), aria ricircolata (punto 5.7.3) e una combinazione di aria ricircolata e di scarico.

Nota
In alcuni paesi, i regolamenti nazionali definiscono i requisiti di qualità per l'aria di scarico e l'aria ricircolata, mentre il ricircolo d'aria è proibito.

5.7.2 Aria di scarico (portata d'aria scaricata in atmosfera)

L'attrezzatura per la separazione che è utilizzata esclusivamente per l'aria di scarico deve avere filtri che si conformano almeno alla classe di polvere L come indicato nella IEC 60335-2-69.

5.7.3 Aria ricircolata (aria estratta che è reimmessa nel luogo di lavoro)

5.7.3.1 Attrezzatura per fumi non contenenti sostanze cancerogene, mutagene e/o tossiche per la riproduzione (CMR)
L'attrezzatura per la separazione che è utilizzata esclusivamente per i fumi non contenenti sostanze CMR deve essere di uno dei tipi seguenti.

a) Dotata di mezzi filtranti conformi almeno alla classe di polvere M indicata nella IEC 60335-2-69.

L'aria non deve essere in grado di passare oltre l'elemento filtrante come illustrato mediante esame visivo, utilizzando per esempio calcare o intonaco.

Nota 
La prova può essere eseguita aspirando polvere di intonaco o di calcare nel sistema di estrazione e per esame visivo del lato aria pulita alla ricerca di tracce di intonaco o calcare.

b) L'intera unità deve avere un'efficacia della separazione >95%, sottoposta a prova secondo il procedimento di prova descritta nel punto 7 della ISO 15012-1:2013.

5.7.3.2 Attrezzatura per fumi nei quali è prevista la presenza di sostanze CMR
Per l'attrezzatura per la separazione utilizzata quando si prevede la presenza di sostanze CMR (saldatura di acciai alto legati), l'efficacia della separazione deve essere conforme alla ISO 15012-1, cioè si deve avere un'efficacia della separazione dell'unità totale di almeno il 99%.

Nota
La IS015012-1 specifica un metodo per la prova dell'attrezzatura per la separazione dei fumi di saldatura generati da un processo di saldatura definito per determinare se la sua efficacia della separazione rispetta i requisiti specificati. Essa si riferisce all'intera unità di separazione e non soltanto agli elementi filtranti
...

5.12.2 Requisiti aggiuntivi per l'attrezzatura utilizzata per la separazione delle sostanze cancerogene
Le sostanze cancerogene richiedono il monitoraggio, in ciascun luogo di lavoro, della portata d'aria nel condotto di estrazione.

Nota
La portata d’aria è misurata indirettamente, solitamente misurando la pressione nel condotto.
...

7. MARCATURA
Se il requisito del punto 4 della ISO 15012-1:2013 in merito all'efficacia della separazione è rispettato, il fabbricante può etichettare l'attrezzatura come W3, come illustrato nell'appendice A della ISO 15012-1 (Figura 6 e 7)


Figura 6. Filtro W3

Se l'attrezzatura per la separazione dei fumi di saldatura è utilizzabile per la separazione delle sostanze cancerogene, essa deve essere etichettata W3 secondo la ISO 15012-1.
..

“EN ISO 15012-1:2013
4. Requisito
Quando sottoposta a prova in conformità al procedimento descritto nel punto 7 della EN ISO 15012-1, l'attrezzatura per la separazione dei fumi di saldatura deve avere un limite inferiore di confidenza 99% per l'efficacia della separazione.”


Se il requisito del punto 4 è rispettato, il fabbricante può etichettare l'attrezzatura W3 come mostrato nell'appendice A della EN 15012-1:2013 (figura 7).

Nota
Nella ISO 15012-1:2004, l'attrezzatura con un'efficacia della separazione >95% è stata etichettata W1 e l'attrezzatura con un'efficacia della separazione >98% è stata etichettata W2.


Appendice A - Etichetta per attrezzatura per la separazione dei fumi di saldatura

Etichetta per attrezzatura per la separazione del fumi di saldatura (Figura 7)

Legenda

1 RAL 5005 (blu) (contorno)
2 RAL 9003 (bianco) (interno)
3 RAL 9004 (nero) (scritte)
a 50 mm o 100 mm
ɳ Rendimento di separazione massico:



Figura 7. Attrezzatura W3

Nota

La marcatura con W3 è facoltativa.
...

B. VADEMECUM ATTIVITÀ DI SALDATURA METALLI

Le attività di saldatura sono presenti in quasi tutte le realtà metalmeccaniche (industriali ed artigianali), con tecnologie variegate ed esigenze di produzione molto diversificate. Il presente documento è limitato alla saldatura di metalli ed è particolarmente attento alla saldatura di acciaio inox al cromo, per le forti implicazioni sul piano della salute e la sempre maggiore diffusione.

Materiali

L’attività di saldatura metalli è un processo industriale che porta ad unire due parti metalliche (materiale base), con l’ausilio di un sistema di riscaldo e fusione locale di materiale.

