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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 39134 | 29 Agosto 2018

ID 6712 | | Visite: 2161 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Utilizzo di un carrello privo di lampeggiante e investimento da parte di un altro mezzo

Penale Sent. Sez. 4 Num. 39134 Anno 2018

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 19/06/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Lecce, in parziale modifica della sentenza di primo grado quanto alla posizione del coimputato R.G., per quanto rileva in questa sede, ha confermato la condanna alla pena sospesa di un mese di reclusione di G.R. per il reato di cui agli artt. 113 e 590, terzo comma, cod.pen. in relazione all'art. 583, secondo comma, cod.pen., per avere, quale dipendente della CE.I.A.S. s.p.a., con la mansione di capo turno squadra di pulizia, cagionato lesioni gravissime a S.F., altro dipendente della CE.I.A.S. s.p.a., per negligenza, imprudenza, inosservanza delle norme sulla prevenzione infortuni sul lavoro, consistita nel consentire a quest'ultimo di usare un carrello politrac privo di lampeggiante funzionante sul tetto della cabina guida, determinandone l'investimento da parte di altro mezzo (fatto del 5 marzo 2009).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, G.R., che ha dedotto 1) la violazione dell'art. 590, terzo comma, cod.pen., atteso che il datore di lavoro aveva formato il lavoratore su tutte le cautele utili a neutralizzare il rischio derivante dal suo comportamento imprudente, sicché la condotta della persona offesa che ha violato il punto 1.6.2 dei controlli prima dell'avviamento, prescritti dal manuale di uso e manutenzione del carrello, omettendo di rilevare l'omesso funzionamento del lampeggiante di segnalazione, è abnorme e interruttiva del nesso di causalità; 2) il vizio di motivazione in relazione all'art. 192 cod.proc.pen., essendo emerso dalle deposizioni testimoniali il funzionamento del lampeggiante, i cui guasti avrebbero dovuto essere segnalati.


Considerato in diritto

3. Osserva preliminarmente la Corte che il reato contestato all'imputato contestato all'imputato è prescritto, trattandosi di fatto commesso in data 5/03/2009, in relazione al quale trova applicazione la disciplina dettata dalla legge 5 dicembre 2005, n.251; con la conseguenza che, il termine massimo di prescrizione deve ritenersi stabilito in sette anni e mezzo in virtù del combinato disposto degli artt. 157,160, comma 3, e 161, comma 2, cod.pen.
Né il ricorso presenta profili di inammissibilità ostativi alla declaratoria della causa estintiva.
Va parimenti escluso l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza del ricorrente. Sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129, comma 2, cod.proc.pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezioni ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275). Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall'art. 129, comma 2, cod.proc.pen., l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputato impone l'applicazione della causa estintiva.
4. Va disposto, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali, essendo il reato contestato estinto per prescrizione.
5. Il ricorso è infondato agli effetti civili: in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259227). Più precisamente, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015 Ud., Rv. 263386). La violazione del manuale di uso e manutenzione del carrello, da parte del lavoratore, non può, dunque, esonerare il datore di lavoro o il suo preposto dalla responsabilità per violazione dell'obbligo di vigilanza.
L'ulteriore motivo è parimenti infondato, in quanto non denuncia una manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione, ma si limita a proporre una ricostruzione dei fatti diversa da quelle effettuata dai giudici di merito che, in modo congruo e lineare, in base al mancato rinvenimento della campana del lampeggiante o di frammenti della stessa nel luogo dell'incidente; allo stato di ossidazione del lampeggiante, rilevato dal c.t. del P.M.; alla fissazione del dispositivo luminoso alla cappotte del carrellino con silicone, essendo i fili elettrici tranciati, hanno ritenuto il carrello elettrico privo di lampeggiante di segnalazione funzionante sul tettuccio. Detta versione risulta, inoltre, in contrasto con le allegazioni sottese alla formulazione della prima censura.
Va ricordato, difatti, che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili

Così deciso 19 giugno 2018.

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DPCM 17 Dicembre 2007

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D P C M  21 dicembre 2007

DPCM 17 Dicembre 2007

DPCM 17 Dicembre 2007 Esecuzione dell'accordo del 1° agosto 2007, recante: "Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro".

GU N. 3 del 4 Gennaio 2008

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Luoghi di lavoro al chiuso

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Report Indoor workplaces DGUV 2016

Luoghi di lavoro al chiuso

I luoghi di lavoro al chiuso si trovano in un'ampia varietà di ambienti di lavoro come uffici, aree di vendita, ospedali, scuole e strutture per l'infanzia e biblioteche.

Per definizione, i compiti che coinvolgono sostanze pericolose (come quelli incontrati in un laboratorio chimico) non vengono eseguiti in tali luoghi di lavoro, né includono aree ad alto rumore, come le officine.

Le denunce dei dipendenti in tali luoghi di lavoro sono spesso descritte come sindrome da costruzione malata.

I sintomi includono bruciore agli occhi, gola irritata, naso chiuso e mal di testa. Questi problemi spesso non possono essere attribuiti a una singola causa e richiedono un'analisi completa. Fattori come il design del posto di lavoro illuminazione rumore ambiente termico campi elettromagnetici radiazioni ionizzanti e aspetti psicologici come lo stress deve anche essere considerato, oltre alla qualità dell'aria respirabile.

Il Report è destinato a fornire assistenza nell'indagine sistematica di problemi di salute e disturbi soggettivi che si verificano nei luoghi di lavoro al chiuso e nell'individuazione di soluzioni pratiche. Le varie pagine del sito web integrano il contenuto del rapporto "Luoghi di lavoro interni - Procedura consigliata per l'indagine sull'ambiente di lavoro" pubblicando le informazioni più recenti non appena diventano disponibili.

Disponibili per il download allo stesso tempo sono schede di indagine individuali sui vari argomenti come aiuti per trovare le cause dei reclami di salute.
DGUV 2016

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DGUV 2016
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Studio epidemiologico mortalità asbesto-correlato OGR Bologna

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Studio epidemiologico mortalit  asbesto correlato OGR Bologna

Studio epidemiologico mortalità asbesto-correlato OGR Bologna

Studio epidemiologico di mortalita’ nella coorte di lavoratori dipendenti fs assegnati all’ ogr di bolognastudio epidemiologico di mortalita’ nella coorte di lavoratori dipendenti fs assegnati all’OGR di Bologna.

L'obiettivo principale dello studio è rappresentato dalla valutazione della mortalità per cause nella coorte dei lavoratori OGR nel periodo 1960-2014. Oltre a ciò, obiettivi secondari sono:

a) la valutazione della variazione per variabili temporali della mortalità per alcune cause asbesto-correlate, ed in particolare verificare l‟andamento a oltre 50 anni di latenza;
b) la valutazione dei rischi nella mortalità per mansioni; c) la valutazione del rapporto tra i tassi di mortalità per tumore maligno del polmone e mesotelioma maligno della pleura

I primi casi segnalati per l‟OGR di Bologna risalgono alla metà degli anni ‟80 (16); negli anni successivi gli ulteriori casi sono stati oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche relative ai mesoteliomi da esposizione all‟amianto presso le OGR o in generale nel settore dei trasporti ferroviari (16-23).

A partire dalla fine degli anni „80 sono pervenute alla UOPSAL città numerose segnalazioni  di tumori correlati all‟esposizione ad amianto, relativi ad ex lavoratori della OGR di Bologna, con un incremento significativo dal 2010. Le dimensioni del fenomeno, le istanze dei lavoratori con le loro rappresentanze sindacali, le evidenze scientifiche precedenti, la disponibilità di una base di dati relativi ai lavoratori dipendenti FS assegnati all‟Officina Grandi Riparazioni di Bologna, l‟atteggiamento collaborativo mostrato dall‟Azienda FS, hanno portato la scrivente UO a intraprendere lo studio retrospettivo di mortalità relativo alla coorte dei dipendenti dell‟OGR di Bologna del quale di seguito si riportano gli obiettivi ed i risultati.

Dall‟integrazione delle varie fonti (libri matricola, squadrari, elenco lavoratori “progetto amianto”, documentazione utilizzata per i rapporti per malattia professionale) si è ottenuto un totale di 3636 lavoratori. L‟inizio dell‟esposizione ad amianto in OGR è riconducibile ai primi anni ‟50, ma i dati dello squadrario che contengono le informazioni sulla mansione, sono disponibili dal 01/01/1957, si è definita, quindi, quest‟ultima come data di ingresso nella coorte da studiare. L‟esposizione ad amianto si è poi protratta per anni presentandoì caratteristiche diverse in termini di numero di esposti ed intensità, con la graduale introduzione di procedure e dispositivi di protezione individuale e collettiva, fino a diventare solo occasionale e di bassa intensità dopo il 1995. Si sono arruolati, perciò, tutti i lavoratori, presenti in azienda alla data del 1/01/1957 (assunti anche prima ), ancora al lavoro al 01/01/1960, e tutti i nuovi assunti a partire da quest‟ultima data fino al 31/12/1995.

Il totale dei lavoratori oggetto dello studio è pari quindi a 3143 di cui 45 donne

Il periodo di follow-up va dal 01/01/1960 al 31/12/2014. Questo significa che per ciascun soggetto dei 3115 è stato verificato lo stato in vita a partire dal 01/01/1960 fino al 31/12/2014.

Lo studio riguarda solo i lavoratori dipendenti delle FS assegnati alla OGR di Bologna e non i dipendenti delle altre ditte che a vario titolo hanno lavorato all‟interno dello stesso impianto (ditte di coibentazione, ditte di pulizia, etc). I dipendenti di una delle ditte addette alla coibentazione dei rotabili sono stati oggetto di uno studio mirato precedente.

In definitiva la coorte in analisi è costituita da 3115 soggetti, di cui 3071 uomini e 44 donne, per un totale di 114.744,7 anni-persona calcolato come somma degli anni di lavoro dei singoli lavoratori.

AUSL Bologno 2017

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AUSL Bologna - 2017
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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 38402 | 09 Agosto 2018

ID 6678 | | Visite: 2948 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Sorveglianza sanitaria e responsabilità medico competente

Penale Sent. Sez. 3 Num. 38402 Anno 2018

Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: CERRONI CLAUDIO
Data Udienza: 27/04/2018

Ritenuto in fatto 

1. Con sentenza del 27 aprile 2017 il Tribunale di Pistoia, applicando i doppi benefici di legge, ha condannato M.B., nella qualità di medico competente della s.p.a. Gruppo Nord, alla pena di euro 700 di ammenda per il reato di cui agli artt. 25, comma 1, lett. a), 41, comma 2, in relazione all'art. 58, comma 1, lett. c) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. 
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha osservato che non era stata assunta prova decisiva del teste A., nonostante la citazione tempestivamente avvenuta (e della quale veniva prodotta copia della distinta resi, stante la compiuta giacenza). In relazione alla decisività dell'incombente, il ricorrente ha dedotto che il teste aveva partecipato alle riunioni nelle quali era stato discusso il documento di valutazione dei rischi, ed avrebbe potuto dare conto dell'attività di vigilanza sanitaria effettivamente svolta, mentre in giudizio non era stato neppure prodotto il verbale ispettivo, risultando del tutto insufficiente, al riguardo, la deposizione del teste del Pubblico Ministero. Sì che in ogni caso avrebbe dovuto darsi corso all'attività istruttoria, invece mancata, laddove la citazione del teste non comparso doveva ritenersi del tutto tempestiva.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha ricordato che la legge non disciplinava le modalità con le quali avrebbe dovuto concretizzarsi la collaborazione del medico col datore di lavoro in relazione alla sorveglianza sanitaria dei dipendenti, e nel provvedimento impugnato la mancanza di collaborazione era stata ricondotta alla sola mancata sottoscrizione del documento di valutazione dei rischi, senza dare luogo ad alcuna attività istruttoria.
In ogni caso, poi, il sanitario non poteva essere chiamato a rispondere di eventi, quali la mancata visita di lavoratori interinali di cui il datore di lavoro non aveva comunicato l'esistenza al medico, che esulavano dalla sfera di conoscenza del professionista, né il medico aveva autonomi poteri nell'ambito aziendale, se non nei limiti di quanto comunicatogli dal datore di lavoro.
2.3. Col terzo motivo, in relazione all'errata applicazione della norma di cui agli artt. 25 e 41 del decreto legislativo n. 81 cit., nulla era dato sapere sull'infortunio che aveva coinvolto i lavoratori interinali, sì che non era possibile conoscere il nesso causale tra infortunio e mancata sottoposizione a visita medica preventiva.
2.4. Col quarto motivo infine il ricorrente ha rilevato che non vi era alcuna comunicazione del datore di lavoro circa la richiesta di intervento in conseguenza dell'utilizzazione dei lavoratori interinali successivamente infortunatisi. Al contrario, la sentenza impugnata aveva erroneamente posto in collegamento la mera sottoscrizione del documento di valutazione dei rischi con la responsabilità tout court del professionista.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato.
4.1. In relazione al primo motivo di impugnazione, va ricordato il costante principio secondo il quale la mancata riproposizione della richiesta di prova testimoniale, nel momento in cui sono rassegnate le conclusioni, implica rinuncia all'assunzione dell'incombente istruttorio.
In proposito, infatti, la dichiarazione di chiusura dell'Istruttoria dibattimentale, ove la parte presente non abbia eccepito il mancato esame di un testimone, comporta la revoca della ammissione di tale deposizione, ed eventuali nullità concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 6, n. 42182 del 16/10/2012, Statella e altri, Rv. 254338)
Qualora il giudice dichiari invero chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell'istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata con l'acquiescenza delle parti medesime (Sez. 5, n. 7108 del 14/12/2015, dep. 2016, Sgherri, Rv. 266076).
4.1.1. In specie, il provvedimento impugnato ha dato conto della revoca dell'ordinanza ammissiva del teste non comparso indicato dalla difesa (della cui corretta citazione non vi era prova), nonché della chiusura dell'istruttoria dibattimentale e del l'utilizzabilità degli atti acquisiti nel fascicolo del dibattimento. Né, al riguardo, vi è traccia di eccezioni processuali anteriormente alla chiusura del dibattimento ed alla precisazione delle conclusioni, nell'ambito delle quali l'odierno ricorrente aveva infatti formulato richiesta di assoluzione, nonché in subordine di applicazione del minimo della pena e di concessione dei benefici di legge.
4.2. In relazione al successivo motivo di ricorso, ed in tema di sicurezza sul lavoro, l'obbligo di collaborazione col datore di lavoro cui è tenuto il medico competente e il cui inadempimento integra il reato di cui agli artt. 25, comma primo, lett. a) e 58, comma primo, lett. c), del D.Lgs. n. 81 del 2008, non presuppone necessariamente una sollecitazione da parte del datore di lavoro, ma comprende anche un'attività propositiva e di informazione da svolgere con riferimento al proprio ambito professionale (Sez. 3, n. 1856 del 11/12/2012, dep. 2013, Favilli, Rv. 254268).
Invero è stato colà osservato che occorre innanzitutto non dimenticare che le finalità del d.lgs. 81\2008 sono quelle di assicurare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e che la valutazione dei rischi - definita dall'art. 2, comma 1, lett. q) del d.lgs. 81\2008 come la «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza» - è attribuita dall'art. 29 del medesimo d.lgs. al datore di lavoro, per il quale costituisce, ai sensi dell'art. 17, un obbligo non derogabile. E' evidente, avuto riguardo all'oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il «medico competente», portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell'obbligo mediante l'apporto di qualificate cognizioni tecniche. L'espletamento di tali compiti da parte del «medico competente» comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale. Del resto, l'importanza del ruolo sembra essere stata riconosciuta dallo stesso legislatore il quale, nel modificare l'originario contenuto dell'art. 58, ha introdotto la sanzione penale solo con riferimento alla valutazione dei rischi. L'ambito della responsabilità penale resta confinato nella violazione dell'obbligo di collaborazione, che comprende anche un'attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con riferimento al proprio ambito professionale ed il cui adempimento può essere opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice del merito caso per caso. In ogni caso, in tema di valutazione dei rischi, il «medico competente» assume elementi di valutazione non soltanto dalle informazioni che devono essere fornite dal datore di lavoro, ma anche da quelle che può e deve direttamente acquisire di sua iniziativa, ad esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all'art. 25, lettera I) o perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria o da altri soggetti (cfr. in motivazione, Sez. 3 n. 1856 cit.).
4.2.1. Ciò posto, alcuna prova è stata somministrata circa l'attività concretamente svolta dal medico competente della s.p.a. Gruppo Centro Nord, laddove da un lato non risulta sottoscritto il documento di valutazione dei rischi, e dall'altro il teste assunto su istanza della stessa difesa aveva ricordato un'attività del tutto episodica di sorveglianza sanitaria.
Alla stregua pertanto dei principi richiamati, il ricorrente non ha in realtà fornito alcun riscontro di quello che avrebbe potuto essere l'adempimento di un obbligo di collaborazione, che non poteva - proprio per i richiamati rilievi, che questa Corte non può che ribadire - tradursi in una mera inerte attesa delle iniziative del datore di lavoro.
4.3. In conseguenza delle considerazioni che precedono, e proprio avuto riguardo alle finalità della normativa quanto alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, le omissioni hanno natura di reato permanente e di pericolo astratto, per cui - ai fini della configurazione - non era necessario che dalla violazione delle prescrizioni derivasse un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore (cfr. Sez. 3, n. 6885 del 23/11/2016, dep. 2017, Gucciardi, Rv. 269253). Né, infatti, all'odierno ricorrente risulta ascritta responsabilità alcuna per il sinistro occorso ai due lavoratori stranieri, episodio dal quale aveva preso le mosse il procedimento penale.
4.4. In definitiva, pertanto, alcuna illogicità, ed ancor meno manifesta, si ravvisa nel provvedimento impugnato, ben avendo potuto semmai la parte interessata fornire la prova liberatoria, ovvero l'adempimento delle proprie obbligazioni, ovvero ancora l'impossibilità di adempiere, come ricordato dal richiamato precedente, senza limitarsi a concentrare le censure sulle condotte, in tesi omissive, del datore di lavoro.
4.5. I motivi di ricorso, che in realtà sono connessi perché riguardano tutti le medesime tematiche, rimangono assorbiti e sono pertanto infondati.
5. Ne consegue pertanto il complessivo rigetto del ricorso, tenuto conto della corretta applicazione di legge da parte del provvedimento impugnato, unitamente alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 27/04/2018

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La Sorveglianza Sanitaria: panoramica TUS

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Medico competente D Lgs 81 2008

La Sorveglianza Sanitaria: panoramica TUS

ID 5036 | 24.08.2018

Documento riepilogativo su tutti gli articoli del D.Lgs. 81/2008 relativi alla "Sorveglianza sanitaria" e al "Medico Competente"

La sorveglianza sanitaria viene disciplinata nel TUS nella Sezione V dall'articolo 38 all'articolo 42, trattando nello specifico quali debbano essere i requisiti del Medico Competente, quali le sue attribuzioni e limiti di competenza e come gestire i rapporti con le pubbliche amministrazioni.

La sorveglianza sanitaria specifica per ogni rischio di esposizione, è disciplinata, nei titoli relativi ai diversi fattori di rischio. Per ogni singolo rischio viene descritto come e quando effettuare la sorveglianza sanitaria, quindi ad esempio per il rischio da esposizione a videoterminali (articolo 176), per i rischi da agenti fisici (articolo 185), per i rischi da esposizione ad agenti biologici (articoli 279-281) ed a sostanze pericolose (articoli 242-245 ed articolo 259). 

L'articolo 41 riveste un ruolo fondamentale, per quanto attiene la definizione ed il contenuto proprio della sorveglianza sanitaria, in quanto determina:

- le modalità,
- le tempistiche,
- i soggetti e
- le frequenze, con cui debba essere effettuata la sorveglianza sanitaria, nei casi previsti dalla legge. Viene inoltre sempre qui definito quando è possibile, da parte del lavoratore, richiedere una visita medica supplementare, e quando al contrario è obbligatorio esservi sottoposti, cosa può essere accertato dalla sorveglianza, come devono essere gestite le risultanze (giudizi di idoneità) e quali esami possono essere effettuati.

Estratto

TITOLO I - PRINCIPI COMUNI

CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 2 c. 1 lett. h Definizioni
[..]
h) «medico competente»: medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto[..]

CAPO III - GESTIONE DELLA PREVENZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO

SEZIONE I - MISURE DI TUTELA E OBBLIGHI

Articolo 18 - Obblighi del datore di lavoro e del dirigente
1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono:
[..]
d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;
[..]
g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto;
[..]
2. Il datore di lavoro fornisce al servizio di prevenzione e protezione ed al medico competente informazioni in merito a:
a) la natura dei rischi;
b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive;
c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;
d) i dati di cui al comma 1, lettera r) e quelli relativi alle malattie professionali;
e) i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza[..]

Articolo 25 Obblighi del medico competente

1. Il medico competente: 
a) collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale; 
b) programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati; 
c) istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente; 
d) consegna al datore di lavoro, alla cessazione dell’incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003 n.196, e con salvaguardia del segreto professionale;
e) consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima; l’originale della cartella sanitaria e di rischio va conservata, nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, da parte del datore di lavoro, per almeno dieci anni, salvo il diverso termine previsto da altre disposizioni del presente decreto; 
f) Lettera soppressa dall’art. 15 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 
g) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta l’esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; 
h) informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria; 
i) comunica per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all’articolo 35, al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori; 
l) visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o a cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa dall’annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di valutazione dei rischi; m) partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria; 
n) comunica, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti di cui all’articolo 38 al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

Sezione II - Valutazione dei rischi

Articolo 28 comma 2 - Oggetto della valutazione dei rischi

2. Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), redatto a conclusione della valutazione può essere tenuto, nel rispetto delle previsioni di cui all’articolo 53 del decreto, su supporto informatico e, deve essere munito anche tramite le procedure applicabili ai supporti informatici di cui all’articolo 53, di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e del medico competente, ove nominato e contenere:
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione;
b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a);
c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

Articolo 29 - Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi

1. Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all’articolo 41.

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Sezione V Sorveglianza sanitaria

Articolo 186 - Cartella sanitaria e di rischio

1. Nella cartella di cui all’articolo 25, comma 1, lettera c), il medico competente riporta i dati della sorveglianza sanitaria, ivi compresi i valori di esposizione individuali, ove previsti negli specifici capi del presente Titolo, comunicati dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione e protezione.

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CAPO II - PROTEZIONE DEI LAVORATORI CONTRO I RISCHI DI ESPOSIZIONE AL RUMORE DURANTE IL LAVORO

Articolo 196 - Sorveglianza sanitaria

1. Il datore di lavoro sottopone a sorveglianza sanitaria i lavoratori la cui esposizione al rumore eccede i valori superiori di azione. La sorveglianza viene effettuata periodicamente, di norma una volta l’anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente, con adeguata motivazione riportata nel documento di valutazione dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza di lavoratori in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza diversi rispetto a quelli forniti dal medico competente.

2. La sorveglianza sanitaria di cui al comma 1 è estesa ai lavoratori esposti a livelli superiori ai valori inferiori di azione, su loro richiesta e qualora il medico competente ne confermi l’opportunità.

---

CAPO III - PROTEZIONE DEI LAVORATORI DAI RISCHI DI ESPOSIZIONE A VIBRAZIONI

Articolo 204 - Sorveglianza sanitaria

1. I lavoratori esposti a livelli di vibrazioni superiori ai valori d’azione sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria. La sorveglianza viene effettuata periodicamente, di norma una volta l’anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente con adeguata motivazione riportata nel documento di valutazione dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza diversi rispetto a quelli forniti dal medico competente.

2. I lavoratori esposti a vibrazioni sono altresì sottoposti alla sorveglianza sanitaria quando, secondo il medico competente, si verificano una o più delle seguenti condizioni: l’esposizione dei lavoratori alle vibrazioni è tale da rendere possibile l’individuazione di un nesso tra l’esposizione in questione e una malattia identificabile o ad effetti nocivi per la salute ed è probabile che la malattia o gli effetti sopraggiungano nelle particolari condizioni di lavoro del lavoratore ed esistono tecniche sperimentate che consentono di individuare la malattia o gli effetti nocivi per la salute.

CAPO IV - PROTEZIONE DEI LAVORATORI DAI RISCHI DI ESPOSIZIONE A CAMPI ELETTROMAGNETICI

CAPO IV – SANZIONI

Articolo 284 - Sanzioni a carico del medico competente

1. Il medico competente è punito con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda da euro 328,80 a euro 1.315,20 per la violazione dell’articolo 279, comma 3.

segue
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Elenco di valori indicativi di esposizione professionale agenti chimici

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Elenco Agenti chimici 21 ago 2018

Elenco di valori indicativi di esposizione professionale agenti chimici | in vigore

In allegato il terzo elenco di valori indicativi di esposizione professionale in attuazione della direttiva 98/24/CE (XIV Direttiva particolare)

Direttiva 98/24/CE

Direttiva 98/24/CE del Consiglio del 7 aprile 1998 sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)

Modifiche:
Direttiva 2000/39/CE 1° Elenco
Direttiva 2006/15/CE 2° Elenco
Direttiva 2009/161/UE 3° Elenco
Direttiva (UE) 2017/164 4° Elenco
Direttiva (UE) 2019/1831 5° Elenco

D.Lgs. 81/2008

Titolo IX SOSTANZE PERICOLOSE
Capo I Protezione da agenti chimici

Art. 232. Adeguamenti normativi

1. Con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è istituito senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici. Il Comitato è composto da nove membri esperti nazionali di chiara fama in materia tossicologica e sanitaria di cui tre in rappresentanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, su proposta dell'Istituto superiore di sanità, dell'ISPESL e della Commissione tossicologica nazionale, tre in rappresentanza della Conferenza dei Presidenti delle regioni e tre in rappresentanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Il Comitato si avvale del supporto organizzativo e logistico della Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.

2. Con uno o più decreti dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sentiti il Ministro dello sviluppo economico, il Comitato di cui al comma 1 e le parti sociali, sono recepiti i valori di esposizione professionale e biologici obbligatori predisposti dalla Commissione europea, sono altresì stabiliti i valori limite nazionali anche tenuto conto dei valori limite indicativi predisposti dalla Commissione medesima e sono aggiornati gli allegati XXXVIII, XXXIX, XL e XLI in funzione del progresso tecnico, dell'evoluzione di normative e specifiche comunitarie o internazionali e delle conoscenze nel settore degli agenti chimici pericolosi.(1)

3. Con i decreti di cui al comma 2 è inoltre determinato il rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori di cui all'articolo 224, comma 2, in relazione al tipo, alle quantità ed alla esposizione di agenti chimici, anche tenuto conto dei valori limite indicativi fissati dalla Unione europea e dei parametri di sicurezza.

4. Nelle more dell'adozione dei decreti di cui al comma 2, con uno o più decreti dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, possono essere stabiliti, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i parametri per l'individuazione del rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori di cui all'articolo 224, comma 2, sulla base di proposte delle associazioni di categoria dei datori di lavoro interessate comparativamente rappresentative, sentite le associazioni dei prestatori di lavoro interessate comparativamente rappresentative. Scaduto inutilmente il termine di cui al presente articolo, la valutazione del rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori è comunque effettuata dal datore di lavoro.

(1) Decreto Interministeriale del 6 agosto 2012

Recepimento della direttiva 2009/161/UE della Commissione del 17 dicembre 2009 che definisce il Terzo elenco di valori indicativi di esposizione professionale in attuazione della direttiva 98/24/CE del Consiglio e che modifica la direttiva 2009/39/CE della Commissione.

G.U. 18 settembre 2012, n. 218

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Esperto Qualificato

ID 4252 | | Visite: 32557 | Decreti Sicurezza lavoro

esperto qualificato

Radioprotezione: Esperto qualificato

Documento completo allegato Rev. 0.0 del 21.06.2018

Gli esperti qualificati sono tecnici ai quali i datori di lavoro affidano l'incarico di svolgere la sorveglianza fisica dei lavoratori esposti al rischio da radiazioni ionizzanti, in possesso delle cognizioni e dell'addestramento a ciò necessari, quali definiti dall'allegato V del Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 e successive modificazioni e integrazioni.

L'Esperto qualificato è il professionista abilitato al controllo e alla sorveglianza delle radiazioni ionizzanti ai fini della protezione dei lavoratori e della popolazione.

La definizione di Esperto qualificato è stata, poi, ricompresa in tutte le Direttive EURATOM in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti.

Attenzione! Vedi Esperto di radioprotezione

Esperto di radioprotezione (figura equivalente all’esperto qualificato di cui al DLgs 230/1995)

Vedi Radiazioni ionizzanti: Quadro normativo

Decreto Legislativo 31 luglio 2020 n. 101 Attuazione IT direttiva 2013/59/Euratom

Pubblicato sulla GU Serie Generale n.201 del 12-08-2020 - Suppl. Ordinario n. 29 il Decreto Legislativo 31 luglio 2020 n. 101 Attuazione della direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom e riordino della normativa di settore in attuazione dell'articolo 20, comma 1, lettera a), della legge 4 ottobre 2019, n. 117. 

Entrata in vigore: 27.08.2020

Art. 243 Abrogazioni
1. Alla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le seguenti disposizioni: 
a) gli articoli 3, 4 e 5, della legge 31 dicembre 1962 n. 1860
b) il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 cosi' come modificato dal decreto legislativo n. 241 del 2000, dal decreto legislativo n. 23 del 2009, dal decreto legislativo n. 100 del 2011, dal decreto legislativo n. 185 del 2011, dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 45 del 2014 e dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 137 del 2017; 
c) il decreto legislativo 26 maggio 2000, n.187
d) il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n.52
e) il decreto del Ministro dello sviluppo economico 28 settembre 2011.

Art. 244 Modifiche 
1. L'articolo 180, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e' sostituito dal seguente: «3. La protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti e' disciplinata, nel rispetto dei principi di cui al titolo I, dalle disposizioni speciali in materia»

L'attuale definizione di Esperto qualificato, è rintracciabile nell'art. 4 comma 1 lett. u del D.Lgs. n. 241/2000, che, a decorrere dal 1° gennaio 2001 ha sostituito l'art. 6 del Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230:

Art. 4 comma 1 lett. u) D.Lgs. n. 241/2000

u) esperto qualificato: persona che possiede le cognizioni e l'addestramento necessari sia per effettuare misurazioni, esami, verifiche o valutazioni di carattere fisico, tecnico o radiotossicologico, sia per assicurare il corretto funzionamento dei dispositivi di protezione, sia per fornire tutte le altre indicazioni e formulare provvedimenti atti a garantire la sorveglianza fisica della protezione dei lavoratori e della popolazione. La sua qualificazione e' riconosciuta secondo le procedure stabilite nel presente decreto;

Iscrizione Elenco nazionale

Il riconoscimento della qualificazione dell'Esperto qualificato, abilitante all'esercizio della attività, è realizzato dalla iscrizione in apposito elenco nazionale, distinto per gradi e previo il possesso di specifici requisiti e il superamento di prova di esame, come già previsto dall'art. 72 del pregresso D.P.R. n. 185/1964 e confermato dall'art. 78 del vigente D. Lgs. n. 230/1995, istituito presso l'Ispettorato medico centrale del lavoro che, ai sensi dell'art. 93 del D. Lgs. 230/1995, può, in caso di segnalata contestazione da parte degli organismi di vigilanza, disporne la sospensione dall'esercizio ovvero, nei casi più gravi e con provvedimento del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, disporne la cancellazione da detto elenco.

L'obbligatorietà della iscrizione nell'apposito elenco nazionale fa rientrare la professione di Esperto qualificato tra le "professioni intellettuali protette" di cui al comma 1 dell'art. 2229 del codice civile e riconosce l'attività de esso svolta come di "servizio di pubblica necessità".

Tre diversi gradi di abilitazione, che definiscono gli ambiti di competenza tecnica:

1° grado: apparecchi radiologici che accelerano elettroni con tensione massima al tubo inferiore a 400 kV;

2° grado: macchine radiogene che accelerano elettroni ad energia compresa tra 400 keV e 10 MeV e materie radioattive, comprese le sorgenti di neutroni la cui produzione media nel tempo, su tutto l'angolo solido, sia non superiore a 104 neutroni al secondo;

3° grado: impianti nucleari e per il trattamento di combustibili irradiati e per la fabbricazione o preparazione di materie fissili speciali e di combustibili nucleari e sorgenti diverse da quelle comprese nelle competenze del grado precedente.

Il secondo grado di abilitazione assorbe il primo e il terzo grado gli altri due.

Art. 78 D. Lgs. n. 230/1995 Abilitazione degli esperti qualificati: elenco nominativo

1. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanita', e' istituito, presso l'Ispettorato medico centrale del lavoro, un elenco nominativo degli esperti qualificati, ripartito secondo i seguenti gradi di abilitazione:

a) abilitazione di primo grado, per la sorveglianza fisica delle sorgenti costituite da apparecchi radiologici che accelerano elettroni con tensione massima, applicata al tubo, inferiore a 400 kV;

b) abilitazione di secondo grado, per la sorveglianza fisica delle sorgenti costituite da macchine radiogene con energia degli elettroni accelerati compresa tra 400 keV e 10 MeV, o da materie radioattive, incluse le sorgenti di neutroni la cui produzione media nel tempo, su tutto l'angolo solido, sia non superiore a 104 neutroni al secondo;

c) abilitazione di terzo grado, per la sorveglianza fisica degli impianti come definiti all'articolo 7 del capo II del presente decreto e delle altre sorgenti di radiazioni diverse da quelle di cui alle lettere a) e b).

2. L'abilitazione di grado superiore comprende quelle di grado inferiore.

3. Con lo stesso decreto di cui al comma 1, sentita l'ANPA, sono stabiliti i titoli di studio e la qualificazione professionale, nonche' le modalita' per la formazione professionale, per l'accertamento della capacita' tecnica e professionale richiesta per l'iscrizione nell'elenco di cui al comma 1 e per l'eventuale sospensione o cancellazione dal medesimo, fermo restando quanto stabilito all'articolo 93 per i casi di inosservanza dei compiti.

Art. 93 D. Lgs. n. 230/1995 Provvedimenti a carico dell'esperto qualificato e del medico autorizzato

1. Su segnalazione degli organismi di vigilanza il capo dell'Ispettorato medico centrale puo' disporre, previa contestazione degli addebiti, senza pregiudizio delle altre sanzioni previste dalla legge, la sospensione, non superiore a sei mesi, dall'esercizio delle funzioni dell'esperto qualificato o del medico autorizzato, in caso di accertata inosservanza dei rispettivi compiti.

2. Nei casi piu' gravi il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, su proposta del capo dell'Ispettorato medico centrale del lavoro, con le modalita' stabilite al comma 1, puo' disporre la cancellazione dell'esperto qualificato o del medico autorizzato dagli elenchi previsti rispettivamente dagli articoli 78 e 88.

3. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 possono essere adottati dopo che sia stato assegnato all'interessato un termine di sessanta giorni per presentare le proprie controdeduzioni sugli addebiti contestati. Tali provvedimenti non possono essere adottati decorsi sei mesi dalla presentazione delle controdeduzioni da parte dell'interessato.

4. La procedura per l'adozione dei provvedimenti di cui ai commi 1 o 2 viene iniziata d'ufficio in caso di condanna definitiva a pena detentiva del medico autorizzato o dell'esperto qualificato per reati inerenti alle funzioni attribuite. La procedura per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 1 viene iniziata d'ufficio anche in caso di sentenza non passata in giudicato con condanna a pena detentiva.

Percorso di formazione

Il percorso di formazione dell'Eq prevede obbligatoriamente:

- oltre alle lauree caratterizzanti (laurea in fisica o in chimica o in chimica industriale o in ingegneria),

- un periodo di tirocinio di almeno 120 giorni lavorativi presso strutture che utilizzano le sorgenti corrispondenti a ciascun grado di abilitazione e sotto la guida del relativo Esperto qualificato (complessivi 240 giorni lavorativi per il 2° grado e 360 giorni lavorativi per il 3° grado), per poter sostenere l'esame di abilitazione di Eq secondo il grado prescelto su un elenco di argomenti definiti per legge (nell'Allegato V al D.Lgs. 241/2000, che aggiorna il D.Lgs. 230/95 in vigore da 1.1.2001) per ciascun grado di abilitazione.

Circolare n. 36 del 24 dicembre 2014 - Schema  di attuazione del tirocinio propedeutico 

Allegato V D.Lgs.241/2000 Istituzione degli elenchi degli esperti qualificati dei medici autorizzati e determinazione ai sensi degli articoli 78 e 88 delle modalità, titoli di studio, accertamento delle capacità tecnico-professionale per l'iscrizione.

Allegato V D.Lgs. 241/2000

Allegato V D.Lgs. 241/2000

Istituzione degli elenchi degli esperti qualificati dei medici autorizzati e determinazione ai sensi degli articoli 78 e 88 delle modalità, titoli di studio, accertamento delle capacità tecnico-professionale per l'iscrizione 

1. Elenchi nominativi

1.1. Sono istituiti presso il Ministero del Lavoro -Direzione Generale Rapporti di Lavoro- gli elenchi nominativi degli esperti qualificati e dei medici autorizzati, incaricati rispettivamente della sorveglianza fisica e della sorveglianza medica della radioprotezione, secondo quanto stabilito dagli artt. 78 e 88.

1.2. Gli elenchi nominativi degli esperti qualificati e dei medici autorizzati, costituiti separatamente, devono contenere, per ciascuno degli iscritti , il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio, il codice fiscale, la data ed il numero di iscrizione.

1.3. Per l'iscrizione negli elenchi di cui al punto 1.1 devono essere osservate le modalita' stabilite nel presente allegato.

2. Requisiti per l'iscrizione

2.1. Agli elenchi nominativi di cui al precedente punto 1.1. possono essere iscritti, su domanda diretta al Ministero del Lavoro - Direzione Generale Rapporti di Lavoro- coloro che:

a) siano cittadini italiani o di Stati membri dell'Unione Europea, ovvero cittadini di altri Stati nei cui confronti vige un regime di reciprocita';

b) godano dei diritti politici e non risultino essere stati interdetti;

c) siano in possesso dei titoli previsti dal successivo punto 9, se aspiranti all'iscrizione nell'elenco degli esperti qualificati, ovvero dei titoli previsti dal successivo punto 14 se aspiranti all'elenco dei medici autorizzati; d) siano dichiarati abilitati dalle competenti Commissioni di cui ai punti 3 e 4 allo svolgimento dei compiti di sorveglianza fisica e medica della radioprotezione;

e) non siano stati cancellati dagli elenchi nominativi degli esperti qualificati e dei medici autorizzati negli ultimi cinque anni ai sensi dei punto 15 lettere a) e b).

3. Commissione per l'iscrizione nell'elenco nominativo degli esperti qualificati.

3.1. Presso il Ministero del lavoro -Direzione Generale Rapporti di Lavoro- e' istituita la Commissione per l'iscrizione nell'elenco nominativo degli esperti qualificati.

3.2. La Commissione e' composta da laureati in materia tecnico-scientifiche, esperti in sorveglianza fisica della protezione dalle radiazioni ionizzanti di cui: due designati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale tra i propri funzionari - uno designato dal Ministero della sanita' tra i propri funzionari - uno designato dall'Istituto superiore di sanita'; - uno designato dall'Istituto superiore per la sicurezza sul lavoro; - uno designato dal Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica tra i professori universitari di ruolo; - due designati dall'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, di cui uno esperto in sorveglianza medica della radioprotezione. Le funzioni di segreteria della Commissione sono espletate da un funzionario del Ministero del Lavoro.

3.3. I componenti della Commissione, il presidente, scelto tra i membri del Ministero del Lavoro, ed il segretario sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, durano in carica cinque anni e possono essere riconfermati. In corrispondenza di ogni membro effettivo e' nominato un supplente.

4. Commissione per l'iscrizione nell'elenco nominativo dei medici autorizzati.

4.1. Presso il Ministero dei lavoro- Direzione Generale Rapporti di Lavoro- e' istituita la Commissione per l'iscrizione nell'elenco nominativo dei medici autorizzati.

4.2. La Commissione e' composta da laureati , esperti in materia di sorveglianza medica della protezione dalle radiazioni ionizzanti, di cui: - due designati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale tra i propri funzionari tecnici; - uno designato dal Ministero della sanita' tra i propri funzionari tecnici; - uno designato dall'Istituto superiore di sanita'; - uno designato dall'Istituto superiore per la sicurezza sul lavoro; - uno designato dal Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica tra i professori universitari di ruolo; - due designati dall'Agenzia nazionale per la proiezione dell'ambiente, di cui uno laureato in materie scientifiche esperto in sorveglianza fisica della radioprotezione. Le funzioni di segreteria della Commissione sono espletate da un funzionario del Ministero del Lavoro.

4.3. I componenti della Commissione, il presidente, scelto tra i membri del Ministero del Lavoro, ed il segretario sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, durano in carica cinque anni e possono essere riconfermati. In corrispondenza di ogni membro effettivo e' nominato un supplente.

5. Compiti e deliberazioni delle Commissioni

5.1. Alle Commissioni di cui ai punti 3 e 4 spettano le deliberazioni relative all'iscrizione nell'elenco nominativo di rispettiva competenza.

5.2. Esse decidono, nel merito tecnico e scientifico, sulla validita' ed idoneita' della documentazione comunque esibita dagli interessati ai fini dell'iscrizione. Le Commissioni esprimono altresi' proposte o pareri nel merito della sospensione e della cancellazione dagli elenchi e sottopongono all'esame di abilitazione i richiedenti che vi siano stati ammessi. La Commissione di cui al punto 4 esprime inoltre pareri in merito ai ricorsi di cui all'art. 95.

5.3 Le deliberazioni delle Commissioni sono valide in presenza della meta' piu' uno dei componenti e sono adottate a maggioranza. In caso di parita' dei voti prevale il voto del presidente.

5.4. Le deliberazioni delle Commissioni sono definitive.

6. Accertamento della capacita tecnica e professionale

6.1. L'abilitazione, prevista al punto 2 lettera d), e' conseguita dal richiedente l'iscrizione con il superamento di un esame i cui contenuti sono definiti nei successivi punti 10, 11 e 12 per l'iscrizione negli elenchi degli esperti qualificati e nel punto 14 per l'iscrizione nell'elenco dei medici autorizzati.

6.2 In base all'esito del predetto esame il richiedente viene considerato "abilitato" o "non abilitato". Limitatamente agli esperti qualificati, l'abilitazione puo' essere riconosciuta per gradi inferiori a quello richiesto.

7. Modalita' per l'ammissione e lo svolgimento dell'esame di abilitazione.

7.1. Con la domanda di ammissione all'esame di abilitazione per l'iscrizione negli elenchi degli esperti qualificati e dei medici autorizzati il candidato deve dimostrare il possesso, anche nei modi e nelle forme stabilite dalla legge 4 gennaio 1968, n. 15, di tutti i requisiti previsti dal punto 2 lettere a), b) ed e) e dei titoli di studio indicati alla lettera c), nonche' di aver provveduto al pagamento della tassa d'esame, valido per una sola sessione. Alla domanda di ammissione va anche allegato l'attestato di tirocinio di cui al punto 9.3

7.2. La frequenza delle sessioni di esame e' annuale: ai predetti esami vengono ammessi i richiedenti che abbiano prodotto domanda entro il 31 dicembre del precedente anno solare.

7.3. Gli esami di abilitazione si svolgono a Roma; la relativa data e sede sono comunicate agli interessati almeno quindici giorni prima dello svolgimento delle prove stesse.

7.4. La mancata presentazione, per qualunque motivo, all'esame di abilitazione e' considerata come rinuncia.

7.5. L'esame di abilitazione per l'accertamento del possesso da parte del richiedente l'iscrizione nell'elenco degli esperti qualificati dei requisiti di preparazione, verte sui principi teorici delle materie indicate nei punti 10, 11 e 12 nonche' su argomenti concernenti l'applicazione pratica dei principi e delle tecniche di radioprotezione e dosimetria.

7.6. L'esame di cui al punto 7.5 puo' essere completato a giudizio della Commissione con l'effettuazione di prove pratiche e scritte.

7.7. L'esame di abilitazione per l'accertamento del possesso da parte del richiedente l'iscrizione nell'elenco nominativo dei medici autorizzati dei requisiti di preparazione verte sulle materie ed argomenti relativi alle attribuzioni e compiti del medico autorizzato ed indicate al successivo punto 14.

8. Iscrizione negli elenchi

8.1. Coloro che sono stati dichiarati abilitati dalle Commissioni di cui al punti 3 e 4 possono essere iscritti nei relativi elenchi previa domanda redatta su carta legge e diretta al Ministero del Lavoro- Direzione Generale Rapporti di Lavoro.

8.2. Alla domanda di cui al punto 8.1 devono essere allegati:

a) certificati in bollo dei titoli posseduti;

b) attestazione del versamento della relativa tassa di concessione governativa nella misura prevista dalle norme in corso;

c) codice fiscale.

d) marca da bollo per il rilascio del certificato di iscrizione.

