Cassazione Civile Sent. Sez. 6 n. 4037 | 20 Febbraio 2018
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Cassazione Civile Sent. Sez. 6 20 febbraio 2018 n. 4037
Infortunio mortale: responsabilità direttore di cantiere e responsabile della sicurezza
Civile Ord. Sez. 6 Num. 4037 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: DELL'UTRI MARCO
Data pubblicazione: 20/02/2018
che, con sentenza resa in data 14/7/2016, la Corte d'appello di Milano, tra le restanti statuizioni, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato F.V., in solido con altri, al risarcimento dei danni subiti da OMISSIS in conseguenza del decesso del relativo congiunto, Y.H., avvenuto in occasione della prestazione, da parte di quest'ultimo, della propria attività lavorativa quale dipendente della società Heso Herzog & Sonderegger s.a. (ora Kummler+Matter AG) per la quale il F.V. esercitava le funzioni di direttore di cantiere e di responsabile della sicurezza;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha confermato la responsabilità del F.V. per l'inadempimento degli obblighi inerenti la sicurezza dei lavoratori impiegati nella propria azienda, a nulla rilevando la circostanza dell'eventuale assenza dello stesso dal cantiere all'interno del quale il lavoratore aveva perduto la propria vita, tenuto conto dei doveri di vigilanza e di custodia del cantiere nella specie totalmente disattesi;
che, avverso la sentenza d'appello, F.V. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d'impugnazione;
che la Ferrovienord s.p.a., la Zürich insurance Public Limited Company e la Kummler+Matter AG resistono con controricorso; che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede; che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell'art. 380-bis il ricorrente ha presentato memoria;
considerato che, con il primo motivo, il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata, nonché della violazione degli artt. 156 c.p.c. e 9 legge n. 890/82 (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di rilevare l'inesistenza della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio, siccome consegnato in luogo diverso da quello di residenza del convenuto, a nulla rilevando la successiva corretta destinazione della comunicazione di avvenuto deposito (c.d. CAD) presso l'effettiva e reale residenza dello stesso, attesa la radicale non sanabilità della notificazione (non già nulla, bensì) inesistente, e, in ogni caso, l'inapplicabilità dell'art. 156 c.p.c. in relazione alle notificazioni effettuate a mezzo posta, attesa la previsione rimediale speciale di cui all'art. 9 della legge n. 890/82;
che la censura è manifestamente infondata;
che, al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale, nel ritenere sanabile, ex art. 156 c.p.c., la notificazione eseguita in luogo diverso da quello dovuto (in ragione del collegamento obiettivo con la persona del destinatario), si è correttamente allineata al principio, fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il luogo in cui la notificazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell'atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo (cfr. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640604 - 01);
che, sotto altro profilo, del tutto priva di fondamento deve ritenersi la pretesa inapplicabilità del meccanismo di sanatoria di cui all'art. 156 c.p.c. alle ipotesi di notificazioni effettuate ai sensi della legge n. 890/82, trattandosi, con riguardo alla regola di cui all'art. 156, co. 3, c.p.c., di un principio di carattere generale, suscettibile di trovare applicazione in ogni ipotesi di procedimento notificatorio (cfr. ex plurimis, con riguardo alla notificazione a mezzo posta, Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 24823 del 05/12/2016, Rv. 642027 - 01);
che, peraltro, varrà considerare come parte ricorrente abbia del tutto trascurato di svolgere qualsivoglia considerazione critica sulle ragioni della pretesa inidoneità allo scopo della notificazione del recapito del secondo avviso, essendosi lo stesso limitato ad argomentare la sola pretesa inapplicabilità dell'art. 156, co. 3, c.p.c., omettendo di specificare se il ricevimento della notizia della notificazione, mediante il secondo avviso, gli abbia effettivamente impedito di costituirsi tempestivamente in primo grado (circostanza che, in ogni caso, quand'anche negativa, avrebbe comunque aperto all'interessato - ferma la sanatoria della nullità - la strada della richiesta di rimessione in termini ex art. 294 c.p.c.);
che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 4 del d.p.r. n. 547/55, nonché per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto, in capo al F.V., la qualità di direttore di cantiere e responsabile della sicurezza sulla base di un piano di sicurezza redatto dalla società datrice di lavoro che non risultava sottoscritto dal medesimo F.V., essendo stato quest'ultimo unicamente incaricato, dalla propria società, dello svolgimento di sole prestazioni di consulenza e assistenza tecnica;
che, con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto la responsabilità del ricorrente, in relazione al decesso del lavoratore, senza approfondire l'esame del carattere decisivo, sul piano causale, della condotta tenuta dallo stesso lavoratore in occasione dell'incidente in cui perse la vita;
che entrambi i motivi illustrati dal ricorrente - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione della risoluzione delle questioni dedotte - sono inammissibili;
che, al riguardo, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), il ricorrente si sia sostanzialmente spinto a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;
che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un'errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c.), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente il F.V. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa (con particolare riferimento all'esatta individuazione delle proprie mansioni all'interno della società Heso e al ruolo causalmente rilevante del comportamento del lavoratore in occasione della vicenda ch'ebbe a condurlo al decesso), rispetto a quanto operato dal giudice a quo, che, con riguardo al preteso vizio di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c., è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);
che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza del ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l'omissione rilevante ai fini dell'art. 360 n. 5 cit. (avendo il giudice a quo comunque considerato - anche attraverso il richiamo delle argomentazioni, fatte proprie, del giudice di primo grado - tanto il valore probatorio del piano di sicurezza contestato, quanto il ruolo causale del comportamento del lavoratore deceduto), bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all'intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d'indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, rilevata la manifesta infondatezza delle ragioni d'impugnazione proposte dal ricorrente, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui dispositivo, oltre al pagamento del
doppio contributo ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002;
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna parte, in complessivi euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile - 3, il 13 dicembre 2017.
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