A volte è possibile aggiungere ai pezzi da unire altro materiale di composizione opportuna (materiale di apporto), oltre che utilizzare l’ausilio di pressione statica, martellamento o altre azioni meccaniche.

Principali tecnologie

La realtà produttiva delle attività di saldatura dei materiali metallici prevede un ciclo tecnologico semplice, con ambienti di lavoro impostati su un modello comune, ma che appaiono molteplici e diversificati nelle singole realtà produttive anche in funzione della tecnologia impiegata.

In particolare si distinguono le seguenti categorie di saldatura di metalli:

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Gestione del rischio da agenti chimici pericolosi

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Contenuti minimi del Documento di Valutazione del rischio da agenti chimici di cui all'art.223 del D.Lgs 81/2008.

Benché il D.Lgs. 81/08, nelle more dei Decreti previsti all’art. 232 c. 2 e c. 3, stabilisca che la responsabilità della valutazione di rischio IRRILEVANTE sia a carico del Datore di Lavoro, considerando la specificità del comparto, si ritiene che il giudizio di rischio IRRILEVANTE non possa essere assunto in presenza di una delle seguenti condizioni:

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Le misurazioni

Qualora le conclusioni della valutazione portino ad un giudizio conclusivo di rischio non irrilevante per la salute, deve essere affrontata la problematica delle misurazioni (art. 225 D.Lgs 81/2008).

Al di là dei requisiti intrinseci delle modalità di campionamento e analisi risulta necessario premettere alcune considerazioni derivanti dall’analisi della peculiarità del comparto.

In particolare nelle piccole aziende che esercitano attività di saldatura conto terzi si è constatata una notevole variabilità, almeno infrasettimanale se non giornaliera, dei materiali utilizzati: in tali condizioni la scelta delle sostanze da campionare e del momento di campionamento riveste un’importanza determinante potendo condurre a risultati non rappresentativi delle reali condizioni espositive. Inoltre, le metodiche di campionamento ed analisi devono necessariamente possedere requisiti di sufficiente sensibilità.

L’art. 225 del D.Lgs 81/2008 prevede la possibilità di omettere l’effettuazione delle misurazioni quando “si possa dimostrare con altri mezzi in conseguimento di un adeguato livello di prevenzione e di protezione”.

Indicativamente, oltre al ben noto “ciclo chiuso”, si ritiene che un adeguato livello di prevenzione e protezione possa essere ragionevolmente raggiunto, per esempio, in presenza di:

- impianto di aspirazione localizzata asservito a tutte le postazioni con le caratteristiche di cui ai punti seguenti;
- manutenzione programmata, verifica periodica dell’efficienza dell’impianto con misurazioni della velocità di cattura ai singoli punti di captazione.

"2. Salvo che possa dimostrare con altri mezzi il conseguimento di un adeguato livello di prevenzione e di protezione, il datore di lavoro, periodicamente ed ogni qualvolta sono modificate le condizioni che possono influire sull'esposizione, provvede ad effettuare la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute, con metodiche standardizzate di cui è riportato un elenco meramente indicativo nell'allegato XLI o in loro assenza, con metodiche appropriate e con particolare riferimento ai valori limite di esposizione professionale e per periodi rappresentativi dell'esposizione in termini spazio temporali."

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Misure tecniche di prevenzione del rischio chimico e cancerogeno

Nel rispetto di quanto previsto dal D.Lgs. 81/08 i principi di prevenzione cui deve attenersi il datore di lavoro nella programmazione degli interventi di miglioramento sono quelli di prevenzione primaria ovvero:

- la sostituzione, quando possibile, di una sostanza o preparato con uno a minore tossicità.

- minimizzare la formazione dei fumi che si possono originare durante le lavorazioni.

I seguenti accorgimenti pratici ed organizzativi (misure collettive) possono essere un ottimo sistema di prevenzione del rischio legato ad agenti chimici:


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Impianti di aspirazione localizzata

I flussi di inquinanti emessi durante le fasi di lavoro a caldo sono aspirati attraverso terminali di captazione definiti cappe, per essere successivamente allontanati e convogliati in impianti di abbattimento, nel rispetto delle vigenti normative in materia di tutela ambientale.

I terminali di captazione si possono distinguere in cappe chiuse, riceventi e catturanti:

- Cappe chiuse: sono costituite da un sistema che circonda la sorgente e non sono utilizzabili per sistemi dove è necessario l'intervento del personale. Questo tipo di cappa rappresenta il sistema più efficace e da preferirsi, poiché più si riesce ad avvolgere la sorgente inquinante, minore sarà la portata necessaria.

- Cappe riceventi: sono realizzate in maniera da catturare gli agenti inquinanti interponendosi sul “cammino” della massa fluida inquinante. Il principio di funzionamento si basa sulla spontanea cattura di elementi contaminati rilasciati da un particolare processo come ad esempio un processo a “caldo” durante il quale i vapori o fumi prodotti da una sorgente calda tendono a salire con moti convettivi

verso la cappa o un processo in cui le particelle di dimensioni medio-grande vengono rilasciate con una velocità sufficiente da raggiungere la cappa stessa.