9. Titoli per l'ammissione all'esame di abilitazione per l'iscrizione nell'elenco degli esperti qualificati.

9.1. Per l'accesso ai vari gradi di abilitazione previsti dall'articolo 78 sono richiesti:

a) per l'abilitazione di primo grado: - laurea o diplomi universitari (laurea breve) in fisica, o in chimica, o in chimica industriale o in ingegneria e un periodo di tirocinio di almeno 120 giorni lavorativi presso strutture che utilizzano sorgenti per le quali e' richiesta l'abilitazione di I grado e sotto la guida del relativo esperto qualificato.

b) per l'abilitazione di II grado: - laurea o diplomi universitari (laurea breve) in fisica, o in chimica, o in chimica industriale o in ingegneria, il periodo di tirocinio di cui al punto a) ed un periodo di tirocinio di almeno 120 giorni lavorativi presso strutture che utilizzano sorgenti per le quali e' richiesta l'abilitazione di II grado e sotto la guida del relativo esperto qualificato.

c) per l'abilitazione di III grado: - laurea in fisica, o in chimica o in chimica industriale o in ingegneria, i periodi di tirocinio di cui ai punti a) e b) ed un periodo di tirocinio di almeno 120 giorni lavorativi presso strutture che utilizzano acceleratori di elettroni di energia superiore a 10 MeV o acceleratori di particelle diverse dagli elettroni, o presso impianti di cui al Capo VII, sotto la guida del relativo esperto qualificato.

9.2. L'inizio del tirocinio di cui al punto 9.1 deve essere comunicato alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio, che provvede ad effettuare i necessari controlli.

9.3. L'attestazione di tirocinio deve essere rilasciata dall'esercente delle sorgenti presso le quali viene effettuato il tirocinio stesso.

9.4. Il tirocinio non e' richiesto per coloro che sono in possesso di diploma di specializzazione post-laurea in fisica sanitaria o specializzazioni equipollenti.

10. Contenuto dell'esame per l'iscrizione nel primo grado di abilitazione dell'elenco degli esperti qualificati.

10.1 Il richiedente l'iscrizione al primo grado di abilitazione deve dimostrare di possedere un'adeguata conoscenza in materia di:

- Fisica nucleare e fisica atomica di base;

- Biologia di base;

- natura e proprieta' della radiazione elettromagnetica ionizzante, modalita' di interazione con la materia;

- caratteristiche di funzionamento delle apparecchiature emittenti raggi X, parametri radioprotezionistici, carico di lavoro, barriere primarie e secondarie, loro progettazione e verifica;

- tipi e usi delle sorgenti RX : attrezzature sanitarie per diagnostica e terapia, industriali, per la ricerca scientifica (es.cristallografia).

- protezione del paziente, in particolare legislazione nazionale e comunitaria in materia di radioprotezione del paziente, incluse le disposizioni relative alle esposizioni potenziali e alle attrezzature;

- problemi specifici del controllo delle esposizioni del personale e del pubblico in ambito sanitario;

- grandezze e unita' di misura;

- rilevazione e dosimetria dei raggi X: principi teorici, teoria della cavita', metodi e strumenti di misura (incluse le incertezze e i limiti di rivelazione), loro taratura e collaudo ;

- dosimetria personale per esposizione a raggi X, dosimetri e principi di funzionamento;

- effetti biologici delle radiazioni ionizzanti; - principi fondamentali delle norme di radioprotezione (epidemiologia, ipotesi lineare degli effetti stocastici, effetti deterministici);

- principi ICRP: giustificazione, ottimizzazione, limitazione delle dosi;

- raccomandazioni/convenzioni internazionali;

- disposizioni legislative nazionali e comunitarie e normative tecniche sulla tutela contro il rischio da radiazioni ionizzanti;

- protezione della popolazione: concetto di gruppo di riferimento, calcolo di dose per tale gruppo;

- valutazione e riduzione dei rischi;

- monitoraggio delle zone classificate;

- ergonomia;

- norme operative e pianificazione per le emergenze;

- procedure di emergenza; - analisi degli infortuni passati;

- organizzazione della radioprotezione: ruolo degli esperti qualificati, cultura in materia di sicurezza (importanza del comportamento umano), abilita' a comunicare (capacita' di instillare una cultura della sicurezza negli altri), registrazione (sorgenti, dosi, eventi anomali), permessi di lavoro ed altre autorizzazioni, definizione delle zone e classificazione dei lavoratori, controlli di qualita' per sorgenti che richiedono il I grado di abilitazione, relazioni con gli esercenti.

11. Contenuto dell'esame per l'iscrizione nel secondo grado di abilitazione dell'elenco degli esperti qualificati

11.1 Il richiedente l'iscrizione al secondo grado di abilitazione deve dimostrare di possedere un'adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati al precedente punto 10. anche in materia di:

- argomenti di cui al punto 10 riferiti alle sostanze radioattive;

- rilevazione e misura dei raggi X e gamma di energia fino a 10 Mev;

- interazione delle particelle elementari cariche con la materia;

- rilevazione e misure di flusso delle particelle elementari cariche, dose assorbita;

- tipi di sorgenti: sigillate, non sigillate, acceleratori di elettroni con energia fino a 10 Mev;

- principali impieghi delle sostanze radioattive nell'industria, nella ricerca scientifica e nella medicina;

- pratiche ed interventi (inclusa la radiazione naturale, in specie il radon);

- controllo delle emissioni e impatto ambientale delle stesse;

- manipolazione di materie radioattive, progettazione di laboratori e reparti per impieghi medici, industriali e nella ricerca scientifica, contaminazione superficiale ed interna, limiti derivati, sistemi di rilevazione e misura per i singoli radioisotopi, inclusi i radionuclidi di origine naturale (in particolare radon e toron);

- dosimetria interna (inclusa la dosimetria per radionuclidi specifici, molecole complesse ecc.)

- calcolo della dose efficace per contaminazione interna, inclusa la dose da radionuclidi naturali; 

- problemi speciali di decontaminazione; - contenimento e filtrazione;

- fisiologia specifica dell'inalazione e dell'ingestione; - misure di protezione contro l'incorporazione;

- rischi legati alla produzione ed all'uso di isotopi

- uso delle sorgenti sigillate nell'industria: controllo dell'accesso in localita' periferiche, trasporto, esposizione accidentale dei lavoratori non addetti all'uso delle sorgenti, corretta manipolazione, rischi potenziali, esempi di incidenti che si sono verificati

- rischi specifici associati alla radioattivita' naturale;

- azioni di rimedio per ridurre le esposizioni nelle attivita' lavorative con le materie radioattive naturali di cui al Capo III bis;

- gestione dei rifiuti e principi per l'eliminazione degli stessi;

- trasporto di materiali radioattivi;

- cenni sulla radiazione neutronica;

- controlli di qualita' per sorgenti che richiedono il II grado di abilitazione.

12. Contenuto dell'esame per l'iscrizione nel terzo grado di abilitazione dell'elenco degli esperti qualificati.

12.1 il richiedente l'iscrizione al terzo grado di abilitazione deve dimostrare di possedere un'adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati nei precedenti punti 10 e 11, anche in materia di:

- processo e prodotti di fissione e di fusione;

- ingegneria dei reattori;

- fabbricazione del combustibile, tossicita' e problemi di misurazione associati agli elementi di alto numero atomico;

- trattamento del combustibile: chimica del processo, telemanipolazione, problemi specifici dello stoccaggio del combustibile e della gestione dei residui;

- criticita'; - misura e rilevazione dei flussi di neutroni, spettrometria, principi e strumenti di misura; - misura e rilevazione di particelle ad energia elevata;

- dosimetria dei raggi cosmici;

- dosimetria neutronica individuale, caratteristiche e modalita'

- radioprotezione nel campo dell'irradiazione neutronica, progettazione di barriere;

- caratteristiche di installazione e di funzionamento, con particolare riferimento al rischio da radiazioni ionizzanti, delle sorgenti emittenti neutroni;

- caratteristiche di installazione, autorizzazione e gestione, con riferimento al rischio da radiazioni ionizzanti, degli impianti di cui all'articolo 7.

- situazioni di emergenza nucleare.

- Controllo di qualita' per sorgenti che richiedono il III grado di abilitazione.

13. Titoli di studio per l'ammissione all'esame di abilitazione per l'iscrizione nell'elenco dei medici autorizzati. 13.1 Per l'ammissione all'esame di abilitazione per l'iscrizione nell'elenco nominativo dei medici autorizzati e' richiesto il possesso della laurea in medicina e chirurgia nonche' del titolo di medico competente ai sensi del decreto legislativo del 19 settembre 1994, n. 626.

14. Contenuto dell'esame di abilitazione per l'iscrizione nell'elenco dei medici autorizzati.

14.1 Il richiedente l'iscrizione deve dimostrare di possedere un'adeguata conoscenza dei problemi generali di prevenzione, di diagnostica precoce e di terapia, relativi alle malattie da lavoro, nonche' dei problemi particolari riguardanti la patologia, la clinica, l'igiene del lavoro, la radiobiologia e la radiopatologia, la radiotossicologia e la medicina legale connesse con l'impiego delle radiazioni ionizzanti, sia di origine artificiale che naturale. E' richiesta altresi' un'adeguata conoscenza dei problemi particolari di igiene della popolazione nei confronti dei rischi da radiazioni ionizzanti, sia di origine artificiale che naturale, e delle disposizioni legislative e regolamentari concernenti la relativa tutela. Il richiedente deve altresi' dimostrare di conoscere gli elementi essenziali della sorveglianza fisica della protezione.

15. Cancellazioni

15.1 La cancellazione dagli elenchi nominativi degli esperti qualificati e dei medici autorizzati si effettua:

a) per disposizione del Ministro del lavoro e della previdenza sociale ai sensi dell'articolo 93;

b) in caso di esercizio dell'attivita' durante i periodi di sospensione di cui all'articolo 93;

c) su domanda dell'iscritto. d) in caso di iscrizione ad un grado superiore.

Esperto Qualificato e datore di lavoro

L'Esperto qualificato è consulente obbligatorio del datore di lavoro esercente sorgenti di radiazioni ionizzanti che, ai sensi dei combinati disposti degli artt. 61, 75 e 77, del D. Lgs. 230/1995, deve, prima dell'inizio delle attività:

- acquisire da un Esperto qualificato, di cui all'art. 77, una relazione scritta contenente le valutazioni e le indicazioni di radioprotezione inerenti alle attività stesse che possono esporre a rischio radiologico e tale relazione costituisce il documento di valutazione dei rischi per gli aspetti relativi ai rischi da radiazioni ionizzanti (art. 61 comma 2 D.Lgs. n. 230/1995) e, successivamente,

- "assicurare la sorveglianza fisica per mezzo di Esperti qualificati" (art. 77 co. 1 D.Lgs. 230/1995) ed

- è tenuto a "comunicare all'Ispettorato provinciale del Lavoro competente per territorio ... i nominativi degli Esperti qualificati prescelti, allegando altresì la dichiarazione di accettazione dell'incarico" (art. 77 co. 2 D. Lgs. 230/1995), oltre che 

- a "fornire i mezzi e le informazioni, nonché ad assicurare le condizioni necessarie all'Esperto qualificato per lo svolgimento dei suoi compiti" (art. 77 co. 4 D. Lgs. 230/1995).

L'art. 77 del D.Lgs. 230/1995 stabilisce inoltre, al comma 5, che "le funzioni di Esperto qualificato non possono essere assolte dalla persona fisica del datore di lavoro né dai dirigenti che eserciscono e dirigono l'attività disciplinata né dai preposti che ad essa sovraintendono", essendo questi soggetti i destinatari degli obblighi previsti dall'art. 61 del D.Lgs. 230/1995 a tutela dei lavoratori e della popolazione, né "dagli addetti alla vigilanza".

Art. 77 D.Lgs. 230/1995

1. Il datore di lavoro deve assicurare la sorveglianza fisica per mezzo di esperti qualificati.

2. Il datore di lavoro deve comunicare all'Ispettorato provinciale del lavoro competente per territorio e, per le attivita' estrattive, anche all'ingegnere capo dell'ufficio periferico competente per territorio, i nominativi degli esperti qualificati prescelti, allegando altresi' la dichiarazione di accettazione dell'incarico.

3. E' consentito che mansioni strettamente esecutive, inerenti alla sorveglianza fisica della protezione contro le radiazioni, siano affidate dal datore di lavoro a personale non provvisto dell'abilitazione di cui all'articolo 78, scelto d'intesa con l'esperto qualificato e che operi secondo le direttive e sotto la responsabilita' dell'esperto qualificato stesso.

4. Il datore di lavoro e' tenuto a fornire i mezzi e le informazioni, nonche' ad assicurare le condizioni necessarie all'esperto qualificato per lo svolgimento dei suoi compiti.

5. Le funzioni di esperto qualificato non possono essere assolte dalla persona fisica del datore di lavoro ne' dai dirigenti che eserciscono e dirigono l'attivita' disciplinata, ne' dai preposti che ad essa sovrintendono, ne' dagli addetti alla vigilanza di cui all'articolo 59, comma 2.

Compiti ed attribuzioni Esperto Qualificato

I compiti e le attribuzioni dell'Esperto qualificato in ordine alla sorveglianza fisica dei lavoratori e della popolazione dalle sorgenti di radiazioni detenute e/utilizzate, sono dettagliati negli artt. 79, 80 ed 81 del D. Lgs. 230/1995, riguardano rispettivamente le verifiche e valutazioni preventive e periodiche, le comunicazioni al datore di lavoro, la documentazione relativa alla sorveglianza fisica della radioprotezione.

In particolare, il comma 7 dell'art. 79 include esplicitamente tra le attribuzioni dell'Esperto qualificato anche il dover "procedere alle analisi e valutazioni necessarie ai fini della sorveglianza fisica della protezione della popolazione secondo i principi di cui al Capo IX del presente decreto".

Il Capo III bis, introdotto nel D.Lgs. 230/1995 dall'art. 5 del D. Lgs. 241/2000, estende le competenze e le incombenze dell'Esperto qualificato anche alla protezione nelle "Attività lavorative con particolari sorgenti naturali di radiazioni".

L'Esperto qualificato, inoltre, e per quanto dettato dal comma 3 dell'art. 80 del D. Lgs. 230/1995, interviene nelle attività del servizio di prevenzione e protezione di cui all'art. 31 del D. Lgs. 81/2008 ed è chiamato a partecipare alle riunioni periodiche inerente la sicurezza del lavoro di cui all'art. 35 del D. Lgs. 81/2008.

Art. 79 D. Lgs. 230/1995 Attribuzioni dell'esperto qualificato

1. L'esperto qualificato, nell'esercizio della sorveglianza fisica per conto del datore di lavoro deve:

a) effettuare la valutazione di radioprotezione di cui all'articolo 61 e dare indicazioni al datore di lavoro nella attuazione dei compiti di cui al predetto articolo ad esclusione di quelli previsti alle lettere f) e h);

b) effettuare l'esame e la verifica delle attrezzature, dei dispositivi e degli strumenti di protezione, ed in particolare:

1) procedere all'esame preventivo e rilasciare il relativo benestare, dal punto di vista della sorveglianza fisica, dei progetti di installazioni che comportano rischi di esposizione, dell'ubicazione delle medesime all'interno dello stabilimento in relazione a tali rischi, nonché delle modifiche alle installazioni le quali implicano rilevanti trasformazioni delle condizioni, dell'uso o della tipologia delle sorgenti;

2) effettuare la prima verifica, dal punto di vista della sorveglianza fisica, di nuove installazioni e delle eventuali modifiche apportate alle stesse;

3) eseguire la verifica periodica dell'efficacia dei dispositivi e delle tecniche di radioprotezione;

4) effettuare la verifica periodica delle buone condizioni di funzionamento degli strumenti di misurazione;

c) effettuare una sorveglianza ambientale di radioprotezione nelle zone controllate e sorvegliate;

d) procedere alla valutazione delle dosi e delle introduzioni di radionuclidi relativamente ai lavoratori esposti;

e) assistere, nell'ambito delle proprie competenze, il datore di lavoro nell'individuazione e nell'adozione delle azioni da compiere in caso di incidente.

2. La valutazione della dose individuale per i lavoratori di categoria A derivanti da esposizioni esterne deve essere eseguita, a norma dell'art. 75, mediante uno o più apparecchi di misura individuali nonché in base ai risultati della sorveglianza ambientale di cui al comma 1, lettera c).

3. La valutazione della dose individuale per i lavoratori di categoria A derivanti da esposizioni interne deve essere eseguita in base ad idonei metodi fisici e/o radiotossicologici.

4. Qualora la valutazione individuale delle dosi con i metodi di cui ai commi 2 e 3 risulti per particolari condizioni impossibile o insufficiente, la valutazione di essa può essere effettuata sulla scorta dei risultati della sorveglianza dell'ambiente di lavoro o a partire da misurazioni individuali compiute su altri lavoratori esposti.

5. La valutazione della dose ricevuta o impegnata dai lavoratori esposti che non sono classificati in categoria A può essere eseguita sulla scorta dei risultati della sorveglianza fisica dell'ambiente di lavoro.

6. L'esperto qualificato comunica per iscritto al medico autorizzato, almeno ogni sei mesi, le valutazioni delle dosi ricevute o impegnate dai lavoratori di categoria A e con periodicità almeno annuale, al medico addetto alla sorveglianza medica, quelle relative agli altri lavoratori esposti. In caso di esposizioni accidentali o di emergenza la comunicazione delle valutazioni basate sui dati disponibili deve essere immediata e, ove necessario, tempestivamente aggiornata.

7. L'esperto qualificato deve inoltre procedere alle analisi e valutazioni necessarie ai fini della sorveglianza fisica della protezione della popolazione secondo i principi di cui al capo IX del presente decreto; in particolare deve effettuare la valutazione preventiva dell'impegno di dose derivante dall'attività e, in corso di esercizio, delle dosi ricevute o impegnate dai gruppi di riferimento della popolazione in condizioni normali, nonché la valutazione delle esposizioni in caso di incidente. A tal fine i predetti gruppi di riferimento debbono essere identificati sulla base di valutazioni ambientali, adeguate alla rilevanza dell'attività stessa, che tengano conto delle diverse vie di esposizione.

Art. 80 D. Lgs. 230/1995 Comunicazioni al datore di lavoro e relativi adempimenti

1. In base alle valutazioni relative all'entità del rischio, l'esperto qualificato indica, con apposita relazione scritta, al datore di lavoro:

a) l'individuazione e la classificazione delle zone ove sussiste rischio da radiazioni;

b) la classificazione dei lavoratori addetti, previa definizione da parte del datore di lavoro delle attività che questi debbono svolgere;

c) la frequenza delle valutazioni di cui all'articolo 79;

d) tutti i provvedimenti di cui ritenga necessaria l'adozione, al fine di assicurare la sorveglianza fisica, di cui all'art. 75, dei lavoratori esposti e della popolazione;

e) la valutazione delle dosi ricevute e impegnate, per tutti i lavoratori esposti e per gli individui dei gruppi di riferimento, con la frequenza stabilita ai sensi della lettera c).

2. Il datore di lavoro provvede ai necessari adempimenti sulla base delle indicazioni di cui al comma 1; si assicura altresì che l'esperto qualificato trasmetta al medico addetto alla sorveglianza medica i risultati delle valutazioni di cui alla lettera e) del comma 1 relative ai lavoratori esposti, con la periodicità prevista all'art. 79, comma 6.

3. Il datore di lavoro garantisce le condizioni per la collaborazione, nell'ambito delle rispettive competenze, tra l'esperto qualificato e il servizio di prevenzione e protezione di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. L'esperto qualificato e' in particolare chiamato a partecipare alle riunioni periodiche di cui all'articolo 11 del decreto legislativo predetto.

Art. 81 D. Lgs. 230/1995 Documentazione relativa alla sorveglianza fisica della protezione

1. L'esperto qualificato deve provvedere, per conto del datore di lavoro, ad istituire e tenere aggiornata la seguente documentazione:

a) la relazione di cui all'articolo 61, comma 2 e all'articolo 80, comma 1, relativa all'esame preventivo dei progetti e delle eventuali modifiche, nonché le valutazioni di cui all'articolo 79, comma 1, lettera b), n. 1 e comma 7; 

b) le valutazioni di cui all'articolo 79, comma 1, lettera c), nonché i verbali di controllo di cui allo stesso articolo, comma 1, lettera b), nn. 3) e 4); 

c) i verbali dei controlli di cui al comma 1, lettera b), n. 2), dello stesso articolo 79 e dei provvedimenti di intervento da lui adottati e prescritti, nonche' copia delle prescrizioni e delle disposizioni formulate dagli organi di vigilanza divenute esecutive; d) le schede personali sulle quali devono essere annotati i risultati delle valutazioni delle dosi individuali e delle introduzioni individuali; le dosi derivanti da eventuali esposizioni accidentali, di emergenza , da esposizioni soggette ad autorizzazione speciale o da altre modalita' di esposizione debbono essere annotati, separatamente, in ciascuna scheda; (2) e) le relazioni sulle circostanze ed i motivi inerenti alle esposizioni accidentali o di emergenza di cui all'articolo 74, comma 1, nonche' alle altre modalita' di esposizione. e-bis) i risultati della sorveglianza fisica dell'ambiente di lavoro che siano stati utilizzati per la valutazione delle dosi dei lavoratori esposti. 

2. Per i lavoratori di cui agli articoli 62 e 65 nelle schede personali devono essere annotati tutti i contributi alle esposizioni lavorative individuali con le modalita' stabilite nel provvedimento di cui al comma 6. 

3. Il datore di lavoro deve conservare:

a) per almeno cinque anni dalla data di compilazione la documentazione di cui al comma 1, lettera b);

b) sino a cinque anni dalla cessazione dell'attivita' di impresa che comporta esposizioni alle radiazioni ionizzanti la documentazione di cui al comma 1, lettere a) e c);

c) sino alla cessazione del rapporto di lavoro, o dell'attivita' dell'impresa comportante esposizione alle radiazioni ionizzanti, mantenendone successivamente copia per almeno cinque anni, la documentazione di cui al comma 1, lettere d), e) ed e-bis). 

4. Entro tre mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o dell'attivita' d'impresa comportante esposizione alle radiazioni ionizzanti la documentazione di cui al comma 1, lettere d), e) ed e-bis) va consegnata al medico addetto alla sorveglianza medica che provvede alla sua trasmissione, unitamente al documento di cui all'articolo 90, all'ISPESL, che assicurera' la loro conservazione nel rispetto dei termini previsti dall'articolo 90, comma 3. 

5. In caso di cessazione definitiva dell'attivita' di impresa, i documenti di cui al comma 1, lettere a), b) e c), sono consegnati entro sei mesi all'Ispettorato provinciale del lavoro competente per territorio che assicurera' la loro conservazione nel rispetto dei termini e delle modalita' previsti nel presente articolo.

6. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentiti l'ANPA e l'ISPESL, sono determinate le modalita' di tenuta della documentazione e sono approvati i modelli della stessa.

Relazione valutazione dei rischi radiazioni ionizzanti

La relazione di cui al comma 2 dell'art. art. 61 del D.Lgs. n. 230/1995 e le successive di aggiornamento costituiscono il documento di valutazione dei rischi per gli aspetti relativi ai rischi da radiazioni ionizzanti, rimanendo la "protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti, disciplinata unicamente dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e sue successive modificazioni", come stabilito al comma 3 dell'art. 180 del D. Lgs. 81/2008.

Art. 61 co. 2 D.Lgs. n. 230/1995

2. I datori di lavoro, prima dell'inizio delle attivita' di cui al comma 1, debbono acquisire da un esperto qualificato di cui all'art. 77 una relazione scritta contenente le valutazioni e le indicazioni di radioprotezione inerenti alle attivita' stesse. A tal fine i datori di lavoro forniscono all'esperto qualificato i dati, gli elementi e le informazioni necessarie. La relazione costituisce il documento di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per gli aspetti concernenti i rischi da radiazioni ionizzanti.



 D.Lgs. 81/2008 
Art. 180. Definizioni e campo di applicazione
...
3. La protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti è disciplinata unicamente dal D.lgs 17 marzo 1995, n. 230, e sue successive modificazioni.

Ampie sono infine le attribuzioni dell'esperto qualificato in materia della protezione dalle sorgenti naturali di radiazioni, come disciplinata dal Capo III bis del D.Lgs. 241/2000, che vanno dall'individuazione delle azioni di mitigazione in caso di superamento dei livelli di azione alla redazione della parte relativa a questa sorgente di rischio nel Documento di valutazione dei rischi.

L’Esperto qualificato, abilitato in data antecedente la pubblicazione del D. Lgs. 187/00 (07.07.2000), è anche abilitato alla esecuzione dei controlli sulla qualità degli impianti e delle attrezzature radiologiche impiegate in medicina e odontoiatria a scopo medico di cui all'art. 8 del D. Lgs. 187/2000, per quanto specificato al comma 13 dell'art. 7 dello stesso decreto.

Per tale attività corre l'obbligo di aggiornamento professionale quinquennale (a partire dal 2001), di cui al comma 10 dell'articolo 8 del D.Lgs. 187/2000:

Art. 8 "formazione continua" D.Lgs. 187/2000
con un programma in materia di radioprotezione e con la partecipazione a corsi la cui "organizzazione può essere affidata dalle autorità regionali alle associazioni e alle società scientifiche accreditate che comprendono tra le finalità, oltre alla radioprotezione, uno dei seguenti settori: radiodiagnostica, radioterapia, medicina nucleare o fisica sanitaria, relativamente all'esperto in fisica medica, e che siano maggiormente rappresentative di coloro che operano professionalmente nelle specifiche specialità; esse si avvalgono delle società scientifiche accreditate che comunque abbiano la radioprotezione del paziente tra le proprie finalità. 
La certificazione sull'esito dell'accertamento del possesso delle conoscenze delle misure di radioprotezione è rilasciata dal presidente dell'associazione o società scientifica".

________

 Direttiva 2013/59/EURATOM - del Consiglio del 5 dicembre 2013 che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom - ha come oggetto la protezione congiunta alle esposizioni delle seguenti categorie di soggetti:

- Esposizione dei lavoratori (cap. VI) (occupational exposure)
- Esposizione pazienti e individui procedura diagnostica o terapia medica (cap. VII) (medical exposure)
- Esposizione esclusi dalle esposizioni occupazionali e mediche cap. VIII) (public exposure).

Il 6 febbraio 2018 è scaduto il termine per il recepimento della Direttiva 2013/59/EURATOM, da parte dell'Italia.

Di seguito si riporta la posizione ANPEQ sul recepimento della direttiva 2013/59/Euratom

In relazione al ruolo dell’EQ/RPE e alla luce della Nuova a Direttiva 2013/59/EURATOM, l’Associazione Nazionale Professionale degli Esperti Qualificati, considerando che:

- la a Direttiva 2013/59/EURATOM stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, ed abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom;
- la Direttiva 96/29/Euratom stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti)
- la Direttiva 97/43/Euratom riguardante la protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse a esposizioni mediche e che abroga la direttiva 84/466/Euratom
- il D.Lgs 230/1995, sue modifiche ed integrazioni, definisce la figura professionale dell’esperto Qualificato.

visto:

- il programma didattico ministeriale per sostenere l’esame di abilitazione per il conseguimento del titolo di EQ (all.V del D.Lgs 230/1995 e s.m.i.) che prevede anche la conoscenza dei Controlli di Qualità relativamente alle attività radiologiche impiegate in ambito sanitario

Ritiene che:

1. Il RPE, visto come equivalente all’EQ, debba essere definito così come “la persona che possiede le cognizioni, la formazione e l'esperienza necessarie per effettuare misurazioni esami, verifiche o valutazioni di carattere fisico, tecnico o radiotossicologico sia per assicurare il corretto funzionamento dei dispositivi di protezione sia per fornire tutte le altre indicazioni e formulare provvedimenti atti a garantire la sorveglianza fisica della protezione dei lavoratori della popolazione e dell’ambiente. La sua qualificazione è riconosciuta dalla Autorità competente”. La sua competenza e professionalità deve essere riconosciuta in tutti i settori:ì medico, industriale, della ricerca, ambientale, ecc.

2. Le attribuzione del EQ devono essere definite come nel ex Articolo 79 del D.Lgs 230/95 e devono contenere le seguenti specifiche:
- La responsabilità della valutazione delle esposizioni per i lavoratori, per la popolazione e per l’ambiente deve essere di esclusiva competenza del EQ.
- la effettuazione delle misurazioni e le valutazioni della esposizione in relazione al gas radon sia in ambienti lavorativi che residenziali devono essere di competenza esclusiva dell’EQ.
- la effettuazione delle misurazioni e le valutazioni di esposizione in relazione alla presenza di NORM-TENORM devono essere di competenza esclusiva del EQ.
- Le procedure per la effettuazione delle misure e per la definizione di anomalie radiometriche nei carichi di rottami metallici, rifiuti industriali e urbani devono essere di esclusiva competenza del EQ
- L’effettuazione delle misure radiometriche sui semilavorati metalli deve essere di esclusiva competenza del EQ
- La formazione dei lavoratori sulle tematiche della radioprotezione deve essere di competenza del EQ incaricato della sorveglianza fisica.
- Le prove di assicurazione della qualità, tra cui i controlli di qualità, sulle macchine radiogene destinate alla diagnostica debbano essere di competenza del EQ (in continuità con quanto attualmente previsto in Italia dalla figura dell’EQ:
o sia gli EQ abilitati prima del 7 luglio 2001, data di entrata in vigore del D.Lgs. 187 del 26 maggio 2001 in particolare di quanto stabilito all’art.7 comma 13 o sia gli EQ ablitati successivamente, dovrebbero poter svolgere le prove di accettazione/collaudo, stato, costanza sulle apparecchiature radiologiche per radiodiagnostica medica, oltre che la radioprotezione dei lavoratori, della popolazione e dell’ambiente.)

3. Mansioni strettamente esecutive inerenti alla sorveglianza fisica della protezione contro le radiazioni possono essere affidate, dal datore di lavoro a personale dipendente, non provvisto della abilitazione di EQ, scelto di intesa con l’EQ e che operi secondo le direttive e sotto la responsabilità del EQ stesso.

4. Il percorso formativo del EQ deve comprendere uno specifico corso di studi post laurea definito e mirato alla formazione professionale nel settore della radioprotezione fornito dalle Università. Tale percorso deve essere separato da altre scuole e/o corsi di specializzazione oggi esistenti. L’accesso agli esami di abilitazione deve essere possibile solo a seguito del completamento di tale percorso formativo.
Successivamente alla abilitazione, la professionalità e le competenze dell’EQ dovranno essere garantite da un percorso di formazione continua.

5. Nella commissione di accertamento della capacità tecnica e professionale richiesta per l’iscrizione nell’elenco del EQ deve essere inserito almeno un rappresentante di ANPEQ così come, dove previste, nelle Commissioni Regionali per il Rischio da Radiazioni Ionizzanti.

Fonte: ANPEQ

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In allegato atti convegno dBA Incontri 2017 Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: valutazione e protezione alla luce della nuova normativa europea, tenutosi a  Modena, il 14 settembre 2017:  "Il punto di vista dell’Esperto Qualificato nell’applicazione della nuova direttiva in campo industriale, sanitario e di ricerca "(Luisa Biazzi (Università degli Studi di Pavia, ANPEQ))

Fonte: USL Modena

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D.Lgs. 230/1995 Radiazioni ionizzanti | Consolidato 2019

Protezione esposdizione radiazioni ionizzanti small

Il Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 230 e s.m.i. è il testo base della Protezione sanitaria dalle radiazioni ionizzanti in Italia (Radioprotezione).

Il testo consolidato 2018 del Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 230 "Radiazioni ionizzanti", tiene conto delle modifiche e abrogazioni dal 2000 a Gennaio 2018.

Disponibile il D.Lgs. 230/1995 Radiazioni ionizzanti | Consolidato 2018, direttamente dal nostro sito, in formato PDF, copiabile/stampabile riservato Abbonati Sicurezza.

Download Indice Ed. 1.1 Gennaio 2018

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USL Modena - Convegno nazionale 2017
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19° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

ID 6640 | | Visite: 4463 | Decreti Sicurezza lavoro

19° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche 

10 Agosto 2018

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto Direttoriale n. 72 del 10 Agosto 2018

Con il Decreto direttoriale n. 72 del 10 Agosto 2018, è stato adottato il diciottesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del d.i. 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Il suddetto decreto è composto da quattro articoli:

- l’articolo 1 apporta le variazioni alle iscrizioni già in possesso sulla base delle richieste pervenute nei mesi precedenti;

- l’articolo 2 proroga l’iscrizione per i soggetti che hanno regolarmente trasmesso la documentazione richiesta e per i quali la Commissione di cui al D.I. 11.04.2011 non ha potuto tempestivamente concludere la propria;

- l’articolo 3 specifica che con il medesimo decreto si adotta l’elenco aggiornato, in sostituzione di quello adottato con il precedente decreto del 22 maggio 2018;

- l’articolo 4 riporta, come di consueto, gli obblighi cui sono tenuti i soggetti abilitati.

L’elenco adottato in allegato al decreto del 10 agosto 2018 sostituisce integralmente il precedente elenco allegato al decreto direttoriale n. 51 del 22 maggio 2018.

 Fonte: MPLS

Tutti gli elenchi pubblicati

D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature

Consulta il database dei Soggetti abilitati 

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 37106 | 01 Agosto 2018

ID 6631 | | Visite: 2601 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Grave violazione del lavoratore che supera delle transenne a chiusura di un'area pericolosa

Rischio prevedibile e nessun comportamento abnorme

Penale Sent. Sez. 4 Num. 37106 Anno 2018

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: NARDIN MAURA
Data Udienza: 09/05/2018

Ritenuto in fatto 

1. Con sentenza del 5 luglio 2017 la Corte di Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto- ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto con cui G.G. e A.R.S. sono stati riconosciuti colpevoli, nelle rispettive qualità di capoturno e di capo area del reparto Tubo Longitudinale, del reato di cui all'art. 589 comma secondo cod. pen. e condannati alla pena ritenuta di giustizia, oltre al pagamento di una provvisionale per il risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile- per avere cagionato la morte di D.O., con imprudenza, negligenza ed imperizia e con la violazione di norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro ed in particolare degli artt. 34 e 374 d.p.R. 547/1955, omettendo di adottare la macchina Walking Beam di dispositivo di blocco, collegato con gli organi di messa in moto e di dotare l'area circostante il medesimo macchinario di un sistema di barderamento metallico che presentasse requisiti di resistenza ed idoneità ad impedire l'accesso diretto.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore, affidandolo a due motivi.
3. Con il primo fanno valere, ex art. 606, primo comma, lett.re b) ed e) la violazione della legge penale, con riferimento agli artt. 34 e 374 d.P.R. 547/1955 ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Rilevano che i giudici del merito hanno fondato la loro decisione esclusivamente sulle dichiarazioni rese dall'ispettore del lavoro S., trascurando quanto rilevato dei tecnici dello Spresal, G. e DP., nonché dei testi OMISSIS, la cui corretta considerazione avrebbe consentito di accertare la responsabilità esclusiva dell'D.O. nella causazione dell'evento, configurandosi la sua condotta come un'azione eccentrica ed abnorme del lavoratore, tale da escludere la responsabilità degli imputati che avevano correttamente posto in essere le misure di prevenzione sufficienti a neutralizzare il rischio. Osservano che dalla relazione dei tecnici Spresal, intervenuti subito dopo il sinistro, era emerso: che la zona in cui si verificò l'evento era delimitata da pesanti transenne e da idonea segnaletica di divieto d'accesso; che per raggiungere la postazione di lavoro di addetto al CUT OFF l'D.O. avrebbe dovuto servirsi delle apposite vie di camminamento costituite da passerelle sopraelevate, come peraltro fatto proprio nell'occasione dal collega di lavoro D'A.; che nessun ordine era contrario stato dato all'operaio deceduto che lo autorizzasse a contravvenire al divieto di accesso all'area; che durante le prove svolte successivamente al sinistro sull'impianto, il macchinario non aveva mostrato alcuna anomalia che potesse aver indotto l'D.O. ad intervenire manualmente sul medesimo. Assumono che, nondimeno, la corte territoriale disattendendo l'informativa Spresal acquisita con il consenso delle parti in dibattimento, ha fondato la decisione solo sugli accertamenti eseguiti dall'ispettore del lavoro S., incaricato dal pubblico ministero, ignorando anche le dichiarazioni rese in sede di s.i.t dai lavoratori D'A. e CH. (mai escussi in dibattimento, così come il L., altro collega di lavoro) secondo i quali le procedure operative, in caso di necessità di intervento sull'impianto, prevedevano la chiamata del manutentore elettrico Sicché l'asserito tentativo di ripristinare manualmente la macchina Walking Beam da parte dell'D.O. era del tutto arbitrario e posto in essere da un soggetto consapevole dei rischi connessi ad un simile intervento, essendo stato riconosciuto dalla stessa sentenza che rispetto a quei rischi l'operaio era stato adeguatamente formato ed informato. Ed infatti, l'D.O. nonostante la transennatura che chiudeva l'area, apriva un varco per accedere all'interno della medesima, indifferente ai divieti. D'altro canto, non solo non era stata accertata in giudizio una prassi secondo la quale gli operai si infilavano fra le transenne per giungere al macchinario, per operare direttamente sul medesimo in caso di malfunzionamento, senza chiamare il manutentore, provvedendo a sbloccare l'apparecchiatura con un oggetto o ripiegandosi in avanti, in modo da indurre il sensore in errore al fine di riavviare il sistema. Ma, neppure è stato accertato che l'D.O. avesse superato le barriere per svolgere una simile attività. Invero, dalla ricostruzione dei fatti, era emersa un'altra versione secondo cui l'D.O., dopo avere, insieme con il D'A. aiutato il collega CH., addetto alla smussatrice, in difficoltà nell'imbarcare un tubo da spostare, attraversava l'area interdetta al fine di tornare alla propria postazione lavorativa, mentre il D'A. seguiva il percorso corretto, sopra la passerella. Solo a causa dell'esorbitante condotta tenuta il lavoratore aveva potuto rimanere incastrato col petto e con una spalla tra la sella del Walking Beam ed un tubo. Peraltro, secondo la versione di un altro operaio riferita all'ispettore S., il sinistro avrebbe potuto verificarsi anche per la condotta di un carropontista che collocò un tubo senza avvedersi della presenza a ridosso dell'D.O.. Dunque, il percorso motivazionale appare esprimersi in violazione del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio, anche in considerazione del fatto che l'impianto, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, era dotato dei requisiti di resistenza ed idoneità previsti dall'art. 374 d.P.R. 547/1955, mentre il blocco degli apparecchi di protezione di cui all'art. 73 d.P.R. cit. non poteva essere considerato requisito necessario nel caso in esame.
4. Con il secondo motivo lamentano ex art. 506, comma I^ lett.re b) ed e) la violazione di legge penale in relazione agli artt. 40, comma 2A e 589 comma 2A cod. pen., per non avere la sentenza tenuto in considerazione che laddove il comportamento del lavoratore si riveli abnorme, tanto da essere al di fuori dalla possibilità di controllo dei garanti, deve ritenersi escluso il nesso causale fra la condotta di questi ultimi, ancorché consistente nella violazione di normative antinfortunistiche, costituendo il comportamento del lavoratore rischio eccentrico ed esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia e, pertanto, causa da sola sufficiente al prodursi dell'evento medesimo.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
2. I motivi possono essere trattati unitamente in quanto strettamente connessi e non possono trovare accoglimento.
3. Va premesso che nelle attività produttive le regole cautelari sono prevalentemente codificate in modo analitico, essendo previste normativamente sia prescrizioni specifiche, che sistemi e moduli organizzativi delle lavorazioni tali da assicurare la tutela dei lavoratori coinvolti, la cui salute è considerata vero e proprio limite all'attività produttiva, alla sua utilità sociale, nonché alla produzione del relativo profitto. Ciò comporta che nelle attività pericolose consentite, laddove sia impossibile eliminare il pericolo, l'obbligo di evitare l'evento si rafforza perché la sua prevedibilità è intrinseca al tipo di attività svolta, con la conseguenza che la prudenza, la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee ad evitare (o diminuire) il rischio debbono essere maggiori e non possono essere eludere l'osservanza delle norme specificamente poste a tutela della sua evitabilità. Mentre questa andrà comunque valutata in concreto, avuto riguardo, dal punto di vista controfattuale, all'inevitabile prodursi dell'evento anche in presenza dell'possono alla campagna osservanza scrupolosa delle regole di cautela destinate ad evitarlo.
4. Con entrambe le doglianze si fa valere, In primo luogo, il vizio di travisamento della prova, perché, si sostiene: che la Corte avrebbe ricostruito l'accaduto solo facendo riferimento alle dichiarazioni del teste S., Ispettore del lavoro, incaricato dal pubblico ministero di approfondimenti di indagine, senza porre a confronto siffatte risultanze con quanto emerso sia dall'informativa Spresal, redatta immediatamente dopo l'infortunio, con cui era stato chiarito che l'area era protetta da barriere; che il divieto di accedervi era adeguatamente segnalato; che era stato predisposto un apposito percorso con un camminamento sopraelevato; che non era stata rilevata alcuna anomalia dell'impianto che potesse indurre ad operarvi manualmente e che era stata predisposta una procedura specifica di intervento, a mezzo di manutentore incaricato, per il caso di necessità di intervento. Non solo ma la decisione ometteva di fare riferimento alle dichiarazioni degli altri lavoratori, sentiti in sede di sommarie informazioni testimoniali- non escussi come testi nel giudizio abbreviato- incompatibili con la versione dei fatti fatta propria dal giudice di appello. Da siffatto travisamento del quadro probatorio deriverebbe l'omessa valutazione come abnorme del comportamento del lavoratore deceduto e quindi l'affermazione di responsabilità degli imputati, nonostante l'interruzione del nesso causale provocata dal rischio eccentrico da questi posto in essere, costituente evidente decorso causale alternativo dell'evento.
5. Ora, va sottolineato che la motivazione della Corte, che chiarisce di condividere l'accertamento contenuto nella sentenza di primo grado, esamina- contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti- tutte le emergenze istruttorie, dando atto che i lavoratori, dapprima sentiti dagli incaricati della Spresal nell'immediatezza, e quindi successivamente dall'ispettore del lavoro S., da questo sollecitati hanno fornito versioni più analitiche. Così, per esempio, la sentenza dà atto che il D'A., confermò al S. che il giorno del sinistro l'D.O., lungi dal passare nell'area interdetta, per tornare al posto di lavoro, vi si era introdotto proprio allo scopo di sbloccare la macchina, intervenendo manualmente sui sensori, mentre si era limitato a dire ai tecnici dello Spresal che la zona in questione veniva utilizzata per il transito. Parimenti il CH., addetto ad altro macchinario, aveva confermato al S. che l'apparecchiatura presentava problemi di funzionamento, anche durante il funzionamento automatico, mentre il D'A. aveva riferito di avere imparato come fare l'intervento manuale sui sensori proprio vedendolo fare ad altri. Egualmente la sentenza argomenta sull'inverosimiglianza della versione alternativa del mero passaggio dell'D.O. nell'area per ritornare alla propria postazione di lavoro, avuto riguardo al fatto che il camminamento protetto si trovava proprio accanto alla zona vietata, il che rendeva incongruo l'attraversamento della via a rulli di un macchinario pericoloso ed in movimento solo per raggiungere in un tempo più breve la propria postazione di lavoro. Ma, la Corte territoriale, ha esaminato autonomamente anche il confronto, svoltosi nel giudizio di primo grado, a seguito del contrasto fra la versione fornita dai tecnici dello Spresal sull'idoneità della transennatura amovibile ad evitare l'ingresso e sulla presenza di varchi fra le transenne e la ricostruzione del S., rilevando che mentre i primi avevano positivamente riferito in ordine alla conformità delle transenne alla normativa in materia di attrezzature sui luoghi di lavoro, negando la presenza di varchi, segnalati però dalle fotografie scattate, il S. aveva ritenuto che la transennatura benché solida pesante e regolamentare per la tipologia realizzata, presentasse, tuttavia, varchi da cui era possibile introdursi nell'area a rischio. La Corte, sul punto, è pervenuta alla medesima conclusione cui era giunto il Tribunale affermando che nonostante le transenne fossero di altezza adeguata e sufficientemente pesanti, esse non erano collegate a dispositivi di blocco e potevano pertanto essere superate, dai varchi presenti.
6. L'accurata analisi compiuta dalla sentenza impugnata in relazione a tutte le prove raccolte in giudizio, consente di escludere il lamentato vizio di travisamento della prova, che si risolve nella pretesa di una diversa valutazione del quadro probatorio posto a fondamento della pronuncia di responsabilità degli imputati. Il ricorso, peraltro, appare sotto questo profilo generico perché, pur rinviando agli allegati verbali di udienza ed alla documentazione acquisita agli atti del dibattimento, non indica con precisioni quali siano le dichiarazioni pretermesse o gravemente fraintese.
7. Nondimeno, come chiarito in plurime occasioni, i vizi di cui all'art. 606, comma 1A lett. e) cod. proc. pen., qualora ineriscano il travisamento della prova, devono essere tali da risultare percepibili ictu oculi, sicché il sindacato di legittimità è limitato solo alle ipotesi che si rivelino alla semplice lettura del provvedimento in modo tanto macroscopico da rendere l'illogicità e la contraddittorietà dell'argomentazione giustificativa del provvedimento immediatamente evidenti. Restano escluse, al contrario, non solo le minime incongruenze, ma anche considerazioni e deduzioni in ordine alla mera e diversa ricostruzione dei fatti difensive, purché la motivazione svolga in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). Non è invece consentita una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. VI, sentenza n. 27429 del 4 luglio 2006, Rv. n. 234559; Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, Rv.. n. 253099).
8. Altro secondo principio riguarda la rilevabilità del vizio del travisamento della prova in ipotesi di c.d. "doppia conforme". Questa Sezione ha osservato, in molteplici occasioni che "in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
9. Sicché "in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice" (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 24363601; conformi: Sez. 2, Sentenza n. 47035 del 03/10/2013 Ud. (dep. 26/11/2013) Rv. 257499; Sez. 4, Sentenza n. 5615 del 13/11/2013 Ud. (dep. 04/02/2014) Rv. 258432; Sez. 4, Sentenza n. 4060 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014) Rv. 258438; Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016 Ud. (dep. 20/02/2017) Rv. 269217).
10. Al contrario, i vizi della motivazione fatti valere attengono, come si è visto, alle modalità concrete della valutazione del quadro probatorio e si risolvono nella mera indicazione di parametri diversi ed alternativi a quelli posti dal giudice a fondamento della propria decisione.
11. L'altro profilo, richiamato in entrambe le censure, riguarda la qualificazione come abnorme del comportamento del lavoratore, la cui condotta, secondo i ricorrenti, attivando un rischio eccentrico ed esorbitante dalla sfera di rischio governata dai soggetti titolari della posizione di garanzia, avrebbe costituito causa da sola sufficiente al prodursi dell'evento.
12. Sul punto la sentenza d'appello, considerata la condotta omissiva delle necessarie cautele da parte dei due imputati, consistita nel non apprestare un sistema di transennatura che impedisse l'ingresso nell'area o comunque un dispositivo che impedisse il funzionamento del macchinario, bloccandone il movimento al momento dell'ingresso nell'area interdetta, ha osservato che le norme cautelari sono poste anche in funzione di eventuali condotte imprudenti dei lavoratori e che la predisposizione di dette cautele da parte dei titolari della posizione di garanzia avrebbe in questo specifico caso evitato l'evento.
13. Anche in questo caso, la motivazione, seppur succinta, è adeguata e scevra da qualsivoglia incoerenza.
14. Ed invero "Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro. (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 - dep. 14/02/2018, Bozzi, Rv. 27222201; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016 Ud. (dep. 27/03/2017 ) Rv. 269603; Sez. 4, Sentenza n. 16397 del 05/03/2015 Ud. (dep. 20/04/2015 ) Rv. 263386).
15. In alcun modo, dunque, può ritenersi abnorme ed eccentrico od addirittura estraneo alle mansioni affidate il comportamento del lavoratore che superando delle transenne apposte a chiusura di un'area pericolosa, rispetto alla quale è interdetto il transito, ponga in essere proprio quell'azione paventata, per evitare la quale la tutela viene predisposta. Siffatto comportamento, infatti, costituisce proprio il rischio tipico per cui viene introdotta la prevenzione concreta, così come rischio tipico è l'azione dell'operatore che, anziché operare a macchina ferma, o chiamare l'addetto, manovri manualmente su un'apparecchiatura al fine di bloccarla o di sbloccarla, anche ponendo in essere azioni gravemente imprudenti e per evitare le quali ha ricevuto l'opportuna formazione ed informazione. Si tratta, invero, di prevedibili, seppur gravi, violazioni delle norme di sicurezza da parte del lavoratore interessato.
16. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 9/5/2018

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 37106 Anno 2018.pdf
 
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Linee guida PI Locali di Pubblico Spettacolo VVF

ID 6611 | | Visite: 16791 | Prevenzione Incendi

 Linee guida PI Manifestazioni pubblico spettacolo

Linee guida Prevenzione Incendi Locali di Pubblico Spettacolo VVF

Edizione 2.1/2017

Indicazioni Procedurali e di Prevenzione Incendi per i Locali di Pubblico Spettacolo

Le norme tecniche ed i vari chiarimenti emessi nel corso del tempo hanno portato ad una definizione di “locale di pubblico spettacolo” non sempre univoca e di immediata identificazione e ad interpretazioni procedurali disomogenee, in particolare in occasione delle manifestazioni temporanee dove si riscontrano una gran varietà di situazioni diverse. Si è pertanto ritenuto necessario realizzare il presente documento - in aggiornamento della precedente versione del 2012 - con lo scopo di rendere più chiara l’individuazione delle attività da considerarsi di pubblico spettacolo ed univoca l’interpretazione delle procedure, al fine di rendere uniforme l’attività di controllo da parte del personale del Comando dei Vigili del Fuoco, delle Commissioni Locali di Vigilanza dei Locali di Pubblico Spettacolo e delle Amministrazioni Comunali competenti tramite i propri organi (Polizia Locale, Uffici Commercio e Uffici Tecnici).