- Cappe catturanti: l’effluente è aspirato verso la cappa per mezzo di un flusso d’aria direzionale, che realizza l’opportuna velocità di cattura alla distanza voluta. La cappa deve essere posizionata relativamente vicino alla fonte inquinante per contenere i costi di esercizio, in quanto i volumi di aria necessari a garantire la velocità di cattura crescono notevolmente. Tale sistema è applicabile a processi dove si rende necessario l’intervento dell’operatore. Le cappe catturanti possono essere distinte in superiori, laterali e inferiori.

Per il controllo delle concentrazioni di inquinanti prodotti negli ambienti industriali è necessaria una corretta progettazione dei sistemi di aspirazione: di fondamentale importanza sono la scelta dell’organo di captazione e la determinazione della portata di aspirazione necessaria per ottenere adeguate velocità di cattura là dove servono.

Allo scopo la progettazione deve essere affidata a persone di specifica competenza in campo impiantistico e d’igiene industriale, in grado di effettuare i necessari calcoli previsionali o di applicare correttamente criteri largamente sperimentati e pubblicati in numerose pubblicazioni tecniche.

Requisiti minimi degli impianti di aspirazione localizzata (rif.:Industrial Ventilation ACGIH 2007 26th Edition e altre pubblicazioni):


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C. Normativa

D.Lgs. 81/2008 (da Art. 221 a 243) Titolo IX sostanze pericolose

Capo I Protezione da agenti chimici

Art. 221. Campo di applicazione

1. Il presente capo determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici.

2. I requisiti individuati dal presente capo si applicano a tutti gli agenti chimici pericolosi che sono presenti sul luogo di lavoro, fatte salve le disposizioni relative agli agenti chimici per i quali valgono provvedimenti di protezione radiologica regolamentati dal decreto legislativo del 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni.

3. Le disposizioni del presente capo si applicano altresì al trasporto di agenti chimici pericolosi, fatte salve le disposizioni specifiche contenute nei decreti ministeriali 4 settembre 1996, 15 maggio 1997, 28 settembre 1999 e nel decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 41, nelle disposizioni del codice IMDG del codice IBC e nel codice IGC, quali definite dall'articolo 2 della direttiva 93/75/CEE, del Consiglio, del 13 settembre 1993, nelle disposizioni dell'accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne (ADN) e del regolamento per il trasporto delle sostanze pericolose sul Reno (ADNR), quali incorporate nella normativa comunitaria e nelle istruzioni tecniche per il trasporto sicuro di merci pericolose emanate alla data del 25 maggio 1998.

4. Le disposizioni del presente capo non si applicano alle attività comportanti esposizione ad amianto che restano disciplinate dalle norme contenute al capo III del presente titolo.

segue

Fonti:

UNI EN ISO 15012-4:2016
Salute e sicurezza in saldatura e nelle tecniche affini - Attrezzatura per la captazione e la separazione dei fumi di saldatura - Parte 4: Requisiti generali
http://store.uni.com/magento-1.4.0.1/index.php/uni-en-iso-15012-4-2016.html


EN ISO 15012-1:2013
Salute e sicurezza in saldatura e nelle tecniche affini - Attrezzatura per la captazione e la separazione dei fumi di saldatura - Parte 1: Requisiti per le prove e la marcatura dell'efficacia della separazione
http://store.uni.com/magento-1.4.0.1/index.php/uni-en-iso-15012-1-2013.html

EN ISO 15012-2:2008
Salute e sicurezza in saldatura e nelle tecniche affini - Requisiti, prove e marcatura delle attrezzature per il filtraggio dell'aria - Parte 2: Determinazione della minima portata in volume d'aria necessaria per le bocche di captazione
http://store.uni.com/magento-1.4.0.1/index.php/uni-en-iso-15012-2-2008.html


ISO/DIS 15012-3  (delete)
Health and safety in welding and allied processes - Requirements, testing and marking of equipment for air filtration - Part 3: Determination of the capture efficiency of on-torch welding fume extraction devices


EN 689:1997
Atmosfera nell'ambiente di lavoro - Guida alla valutazione dell'esposizione per inalazione a composti chimici ai fini del confronto con i valori limite e strategia di misurazione.
https://www.certifico.com/sicurezza-lavoro/documenti-sicurezza/67-documenti-riservati-sicurezza/2765-focus-en-689-valutazione-del-rischio-chimico

Industrial Ventilation ACGIH 2007

Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle attività di saldatura metalli
REGIONE LOMBARDIA - SANITÀ
https://www.certifico.com/sicurezza-lavoro/sicurezza-documenti/documenti-asl/434-vademecum-attivita-di-saldatura-regione-lombardia

Olympus 
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

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Manuale per la Sicurezza nel settore Refrattari

ID 5638 | | Visite: 4344 | Documenti Sicurezza Enti

Manuale Sicurezza settore refrattari

Manuale per la Sicurezza nel settore Refrattari

Il Manuale Refrattari esce per ora come documento tecnico, elaborato da un Gruppo di lavoro di esperti che rappresentano le aziende associate a Confindustria Ceramica.