Sono stati identificati i locali e le attività da considerarsi di pubblico spettacolo e quindi rientranti nel potere di controllo della Commissione di Vigilanza dei Locali di Pubblico Spettacolo ai sensi dell’art. 80 del TULPS (Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773). E’ riportata una sintesi della normativa procedurale e tecnica aggiornata con i più recenti chiarimenti forniti dal Ministero dell’Interno.

Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773
...
Art. 80.
L'autorita' di pubblica sicurezza non puo' concedere la licenza per l'apertura di un teatro o di un luogo di pubblico spettacolo, prima di aver fatto verificare da una commissione tecnica la solidita' e la sicurezza dell'edificio e l'esistenza di uscite pienamente adatte a sgombrarlo prontamente nel caso di incendio. Le spese dell'ispezione e quelle per i servizi di prevenzione contro gli incendi sono a carico di chi domanda la licenza.

E’ elencata, suddivisa per tipologia di attività, la documentazione da presentare per l’esame progetto e per il successivo sopralluogo della Commissione. Sono stati inoltre realizzati degli schemi grafici esemplificativi al fine di rendere immediatamente comprensibili le caratteristiche che devono avere le installazioni temporanee.

Si è ritenuto utile, infine, riportare alcune linee guida per la realizzazione di allestimenti per feste paesane o attività similari dove non sono presenti attività di pubblico spettacolo e per le quali non è previsto il controllo delle Commissioni di Vigilanza. Si precisa che dal presente documento restano escluse norme ed indicazioni in materia sanitaria, di impatto acustico, di sicurezza e igiene sugli ambienti di lavoro, di viabilità, ecc, che sono in capo ai rispettivi Enti di competenza e Organi di controllo.
_______

INDICE
Definizione di locale di pubblico spettacolo
Le attività ed i locali che non rientrano nella definizione di pubblico spettacolo
Manifestazioni con presenza di equidi
Sfilate di carri allegorici
La Commissione Comunale di Vigilanza dei Locali di Pubblico Spettacolo
Limiti della Commissione Comunale di Vigilanza
Manifestazioni periodiche ripetitive
Manifestazioni con numero di persone inferiore a 200
Normativa tecnica di riferimento
Vigilanza Antincendio
Personale addetto antincendio
Voltura per cambio di titolarità
Modifiche alle attività

Allegato 1
Documentazione da produrre alla C.V.L.P.S. per esame progetto e per il sopralluogo
A) Attività di pubblico spettacolo a carattere permanente
B) Impianti sportivi
C) Manifestazioni ed attività a carattere temporaneo all’aperto
D) Manifestazioni ed attività a carattere temporaneo “teatri tenda” e simili
E) Manifestazioni ed attività a carattere temporaneo “circhi-spettacoli viaggianti”

Allegato 2
Sintesi delle misure tecniche per l’installazione di strutture per manifestazioni temporanee di pubblico spettacolo
Elenco sintetico delle misure tecniche
Schemi esemplificativi

Allegato 3
Linee guida per l’installazione delle attività di spettacolo viaggiante

Allegato 4
Linee guida per l’installazione di strutture per le sagre e feste paesane e manifestazioni analoghe in assenza di attività di pubblico spettacolo

Fonte VVF VI

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Allegato riservato Indicazioni per i Locali di Pubblico Spettacolo VVF Vicenza.pdf
VVF 2017
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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 36735 | 31 Luglio 2018

ID 6598 | | Visite: 2577 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Incendio durante le operazioni di carico di una cisterna

Responsabilità del dipendente che ha assunto il compito di sovrintendere a tale attività

Penale Sent. Sez. 4 Num. 36735 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 27/04/2018

Ritenuto in fatto 

1. Con sentenza emessa in data 30/10/2013, la Corte di appello di Firenze, ha confermato la sentenza del G.u.p. Tribunale di Firenze con cui N.S. è stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 449 cod. pen. e condannato alla pena di anni uno di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
All'imputato era contestato di avere provocato un incendio colposo nello stabilimento AIR LIQUIDE SERVICE S.r.l. nel corso delle operazioni di carico di una cisterna contenente residui di gas propano e propilene, che era stata sollevata a mezzo di una gru per essere caricata su un autotreno di proprietà della ditta IOSSA TRASPORTI s.n.c.
A causa di un'accidentale rottura del gruppo valvolare del serbatoio, nel corso delle operazioni di carico, si determinava una fuoriuscita di gas che, a seguito dell'innesco determinato dal motore del camion in moto, si incendiava, con propagazione delle fiamme all'autotreno, ad un camion Mercedes, all'area sottostante due tettoie ed alla porzione di un confinante immobile appartenente alla ditta Cavalli.
I profili di colpa ravvisati a carico del N.S., operaio della ditta Air Liquide Service, erano individuati nella circostanza di avere consentito l'ingresso nello stabilimento dell'autotreno privo del necessario dispositivo di sicurezza antincendio; di avere provveduto a fare caricare la cisterna sull'autocarro senza essere sicuro che non contenesse residui di gas.
La Corte di appello, pure escludendo che si fosse attivato l'allarme di segnalazione della presenza di gas all'interno della cisterna (circostanza contestata nella imputazione, ma non risultata accertata), ha ritenuto di condividere la pronuncia di responsabilità emessa a carico del ricorrente, affermando che il N.S. aveva assolto al compito affidatogli con negligenza e imprudenza. Nella sentenza si afferma che il ricorrente, che aveva avuto il compito di sovrintendere all'attività di prelievo e di carico sugli automezzi dei serbatoi non bonificati, avrebbe dovuto adoperare tutte le precauzioni necessarie per l'esecuzione di tale attività in condizioni di sicurezza, fino al punto di fermare i lavori di carico in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa. La Corte territoriale ha altresì evidenziato che il ricorrente, oltre ad avere consentito questa attività, durante le operazioni di carico si era allontanato per raggiungere gli uffici.
2. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo dei propri difensori che censuravano la decisione del giudice di appello, proponendo i seguenti motivi di ricorso.
I motivo: vizio di motivazione. La difesa contesta che il N.S. sia stato investito del compito di sovrintendere alle operazioni di carico dei serbatoi. Il dipendente si era limitato ad eseguire gli ordini che gli erano stati impartiti dal superiore L.. Nessuna menzione viene fatta in sentenza delle numerose risultanze processuali citate nell'atto di appello da cui si evincerebbe la natura limitata dei poteri di cui disponeva II N.S..
II motivo: vizio di motivazione con riferimento agli aspetti riguardanti la prova della consapevolezza da parte del N.S. della presenza di residui di gas all'interno della cisterna.
III motivo: vizio di motivazione con riferimento alla incidenza sul verificarsi dei fatti delle carenze organizzative ed antinfortunistiche riscontrate nella impresa.

Considerato in diritto

1. Deve preliminarmente rilevarsi come il reato ascritto al ricorrente sia estinto per intervenuta prescrizione, essendo decorso il termine massimo di anni sette e mesi sei dalla data della sua consumazione. Esso è riconducibile, nell'ambito della previsione normativa di cui all'alt. 449 cod. pen., alla ipotesi dell'incendio: la contestazione come formulata e la motivazione della pronuncia della Corte di appello, di conferma della responsabilità del ricorrente, sono incentrate sull'addebito mosso al N.S. di avere cagionato per colpa un incendio all'Interno dello stabilimento in cui il dipendente prestava servizio, con propagazione delle Fiamme a veicoli e strutture ivi esistenti.
Tale precisazione è necessaria per comprendere il regime della prescrizione applicabile al caso in esame. E' noto come, in seguito alla introduzione della legge 4 dicembre 2005, n. 251, la disciplina della prescrizione dei reati sia stata profondamente innovata. La legge ha stabilito che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale normativamente prevista e, comunque, ad un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto ed a quattro anni se si tratta di contravvenzione. Il legislatore della novella ha ritenuto comunque di dover introdurre una eccezione alla regola generale, prevedendo all'art. 157, comma 6, cod. proc. pen., il raddoppio dei termini di prescrizione per alcuni reati considerati, come si evince dai lavori preparatori, di particolare allarme sociale e di complesso accertamento, tra i quali figurano i delitti colposi di danno di cui all'art. 449 cod. pen.
Tuttavia, sulla specifica ipotesi dell'incendio colposo, è intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza n. 143 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157, sesto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede che i termini di cui ai precedenti commi del medesimo articolo siano raddoppiati per il reato di incendio colposo, ai sensi dell’art. 449, in riferimento all’art. 423 cod. pen.
La Corte Costituzionale, a fondamento della decisione, ha posto in evidenzia che la disciplina introdotta dall'art. 157, comma sesto, cod. pen., costituisce una palese anomalia nell'ambito del sistema, risultando il termine prescrizionale per il delitto di incendio realizzato in forma colposa addirittura superiore rispetto alla corrispondente ipotesi dolosa.
Pertanto, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale, il termine ordinario di prescrizione del reato di incendio contemplato dall'alt. 449 cod. pen., punito nel massimo con una pena di anni cinque di reclusione è, secondo la disciplina generale, di anni sei, termine suscettibile di estendersi nel massimo ad anni sette e mesi sei ove siano considerati gli atti interruttivi.
In virtù di quanto precede, in assenza di cause di sospensione della prescrizione, non rilevabili dalla lettura degli atti, il reato in contestazione risulta estinto alla data del 18 ottobre 2015 (epoca successiva alla pronuncia d'appello).
2. La estinzione del reato per prescrizione è rilevabile d'ufficio anche nel giudizio di legittimità. Tuttavia, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice o dalla Corte d'appello, in seguito a costituzione di parte civile nel processo, è preciso obbligo del giudice, anche di legittimità, secondo il disposto dell’art. 578, cod. proc. pen., esaminare il fondamento dell’azione civile e verificare, senza alcun limite, l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno la condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunciate nei precedenti gradi.
Venendo quindi alle doglianze difensive, occorre rilevare come il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto, ha sostanzialmente riproposto le medesime argomentazioni che aveva dedotto innanzi al giudice di appello.
Il primo motivo di ricorso risulta infondato. Ivi la difesa deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata affermando che la Corte territoriale ha erroneamente attribuito al N.S. mansioni di coordinamento dell'attività di caricamento dei serbatoi. La difesa oppone alla ricostruzione offerta dai giudici la circostanza che l'imputato faceva semplicemente parte di una squadra di pronto intervento addetta alla manutenzione del serbatoi, operante alle dipendenze di L.. Nella disamina dei fatti ripercorre nel dettaglio il contenuto delle dichiarazioni rese da M., segretaria dell'azienda che, nella prospettazione difensiva, dovrebbero valere ad escludere un qualunque ruolo dirigenziale in capo al ricorrente.
Ebbene, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente, più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945). La Corte regolatrice ha più volte ribadito che anche dopo la modifica dell'art.606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo preclusa, al giudice di legittimità, la semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181).
Alla luce di tale necessaria premessa, è sufficiente evidenziare, in ordine al primo motivo di ricorso, che la sentenza impugnata ed anche quella conforme di primo grado (che insieme costituiscono un unico corpo motivazionale) fanno chiaro riferimento ad una pluralità di fonti probatorie testimoniali dalle quali si desume in modo evidente che, all'atto dell'incidente, il N.S. agiva impartendo ordini sulle modalità operative dell'attività ed organizzando le operazioni di carico dei serbatoi.
Da tale circostanza i giudici di merito hanno correttamente desunto, anche in base al principio di effettività, che il N.S., sia pure in attuazione delle direttive impartitegli dal datore di lavoro, aveva assunto l'incarico di organizzare l'attività di caricamento dei serbatoi, rivestendo, in relazione a tali operazioni, un ruolo di garanzia ai fini della prevenzione di eventuali rischi.
Il secondo motivo di ricorso risulta parimenti infondato. La difesa sostiene che i giudici di merito non abbiano fornito adeguata motivazione in ordine all'aspetto riguardante la consapevolezza, da parte del ricorrente, della presenza di gas all'interno dei serbatoi. Ha poi evidenziato che non ha trovato nessun riscontro in atti la circostanza che si fosse attivato l'allarme collegato all'apparato di sollevamento della gru.
Sul punto la Corte territoriale ha correttamente osservato che il N.S., essendo stato investito del compito di sovrintendere alle operazioni di carico, avrebbe dovuto assumere, prima e durante il loro svolgimento, tutte le precauzioni necessarie al fine di scongiurare eventuali incidenti. Tale passaggio significativamente evidenzia che era preciso compito del ricorrente accertarsi, prima di avviare le procedure di carico, delle condizioni dei serbatoi e di verificare la eventuale presenza di gas al loro interno. Peraltro la Corte territoriale ha sottolineato che la mancata bonifica di tali serbatoi era risultante già dalle fatture.
Il terzo motivo di ricorso, riveste carattere di eccentricità rispetto al thema decldendum. La lamentata assoluzione di altri coimputati e gli evidenziati passaggi della sentenza impugnata in cui si sottolineano carenze d'indagine circa le cautele adottate all'Interno dell'impresa non sono suscettibili di interferire sull'accertata condotta colposa del ricorrente.
3. Pertanto si annulla la sentenza impugnata agli effetti penali per estinzione del reato per prescrizione. Si rigetta il ricorso del N.S. agli effetti civili con condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla costituita parte civile che si liquidano in complessivi euro 2500,00 oltre accessori come per legge.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata agli effetti penali, limitatamente all'imputato N.S. perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso del N.S. agii effetti civili e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla costituita parte civile, che liquida in complessivi euro duemilacinquecento oltre ad accessori come per legge.
In Roma, così deciso il 27 aprile 2018

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Circolare Prot. n. 1129/MOT4 del 30 aprile 2002

ID 6590 | | Visite: 2597 | Circolari Sicurezza lavoro

Circolare Prot. n. 1129/MOT4 del 30 aprile 2002

Roma, 30 aprile 2002

Oggetto: D.P.R. n. 360/2001 e circolare prot. n. 211/404 del 18 gennaio 2002. Ponti sollevatori.

Si fa riferimento al D.P.R. 5 giugno 2001, n. 360 per fornire, a parziale modifica ed integrazione di quanto già rappresentato con circolare prot. n. 211/404 del 18 gennaio 2002, le seguenti precisazioni.

1) Condizione necessaria ai fini dell'accettazione di un apparecchio di sollevamento per veicoli a due ruote è la marcatura CE con la quale il costruttore dichiara formalmente, sotto la propria responsabilità, la rispondenza del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle direttive CEE in vigore.

Per effetto della predetta norma il controllo tecnico sulla idoneità della attrezzatura, propedeutico al rilascio della autorizzazione di cui al citato art. 239 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada, così come successivamente modificato ed integrato, non terrà conto degli specifici requisiti di sicurezza previsti alla lettera e), punti 2, 3, 4 dell'art. 3 del D.P.R. n. 360 del 5 giugno 2001, essendo quelli i requisiti essenziali di sicurezza già coperti dalla dichiarazione CE di conformità. Restano ferme le competenze in materia di sicurezza sugli ambienti di lavoro delle ASL, con particolare riguardo alla installazione ed all'uso delle attrezzature di lavoro.
...
segue in allegato

Nuovo DM 10 Marzo 1998: bozza Luglio 2018

ID 6559 | | Visite: 27644 | News Prevenzioni Incendi

Bozza nuovo dm 10 marzo 1998

Nuovo DM 10 Marzo 1998: Pubblicato il Decreto 1 settembre 2021 / Nuovo Decreto controllo PI

Update 04.10.2021: Pubblicato il Decreto 2 settembre 2021 / Nuovo Decreto Gestione sicurezza Antincendio (Decreto GSA)

[box-warning]Update 04.10.2021

Pubblicato il Decreto 2 settembre 2021 / Nuovo Decreto Gestione sicurezza Antincendio (Decreto GSA)

Criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, ai sensi dell'articolo 46, comma 3, lettera a), punto 4 e lettera b) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. (GU n.237 del 04.10.2021)

Entrata in vigore: 04.10.2022[/box-warning]

Update 25.09.2021

Pubblicato il Decreto 1 settembre 2021 / Nuovo Decreto controllo PI

Criteri generali per il controllo e la manutenzione degli impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio, ai sensi dell'articolo 46, comma 3, lettera a), punto 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. (GU n.230 del 25.09.2021)

Entrata in vigore: 25.09.2022

Update Gennaio 2019

Disponibile nuova Bozza DM 10 marzo 1998 Gennaio 2019

In allegato Nota introduttiva e Bozza di decreto interministeriale “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro ai sensi dell’art.46, comma 3, del dlg.81/2008

Versione approvata dal CCTS il 10 luglio 2018.

1. Nota introduttiva alla bozza di decreto interministeriale “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro ai sensi dell’art.46, comma 3, del dlg.81/2008”.
2. Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro ai sensi dell’art.46, comma 3, del dlg.81/2008.

1. Nota introduttiva

L’elaborato, predisposto da un apposito gruppo di lavoro, presenta un’articolazione simile a quella del DM 10/3/1998, costituita da un decreto e da 10 allegati. I contenuti della bozza sono sostanzialmente analoghi a quelli del DM 10/3/1998 per gli aspetti di valutazione del rischio di incendio, di individuazione delle misure di prevenzione, di controllo e manutenzione (in cui è stato aggiunto l’obbligo di registrazione dei controlli), e di pianificazione delle emergenze.

La bozza di decreto presenta alcuni aspetti innovativi rispetto al DM 10/3/1998 ad oggi vigente:

- Il decreto si applicherà a tutti i luoghi di lavoro, inclusi quelli che rientrano tra le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi. Sono presenti specifiche disposizioni per i diversi luoghi di lavoro, che sono classificati in quattro gruppi (P1, P2, P3, P4) sia sulla base dell’assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi (attività soggette – non soggette) e sia della presenza di regole tecniche cogenti (attività normate – non normate). Dalla classificazione secondo tali criteri discende l’applicabilità degli allegati, desumibile dalla tabella 1.2 dell’allegato 1, di seguito riportata.

Bozza nuovo dm 10 marzo 1998   1
Tabella 1.2 

In fase di applicazione del decreto molte delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi attualmente e tradizionalmente inserite tra le “non normate” rientreranno tra quelle “normate”, con notevole semplificazioni, in quanto per tutte le attività normate la bozza di decreto in oggetto indica il principio generale che “Il rispetto della regola tecnica di prevenzione incendi applicabile all’attività garantisce, in generale, il raggiungimento di un adeguato livello di sicurezza nei confronti del rischio incendio.”

Per raggiungere tale obiettivo per le attività soggette incluse nel campo di applicazione del DM 3/8/2015 si farà riferimento al decreto medesimo.

A. La bozza di decreto conferma l’attuale sistema di formazione degli addetti alla lotta antincendio e alla gestione dell’emergenza, introducendo la periodicità dell’aggiornamento (quinquennale) e i programmi per l’aggiornamento.

B. La bozza di decreto introduce i requisiti dei soggetti formatori dei docenti dei corsi di formazione ed aggiornamento degli addetti antincendio, prevedendo specifici requisiti culturali e formativi, e facendo salva la qualificazione di coloro che già hanno operato come formatori in materia.

D.Lgs. 81/2008
.
..
Art. 46. Prevenzione incendi
...
3. Fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 e dalle disposizioni concernenti la prevenzione incendi di cui al presente decreto, i Ministri dell'interno, del lavoro e della previdenza sociale, in relazione ai fattori di rischio, adottano uno o più decreti nei quali sono definiti:

a) i criteri diretti atti ad individuare:
1) misure intese ad evitare l'insorgere di un incendio ed a limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi;
2) misure precauzionali di esercizio;
3) metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio;
4) criteri per la gestione delle emergenze;
b) le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione.

Segue in allegato

Comitato Centrale Tecnico Scientifico CCTS del 10 luglio 2018

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 34789 | 23 Luglio 2018

ID 6576 | | Visite: 2205 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Esplosione e incendio di un'azienda

Omessa valutazione del rischio

Penale Sent. Sez. 4 Num. 34789 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 12/04/2018

Ritenuto in fatto

1. Il 16 luglio 2007, all'Interno dell'azienda "Molino C. s.p.a.", In Fossano, si verificava una violenta esplosione, a seguito della quale si sviluppava un incendio di vaste proporzioni che coinvolgeva l'Intero Immobile aziendale; alla prima seguiva una seconda esplosione, che interessava un semirimorchio dal quale si stava ripompando verso un silos farina caricata in eccesso. A causa delle lesioni riportate nel sinistro decedevano i lavoratori M.R., V.A., M.M., M.B., dipendenti della ditta Molino C., nonché A.CA., socio della omonima ditta di manutenzione.
C. Dario e C. Aldo venivano tratti a giudizio per rispondere, nelle rispettive qualità di Presidente del C.d.a. e di amministratore delegato nonché, entrambi, di gestori della sicurezza sul lavoro del Molino C. s.p.a., dei delitti di cui rispettivamente all'art. 437 cod. pen. (capo A) e 434, 449 e 589 cod. pen. (capo B). Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Cuneo, all'esito di rito abbreviato, condannava C. Aldo per entrambi I reati contestatigli e C. Dario per il solo reato sub B) alla pena ritenuta per ciascuno equa ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili; inoltre mandava assolto C. Dario dal reato sub A) perché il fatto non costituisce reato.
Con la sentenza Indicata in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado, dichiarando non doversi procedere nei confronti di C. Dario per morte del reo; ha assolto C. Aldo dal reato sub A) perché il fatto non costituisce reato ed ha rideterminato in anni cinque di reclusione la pena inflitta per il reato sub B), confermando le statuizioni civili pronunciate nei confronti di quest'ultimo.
2. Ad avviso della Corte di Appello i contributi offerti dal diversi esperti delle parti, eccezion fatta per quello degli imputati, consentono di affermare che l'esplosione fu generata da polveri di farina e venne determinata dall'innesco provocato da una carica elettrostatica formatasi all'interno dell'autocisterna dalla quale si stava ripompando nel mulino la farina caricata in eccesso a mezzo di una manichetta in gomma collegata ad una tubazione di adduzione realizzata in ferro; più precisamente, la carica elettrostatica formatasi nell'autocisterna si era cumulata con quella prodotta - anche grazie alla bassa concentrazione del prodotto - dal passaggio della farina nella manichetta in gomma, ed aveva generato l'innesco all'interno della tubazione metallica di adduzione, in prossimità dell'attacco della manichetta flessibile, provocando l'esplosione delle polveri di farina contenute nel mulino.
Per il Collegio distrettuale, come già per il primo giudice, l'accadimento ed i suoi effetti devono essere ascritti al C. per non aver questi provveduto ad una adeguata valutazione del rischio e quindi alla predisposizione delle misure che avrebbero consentito di evitare l'evento.
La gravità del reato ed il grado della colpa hanno poi condotto la Corte di Appello a negare le richieste attenuanti generiche, pur operando una riduzione della pena originariamente inflitta.
Replicando, inoltre, a specifica censura dell'appellante, la Corte distrettuale ha respinto le censure avanzate sul presupposto della avvenuta dichiarazione di fallimento dell'imputato; censure che investivano l'affermata legittimazione passiva del C. rispetto all'azione risarcitoria introdotta dalle parti civili.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. OMISSIS.
3.1. Con sette motivi deduce manifesta illogicità della sentenza impugnata e violazione di legge in relazione all'accertamento del nesso causale e segnatamente In relazione alla ritenuta efficienza causale della omessa valutazione del rischio.
I motivi sono articolati con dettagliata critica a quelli che vengono dall'esponente individuati come snodi portanti del giudizio della Corte territoriale a riguardo della valenza causale dell'omissione attribuita al ricorrente; giudizio poggiante su premesse fattuali in ordine alle quali per l'esponente non é stata raggiunta la certezza processuale. In particolare l'esponente fa menzione dell'incertezza persistita in ordine:
1) alla sufficienza delle cariche elettrostatiche prodottesi durante il trasporto pneumatico delle farine a generare un innesco;
2) all'essersi originata una carica elettrostatica all'interno della manichetta in gomma, tenuto conto della sua limitata lunghezza (6 metri);
3) alla presenza di una carica elettrostatica all'interno dell'autocisterna;
4) all'essersi prodotto l'innesco all'interno del condotto di ripompaggio, tenuto conto che la bassa velocità e la posizione verticale della cisterna aumentano la concentrazione della farina nel tubo e quindi diminuiscono il rischio di un innesco, ed altresì in ragione della avvenuta messa a terra del condotto;
5) alla prossimità del punto di innesco all'attacco della manichetta;
6) alla riconducibilità alla esplosione (piuttosto che a una combustione) della deformazione delle flange di collegamento delle sezioni del tubo di pompaggio.
Poiché, continua l'esponente, ognuna di queste affermazioni dà luogo ad un dubbio ragionevole sulla dinamica dell'evento, la Corte distrettuale non avrebbe potuto pronunciare la condanna dell'imputato; averlo fatto concreta violazione dell'art. 533 cod. proc. pen.
Infatti, per l'esponente é mancato l'accertamento della dinamica dell'accadimento, non essendo possibile affermare oltre ogni ragionevole dubbio che la carica elettrostatica responsabile dell'Innesco si era formata all'Interno dell'autocisterna e non si era dispersa a causa del mancato Isolamento verso terra dell'automezzo.
Di conseguenza la Corte di Appello sarebbe Incorsa in errore di diritto, per non aver fatto applicazione del principio secondo il quale il rapporto di causalità tra l'omesso Inserimento del rischio nel documento di valutazione e l'Infortunio deve essere accertato In concreto rapportando gli effetti accertati dell'emissione all'evento che si é concretizzato (Cass. 25231/2014). La Corte si é appagata del fatto che l'esplosione si era verificata 'In concomitanza' dell'operazione di scarico (1.3.).
Questa negazione della compiutezza della ricostruzione processuale viene sostenuta dall'esponente con l'affermazione secondo la quale nel caso di specie non si conosce cosa abbia determinato l'Innesco e come e dove si sia prodotto, posto che anche le affermazioni del perito d'ufficio esprimono un elevato margine di relatività (2.1.2.).
Egli ravvisa una incoerenza nella motivazione, laddove la Corte di Appello dapprima afferma che l'omessa valutazione assume rilevanza causale 'indipendentemente dalle specifiche mancanze che abbiano poi cagionato l'esplosione' e quindi si produce nella ricostruzione della dinamica fattuale e delle cause dell'evento, così dimostrando che questa é decisiva ai fini del giudizio.
Più nel dettaglio, l'esponente ravvisa un travisamento della prova laddove la Corte di Appello ha affermato che l'ipotesi ricostruttiva fatta propria dal giudicante risulta condivisa da tutti gli esperti. Infatti, e ben diversamente, il c.t. del p.m. non aveva offerto alcuna ricostruzione, rappresentando la esperibilità di varie possibili ipotesi; risulta inoltre incomprensibile la svalutazione della tesi del c.t. delle parti civili, ing. Fe. - per la quale la manichetta in gomma che collegava l'autocisterna al tubo di adduzione al molino isolava elettricamente i due apparati -, che conduce ad escludere la tesi dell'accumulo delle cariche elettrostatiche. Inoltre, la sentenza assume che il tubo di adduzione era regolarmente messo a terra, così come affermato dal perito prof. M.. Ma tanto determina che se una carica elettrica fosse transitata in esso, si sarebbe dispersa. Quindi la sentenza è illogica: da un canto afferma che se l'autocisterna fosse stata messa a terra la carica in essa prodottasi si sarebbe scaricata a terra; dall'altro assume una tesi che nega il medesimo effetto per il tubo di adduzione, pur messo a terra. La Corte di Appello prospetta l'esistenza di un doppio accumulo senza spiegare cosa sia e perché sarebbe stato insensibile all'isolamento del condotto metallico; sul punto neppure il perito avrebbe dato spiegazioni esaurienti (vd. pg, 23 del ricorso) e la Corte distrettuale afferma una certezza delle conclusioni rese dallo stesso che non corrisponde a quanto il prof. M. ha dichiarato in dibattimento o scritto nella relazione peritale, anche a riguardo delle conoscenze scientifiche utilizzabili nella fattispecie (sicché si reitera la denuncia di travisamento della prova).
L'esponente contesta, Inoltre, - anche sotto il profilo del travisamento della prova - che esistano evidenze scientifiche in grado di convalidare la tesi della presenza di una carica elettrostatica all'interno dell'autocisterna poiché la diversa affermazione del perito - formulata comunque In linea meramente teorica: di qui il travisamento - non é sussumiblle sotto una legge generale di copertura (29).
Anche a riguardo dell'affermazione della presenza di farina a bassa concentrazione nel tubo di adduzione viene ravvisato il vizio motivazionale ed il travisamento della prova. Infatti, come già il primo giudice, la Corte di Appello ha concluso per la bassa concentrazione della farina, sostenendo l'irrilevanza della posizione verticale assunta dall'autocisterna nel corso dell'operazione, nonostante il perito avesse indicato quella posizione come incidente sulla pressione che la farina fluidizzata esercita sul tubo di scarico. Sul fattori che falsificano la conclusione la Corte di Appello non ha reso motivazione.
Manifesta illogicità é stata poi denunciata a riguardo della ritenuta valenza dimostrativa della deformazione delle flange di collegamento del tubo di ripompaggio. Per l'esponente la Corte torinese non avrebbe verificato la tenuta della motivazione del Tribunale alla luce del rilievi mossi con l'appello.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello abbia reso una motivazione manifestamente Illogica ed in violazione di legge (artt. 43, 589, 434, 449, 132 e 133 cod. pen.) nel giustificare l'Infondatezza del rilievi difensivi avanzati a riguardo della commisurazione della pena, enfatizzando la qualità di imprenditore del settore per affermare un grado elevato della colpa, senza considerare che un fatto come quello avvenuto presso il Molino C. é statisticamente sporadico e quindi incide sulla rimproverabilità per non esser stato previsto l'evento. Inoltre la Corte distrettuale non ha preso in esame gli ulteriori fattori rilevanti ai fini del giudizio in parola.
3.3. Con un terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio motivazionale In merito al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, essendo stata valutata la gravità della colpa anche per escludere tali attenuanti, così violando il divieto di bis in idem sostanziale. Inoltre, la Corte territoriale non ha tenuto conto della condotta susseguente al reato, nonostante quanto statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 183/2011. 
3.4. Con un quarto motivo si denuncia violazione di legge e vizio motivazionale in merito alla ritenuta legittimazione passiva del C., nonostante sia stato dichiarato fallito, rispetto all'azione civile. La Corte distrettuale ha errato nel ritenere rilevante che il fallimento sia stato dichiarato in epoca successiva alla commissione del reato e che il Tribunale abbia pronunciato una condanna generica al risarcimento.
3.5. In data 7.9.2015 é stato depositato atto recante 'motivo nuovo', con il quale il difensore del ricorrente chiede l'annullamento della sentenza impugnata relativamente al reato di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen., per essere il medesimo estinto per prescrizione, tenuto conto che con sentenza n. 143 del 28.5.2014 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 157, co. 6 cod. pen. nella parte in cui dispone il raddoppio dei termini di prescrizione per il reato di incendio colposo.
3.6. All'odierna udienza il difensore ha dichiarato di rinunciare al motivo concernente la legittimazione passiva del C. rispetto all'azione civile introdotta nel presente giudizio penale.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. La principale critica mossa dal ricorrente alla sentenza impugnata é di aver affermato in forza di un inaccettabile automatismo - e con inversione metodologica - l'esistenza del nesso causale tra evento e condotta dell'imputato; condotta consistita nell'aver omesso di installare uno specifico punto di messa a terra dell'autocisterna utilizzata per il carico e lo scarico delle farine e nella omessa valutazione dei rischi relativi all'operazione di ripompaggio della farina dall'autocisterna al mulino.
Infatti, per l'esponente é mancato l'accertamento della dinamica dell'accadimento, non essendo possibile affermare oltre ogni ragionevole dubbio che la carica elettrostatica responsabile dell'innesco si era formata all'interno dell'autocisterna e non si era dispersa a causa del mancato isolamento verso terra dell'automezzo.
Di conseguenza la Corte di Appello sarebbe incorsa in errore di diritto, poiché non ha fatto applicazione del principio secondo il quale il rapporto di causalità tra omesso inserimento del rischio nel documento di valutazione ed infortunio deve essere accertato in concreto rapportando gli effetti accertati dell'omissione all'evento che si é concretizzato (Cass. 25231/2014). La Corte si é appagata del fatto che l'esplosione si era verificata 'in concomitanza' dell'operazione di scarico (1.3.).
Come si é esposto già nella superiore parte narrativa, la negazione della compiutezza della ricostruzione processuale viene sostenuta dall'esponente con l'affermazione secondo la quale nel caso di specie non si conosce cosa abbia determinato l'innesco e come e dove si sia prodotto, posto che anche le affermazioni del perito d'ufficio esprimono un elevato margine di relatività (2.1.2.) ed esse (come quelle dell'ing. Fe.) sono state travisate dalla Corte di Appello.
4.2. La critica che investe la motivazione nella parte in cui ricostruisce la dinamica del sinistro e accerta il nesso di causalità corrente tra la condotta del C. e il tragico evento è al limite della inammissibilità.
In linea generale va rilevato che, sia pure attraverso l'esplicazione di sicura capacità argomentativa, il ricorso non fa che riproporre i rilievi che già erano stati sottoposti alla Corte di Appello e che questa ha analizzato, valutato e respinto con una puntuale e ragionevole argomentazione, fermamente ancorata alle risultanze processuali; in primis, alle conoscenze veicolate nel giudizio dal perito, sempre confrontate con quelle offerte dagli esperti delle parti. Già tanto, svelando la natura ripetitiva dei motivi che attengono all'accertamento del nesso causale, rende i medesimi inammissibili, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 - dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
Né vale a mutare la natura dei rilievi il più volte denunciato travisamento della prova. Invero, ciò si fa a riguardo del senso attribuito dai giudici alle affermazioni del perito. Ma il vizio evocato non si dà solo perché in alcuni passaggi del proprio dire l'esperto ha utilizzato termini che esprimono un dubbio o una condizione, personale o della comunità scientifica, di limitata conoscenza. Il travisamento della prova, quale vizio della motivazione possibile oggetto di ricorso per cassazione, é l'errore sul significante; come tale la sua denuncia pretende l'indicazione dello specifico enunciato diversamente letto (e non interpretato) dal giudice. Quando la citazione concerne interi brani della deposizione o del documento, come nel caso che occupa, difficilmente può trattarsi di errore sul significante.
Non é necessario offrire esempi a dimostrazione di quanto appena esposto, poiché la censura si appalesa inammissibile anche per un ulteriore motivo: il vizio di travisamento della prova può essere dedotto, nel caso di cosiddetta "doppia conforme" nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007 - dep. 07/02/2007, Medina ed altri, Rv. 236130; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 - dep. 04/02/2014, Nicoli, Rv. 258432), o nel caso in cui entrambi i giudici di merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 44756 del 22.10.2013, Buonfine ed altri, n.m.).
Nulla di ciò si é verificato nel caso che occupa, nel quale il ricorso intende 'colpire' l'argomentazione che la Corte distrettuale articola a partire dagli stessi materiali utilizzati dal Tribunale.
Sotto diverso profilo, va rilevato come dietro l'usbergo del vizio motivazionale si proponga in più di un'occasione una rivisitazione unilaterale delle circostanze rilevanti, con ciò degradando le censure a rilievi che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio.
Accade a riguardo della valutazione della circostanza della deformazione delle flange, come meglio si vedrà appresso.
4.3. La Corte di Appello, non diversamente dal primo giudice, ha ritenuto, che "la farina aveva accumulato carica nella movimentazione tra farineria, coclea e autocisterna, dove la carica non ha potuto disperdersi perché non era stata attivata la messa a terra questa carica é andata a 'contribuire aita generazione di carica che la farina ha ulteriormente subito nella manichetta'... Al fattore 'carica', rafforzata, si é combinato, oltre alla mancata messa a terra dell'autocisterna, ..., quello della concentrazione della farina ...". Quindi, questa carica rafforzata, giunta all'ingresso della tubazione metallica, trovato un punto di scarico verso terra (essendo essa messa a terra), ha generato la 'progating brush discharge', ovvero scariche elettrostatiche che hanno innescato il combustibile, cioè la polvere di farina dispersa nel condotto, in presenza di comburente (l'aria).
Tanto é stato affermato tenendo conto sia delle affermazioni degli esperti di parte che potessero essere o apparire dissonanti o contrastanti rispetto a quelle del perito, sia dei rilievi difensivi mossi con l'atto di appello.
Infatti, quanto alla presenza di carica elettrostatica all'interno della cisterna, la Corte di Appello ha rammentato la risposta affermativa data dal perito a specifica domanda e la spiegazione contestualmente offerta (precedente movimentazione della farina, nel transito dalla farineria alla elodea alla cisterna).
In merito alla possibilità che il passaggio della farina nella manichetta di gomma avesse generato una carica elettrostatica la Corte di Appello si é espressa a pg. 31, quando ha affermato "é certo che il trasporto pneumatico di polveri causa accumulo di carica elettrostatica" ed indirettamente a pg. 32, quando ricorda le referenze scientifiche della teoria per la quale "un accumulo prodotto dal passaggio di polveri all'interno di un tubo isolante ... (é) sufficiente a innescare l'esplosione di una nube di polvere ...". La censura per la quale, sulla scorta delle affermazioni dell'Ing. F., la manichetta in gomma, siccome isolava gli elementi collegati, aveva reso impossibile l'arrivo della carica generatasi nell'autocisterna all'interno del tubo di adduzione non risponde al requisito della specificità, a soddisfare il quale non basta che si denunci un difetto di motivazione sulla base del mero richiamo alle non accolte conclusioni di una consulenza tecnica di parte (diverse da quelle del perito d'ufficio, cui il giudice abbia invece prestato adesione), ma occorre indicare in modo circostanziato quali fossero i passaggi di detta consulenza che si ponevano in contrasto con le risultanze della perizia, giacché il principio di autosufficienza del ricorso richiede che per le questioni dedotte In riferimento agli atti del processo siano riportati i punti di tali atti investiti dal gravame e sia indicata la rilevanza della questione. (Sez. 1, n. 47499 del 29/11/2007 - dep. 21/12/2007, Chlalll, Rv. 238333).
Quanto alla collocazione del punto di Innesco all'inizio del condotto di ripompaggio, ancorché messo a terra, la Corte di Appello ha ricordato, sulla scorta delle Indicazioni fornite dal perito, che nel caso specifico, quando la carica aveva trovato un punto di scarico a terra, il che era avvenuto quando era entrata in contatto con il metallo del condotto, si era generata la propagating brush disharge.
Ha aggiunto, la corte distrettuale, che la dedotta presunta incertezza del prof. M. non era realmente sussistente, poiché il no espresso dall'esperto al p.m. che domandava se potesse confermare con certezza che il primo momento causale si era avuto con la caduta della farina dalla coclea all'autocisterna non segnalava un'Incertezza ma l'Impossibilità di eseguire una verifica sperimentale per la distruzione della coclea e del condotto, riportando i passi della deposizione che davano fondamento a tale valutazione.
A riguardo della deformazione delle flange, a proposito della quale l'esponente afferma, come con l'appello, che "le flange sul tratto conclusivo del condotto sono prive di deformazioni, nonostante si tratti di sede in cui maggiori avrebbero dovuto essere gli effetti della sovrapressione interna", derivandone che quella deformazione non poteva essere portata a conferma della tesi dell'esplosione, va osservato come si tratti di questione già diversamente ricostruita dalla Corte di Appello. La censura che a tale ricostruzione porta l'esponente, per essere carente di una replica ai rilievi difensivi, é smentita dalla sentenza, che spiega di far proprie le conclusioni del prof. Marmo, condivise anche dagli altri esperti, eccezion fatta per il solo c.t. della difesa ing. Ca., Indicando il motivo che porta ad escludere la tesi di quest'ultimo: le deformazioni sono estremamente caratteristiche di una esplosione ('troppo tipiche') per poter essere riconducibili ad altra causale.
Che tanto implichi una acritica adesione alle conclusioni dell'esperto é da escludere, perché la Corte di Appello ne ha evidenziato l'autorevolezza (quindi l'attendibilità) e ripercorso il ragionamento senza che emergano manifeste illogicità. Né é privo di valore che una pluralità di esperti condivida il medesimo assunto. Nel processo penale le conoscenze scientifiche sono veicolate con l’ausilio di esperti qualificati ed indipendenti e quindi l'accreditamento di una soluzione da parte di più ausiliari, la cui competenza ed attendibilità non sia in discussione, ben può costituire elemento di conferma che la tesi in questione sia accreditata presso la comunità scientifica.
Tanto permette una considerazione di ordine più generale. L'intero ricorso tende a porre in discussione la portata delle affermazioni del perito di ufficio, formulando dubbi in merito a talune di esse, con la parvenza di svolgere una critica alla motivazione, che traviserebbe il senso di quelle affermazioni o non prenderebbe in esame i rilievi difensivi e aderirebbe supinamente alle conclusioni del perito o, ancora, proporrebbe assunti in contraddizione tra loro.
Orbene, vale rammentare che in tema di prova scientifica, la Corte di cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta. Se ciò fosse richiesto al giudice, lo si ergerebbe a titolare del più alto grado di competenze scientifiche o, quanto meno, a giudice del sapere scientifico (in tali termini, testualmente Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014 - dep. 16/02/2015, C, Rv. 262722; ma soprattutto Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010 - dep. 13/12/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943 e le numerose che ai principi da questa espressi si sono conformate; tra le ultime, Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016 - dep. 14/03/2017, P.C. in proc. Bordogna e altri, in motivazione).
All'inverso, poiché al decidente si richiede di offrire del proprio convincimento una spiegazione razionale e logica, scaturita da un approccio al sapere tecnico-scientifico metodologicamente corretto, perché osservante l'obbligo di svolgere una verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto, il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato.
D'altro canto, e coerentemente, va rammentato che il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato del l’obbligo di fornire, in motivazione, autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente la dimostrazione del fatto che le conclusioni peritali siano state valutate in termini di affidabilità e completezza, e che non siano state ignorate le argomentazioni del consulente (Sez. 6, n. 5749 del 09/01/2014 - dep. 05/02/2014, Homm, Rv. 258630).
In conclusione: la Corte di Appello ha ricostruito la dinamica del sinistro senza incertezza alcuna, con motivazione non manifestamente illogica e coerente ai dati processuali, del tutto consapevole degli spunti critici introdotti dalla difesa.
4.4. Il giudice di secondo grado ha affermato: "l'adempimento dell'obbligo di una adeguata valutazione dei rischi ... costituisce, quindi, il presupposto, ineliminabile, per la individuazione e la conseguente adozione di tutte le misure di sicurezza idonee ad eliminare i rischi, in particolare da esplosione, e dunque rappresenta il passo, fondante, dell'"iter", di prevenzione, che avrebbe nello specifico portato ad evitare la tragedia. Tale comportamento omissivo, quindi, e, come tate, anche indipendentemente dalle specifiche mancanze che abbiano poi cagionato l'esplosione (...), é dunque in rapporto di causalità con il tragico evento" (29).
Nel periodare della corte territoriale si coglie un errore prospettico, denunciato con ancor maggior nettezza dal richiamo ad un presunto 'costante insegnamento' di questa Corte, il quale propugnerebbe la tesi che l'omessa o incompleta o inadeguata valutazione dei rischi avrebbe di per sé rilevanza di condotta causalmente collegata all'evento di danno o di pericolo verificatosi; ciò sul presupposto che la predisposizione di una concreta adeguata, specifica valutazione dei rischi, avrebbe evitato l'evento.
Il precedente citato, Cass. 17.5.2013, n. 21290, a dire il vero non contiene alcuna delle affermazioni che gli attribuisce la Corte di Appello. E la giurisprudenza di questa Corte é piuttosto in diverso senso, sostenendo che "in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo non può essere desunto soltanto dall'omessa previsione del rischio nel documento, di cui all'art. 4, comma secondo, del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro), dovendolo tale rapporto essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si è concretizzato (Sez. 4, n. 8622 del 04/12/2009 - dep. 03/03/2010, Giovannini, Rv. 246498).
La tesi formulata dalla Corte di Appello trovava legittimazione allorquando, concependosi la colpa in senso psicologico, si derivava l'esistenza della relazione causale tra evento e condotta dal fatto stesso dell'esistenza di una condotta trasgressiva di regole cautelari. Ma la raggiunta consapevolezza che la colpa é in primo luogo violazione di regola di diligenza ha permesso di evidenziare maggiormente che può esserci condotta colposa senza nesso causale rispetto all'evento realizzatosi; e che dunque va ogni volta accertato che l'evento sia stato prodotto proprio da 'quella' violazione cautelare. Peraltro, com'é a tutti noto, l'iter ricostruttivo neppure si ferma qui, essendo ancora richiesto di perlustrare il territorio della cd. causalità della colpa, andando a verificare - oltre alla concretizzazione nell'evento prodottosi del rischio giuridicamente rilevante - se la condotta doverosa non attuata avrebbe avuto realmente efficacia impeditiva.
Sicché, deve essere censurata l'affermazione operata dalla Corte torinese, che legittima una limitazione dell'accertamento causale alla verifica della sussistenza della condotta colposa.
Tuttavia i giudici distrettuali hanno di fatto marginalizzato tale affermazione, svolgendo una motivazione che dà conto delle ragioni per le quali é possibile ritenere che tra l'esplosione e l'omessa valutazione dei rischi ricorra una relazione eziologica, in quanto puntualmente indicata la misura che sarebbe stata identificata da una puntuale valutazione dei rischi e che, posta in opera, avrebbe evitato il verificarsi dell'evento. Si tratta della messa a terra della cisterna.
Di ciò dovrebbe essere ben consapevole anche il ricorrente, il quale si profonde nella critica degli assunti che la Corte di Appello ha scandito lungo il percorso di ricostruzione causale.
5. Il motivo, infondato, che si indirizza al trattamento sanzionatorio coglie un aspetto della commisurazione della pena per il reato colposo che merita di essere rimarcato. A differenza di quanto accade nella generalità dei reati di evento assistiti da dolo, nei quali l'esito del processo causale attivato dalla condotta é quanto meno accettato dal reo come conseguenza della propria azione, nei reati colposi di evento quest'ultimo é per definizione non previsto; quando all'invero sia previsto opera la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 3 cod. pen.
Poiché il giudice deve determinare la pena commisurandola principalmente - se non esclusivamente - a quello che la dottrina definisce 'bisogno di pena', ovvero quella pena che meglio garantisce il conseguimento dell'obiettivo della risocializzazione del reo, vanno posti sotto il fuoco dell'attenzione in primo luogo i fattori che evidenziano la 'lontananza' dell'autore del fatto dall'opzione normativa (e quindi comunitaria) per la tutela del bene giuridico pregiudicato dall'illecito. La gravità dell'evento, in tale prospettiva, appare fattore recessivo rispetto ad altri, come la prevedibilità dello stesso ed il grado di esigibilità della condotta doverosa. Nella fenomenologia dell'illecito colposo di evento, non di rado accade che l'evento venga ad esistenza non per una più marcata 'callidità' dell'agente/omittente, ma per una combinazione di fattori taluni dei quali non sono governati dal reo; la condotta colposa radicata in un contesto lecito di base é di regola avviluppata in un groviglio composto anche da altrui condotte, tanto da porre il complesso problema della valenza attribuibile a tali fattori interagenti (anche ad esso cercano soluzione istituti come la posizione di garanzia, la cooperazione colposa, Il caso fortuito e la forza maggiore, lo stesso principio di affidamento).
Ne deriva che se la Corte di Appello avesse effettivamente determinato la pena congrua sulla scorta della sola gravità dell'evento, essa non sfuggirebbe alla censura avanzata dal ricorrente. Ma, all'inverso, i giudici distrettuali hanno tratto il proprio giudizio anche dal grado della colpa, individuato alla luce della "grave trascuratezza" connotante il comportamento mantenuto dal C., ma anche dalla misura dell'esigibilità del comportamento dovuto. A tal ultimo riguardo l'esponente si duole che si sia operato una sorta di automatismo, affermando la gravità della colpa per il fatto stesso di essere il C. un Imprenditore. Il rilievo non coglie il segno. La Corte torinese ha valutato l'esigibilità della condotta doverosa tenendo conto, per l'imputato, "delle sue capacità e esperienze, come datore di lavoro, nell'ambito dell'attività molitoria, che esercitava attendibilmente da decenni Si é quindi tratteggiato il profilo del modello di riferimento con il quale confrontare la condotta tenuta dal C.: un imprenditore esperto per il pluridecennale esercizio dell'attività specifica. Rispetto a quanto questi avrebbe fatto la condotta del C. si é ritenuta grandemente divergente.
6. Infondato è anche il terzo motivo. La giurisprudenza di questa Corte é ferma nell'insegnare che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 - dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899). Quando il fattore decisivo sia stato già considerato anche ai fini della commisurazione della pena non si incorre in alcun divieto normativo, potendo venir presi in considerazione gli stessi elementi che a norma dell'art. 133 cod. pen. concorrono alla determinazione della misura della pena, ma occorre pur sempre che la sua rilevanza sia talmente eccezionale da giustificare il fatto che esso viene preso in considerazione in due sedi e momenti diversi (Sez. 6, n. 10351 del 03/06/1992 - dep. 29/10/1992, Fuoco, Rv. 192094). Diversamente, una stessa circostanza specifica non può essere valutata due volte (Sez. 6, n. 20818 del 23/01/2002 - dep. 28/05/2002, P.G. In proc. Baia, Rv. 222020).
Nel caso che occupa la Corte di Appello ha fondato il diniego sulla polarità della particolare gravità del fatto, della elevata rilevanza dei danni e della gravità della colpa; ma ha anche considerato un elemento ulteriore, rappresentato dalla parzialità del ristoro dei danni. Nel complesso, si tratta di motivazione non censurabile in questa sede poiché coerente ai principi ancora una volta rammentati e non manifestamente illogica.
7. In relazione al motivo concernente la dedotta carenza di legittimazione passiva del C. in conseguenza della dichiarazione di fallimento, la rinuncia ad esso da parte del difensore vale a sottrarre il medesimo alla cognizione di questo giudice. Appare utile puntualizzare che non trova applicazione in casi siffatti il principio della necessità della procura speciale rilasciata dall'imputato a favore del dichiarante, valevole per la rinuncia all'impugnazione; come è stato già statuito con riferimento alla rinuncia ad un motivo dell'appello - ma non v'è ragione di confinare in tale ambito l'operatività della regola -, tale principio non opera nel caso in cui la rinuncia non investa l’atto di appello ma sia limitata ad alcuni dei motivi su cui l’impugnazione si articoli (Sez. 5, n. 3820 del 10/01/2013 - dep. 24/01/2013, Ignomeriello e altri, Rv. 254567). Si tratta, infatti, di esercizio della difesa tecnica, il cui concreto esplicarsi è determinato dal difensore, laddove compete all'assistito la decisione in ordine alla proposizione dell'impugnazione e alla rinuncia ad essa.
8. In merito alla dedotta prescrizione del reato di disastro colposo, va ritenuto che i relativi termini di prescrizione non siano decorsi, perché deve applicarsi la previsione di cui all'art. 157, co. 6 cod. pen., che dispone il raddoppio dei termini di cui ai commi precedenti del medesimo articolo.
Il diverso avviso del ricorrente si alimenta di quanto statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 143 del 2014, ovvero della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 157, co. 6 cod. pen., nella parte in cui estende il predetto raddoppio anche all'ipotesi di incendio colposo. E ciò in quanto quella previsione importava che il termine di prescrizione del reato colposo fosse notevolmente più elevato del corrispondente reato doloso. La previsione é stata ritenuta irragionevole dalla Corte, perché non si giustifica né con le necessità di accertamento, non più gravose rispetto ai reati dolosi, né con una maggiore persistenza nella collettività dell'effetto del reato.
Pertanto, la sentenza ha avuto ad oggetto il solo reato di incendio colposo; e una sua rilevanza nel caso che occupa potrebbe predicarsi solo se le ragioni poste dai giudici della Consulta alla base del pronunciamento possono valere anche per il disastro colposo. Ma così non é; la forma dolosa del reato, quando aggravata come nel caso che occupa, propone infatti termini di prescrizione coincidenti e non maggiori rispetto a quella colposa.
La questione prospettata dall'esponente coincide nelle sue argomentazioni e nelle conclusive censure a quelle poste alla Corte costituzionale dalla Corte di cassazione, dal Tribunale ordinario di Velletri, dal Tribunale ordinario di Torino e dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Larino. Questioni decise dalla Corte costituzionale con sentenza n. 265 del 2017 (G.U. 051 del 20/12/2017), con declaratoria di infondatezza.
Era stato dubitato della legittimità costituzionale dell'art. 157, sesto comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del delitto di crollo di costruzioni o altro disastro colposo (art. 449, in riferimento all'art. 434 cod. pen.) è raddoppiato.
Anche sulla scorta di quanto statuito dai giudice della Consulta con la sentenza n. 143 del 2014, i giudici a quibus ipotizzavano che la norma censurata violasse l'art. 3 della Costituzione, per contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, giacché, in conseguenza della regola del raddoppio, il termine di prescrizione del delitto in questione risulta uguale a quello della corrispondente fattispecie dolosa (art. 434, secondo comma, cod. pen.), identica sul piano oggettivo, ma di disvalore sensibilmente maggiore in rapporto al diverso coefficiente di partecipazione psicologica del reo, come attestato dall'ampio scarto tra le rispettive cornici sanzionatone edittali.
La Corte costituzionale ha osservato in primo luogo che nella sentenza n. 143/2014 non si rinviene ragione per ritenere espresso un principio per il quale occorre stabilire, senza possibilità di eccezioni, per l'ipotesi colposa un termine diverso e più breve di quello valevole per la versione dolosa del medesimo reato.
Anzi, ha puntualizzato, l'assoggettamento delle due forme di realizzazione dello stesso delitto - dolosa e colposa - ad un eguale termine di prescrizione non rappresenta una anomalia introdotta per la prima volta dalla legge n. 251 del 2005, risultando fenomeno già noto al sistema anteriore; peraltro proprio ai reati di incendio, che in quanto puniti con pene massime comprese tra i cinque e i dieci anni di reclusione - cinque anni l'incendio colposo, sette il doloso - corrispondenti alla "fascia" di cui al numero 3) dell'originario art. 157, primo comma, cod. pen., si prescrivevano entrambi, prima della legge n. 251 del 2005, in dieci anni.
Anche nel nuovo regime della prescrizione si registra un ragguardevole numero di casi di equiparazione (essenzialmente tra i delitti puniti con pena sino a sei anni), una volta di più anche tra i delitti contro la pubblica incolumità.
In conclusione, il giudice delle leggi ha ritenuto che al legislatore non è precluso di ritenere, nella sua discrezionalità, che In rapporto a determinati delitti colposi la "resistenza all'oblio" nella coscienza sociale e la complessità dell'accertamento dei fatti siano omologabili a quelle della corrispondente ipotesi dolosa, giustificando, con ciò, la sottoposizione di entrambi ad un Identico termine prescrizionale. E tale apprezzamento può legittimamente esprimersi anche attraverso la introduzione di deroghe alla disciplina generale.
9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/4/2018.