I Manuali per la Sicurezza si contraddistinguono per il metodo rigoroso e per la praticità. La parte generale (le sezioni Sicurezza, Sostanze, Igiene) è analoga a quella elaborata per l’industria ceramica, condivisa in pieno dagli estensori del presente documento.

Nuovo è il capitolo 1.9 dedicato alla “Gestione delle emergenze”, che con grande senso di responsabilità è stato riscritto, rispetto alla prima edizione del Manuale della ceramica, per ricomprendere, oltre all’emergenza incendio, la gestione con misure organizzative e procedurali della emergenza terremoto e alluvione.

La parte speciale (Produzione refrattari) è ovviamente nuova e originale, fermo restando il metodo espositivo. Sono illustrati l’ambiente di lavoro e le caratteristiche dei principali reparti, nei quali può essere diviso il ciclo tecnologico-produttivo dell’industria dei materiali refrattari. All’interno di ogni reparto, sono state inserite delle pratiche schede per i macchinari che possono essere presenti. Ogni argomento è stato quindi sviluppato sulla base del seguente schema:

- Descrizione della “fase”;
- Indicazione dei fattori di rischio presenti durante le operazioni ordinarie di utilizzo (conduzione ordinaria);
- Indicazione dei fattori di rischio presenti durante le operazioni di regolazione, manutenzione, collaudo (incagli e/o criticità);
- Indicazione dei dispositivi di sicurezza;
- Indicazione, a forte impatto visivo (pittogrammi), dei “pericoli”, “divieti” e “obblighi” connessi alle “modalità di conduzione ordinaria”;
- Indicazione (come sopra) dei “pericoli”, “divieti” e “obblighi” connessi alle situazioni di “incagli e/o criticità”.

Anche questo Manuale, oltre al suo scopo primario di stabilire le condizioni del lavoro in sicurezza nella produzione di materiali refrattari, è destinato a diventare il “libro di testo” della formazione alla sicurezza dei lavoratori, e accompagnare le parti nel circolo virtuoso del lavoro sicuro.

La validità e l’obiettività dei suoi contenuti lo propongono autorevolmente all’auspicata condivisione da parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle autorità di controllo.

Confindustria Ceramica
Novembre 2016

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 7009 | 14 Febbraio 2018

ID 5634 | | Visite: 3247 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Lavori di saldatura: mancanza idoneo impianto di aspirazione per la cattura dei fumi

Cassazione Penale Sez. 3 del 14 febbraio 2018 n. 7009

Penale Sent. Sez. 3 Num. 7009 Anno 2018
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: MACRI' UBALDA
Data Udienza: 30/11/2017

Fatto
1. Con sentenza in data 27.4.2017 il Tribunale di Pordenone ha condannato M.S., con le attenuanti generiche, alla pena di complessivi euro 4.000,00 di ammenda, oltre spese, di cui € 2.000,00 per il reato di cui al capo A), art. 64, comma 1, lett. a), d.Lgs. 81/2008, perché in qualità di legale rappresentante della ditta slovena Montig D.O.O. non aveva ottemperato alle prescrizioni impartite con verbale ispettivo del 18.4.2013 dei servizi sanitari del Friuli occidentale, in particolare, presso lo stabilimento produttivo di Polcenigo non aveva realizzato un idoneo impianto di aspirazione per la cattura dei fumi derivanti dalle attività svolte, in Polcenigo il 23.11.2012, ed € 2.000,00 per il reato di cui al capo B), art. 192, comma 2, d. Lgs. 81/2008, perché nella qualità predetta non aveva ottemperato alle prescrizioni del verbale predetto, in particolare non aveva predisposto ed attuato il programma di misure tecniche ed organizzative finalizzato a ridurre l'esposizione al rumore, in quanto presso lo stabilimento di Polcenigo, non aveva posizionato dei pannelli acustici fono assorbenti e fono isolanti nel numero minimo sufficiente di 11, sempre in Polcenigo il 23.11.2012.

2. Con il primo motivo di ricorso, l'imputato deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., in relazione agli art. 354, 356 c.p.p., 114, 220 disp. att., c.p.p., 178, lett. c), c.p.p. Lamenta di non essere stato avvisato nel corso dei sopralluoghi della ASL della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia prima di procedere all'accertamento delle contravvenzioni contestate, con conseguente nullità degli elementi probatori acquisiti al processo. Precisa che il verbale del 18.4.2013 non era stato ritualmente ricevuto perché indirizzato presso la sede della Tecnosald di San Giorgio di Nogaro ove non aveva eletto domicilio. Le dichiarazioni dibattimentali rese ex post dalla teste Z., nella loro genericità e vaghezza, non potevano sanare la nullità del verbale in oggetto e non fornivano alcuno specifico supporto probatorio alle violazioni contestate.

Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in relazione alle contravvenzioni come contestate. Svolte ampie considerazioni tecniche sui fatti di causa, deduce che, nonostante le molteplici misure adottate, i funzionari dell'Amministrazione non avevano eseguito i campionamenti che potevano smentire le misurazioni della relazione tecnica di parte.
Con specifico riferimento al reato sub A), espone che gli strumenti utilizzati risultavano conformi alle direttive tecniche delle stesse strutture sanitarie per i lavori di saldatura.
Con specifico riferimento al reato sub B), precisa che la contestazione era stata generica, che l'accertamento ispettivo scontava il difetto della commistione tra le contestazioni rivolte alla Tecnosald e quelle rivolte alla sua ditta, che le sue misurazioni avevano registrato il rispetto dei parametri, che il Giudice non si era confrontato con le perizie tecniche in atti.

Diritto
3. Il ricorso è infondato.

3.1. Con riferimento al primo motivo, va osservato che i verbali ispettivi dell'Azienda per l'assistenza sanitaria della Regione Friuli hanno natura amministrativa e non costituiscono atti che richiedono la nomina o assistenza di un difensore di fiducia, secondo le regole del codice di procedura penale. Infatti, gli art. 20 e seg., d. Lgs. 758/1994, premessa la competenza dell'Amministrazione a vigilare sul rispetto delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e salute dei lavoratori, prevedono che gli ispettori abbiano compiti di vigilanza, ma al contempo, di propulsione al fine della soluzione delle criticità individuate. Il sistema normativo è congegnato in modo tale da prevedere che l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, abbia la possibilità di impartire al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario; tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento, ma in nessun caso esso può superare i sei mesi; tuttavia, quando specifiche circostanze, non imputabili al contravventore, determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero; con la prescrizione, l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro; resta tuttavia fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale.

3.2. Ebbene, solo se e quando il pubblico ministero riceve la notizia di reato e ritiene di esercitare l'azione penale è possibile parlare di procedimento penale con le garanzie difensive previste dalla legge.
Nella fase precedente, solo interlocutoria, il rapporto si instaura tra gli ispettori e la parte che non ha bisogno di alcuna garanzia difensiva particolare, se non quella di cui essa stessa ritenga di dotarsi.
Tanto è avvenuto nel caso di specie, in cui gli ispettori hanno redatto il verbale con le prescrizioni e l'imputato ha chiesto un termine di 180 giorni, regolarmente ottenuto per i relativi adempimenti, salvo poi la verifica da parte dell'organo di vigilanza ai sensi del successivo art. 21 d. Lgs. 758/1994 dell'inottemperanza e l'obbligo puntualmente adempiuto della trasmissione della comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero che ha esercitato l'azione penale.

[...]

3.4. Il Giudice di Pordenone, al di là della qualificazione del verbale, ha valorizzato come elemento decisivo di prova la testimonianza della Z., la quale ha redatto l'atto e ne ha precisamente e compiutamente ricostruito il contenuto nel corso della deposizione dibattimentale.
In tale contesto, il motivo di ricorso appare di mero stile con riferimento, non solo al profilo della mancata nomina del difensore di fiducia, ma anche alla mancata notifica all'indirizzo presuntivamente ritenuto valido dall'imputato. Ed invero tali rilievi presuppongono ed attengono all'atto giudiziario penale e non al verbale ispettivo; inoltre, l'imputato certamente conosceva il contenuto del verbale tant'era vero che aveva ottenuto il termine per uniformarsi alle prescrizioni. Ne consegue anche il rigetto dell'eccezione d'inutilizzabilità della prova e di nullità degli atti successivamente compiuti, tanto più della deposizione testimoniale dell'ispettore Z..

4. Con riferimento alla seconda censura, il Giudice ha accertato, sempre sulla base della testimonianza di Z., che in data 10.3.2014 gli ispettori avevano verificato l'inottemperanza alle prescrizioni impartite ed avevano effettuato la segnalazione al pubblico ministero, secondo legge. In particolare, con riferimento alla prima violazione, l'imputato aveva installato dei sistemi mobili di abbattimento di polveri e gas, ritenuti non idonei dai tecnici della prevenzione sia perché parzialmente non funzionanti sia perché, in contrasto con quanto prescritto, non espellevano gli inquinanti all'esterno dello stabilimento; con riferimento alla seconda violazione, aveva redatto il programma di interventi per la riduzione del rumore, ma non l'aveva attuato perché aveva posizionato un numero di pannelli inferiore a quanto necessario e previsto. Di qui l'esito negativo del procedimento amministrativo e l'inizio di quello penale.

4.1. Il Giudice di prime cure ha anche preso in considerazione le osservazioni della Difesa con riferimento ai profili tecnici, ripetute nel ricorso per cassazione, fornendo una motivazione solida, coerente, non contraddittoria e non manifestamente illogica, quindi non censurabile ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., perché la teste Z. aveva spiegato che gli impianti mobili di aspirazione collocati dal datore di lavoro non emettevano le sostanze nocive all'esterno ed erano parzialmente non funzionanti, mentre il programma di interventi per il rumore non era stato compiutamente attuato. Per i dettagli, ha rinviato alla trascrizione del verbale di deposizione dibattimentale, il che è da ritenersi sufficiente ai fini dell'assolvimento degli obblighi motivazionali.
Peraltro, ha anche osservato che la teste Z. aveva riferito in merito all'esistenza delle violazioni di legge al momento dell'ispezione nonché al momento della verifica dell'adempimento delle prescrizioni, sicché i reati contestati dovevano ritenersi comunque integrati, siccome non era sopraggiunta la causa estintiva.