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Circolare congiunta n. 13 del 25 luglio 2018 | OiRA Uffici

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Circolare congiunta n  13 del 25 luglio 2018

Circolare congiunta n. 13 del 25 luglio 2018 | OiRA Uffici

Salute e sicurezza sul lavoro: adozione della circolare OiRA

Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 61 del 23 maggio 2018 di adozione dello strumento di supporto, rivolto alle micro, piccole e medie imprese, per la valutazione dei rischi sviluppato secondo il prototipo europeo OiRA, dedicato al settore “Uffici”

Emanata la circolare congiunta n. 13 del 25 luglio 2018 del Direttore Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Direttore Generale dell'Inail relativa allo strumento di supporto, rivolto alle micro, piccole e medie imprese, per la valutazione dei rischi sviluppato secondo il prototipo europeo OiRA, dedicato al settore "Uffici".

Lo strumento ha l'obiettivo primario di supportare, attraverso un percorso guidato, il datore di lavoro nella valutazione dei rischi per le attività di ufficio attraverso l'identificazione dei pericoli e l'individuazione delle misure di prevenzione e protezione, a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, per giungere alla redazione del Documento di valutazione dei rischi (DVR), valido ai sensi degli articoli 17 e 28 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

Esso è reso disponibile gratuitamente, a decorrere dalla data di emanazione della circolare, accedendo tramite collegamento al sito internet dell'Agenzia europea per la salute e sicurezza sul lavoro (EU-OSHA), al link "tool uffici", secondo le indicazioni fornite nel sito stesso.

Campo di applicazione

Lo strumento si applica per le attività di ufficio delle aziende dei settori privati e pubblici in cui siano presenti lavoratori rispondenti alla definizione di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, con le limitazioni previste all’articolo 3.

Le attività prese in esame che più frequentemente vengono svolte nel lavoro di ufficio sono:

- utilizzo del videoterminale e dei suoi accessori per immissione ed elaborazione dati,
- attività di segreteria,
- rapporti con i clienti e fornitori,
- archiviazione dei documenti (funzionale all'attività di ufficio).

Sono escluse dall'applicazione del presente strumento le mansioni di “archivista" e “magazziniere" e quanto non espressamente previsto nei moduli specifici. Qualora in azienda siano presenti mansioni e/o rischi non strettamente legati all'attività di ufficio e quindi non contemplati nel presente strumento, il Datore di Lavoro dovrà provvedere ad integrare il Documento di valutazione dei rischi (DVR).

Lo strumento si applica ugualmente ad attività nelle quali è presente un rischio di incendio basso o medio, ai sensi del d.P.R. 10 marzo 1998, articolo 2, comma 4, ma che non rientrano nel campo di applicazione del d.P.R. n. 151 del 2011 (si applica, ad esempio, ad uffici con meno di 300 persone contemporaneamente presenti, tra lavoratori e pubblico, nei quali i quantitativi di carta, conservati negli eventuali depositi o archivi non superano i 5.000 kg, e nei quali le centrali termiche, se presenti, hanno potenzialità termica non superiore a 116 kW).

Nel caso in cui l’attività rientri nel campo di applicazione del citato d.P.R. n. 151 del 2011, oltre alle misure espressamente previste dallo strumento, è necessario rispettare anche gli adempimenti previsti dal medesimo decreto del Presidente della Repubblica relativi alla presentazione dei Progetti ai Comandi dei Vigili del Fuoco, alla Segnalazione Certificata di Inizio Attività, al rinnovo periodico di conformità antincendio, agli obblighi connessi con l'esercizio dell'attività, non specificati nello strumento.

Inoltre, lo strumento non considera i rischi da vibrazioni, da atmosfere esplosive, da campi elettromagnetici, da radiazioni ottiche artificiali in quanto, da un punto di vista delle esposizioni, non sono significativi per le attività di ufficio.

Infine, lo strumento non tratta la valutazione e la gestione del rischio da scariche atmosferiche, espressamente prevista dalla normativa tecnica.

Per quanto concerne la formazione dei lavoratori, dei dirigenti, dei preposti e dei datori di lavoro che svolgono il ruolo di Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione, lo strumento prende in considerazione, ai sensi degli Accordi Stato-Regioni del 22 dicembre 2011 in materia, il rischio medio e il rischio basso nella definizione dei contenuti e del monte ore dei percorsi formativi.

Tale scelta si giustifica se si considera che gli uffici e le pubbliche amministrazioni rientrano nelle tipologie di rischio innanzi richiamate, secondo l’individuazione delle macrocategorie di rischio e corrispondenze Ateco 2002- 2007, di cui all’allegato II ai predetti Accordi. 

Struttura

Lo strumento è articolato in moduli e sottomoduli che ricalcano, per quanto possibile, la struttura del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e sono di seguito elencati:

1. Aspetti organizzativi che si compone dei seguenti sottomoduli:
1.1 Documentazione aziendale;
1.2 Figure della Prevenzione;
1.3 Formazione di RSPP, ASPP, RLS e addetti primo soccorso e prevenzione incendi;
1.4 Formazione e aggiornamento per lavoratori, preposti, dirigenti e DL che svolge i compiti di RSPP (solo per il rischio basso);
1.5 Formazione e aggiornamento per lavoratori, preposti, dirigenti e DL che svolge i compiti di RSPP (solo per il rischio medio);
1.6 Informazione dei lavoratori;
1.7 Sorveglianza sanitaria;
1.8 Gestione contratti di appalto, d’opera o di somministrazione
1.9 Gestione delle emergenze;
2. Luoghi di lavoro
3. Incendio
4. Attrezzatture di lavoro:
4.1. Dispositivi per connessioni elettriche temporanee
4.2. Apparecchiature informatiche e da ufficio
4.3. Scale portatili
5. Impianto elettrico
6. Sostanze pericolose: rischio chimico
7. Rischio biologico:
7.1 Condizioni igieniche ed ambientali dei locali
7.2 Impianti di condizionamento
8. Movimentazione manuale dei carichi
8.1 Attività di sollevamento e trasporto di carichi pari o superiori a 3kg
(compilare se l'attività è presente)
8.2 Attività di sollevamento e trasporto di carichi inferiori a 3kg (compilare se presente attività di movimentazione ad elevata frequenza)
8.3 Attività di traino o spinta (compilare se l'attività è presente)
9. Attrezzature munite di video terminali
10. Stress Lavoro correlato
11. Rumore
12. Rischi aggiuntivi

Fonte: MLPS

Collegati:

Cassazione Penale Sez. 4 n. 14657 | 30 marzo 2018

ID 6711 | | Visite: 3006 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Corridoio di passaggio ingombro di materiale e caduta

Art. 64 del d. lgs. n. 81 del 2008

Il datore di lavoro ha l’obbligo di tenere sgombre le vie di fuga da materiali in modo da consentirne l’utilizzazione in caso di emergenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 14657 Anno 2018

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 06/03/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze con cui K.S.F. è stata condannata, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, alla pena della multa di euro 750,00 per il delitto di cui agli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., per avere, quale dirigente del punto vendita "La Rinascente" di Firenze, con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, consentito che il corridoio di passaggio per il motocarichi, luogo di utilizzo comune fuori dalla disponibilità dei datori di lavoro proprietari dei singoli box vendita, peraltro, adibito a uscita di sicurezza, fosse ingombrato da materiale che, ostacolando il transito, determinava la caduta di I.M., da cui conseguivano lesioni personali consistenti in contusione epatica e frattura IX, X e XI costole destre, con malattia guarita in 125 giorni (18 settembre 2010).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, K.S.F., denunciando l'inosservanza e erronea applicazione degli artt. 178, primo comma, lett. c, 180, 185, cod.proc.pen., essendo stata rigettata l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio, nonostante l'indeterminatezza del capo di imputazione, per mancata individuazione della norma cautelare, asseritamente violata, risultando non pertinente all'art. 61 del d. lgs. n. 81 del 2008; l'inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., 61 e 64 del d.lgs. n. 81 del 2008, 604, 530, 533, 546, primo comma, lett. e) cod.proc.pen., e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermata responsabilità penale dell'imputata, mancando la motivazione relativamente alla credibilità della parte civile ed ad una serie di profili indicati a p.13 e 14 dell'atto di appello (tentativo di dipingere l'imputata come insensibile alle problematiche dei lavoratori, asserite lamentele sulle condizioni del magazzino, conseguenze psicologiche dell'infortunio) e risultando la motivazione contraddittoria relativamente all'inattendibilità di alcuni testi della difesa per ragioni di subordinazione rispetto all'imputata (rapporti caratterizzanti anche i testi della parte civile, valutati credibili), alle consegne avvenute il giorno dell'infortunio, alle condizioni del luogo di lavoro il giorno dell'infortunio, alla durata della malattia, alla quantificazione della pena ed in particolare al diniego delle attenuanti generiche, alla quantificazione del danno.

Considerato in diritto

1.1 primi due motivi di ricorso non meritano accoglimento, atteso che, come precisato dalla Suprema Corte (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 ud., dep. 04/02/2014, rv. 258920), in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, conformemente a quanto avvenuto nel caso di specie, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa (nello stesso senso, tra le tante, Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013 ud., dep. 24/05/2013, rv. 255772, secondo cui, ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non anche l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati). Non può ravvisarsi, pertanto, alcuna violazione di legge nel rigetto dell'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio da parte dei giudici di merito, che hanno, inoltre, evidenziato come dalla descrizione del fatto emergesse chiaramente la disposizione violata e, cioè, l'art. 64 del d. lgs. n. 81 del 2008, ai sensi del quale il datore di lavoro ha l'obbligo di fare in modo che le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza, e che il riferimento all'art. 61 integrasse un mero refuso materiale, da cui non è derivato alcun pregiudizio al diritto di difesa dell'imputata, essendo stato ampiamente trattato il profilo di colpa contestato.
2. Tutti gli altri motivi non superano il vaglio di ammissibilità, in quanto non denunciano né violazioni di legge, né mancanze, illogicità e contraddittorietà della motivazione effettive o, comunque, rilevanti, su aspetti che risultano decisivi ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputata, ma si traducono in una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accertata dai giudici di merito.
In proposito va ricordato che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
Più precisamente la ricorrente lamenta carenze o contraddittorietà motivazionali insussistenti o, comunque, irrilevanti - sul mancato reperimento da parte della Asl di lamentele sulle condizioni del magazzino, lamentele che la Corte ha desunto dalle prove testimoniali e che ben potevano essere state verbali e non scritte; sulla valutazione di inattendibilità del teste B., che non è stata fondata solo su una sua eventuale ed imprecisa ragione di corresponsabilità, ma su una molteplicità di inesattezze o circostanze poco verosimili riferite dalla stessa (v. p. 9 della sentenza); sulle consegne avvenute la data dell'infortunio (sui cui sembra addirittura dedotto un travisamento della prova, che, peraltro, risulterebbe inammissibile, trattandosi di doppia conforme, in assenza delle condizioni necessarie), le quali sono state ricostruite dalla Corte in base al complessivo quadro indiziario, fondato anche sulla coincidenza del giorno dell'Infortunio con il sabato, presumibilmente quello di maggiore vendita e, quindi, maggiori consegne; sulle condizioni del luogo dell'infortunio nella data del 18 settembre 2010, desunta dai giudici di merito in base al complessivo quadro indiziario emerso, che non viene aggredito dal ricorrente nella sua unitarietà, ma in modo frammentario ed incompleto.
Parimenti le censure relative alla durata della malattia ed alla quantificazione del danno presuppongono una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito, che hanno ritenuto condivisibili le valutazioni dell'Inail, escludendo gli errori asseriti dalla difesa dell'imputata, nelle relative certificazioni e conseguentemente valutata corretta la quantificazione del danno in base agli ordinari criteri civili. Solo per completezza va evidenziato che la Corte di Appello ha limitato la mancata contestazione dell'imputata all'applicazione dei criteri civili di liquidazione del danno e non alla durata della malattia.
Relativamente al diniego delle attenuanti generiche, la difesa della ricorrente non solo propone nuovamente una diversa ricostruzione dei fatti relativamente allo stato dei luoghi, ma non ha indicato alcun elemento positivo che avrebbe potuto giustificare la concessione delle attenuanti generiche (v. sul punto Sez. 4, n. 5875 del 2015, rv. 262249, secondo cui il giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione).
3. In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e ad rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile I.M. , liquidate in 2.500,00 euro, oltre accessori di legge.
Così deciso 6 marzo 2018.

...

Art. 64. Dlgs 81/08 Obblighi del datore di lavoro

1. Il datore di lavoro provvede affinché:

a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'articolo 63, commi 1, 2 e 3;

b) le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza;

c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;

d) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate;

e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento.

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Lavoratrici madri: Quadro normativo | Check list | DVR

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Lavoratrici madri quadro normativo DVR 01

Lavoratrici madri: Quadro normativo | Check list | DVR

ID 6055 | Scheda 29.04.2018 | (!) In aggiornamento

La tutela delle lavoratrici madri è normata dal D.Lgs.151/2001 e D.Lgs.81/08. Il D.Lgs.151/2001 è il testo unico per la tutela della maternità e paternità, che riporta al suo interno anche articoli relativi alla salute e sicurezza sul lavoro delle lavoratrici madri, con la menzione della Valutazione dei Rischi, le lavorazioni vietate o limitate di cui agli Allegati A, B, C.
Il D.Lgs. 81/2008 completa il quadro normativo relativo alla salute e sicurezza delle lavoratrici in stato di gravidanza menzionando direttamente le "lavoratrici in stato di gravidanza" all'articolo cardine del TUS, Art. 28 (Oggetto della valutazione dei rischi) e altri di seguito riportati.

Al presente articolo, in allegato:

- Scheda completa articolo [Abbonati sicurezza]
- Check list lavoratrici madri (tipo scuole) [Abbonati sicurezza]
- DVR Modello lavoratrici madri (tipo scuole) [Abbonati sicurezza]
- Allegato A D.P.R. 151/2011 Elenco dei lavori faticosi e insalubri [free]
- Allegato B D.P.R. 151/2011 Elenco non esauriente agenti e condizioni [free]  
- Allegato C D.P.R. 151/2011 Elenco non esauriente di agenti e processi e condizioni di lavoro [free]  
Testo consolidato 2022 del D.Lgs. 151/2011 [free]

Check list lavoratrici madri - Estratto

Premessa

Il testo unico D.Lgs.151/2001 disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternita' e paternita' di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonche' il sostegno economico alla maternita' e alla paternita'.

Esso ha abrogato il D.Lgs. 25 novembre 1996 n. 645 Recepimento della direttiva 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU n. 299 del 21 dicembre 1996)

Il Capo II del D.Lgs.151/2001 stabilisce le modalità operative al fine di garantire la tutela della sicurezza e della salute della lavoratrice durante il periodo di gravidanza e fino a 7 mesi di età del figlio, definendo altresì ruoli e competenze di 3 soggetti fondamentali:
 
- Lavoratrice
È oggetto della tutela.
Per condizioni di rischio lavorativo deve informare il Datore di lavoro del proprio stato di gravidanza, al fine dell'attivazione delle misure di tutela conseguenti ed ottenere i diritti previsti dalla Legge.
Per la presenza di gravi complicanze della gestazione, (ovvero) di pre-esistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza, può presentare istanza al Distretto Socio Sanitario territorialmente competente.

- Datore di lavoro
È responsabile della tutela della sicurezza e della salute della lavoratrice;

Ha l'obbligo di valutare preventivamente, con il concorso del Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione dai rischi (RSPP), medico competente e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), i rischi presenti nell'ambiente di lavoro, tenendo conto anche della possibilità della presenza di lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento;

In esito alla valutazione dei rischi definisce le condizioni di lavoro eventualmente non compatibili con lo stato di gravidanza-puerperio-allattamento e le misure di prevenzione e di protezione che intende adottare a tutela delle lavoratrici madri, informando le lavoratrici ed il RLS.

- Servizio Ispettivo dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro
è informato sui provvedimenti di cambio mansione adottati dal Datore di lavoro in situazione di lavori vietati o comunque ritenuti pregiudizievoli, in base alla valutazione dei rischi, per la sicurezza e la salute della lavoratrice.

Comunicazione al DL

La tutela delle lavoratrici madri parte dal presupposto che la lavoratrice informi il datore di lavoro circa il proprio stato di gravidanza. Senza tale informazione, visto che correttamente è vietata la visita medica da parte del datore di lavoro per l’accertamento dello stato di gravidanza, non possono essere avviate le attività di valutazione dei rischi sulla lavoratrice e la mansione che essa svolge.

Qualora la mansione della lavoratrice preveda l’esposizione ad almeno uno dei predetti fattori di rischio, il datore di lavoro è tenuto a modificare la mansione al fine di eliminare l’esposizione; qualora il cambio di mansione non sia possibile è prevista l’anticipazione del periodo di interdizione.

Il presente articolo si vuole soffermare sull’informazione che la lavoratrice deve fornire al datore di lavoro circa il suo stato di gravidanza.

Con l’introduzione del DL 69/2013 convertito in legge n. 98/2013 ed in particolare con l’articolo 34 del Decreto del Fare, entrato in vigore il 20 agosto 2013 è stato stabilito che la comunicazione dello stato di gravidanza della donna lavoratrice sarà un obbligo del medico curante. Così come tutti gli adempimenti fino ad ora a carico: il certificato di gravidanza con annessa data presunta del parto, la certificazione relativa alla nascita del bambino e nel caso, quella di interruzione di gravidanza, dovranno essere trasmesse telematicamente dal medico.

Il certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, dovrà essere inviato all’INPS esclusivamente in via telematica direttamente dal medico del SSN o con esso convenzionato.

Con circolare n.82 del 4 maggio 2017 sono state pubblicate da Inps le indicazioni per la trasmissione telematica dei certificati e sulla procedura creata in ottemperanza al Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 che ha modificato l’art. 21 del Decreto legislativo n. 151/2001.

Le suddette disposizioni non apportano alcuna modifica all’obbligo, per la lavoratrice, di consegnare al proprio datore di lavoro:

- Entro 2 mesi antecedenti la data presunta del parto, il certificato medico indicante la data presunta del parto (art 21, comma 1, D.Lgs. n. 151/2011);
- Entro i 30 giorni successivi al parto, il certificato di nascita del figlio ovvero la dichiarazione sostitutiva (art. 21, comma 2, D.Lgs. 151/2011)

Interdizione o astensione dal lavoro

In situazione di lavori vietati o comunque ritenuti pregiudizievoli per la sicurezza e la salute della lavoratrice, e nella impossibilità di cambio mansione dichiarata dal Datore di lavoro, può disporre l'interdizione anticipata al lavoro per la lavoratrice sino al termine del congedo di maternità (3 mesi dopo il parto) oppure, per particolari condizioni lavorative, sino a 7 mesi dopo il parto.

Lavoratrici madri quadro normativo DVR

Il D.Lgs.151/2001 con gli Artt. 7 (Lavori vietati) e 11 (Valutazione dei rischi), elenca negli Allegati A, B, C i lavori vietati o limitati.

Scarica questo file (Elenco dei lavori faticosi e insaluibri Art. 7 Allegato A D.P.R . 151 2001.pdf) Elenco dei lavori faticosi e insalubri Art. 7 D.Lgs. 151 2001 - Allegato A
Scarica questo file (Elenco non esauriente agenti e condizioni Art. 7 Allegato B D.P.R. 151 2001.pdf) Elenco non esauriente agenti e condizioni Art. 7 D.Lgs. 151 2001 - Allegato B
Scarica questo file (Elenco non esauriente di agenti e processi e condizioni di lavoro Art. 11 Allegato C D.P.R. 151 2001.pdf) Elenco non esauriente di agenti e processi e condizioni di lavoro Art. 11 D.Lgs. 151 2001 - Allegato C

D.Lgs.151/2001 (Articoli estratti)

Vedi il testo consolidato
...
Art. 6 Tutela della sicurezza e della salute (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 1; legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 9)

1. Il presente Capo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di eta' del figlio, che hanno informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti, fatto salvo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 8.

2. La tutela si applica, altresi', alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di eta'.

3. Salva l'ordinaria assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario nazionale, le lavoratrici, durante la gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, con esclusione dal costo delle prestazioni erogate, oltre che delle periodiche visite ostetrico-ginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela della maternita', in funzione preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale, previste dal decreto del Ministro della sanita' di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, purche' prescritte secondo le modalita' ivi indicate.

Art. 7. Lavori vietati (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 3, 30, comma 8, e 31, comma 1; decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 3; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 12, comma 3)

1. E' vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonche' ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, riportato nell'allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita' e per la solidarieta' sociale, sentite le parti sociali, provvede ad aggiornare l'elenco di cui all'allegato A.

2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell'elenco di cui all'allegato B.

3. La lavoratrice e' addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale e' previsto il divieto.

4. La lavoratrice e', altresi', spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.

5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonche' la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori.

6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17.

7. L'inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 e' punita con l'arresto fino a sei mesi.

Art. 8. Esposizione a radiazioni ionizzanti (decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, art. 69)

1. Le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attivita' in zone classificate o, comunque, essere adibite ad attivita' che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda un millisievert durante il periodo della gravidanza.

2. E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato.

3. E' altresi' vietato adibire le donne che allattano ad attivita' comportanti un rischio di contaminazione.
...
Art. 11. Valutazione dei rischi  (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 4)

1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 7, commi 1 e 2, il datore di lavoro, nell'ambito ed agli effetti della valutazione di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell'Unione europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare.

2. L'obbligo di informazione stabilito dall'articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, comprende quello di informare le lavoratrici ed i loro rappresentati per la sicurezza sui risultati della valutazione e sulle conseguenti misure di protezione e di prevenzione adottate.

Art. 12. Conseguenze della valutazione (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 5)

1. Qualora i risultati della valutazione di cui all'articolo 11, comma 1, rivelino un rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinche' l'esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l'orario di lavoro.

2. Ove la modifica delle condizioni o dell'orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro applica quanto stabilito dall'articolo 7, commi 3, 4 e 5, dandone contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, che puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui all'articolo 6, comma 1, in attuazione di quanto previsto
all'articolo 17.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 trovano applicazione al di fuori dei casi di divieto sanciti dall'articolo 7, commi 1 e 2.

4. L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1 e' punita con la sanzione di cui all'articolo 7, comma 7.
...

Art. 16 Divieto di adibire al lavoro le donne (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, comma 1 e 4)

1. E' vietato adibire al lavoro le donne:

a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;
d) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.

Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternita' dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi. 

1-bis. Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, nonche' in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternita', le lavoratrici hanno facolta' di riprendere in qualunque momento l'attivita' lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute.

Art. 17 Estensione del divieto (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6, 7, 9 e 10)

1. Il divieto e' anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro e' disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.

2. La Direzione territoriale del lavoro e la ASL dispongono, secondo quanto previsto dai commi 3 e 4, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16 o fino ai periodi di astensione di cui all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 12, comma 2, per uno o piu' periodi, la cui durata sara' determinata dalla Direzione territoriale del lavoro o dalla ASL per i seguenti motivi:

a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.

3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 e' disposta dall'azienda sanitaria locale, con modalita' definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, secondo le risultanze dell'accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovra' essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice.

4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 e' disposta dalla Direzione territoriale del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attivita' di vigilanza emerga l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima.

5. I provvedimenti previsti dai presente articolo sono definitivi.

Art. 21. Documentazione (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, comma 5, e 28)

1. Prima dell'inizio del periodo di divieto di lavoro di cui all'articolo 16, lettera a), le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro e all'istituto erogatore dell'indennita' di maternita' il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione.

Art. 53. Lavoro notturno (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 5, commi 1 e 2, lettere a) e b))

1. E' vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino.

2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
a) la lavoratrice madre di un figlio di eta' inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;

b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di eta' inferiore a dodici anni;

b-bis) la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di eta' o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa.

3. Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresi' obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.

Capo IX Divieto d i licenziamento, dimissioni e diritto al rientro

Ar t. 54 Divieto di licenziamento (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, commi 1, 2, 3, 5, e art. 31, comma 2; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 4; decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566, art. 2, comma 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 1)

1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonche' fino al compimento di un anno di eta' del bambino.

2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, e' tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.

3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attivita' dell'azienda cui essa e' addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.

4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non puo' essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attivita' dell'azienda o del reparto cui essa e' addetta, sempreche' il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non puo' altresi' essere collocata in mobilita' a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilita' a seguito della cessazione dell'attivita' dell'azienda di cui al comma 3, lettera b).

5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, e' nullo.

6. E' altresi' nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.

7. In caso di fruizione del congedo di paternita', di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di eta' del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5.

8. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo e' punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non e' ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale, il divieto opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ai sensi dell'articolo 31, terzo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento.


_________

D.Lgs. 81/2008 articoli relativi alle lavoratrici in stato di gravidanza.

Art. 28 Oggetto della valutazione dei rischi

1. La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei miscele chimiche impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
...

Art. 41 Sorveglianza sanitaria

Le visite mediche di cui al comma 2 non possono essere effettuate:
...
c. 3 b) per accertare stati di gravidanza
... 
Titolo VIII AGENTI FISICI

Art. 182. Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi

1. Tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità di misure per controllare il rischio alla fonte, i rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici sono eliminati alla fonte o ridotti al minimo. La riduzione dei rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici si basa sui principi generali di prevenzione contenuti nel presente decreto.

2. In nessun caso i lavoratori devono essere esposti a valori superiori ai valori limite di esposizione definiti nei capi II, III, IV e V. Allorché, nonostante i provvedimenti presi dal datore di lavoro in applicazione del presente capo i valori limite di esposizione risultino superati, il datore di lavoro adotta misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione, individua le cause del superamento dei valori limite di esposizione e adegua di conseguenza le misure di protezione e prevenzione per evitare un nuovo superamento.

Art. 183 Lavoratori particolarmente sensibili

1. Il datore di lavoro adatta le misure di cui all'articolo 182 alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori.

Art. 190 Valutazione del rischio

1. Nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 181, il datore di lavoro valuta l'esposizione dei lavoratori al rumore durante il lavoro prendendo in considerazione in particolare:
...
c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore, con particolare riferimento alle donne in gravidanza e i minori;

Art. 202 Valutazione dei rischi

1. Nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 181, il datore di lavoro valuta e, quando necessario, misura, i livelli di vibrazioni meccaniche cui i lavoratori sono esposti.
...
5. Ai fini della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro tiene conto, in particolare, dei seguenti elementi:

c) gli eventuali effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio con particolare riferimento alle donne in gravidanza e ai minori;

ALLEGATO IV REQUISITI DEI LUOGHI DI LAVORO
...
1.11.4. Le donne incinte e le madri che allattano devono avere la possibilità di riposarsi in posizione distesa e in condizioni appropriate.

ALLEGATO XLVI Elenco degli agenti biologici classificati
...
2. La classificazione degli agenti biologici si basa sull'effetto esercitato dagli stessi su lavoratori sani.
Essa non tiene conto dei particolari effetti sui lavoratori la cui sensibilità  potrebbe essere modificata, da altre cause quali malattia preesistente, uso di medicinali, immunità compromessa, stato di gravidanza o allattamento, fattori dei quali è tenuto conto nella sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41.

Vedi Documento lavori vietati / Interdizione anticipato/post partum

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Amianto nei comparti produttivi, macchinari, impianti

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Amianto nei comparti produttivi

Amianto nei comparti produttivi, macchinari, impianti

Tratto dal IV Rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi

In allegato il catalogo d’uso dei manufatti contenenti amianto tratto dal IV Rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi

Arpae Emilia Romagna

Questo catalogo è stato compilato raccogliendo ed ordinando tutte le notizie riguardanti la presenza/uso di amianto in comparti produttivi e prodotti. La provenienza delle notizie è molto variegata: alcuni usi dell’amianto sono provati da documenti originali (depliants o schede tecniche) di aziende produttrici. Altre segnalazioni sono state raccolte durante le interviste a persone che hanno utilizzato amianto o materiali che lo contenevano ed altre provengono dal personale del Servizio Sanitario Nazionale e delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente che si occupano dell’argomento amianto.

È opportuno far presente che la segnalazione della presenza dell’amianto non necessariamente è sinonimo di rischio di esposizione.

Di seguito il dettaglio dei singoli comparti di cui all'elenco.

comparto

...

Estratto elenco

amianto comparti figura 1

...Segue in allegato

Fonte: Arpae Emilia Romagna

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RADON: Direttiva 2013/59/EURATOM

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Direttiva 2013 59 euratom radon civili

Protezione dal Radon nelle abitazioni civili: la Direttiva 2013/59/Euratom 

ID 5410 |  24.01.2020

Recenti risultati epidemiologici ottenuti da studi residenziali dimostrano un aumento statisticamente significativo del rischio di carcinoma polmonare correlato all'esposizione prolungata al radon in ambienti chiusi a livelli dell'ordine di concentrazione di  100 Bq/m3. Il nuovo approccio delle situazioni di esposizione permette di inglobare le disposizioni della raccomandazione 90/143/Euratom della Commissione nelle prescrizioni vincolanti delle norme fondamentali di sicurezza, lasciando un sufficiente margine di flessibilità per l'attuazione della nuova direttiva 2013/59/EURATOM.

Il Documento fornisce una panoramica sul Radon, per quanto riguarda i riferimenti alla nuova direttiva 2013/59/EURATOM su rischio esposizione nelle abitazioni civili.
La Direttiva ha come termine ultimo di recepimento nell'ordinamento nazionale, il 6 febbraio 2018, in sintesi::


- Rischio esposizione Radon nelle abitazioni civili
- Classificazione IARC Radon
- PRN Piano Nazionale Radon
- Indagini RADON IT
- Riferimenti al radon nuova direttiva 2013/59/EURATOM
Raccomandazione 90/143/EURATOM

Excursus

Importante novità nella direttiva 2013/59/Euratom è l’introduzione, per la prima volta, di obblighi per i Paesi Membri dell'Unione Europea per quanto riguarda la protezione dal radon nelle abitazioni civili, oltre all’inasprimento della normativa di protezione dal radon nei luoghi di lavoro.

La direttiva 2013/59/Euratom richiede agli Stati membri di stabilire livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni in ambienti chiusi.

I livelli di riferimento per la media annua della concentrazione di attività in aria, non devono essere superiori a 300 Bq/m3.

PNR: PIANO NAZIONALE RADON

Con la direttiva 2013/59/Euratom viene introdotto l’obbligo, per i Paesi Membri, di predisporre ed aggiornare periodicamente un PIANO NAZIONALE RADON, che dovrà essere inviato (con i vari aggiornamenti) alla Commissione Europea.

Il PNR consiste in un piano pluriennale per realizzare, in modo coordinato a livello nazionale, il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon.

Dotarsi di un PNR è diventato obbligatorio per ogni Paese membro dell'UE, in base alla nuova direttiva 2013/59/Euratom in materia di radioprotezione, pubblicata il 17 gennaio 2014.

Il PRN Italiano 2002

L’obbligo di monitorare il problema radon, anche alle civili abitazioni è dovuto al fatto che la presenza di radon in aria, rappresenta un serio problema per la tutela della salute in quanto si trova in natura in forma gas inerte ed è radioattivo naturale.

È un prodotto del decadimento nucleare del radio all’interno della catena di decadimento dell’uranio. Il radon è inodore, incolore e insapore, quindi non è percepibile dai nostri sensi, e se inalato, può essere molto pericoloso per la salute umana poiché le particelle alfa che lo contraddistinguono possono danneggiare il Dna delle cellule e causare l’insorgere di patologie tumorali, sopratutto in soggetti a rischio come i fumatori.