4.2. Come spiegato da questa Corte con sentenza della Sez. 5, 7.10.2014, n. 6754, C., Rv. 262722, in tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. Analogamente, si veda Sez. 5, 13.2.2017, n. 18975, Cadore, Rv. 269909, secondo cui in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d'ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell'obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente; conseguentemente, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen., solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice.

4.3. Orbene, il Giudice ha dimostrato di aver preso in considerazione tutti gli elementi, anche tecnici, a sua disposizione e di aver reso una motivazione logica a sostegno della sua decisione.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 30 novembre 2017.

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Articolo 64 d.Lgs. 81/2008 - Obblighi del datore di lavoro
1. Il datore di lavoro provvede affinché:
a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, commi 1, 2 e 3;
b) le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di
emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza;
c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;
d) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate;
e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento.

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Diagnosi malattie professionali apparato respiratorio

ID 5622 | | Visite: 6569 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Indirizzi operativi malattie professionali apparato respiratorio

Indirizzi operativi per la diagnosi delle malattie professionali dell’apparato respiratorio

INAIL 2017 - 14 Febbraio 2018

Il presente lavoro si propone di operare un riordino nell’ambito delle malattie dell’apparato respiratorio, la cui classificazione risulta quanto mai complessa per la difficoltà di individuare specifici gruppi con caratteristiche peculiari che non siano rinvenibili anche in altri.

L’esigenza di sviluppare un nuovo iter diagnostico accertativo nasce innanzitutto dal fatto che il rapporto fra malattie professionali tabellate e non tabellate si è ormai stabilmente spostato in favore di queste ultime. Già con la revisione delle tabelle delle malattie professionali del 1994, l’Inail aveva fornito per ciascuna malattia tabellata una scheda in cui una sezione è specificamente dedicata agli accertamenti diagnostici necessari per la compiuta diagnosi.

Il continuo mutamento delle realtà lavorative e il crescere della consapevolezza collettiva dei rischi occupazionali (effetto delle politiche di prevenzione poste in campo nell’ultimo ventennio), le aggiornate evidenze scientifiche e le nuove ed affinate tecniche diagnostiche impongono l’adozione di un metodo sistematico nell’accertamento delle malattie professionali, utile ad uniformare la trattazione nei vari ambiti medici e alla riduzione auspicabile delle patologie professionali misconosciute. Ancora, va tenuto in debita considerazione che, a fronte dell’aumento delle denunce di malattie occupazionali (ed opinabilmente delle istruttorie per il riconoscimento delle prestazioni erogate dall’Inail), il rapporto tra quelle riconosciute e quelle denunciate appare in progressiva diminuzione.

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Metodologia

Il progetto prevede la revisione sistematica di circolari, indirizzi procedurali e protocolli diagnostici Inail già esistenti, nonché di Linee Guida di Società Scientifiche nazionali e internazionali e della letteratura scientifica per ogni patologia professionale dell’apparato respiratorio.

Per ogni malattia è stato previsto un iter diagnostico in step, così strutturato:

1. Validazione della diagnosi clinica;
2. ipotesi eziologica di malattia professionale;
3. acquisizione di tutta la documentazione inerente l’esposizione lavorativa;
4. anamnesi lavorativa;
5. diagnosi di malattia professionale e valutazione della funzionalità;
6. considerazioni medico-legali.

__________

Introduzione
Metodologia
1. Asma professionale
1.1 Validazione della diagnosi clinica di asma bronchiale
1.2 Ipotesi eziologica di malattia professionale
1.3 Acquisizione di tutta la documentazione inerente l’esposizione lavorativa
1.4 Anamnesi lavorativa
1.5 Diagnosi di malattia professionale e valutazione della funzionalità
1.6 Considerazioni medico-legali
1.7 Bibliografia
2. BPCO
2.1 Validazione della diagnosi clinica di BPCO
2.2 Ipotesi eziologica di malattia professionale
2.3 Acquisizione di tutta la documentazione inerente l’esposizione lavorativa
2.4 Anamnesi lavorativa
2.5 Diagnosi di malattia professionale e valutazione della funzionalità
2.6 Considerazioni medico-legali
BOX 1 - Bronchiti irritative e tracheobronchiti
2.7 Bibliografia
3. Asbestosi e patologie asbesto-correlate
3.1 Validazione della diagnosi clinica
3.2 Ipotesi eziologica di malattia professionale
3.3 Acquisizione di tutta la documentazione inerente l’esposizione lavorativa
3.4 Anamnesi lavorativa
3.5 Diagnosi di malattia professionale e valutazione della funzionalità
3.6 Considerazioni medico-legali
BOX 2 - Placche ed ispessimenti pleurici
3.7 Bibliografia
4. Silicosi
4.1 Validazione della diagnosi clinica
4.2 Ipotesi eziologica di malattia professionale
4.3 Acquisizione di tutta la documentazione inerente l’esposizione lavorativa
4.4 Anamnesi lavorativa
4.5 Diagnosi di malattia professionale e valutazione della funzionalità
4.6 Considerazioni medico-legali
BOX 3 - Tubercolosi e silico-tubercolosi
4.7 Bibliografia
5. Alveoliti allergiche estrinseche
5.1 Validazione della diagnosi clinica
5.2 Ipotesi eziologica di malattia professionale
5.3 Acquisizione di tutta la documentazione inerente l’esposizione lavorativa
5.4 Anamnesi lavorativa
5.5 Diagnosi di malattia professionale e valutazione della funzionalità
5.6 Considerazioni medico-legali
5.7 Bibliografia
6. Altre pneumoconiosi e patologie respiratorie minori di origine professionale
6.1 Bissinosi
6.2 Antracosi o Coal workers pneumoconiosis (CWP)
6.3 Berilliosi
6.4 Altre Pneumoconiosi
6.5 Bibliografia
Conclusioni
ALLEGATI
Allegato 1 - Quadro epidemiologico delle patologie dell’apparato
respiratorio lavoro-correlate
GRAFICI
FLOW-CHART