Il gas radon è presente in tutta la crosta terrestre. Si trova nel terreno e nelle rocce, in quantità variabile. Il suolo è la principale sorgente del radon che arriva in casa. I materiali edili che derivano da rocce vulcaniche (come il tufo ), estratti da cave o derivanti da lavorazioni dei terreni, sono ulteriori sorgenti di radon. All’aperto la concentrazione di radon non raggiunge mai livelli elevati ma, nei luoghi chiusi (case, uffici, scuole) può arrivare a valori che comportano un rischio rilevante per la salute dell’uomo, specie per i fumatori.

Vedi il Documento INAIL: Rischi radon scuole di Lecce

Per la maggior parte delle persone, la principale esposizione al gas radon avviene in casa, nelle abitazioni, nei luoghi di lavoro e nelle scuole, con una particolare concentrazione nelle cantine e ai piani bassi.

Il gas migra dal suolo (o dai materiali da costruzione come il tufo ) e penetra all’interno degli edifici attraverso le fessure,  gli attacchi delle pareti al pavimento, i passaggi dei vari impianti (elettrico, termico, idraulico).

Il principale danno per la salute legato all’esposizione al radon nelle abitazioni è un aumento statisticamente significativo del rischio di tumore polmonare. A livello mondiale, il radon è considerato il contaminante radioattivo più pericoloso negli ambienti chiusi ed è stato valutato che il 50% circa dell’esposizione media delle persone a radiazioni ionizzanti è dovuto al radon.

IARC: gas radon gruppo 1 sostanze cancerogene

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), attraverso l’International Agency for Research on Cancer (Iarc), ha infatti classificato il gas radon come appartenente al gruppo 1 delle sostanze cancerogene per l’essere umano.

Vedi la lista IARC 2017

Il Radon (222Rn) è estremamente pericoloso poichè dovuto al fatto che essendo gassoso può facilmente spostarsi dal punto di generazione ed addirittura essere inalato all'interno dell'organismo, proseguendo la serie di decadimento dell'Uranio all'interno dei polmoni.

Chimicamente il radon è un gas nobile, incolore, inodore, insapore e quasi inerte, solo moderatamente solubile nell’acqua.

Il radon (Rn-222) è presente in tracce nel sottosuolo quasi ovunque e la sua concentrazione può variare anche di molti ordini di grandezza. Le rocce che possono emanare maggiori quantità di radon, sono quelle a maggiore contenuto d’uranio/radio (tufi, granito e porfido). Più le rocce sono permeabili o fratturate, più è favorita l’emissione del radon, mentre in una roccia compatta, il radon rimane imprigionato. Se il sottosuolo è permeabile (detriti) e in terreni con rocce molto fratturate, con molti spazi vuoti, è più facile che il radon riesca ad arrivare fino in superficie, per effetto di correnti d’aria o di acqua sorgiva o piovana infiltrata. Negli ambienti chiusi (edifici), specialmente se scarsamente aerati, il radon può concentrarsi raggiungendo anche concentrazioni molto elevate. Nelle case, il radon può giungere attraverso crepe, fessure o punti aperti delle fondamenta, con particolare interessamento dei locali seminterrati o al pianterreno. Anche i materiali da costruzione, possono determinare un problema di inquinamento da radon, se vengono utilizzati i tipi di rocce sopra citati.


Radon passaggio

Fig. 1 - Canali di passaggio gas radon (Esempio)

Per quanto riguarda l'esposizione al Radon in ambienti chiusi, la direttiva 2013/59/Euratom richiede agli Stati membri di stabilire livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni in ambienti chiusi.

I livelli di riferimento per la media annua della concentrazione di attività in aria, non devono essere superiori a 300 Bq/m3.

Radon

Fig. 2 - Strumento misurazione Radon

Gli stati dovranno anche individuare le abitazioni che presentano concentrazioni di radon superiori al livello di riferimento (come media annua) e, se del caso, provvedere affinché vengano adottate in tali abitazioni, misure di riduzione della concentrazione di radon.
Italia RadonMapISS

Fig. 3 - Radon in IT (Fonte ISS)

A seguire gli articoli della direttiva riferiti al radon.

Direttiva 2013 59 euratom radon

Articolo 54 Radon nei luoghi di lavoro

1. Gli Stati membri stabiliscono livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di radon nei luoghi di lavoro. Il livello di riferimento per la media annua della concentrazione di attività aerea non deve essere superiore a 300 Bq/m3, a meno che un livello superiore non sia giustificato dalle circostanze esistenti a livello nazionale.
2. Gli Stati membri dispongono che le misurazioni del radon siano effettuate:
a) in luoghi di lavoro all'interno delle zone individuate conformemente all'articolo 103, paragrafo 3, situati al pianterreno o a livello interrato, tenendo conto dei parametri contenuti nel piano d'azione nazionale di cui al punto 2 dell'allegato XVIII, nonché
b) in specifiche tipologie di luoghi di lavoro identificate nel piano d'azione nazionale tenendo conto del punto 3 dell'allegato XVIII.
3. Nelle zone all'interno dei luoghi di lavoro in cui la concentrazione di radon (come media annua) continua a superare il livello di riferimento nazionale nonostante le azioni intraprese conformemente al principio di ottimizzazione di cui al capo III, gli Stati membri dispongono che tale situazione sia notificata conformemente all'articolo 25, paragrafo 2, e si applica l'articolo 35, paragrafo 2.

Articolo 74 Esposizione al radon in ambienti chiusi

1. Gli Stati membri stabiliscono livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di radon in ambienti chiusi. I livelli di riferimento per la media annua della concentrazione di attività in aria non devono essere superiori a 300 Bq/m3.
2. Nell'ambito del piano d'azione nazionale di cui all'articolo 103, gli Stati membri promuovono interventi volti a individuare le abitazioni che presentano concentrazioni di radon (come media annua) superiori al livello di riferimento e, se del caso, incoraggiano, con strumenti tecnici o di altro tipo, misure di riduzione della concentrazione di radon in tali abitazioni.
3. Gli Stati membri provvedono affinché siano rese disponibili informazioni locali e nazionali sull'esposizione al radon in ambienti chiusi e sui rischi per la salute che ne derivano, sull'importanza di effettuare misurazioni della concentrazione di radon e sui mezzi tecnici disponibili per ridurre le concentrazioni di radon esistenti.

Articolo 75 Radiazioni gamma emesse da materiali da costruzione

1. Il livello di riferimento applicabile all'esposizione esterna in ambienti chiusi alle radiazioni gamma emesse da materiali da costruzione, in aggiunta all'esposizione esterna all'aperto, è fissato a 1 mSv all’anno.
2. Per i materiali da costruzione che sono stati individuati dagli Stati membri come oggetto di attenzione dal punto di vista della radioprotezione, tenendo conto dell'elenco indicativo di materiali di cui all'allegato XIII in riferimento alle radiazioni gamma emesse da tali materiali, gli Stati membri garantiscono che, prima dell'immissione sul mercato di tali materiali:
a) siano determinate le concentrazioni di attività dei radionuclidi specificati nell'allegato VIII e che
b) siano fornite su richiesta alle autorità competenti informazioni sui risultati delle misurazioni e il corrispondente indice di concentrazione di attività, nonché altri fattori pertinenti come definito nell'allegato VIII.
3. Per i tipi di materiali da costruzione determinati in base al paragrafo 2 che possono comportare dosi superiori al livello di riferimento, gli Stati membri decidono in merito alle misure appropriate da adottare, che possono comprendere obblighi specifici nell'ambito di norme edilizie pertinenti o restrizioni specifiche sull'uso previsto di tali materiali.

La direttiva 2013/59/Euratom deve recepita nell’ordinamento nazionale, entro il 6 febbraio 2018, ma indipendentemente da tale termine e dagli obblighi che saranno introdotti dalla legislazione di recepimento nazionale, si dovrebbe già procedere ad un monitoraggio di tutti gli ambienti civili, soprattutto in quelle zone geografiche, nelle quali il sottosuolo è caratterizzato dalla diffusa presenza di rocce ad elevato contenuto di radio, quali tufi, graniti e porfidi.
...

Vedi Documento aggiornato al D.Lgs. 101/2020

Direttiva 2013/59/EURATOM
...
ALLEGATO XVIII
Elenco di elementi da considerare nell'elaborazione del piano d'azione nazionale per affrontare i rischi di lungo termine derivanti dall'esposizione al radon di cui agli articoli 54, 74 e 103


1) Strategia per l'esecuzione di indagini sulle concentrazioni di radon in ambienti chiusi o concentrazioni di gas nel suolo al fine di stimare la distribuzione delle concentrazioni di radon in ambienti chiusi, per la gestione dei dati di misurazione e per la determinazione di altri parametri pertinenti (quali suolo e tipi di roccia, permeabilità e contenuto di radio-226 della roccia o del suolo).

2) Metodologie, dati e criteri utilizzati per la classificazione delle zone o per la determinazione di altri parametri che possano essere utilizzati come indicatori specifici di situazioni caratterizzate da un'esposizione al radon potenzialmente elevata.

3) Identificazione delle tipologie di luoghi di lavoro ed edifici pubblici, ad esempio scuole, luoghi di lavoro sotterranei e luoghi di lavoro o edifici pubblici ubicati in determinate zone in cui sono necessarie misurazioni della concentrazione di radon sulla base di una valutazione del rischio, tenendo conto ad esempio delle ore di occupazione.

4) Le basi per la determinazione di livelli di riferimento per le abitazioni e i luoghi di lavoro. Se del caso, le basi per la determinazione di diversi livelli di riferimento per i diversi usi degli edifici (abitazioni, edifici pubblici, luoghi di lavoro) e per gli edifici esistenti e nuovi.

5) Assegnazione di responsabilità (governative e non governative), meccanismi di coordinamento e risorse disponibili per la messa in atto del piano d'azione.

6) Strategie per la riduzione dell'esposizione al radon nelle abitazioni e per affrontare in via prioritaria le situazioni di cui al punto 2.

7) Strategie volte a facilitare interventi di risanamento dopo la costruzione.

8) Strategia, compresi i metodi e gli strumenti, per prevenire l'ingresso del radon nei nuovi edifici, inclusa l'identificazione di materiali da costruzione con esalazione di radon significativa.

9) Tempistiche delle revisioni del piano d'azione.

10) Strategia per la comunicazione finalizzata a sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica e a informare i responsabili delle decisioni a livello locale, i datori di lavoro e i dipendenti in merito ai rischi del radon, anche associati al consumo di tabacco.

11) Orientamenti riguardanti i metodi e gli strumenti per le misurazioni e gli interventi di risanamento. Occorre considerare anche l'opportunità di definire criteri per l'accreditamento dei servizi di misurazione e dei servizi che effettuano interventi di risanamento.

12) Se del caso, sostegno alle indagini finalizzate al rilevamento del radon e agli interventi di risanamento, soprattutto per quanto concerne le abitazioni private con concentrazioni di radon estremamente elevate.

13) Obiettivi di lungo termine in termini di riduzione del rischio di cancro dei polmoni attribuibile all'esposizione al radon (per fumatori e non fumatori).

14) Se del caso, presa in considerazione di altre questioni associate e programmi corrispondenti, quali programmi sul risparmio energetico e la qualità dell'aria in ambienti chiusi.

ENEA Servizio di valutazione della concentrazione di radon

Il Servizio di valutazione della concentrazione di radon dell'Istituto di Radioprotezione ENEA consente la valutazione del rischio di esposizione a radionuclidi naturali e di esposizione interna a radioisotopi alfa emettitori mediante campionamento ambientale passivo o attivo.

Il Servizio è rivolto a Datori di lavoro/esercenti di pratiche con rischi di inalazione di radioisotopi alfa emettitori e a privati cittadini.

http://www.irp.enea.it/it/servizi/servizio-di-valutazione-della-concentrazione-di-radon



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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 38374 | 09 Agosto 2018

ID 6677 | | Visite: 2273 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Ribaltamento dell'autocarro aziendale e morte del lavoratore

Area pericolosa e mancanza di cintura di sicurezza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 38374 Anno 2018

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 18/07/2018

Ritenuto in fatto 

1. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe, ha riformato la pronuncia di condanna emessa nei confronti di S.G. e S.M. in data 22/05/2014 dal Tribunale di Vicenza, assolvendo S.M. dal reato ascritto al capo A) con formula «perché il fatto non costituisce reato», dichiarando non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati per i reati ascritti ai capi B) e C) perché estinti per prescrizione, rideterminando in un anno e mesi sei di reclusione la pena nei confronti di S.G. in relazione al reato di cui al capo A) e condannando tale imputato al pagamento delle spese di lite in favore della parte civile.
2. Si era contestato a S.G., socio della S.G. e S.M. s.n.c., impresa di scavi e movimentazione terra, di aver cagionato per colpa generica e specifica il decesso del dipendente M.A., avvenuto per trauma da schiacciamento toracico e della base del collo in quanto, operando a bordo dell'autocarro aziendale MAN, dopo essere entrato nel cantiere per una via non prevista dal P.S.C. e nonostante la delimitazione dell'area, eseguendo manovre di carico e scarico di materiale di riporto su un viottolo sterrato, del tutto inidoneo al transito dei mezzi pesanti in ragione della pendenza e delle dimensioni, si era ribaltato rotolando a valle mentre stava scaricando materiale, con il cassone alzato, alterandone il già precario equilibrio.
2.1. Il fatto per cui è processo è stato così ricostruito dal giudice di primo grado: M.A. si trovava, il 25 settembre 2009, con il datore di lavoro S.G. in un cantiere temporaneo adibito alla costruzione di un'abitazione privata sulle colline di Castelgomberto; inizialmente, mentre il S.G. sbancava uno strato di roccia usando lo scavatore piccolo dotato di martello pneumatico, il M.A. rimuoveva i resti dello scavo con lo scavatore più grande dotato di pala, buttandoli in un'area adibita allo scarico dei materiali di risulta; nel tardo pomeriggio, il lavoratore era alla guida di un imponente autocarro MAN a tre assi largo m.2,50, dotato di cassone ribaltabile, e si era posto su una strada sterrata (capezzagna) che passava in prossimità della zona di scarico oltrepassando la linea di confine del cantiere, la cui rete di delimitazione presentava in prossimità della stradina sterrata un varco di ampiezza tale da consentire il passaggio dei mezzi; nella zona immediatamente esterna al cantiere, l'autocarro aveva fatto due o tre manovre nello spazio a disposizione sulla strada, larga m.2,70, ponendosi di traverso ma alcuni testimoni che osservavano dalla loro abitazione tali manovre avevano riferito che, allorché il cassone era stato sollevato per scaricare il materiale a valle, si era ribaltato rotolando lungo il pendio; pur non essendo possibile stabilire se la perdita di equilibrio del mezzo fosse ascrivibile al cedimento del ciglio stradale verso valle, essendo presente uno smottamento, ovvero alla posizione instabile assunta dall'autocarro, che aveva le ruote anteriori a monte in posizione più elevata rispetto alle posteriori, il Tribunale aveva ritenuto tutte le manovre in nesso di causa con l'evento, che in ogni caso non avrebbe provocato i gravissimi politraumi a danno del lavoratore, in ragione del fatto che la cabina del camion era rimasta integra, ove quest'ultimo avesse indossato la cintura di sicurezza presente sul mezzo; al datore di lavoro era addebitabile la violazione delle regole di sicurezza indicate nel P.S.C., che non autorizzava a percorrere la stradina sterrata, alla quale si poteva invece accedere perché la rete di recinzione era stata tagliata prima dell'infortunio, nonché l'omessa previsione nel P.O.S. del rischio di ribaltamento dell'autocarro derivante dalla movimentazione del cassone e l'omessa previsione di misure idonee ad evitare il rischio di ribaltamento dell'autocarro da cedimento del fondo stradale, fatta eccezione per la cautela di percorrere le zone all'Interno del cantiere a velocità ridotta; il datore di lavoro aveva, altresì, omesso di imporre al dipendente l'uso della cintura di sicurezza all'interno dell'area di cantiere.
2.2. In replica alla tesi difensiva secondo la quale il lavoratore avesse utilizzato un mezzo normalmente adibito a distributore di carburante, fosse uscito dall'area di cantiere e si fosse posto in posizione precaria contravvenendo, senza che il S.G. potesse rendersene conto dalla posizione in cui si trovava, alle precise direttive impartitegli dal datore di lavoro alla presenza di terzi, la Corte di Appello ha così ricostruito la dinamica dell'Infortunio e le responsabilità del datore: la posizione del cassone dopo il rotolamento del camion lungo la scarpata, intatto e collegato al pianale, escludeva che l'autocarro avesse perso aderenza al terreno per il sollevamento del cassone e, per altro verso, era dubbio che i testimoni, la cui attendibilità andava comunque soppesata, avessero una buona visuale dal loro punto di osservazione; il ribaltamento si era, piuttosto, verificato mentre l'autista si spostava in retromarcia lungo il viottolo in pendenza e su terreno sconnesso, avvicinandosi al deposito temporaneo di detriti accumulato nei pressi dello scavo; il lavoratore aveva, pertanto, portato l'autocarro in quel punto per caricare terra e detriti accumulati durante la giornata, servendosi della pala cingolata che era sulla capezzagna in un punto più vicino all'area di scavo, al fine di trasportare i materiali di risulta all'esterno del cantiere onde conferirli in discarica; anche se usualmente il camion veniva utilizzato dal S.G. entrando dalla strada principale del cantiere, prevista nel P.S.C., quel giorno l'ingresso principale era ostruito dalla presenza delle baracche; nessun testimone aveva dichiarato che il datore di lavoro avesse espressamente vietato al lavoratore di utilizzare il camion ed era ragionevole e logico sviluppo delle operazioni svolte nell'arco della giornata che l'operaio posizionasse l'autocarro in prossimità della montagnola dove era stato accumulato il materiale di risulta, distante circa cinquanta metri dalla zona dello scavo; il datore di lavoro era rimproverabile per avere omesso di prestare una continuativa assistenza al dipendente e di sincerarsi che indossasse la cintura di sicurezza, tanto più che l'ostruzione dell'entrata principale comportava rischi aggiuntivi che avrebbero imposto la massima vigilanza.
3. S.G. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) inosservanza o erronea applicazione degli artt.40, comma 2, e 43 cod. pen. Ricostruendo le aree di rischio di rispettiva competenza del datore di lavoro e del lavoratore in relazione alla lavorazione in corso, occorre escludere dall'area di rischio del datore le condotte del lavoratore che non abbiano attinenza con la lavorazione, non siano pertanto prevedibili ex ante. La Corte di Appello, affermando che sul datore incombeva un obbligo di vigilanza sul lavoratore, ha trascurato di considerare che il datore aveva apprestato tutti i presidi antinfortunistici e che avesse impartito idonee prescrizioni comportamentali;
b) inosservanza o erronea applicazione degli artt.40, comma 1, e 41, comma 2, cod. pen. La Corte di Appello ha trascurato di considerare che il datore di lavoro non fosse in condizione di prevedere che il lavoratore avrebbe con iniziativa del tutto autonoma impiegato un mezzo che era rimasto fermo per tutta la giornata lavorativa, anche perché per accumulare il terreno scavato non era necessario uscire dal cantiere, interamente recintato. Il sinistro, si assume, è la concretizzazione di un rischio alieno, diverso rispetto a quelli propri delle attività lavorative in essere nel cantiere, innescato dalla condotta oggettivamente imprevedibile del lavoratore, idonea ad interrompere il nesso causale;
c) inosservanza o erronea applicazione dell'art.43 cod. pen. perché il mancato esercizio della vigilanza non era soggettivamente rimproverabile all'imputato. La Corte di Appello ha tralasciato di accertare se il datore di lavoro fosse nella concreta condizione, mentre lavorava all'interno di una buca profonda due metri e mezzo, di accorgersi dell'iniziativa assunta dal lavoratore e per vigilare costantemente sul dipendente avrebbe dovuto smettere di lavorare;
d) inosservanza o erronea applicazione degli artt.40, comma 1, e 41, comma 2, cod. pen. nonché travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione. Il decesso del lavoratore è pacificamente avvenuto a causa del (\ mancato uso della cintura di sicurezza, ma la Corte territoriale ha tralasciato di considerare tale omissione, ascrivibile al lavoratore ed assolutamente imprevedibile da parte di un autista esperto, quale elemento interruttivo del nesso di causa;
e) inosservanza o erronea applicazione degli artt. 192 e 526, comma 1, lett.b) cod.proc.pen. nonché travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione. L'affermazione di responsabilità si fonda su una motivazione in cui sono state disattese le prove testimoniali e si è dato ingresso a congetture, svilendo le dichiarazioni di coloro che avevano visto la manovra di sollevamento del cassone sulla base dell'assunto congetturale che, se ciò fosse vero, il cassone si sarebbe sganciato e sulla supposizione che i tre testimoni avessero travisato l'alzata del cassone; si è supposto che l'autocarro occorresse per conferire i materiali in discarica, ma si tratta di argomento mai emerso; il teste C. aveva udito il S.G. dire al M.A. che quel giorno si sarebbe lavorato solo con l'escavatore e con la pala, ma i giudici di appello hanno apoditticamente escluso l'attendibilità del teste; l'affermazione secondo la quale il passaggio dal retro del cantiere sarebbe stato indotto dalla ostruzione dell'entrata principale è frutto del travisamento della prova, in quanto i testi hanno escluso che i mezzi dell'impresa fossero mai transitati attraverso la capezzagna;
f) inosservanza o erronea applicazione degli artt.181,191,192,194,354, 356 cod.proc.pen. e 114 disp.att. cod.proc.pen. ed omessa motivazione sul nono motivo di appello (sesto e settimo motivo di ricorso) per avere la Corte di Appello ritenuto utilizzabili gli accertamenti tecnici e la testimonianza dell'ausiliario di Polizia Giudiziaria, sebbene avesse svolto attività di carattere irripetibile senza dare avviso all'imputato, svolgendo accertamenti di carattere tecnico ai sensi dell'art.220 cod.proc.pen. per eseguire rilievi sulla capezzagna in violazione dell'art.360 cod.proc.pen. Tali prove sarebbero, in ogni caso, inattendibili in quanto prive di rigore scientifico ed inerenti ad un esame dei luoghi eseguito diversi giorni dopo l'infortunio su zona non sottoposta a sequestro.

Considerato in diritto

1. Logicamente preliminare è la soluzione delle questioni inerenti a vizi procedurali incidenti sull'utilizzabilità della prova, dedotte con il sesto ed il settimo motivo di ricorso.
1.1. Si tratta di motivi inammissibili.
La Corte di Appello non ha, infatti, omesso di esaminare la censura ed ha, anzi, esaminato nella sua integralità (pag.17) l'analoga doglianza svolta nell'atto di gravame, rimarcando che il cantiere era stato sottoposto nell'immediatezza del fatto a sequestro preventivo, regolarmente convalidato dal Giudice per le indagini preliminari con contestuale emissione del decreto di sequestro preventivo eseguito il 2 ottobre 2009. E', quindi, smentito dal tenore del provvedimento impugnato il presupposto sul quale si basa la censura inerente all'utilizzabilità delle prove, ossia l'irripetibilità degli accertamenti tecnici eseguiti sullo stato dei luoghi in quanto, in assenza di sequestro, soggetti a modificazione.
1.2. Ma, a monte di tale rilievo, va evidenziata la genericità della censura, che non indica quali siano le prove, poste a fondamento della decisione, asseritamente inutilizzabili in quanto formate in base ad accertamenti tecnici non ripetibili, che si sarebbero dovuti eseguire nel rispetto della procedura prevista dall'art.360 cod.proc.pen.
1.3. Va chiarito, in tema di accertamenti urgenti, che nel concetto di accertamento non sono comprese la constatazione o la raccolta dei dati materiali pertinenti al reato o alla sua prova, i quali si esauriscono in semplici «rilievi» di natura meramente ricognitiva, ancorché connotati dal carattere dell'urgenza; l'accertamento tecnico riguarda, piuttosto, lo studio e la elaborazione critica dei medesimi dati materiali, onde la irripetibilità dei rilievi, più specificamente dell'acquisizione dei dati da sottoporre ad esame, non implica l'irripetibilità dell’accertamento tecnico in quanto il rilievo non comporta, necessariamente, l'immutazione dello stato delle persone, delle cose o dei luoghi. La procedura prescritta dall'art.360 cod.proc.pen. concerne, invece, esclusivamente gli accertamenti di natura tecnica da eseguire su persone, cose o luoghi il cui stato sia soggetto a modificazione, con lo scopo di garantire all'indagato di partecipare all'atto ovvero di conoscere la metodica seguita per raggiungere l'elaborazione del dato. Non costituiscono, pertanto, accertamenti tecnici ai sensi dell'art.360 cod.proc.pen. i rilievi meramente ricognitivi dello stato dei luoghi che, in quanto privi di elementi valutativi, lascino impregiudicata la formazione della prova nel contraddittorio delle parti (Sez. 1, n. 23156 del 09/05/2002, Maisto, Rv. 22162101).
1.4. Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha affermato, circa le garanzie difensive, che il diritto di difesa fosse garantito dal non essere precluso all'imputato l'esame dei luoghi in costanza di sequestro né l'esame dell'ausiliario in veste di testimone sulle misurazioni eseguite.
1.5. La genericità del motivo non consente, in ogni caso, di qualificare l'atto come rilievo ovvero accertamento tecnico né, in quest'ultimo caso, di valutare se si sia trattato di accertamento tecnico irripetibile. 
2. Esaminando il quinto motivo di ricorso, si tratta di censura che non supera il vaglio di ammissibilità.
2.1. Esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 20794501). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art.606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 23410901). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.24418101). Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio ed una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi con la dovuta specificità con l'iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la sua responsabilità penale.
2.2. Le censure proposte sotto l'egida del travisamento della prova si risolvono, in realtà, in una istanza di nuova valutazione delle prove, che non è ammessa nel giudizio di legittimità. La Corte territoriale ha, infatti, messo a confronto le prove e gli indizi, segnatamente le tracce lasciate dall'autocarro, lo stato del mezzo, i documenti sulla sicurezza P.C.S. e P.O.S., la rete di cinta del cantiere aperta, la vicinanza del luogo dell'infortunio rispetto allo scavo, con la prova dichiarativa, desumendone non illogicamente che il lavoratore intendesse eseguire, a fine giornata, il carico dei materiali di risulta sul cassone del camion. Ogni altro rilievo concerne passaggi non essenziali della sentenza (ad esempio, il previsto conferimento dei materiali in discarica) ed è, in quanto tale, inidoneo a cogliere nodi critici della motivazione senza sconfinare nel territorio del giudizio di merito.
2.3. Le ragioni poste a sostegno di tale, discrezionale, valutazione non risultano manifestamente illogiche, sono fondate su dati di fatto non travisati, come ad esempio il contenuto dei documenti sulla sicurezza ovvero la sconnessione e la pendenza del terreno sul quale il lavoratore stava eseguendo la manovra in prossimità dei detriti accumulati nei pressi dello scavo, e su argomenti aderenti a chiare emergenze istruttorie, come ad esempio la limitata visuale dalla quale alcuni testimoni avevano assistito al fatto ovvero la posizione di quiete del camion e del cassone dopo il ribaltamento e le dichiarazioni testimoniali dalle quali emergeva che il camion fosse utilizzato per caricare mezzi e materiali.
2.4. Inoltre, in tema di prova nel processo penale, trova ingresso il principio del libero convincimento del giudice sulla base delle prove sottopostegli dalle parti, espresso nel primo comma dell'art.192 cod.proc.pen., secondo cui «Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati», nel caso in esame pienamente rispettato.
3. Esaminando, ora, i primi tre motivi di ricorso, con essi viene impugnato il capo della sentenza in cui, escludendo l'abnormità della condotta del lavoratore, si è pervenuti all'affermazione di responsabilità per omessa assistenza al lavoratore e per omessa vigilanza sul suo operato da parte del datore di lavoro. Si afferma, in sostanza, l'insussistenza dell'obbligo di vigilanza del datore con riguardo a lavorazioni che siano fuori dall'area di rischio delimitata dalla lavorazione in corso, perché rispetto a tali lavorazioni il datore non assumerebbe la posizione di garante, trattandosi di rischi imprevedibili; si sostiene, quindi, che le attività poste in essere dal lavoratore e concretanti rischi diversi da quelli propri delle attività di cantiere sarebbero abnormi ed idonee ad interrompere il nesso di causalità tra l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro e l'evento; in ogni caso, nessun rimprovero si sarebbe potuto muovere al datore di lavoro perché, date le circostanze del caso concreto, egli non avrebbe potuto agire altrimenti: l'osservanza dell'obbligo di vigilanza non sarebbe stato, in altre parole, da lui esigibile.
3.1. Per un corretto inquadramento della fattispecie concreta, è bene subito sottolineare che, secondo quanto si legge a pag.14 della sentenza di appello, l'autocarro dal cui ribaltamento è derivato il decesso del lavoratore era indicato nel P.O.S. dell'impresa S.G. s.n.c. tra gli attrezzi da lavoro ed aveva la funzione di trasportare all'interno del cantiere «materiali da costruzione o provenienti dagli scavi e dalle demolizioni»; con riferimento alla movimentazione dell'autocarro all'Interno del cantiere, il Piano di Sicurezza aveva previsto il pericolo di cedimento del fondo e di ribaltamento dell'autocarro durante le manovre, onde emerge l'inconsistenza dell'affermazione secondo la quale l'infortunio si sarebbe verificato mentre il lavoratore svolgeva attività estranee al rischio gestito dal datore di lavoro. Coerentemente, nella stessa decisione di primo grado si era, con chiarezza, affermato che la destinazione tipica ed usuale dell'autocarro fosse quella di trasportare il materiale di risulta dalla zona degli scavi a quella del deposito temporaneo, percorrendo una distanza tale che l'escavatore con pala meccanica, utilizzato nel corso della giornata dalla vittima, non avrebbe potuto percorrere senza disperdere il materiale lungo il percorso. Risulta, altresì, centrale il rilievo che il lavoratore deceduto fosse stato assunto con le mansioni di autista e che fosse munito di patente abilitante alla guida dell'autocarro in questione. L'utilizzazione dell'autocarro da parte del lavoratore per caricare i materiali di risulta dello scavo effettuato nella giornata è stata inserita, dunque, con piena aderenza ai fatti ed alle risultanze istruttorie, nell'area di rischio gestita dal datore di lavoro.
3.2. Le considerazioni che precedono spianano la strada al giudizio di infondatezza della censura inerente all'asserita estraneità della condotta del lavoratore al rischio proprio delle attività di cantiere, dunque all'interruzione del nesso causale tra le omissioni attribuite al datore di lavoro e l'evento.
E' vero che, per moderare il rigore del principio di equivalenza delle cause contenuto nell'art. 41, comma 1, cod. pen., il legislatore ha dato rilievo alle cause sopravvenute che siano idonee ad interrompere il nesso causale; ed è anche vero che non si può trattare di cause che inneschino un processo causale del tutto autonomo da quello innescato dall'agente, perché altrimenti la disposizione dell'art.41, comma 2, cod. pen. si sostanzierebbe in una mera ripetizione del principio condizionalistico. E', però, necessario che la causa sopravvenuta con efficacia interruttiva del nesso causale sia idonea ad assorbire per intero il processo causale, così da far degradare la condotta del trasgressore a mera occasione dell'evento. Deve pertanto trattarsi di un processo non completamente avulso dall'antecedente e tuttavia sufficiente a determinare l'evento, secondo un'accezione di sufficienza che non indica tanto «totale indipendenza dalla condotta dell'imputato» quanto piuttosto «probabilità minima, trascurabile, di verificarsi» (Sez.4, n.49662 del 30/09/2014, Adamo, n.m.).
In tale accezione, la condotta del lavoratore che si inserisca a pieno titolo nell'ambito delle mansioni per le quali è stato assunto e che rappresenti lo sviluppo naturale dell'organizzazione delle lavorazioni alle quali afferisce la sua opera, ancorché caratterizzata da imprudenza, non può integrare una causa sopravvenuta idonea ad escludere il nesso causale tra gli obblighi di protezione gravanti sul datore e l'evento lesivo (Sez. 4, n. 9967 del 18/01/2010, Otelli, Rv. 24679701). Tanto vale per la condotta del lavoratore che abbia concorso nella determinazione di quel medesimo evento cui avrebbe condotto il percorso , causale facente interamente capo al datore di lavoro, qualora non fosse intervenuta quell'ulteriore addizione causale, ma vale anche nell'ipotesi in cui il fattore interferente, che si innesta nel decorso causale già innescato dalla condotta del trasgressore, aggravi l'evento che si sarebbe prodotto. Anche in tali casi non risulta comunque reciso il nesso causale e la concorrenza causale della condotta del lavoratore assume valore solo sul piano sanzionatorio.
3.3. Partendo dalle ragioni espresse dai giudici di merito che, con giudizio insindacabile in quanto sorretto dalla logica motivazione sopra richiamata, hanno negato valore alla tesi difensiva che tendeva a dimostrare che l'autocarro fosse nel cantiere come mero «distributore di carburante» in quanto dotato di serbatoio maggiorato, si giunge a ritenere congrua ed esente da vizi di legittimità l'attribuzione da S.G. della posizione di garanzia in qualità di datore di lavoro rispetto al corretto uso da parte del lavoratore degli «attrezzi di lavoro»; e si perviene, altresì, a ritenere corretto il giudizio espresso con riferimento al nesso di causalità tra omissione del datore di lavoro ed evento con riguardo al profilo, qui in esame, dell'intraneità della condotta del lavoratore alle lavorazioni in corso.
3.4. Il terzo profilo di censura concerne l'asserita inesigibilità di una diversa condotta da parte di S.G.. Egli si trovava intento allo scavo, in una posizione dalla quale non vedeva cosa facesse l'autista, senza possibilità di udire rumori in quanto, utilizzando il demolitore con martello pneumatico, indossava le cuffie. La Corte di Appello ha esaminato la questione ed ha attribuito rilievo alle seguenti circostanze, per desumerne l'esigibilità da parte del datore di lavoro di un atteggiamento di massima vigilanza sull'operato del lavoratore: nessun testimone aveva dichiarato che il datore di lavoro avesse vietato al lavoratore di usare il camion; l'operaio era munito di apposita patente per guidare quel mezzo; Il trasporto dei detriti prodotti dall'attività di scavo era funzionale all'attività d'impresa; quel giorno, l'entrata principale del cantiere era ostruita ed il rischio aggiuntivo causato dall'esecuzione della manovra in condizioni di maggiore pericolo non poteva essere gestito autonomamente dal lavoratore.
Si trattava, in altre parole, secondo la Corte territoriale, di un controllo esigibile dal datore di lavoro in quanto era prevedibile che l'uso del mezzo meccanico in un'area con caratteristiche di pendenza e di larghezza tali da rendere pericolosa la manovra potesse comportare la perdita di controllo dello stesso, da ciò derivando la necessità di sollecitare l'attenzione del lavoratore, assisterlo nella manovra ovvero vietare l'uso di quel mezzo. L'obbligo di compiere, dunque, atti di vigilanza ed assistenza, quale logica conseguenza dell'accertata strumentalità dell'uso dell'autocarro all'attività di trasporto dei materiali di risulta dello scavo.
Se, poi, sia legittimo e conforme a legge asserire che il datore di lavoro sia tenuto a vigilare, momento per momento, sull'attività del lavoratore non è questione che possa essere posta in termini generali ed astratti, trattandosi di questione che pone soluzioni diversificate caso per caso in relazione alla struttura ed all'organizzazione dell'impresa. Qui viene in esame la figura del corredo di obblighi che gravano sul datore di lavoro esecutore al quale non si affianchino altre figure operative prossime al posto di lavoro, considerato che tale era la struttura imprenditoriale nel cui ambito si è verificato l'infortunio e sulla quale andavano calibrati i doveri datoriali. E non vi è dubbio che l’obbligo di vigilanza datoriale, in imprese individuali ed in assenza di altri soggetti (preposto o capo cantiere) ai quali siano trasferite competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo, si sostanzi nel controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni, non potendo incidere sul giudizio di esigibilità della condotta la circostanza che il datore di lavoro svolga in prima persona l'attività d'impresa unitamente ai lavoratori. La pronuncia si pone, pertanto, in linea con il principio secondo il quale il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo, non solo di predisporre le misure antinfortunistiche ma anche, di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione dì cui all’art. 2087 cod. civ., egli é costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. U, n.5 del 25/11/1998, dep. 1999, Loparco, Rv. 21257701; Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 26320001; Sez. 4, n. 20595 del 12/04/2005, Castellani, Rv. 23137001).
4. Si viene, ora, ad esaminare il quarto motivo di ricorso.
4.1. Va osservato che l'infortunio è stato messo in relazione causale con il mancato utilizzo del dispositivo costituito dalla cintura di sicurezza, presente sul veicolo ma non agganciata dal lavoratore allorché si è posto alla guida; i giudici di merito hanno affermato che non potesse «essere esclusa l'efficacia salvifica delle cinture di sicurezza se indossate», con espressione dubbiosa ma anche ovvia circa la possibile rilevanza causale dell'omesso uso di tale dispositivo.
4.2. La Corte di Appello, apprezzando il rimprovero mosso all'imputato per la mancata vigilanza circa il mancato uso della cintura di sicurezza da parte del lavoratore, ha in sostanza escluso che potesse ascriversi al datore di aver messo a disposizione del lavoratore un mezzo insicuro. Il giudice di appello ha, piuttosto, individuato quale ulteriore antecedente causale dell’evento la violazione dell’obbligo di vigilare sull’utilizzo della cintura di sicurezza da parte del lavoratore; ma siffatto obbligo rimanda alla primigenia area di rischio gestita dal datore in assenza di preposti ai quali sia assegnato il compito di sovrintendere alla attività lavorativa. Per altro verso, l'esecuzione di una manovra su una stradina sterrata di larghezza quasi pari a quella dell'autocarro rendeva di per sè evidente e prevedibile la possibilità che, in determinate condizioni d'uso, il camion potesse scivolare o ribaltarsi se posto in posizione di equilibrio precario.
4.3. Si è quindi affermato, con pronuncia che non ha riconosciuto efficienza causale autonoma all'omesso uso della cintura di sicurezza, che l'imputato avesse omesso di attuare una cautela il cui rispetto avrebbe evitato l'evento, sia in rapporto alla componente di rischio connessa al cedimento del terreno sia in rapporto alla componente di rischio connessa alle conseguenze dannose della guida del veicolo senza cintura di sicurezza, disattendendo il dovere di assicurarsi che il dipendente utilizzasse correttamente l'attrezzatura di lavoro, nel caso di specie manovrando l'autocarro in zona esente da rischi di ribaltamento, dovere derivante dalla sua posizione di garanzia e dal generale dovere datoriale di salvaguardare l'integrità fisica del lavoratore.
4.4. Si tratta di decisione conforme al dettato normativo, che tempera con l’art.41, comma 2, cod. pen. il principio condizionalistico ponendo un limite all'imputazione di un evento ad una determinata condotta umana purché si sia accertata la presenza di una causa appartenente ad una serie causale completamente autonoma ovvero inseritasi nella serie causale dipendente dalla condotta dell'imputato e purtuttavia dotata di forza propria nella determinazione dell'evento.
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18 luglio 2018

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Pericoli relativi ai gas inerti e alla carenza di ossigeno

ID 6668 | | Visite: 6446 | Documenti Sicurezza Enti

Gas inerti pericoli

Pericoli relativi ai gas inerti e alla carenza di ossigeno

Traduzione e adattamento del Documento EIGA Doc ICG 44/09/E Revisione del Doc ICG 44/00

Il presente documento è uno strumento di formazione destinato ai supervisori, ai manager di linea, agli operatori e agli utilizzatori di tutti gli impianti dove si producono, si conservano o i usano i gas inerti o dove potrebbe comunque verificarsi la mancanza di ossigeno. Il documento si compone di 4 parti: Il documento principale è destinato ai manager di linea e ai supervisori e contiene le informazioni di base sull’argomento, la descrizione dei casi tipici di mancanza di ossigeno e le misure di intervento consigliate da porre in atto in caso di incidente.

L’Appendice A è una sintesi semplificata del documento principale, da stampare in forma di opuscolo da distribuire agli operatori e agli utilizzatori finali.

L’Appendice B illustra i criteri di soccorso in caso di incidenti in locali normalmente accessibili, spazi ristretti, fosse e scavi.

L’Appendice C elenca alcune incidenti realmente accaduti in anni recenti, da usare come esempi per sottolineare i rischi potenzialmente mortali dei gas inerti.

L’Appendice D presenta un esempio di un segnale o cartello di pericolo da affiggere per sottolineare i pericoli relativi ai gas inerti e alle atmosfere asfissianti.

Assogastecnici 2009

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Assogastecnici 2009
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Valutazione rischio chimico: il modello Stoffenmanager

ID 6071 | | Visite: 12419 | Documenti Riservati Sicurezza

Guida VR Stoffenmanager

Scenari di esposizione Valutazione rischio chimico: il modello Stoffenmanager

ID 6071 | 03.05.2018

Lo scenario d’esposizione è definito nel Regolamento REACH come “l'insieme delle condizioni, comprese le condizioni operative e le misure di gestione dei rischi, che descrivono il modo in cui la sostanza è fabbricata o utilizzata durante il suo ciclo di vita ed il modo in cui il fabbricante o l'importatore controlla, o raccomanda agli utilizzatori a valle di controllare, l'esposizione delle persone e dell'ambiente”.

Lo scenario d’esposizione rappresenta il fulcro del processo di valutazione della sicurezza chimica(1) in quanto costituisce la base per la stima dell’esposizione ed, allegato alla Scheda di Dati di Sicurezza (SDS), è anche il maggior strumento di comunicazione delle informazioni lungo la catena d’approvvigionamento della sostanza. La stima dell’esposizione deve essere effettuata per ciascun scenario d’esposizione nella sua fase iniziale di sviluppo e successivamente affinata fino alla definizione dello scenario finale.

Il  processo  di  stima  dell’esposizione  dovrebbe  basarsi  su  misure sperimentali. In pratica, la disponibilità di dati reali d’esposizione è limitata e quindi, nella maggior parte dei casi, si deve ricorrere all’uso di modelli di calcolo. In particolare nel caso delle piccole e medie imprese (PMI), che si distinguono per un’elevata variabilità delle mansioni lavorative degli addetti e dei relativi tempi di esposizione, nonché delle modalità d’uso degli agenti chimici, gli algoritmi o i modelli di calcolo possono rappresentare uno strumento di grande utilità nella valutazione del rischio.

L’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA), nella Guida alle disposizioni in materia di informazione e alla valutazione della sicurezza chimica - Parte D [1], distingue tra modelli elaborati con l’intento di offrire una semplicità d’uso, ma intrinsecamente conservativi, e pertanto indicati ad essere utilizzati come modelli per uno screening iniziale (modelli di livello 1), e modelli più complessi di livello 2, che richiedono un maggior numero di dati di input e che forniscono stime d’esposizione più accurate e più aderenti ai dati sperimentali.
(1) CSA: Chemical Safety Assessment

Livello Tipo Uso
1 Semplicìtà d'uso (conservativi) Screening iniziali
2 Complessiun
(maggior numero di dati di input)
Stime d’esposizione più accurate e più aderenti ai dati sperimentali

Classificazione modelli valutazione della sicurezza chimica (ECHA)

IL MODELLO STOFFENMANAGER

Il modello Stoffenmanager è stato sviluppato in Olanda inizialmente per le piccole e medie imprese con l’intento di facilitare il controllo del rischio chimico e l’individuazione delle priorità tra gli interventi di prevenzione e protezione da mettere in atto.

Il modello è intermedio tra il livello 1 e 2, è un modello web-based, ossia utilizzabile tramite internet, e attualmente è fruibile in Inglese, Olandese e Finlandese dal sito web: https://www.stoffenmanager.nl; è disponibile in una versione  base,  gratuita,  e  in  una  versione  a  pagamento,  con  maggiori funzionalità che, ad esempio, consente di far interagire il modello con altri database. Il modello è disponibile in 2 moduli [5]:

1. un modulo “Control banding” che aiuta l’utilizzatore a dare priorità ai rischi per la salute dei lavoratori derivanti da sostanze pericolose ed è uno strumento di screening per determinare gli interventi da attuare. In questo senso, a partire dalle informazioni iniziali, il modello fornisce una stima delle fasce di rischio. Una volta stimato il rischio, possono essere prese in considerazione le misure da attuare e quindi si può stimare di nuovo il rischio.

2. un modulo “Quantitative exposure”; il modello è validato per la stima dell’esposizione inalatoria a vapori e polveri inalabili e restituisce un risultato in mg/m3. Si possono ottenere due valori stimati: uno, il caso peggiore, basato sul 90 percentile della distribuzione di esposizione e un altro basato su un percentile a scelta, ad esempio tra 50 o 70. Il valore ottenuto può essere confrontato con un valore limite.

Stoffenmanager classifica la pericolosità di sostanze e miscele in base alle frasi  R9 o H10, secondo lo  schema del COSHH  Essentials. (Technical documentation COSHH website) [6]; la versione 5.1 del modello è infatti aggiornata al Regolamento CLP)

(9) Frasi R: frasi di rischio
(10) Frasi H: Indicazioni di pericolo (Regolamento CLP)

Per la stima dell’esposizione inalatoria si basa su un approccio sorgente- recettore già sviluppato da Cherrie e Schneider [7], opportunamente modificato in alcuni punti in modo da renderlo utilizzabile dalle PMI, spesso carenti di personale esperto in igiene occupazionale; i parametri considerati sono i processi, le misure di controllo locali, la ventilazione generale, le caratteristiche dei prodotti [8]. Per la parte inalatoria è stato validato con circa 1000 misure di esposizione: i risultati mostrano una buona stima dell’esposizione, sufficientemente conservativa, anche se talora va adattato allo scenario [9].

Per la stima dell’esposizione  cutanea  il  modello  si  riferisce  a RISKOFDERM [10], modello basato su un gran numero di misure di esposizione in reali contesti lavorativi; Stoffenmanager contempla circa 700 misure di esposizione.

Per lavorare con il modello Stoffenmanager occorrono i dati contenuti nella scheda di sicurezza (SDS): la parte di stima del rischio finalizzata a definire la scala delle priorità degli interventi non è disponibile nei casi in cui per la sostanza o la miscela non sono disponibili frasi R o frasi H in base al CLP (es. farmaci): in questi casi va effettuato un processo di attribuzione di una frase R o H.

La parte relativa alla stima dell’esposizione inalatoria non presenta restrizioni; la parte dell’esposizione cutanea non è adatta per la caratterizzazione del rischio di prodotti contenenti sostanze etichettate come (molto)  tossiche  e  corrosive: il modello riconosce queste sostanze  dal numero CAS e avvisa l’utilizzatore.

Stoffenmanager può essere utilizzato per valutare l'esposizione inalatoria quantitativa a polveri inalabili, vapori ed aerosol di liquidi anche a bassa volatilità; è sconsigliato per la stima quantitativa nel caso di inalazione di fibre, gas o sostanze rilasciate nell'aria come risultato di tecniche di lavorazione a caldo, ad esempio la saldatura e brasatura.

I dati di base da inserire sono divisi in tre campi:

1.Informazioni generali:
- nome del prodotto;
- data di pubblicazione della SDS;
- produttore;
- stato fisico del prodotto
2. Valutazione del rischio
- informazioni di salute e sicurezza (frasi R, S, H e P tratti dalle SDS);
- composizione del prodotto (n.CAS e concentrazione tratta dalla SDS). 
3. Istruzioni di lavoro e registrazione delle sostanze pericolose
- categorie di pericolo (SDS);
- DPI e impianti di ventilazione (SDS).

Uno schema del modello è riportato in Figura 1.

Guida VR Stoffenmanager 00
Figura 1: schema del modello Stoffenmanager

Il risultato della valutazione nel modulo delle fasce di controllo è l’assegnazione di:

- Una fascia di pericolo per la sostanza. Tale assegnazione è basata sulle frasi di rischio od indicazioni di pericolo inserite nel modello e analizzate dallo stesso seguendo lo schema del COSHH.

Le categorie sono 5 (A, B, C, D, E): le sostanze ritenute più pericolose sono classificate in categoria E, le meno pericolose in categoria A (Figura 2)

- Una fascia di esposizione, stimata dal modello in base alla quantità di sostanza rilasciata, al tipo di operazione (durata e frequenza) e alla distanza dalla sorgente. Le classi previste sono 4: la classe 1 rappresenta l’esposizione più bassa, la 4 quella più alta (Figura 2).

- Un punteggio che indica il rischio per la salute, stimato dalla combinazione tra la fascia di pericolo e fascia di esposizione. La stima può essere riferita a 3 fasce: quella a rischio più elevata è la I (caratterizzata nel modello dal colore rosso), quella a rischio minore è la III (caratterizzata dal colore verde) (Figura 2).

Guida VR Stoffenmanager 02
Figura 2: schema della valutazione – modello Stoffenmanager

Assegnati i punteggi e la fascia di stima del rischio, il modello aiuta l’utilizzatore a scegliere le misure per ridurre o controllare il rischio, attraverso la funzione control scenario.

Con questa funzione vengono presentate una serie di possibili misure di prevenzione e protezione, raggruppate e ordinate secondo una sequenza denominata STOP-principle (Substitution, Tecnical measures, Operational measures, Personal protection)

(Tabella 3): sostituzione, misure tecniche di controllo sulla sorgente, nelle immediate vicinanze della sorgente, nello spazio di misura (ambiente di lavoro), modifiche al modo di lavorare (es. cabine), misure di protezione individuale dei lavoratori.

segue

Fonte: INAIL

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Certifico Srl - Rev. 0.0 2017
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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 30170 | 05 Luglio 2018

ID 6656 | | Visite: 2459 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Mancanza di impianti elettrici a norma nei plessi scolastici

Penale Sent. Sez. 3 Num. 30170 Anno 2018

Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: CORBETTA STEFANO
Data Udienza: 27/04/2018

Ritenuto in fatto

1. Con l'impugnata sentenza, il tribunale di Patti condannava E.S. alla pena di euro 3.000 di ammenda, condizionalmente sospesa, perché ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 70, comma 1, in relazione all'art. 87, comma 2, lett. a) d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella sua qualità di datore di lavoro, sindaco pro-tempore del comune di Gioiosa Marea, non metteva a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentati di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, in specie, non dotava i plessi scolastici gestiti dall'ente locale - scuola materna di va Convento, scuola elementare centro di via Gatto, scuola media San Francesco, scuola media centro e scuola elementare san Giorgio - di impianti elettrici a norma, ovvero di impianti dotati di certificato di conformità, con verifica di massa a terra e comunicazione di denuncia dell'impianto elettrico all'ASP di Messina-Spresal e all'Ispel. Fatti accertati il 7 novembre 2013

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, articolato in unico motivo, con cui deduce violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008 e 107 d.lgs. n. 267 del 2000. Assume il ricorrente che il tribunale avrebbe erroneamente individuato nell'imputato, nella veste di Sindaco, il soggetto responsabile delle accertate violazioni, che, per contro, in forza del principi di separazione tra funzioni di indirizzo politico e di gestione, sarebbero ascrivibili al dirigente responsabile, in via esclusiva, dell'attività amministrativa, ossia il dirigente dell'ufficio tecnico del Comune, che era il responsabile della manutenzione dell'edificio scolastico.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Occorre ricordare che il principio di distinzione tra ruolo politico e ruolo amministrativo nell'ambito dell'ente locale è espressamente affermata dall'art. 107 d.lgs. . 267 del 2000, a perché tale disposizione attribuisce "ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti" e stabilisce che questi "si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo" (comma 1). Ai sensi del successivo comma 2, spettano "ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli arti. 97 e 108".
E a ciò deve aggiungersi, con specifico riferimento al settore della sicurezza sul lavoro, che, a norma dell'art. 2, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008 per datore di lavoro si intende "Il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo".
2.1. In tale disposizione sono confluite le soluzioni adottate da parte della giurisprudenza nella vigenza della precedente normativa, laddove si era specificata la necessità di un atto espresso di individuazione del dirigente o del funzionario quale datore di lavoro, altrimenti rimanendo quella posizione in capo al vertice politico dell'Ente pubblico. Si era, in altre parole, riconosciuto carattere costitutivo all'atto dell'organo di vertice dell'Ente che attribuisse ad altri la qualità di datore di lavoro, data la natura originaria della posizione datoriale del dirigente, individuato in quanto tale dalla legge.
2.2. Corollario di tali affermazioni di principio, oggi recepite dal testo normativo, è che l'individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro è demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l'attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale, non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico. Nelle pubbliche amministrazioni, in altre parole, l'attribuzione della qualità di datore di lavoro a persona diversa dall'organo di vertice non può che essere espressa, anche perché comporta i poteri di gestione in tema di sicurezza. Sono gli organi di direzione politica che devono procedere all'individuazione, tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici, non essendo per tale ragione possibile una scelta non espressa e non accompagnata dal conferimento di poteri di gestione alla persona fisica; di conseguenza, in mancanza di tale individuazione permane in capo a suddetti organi l'indicata qualità, anche ai fini dell'eventuale responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica (Sez. 4, n. 35295 del 23/04/2013 - dep. 21/08/2013, R.C., Bendotti e altro, Rv. 256398).
Pertanto, il sindaco di un Comune va esente da responsabilità in materia antinfortunistica, in base all'art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 9 aprile 2008, 81, solo se procede all'individuazione dei soggetti cui attribuire in sua vece la qualifica di datore di lavoro (Sez. 3, n. 15206 del 22/03/2012 - dep. 20/04/2012, Passiu, Rv. 252383); viceversa, l'organo di direzione politica che non abbia espressamente attribuito la qualifica di datore di lavoro al dirigente del settore competente, conserva lui stesso la qualifica (Sez. 2, n. 32358, del 17/01/2017 - dep. 05/07/2017, non massimata; Sez. 4, n. 30214 del 12/04/2013 - dep. 12/07/2013, R.C. e Orciani, Rv. 255896).
3. Nel caso in esame, non risulta che lo E.S., nella veste di Sindaco del Comune - peraltro di modeste dimensioni - di Gioiosa Marea abbia espressamente attribuito la qualifica di datore di lavoro al dirigente del settore competente (tanto che la relativa questione non risulta che sia nemmeno stata dedotta nel giudizio di merito), con la conseguenza che egli stesso conservava detta qualifica.
Del resto, come evidenziato dal Tribunale con motivazione logica, le riscontrate criticità, relative agli impianti elettrici, furono segnalate dal dirigente dell'istituto comprensivo di Gioiosa Marea, L.Z., proprio (e solo) al Sindaco, il quale, ove avesse espressamente individuato un dirigente cui attribuire la qualifica di datore di lavoro, avrebbe investito costui della problematica; ma tale circostanza, come detto, non risulta affatto, a conferma che nessuna individuazione era stata compiuta dal Sindaco, il quale, pertanto, era l'unico soggetto cui attribuire la qualifica di datore di lavoro.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 27/04/2018.

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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 19509 | 23 Luglio 2018

ID 6632 | | Visite: 3144 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. 23 Luglio 2018 n. 19509

Sollevamento di contenitori pesanti dell'olio da parte della cuoca di una gastronomia e aggravamento di una patologia presente.

Omessa sorveglianza sanitaria e mancanza di DVR

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO
Data pubblicazione: 23/07/2018

Rilevato che

A.F. conveniva in giudizio davanti al giudice del lavoro di Bologna la società gastronomia Flora di G.M. e c. Snc nonché i soci illimitatamente responsabili G.M., S.M., G.J. e G.V., esponendo di essere stata dipendente della società (che si occupava della preparazione di prodotti gastronomici) con mansioni di cuoca dal 22 maggio 2000 al 3 giugno 2003, interessandosi anche di Filtrare al termine del turno di lavoro l'olio utilizzato durante la giornata, dovendo quindi sollevare vari contenitori pesanti; che prima della sua assunzione era stata sottoposta ad intervento chirurgico di erniectomia, e che nel novembre del 1999 si era verificata una recidiva con lombosciatalgia sinistra, nonché ulteriore recidiva nel gennaio nell'ottobre dell'anno 2001, che era stata ricoverata di urgenza il 20 febbraio 2003 con un successivo intervento di emilaminectomia L5 sinistra, asportazione di ernia discale L4-L5 + lisi cicatriziale per L5-S1 sx; che il lavoro svolto aveva aggravato il suo stato di salute, per responsabilità del datore di lavoro, con specifico riferimento alle normative in tema di movimentazione manuale dei carichi; che non era stato redatto il documento di valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e che vi era stata una totale omissione di sorveglianza sanitaria, non essendo stata sottoposta ad alcuna visita di preassunzione, ma solo ad una visita in data 30 marzo 2001 da parte del competente medico;
tanto premesso, aveva chiesto la condanna delle parti convenute al risarcimento del danno biologico patito pari al 9 / 10 % nonché del danno morale;
il giudice adito, con sentenza n. 555 del 4 ottobre 2007, rigettava la domanda, per cui proponeva appello la ricorrente, cui resisteva la società convenuta, restando contumaci i soci illimitatamente responsabili;
l'interposto gravame veniva altresì notificato agli eredi di G.M., nelle more deceduto, per cui si costituiva la sola G.M.;
la Corte d'Appello di Bologna, disposta ed espletata apposita c.t.u. medico-legale, con sentenza n. 809 in data 8 novembre 2012, pubblicata il 10 gennaio 2013 e notificata il 21 febbraio 2013, in accoglimento dell'interposto gravame, condannava le parti appellate, tra loro in solido, al risarcimento dei danni in favore dell'appellante, quantificato all'attualità in complessivi euro 11.000 a titolo di risarcimento del danno biologico e di quello morale, oltre ad euro 997,41€ spese mediche documentate, oltre accessori (compensate le spese di lite in ragione del 50%, condannate le parti appellate tra loro in solido al rimborso della residua quota a favore dell'appellante, così come ivi liquidata, oltre accessori di legge con distrazione a favore dei procuratori antistatari; spese di c.t.u. poste definitivamente a carico degli appellati tra loro in solido);
avverso l'anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi la GASTRONOMIA Flora di P.F. & C. s.n.c. (già Gastronomia Flora di G.M. & c. S.n.c.), nonché la stessa P.F. quale erede di G.M., con atto del 22 aprile 2013, cui ha resistito la sola A.F. Albina mediante controricorso del 3 giugno 2013, mentre le altre parti sono rimaste intimate;
nonostante i tempestivi avvisi di rito non risultano depositate memorie di parte, né requisitoria del pubblico ministero;

Considerato che

con il 1° motivo ex articolo 360 numero 3 c.p.c. è stata dedotta la violazione dell'articolo 2087 c.c., contestando quanto motivatamente deciso dalla Corte territoriale circa le direttive in proposito emesse da parte datoriale, che invece sarebbero state precise e vincolanti. Per contro, la Corte di merito lo aveva escluso, trattandosi di suggerimenti in ordine ad indicazioni, che lasciavano praticamente libera la lavoratrice di adeguarsi in proposito, non trattandosi ad ogni modo di responsabilità oggettiva; violazione degli articoli 5 e 16 s. Dl.vo n. 626/1994, nonché degli articoli 41 e seguenti del decreto legislativo n. 81/2008 in ordine alle visite mediche, atteso l'obbligo da parte del lavoratore di curare la propria sicurezza e di attenersi alle disposizioni e alle istruzioni fornite dalla società, segnalando altresì immediatamente le eventuali carenze;
con il 2° motivo, formulato ai sensi dell'articolo 360 n. 5 c.p.c., è stata lamentata l'omessa considerazione della effettiva consistenza dell'attività lavorativa, nella specie prestata dalla dipendente (spettando al collegio giudicante il dovere di esaminare e di valutare quale fosse l'effettiva consistenza della prestazione da parte della lavoratrice e le modalità di svolgimento delle operazioni di filtraggio dell'olio nonché la misura in cui la F. aveva svolto tale attività, così da fornire al consulente un dato di fatto per le proprie valutazioni medico-legali);
con il 3° motivo è stata lamentata la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 del codice di rito, in ordine alla asserita omessa pronuncia in relazione alle osservazioni alla consulenza tecnica di ufficio;
con il 4° motivo è stata, altresì, dedotta la nullità della sentenza con riferimento a pretesa nullità della consulenza tecnica di ufficio espletata, specialmente in ordine al quesito posto all'ausiliare in modo eccessivamente ampio, donde un irrituale potere di accertamento conferito al consulente tecnico, il quale peraltro aveva espletato indagini esorbitati dall'incarico ricevuto (che non richiedeva di accertare l'entità e le caratteristiche della prestazione lavorativa effettivamente svolta, ma solo di valutarne l'incidenza della causale sull'aggravamento della patologia discale), così sobbarcandosi un accertamento che solo il giudice avrebbe potuto compiere nel contradditorio tra le parti - rilievo che era stato tempestivamente proposto (ma senza indicare come, dove e quando nel ricorso del giudizio di secondo grado), però in seguito del tutto ignorato dalla sentenza qui impugnata, con conseguente vizio di omessa pronuncia, da cui era derivata la inattendibilità delle conclusioni in diritto ed in fatto basate sugli esiti della relazione, nonché la nullità della stessa sentenza. Inoltre, atteso lo sconfinamento dai limiti, intrinseci al mandato, delle indagini compiute, le stesse risultavano nulle per violazione dei principi di cui agli artt. 101 e 115 c.p.c. e restando prive di ogni valore probatorio anche solo indiziario, inficiavano di nullità la sentenza che su di essa (la c.t.u.) si fondava;
le anzidette doglianze appaiono inconferenti e comunque infondate alla stregua di quanto correttamente ed esaurientemente accertato dalla corte di merito, per giunta in base ad apposita consulenza tecnica di ufficio, sicché non possono rilevare ex articolo 360 c.p.c. le diverse opinioni per contro esposte da parte ricorrente, laddove in particolare i giudici di secondo grado hanno osservato che la stessa sentenza appellata aveva condivisibilmente affermato sulla scorta delle acquisite dichiarazioni testimoniali che la A.F. era tenuta a sollevare i contenitori di peso fino a 25 kg, mentre le circostanze fattuali evidenziate dal primo giudicante non erano sufficienti per escludere la responsabilità datoriale. In effetti, la datrice di lavoro aveva lasciato alla libera determinazione dei dipendenti la scelta del se e del quando richiedere l'aiuto dei compagni di lavoro nell'attività di sollevamento di pesi, essendosi la predetta limitata a dare semplici indicazioni sulla necessità di svuotare i contenitori un po' alla volta. Infatti, così operando la lavoratrice non aveva adempiuto all'ulteriore obbligo, che le competeva e consistente nel dovere di vigilare affinché le disposizioni impartite fossero effettivamente rispettate dai lavoratori e non lasciate, come invece verificatosi nel caso di specie, alla loro pura e semplice discrezionalità. Per giunta, le anzidette modalità organizzative (indifferenziate per tutti i dipendenti) non tenevano in alcun modo conto delle patologie, da cui era sicuramente affetta l'appellante fin da epoca antecedente alla sua assunzione, tant'è che la predetta pacificamente non risultava essere stata sottoposta ad alcuna visita medica in vista della sua assunzione, mentre successivamente la prima visita avvenne soltanto il 30 marzo 2001, perciò quasi un anno dopo rispetto alla data del 22 maggio 2000. Per di più, le operazioni di svuotamento dei contenitori di olio non erano di facile esecuzione, anche per l'esiguità degli spazi in cui dovevano essere effettuate, donde l'ulteriore gravosità di tali attività, soprattutto per la A.F., sia quando vi provvedeva da sola che con l'aiuto di taluni compagni di lavoro. La Corte bolognese rilevava, altresì, che la c.t.u. medico-legale, all'uopo espletata, aveva concluso nel senso di ritenere che l'attività lavorativa svolta dall'appellante durante il periodo maggio 2000 - maggio 2003 era stata concausa dell'aggravamento della patologia a carico del rachide dorso-lombare, di cui ella risultava affetta, con conseguente danno biologico, permanente e temporaneo, secondo quanto stimato in termini e di percentuale di durata. Peraltro, il c.t.u. aveva pure osservato che ad ogni modo la preesistenza della patologia a carico dei dischi intervertebrali rendeva la lavoratrice vulnerabile ad insulti biomeccanici anche modesti, ricordando altresì come dal acquisita documentazione medica fosse possibile desumere un progressivo peggioramento della patologia in questione, sino alla necessità dell'intervento chirurgico eseguito nel febbraio 2003, proprio in concomitanza con lo svolgimento dell'attività lavorativa presso la società appellata. Ne derivava, con ragionevole grado di probabilità, che le mansioni svolte dalla F., come sopra ricostruite, avessero provocato l'aggravamento denunciato. I rilievi mossi dalla società appellata avverso le risultanze peritali non venivano, poi, condivisi dalla Corte territoriale, risultando per un verso privi di riscontro probatorio in atti, tenuto conto in particolare delle diverse dichiarazioni rese dai testi T. e I.. D'altro canto, il c.t.u. aveva debitamente considerato le circostanze evidenziate dalla società, che però a suo avviso non erano risultate tali da giustificare conclusioni ben diverse cui lo stesso era pervenuto;
invero, le censure mosse con il primo motivo in ordine alle ivi ipotizzate violazioni di legge risultano infondate alla luce di quanto apprezzato in punto di fatto e ritenuto in diritto ex artt. 1218 e 2087 c.c. dalla Corte di merito, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in part. Cass. lav. n. 798 del 13/01/2017), secondo cui in tema di infortuni sul lavoro e di c.d. rischio elettivo, la ratio di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, laddove tuttavia la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, invero, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto (inoltre, secondo Cass. lav. n. 798/17 cit., ai sensi degli artt. 2087 c.c. e 7 del d.lgs. n. 626 del 1994, che disciplina l'affidamento di lavori in appalto all'interno dell'azienda, il committente, nella cui disponibilità permanga l'ambiente di lavoro, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell'impresa appaltatrice, e che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l'appaltatrice nell'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata.
V. pure, tra le altre, Cass. lav. n. 15047 del 04/07/2007, secondo cui costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Tale genere di rischio - che è in grado di incidere, escludendola, sull'occasione di lavoro - si connota per il simultaneo concorso dei seguenti elementi: a) presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa);
pure con sentenza n. 20051 del 06/10/2016 questa Corte ha osservato come, in materia di obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., gravino sul datore di lavoro specifici obblighi di informazione del lavoratore, al fine di evitare il rischio specifico della lavorazione, insuscettibili di essere assolti mediante indicazioni generiche (quali, nella specie ivi esaminati -del resto per molti versi simile a quella di cui si discute in questo processo- di "svuotare la carriola con il badile, per renderla più leggera" o di "non sollevarla quando completamente piena" rispetto ad un danno verificatosi a causa del sollevamento manuale del carico), in quanto in tal modo la misura precauzionale non risulta adottata dal datore di lavoro, ma l'individuazione dei suoi contenuti è inammissibilmente demandata al lavoratore; né l'obbligo di controllo può ritenersi esaurito nell'accertamento della prassi seguita in azienda, esigendosi, viceversa, una verifica riferita ai singoli lavoratori, attraverso specifici preposti e con riferimento ad ogni fase lavorativa rischiosa (cfr. anche Cass. lav. n. 944 del 24/01/2012, secondo cui in tema di obbligo di sicurezza sui luoghi di lavoro, l'accertato rispetto delle norme antinfortunistiche di cui agli artt. 47 e 48 del d.P.R. 19 settembre 1994, n. 626 e dell'allegato VI a tale decreto non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell'evento, con particolare riguardo all'assetto organizzativo del lavoro);
inoltre, va disatteso il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta, invero nel merito, l'argomentata ricostruzione dei fatti di causa operata dalla Corte distrettuale (conformemente altresì alle anzidette risultanze peritali), laddove è stato tra l'altro escluso ogni profilo di abnormità nella condotta osservata dalla lavoratrice, mentre la doglianza de qua non individua alcun preciso fatto, decisivo, trascurato dai giudici di secondo grado, processualmente rilevante ex art. 360 co. I n. 5 c.p.c., il cui testo, nella specie ratione temporis applicabile (trattandosi di sentenza risalente al novembre 2012 / gennaio 2013), come è noto, non contempla più la motivazione come tale, il cui difetto assume rilievo unicamente ove al disotto del c.d. minimo costituzionale (cfr., tra le altre, in proposito Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 2014), soglia che nel caso di specie non può dirsi affatto superata;
parimenti vanno respinti gli ultimi due motivi di ricorso, tra loro connessi e quindi congiuntamente esaminabili, siccome entrambi sostanzialmente attinenti alle critiche mosse alla c.t.u., laddove in primo luogo va rilevato il difetto di autosufficienza (art. 366, co. I, nn. 3 e 6, c.p.c.), non essendo stati riprodotti compiutamente la relazione dell'ausiliare ed i relativi verbali, da cui poter desumere anche la tempestività dell'eccezione di nullità della consulenza, nella prima difesa utile successiva al deposito della relazione peritale, mentre d'altro canto la censura appare inconferente alla luce di quanto motivatamente ed espressamente considerato in proposito dalla Corte distrettuale, che non riteneva infatti di poter condividere i rilievi di parte riguardo alla c.t.u., non ravvisandosi ad ogni modo nella specie estremi di ultrapetizione ovvero di omessa pronuncia nei sensi specificamente previsti dall'alt. 112 c.p.c. in tema di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, laddove infatti si ha riguardo a domande ed eccezioni (che possono essere proposte dalle parti), per ciò in senso tecnico, e non già a mere argomentazioni difensive (cfr. quindi Cass. n. 10870 - 01/10/1999, secondo cui tutte le nullità relative all’espletamento della consulenza tecnica hanno carattere relativo e devono essere fatte valere nella prima udienza successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate - conformi Cass. nn. 7088 del 1992 e n. 1457 del 1995. V. parimenti Cass. III civ. n. 2251 del 31/01/2013: la nullità della consulenza tecnica d'ufficio - ivi compresa quella dovuta all'eventuale allargamento dell'indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente - ha carattere relativo e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata.
In senso analogo, Cass nn. 8659 e 10870 del 1999, 5422 e 12231 del 2002, 23504 del 2007. V. ancora Cass. III civ. n. 6822 del 18/05/2001: la nullità relativa di un atto processuale deve esser opposta, a pena di decadenza, nella prima udienza, istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso, e, pertanto, se il predetto vizio è denunciato con ricorso per cassazione, deve esser indicato, a pena di inammissibilità, il rispetto di tale termine.
Cfr. pure Cass. II civ. n. 5965 del 25/03/2004: nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova. Ne consegue che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite 
dal raffronto critico - riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato - con le altre risultanze del processo. In particolare, il giudice del merito può trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d'ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all’oggetto dell'indagine in funzione della quale è stata disposta.
Inoltre, secondo Cass. II civ. n. 322 del 18/01/1986, il giudice del merito, quando accoglie e fa proprie le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, non è tenuto, avendo indicato le fonti del proprio convincimento, a confutare specificamente ogni contraria deduzione, restando questa disattesa per implicito.
Ed invero, come già osservato da Cass. II civ. n. 748 del 17/03/1971, ad integrare gli estremi della omessa pronuncia, che rende annullabile la sentenza, non è sufficiente la semplice mancanza di statuizione del giudice su una richiesta della parte, ma è necessario che sia omesso completamente il provvedimento che si appalesi indispensabile in riferimento alla risoluzione del caso concreto. Ciò non ricorre quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti, necessariamente, il rigetto di quest'ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito. Parimenti, secondo Cass. II civ. n. 2320 - 01/03/1995, l'omessa pronunzia non ricorre quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione. In senso analogo Cass. lav. n. 5783 del 22/12/1989, id. n. 2581 del 12/04/1986, id. n. 1325 del 22/02/1983, III civ. n. 1533 del 09/03/1982, II civ. n. 838 del 21/02/1978, III civ. n. 3317 del 06/10/1976, sez. lav. n. 1397 - 11/04/1975, I civ. n. 896 del 03/04/1973, II civ. n. 2887 del 13/10/1971); pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna dei soccombenti al rimborso delle relative spese, sussistendo altresì per l'effetto i presupposti per la declaratoria di cui all'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002.



P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida a in ragione di complessivi €3000,00 (tremila/00) euro per compensi professionali ed in euro €200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con distrazione a favore dei procuratori anticipatari costituitisi per la controricorrente, avv.ti Omissis.
Ai sensi dell'art. 13, comma I quater d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2018

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Decreto 9 maggio 2007

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Decreto 9 maggio 2007

Decreto 9 maggio 2007

Direttive per l’attuazione dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio

GU n. 117 del 22-5-2007

Art. 1. Oggetto

1. Il presente decreto definisce gli aspetti procedurali e i criteri da adottare per valutare il livello di rischio e progettare le conseguenti misure compensative, utilizzando, in alternativa a quanto previsto dal decreto del Ministro dell’interno 4 maggio 1998, l’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio, al fine di soddisfare gli obiettivi della prevenzione incendi.

Art. 2. Campo di applicazione

1. In presenza di insediamenti di tipo complesso o a tecnologia avanzata, di edifici di particolare rilevanza architettonica e/o costruttiva, ivi compresi quelli pregevoli per arte o storia o ubicati in ambiti urbanistici di particolare specificita', la metodologia descritta nel presente decreto puo' essere applicata:

a) per la individuazione dei provvedimenti da adottare ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi nel caso di attivita' non regolate da specifiche disposizioni antincendio;
b) per la individuazione delle misure di sicurezza che si ritengono idonee a compensare il rischio aggiuntivo nell’ambito del procedimento di deroga di cui all’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37.

Art. 3. Domanda di parere di conformita' sul progetto

1. Fatto salvo quanto previsto dall’art. 1 del decreto del Ministro dell’interno 4 maggio 1998, la documentazione tecnica prevista dall’allegato I, lettera A), al medesimo decreto deve essere integrata con quanto stabilito nell’allegato al presente decreto, ivi compreso il documento contenente il programma per l’attuazione del sistema di gestione della sicurezza antincendio.

2. Il Comando provinciale dei vigili del fuoco valuta l’opportunita' di acquisire il parere del Comitato tecnico regionale, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.

3. Per tenere conto del maggiore impegno professionale richiesto per la valutazione delle scelte progettuali nonché della rilevante complessita' correlata all’esame dei progetti redatti secondo l’approccio ingegneristico, la durata del servizio, al fine di determinare l’importo del corrispettivo dovuto, e' ottenuta moltiplicando il numero di ore stabilito nell’allegato VI al decreto del Ministro dell’interno 4 maggio 1998, per un fattore pari a due.

Art. 4. Domanda di deroga

1. Fatto salvo quanto previsto dall’art. 5 del decreto del Ministro dell’interno 4 maggio 1998, la documentazione tecnica prevista dall’allegato I al medesimo decreto deve essere integrata da una valutazione sul rischio aggiuntivo conseguente alla mancata osservanza delle disposizioni cui si intende derogare e dalle misure tecniche che si ritengono idonee a compensare il rischio aggiuntivo, determinate utilizzando le metodologie dell’approccio ingegneristico, ivi compreso il documento contenente il programma per l’attuazione del sistema di gestione della sicurezza antincendio.

2. In conformita' a quanto stabilito dall’art. 7, comma 2, del decreto del Ministro dell’interno 4 maggio 1998, la durata del servizio al fine di determinare l’importo del corrispettivo dovuto, e' calcolata sulla base di quella prevista per il parere di conformita' del progetto ö determinata a norma del precedente art. 3, comma 3 ö maggiorata del cinquanta per cento.

Art. 5. Dichiarazione di inizio attivita'

1. La dichiarazione di cui all’art. 3 del decreto del Ministro dell’interno 4 maggio 1998 e' comprensiva anche della dichiarazione in merito all’attuazione del programma relativo al sistema di gestione della sicurezza antincendio.

Art. 6. Sistema di gestione della sicurezza antincendio

1. La progettazione antincendio eseguita mediante l’approccio ingegneristico comporta la necessita' di elaborare un documento contenente il programma per l’attuazione del sistema di gestione della sicurezza antincendio (di seguito denominato SGSA) tenuto conto che le scelte e le ipotesi poste a base del progetto costituiscono vincoli e limitazioni imprescindibili per l’esercizio dell’attivita'.

2. L’attuazione del sistema di gestione della sicurezza antincendio e' soggetta a verifiche periodiche da parte del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

3. La prima verifica del SGSA avviene in concomitanza con il sopralluogo finalizzato al rilascio del certificato di prevenzione incendi di cui all’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37. Le verifiche successive hanno cadenza pari alla validita' del certificato di prevenzione incendi e, in ogni caso, non superiore a sei anni.

4. La verifica del SGSA rientra tra i servizi a pagamento di cui all’art. 23 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139. L’importo da corrispondere per la verifica del SGSA e' uguale a quello dovuto per il sopralluogo; tale importo va pertanto sommato a quello previsto per il sopralluogo finalizzato al rilascio del certificato di prevenzione incendi o a quello previsto per il rinnovo del certificato medesimo.

5. Qualora l’esito della verifica del SGSA rilevi la mancanza dei requisiti previsti, il Comando provinciale dei vigili del fuoco sospende la validita' del certificato di prevenzione incendi e provvede a darne comunicazione all’interessato, al sindaco, al prefetto e alle altre autorita' competenti ai fini dei provvedimenti da adottare nei rispettivi ambiti.

Art. 7. Osservatorio per l’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio

1. E' istituito, presso il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, l’Osservatorio per l’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio (di seguito denominato Osservatorio) al fine di favorire la massima integrazione tra tutti i soggetti chiamati all’attuazione delle disposizioni inerenti l’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio.

2. L’Osservatorio espleta attivita' di monitoraggio, adotta misure tese ad uniformare le modalita' attuative dell’approccio prestazionale al procedimento di prevenzione incendi nonche¤ fornisce i necessari indirizzi e supporto agli organi territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Per garantire l’uniformita' applicativa nella trattazione delle pratiche, i Comandi provinciali dei vigili del fuoco comunicano all’Osservatorio i dati inerenti i progetti esaminati redatti secondo l’approccio ingegneristico. L’Osservatorio, qualora lo ritenga utile per la propria attivita', puo' richiedere ai Comandi provinciali dei vigili del fuoco la produzione della documentazione tecnica inerente singoli procedimenti.

3. L’Osservatorio opera nell’ambito della Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica avvalendosi dell’Area I - Coordinamento e sicurezza del lavoro.

4. Con successivo provvedimento a firma del Capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono dettate le disposizioni relative alla composizione e al funzionamento dell’Osservatorio.

Art. 8. Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra in vigore il novantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 36726 | 31 Luglio 2018

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Sentenze cassazione penale

Operaio precipita dalla piattaforma di trasporto delle persone

Ruolo del committente, del capo cantiere e del datore di lavoro della vittima

Penale Sent. Sez. 4 Num. 36726 Anno 2018

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: DI SALVO EMANUELE
Data Udienza: 20/04/2018

Ritenuto in fatto 

1.I ricorrenti impugnano la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen., contestato a C.A. in qualità di legale rappresentante della spa I.C.A.L., società committente dei lavori di ristrutturazione di un immobile sito in Roma; a S.R. in qualità di capo cantiere per conto della srl "Sigma Costruzioni", società appaltatrice dei lavori; a M.S., in qualità di amministratore di fatto della srl " Marmo e Graniti", incaricata dalla spa ICAL della fornitura, trasporto e montaggio di manufatti di marmo per il bagno dell'immobile, nonché di datore di lavoro di fatto della vittima B.F.. Alla C.A. è stato contestato di aver omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa "Marmo e Graniti" nonché di informare dell'incarico conferito a quest'ultima ditta il coordinatore in fase di esecuzione, ai fini di un coordinamento delle operazioni. A S.R. è stato contestato di aver consentito che la piattaforma di trasporto di persone e cose venisse utilizzata da persone non autorizzate e di aver omesso di custodirla onde evitarne l'utilizzo da parte di terzi non autorizzati. A M.S. è stato contestato di aver ordinato a B.A. di utilizzare, per il trasporto in quota di una lastra di marmo, la predetta piattaforma, che non era autorizzato a usare, e di aver disposto altresì che essa venisse movimentata con il portello, lato carico, aperto e che il B.A. e il B.F. operassero lo scarico dalla piattaforma della lastra con il portello, lato carico, aperto. A tutti è stato quindi imputato di avere, con tali modalità, cagionato la morte del B.F., il quale precipitava nel vuoto a causa dell'apertura del portello, lato carico, della piattaforma. In Roma il 31-1-2006.
2. C.A. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché il teste L.S., dipendente della Sigma Costruzioni, ha confermato che quest'ultima società doveva rimanere impegnata sul cantiere per un mese ancora rispetto alla data dell'incidente mortale. Quindi, per la C.A., era la Sigma Costruzioni, società del S.R., a dover curare la ristrutturazione del bagno "presidenziale" con i marmi forniti dalla " Marmo e Graniti" del M.S.. Tale asserto non è smentito dalla circostanza che la Sigma Costruzioni avesse richiesto lo smontaggio del montacarichi, perché ciò non implicava il completamento dei lavori, che ben potevano continuare attraverso l'utilizzo dei due ascensori presenti in loco. L'utilizzo dell'ascensore rappresentava la corretta procedura da seguire, nel giorno in cui si verificò l'infortunio, per il trasporto dei materiali al sesto piano, dove si trovava l'appartamento. Erroneamente infatti il teste A.R. ha fatto riferimento all'esistenza di un ascensore di piccole dimensioni e assai vetusto, perché ve ne erano ben due della portata di 480 kg ciascuno e della capienza di sei persone, pienamente idonei al trasporto del materiale, come riferito dal consulente di parte, prof. Z.. L'impresa del. M.S. era d'altronde contrattualmente impegnata soltanto alla mera fornitura e non anche al trasporto al piano e alla posa in opera dei materiali, con il conseguente venir meno di ogni obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale di quest'ultima ditta a tali lavori. Compito della "Marmo e Graniti" era dunque esclusivamente quello di scaricare il marmo a terra e non di portarlo al sesto piano e B.F. non avrebbe dovuto assolutamente utilizzare il montacarichi, come precisato da Q.F., socio della impresa alle cui dipendenze lavorava il B.F., e dall'ing. C.. Il trasporto al sesto piano toccava al personale della Sigma, come previsto dall'art. 6 del contratto stipulato fra la ICAL e la Sigma.
2.1. In relazione al secondo addebito il ricorrente osserva che la legge non prevede alcun obbligo per il committente di informare il coordinatore per l'esecuzione delle opere dell'acquisto dei materiali utili per un cantiere edile, poiché la consegna dei beni acquistati è una procedura standard, che non richiede peculiari obblighi informativi. Comunque il coordinatore in fase di esecuzione, architetto L., era stato informato della fornitura di marmo ordinata presso la "Marmo e Graniti" srl., ad opera del responsabile degli acquisti della ICAL, ing. C., su sollecitazione della C.A..
3. S.R. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché egli non ha mai consentito l'impiego della piattaforma da parte di soggetti non autorizzati e nemmeno ha omesso di custodire correttamente il mezzo, onde scongiurarne l'utilizzo. Il cantiere era infatti sorvegliato a vista dalla vigilanza e la zona in cui era posizionata la piattaforma era recintata e assicurata da un lucchetto. Ogni sera, alla chiusura del cantiere, l'elevatore veniva posto in sicurezza, mediante distacco dell'alimentazione. Vi è stata però una manomissione dei dispositivi di sicurezza della piattaforma, che consentì al B.F. di salirvi sopra: circostanza atipica ed imprevedibile, idonea ad interrompere il nesso di causalità. Tanto più che l'azione improvvida del M.S. ebbe luogo in un momento in cui il S.R. era assente dal cantiere e con modalità che sfuggirono anche agli altri operai della Sigma presenti in altre zone del cantiere. Le testimonianze di L. e soprattutto del B.A., il quale ha affermato che è stato proprio il S.R. a renderlo edotto del funzionamento della piattaforma e a consentirgliene l'utilizzo, rendendo ben quattro versioni, contrastanti tra loro, sono state smentite dalle deposizioni di OMISSIS, assolto in primo grado, da cui risulta che la piattaforma, che non era mai stata utilizzata dal personale della Sigma con le sponde aperte, era manovrata esclusivamente da S.R., il quale non ha mal spiegato . il funzionamento della piattaforma al B.A., che può solo avere osservato le manovre effettuate dal S.R. in occasione di un precedente trasporto di materiale. D'altronde la Sigma srl, impresa del S.R., non aveva nessun interesse a concedere l'utilizzo della piattaforma alla ditta "Marmo e Graniti" ed aveva anzi richiesto, in data antecedente al sinistro, alla società di noleggio del piano elevatore lo smantellamento di quest'ultimo. Il S.R. aveva ricevuto dal M.S. una richiesta di uso del macchinario, alla quale aveva manifestato il più completo disinteresse, ribadendo comunque la necessità della sua presenza sul cantiere. L'operato del M.S. fu dunque un vero e proprio blitz, effettuato all'insaputa del S.R.: quindi un fatto assolutamente abnorme ed eccezionale, idoneo a escludere qualsivoglia contributo causale del S.R., tanto più che il B.F. era un semplice autista e dunque l'attività di trasporto al piano del top esulava completamente dalle sue mansioni .
3.1. Erroneamente, comunque, non è stata ravvisata l'ipotesi di cui all'art. 114 cod. pen., avendo avuto, in ogni caso, la partecipazione del ricorrente alla commissione del reato connotati di minima importanza.
4. M.S. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto incongruamente il giudice a quo ha affermato che la ditta del ricorrente non era in possesso delle necessarie competenze tecnico-professionali, tanto che aveva subappaltato parte della commessa ad altre ditte, poiché del tutto fisiologicamente l'impresa del M.S., che vende materiali, si avvaleva di altre ditte specializzate (nel caso di specie la "Edilrestauri") per l'installazione e il montaggio del bene venduto. Né il L., gestore della "Edilrestauri", pur dichiarando, in modo inattendibile, di avere firmato il contratto, retrodatato, solo dopo l'incidente, ha negato che era la sua impresa ad essere obbligata a provvedere al montaggio e alla posa in opera del bagno "presidenziale". Era invece obbligo della Sigma, ditta responsabile del cantiere, provvedere al trasporto ai piani del materiale, con l'utilizzo del montacarichi. Nè il M.S. era pressato da una particolare fretta, essendo in ritardo di appena un giorno sui tempi di consegna contrattualmente stabiliti e non essendo nemmeno prevista una penale per il ritardo. Il ricorrente non aveva dunque alcun motivo per cercare di chiudere in fretta le operazioni, assumendo un ruolo direttivo e propulsivo. Tale ruolo è stato affermato dai testi L. e B.A., interessati ad allontanare ogni ipotesi di responsabilità, in quanto il primo voleva portare a termine sollecitamente le operazioni, essendo contrattualmente tenuto al montaggio dei materiali, e il secondo era colui che si era fatto spiegare il funzionamento del montacarichi e che l'aveva materialmente manovrato in condizioni di non sicurezza.
4.1. Non sussiste nemmeno l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. in quanto la condotta del ricorrente si è collocata al di fuori del rapporto di lavoro, poiché la vittima era dipendente della ditta Ferri e, per di più, il M.S. non aveva alcun ruolo all'Interno del cantiere in cui avvenne l'incidente. La questione, benché dedotta con l'atto d'appello, non è stata affrontata dal giudice di secondo grado.
4.2. Non sussiste neanche l'aggravante di cui all'art. 61 n. 3 cod. pen., in quanto non erano in alcun modo prevedibili le conseguenze letali dell'incidente. Nemmeno tale questione è stata trattata dalla Corte territoriale, benché chiaramente evidenziata nell' atto di gravame.
4.3. Così come non è stata presa in considerazione dalla Corte d'appello La questione relativa alla concessione della provvisionale, ritenuta dalla difesa illegittima.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
5. Con memoria del 13-4-2018, le parti civili OMISSIS, hanno chiesto declaratoria di inammissibilità o, in subordine, rigetto dei ricorsi.