Fonte: INAIL

Collegati:

Rettifica direttiva (UE) 2017/2398

ID 5617 | | Visite: 5769 | Legislazione Sicurezza UE

Rettifica direttiva  2017 2398

Rettifica direttiva (UE) 2017/2398

Rettifica della direttiva (UE) 2017/2398 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, che modifica la Direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro

Pagina 95, allegato («Allegato III»), nota a piè di pagina 8:
anziché: «(8) Frazione inalabile.»
leggasi: «(8) Frazione respirabile.»

___________

GUUE L 41/15 del 14.02.2018

Correlati:

Rapporto annuale Ispettorato Nazionale del Lavoro 2017

ID 5610 | | Visite: 5679 | Documenti Sicurezza Organi Istituzionali

Rapporto INL 2017

Rapporto annuale Ispettorato Nazionale del Lavoro 2017

8 febbraio 2018

Redatto il Rapporto Annuale dell'Attività di Vigilanza 2017 in cui si illustrano sinteticamente i risultati dell'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale conseguiti nel corso del primo anno di attività dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, da parte del personale ispettivo proveniente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dall'INPS e dall'INAIL.

L'attività ha consentito la realizzazione di significativi risultati dell'azione di controllo programmata ed effettuata dal personale ispettivo complessivamente operante nell'ambito dell'Agenzia e proveniente dai diversi servizi ispettivi in essa integrati.

Il risultato complessivamente conseguito in termini numerici è pari a 160.347 imprese ispezionate, di cui 103.498 sono risultate irregolari. Inoltre, il numero dei lavoratori irregolari, pari a 252.659, presenta un consistente incremento, pari al 36% rispetto al dato del 2016. Gli accertamenti finalizzati al contrasto del lavoro sommerso hanno portato, invece, all'individuazione di 48.073 lavoratori in "nero".

Nell'ambito del dato globale si distingue il numero di accessi, pari a 122.240 , effettuati nell'ambito della vigilanza in materia di lavoro, che hanno registrato un tasso di irregolarità stabile rispetto agli anni precedenti, attestandosi al 60%.

Con riferimento alla vigilanza previdenziale, nel corso dell'anno, sono stati effettuati 24.291 accessi che hanno registrato un tasso di irregolarità anch'esso stabile rispetto agli anni precedenti, attestandosi al 77%.

Relativamente alla vigilanza assicurativa, nel corso del 2017, sono stati effettuati 13.816 accessi che hanno registrato un tasso di irregolarità in aumento di circa 2 punti percentuali rispetto all'anno precedente, attestandosi al 89%.

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Comunicato Stampa

Ispettorato Nazionale del Lavoro: nero, caporalato, logistica, false cooperative e tirocini tra i settori prioritari di intervento per la vigilanza nel 2018

Nel 2017 effettuati oltre 180mila controlli; tasso di irregolarità al 65%

Roma, 8 febbraio 2018 - Lavoro nero, caporalato, logistica, trasporto, false cooperative, tirocini, distacco transnazionale. Sono questi alcuni dei settori prioritari di intervento per l’attività di vigilanza in materia lavoristica e previdenziale-assicurativa che verrà svolta nel 2018 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la finalità di potenziare il contrasto dei fenomeni del lavoro sommerso ed irregolare e la lotta all’evasione ed elusione contributiva. Il documento di programmazione dell’attività è stato illustrato dal Capo dell’Ispettorato, Paolo Pennesi, nel corso della riunione della Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza che si è tenuta questa mattina alla presenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti.

“Sulla scorta dei risultati del primo anno di attività dell’Ispettorato – ha detto il Ministro – dobbiamo ulteriormente qualificarne l’attività di vigilanza, anche attraverso un rafforzamento della capacità di intervento: per questo ci siamo attivati, in linea con quanto previsto in legge di bilancio in tema di lavoro nella pubblica amministrazione, per richiedere l’assunzione di 150 nuovi ispettori”.

La programmazione della vigilanza nel 2018 parte dall’esperienza realizzata nel primo anno di attività, che ha evidenziato un aumento di alcuni fenomeni di violazione della legge, ad esempio in materia di somministrazione illecita di manodopera, e la necessità di dedicare maggiore attenzione ad alcuni settori come quello della logistica e delle false cooperative. Non mancherà un forte e costante impegno, anche in collaborazione con altre istituzioni, nel fronteggiare i fenomeni del caporalato e dello sfruttamento di manodopera.

I risultati dell’attività di vigilanza nel 2017

Il 2017 è stato l’anno di avvio dell’Ispettorato nazionale del lavoro, i cui principali risultati sono evidenziati di seguito.

figura 1 Rapporto INL 2017

Obiettivo stabilito dalla Convenzione per il triennio 2017/2019 sottoscritta con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, registrando oltre 180 mila controlli di cui oltre 160 mila specificatamente finalizzati alla verifica della regolarità dei rapporti di lavoro.

I dati evidenziano l’abbattimento del fenomeno della sovrapposizione degli interventi ispettivi e registrano risultati assolutamente significativi durante il periodo più delicato per l’avvio della nuova Agenzia impegnata, fra le altre cose, nella realizzazione di percorsi formativi che hanno interessato circa 350 ispettori dell’ex Ministero del lavoro e 1.300 ispettori degli Istituti.

Dagli accertamenti conclusi entro l’anno di riferimento risultano n. 103.498 aziende irregolari che evidenziano un tasso di irregolarità pari al 65%; pertanto, circa due aziende su tre sono state trovate in una situazione di irregolarità. Inoltre, il numero dei lavoratori irregolari, pari a n. 252.659, presenta un consistente incremento, pari al 36% rispetto al dato del 2016. Gli accertamenti finalizzati al contrasto del lavoro sommerso hanno portato, inoltre, alla individuazione di n. 48.073 lavoratori in “nero” e cioè un lavoratore in nero ogni 2 aziende irregolari. L’ammontare dei contributi e premi evasi complessivamente recuperati è pari a ad € 1.100.099.932, in linea con l’anno precedente.

Caporalato in agricoltura

Nel corso del 2017 in agricoltura sono state effettuate n. 7.265 ispezioni. Sono stati accertati n. 5.222 lavoratori irregolari, di cui n. 3.549 in “nero”, con un tasso di irregolarità superiore al 50%. Particolarmente significativi sono i risultati concernenti l’attività di polizia giudiziaria, finalizzata all’individuazione del “reato di caporalato”. In particolare si segnala il deferimento di n. 94 persone all’Autorità Giudiziaria, delle quali n. 31 in stato di arresto e con l’individuazione di n. 387 lavoratori vittime di sfruttamento.

Esternalizzazioni fittizie

L’accertamento di tali fattispecie illecite ha coinvolto, nel corso dell’anno, complessivamente n. 9.895 lavoratori che risultano distribuiti nei principali settori di attività di seguito indicati: Trasporto e magazzinaggio (n. 1.965), Costruzioni (n. 1.609), Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (n. 1.378), Attività manifatturiere (n. 1.172), Altre attività di servizi (n. 1.064), Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (n. 1.026).

Cooperative di lavoro

Su un totale di n. 3.317 cooperative ispezionate, n. 1.826 sono risultate irregolari (pari a circa il 55% delle cooperative ispezionate). È emerso, inoltre, un numero di lavoratori irregolari pari a n. 16.838 di cui n. 1.444 totalmente “in nero”. Fra le iniziative di maggior rilievo si segnala un’azione congiunta con la Guardia di finanza nei confronti della cooperativa M&G Coop. Multiservizi – impegnata nel somministrare personale a prezzi estremamente bassi lucrando sulle retribuzioni dei lavoratori ed evadendo la contribuzione obbligatoria – alla quale sono stati contestati numerosi illeciti penali, amministrativi e recuperi contributivi per circa 30 milioni di euro. L’attività illecita di questa falsa cooperativa, di cui hanno usufruito circa 4.000 imprese, avrà conseguenze sugli stessi utilizzatori che saranno chiamati a rispondere solidalmente delle somme ingiunte; da qui la raccomandazione alle aziende di diffidare di realtà pseudo-imprenditoriali che propongono costi del lavoro così bassi da risultare evidentemente contrari alla legge.

Salute e sicurezza

La vigilanza in materia di tutela della salute e sicurezza nei settori di competenza dell’INL (principalmente edilizia), ha interessato n. 22.611 aziende, sono state contestate n. 36.263 violazioni prevenzionistiche, di cui 28.364 penali e 7.899 amministrative. Per quanto riguarda il tasso di irregolarità delle aziende ispezionate lo stesso si attesta al 77,09% con un numero di aziende irregolari pari n. 17.580 a fronte di n. 22.805 accertamenti definiti.

AMAZON E RYANAIR

Nel corso del 2018 proseguiranno gli accertamenti avviati sul finire dello scorso anno sul colosso della distribuzione Amazon e sulla Compagnia aerea Ryanair.

Fonte: INL

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