Considerato in diritto

l. Le doglianze formulate da C.A. sono fondate. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U.,13-12-1995, Clarke, Rv. 203428). Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo della razionalità (Cass., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516).
1.1.Nel caso in disamina, l'apparato logico posto a base della sentenza di secondo grado non è esente da vizi, non evincendosi con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito siano pervenuti all'asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatorio idoneo a valicare la soglia del ragionevole dubbio e a supportare adeguatamente la declaratoria di responsabilità, non essendo stato chiarito il ruolo esplicato dalla C.A. nel contesto della vicenda. La Corte territoriale si è infatti limitata a rilevare che la spa ICAL aveva conferito un autonomo appalto alla ditta "Marmo e Graniti" del M.S., avente ad oggetto la fornitura, il montaggio e il trasporto dei marmi, senza verificare l'idoneità tecnico- professionale della predetta impresa e senza informare di ciò il coordinatore in fase di esecuzione. Dunque, secondo il giudice a quo, il M.S. aveva assunto l'incarico della posa in opera dei marmi, del loro trasporto e del loro "tiro" al sesto piano, dove si trovava il bagno da restaurare. Ma è la stessa Corte d'appello a rimarcare che l'accordo in tal senso era stato sottoscritto con l'ing. C. e non con la C.A.. D'altronde l'affermazione della ricorrente secondo cui il coordinatore in fase di esecuzione, architetto L., era stato informato della fornitura di marmo ordinata presso la "Marmo e Graniti" srl., ad opera del responsabile degli acquisti della ICAL, ing. C., trova riscontro in quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata circa i contenuti della deposizione dell' architetto L., il quale aveva riferito di essere stato a conoscenza che era stata fatta un'offerta nella quale era stato concordato il prezzo, unitamente alle modalità esecutive. Era stato posto anche un termine di ultimazione di 20 giorni ma poi non si era saputo più nulla, in quanto al preventivo non era seguita la normale stipula del contratto. Il predetto documento, firmato, il 13 gennaio 2006, dal M.S. e dal C., senza che dalla motivazione della sentenza impugnata risulti che la C.A. abbia avuto parte alcuna al riguardo, era stato acquisito agli atti, sicché la Corte d'appello avrebbe dovuto analizzare la tematica relativa alla compatibilità di tali risultanze con l'asserto secondo cui il coordinatore in fase di esecuzione dei lavori non era stato avvertito dell'Incarico conferito all'impresa del M.S.. Tanto più che la stessa Corte d'appello espressamente attribuisce al fax del 13 gennaio 2006 la rilevanza giuridica di un vero e proprio accordo vincolante tra le parti. Ed è la stessa Corte d'appello a sottolineare come il L. e il C. non siano credibili laddove hanno sostenuto che la ICAL, dopo l'accordo del 13 gennaio 2006, non avesse saputo più nulla mentre è pacifico e .ampiamente dimostrato che il M.S. già in data 25 gennaio 2006 aveva effettuato la posa in opera dei pavimenti del bagno "presidenziale". Così come il giudice a quo sottolinea l'inverosimiglianza della prospettazione secondo cui M.S., che aveva già montato i pavimenti del bagno, si era presentato il giorno dell'infortunio improvvisamente e in mancanza di un accordo, per cui la committenza non ne sapeva nulla. Viceversa il materiale venne regolarmente consegnato, a conferma del perfezionamento dell'accordo, di cui lo stesso L. si era detto a conoscenza, a prescindere dalla stipula di un formale contratto. Rispetto a tali risultanze appare contraddittoria l'affermazione della Corte d'appello secondo cui il coordinatore per la sicurezza, arch. L., non era stato informato dell'appalto d'opera conferito alla ” Marmo e Graniti". Come è noto, il vizio di contraddittorietà della motivazione può derivare sia da discrasie intrinseche al discorso giustificativo ed essere pertanto desumibile dal testo del provvedimento impugnato, costituendo uno dei profili di esplicazione del più generale vizio di illogicità ( Cass., Sez. 5, n. 5678 del 17-1-2005, Rv. 2307449); sia da un contrasto tra la motivazione e le risultanze processuali versate in atti. In questa sede, viene in rilievo il primo profilo. In quest'ottica, dunque, il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre allorché sia riscontrabile nell'apparato giustificativo di un provvedimento un argomentare fondato sulla contrapposizione di argomentazioni decisive di segno opposto (Cass., Sez. 1, n. 6821 del 31-1-2012 , Rv. 252430), sì da determinare una deviazione dal principio basilare della logica, che è appunto quello di non contraddizione, di spessore tale da inficiare l'architettura logica del discorso motivazionale (Cass., Sez. 2, n.19584 del 5-5-2006, Rv. 233774). Nel caso in esame, l'apparato argomentativo che caratterizza la motivazione della sentenza in esame è volto a dimostrare l'infondatezza della tesi relativa all'estemporaneità dell'iniziativa del M.S., il quale, in assenza di un accordo, avrebbe proceduto non solo alla consegna ma anche al trasporto in quota del materiale, e a supportare l'asserto secondo cui, viceversa, era intercorso un regolare accordo tra la ICAL e l'impresa del M.S., configurante un vero e proprio appalto d'opera. Orbene, è proprio il giudice a quo a sottolineare come l'architetto L. avesse ammesso di essere a conoscenza di tale accordo, pur proponendo la tesi relativa alla mancanza di vincolatività di quest'ultimo, in mancanza di un formale contratto. Ma se questa tesi è ritenuta inattendibile dalla Corte d'appello, non si comprende su quali basi si fondi l'asserto secondo cui l'architetto L. non era al corrente dell'Incarico conferito alla ditta del M.S.. La Corte territoriale avrebbe dunque dovuto elaborare secondo corretti canoni di razionalità il materiale probatorio disponibile e dare puntuale risposta alle argomentazioni difensive ( Sez. 6 ,n. 34042 del 11-2-2008, Napolitano), chiarendo le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la prospettazione secondo la quale il coordinatore in fase di esecuzione dei lavori era stato regolarmente informato dell'operazione. Questa prospettazione, secondo quanto appena osservato, era perfettamente in linea con le risultanze acquisite ed enucleabili dalla trama motivazionale della pronuncia in disamina. Qualora dunque la prospettazione difensiva sia estrinsecamente riscontrata da alcuni dati oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l'inattendibilità, attraverso un adeguato apparato argomentativo. Più in generale, occorre osservare come il giudice sia tenuto ad interrogarsi in merito alla plausibilità di spiegazioni alternative alla prospettazione accusatoria, qualora esse vengano additate dall'oggettività delle acquisizioni probatorie. La regola di giudizio compendiata nella formula dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" impone infatti al giudicante l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria, volto a superare l'eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest'ultima, derivanti, ad esempio, da autocontraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi, come nel caso in disamina, all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità (Cass., Sez. 1, n.4111 del 24-10-2011, Rv. 251507). Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità, in conformità al canone dell'« oltre il ragionevole dubbio», soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e dell'ordinaria razionalità umana (Cass., Sez. 1 n. 17921 del 3-3-2010, Rv. 247449 ; Sez. 1 n. 23813 del 8-5-2009, Rv. 243801; Sez. 1, n. 31456 del 21-5-2008, Rv. 240763). La condanna al di là di ogni ragionevole dubbio implica che, laddove venga prefigurata una ipotesi alternativa, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta, in modo che risulti l'irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell'ipotesi alternativa stessa (Cass., Sez. 4, n.30862 del 17-6-2011, Rv. 250903 ; Sez. 4, n. 48320 del 12-11-2009, Rv. 245879 ). Dunque, sulla base dei criteri appena esposti, il giudice di merito avrebbe dovuto ricostruire, con precisione, l'accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale , potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale (Cass,, 25-6-1996, Cotoli, Rv. 206131). Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti ( Sez. U., 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767), onde si impone, relativamente alla posizione della C.A., un pronunciamento rescindente .
2. Il primo motivo del ricorso di S.R. è privo di fondamento. Il giudice a quo ha infatti evidenziato che il teste L. aveva riferito che nel giorno dell'infortunio il montacarichi si presentava già predisposto all'uso e non recintato e che era stato il S.R. a spiegare, il 25 gennaio 2006, al B.A. come doveva movimentare il predetto montacarichi. Il L. aveva pure specificato che era stato il M.S. a riferirgli di aver avuto la disponibilità del macchinario dal S.R.. Ciò è stato confermato dal teste B.A., che non aveva alcun motivo di mentire sul punto, essendogli del tutto indifferente il coinvolgimento di S.R. nella vicenda, e che aveva sempre e costantemente affermato, senza tentennamenti o contraddizioni di sorta e senza mostrare alcun malanimo nei confronti di nessuno, di essere stato edotto "per la prima volta" sull'uso del montacarichi dal S.R., specificando cosa gli era stato spiegato per azionare e salire con il montacarichi. La Corte d'appello ha poi posto in rilievo come dall'istruzione dibattimentale fosse emersa la manomissione di uno dei sistemi di sicurezza della piattaforma. Tale manomissione si era rivelata funzionale al trasporto al piano del monolita marmoreo, che il M.S. doveva effettuare. Il macchinario aveva dunque lavorato con il sistema di sicurezza, che gli impediva di sollevarsi con il portellone aperto, manomesso e quindi non funzionante. Dunque, il giorno dell'infortunio la piattaforma era stata lasciata incustodita e pronta all'uso, in conseguenza dell'accordo raggiunto tra il M.S. e il S.R., proprio con riferimento all'utilizzo che quest'ultimo aveva consentito al primo, con la piena consapevolezza che l'indomani il S.R. non sarebbe stato presente sul cantiere. Del resto, l'esclusivo utilizzatore della piattaforma era stato sempre il S.R., per cui la presenza del cavo elettrico nella sponda, già al momento dell'arrivo del M.S. in cantiere, nel giorno dell'infortunio, dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il S.R. era perfettamente a conoscenza dell'avvenuta manomissione, poiché il cavo elettrico era agganciato al portellone ed era direttamente funzionale alla chiusura anomala di quest'ultimo. Era dunque facilmente prevedibile che qualunque lavoratore fosse intervenuto per trasportare al piano quel tipo di manufatto marmoreo, avrebbe operato in condizioni di elevata pericolosità, visto che il portellone non poteva chiudersi completamente, ed estremamente difficile sarebbe stato anche il "tiro al piano" del manufatto dalla piattaforma, senza idonei presidi di sicurezza ed adeguato personale. Il S.R. sapeva benissimo che a movimentare il macchinario sarebbe stato il B.A., in una situazione di estremo pericolo, perché il portellone non poteva chiudersi e qualsiasi operazione di "tiro al piano" senza alcun presidio di sicurezza e senza personale sufficiente e tecnicamente idoneo e informato avrebbe comportato una situazione di grave pericolo.
Trattasi di una motivazione precisa e fondata su specifiche risultanze processuali. D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., legittima il ricorso per cassazione implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul terreno della razionalità. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U., 27-9-1995, Mannino, Rv. 202903). La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito , con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U., Rv. 203767 del 25-11-1995, Facchini). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, che si assume altrettanto o ancor più ragionevole ( Sez. U., 19-6-1996, Di Francesco, Rv 205621).
2.1. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante del contributo di minima importanza,. il giudice deve comparare i contributi dei vari concorrenti, effettuando una valutazione delle condotte di ciascuno (Cass., Sez. 4, n. 1218 del 9-10-2008, Rv. 242388). Tuttavia la predetta attenuante è configurabile quando l'apporto del concorrente non ha avuto soltanto una minore rilevanza causale rispetto alla partecipazione degli altri concorrenti ma ha assunto un'importanza obiettivamente marginale, ossia un'efficienza eziologica così lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso (Cass., Sez. 1, n. 26031 del 13-6¬2013, Rv. 256035; Sez. 6, n. 24571 del 20-6-2012, Rv. 253091). Si è, infatti, sottolineato, in giurisprudenza, che l'attenuante non può trovare applicazione sulla base di una semplice graduazione della gravità delle condotte ma comporta un esame dell'apporto causale di queste ultime (Cass., Sez. 5, n. 40092 del 7-11-2011, Rv. 251121). Nel caso in esame, il giudice a quo ha posto in rilievo, con motivazione esente da vizi logico giuridici, l'impossibilità di attribuire alla condotta del S.R. un'efficacia marginale rispetto alla morte del B.F., poiché la predetta condotta si è posta come antecedente causale imprescindibile, in quanto l'imputato avrebbe dovuto impedire a chiunque di utilizzare quella piattaforma, specialmente a soggetti come il B.A. o il M.S., prestando idonei ed efficienti presidi di vigilanza e custodia della piattaforma, invece sostanzialmente concessa in uso, inopinatamente e pericolosamente, a persone prive di qualsiasi capacità tecnico- professionale.
3. Il primo motivo del ricorso del M.S. è infondato. Il giudice a quo ha infatti evidenziato che il teste L. aveva riferito che la mole del manufatto marmoreo da portare in quota era tale che egli si era fermamente opposto al trasporto, ritenendolo pericoloso, poiché il marmo sporgeva dall'area di base del macchinario, non consentendo la chiusura della sponda. Il M.S. però insistette, impartendo ordini sia sulle modalità operative che sui ruoli che ciascuno dei presenti doveva esplicare, ordinando a B.A. di porsi alla guida del montacarichi nonché di provare ad assicurare la sponda rimasta aperta, alzandola fin dove arrivava e legandola con un cavo elettrico, già posizionato sulla stessa, ad una parte fissa del macchinario. In considerazione dell'insistenza e della determinazione del M.S., il quale voleva approfittare del fatto che gli era stato messo a disposizione il macchinario sollevatore, il B.A. aveva azionato il montacarichi, portandolo al piano. Anche il teste B.A., la cui attendibilità è stata sottolineata dal giudice a quo, in considerazione della genuinità delle sue dichiarazioni e dell'indubitabile terzietà rispetto ai fatti e alle parti coinvolte, essendo, fra l'altro, egli non più dipendente del Lanna, ha confermato l'insistenza del M.S., deciso comunque a portare a termine il lavoro, e il suo ruolo attivo e propulsivo nell'impartire direttive precise su come tentare di manovrare in quota il montacarichi, nonostante il volume e il peso del manufatto non consentissero la chiusura della sponda. Tant'è che il B.A., poco dopo avere iniziato, aveva arrestato la marcia del montacarichi, avendo paura. Ma, nonostante i timori da lui espressi, il M.S. aveva insistito pervicacemente, dicendogli di "andare avanti e non stare a preoccuparsi". Così come fu il M.S. a richiedere al B.F. di salire con loro e "dare una mano a portarlo dentro il bagno". Dunque, il M.S. aveva diretto personalmente e in via esclusiva l'intera attività di trasporto e "tiro al piano" del blocco marmoreo da montare, avendo necessità di chiudere i lavori commissionatigli utilizzando il montacarichi che stava per essere smontato. Aveva così assunto, di fatto, la posizione di garanzia contestata nell'imputazione, assumendo conseguentemente, nei confronti del B.F., tutti gli obblighi connessi al rispetto degli adempimenti posti a presidio dell'incolumità dei lavoratori. Di qui la conclusione della Corte d'appello secondo cui la condotta da lui posta in essere aveva violato le regole prudenziali dirette a prevenire eventi come quello verificatosi in danno del B.F.. Trattasi di motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale esperito dal giudice di merito.
3.1. Non può essere accolto nemmeno il secondo motivo di ricorso. Non ha infatti alcun rilievo la circostanza che il B.F. fosse dipendente di un'altra impresa. Il titolare della posizione di garanzia ha infatti l'obbligo di garantire la sicurezza del luogo di lavoro per tutti i soggetti che ivi prestano la loro opera, in quanto l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza sul lavoro non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell'area del cantiere ( Cass., Sez. 4, n. 2525 del 21-1-2016, Del Rio). Soggetto beneficiario della tutela è infatti anche il terzo estraneo all'organizzazione dei lavori sicché dell'infortunio che sia occorso a quest'ultimo risponde il garante della sicurezza, sempre che l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia posto in essere un comportamento di volontaria esposizione a pericolo. Pertanto è irrilevante che il delitto si sia consumato in danno di un soggetto non dipendente dell'azienda operante nel cantiere (Cass., Sez. 4, n. 44793 del 9-11-2015, Faggian; Sez. 4, n. 51190 del 30-12-2015, Passamonti). Si è, d'altronde, già evidenziato come il M.S., impartendo precise direttive agli operai presenti sul luogo nonché al B.F. , da lui specificamente chiamato a "dare una mano a portare il marmo dentro il bagno", abbia di fatto assunto la posizione di garanzia contestatagli, con tutti gli obblighi connessi all'effettuazione degli incombenti posti a presidio dell'Incolumità dei lavoratori.
3.2. Infondato è anche il penultimo motivo di ricorso. Come è noto, in giurisprudenza, si è ritenuto che l'aggravante della colpa con previsione ricorra ove l'agente, pur rappresentandosi l'astratta possibilità della realizzazione del fatto costituente reato, abbia agito nella convinzione (Cass., Sez. 4, n. 16232 del 9-1-2014) o nella sicura fiducia (Cass., Sez 1, n. 31449 del 14-2-2012) che esso non si sarebbe verificato. Non è dunque sufficiente la mera prevedibilità dell'evento, che costituisce requisito generale della colpa, ma occorre la prova della sua effettiva previsione, accompagnata dal convincimento che l'evento, in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, non accadrà ( Cass., Sez. 4, n. 24612 del 10-4-2014). Si pensi ai classici casi del giocoliere che lanci dei coltelli intorno ad una persona o dell'automobilista che, confidando nella propria abilità nella guida, effettui slalom spericolati tra altre auto. Quest'atteggiamento psicologico, in sostanza,si traduce nel passaggio da una rappresentazione generica in ordine alla idoneità di un comportamento, come quello tenuto dall'agente, a sfociare in astratto in un reato, ad una previsione concreta, che, per particolari circostanze, quel fatto non si verificherà. Nel quadro di tale impostazione, pertanto, la colpa cosciente è connotata da una previsione astratta che si evolve nel superamento del dubbio e si risolve in una previsione negativa in merito al verificarsi dell'evento, in quanto nella colpa cosciente il verificarsi dell'evento rimane un'ipotesi teorica, che, nella coscienza del soggetto, non viene percepita come suscettibile di effettiva concretizzazione (Cass., Sez. 1, 26-6-1987, Arnone, Rv. 177670; Sez. 1, 3-6-1993, Piga, Rv. 195270; Sez. 1, 24-2-1994, Giordano, Rv.198272). E si è sottolineato, in giurisprudenza, come la colpa cosciente sia caratterizzata dal tratto tipico della colpa, che è la controvolontà dell'evento, che invece non è presente nel dolo eventuale (Cass.,Sez. 1, 20-10-1986, Amante; Sez. 1, 21-4-1987, De Figlio, Rv. 176382). In quest'ottica, le Sezioni unite hanno affermato che ricorre la colpa cosciente allorché la volontà non sia diretta verso l'evento e l'agente, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astenga dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo. L'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori, quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) il grado di probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore, in caso di sua verificazione ; h) il contesto lecito, o illecito in cui si è svolta l'azione; i) la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento ( c.d. prima formula di Frank): Sez. U., n. 38343 del 24-4-2014, Espenhahn, Rv. 261104.
Nel caso in esame, la Corte d'appello ha posto in rilievo che l'insistenza e la determinazione manifestate dal M.S. nel completare il lavoro intrapreso, nonostante le ferme e fondate opposizioni mosse dai lavoratori coinvolti nell'attività, direttamente organizzata dal ricorrente, con l'utilizzo della piattaforma che si trovava in una situazione di assoluta insicurezza, dimostrano che il M.S. agì nonostante avesse ben previsto come altamente probabile o comunque possibile l'evento letale, poi effettivamente verificatosi in pregiudizio del B.F.: trattasi di motivazione del tutto aderente ai principi appena menzionati e perciò immeritevole di censura.
3.3. La doglianza formulata dal M.S., con l'ultimo motivo di ricorso, non può trovare ingresso in questa sede. L'art. 581, lett. c), cod. proc. pen richiede infatti l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono il petitum. Il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte, non solamente l'onere di dedurre le censure che intende muovere a uno o più punti determinati della decisione ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure stesse, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato (Cass., 18-10-1995, Arra, Rv. 203513), controllando la correttezza dell'apparato giustificativo che sorregge la decisione impugnata (Cass., 9-5-1990, Rizzi; Cass. 14-5-1992, Genovese; Cass., 17-11-1993, Settecase, Rv. 196795).
Nel caso di specie, il ricorrente avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali egli ritiene che la concessione della provvisionale in favore della S. sia stata illegittima, in quanto non supportata da idonei elementi probatori. Sarebbe stata, dunque, necessaria una indicazione precisa, anche se sintetica, delle ragioni di diritto e dei profili di fatto alla base della censura, anche in ordine ai motivi per i quali il ricorrente ha ritenuto di connotare in termini di inidoneità dimostrativa gli elementi a fondamento della statuizione in esame. Viceversa, il ricorrente si è fermato alla doglianza relativa alla mancanza di motivazione, senza indicare, in alcun modo, le ragioni a sostegno della propria tesi né specificare le argomentazioni a supporto dell'asserto formulato. Il requisito della specificità dei motivi non può, invece, prescindere dall'esposizione dei rilievi critici (Sez. U., 27-10-2016, Galtelli) concernenti le determinazioni del giudice di merito, funzionalmente alla concreta percepibilità del senso delle doglianze e in modo da impedire che si elida la correlazione con la ratio decidendi del provvedimento impugnato (Cass. , Sez. 2, n. 6076 del 24-1-2012; Cass., Sez. 1, n. 19338 del 24-4-2008; Cass., Sez. 1, n., 16711 del 18-3-2008), Il vizio di mancanza di motivazione può, infatti, essere utilmente dedotto in Cassazione esclusivamente in presenza di elementi trascurati dal giudice di merito ed evidenziati dalla parte, che, per il loro intrinseco spessore, avrebbero potuto condurre, ove fossero stati valutati, ad una decisione più favorevole di quella adottata (Cass., Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Rv. 253445). In difetto di qualunque indicazione in tal senso, da parte del ricorrente, non può dunque non rilevarsi la genericità della prospettazione della doglianza, che preclude un esito positivo del vaglio di ammissibilità.
4. La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente a C.A., con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma, per nuovo esame. Vanno invece rigettati i ricorsi di M.S. e di S.R., che debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, OMISSIS, che si ritiene congruo liquidare in complessivi euro 3000, oltre accessori di legge; nonché da OMISSIS, che si ritiene congruo liquidare in complessivi euro 3500, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente a C.A., con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma, per nuovo esame. Rigetta i ricorsi di M.S. e S.R., che condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, OMISSIS, che liquida in complessivi euro 3000, oltre accessori di legge; ed in favore di OMISSIS, che liquida in complessivi euro 3500, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2018

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Bozza DM standard sicurezza ed impiego apparecchiature RM

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Bozza DM  Standard sicurezza ed impiego apparecchiature RM

Bozza D.M. sulla determinazione degli standard di sicurezza ed impiego per le apparecchiature a risonanza magnetica

01 Agosto 2018 Conferenza delle Regioni

Via libera dalle Regioni al decreto del ministro della Salute che determina gli standard di sicurezza e impiego per le apparecchiature a risonanza magnetica.

Il dm prevede che il rappresentante legale della struttura sanitaria in cui è installata l'apparecchiatura, avvalendosi dei soggetti preposti, assicura il rispetto degli standard tecnici nonché la protezione fisica e la sorveglianza medica degli operatori, dei pazienti e della popolazione occasionalmente esposta.

Entro 60 giorni dall'avvenuta installazione dell'apparecchiatura di risonanza magnetica, il legale rappresentante della struttura sanitaria comunica alla Regione di appartenenza e agli organi di vigilanza il completo soddisfacimento degli obblighi previsti, trasmettendo la relativa comunicazione tecnica.

Il decreto – che ha avuto anche il via libera del Consiglio superiore di Sanità e dell’Istituto superiore di Sanità - rappresenta una sintesi delle norme di buona tecnica e delle raccomandazioni nazionali e internazionali disponibili e tiene conto della normativa di sicurezza sul lavoro vigente al momento della sua emanazione.

Il legale rappresentante della struttura sanitaria in cui è installata l'apparecchiatura, con la collaborazione avvalendosi del personale tecnico specializzato, dovrà garantire il rispetto degli standard tecnici e la protezione fisica e la sorveglianza medica degli operatori, dei pazienti e della popolazione esposta.

Il decreto prevede tra l’altro che l'installazione di apparecchiature RM (a eccezione delle apparecchiature RM settoriali) è consentita presso le strutture sanitarie pubbliche o private, autorizzate e accreditate secondo i requisiti stabiliti a livello regionale, e comunque dotate di un'apparecchiatura di tomografia computerizzata, di un'apparecchiatura di radiologia convenzionale e di un ecografo.

Alle Regioni è consentito, anche in base a eventuali proprie valutazioni sulla connotazione tecnologica delle strutture sanitarie, derogare dalla necessità della presenza dell'apparecchiatura dì tomografia computerizzata se sia prevista e regolamentata un'integrazione con strutture vicine di diagnostica per immagini.

Per quanto riguarda le apparecchiature RM mobili, devono essere inserite in una struttura sanitaria che disponga delle altre apparecchiature di diagnostica, ferma restando la necessità di individuare precisi bacini geografici di utenza, comunque non eccedenti l'ambito regionale.

Le apparecchiature RM mobili sono temporanee e come tali esclusivamente sostitutive di quelle fisse già autorizzate. Possono essere utilizzate solo per consentire la manutenzione o sostituzione dell'apparecchiatura RM già autorizzata o interventi sulla struttura e comunque per un periodo non superiore a un anno.

Le Regioni potranno derogare dalle limitazioni per le apparecchiature RM mobili in caso di situazione territoriali e orografiche particolarmente disagiate.

Tra le altre misure, prima di effettuare l’esame RM il paziente deve essere informato sulle possibili controindicazioni, i rischi e le limitazioni di carattere medico.

Ferme restando le competenze previste dalla legge per i diversi operatori sanitari coinvolti nell'esecuzione dell'esame, il paziente, prima dell'esecuzione dell'esame RM, è tenuto a rispondere alle domande contenute nel questionario che ha lo scopo di far emergere possibili controindicazioni all'esecuzione e a sottoporglielo è il medico responsabile della prestazione diagnostica, che valuterà sulla base delle informazioni acquisite l'eventuale necessità di ulteriori approfondimenti per i quali dovrà essere garantita la possibilità di esecuzione di una visita medica ad hoc. La sala anamnesi può essere esterna al sito RM, nelle sue immediate vicinanze, o internamente, al di fuori della zona controllata.

Note

Per quanto riguarda i pazienti portatori di dispositivi cardiaci impiantabili attivi, è obbligo della struttura sanitaria di predisporre un modello organizzativo specifico, a garanzia della sicurezza della prestazione e della salute del paziente, che comprenda un processo di valutazione del rapporto rischio beneficio di esecuzione/mancata esecuzione dell'esame RM, sotto la diretta responsabilità del medico radiologo responsabile della sicurezza clinica e dell'efficacia diagnostica dell'apparecchiatura RM.

Per quanto riguarda le responsabilità, il datore di lavoro ha l'obbligo di nominare con atto formale i responsabili per la sicurezza prima dell'avvio della fase progettuale.

Il datore di lavoro ha inoltre l'obbligo di assicurare i mezzi per la messa in atto del programma di garanzia della qualità e della sicurezza nell'uso clinico dell'apparecchiatura RM definiti dai responsabili per la sicurezza fornendo loro tutti i mezzi necessari per la sua attuazione.

Il datore di lavoro può assolvere contemporaneamente i compiti di medico radiologo responsabile della sicurezza clinica e dell'efficacia diagnostica dell'apparecchiatura RM se in possesso di laurea in medicina e chirurgia e specializzazione in radiodiagnostica, o radiologia, o radiologia diagnostica o radiologia medica.

I responsabili per la sicurezza devono prestare la loro opera in forma “assidua e puntuale” e garantire il tempestivo intervento in tutti i casi in cui le esigenze di sicurezza dei pazienti, lavoratori, volontari, accompagnatori e visitatori lo richiedano.

Per la qualità e la sicurezza dell'uso clinico dell'apparecchiatura RM tutti gli esami RM devono essere svolti in presenza di un medico specialista i radiodiagnostica, radiologia, o radiologia diagnostica, o radiologia.


...

Riferimento normativo

D.P.R. 8 agosto 1994 n. 542

Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento di autorizzazione all'uso diagnostico di apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul territorio nazionale.  GU n.219 del 19-09-1994

Art. 2. Determinazione degli "standards"

1. Gli "standards" di sicurezza ed impiego per le apparecchiature R.M. sono fissati con decreto del Ministro della sanità, sentito il parere del Consiglio superiore di sanità, l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro e aggiornati, con la medesima procedura, in relazione all'evoluzione tecnologica, anche su domanda delle imprese produttrici.

2. Fino all'emanazione dei predetti decreti gli "standards" sono quelli previsti dal decreto ministeriale 2 agosto 1991, allegati 1 e 4, e dal relativo aggiornamento di cui al decreto ministeriale 3 agosto 1993, allegati A e B.

 

Fonte: Conferenza Regioni

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Sentenza Corte Costituzionale n. 153/2014

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Sentenza Corte Costituzionale n. 153/2014

Corte Costituzionale, Sentenza n. 153/2014, in tema di regime sanzionatorio per violazione da parte del datore di lavoro di divieti relativi alla durata massima dell'orario di lavoro

La Corte Costituzionale, con la sentenza n.153 del 21 maggio 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale (per contrasto con l’art.76 della Costituzione), dell’art.18-bis “sanzioni” commi 3 e 4 del D.lgs. n. 66/2003.

La pronuncia di illegittimità della Consulta ha trovato la sua ragione d’essere in quanto tale disposizione (il D.Lgs. n.213/04, in vigore fino al 2008) ha introdotto un regime sanzionatorio sensibilmente più severo rispetto a quello previgente.

_______

Sentenza 153/2014 (ECLI:IT:COST:2014:153)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: SILVESTRI - Redattore: MATTARELLA
Udienza Pubblica del 15/04/2014; Decisione del 21/05/2014
Deposito del 04/06/2014; Pubblicazione in G. U. 11/06/2014 n. 25
Norme impugnate: Art. 18 bis, c. 3° e 4°, del decreto legislativo 08/04/2003, n. 66.
Massime: 37983
Atti decisi: ord. 170/2012

...

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), promosso dal Tribunale di Brescia, nel procedimento vertente tra (Omissis) ed altra e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione provinciale del lavoro di Brescia, con ordinanza del 21 marzo 2012, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione di (Omissis) s.p.a. (già (Omissis) s.r.l.), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella;

uditi l’avvocato (Omissis) per l’(Omissis) s.p.a. (già (Omissis) s.r.l.) e l’avvocato dello Stato Filippo Bucalo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro per l’irrogazione di sanzioni amministrative in materia di lavoro, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 21 marzo 2012 ha sollevato, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro).

1.1. Il giudice remittente precisa, in punto di fatto, che l’ordinanza ingiunzione oggetto di opposizione è stata emessa per le seguenti violazioni: art. 4, commi 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 66 del 2003, per superamento della durata massima dell’orario di lavoro settimanale; art. 5, comma 3, del medesimo decreto, per svolgimento di lavoro straordinario oltre il limite di 250 ore annuali; art. 7, comma 1, del medesimo decreto, per mancata fruizione del riposo giornaliero di undici ore ogni ventiquattro nel periodo dal 1° ottobre 2007 al 26 aprile 2008; art. 9, comma 1, del medesimo decreto, per mancata concessione del riposo settimanale di almeno ventiquattro ore nel medesimo periodo appena riportato.

Rileva poi il Tribunale che la parte privata ricorrente ha eccepito l’illegittimità costituzionale del regime sanzionatorio applicabile nella specie, e che l’accoglimento della questione determinerebbe l’applicazione di un regime «diverso e migliore», in base alla normativa in precedenza vigente.

In particolare, per le violazioni degli artt. 7 e 9 del d.lgs. n. 66 del 2003, se si applicasse nella specie l’art. 9 del regio decreto-legge 15 marzo 1923, n. 692 (Limitazione dell’orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 1925, n. 473 la sanzione sarebbe compresa tra 25 e 154 euro ovvero, qualora si tratti di più di cinque lavoratori, tra i 154 e i 1.032 euro; la disciplina introdotta nel 2003, invece, individua limiti compresi tra euro 104 ed euro 630 per ciascun lavoratore e non più per singola violazione, mentre la violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 66 del 2003 prevede una sanzione oscillante tra 130 e 780 euro per ogni lavoratore e per ciascun periodo.

1.2. Tanto premesso, il giudice a quo osserva che il d.lgs. n. 66 del 2003 è stato emanato sulla base della delega contenuta nella legge 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001), la quale prevedeva, fra l’altro, nel suo art. 2, comma 1, lettera c), il criterio direttivo per cui le sanzioni amministrative dovevano essere regolate secondo la previsione per cui in ogni caso «saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». Sulla base di simile previsione, il remittente pone a confronto le regole previste in materia di orario di lavoro nella disciplina previgente e quelle contenute nel d.lgs. n. 66 del 2003, allo scopo di verificare se si possa parlare di violazioni «omogenee e di pari offensività», pervenendo alla conclusione affermativa.

Ed infatti, la regolazione dell’orario di lavoro di cui all’art. 4 del decreto n. 66 del 2003 trova un’evidente rispondenza alle previsioni di cui agli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923 (orario di lavoro massimo di otto ore, pari a quarantotto ore settimanali, con non più di due ore al giorno di straordinario); queste ultime norme prevedevano un regime dell’orario di lavoro la cui violazione implicava l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923. Allo stesso modo, l’art. 4 del decreto n. 66 del 2003 «non si differenzia dalla disciplina previgente se non limitatamente al computo complessivo inderogabile settimanale», per cui la violazione del medesimo dovrebbe comportare l’applicazione della sanzione di cui al menzionato art. 9 del r.d.l. menzionato.

Considerazioni analoghe possono essere svolte – secondo il Tribunale – a proposito della disciplina sul riposo giornaliero di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003, nonché per quella del riposo settimanale di cui all’art. 9 del medesimo decreto. Rimanendo ferma, rispetto alla regolazione precedente, la regola del riposo settimanale di ventiquattro ore, si aggiungono modeste differenze rispetto alla disciplina contenuta nella legge 22 febbraio 1934, n. 370 (Riposo domenicale e settimanale).

La conclusione cui perviene il Tribunale di Brescia è nel senso che, pure in assenza di una «perfetta identità» tra le fattispecie di cui al decreto n. 66 del 2003 e quelle di cui alle leggi previgenti sopra richiamate, «sotto il profilo della omogeneità si tratta di discipline regolanti entrambe il rispetto di minimi irrinunciabili nel rapporto tra tempo lavorativo e riposo». Analogamente, sotto il profilo delle sanzioni, la disciplina vigente e quella pregressa sono animate dal medesimo fine, che è quello di «salvaguardare le condizioni del singolo lavoratore, senza che possa farsi derivare una diversa conclusione in relazione al differenziato regime della disciplina previgente nel caso di violazioni relative ad un numero di lavoratori superiori ai cinque». Sicché, secondo il Tribunale, l’unicità della materia e la semplice differenziata modulazione dei sistemi di conteggio dei limiti massimi consentono di ritenere che la nuova disciplina sia omogenea rispetto alla precedente.

Ciò comporta la necessità della rimessione alla Corte costituzionale, attesa la violazione dell’art. 76 della Costituzione.

2. Nel giudizio si è costituita la parte privata (Omissis) s.p.a., ricorrente avverso l’ordinanza ingiunzione, chiedendo l’accoglimento della prospettata questione.

2.1.— La parte, dopo aver ricordato le circostanze di fatto del giudizio a quo e le violazioni contestate degli artt. 4, 5, 7 e 9 del d.lgs. n. 66 del 2003, osserva che il provvedimento di ingiunzione prevedeva una sanzione complessiva pari ad euro 23.610, sanzione pagata con riserva di ripetizione.

Ciò premesso, la parte provvede ad una ricostruzione del quadro normativo nel quale si inserisce l’odierna questione. Con la citata legge n. 39 del 2002 è stata concessa una delega dal Parlamento al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie, tra le quali quelle in materia di orario di lavoro; l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge ha previsto come criterio direttivo quello per cui le sanzioni amministrative dovevano essere identiche a quelle comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività. In attuazione della delega, gli artt. 4, 7 e 9, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003, regolando la materia dell’orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali, nella loro originaria formulazione non prevedevano specifiche sanzioni per la violazione di dette norme; ed anche le direzioni provinciali del lavoro avevano inteso tale silenzio come indice del fatto che dovessero continuare a trovare applicazione le sanzioni previste per precetti di analogo contenuto nella legislazione previgente. In particolare, per la violazione delle regole sul riposo giornaliero si applicava la sanzione di cui all’art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923; per la violazione della disciplina del riposo settimanale si applicava la sanzione dell’art. 27 della legge n. 370 del 1934; per la violazione della disciplina sull’orario di lavoro settimanale si applicava l’art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923.

La situazione, però, è radicalmente mutata con l’entrata in vigore del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro), il quale, introducendo l’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003, ha fissato specifiche sanzioni per la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 4, commi 2, 3 e 4, 7, comma 1, e 9, comma 1, del decreto stesso; sanzioni molto più elevate rispetto a quelle previste dalle citate leggi precedenti, le quali sono rimaste applicabili, al massimo, per le violazioni compiute fino al 31 agosto 2004 e non oltre. La legittimità costituzionale di tale modifica legislativa costituisce l’oggetto del presente giudizio.

2.2. Secondo la parte costituita, la rilevanza della presente questione è palese. Il giudizio a quo, infatti, verte soltanto sull’ammontare delle sanzioni dovute; e l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe o il venire meno di ogni sanzione per le violazioni contestate nel giudizio in corso, oppure l’applicazione delle più lievi sanzioni di cui alla normativa pregressa.

2.3. La parte privata passa quindi all’esame della non manifesta infondatezza della questione.

Il criterio direttivo di cui al citato art. 2 della legge delega dovrebbe far comprendere che il legislatore, nel momento in cui si è richiamato alle sanzioni previste dalle leggi vigenti, non poteva che intendere le leggi vigenti al momento della sua entrata in vigore. Com’è stato confermato anche da numerosi interpreti, l’espressione “in ogni caso” usata dal legislatore delegante deve essere interpretata nel senso di non ammettere deroghe, imponendo l’attuazione del principio anche se «essa avesse comportato la previsione di una sanzione amministrativa di importo non compreso tra euro 103 ed euro 103.291», in ciò superando il diverso criterio direttivo contenuto nella medesima disposizione della legge delega. In altre parole, in presenza di violazioni «omogenee e di pari offensività», il criterio fissato nella delega sarebbe, secondo la parte, quello per cui non potrebbe essere prevista l’irrogazione di sanzioni diverse da quelle già previste in precedenza. Da tanto consegue che non sarebbe possibile «negare l’omogeneità e la pari offensività delle violazioni di norme, che immutate nel principio e nella struttura, prevedano limiti quantitativi diversi al cui superamento consegue la sanzione oppure ipotesi derogatorie diverse».

Premessa questa ricostruzione, la società costituita passa a confrontare le norme sanzionatorie contenute nel d.lgs. n. 66 del 2003 con quelle previste nel sistema previgente e, sulla base di richiami giurisprudenziali e di dottrina, perviene alle seguenti conclusioni: 1) che la disposizione dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003 in tema di riposo settimanale ha in sostanza riprodotto l’art. 1, comma 1, della legge n. 370 del 1934, pur senza negare che vi sono alcune diversità lessicali le quali non mutano la sostanza del precetto, tanto che le direzioni provinciali del lavoro avevano applicato sempre l’art. 27 della legge n. 370 del 1934 fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 213 del 2004; 2) che l’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003 «ha di fatto riproposto un principio omogeneo a quello deducibile, nel vigore del sistema previgente, dal combinato disposto degli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923»; 3) che l’art. 4 del d.lgs. n. 66 del 2003 in tema di durata media dell’orario di lavoro ha pure riproposto un principio deducibile, nel vigore del sistema previgente, dal combinato disposto degli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923.

La parte privata, pertanto, conclude nel senso che le sanzioni amministrative introdotte dall’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003 sono di misura ben superiore rispetto a quelle esistenti nel pregresso sistema, con ciò determinando l’evidente violazione della disposizione contenuta nella legge delega e, quindi, dell’art. 76 Cost.

3. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.

3.1. L’inammissibilità deriverebbe dal fatto che l’ordinanza di rimessione non consente di apprezzare la rilevanza della questione, poiché il Tribunale non indica analiticamente le sanzioni comminate nella specie, né quelle che sarebbero applicabili in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale.

3.2. Nel merito, la questione sarebbe comunque priva di fondamento.

Osserva l’Avvocatura dello Stato che il tema centrale dell’odierno giudizio consiste nello stabilire l’esatta portata della nozione di “omogeneità” delle violazioni cui si riporta la norma di delega. Soltanto ove tale requisito fosse dimostrato, infatti, si potrebbe prefigurare una fondatezza della prospettata questione. Ma tale omogeneità non sussiste, secondo la parte intervenuta.

L’ordinamento italiano, infatti, dovendo dare attuazione alle direttive dell’Unione europea, non ha scelto di modificare o integrare le disposizioni precedenti, quanto di procedere all’integrale riscrittura della disciplina dell’orario di lavoro. Nel sistema attuale, essa prevede la fissazione di un orario medio complessivo settimanale, comprensivo del lavoro straordinario, pari a quarantotto ore; un periodo minimo di riposo giornaliero di undici ore ogni ventiquattro e un periodo di riposo settimanale pari a ventiquattro ore ogni sette giorni. La durata massima della settimana lavorativa, però, viene demandata alla contrattazione collettiva. Nel sistema precedente, invece, gli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923 fissavano la durata massima del lavoro ordinario, di quello straordinario e della settimana lavorativa.

La previsione di una durata media complessiva della settimana lavorativa, da rispettare sull’arco temporale di riferimento di quattro mesi, consente la concentrazione del lavoro in periodi di tempo ridotti, mentre il r.d.l. n. 692 del 1923 non conteneva analoghe disposizioni. Sotto questo profilo sarebbe evidente il carattere fortemente innovativo dell’odierno sistema, sia in ordine all’orario settimanale che a quello giornaliero. Quanto al lavoro giornaliero, il limite delle undici ore ogni ventiquattro non esisteva nel sistema pregresso; ed anche per il riposo settimanale l’art. 9 del d.lgs. n. 66 del 2003 innova rispetto alla disciplina di cui alla legge n. 370 del 1934.

In conclusione – secondo l’Avvocatura dello Stato – la nuova disciplina si fonda su presupposti totalmente diversi da quelli del passato, sicché la mancanza di omogeneità esclude la possibilità di violazione del precetto contenuto nella legge delega.

Considerato in diritto

1. Il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro). Tali disposizioni – le quali prevedono, rispettivamente, che la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 4, commi 2, 3 e 4, e 10, comma 1, del decreto stesso sia punita con la sanzione amministrativa da 130 a 780 euro per ogni lavoratore e per ciascun periodo (comma 3), e che la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 7, comma 1, e 9, comma 1, del decreto stesso sia punita con la sanzione amministrativa da 105 a 630 euro (comma 4) – si porrebbero in contrasto con l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge delega 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001), il quale ha previsto come criterio direttivo in materia di sanzioni amministrative che, nel passaggio dal precedente al nuovo regime, in ogni caso «saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». E poiché – secondo la ricostruzione operata dal Tribunale – le precedenti disposizioni in materia prevedevano l’irrogazione di sanzioni più miti, ciò si tradurrebbe nella conseguente illegittimità costituzionale per violazione della legge delega.

2. Va innanzitutto rigettata l’eccezione preliminare sollevata dall’Avvocatura dello Stato secondo la quale la questione sarebbe inammissibile perché l’ordinanza di rimessione non avrebbe dato conto in modo adeguato della rilevanza della medesima. L’eccezione non è fondata, perché il Tribunale di Brescia ha illustrato sia la fattispecie concreta posta al suo esame sia le sanzioni amministrative che sono state irrogate sulla base delle censurate disposizioni, indicando anche quali erano – secondo la sua prospettazione – le sanzioni che si sarebbero dovute applicare in base al sistema previgente, il che comporta che sia da ritenere dimostrata in modo sufficiente la rilevanza dell’odierna questione di legittimità costituzionale.

3. Ai fini del corretto inquadramento della questione è opportuna una breve premessa di carattere ricostruttivo.

Il decreto legislativo n. 66 del 2003 ha dato attuazione, anche se con notevole ritardo, a due direttive comunitarie, n. 93/104/CE e n. 2000/34/CE in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. In sede di emanazione del decreto si decise, per ragioni che non interessano nella sede odierna, di non intervenire sul regime sanzionatorio relativo alle violazioni in materia di orario di lavoro. Di tanto costituisce specchio evidente la previsione dell’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2003 che, nella sua versione originaria, prevedeva l’abrogazione, dalla data di entrata in vigore, di tutte le disposizioni legislative e regolamentari in materia, «salve le disposizioni espressamente richiamate e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio»; il che prova che il legislatore delegato era ben consapevole della necessità di mantenere in vita le sanzioni amministrative previgenti.

Un ulteriore e successivo intervento, rappresentato dal decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro), avvalendosi dello strumento della delega correttiva – prevista, nel caso specifico, dall’art. 1, comma 4, della legge delega n. 39 del 2002 – aggiunse nel corpo del d.lgs. n. 66 del 2003, oltre ad altre modifiche, anche il nuovo art. 18-bis, oggetto del presente giudizio.

La materia, peraltro, non ha trovato una propria stabile sistemazione con l’introduzione dell’art. 18-bis oggi censurato, perché successivamente il legislatore è intervenuto più volte proprio su tale articolo, che è stato oggetto di ulteriori modifiche contenute prima nell’art. 41 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133. Successivamente, nell’art. 7 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro). Da ultimo, nell’art. 14, comma 1, lettera c), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 9.

È necessario precisare che, avendo il giudice a quo chiarito che le sanzioni amministrative inflitte nel giudizio davanti a lui pendente riguardano il periodo di tempo che va dall’ottobre 2007 al giugno 2008, lo scrutinio della Corte sarà limitato, in conformità al principio della domanda, al testo originario dell’art. 18-bis, che è quello cui si riferisce il Tribunale di Brescia, senza riguardare in alcun modo il testo risultante dalle modifiche successive di detta norma.

4. Lo scrutinio della Corte, quindi, riguarda la prospettata violazione dei principi della legge delega derivante dalla previsione di sanzioni amministrative più elevate rispetto a quelle di cui al sistema previgente; in particolare, la Corte è chiamata a stabilire se le sanzioni introdotte dalla norma impugnata possano o meno considerarsi diverse – e, in questo caso, maggiori – rispetto «a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività». La sussistenza del carattere della omogeneità costituisce, evidentemente, un aspetto decisivo, perché il riconoscimento dell’eventuale non omogeneità delle nuove sanzioni rispetto alle precedenti escluderebbe in radice la sussistenza di una violazione della legge delega; e proprio su questo punto, infatti, si è concentrata la linea difensiva dell’Avvocatura dello Stato. Una volta verificata l’esistenza di tale elemento, si dovrà procedere al confronto delle sanzioni.

4.1. È appena il caso di rammentare – trattandosi di una questione di legittimità costituzionale prospettata esclusivamente in termini di violazione della delega legislativa – che costituisce giurisprudenza pacifica di questa Corte il principio secondo cui, ove sia necessario verificare la conformità della norma delegata alla norma delegante, è richiesto lo svolgimento di un duplice processo ermeneutico, condotto in parallelo: l’uno, concernente la norma che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi. Nel determinare il contenuto della delega si deve tenere conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, che costituiscono non solo la base e il limite delle norme delegate, ma anche gli strumenti per l’interpretazione della loro portata. Deve, altresì, considerarsi che la delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato; questa può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega. Pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega per verificare se la norma delegata sia stata con questa coerente (fra le altre, sentenze n. 272 del 2012 e n. 184 del 2013).

In riferimento, poi, ai cosiddetti decreti legislativi integrativi e correttivi, questa Corte, nel riconoscerne l’ammissibilità da un punto di vista costituzionale, ha tuttavia precisato che ciò che conta è «che si intervenga solo in funzione di correzione o integrazione delle norme delegate già emanate, e non già in funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega “principale”; e che si rispettino pienamente i medesimi principi e criteri direttivi già imposti per l’esercizio della medesima delega “principale”» (sentenza n. 206 del 2001). Il che significa, nel caso di specie, che il medesimo criterio direttivo sopra richiamato, ancorché dettato per l’esercizio della delega principale, deve ovviamente valere anche in sede di emanazione del decreto integrativo e correttivo, ossia quello che contiene la norma oggi in esame.

5. E’ necessario, quindi, procedere al confronto, in relazione alle sanzioni amministrative in concreto erogate nel giudizio a quo, tra le previsioni dei censurati commi 3 e 4 dell’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003 e le sanzioni di cui al sistema precedente.

5.1. Come correttamente risulta dall’ordinanza di rimessione, il sistema sanzionatorio relativo alle violazioni in tema di orario di lavoro e di riposo domenicale e festivo era contenuto, fino all’entrata in vigore della norma oggi in esame, in una normativa molto risalente nel tempo, ossia il regio decreto-legge 15 marzo 1923, n. 692 (Limitazioni dell’orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura), e la legge 22 febbraio 1934, n. 370 (Riposo domenicale e settimanale).

In particolare, gli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923 prevedevano una durata massima della normale giornata di lavoro pari ad otto ore al giorno per 48 ore settimanali di lavoro effettivo, con possibilità di incremento, a titolo di lavoro straordinario, per non più di due ore al giorno per dodici ore settimanali. La relativa sanzione era contenuta nel successivo art. 9 il quale – nel testo risultante dalle modifiche di cui all’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro) – prevedeva una sanzione amministrativa da lire cinquantamila a lire trecentomila (ossia da 25 a 155 euro), con incremento qualora essa si riferisse a più di cinque lavoratori ovvero si fosse verificata nel corso dell’anno solare per più di cinquanta giorni.

In materia di riposo settimanale, l’art. 1 della legge n. 370 del 1934 prevedeva l’obbligo di un riposo di 24 ore consecutive per ogni settimana, di regola fissato per la domenica (art. 3); le relative sanzioni erano contenute nel successivo art. 27, secondo cui la contravvenzione a tale previsione era punita con la sanzione amministrativa da lire cinquantamila a lire trecentomila, suscettibile di aumento qualora la stessa fosse riferita a più di cinque lavoratori.

Tali disposizioni, com’è evidente, rispondevano ad una realtà economica e lavorativa assai più semplice di quella odierna, ma tuttavia dimostrano come fin da allora la legge fosse attenta a questo profilo, ritenendo che la violazione della disciplina in tema di orario di lavoro fosse un indice di sfruttamento dei lavoratori, da punire con il necessario rigore.

5.2. Rispetto a tale risalente normativa, il d.lgs. n. 66 del 2003 introduce alcune significative modifiche.

Ai fini che interessano l’odierna questione, è da porre in evidenza, ad esempio, che l’art. 3, nel prevedere un orario normale di 40 ore settimanali, consente ai contratti collettivi di stabilire una durata minore; l’art. 4, nell’attribuire ai contratti collettivi il potere di stabilire la durata massima settimanale dell’orario di lavoro, dispone che la durata media non possa superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese quelle dello straordinario; e il successivo comma 3 stabilisce che la durata media vada calcolata con riferimento ad un periodo non superiore a quattro mesi.

Quanto al lavoro straordinario, l’art. 5 del d.lgs. n. 66 del 2003, pur rimandando ai contratti collettivi la regolamentazione delle relative prestazioni, fissa un massimo di 250 ore annuali.

In relazione, infine, al riposo giornaliero e settimanale, l’art. 7 determina il riposo giornaliero in undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore, mentre l’art. 9 dispone che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica.

Per ciò che riguarda, invece, il sistema delle sanzioni, il comma 3 dell’art. 18-bis oggi censurato stabilisce la sanzione amministrativa da 130 a 780 euro, per ogni lavoratore e per ciascun periodo di violazione, per le violazioni di cui agli artt. 4, commi 2, 3 e 4, e 10, comma 1, del decreto (fra i quali rientra la disciplina sull’orario di lavoro); mentre il comma 4 dell’art. 18-bis oggi censurato stabilisce la sanzione amministrativa da 105 a 630 euro per le violazioni di cui agli artt. 7, comma 1, e 9, comma 1, del medesimo decreto, ossia le norme che regolano il riposo giornaliero e settimanale.

6. La questione è fondata.

Dalla ricostruzione operata fin qui risulta in modo evidente che il sistema delineato dal d.lgs. n. 66 del 2003, pur in parte diverso da quello passato, presenta una definizione dei limiti di lavoro e delle relative violazioni omogenea rispetto a quella precedente.

Il fatto, ad esempio, che gli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923 non contenessero una norma esplicita sulla durata dell’orario di lavoro settimanale, ma solo la previsione di un orario giornaliero normale e straordinario, dava conto anche, sia pure indirettamente, dell’orario settimanale; si può riconoscere che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003, non c’era una norma esplicita sul riposo giornaliero, ma è altrettanto vero che lo stesso derivava (per sottrazione) dalla durata della giornata togliendo le ore massime di lavoro. Sembra innegabile, in altre parole, che, nonostante le indubbie diversità, vi sia una sostanziale coincidenza nella logica di fondo che anima i due diversi sistemi: entrambi sanzionano l’eccesso di lavoro e lo sfruttamento del lavoratore che ne consegue, ponendo limiti all’orario di lavoro giornaliero e settimanale ed imponendo periodi di necessario riposo. Ed è appena il caso di rilevare che, nel lungo tempo che separa la legislazione degli anni venti e trenta dello scorso secolo dall’intervento del legislatore del 2003, si colloca anche l’entrata in vigore della Costituzione, il cui art. 36 demanda alla legge ordinaria il compito di stabilire la durata massima della giornata lavorativa e riconosce al lavoratore il diritto al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite.

Ai fini, quindi, del rispetto dei criteri fissati nella legge delega, deve affermarsi che le sanzioni amministrative previste dal r.d.l. n. 692 del 1923 e dalla legge n. 370 del 1934 corrispondono a violazioni da ritenere omogenee rispetto a quelle regolate dal d.lgs. n. 66 del 2003 e che, pertanto, la normativa sanzionatoria oggi in esame era tenuta al rispetto della previsione della delega nel senso della necessaria identità rispetto alle sanzioni precedenti; le quali, come si è già detto, erano state ritoccate al rialzo dal d.lgs. n. 758 del 1994.

Risulta in modo evidente, invece, proprio sulla base del confronto sopra compiuto, che le sanzioni amministrative di cui all’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003 sono più alte di quelle irrogate nel sistema precedente; e, trattandosi di un’operazione di puro confronto aritmetico, non sussistono dubbi interpretativi.

Ne discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, perché effettivamente sussiste la violazione del criterio direttivo contenuto nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge di delega n. 39 del 2002, sicché se ne impongono l’accoglimento e la conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle censurate disposizioni, per violazione dell’art. 76 Cost.

È appena il caso di rilevare, d’altronde, che le conclusioni cui la Corte giunge trovano ulteriore conforto dalla consultazione degli atti parlamentari, dai quali si evince che il legislatore delegato ha riformato il sistema sanzionatorio nella erronea convinzione di poter intervenire liberamente per l’assenza di norme sanzionatorie precedenti (in particolare, la seduta del 28 aprile 2004 della undicesima Commissione della Camera dei deputati).

7. Alla luce di quanto già osservato incidentalmente al precedente punto 3, l’accoglimento dell’odierna questione si limita al petitum richiesto e non esplica alcuna efficacia sulle successive modifiche legislative relative alla medesima disposizione oggi in esame.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2014.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

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GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale  n. 25 dell'11.06.2014

Collegati:

Circolare INL n. 11 del 26 luglio 2018

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Circolare INL n. 11 del 26 luglio 2018

Sanzioni in materia di orario di lavoro

L'INL fornisce chiarimenti in merito alla circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali relativa alla sentenza di incostituzionalità della Corte Costituzionale n. 153/2014 dell'art 18 bis, commi 3 e 4, del D.lgs. n. 66/2003, in materia di orario di lavoro.
In particolare, l'Ispettorato chiarisce che la rideterminazione degli importi scaturiti dalle violazioni della disciplina sull'orario di lavoro possa riguardare anche il coobbligato che non ha presentato opposizione all'ordinanza di ingiunzione, qualora il giudizio instaurato dall'altro condebitore fosse ancora pendente o la sentenza non fosse ancora passata in giudicato al momento del deposito della sentenza della Corte Costituzionale.

Estratto:

[...] Al riguardo si rappresenta anche che la Suprema Corte (Cass. Civ., sez. VI, ord. n. 276 dell’8 agosto 2013) ha espresso – sebbene la pronuncia sia stata emessa relativamente agli effetti del giudicato in sede tributaria – il principio secondo il quale “nell’ipotesi di più soggetti debitori in solido della stessa imposta, qualora uno dei quali soltanto abbia impugnato l'avviso di accertamento, la definitività di detto accertamento nei confronti del debitore inerte non preclude a quest'ultimo di avvalersi del giudicato riduttivo di quel valore formatosi a favore del debitore più solerte e quindi di impugnare l'avviso di liquidazione dell'imposta che non abbia tenuto conto di tale giudicato, in applicazione del principio generale di cui all'art. 1306, secondo comma, cod. civ. in tema di obbligazioni solidali, sempre che le ragioni che hanno determinato il giudicato più favorevole non siano personali al condebitore diligente e che l'interessato non abbia provveduto al pagamento dell'imposta, consumando così la facoltà di far valere l'eccezione“.

Di conseguenza, in linea con le argomentazioni sopra sostenute e in risposta al quesito avanzato, si ritiene che la rideterminazione degli importi scaturiti dalle violazioni della disciplina sull’orario di lavoro possa riguardare anche il coobbligato che non ha presentato opposizione alla ordinanza ingiunzione qualora il giudizio instaurato dall’altro condebitore fosse ancora pendente o la sentenza non fosse ancora passata in giudicato al momento del deposito della sentenza della Corte Cost. n. 153 del 21 maggio - 4 giugno 2014. Del resto, dalle ipotesi di rideterminazione indicate nella circolare citata, si rileva che le prime due riguardano casi di rideterminazione delle sanzioni irrogate per entrambi i debitori (autore materiale ed obbligato in solido) senza distinzione alcuna in ordine alle attività difensive espletate, attesa l’unicità della situazione giuridica scaturita dall’accertamento ispettivo.

Da tale disamina sembra corretto, anche per mere ragioni di opportunità e di parità di trattamento, estendere anche alla terza ipotesi di cui in circolare il principio sancito dalla Corte Costituzionale, con la conseguente rimodulazione degli importi sanzionatori ivi previsti anche nei confronti del coobbligato che non ha presentato opposizione alla ordinanza ingiunzione.

Fonte:INL

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 34311 | 20 Luglio 2018

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Sentenze cassazione penale

Infortunio mortale all'interno dell'impianto di betonaggio

Carenze del DVR sul rischio connesso all'operazione di lubrificazione e responsabilità DL e RSPP

Penale Sent. Sez. 4 Num. 34311 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: MENICHETTI CARLA
Data Udienza: 04/05/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 16 novembre 2016 confermava la condanna resa dal Tribunale cittadino nei confronti di G.G., CA.P.e V.C. quali responsabili del reato di omicidio colposo ai danni dell'operaio C.P., deceduto all'interno dell'impianto di betonaggio, reparto produzione B, dello stabilimento della Aset s.r.l. di Chivasso.
2. Per detto evento erano stati imputati, il G.G., quale amministratore delegato, legale rappresentante della Aset s.r.l. e datore di lavoro del C.P., il CA.P. quale direttore di stabilimento, il V.C. quale responsabile del servizio di protezione e prevenzione.
La contestazione attribuita ad ogni singolo imputato riguardava profili di colpa generica e precise violazioni della normativa antinfortunistica di cui al D.Lgs. n.81/2008 avendo gli stessi consentito, cooperando tra loro con condotte indipendenti, che il C.P. eseguisse operazioni di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento di un impianto di betonaggio, installato presso la Aset s.r.l., senza che, da parte del G.G., fosse stato redatto un DVR che individuasse i fattori di rischio connessi alle dette operazioni, necessarie prima dell'inizio di ogni ciclo di produzione di calcestruzzo e che comportavano l'ingresso di un lavoratore in zona ad alto rischio; disponendo e consentendo, il G.G. ed il CA.P., che tali operazioni avvenissero in un impianto privo di una bobina di sgancio di minima tensione, con tutto il circuito elettrico di sicurezza (compresi i pulsanti di emergenza per l'interruzione dell'alimentazione e gli interruttori di sicurezza) isolato dal resto dell'impianto ed assolutamente inservibile, mettendo quindi a disposizione del lavoratore un'attrezzatura che presentava rischi di contatto meccanico e non idonea ai fini della salvaguardia della salute e della sicurezza sul lavoro; ancora, senza aver predisposto, i medesimi due imputati, una procedura di verifica, anche periodica, dell'efficienza delle sicurezze dell'impianto elettrico, sicurezze che impedissero la rotazione degli alberi durante la presenza dell'addetto all'interno della vasca per le operazioni di lubrificazione. Al V.C., nella indicata qualità, veniva invece ascritta la omessa individuazione dei fattori di rischio con riferimento all'esecuzione quotidiana delle attività di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento del detto impianto, e di non aver contribuito all'elaborazione di un adeguato DVR da parte del datore di lavoro, attestando tra l'altro in data 23.3.2011 che il manuale di previsione dei rischi della Aset s.r.l. era regolarmente aggiornato.
Altri due imputati, e precisamente il preposto M. ed il C., Responsabile dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e addetto alla cabina di controllo dell'impianto, erano stati separatamente giudicati ed avevano definito la loro posizione con applicazione della pena ex art.444 c.p.p.
2. Il fatto è stato così ricostruito dai giudici di merito.
L'impianto di betonaggio, sopraelevato rispetto al piano terreno, ed accessibile tramite una scala, era formato da una vasca di miscelazione degli inerti, posta su di un soppalco, accessibile mediante l'apertura di un coperchio soprastante.
A distanza di circa un metro e mezzo dalla vasca era ubicata una cabina di controllo, nella quale si trovavano l'armadio contenente il quadro elettrico e, affianco, la consolle dei comandi munita di "funghi" per l'arresto in sicurezza dell'impianto.
Il processo produttivo prevedeva che quotidianamente i due alberi rotanti interni alla vasca venissero ingrassati tramite un pennello, in modo da impedire che sugli angoli si depositassero residui di calcestruzzo; terminato l'ingrassaggio, dalla cabina di comando, previa impostazione delle quantità di materiale necessario alla preparazione dello specifico composto richiesto dal cliente, veniva dato impulso all'impianto, di talché gli alberi cominciavano a ruotare ed a mescolare gli ingredienti.
Terminata la lavorazione, il calcestruzzo veniva scaricato tramite un'apertura inferiore di cui era dotata la vasca e seguiva poi un processo serale automatico di lavaggio, tramite un'idropulitrice, per eliminare i diversi detriti ed approntare la vasca per la produzione del giorno dopo.
2.1. Il C.P., operaio addetto alla manutenzione ordinaria della macchina, precedente l'inizio della lavorazione vera e propria, si era introdotto all'interno della vasca per lubrificare gli alberi, circostanza desunta dal fatto che all'interno di essa erano stati trovati un secchio di grasso ed un pennello, mentre alla consolle si trovava il collega C., che aveva evidentemente dato avvio all'impianto senza avvedersi della persona all'interno, nonostante la vicinanza della cabina alla betoniera: gli alberi avevano quindi iniziato la loro rotazione ed il C.P. era rimasto schiacciato tra gli stessi, senza che il C. riuscisse a fermare l'impianto.
3. All'esito del sopralluogo, lo Spresal aveva evidenziato numerose violazioni della normativa antinfortunistica: i dispositivi di sicurezza individuali non erano adeguati; il corpo era entrato in contatto con gli organi in movimento; la manutenzione dell'impianto doveva avvenire a macchina ferma; il documento di valutazione dei rischi non comprendeva i rischi connessi alla specifica mansione di ingrassaggio e, dunque, nulla dettava in termini di misure di sicurezza necessarie, né, tantomeno, prevedeva un periodico controllo sulla sicurezza dell'impianto, tali non potendosi ritenere i verbalini di ispezione per controllo qualità. Era quindi violato l'art.71 e relativi allegati al D.Lgs.n.81/08, essendo possibile l'avvicinamento del corpo ad un organo in movimento, quando, invece, gli organi mobili devono essere protetti contro il contatto accidentale oppure in condizioni di sicurezza tali da garantire l'incolumità dell'operatore.
Si era quindi appurato che responsabile del completo stand by di tutte le misure di sicurezza era la bobina di sgancio sita in un alloggiamento coperto, all'interno del quadro / comandi: tale bobina, che costituiva il "cervello" del sistema di sicurezza, era totalmente X-J mancante, probabilmente da tempo. Ciò aveva comportato che, nonostante la vasca fosse presumibilmente aperta perché il C.P. vi era entrato sollevando il coperchio, quando il C. aveva azionato l'impianto di accensione, le pale avevano iniziato a girare, in quanto nessun messaggio di circuito aperto, dovuto al coperchio alzato, poteva essere registrato da una bobina di sgancio, appunto mancante. Il C. ad un certo punto era riuscito ad arrestare la macchina.
4. Concludevano i giudici di merito che la non contestata assenza della bobina aveva svolto un'efficienza causale nell'infortunio: se la bobina ci fosse stata ed avesse funzionato l'incidente non si sarebbe verificato, in quanto l'impianto non si sarebbe azionato a coperchio della vasca aperto. Sarebbe stata quindi sufficiente la previsione di un periodico controllo per verificare il sistema delle sicurezze, come pure vietare l'ingresso in vasca dell'addetto, almeno senza un previo disarmo dell'impianto, ma nulla di tutto ciò era stato previsto e prescritto.
4.1. Passando ad esaminare le posizioni di garanzia del datore di lavoro e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione - odierni ricorrenti - la Corte territoriale, conformemente a quanto già argomentato dal Tribunale, rilevava che effettivamente il DVR non contemplava affatto l'operazione quotidiana di ingrassaggio delle pale, e nulla quindi specificava su come tale intervento dovesse essere realizzato, se dall'interno o dall'esterno della vasca, né con quali dotazioni di protezione individuale, né con quali norme di sicurezza rispetto all'accensione dell'impianto; nulla si diceva altresì riguardo alle operazioni di manutenzione straordinaria, che veniva per forza svolta dall'interno della vasca. Si trattava dunque di un documento palesemente e incontestatamente lacunoso. A tali lacune non suppliva il sistema di qualità, invocato a difesa quale parte integrante e complementare del DVR, in quanto volto ad una finalità diversa, quella cioè di garantire la realizzazione del prodotto nel rispetto degli standards di qualità e sicurezza, in favore dei clienti. In ogni caso le istruzioni operative, che componevano il manuale del Sistema Qualità, elencavano semplicemente le operazioni da compiere, ma non si soffermavano sulle modalità di esecuzione ed i connessi rischi - anzi era prevista una pericolosa accensione della betoniera prima dell'ingrassaggio delle pale - e comunque non erano integrative del DVR, non presentando i contenuti legislativamente previsti per tale documento.
4.2. Escludeva altresì la Corte di merito qualunque comportamento eccezionale o abnorme del C.P., interruttivo del nesso causale, atteso che dalla espletata istruttoria era risultato per nulla imprevedibile l'ingresso dell'operaio all'interno della vasca per le operazioni di ingrassaggio, che anzi avvenivano di frequente con quelle modalità.
In conclusione, stante la lacunosità del DVR e la sua incidenza causale nella produzione dell'infortunio - dato che se esso avesse previsto le modalità concrete di svolgimento delle operazioni di lubrificazione dall'esterno e con appositi dispositivi di protezione individuale, l'incidente non si sarebbe verificato - e considerata la non delegabilità del ruolo di valutazione dei rischi gravante sul datore di lavoro, era certa la responsabilità del G.G..
Sul punto, la impugnata sentenza evidenzia ancora la mancata previsione dello svolgimento della delicata mansione di lubrificazione dell'ingranaggio, e di un controllo periodico dei sistemi di sicurezza, gravante sul direttore di stabilimento e prima ancora sul datore di lavoro, data l'insufficienza delle schede di qualità, compilate dal M. per altre finalità: lo stesso preposto aveva del resto parlato di ispezioni su chiamata e principalmente visive, e dell'assenza di una manutenzione ordinaria e tantomeno di controllo periodico della sicurezza dell'impianto (n.4931 del 2013, dep. 31.1.2014).
Quanto alla posizione del V.C., si ribadiva che, "essendo quella di lubrificazione degli alberi un'operazione essenziale, quotidiana, delicata eppure non contemplata nel DVR e solo menzionata nelle istruzioni operative, sarebbe dovuto balzare agli occhi del RSPP una tale approssimazione. La pericolosità di tale operazione, legata al ciclo produttivo, era in re ipsa, consistendo nella manutenzione quotidiana di un organo potenzialmente in movimento. Il V.C. aveva rivisitato il DVR sei mesi prima dell'infortunio ed aveva rassicurato che le procedure erano le medesime e che nulla andasse aggiornato quanto alla valutazione dei rischi, né aveva segnalato che fosse mancante del tutto la parte relativa alla verifica dei sistemi antinfortunistici legati all'impianto di betonaggio, avendo proposto come suggerimenti solo dei corsi sulla sicurezza.
Riteneva, in definitiva, la Corte territoriale che il rischio inerente il compimento delle operazioni di lubrificazione/ingrassaggio degli alberi della vasca di mescolazione non fosse stato assolutamente previsto e dunque il DVR risultasse carente sul punto, così come conseguentemente non era stato in alcun modo valutato specificamente il rischio inerente l'eventuale contatto, anche accidentale, nell'esecuzione di tale operazione con le parti mobili.
Stante poi il carattere non delegabile dal datore di lavoro dell'obbligo di valutazione dei rischi inerenti l'attività aziendale, la collaborazione prestata dal RSPP nello svolgimento di tale attività e nell'individuazione delle misure atte a fronteggiare i rischi presenti in azienda, il G.G. avrebbe dovuto sottoporre il documento redatto dal professionista ad una approfondita analisi critica e ad una verifica circa la concreta individuazione e indicazione di tutte le situazioni di rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarle.
Di qui la pronuncia di condanna di entrambi gli imputati (oltre che del direttore di stabilimento CA.P. non ricorrente).
5. Il ricorso di G.G. è affidato a tre motivi.
5.1. Con il primo motivo si insiste nell'incompetenza del Giudice monocratico del Tribunale di Torino, in luogo del Tribunale di Ivrea, eccezione tempestivamente sollevata davanti al giudice di primo grado e respinta con ordinanza in data 25 novembre 2013, impugnata anch'essa con l'atto di appello. Sostiene il ricorrente che in base alla corretta interpretazione del decreto "Severino" n.155/2012 di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e della tabella A ad esso allegata, era divenuto territorialmente competente il Tribunale di Ivrea per i fatti consumati a Chivasso, con decorrenza dal 13 settembre 2013. Ciò imponeva al G.I.P., quando aveva pronunciato il decreto ex art.429 c.p.p. il 20 maggio 2013, di fissare la citazione degli imputati, successiva al 13 settembre 2013, dinanzi al Tribunale di Ivrea e non di Torino, come invece avvenuto. Rileva che quando era stato emesso il decreto che disponeva il giudizio non era stato ancora emanato il decreto del Presidente del Tribunale di Torino n.62/2013, pubblicato il giorno 1 agosto
2013, che aveva disposto la prosecuzione davanti al Tribunale di Torino dei procedimenti pendenti davanti alle Sezioni di Ciriè e di Chivasso, pur entrando il territorio di tali Sezioni distaccate a far parte del circondario del Tribunale di Ivrea, e che per procedimenti pendenti doveva aversi riguardo al momento dell'irretrattabile esercizio dell'azione penale, momento che si identifica con l'emissione del decreto di citazione a giudizio. La difesa aveva obiettato che il decreto del Presidente del Tribunale di Torino contrastava con il chiaro disposto dell'art.9, comma 1, del decreto Severino, che imponeva che le udienze fissate dinanzi ad uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l'entrata in vigore del decreto medesimo (12 settembre 2012) e la data di efficacia stabilita dall'art. 11, comma 2 (13 settembre 2013), fossero tenute presso i medesimi uffici, mentre quelle fissate per una data successiva dinanzi all'ufficio competente a norma dell'art.2, e dunque la questione della pendenza o meno del procedimento dinanzi alla Sezione distaccata non doveva neppure porsi. La Corte d'Appello, nel rigettare l'eccezione di incompetenza, aveva risolto il dubbio interpretativo richiamando una pronuncia della Corte di legittimità in base alla quale dovevano considerarsi già pendenti davanti al Tribunale che costituisce sede principale, i procedimenti penali relativi a notizie di reato acquisite o pervenute presso gli uffici del P.M. presso di esso entro il 13 settembre 2013, data di efficacia del d.lgs.n.155 del 2012, come chiarito dalla disposizione interpretativa contenuta nell'art.8 del d.lgs.19 febbraio 2014, n.14. Il ricorrente censura tale interpretazione insistendo nel sostenere che per tutti i processi per i quali la notizia di reato era pervenuta agli uffici della Procura della Repubblica della sede principale del Tribunale prima del 13 settembre 2013, ma per cui vi fosse udienza fissata in data successiva, doveva essere applicato inderogabilmente l'art.9, comma 1, del decreto Severino e dunque la competenza fissata a norma dell'art.2, nel nostro caso presso il Tribunale di Ivrea. 
5.2. Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale in tema di colpa del datore di lavoro per il caso di insufficienza di analisi e di carenza di indicazioni di procedure idonee a prevenire il rischio contenute nel documento di valutazione; manifesta illogicità della sentenza in punto attribuzione della responsabilità al datore di lavoro. Osserva che, con riferimento all'impianto di produzione di calcestruzzo, era emersa una insufficienza di formalizzazione in merito alle procedure di ordinaria manutenzione dell'impianto per quanto riguarda l'attività di lubrificazione ed ingrassaggio preventiva di alcuni organi mobili, la cui carenza è stata posta dalla Corte territoriale in relazione causale con il decesso del lavoratore. Tuttavia, rileva che al G.G. erano attribuite funzioni di natura commerciale e di stretta amministrazione, svolte in una sede diversa da quella in cui avveniva la produzione, e proprio per tale ragione egli era coadiuvato da una organizzazione aziendale che faceva capo al direttore di stabilimento CA.P. ed al preposto M., cui erano attribuite specifiche mansioni di manutenzione dei macchinari e produzione, entrambi ritenuti responsabili dell'illecito in contestazione. L'adeguatezza delle procedure di manutenzione dell'impianto, di quelle atte a prevenire il rischio di infortuni, nonché la rispondenza alla normativa tecnica di prevenzione antinfortunistica dell'impianto stesso costituivano materia altamente tecnica, alla cui conoscenza era stato deputato il responsabile della prevenzione, alle cui valutazioni si era positivamente attenuto il datore di lavoro. L'affermazione contenuta in senza circa il fatto che il datore di lavoro avrebbe dovuto sottoporre il documento di valutazione dei rischi redatto dal professionista, tecnicamente competente, ad una analisi critica e verifica circa la concreta individuazione di tutte le situazioni di rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarle, costituiva una motivazione carente e non convincente della responsabilità personale dell'imputato, nel contesto di un'allargata affermazione di responsabilità estesa a diversi soggetti operanti a vario livello all'Interno dell'azienda.
5.3. Il terzo motivo attiene alla mancanza e manifesta illogicità della motivazione in punto di erronea affermazione di responsabilità penale del G.G., che doveva essere assolto per difetto di elemento soggettivo, posto che non era prevedibile per il datore di lavoro l'evento verificatosi nell'impianto di betonaggio Lorev perché non prevedibili ed eccezionali erano state sia la condotta di chi aveva azionato l'impianto (C.), sia del manutentore, ed inoltre perché non gravava sul medesimo la posizione di garante del rischio occorso durante la lavorazione di manutenzione dell'impianto di betonaggio, posto che l'operazione era soggetta al controllo in primis del preposto e ASPP M., cui in ogni caso era sovraordinato il direttore di stabilimento Ing. CA.P.. Richiama una recente sentenza di questa Corte (Sez.4, n. 37738 del 13/9/2013), che ha definito chiaramente la latitudine delle diverse posizioni di garanzia evocabili nelle organizzazioni complesse, quale era la Aset all'epoca del fatto, e porterebbe alla conclusione della non ascrivibilità al datore di lavoro dell'infortunio mortale, verificatosi nella fase esecutiva della lavorazione e non derivato da scelte gestionali di fondo.
6. Il ricorso di V.C. consta di un solo motivo, con il quale si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt.40 cpv., 589 c.p. e degli artt.17, 28 e 29 del D.Lgs.n.81/2008, nonché manifesta carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alle doglianze dedotte con l'atto di appello. Osserva che nei motivi di gravame era stato ampiamente argomentato circa la completezza del documento di valutazione del rischio redatto dall'imputato ed, in particolare, in ordine alle misure ivi previste per evitare la realizzazione di eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. Il documento di valutazione del rischio indicava, nell'integrativo manuale della "Qualità", l'esistenza di schede - denominate "di ispezione settimanale" e "ispezione visiva giornaliera", affisse sopra la consolle dei comandi della mescolatrice, - aventi la precisa funzione di realizzare un controllo dei sistemi antinfortunistici e di segnalare malfunzionamenti in genere. Nel caso in esame nulla era stato segnalato dal preposto M. nella scheda di ispezione settimanale e nemmeno in quelle visive giornaliere. Secondo la tesi difensiva sviluppata dal ricorrente, la compilazione di tali schede, facenti parte del sistema integrato qualità/sicurezza della ASET, avrebbe certamente impedito, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'evento mortale, atteso che, in presenza di un sistema con sicurezze totalmente disabilitate, solo una previa verifica circa il suo corretto funzionamento avrebbe evitato l'evento morte ed interrotto dunque il nesso causale. La Corte di Appello, condividendo quanto già espresso dal Tribunale, aveva disatteso la prospettazione difensiva, limitandosi ad affermare che le schede di controllo servivano unicamente a garantire standard di qualità nel calcestruzzo fornito alle ferrovie dello stato e dunque il richiamo ad esse, contenuto nell'aggiornamento del DVR, non costituiva adempimento al dovere imposto dagli artt.12, 28 e 28 D.lgs.n.81/2008. Con tale assunto i giudici di merito, si erano discostati sia da quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità circa i compiti attribuiti al responsabile del servizio di protezione e prevenzione, inoltre avevano ignorato la disciplina tecnica della norma OHSAS 18100 emanata dal British Standard Institution nel 1999 che identifica uno standard internazionale della sicurezza e della salute dei lavoratori, "sviluppato coerentemente con gli standard ISO 9001 e ISO 14001 allo scopo di facilitare l'integrazione dei sistemi di qualità, ambiente e sicurezza, come auspicabile", così come avevano ignorato la normativa in materia di qualità regolata dalla norma ISO 9001 che afferma che "Le varie parti dei sistemi di gestione di un'organizzazione possono essere integrate, assieme al sistema di gestione per la qualità, in un unico sistema di gestione, utilizzando elementi comuni", auspicando quindi l'integrazione tra il sistema di qualità e quello relativo alla sicurezza. 
Di qui l'esclusione di ogni sua responsabilità rispetto all'evento a giudizio, avendo egli adempiuto ai doveri insiti nella sua posizione di garanzia.

Considerato in diritto

1. I ricorsi non sono fondati.
2. L'eccezione di incompetenza territoriale, da esaminare preliminarmente, è stata correttamente valutata e disattesa dalla Corte di Appello di Torino, la quale, con ampia ed approfondita motivazione, ha spiegato le ragioni per le quali, in adesione alla ordinanza resa dal primo giudice in data 25/11/2013, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie aveva radicato presso la sede centrale del Tribunale di Torino la competenza a conoscere del procedimento che ci occupa.
Si richiamano in sentenza le norme di riferimento e precisamente la norma transitoria dell'art.9 del D.lgs.n.155/2012, nel testo originario di cui ai commi 1 e 2, successivamente integrato per risolvere dubbi interpretativi dai commi 2-bis e 2-ter.
Il contenuto di tale disposizione è il seguente:
"1. Le udienze fissate dinanzi ad uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l'entrata in vigore del presente decreto e la data di efficacia di cui all'art.11, comma 2, sono tenute presso i medesimi uffici. Le udienze fissate per una data successiva sono tenute dinanzi all'ufficio competente a norma dell'art.2.
2. Fino alla data di cui all'art.11, comma 2, il processo di considera pendente davanti all'ufficio giudiziario destinato alla soppressione.
2-bis. La soppressione delle sezioni distaccate di tribunale non determina effetti sulla competenza per i procedimenti civili e penali pendenti alla data di efficacia di cui all'art.11, comma 2, i quali si considerano pendenti e di competenza del tribunale che costituisce sede principale. I procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero.
2-ter. La disposizione di cui al comma 2-bis si applica anche ai casi di nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni di territorio, dell'assetto territoriale dei circondari del tribunali diversi da quelli di cui all'art.l, oltre che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla data di cui all'art.11, comma 2, è stata formulata la proposta al tribunale".
Appare chiaro dunque che il momento determinativo della competenza in relazione agli uffici di cui è stata ridisegnata la circoscrizione territoriale, con soppressione dei tribunali minori ovvero di sezioni distaccate accorpate alla sede centrale, del medesimo o di altro tribunale, fa riferimento alla "pendenza" del processo, pendenza che, per quanto attiene ai procedimenti penali, corrisponde al momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero.
L'appellata sentenza cita poi correttamente la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che è intervenuta sul tema affermando che "In tema di competenza, ai fini dell'applicazione delle disposizioni introdotte con i decreti legislativi nn.155 e 156 del 2012 in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, si considerano già pendenti davanti al tribunale che costituisce sede principale, con conseguente attribuzione della regiudicanda alla sua cognizione, i procedimenti penali relativi a notizie di reato acquisite o pervenute agli uffici del p.m. presso di esso entro il 13 settembre 2013, data di efficacia del d.lg.n.155 del 2012, come chiarito dalla disposizione interpretativa contenuta nell'art.8 del d.lg.19 febbraio 2014, n.14 (fattispecie in cui la Corte ha dichiarato la competenza del tribunale costituente sede principale del circondario al quale spettava la cognizione del procedimento al momento della ricezione della notizia di reato, anche se il Comune nel quale erano stati commessi i fatti, per effetto del d.ig.n.155 del 2012, e con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore, era stato poi compreso nel circondario di altro tribunale)" (Sez.l, n.20344 del 8/4/2014, Rv.259799; più recente Sez.l, n.5502 del 7/3/2017, Rv.271898).
Nessun dubbio dunque sulla competenza del Tribunale di Torino, presso i cui uffici di procura era stata già acquisita la notizia di reato al momento della soppressione della sezione distaccata di Chivasso e del suo accorpamento al Tribunale di Ivrea.
3. Con il secondo motivo di ricorso il G.G. contesta la sua posizione di garanzia, sia per le mansioni amministrative svolte presso altra sede, sia per la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, Ing. V.C., che aveva redatto il DVR.
L'esame di tale motivo di ricorso impone alcune considerazioni sulle posizioni di garanzia degli odierni ricorrenti.
La Corte di Torino, dopo aver richiamato il principio generale dettato dall'art.2087 cod.civ., che vede il datore di lavoro primo garante della salute ed incolumità fisica e morale dei prestatori di lavoro, ha rimarcato che il principale obbligo impostogli dall'art.17 d.lgs.n.81/2008, espressione ed attuazione del citato dovere generale di sicurezza, sia innanzitutto la valutazione di ogni rischio che può presentarsi sul luogo di lavoro e la conseguente redazione del documento di valutazione rischi (DVR). Il contenuto di tale documento è chiaramente definito dall'art.2 lett.q) del citato d.lgs., laddove parla di "valutazione globale di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestando la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza". Per la redazione di tale documento, fondamentale per lo svolgimento in sicurezza della vita lavorativa all'interno di ogni azienda, il datore di lavoro può avvalersi della collaborazione di un professionista, prevedendo la legge la consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, cui spettano, tra l'altro, in base all'art.33 del noto d.lgs., le seguenti funzioni: "l'individuazione dei fattori di rischio, la valutazione dei rischi e l'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale; l'elaborazione, per quanto di competenza, delle misure preventive e protettive di cui all'art.28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure; l'elaborazione delle procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; la proposizione di programmi di formazione e informazione dei lavoratori".
Questa Suprema Corte, in plurime pronunce, ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro è tenuto ad analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alle singole lavorazioni o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art.28 del d.lgs.n.81/2008, all'interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali ed i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez.4, n.20129 del 10/3/2016, Rv.267253); ha ribadito altresì questa Corte Suprema che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez.4, n.27295 del 2/11/2016, Rv.270355), con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni (Sez.4, n.22147 del 11/2/2016, Rv.266859).
Quanto alla posizione di garanzia del V.C., giova rimarcare che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non operativo e gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente all'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri (S.U., n.38343 del 24/4/2014, Rv.261197; Sez.4, n.49821 del 23/11/2012, Rv.254094); si è ancora precisato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa, che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle  iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (Sez.4, n.32195 del 15/7/2010, Rv.248555).
3.1. Fatta tale doverosa premessa, si osserva che la Corte torinese ha applicato correttamente la normativa in materia ed i richiamati principi di diritto, evidenziando la situazione di estremo pericolo in cui si trovava a lavorare il C.P., il quale quotidianamente provvedeva alle operazioni di pulizia entrando all'interno della macchina, sprovvista di un qualunque dispositivo di sicurezza idoneo ad evitare la messa in funzione dell'impianto in caso di coperchio aperto della vasca ed il contatto anche accidentale tra le parti rotanti e la persona addetta alla pulizia manuale, cui non era vietato compiere tale operazione entrando all'interno della vasca medesima. Il DVR era sul punto macroscopicamente carente, in quanto non conteneva alcuna valutazione dei rischi inerenti la specifica attività di lubrificazione ed ingrassamento degli organi mobili, che potevano costituire un pericolo per il lavoratore, non indicava le procedure per effettuare in sicurezza tale attività, in particolare dall'esterno e previo distacco della rete elettrica per evitare l'avviamento delle pale rotanti, e neppure prevedeva un controllo periodico del macchinario, circostanza dimostrata dal fatto che in occasione dell'evento mortale che ci occupa venne constatata l'assenza, da tempo imprecisato, del dispositivo di blocco (la bobina di sicurezza, di cui si è detto in narrativa, che era stata tolta in vista della sua successiva sostituzione).
Considerate tali carenze evidenti del DVR ed il carattere non delegabile dell'obbligo di valutazione dei rischi inerenti l'attività aziendale gravante sul G.G., i giudici di appello hanno ritenuto, con motivazione corretta in diritto ed immune da censure, che la collaborazione prestata dal responsabile del servizio di protezione e prevenzione nello svolgimento di tale attività e nell'individuazione delle misure atte a fronteggiare i rischi presenti in azienda, non esimeva il datore di lavoro dal sottoporre il documento redatto dal professionista ad una approfondita analisi critica e verifica circa la concreta individuazione e indicazione della evidenziata situazione di palese rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarlo.
Hanno altresì ben argomentato, sotto il profilo del giudizio controfattuale, che se il compimento dell'operazione di lubrificazione/ingrassaggio delle pale e dei due alberi interni alla vasca di mescolamento del calcestruzzo fosse stato oggetto di compiuta procedimentalizzazione nel DVR e di conseguente specifica istruzione ai lavoratori, attraverso la previsione dell'obbligo di compiere dall'esterno tale attività mediante l'utilizzo di appositi strumenti posti a disposizione dall'azienda, che consentissero di arrivare anche ai punti più distanti dal bordo della vasca - senza necessità di introdursi all'interno o di sporgersi pericolosamente con rischio di perdita di equilibrio - o se fosse stata impartita specifica prescrizione affinché l'addetto svolgesse tale operazione sempre estraendo e custodendo la chiave che comandava l'avvio dell'impianto dalla cabina comandi - in modo da evitare che altri potessero accidentalmente azionarlo - era ragionevole ritenere, con elevato grado di probabilità logica, che un simile evento non si sarebbe verificato. Allo stesso modo hanno ritenuto i giudici di appello che un'incidenza causale sulla verificazione dell'evento aveva assunto la violazione del dovere di assicurare una periodica verifica ispettiva e manutentiva dell'impianto e del quadro comandi, atteso che ove fosse stata compiutamente disciplinata l'attività di verifica da eseguire per stabilire la perfetta efficienza del sistema di sicurezza, sarebbe stato ragionevolmente possibile rilevare come il circuito di sicurezza fosse stato "bypassato" - tanto da consentire il funzionamento dell'impianto anche operando con il coperchio aperto - e da ciò trarre le necessarie iniziative per ovviare a tale funzionamento, prescrivendo, in primo luogo, di non utilizzare l'impianto fino al ripristino della sua completa efficienza sul piano della sicurezza e della incolumità dei lavoratori.
Di qui la colposa condotta omissiva del datore di lavoro, il quale, a fronte di un DVR così inidoneo a consentire in sicurezza il lavoro cui era addetto il C.P., non ha svolto alcun doveroso controllo sul contenuto del documento, imponendone al professionista incaricato le necessarie integrazioni.
4. Con il terzo motivo il G.G. assume la mancanza dell'elemento soggettivo della colpa, stante la eccezionalità della condotta di chi aveva azionato l'impianto e la suddivisione dei ruoli all'interno dell'organizzazione aziendale.
Il motivo non è fondato.
Come finora detto, l'infortunio si è verificato poiché il rischio connesso all'operazione di lubrificazione affidata al lavoratore non era stato previsto e valutato e dunque non erano state assunte tutte le necessarie cautele per evitare che l'operaio potesse trovarsi a contatto con organi della macchina in movimento, nonostante si trattasse di un'attività di lubrificazione che si svolgeva quotidianamente.
La presenza di altri soggetti titolari di differenti posizioni di garanzia non esonerava, si ripete, il datore di lavoro dal preciso obbligo di legge posto a suo carico di individuare le situazioni di rischio proprie di quella specifica operazione e dall'approntare le procedure di sicurezza necessarie per fronteggiarle.
Il richiamo, contenuto in ricorso, alla pronuncia di questa Corte (Sez.4, n.37738 del 28/5/2013, Rv.256635) dalla quale dovrebbe argomentarsi nel senso dell'esclusione della responsabilità del G.G. per assenza di colpa è del tutto inconferente. Tale pronuncia, nell'affermare che il sistema prevenzionistico, tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzative e gestionali, indica come prima e fondamentale figura proprio quella del datore di lavoro, che ha la responsabilità dell'organizzazione dell'azienda o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali di spesa. Nell'esaminare poi la concreta situazione a giudizio, ha operato una distinzione tra gli infortuni conseguenti a scelte assunte a livello apicale e quelli derivati da modalità tecniche esecutive della lavorazione, ed individuato chi fosse tenuto nella specie al governo del rischio specifico.
Nell'infortunio che ci occupa si è già detto della macroscopica carenza contenutistica del DVR in relazione all'uso del macchinario da cui è originato l'evento mortale e dell'obbligo, non delegabile, del datore di lavoro nella redazione del documento, ferma la possibilità della collaborazione di un responsabile del servizio per la protezione e prevenzione, di cui si è detto.
[...]

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 4 maggio 2018

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Linee guida prevenzione incendi gallerie | Bozza 2018

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Bozza linee guida prevenzione incendi gallerie

Bozza linee guida prevenzione incendi gallerie

Linee guida per la progettazione, realizzazione ed esercizio ai fini antincendio delle gallerie stradali il cui progetto deve essere esaminato dalla commissione permanente per le gallerie di cui all’art 4 del D.lgs 264/06

Versione 26.06.2018

Ai progetti per la realizzazione e l’esercizio delle gallerie appartenenti alla RETE TEN e sottoposte per l’approvazione della Commissione Permanente per le Gallerie si applicano l’allegato II e l’allegato III del D. Lgs. 264/06.

Per i fini antincendi, si raccomanda l’adozione delle seguenti misure sulle modalità realizzative di strutture, impianti e di esercizio, compatibili con gli aspetti generali delineati dagli allegati II e III del D.lgs. 264/06.

In merito alle raccomandazioni progettuali che seguono, si chiarisce che la relativa applicazione non è cogente, ma le misure antincendio previste, qualora realizzate, sono ritenute idonee, senza ulteriori valutazioni da parte della Commissione permanente per le gallerie, al raggiungimento degli obiettivi di sicurezza previsti dal D.lgs. 264/06.

Resta inteso che potranno essere adottate ulteriori soluzioni progettuali, diverse da quelle riportate, a condizione che risultino utili al perseguimento degli obiettivi di sicurezza dettati all'Allegato I, punto 2 (Sicurezza in caso di incendio per le opere di costruzione) del Regolamento (UE) n. 305/2011 del 9 marzo 2011 che di seguito si riportano:

- capacità portante per un periodo di tempo determinato,
- generazione e propagazione del fuoco e del fumo limitate,
- limitata propagazione del fuoco a opere di costruzione vicine,
- sicurezza degli occupanti e dentro l’opera,
- sicurezza delle squadre di soccorso.

Le soluzioni tecniche antincendio alternative previste ai sensi:

1. dell'art 3, comma 2 del D.lgs. 264/06, in relazione all’adozione di soluzioni per la sicurezza equivalente ai requisiti strutturali non realizzabili,
2. del punto 2.9.3 dell’All. II del D.lgs. 264/06, per la realizzazione di impianti di ventilazione longitudinali nelle gallerie bidirezionali, saranno valutate dalla Commissione permanente per le gallerie caso per caso.

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