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Cassazione Penale Sez. 4 n. 40702 | 29 settembre 2016

ID 10074 | | Visite: 2459 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale, Sez. 4, n. 40702 | 29 settembre 2016

Penale Sent. Sez. 4 Num. 40702 Anno 2016
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 03/05/2016

Fatto

1. Con l'impugnata sentenza resa in data 20 luglio 2015 la Corte d'Appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari in data 25 giugno 2014 appellata da F.A.F..
Quest'ultima era stata tratta a giudizio e condannata alla pena ritenuta di giustizia per rispondere, nella sua qualità di A.U. della West Recycling S.r.l., del reato di cui all'art. 590 commi 1, 2 e 3 cod. pen., commesso in Uta il 15 maggio 2008 per aver cagionato lesioni personali gravissime al dipendente M.C., per colpa consistita nella violazione di norme antinfortunistiche.
2. Avverso tale decisione ricorre a mezzo dei difensore di fiducia la F.A.F. deducendo vizio di motivazione e travisamento della prova nei termini di cui alla successiva parte motiva.

Diritto

3. Come riferito nella impugnata sentenza- il giorno 15 maggio del 2008 M.C., dipendente della società West Recycling S.r.l. - di cui era amministratrice unica l'odierna ricorrente- quale addetto al controllo ed alla pulizia dell'impianto di trattamento dei rifiuti installato sul luogo di lavoro, per rimuovere un pezzo di metallo incastrato tra i cingoli di uno dei nastri trasportatori, infilò il braccio destro tra le parti in movimento della macchina, non munite della protezione prevista negli allegati agli artt. 71 del d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547 e 70 D.lgs.vo 9.4.2008 n. 81 per evitare il pericolo di afferramento, presa e trascinamento delle mani o del corpo degli operatori. Il suo braccio fu pertanto agganciato dal nastro trasportatore e schiacciato dagli ingranaggi, perdendo gran parte della originaria funzionalità.
4. Tanto premesso in fatto, osserva la Corte: la ricorrente reitera le censure già proposte innanzi alla Corte territoriale, assumendo l'incompletezza delle risposte a queste fornite dai giudici di appello. Va in linea generale osservato che - contrariamente all'assunto della ricorrente- è immediatamente apprezzabile la logicità e la congruità della sentenza impugnata, che ha espresso il proprio convincimento in modo logico ed argomentato, riscontrato da argomentazioni fattuali compatibili logicamente con la soluzione adottata.
Quanto al merito delle singole censure : la circostanza che il B., costruttore della macchina sia stato assolto, non essendo stato possibile stabilire se la macchina al momento della consegna alla società West Recycling fosse dotata o meno dell'obbligatorio riparo fisso destinato ad impedire l'accesso degli arti e del corpo dei lavoratori è ininfluente sulla posizione della odierna ricorrente. Ciò anche accedendo alla tesi propugnata in ricorso che il nastro in questione fosse ab origine privo della protezione in questione. Ed invero come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite dall’operaio, allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina, la quale, pur astrattamente conforme alla normativa CE, per come assemblata ed in pratica utilizzata abbia esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (cfr. Sez. 4, n. 49670 del 23/10/2014, Rv. 261175). I marchi di conformità CE limitano infatti la loro efficacia (D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 6 e 36) a rendere lecita la produzione, il commercio e la concessione in uso delle macchine che, caratterizzate dal marchio, risultano essere rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nelle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, "ma la dotazione di tali marchi non da ingresso ad esonero dalle norme generali del codice penale come è specificamente fatto chiaro anche dal testo del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 3, lett. b) e art. 37" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 36889 del 22/05/2009 Rv. 244984).
La responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude peraltro la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (Cass., Sez. 4^, n. 26247 del 30/5/2013, Rv., 256948; in senso conforme, già, Cass. n. 1216 del 2006, Rv. 233175; n. 2630 del 2007, Rv. 236012; n. 37060 del 2008, Rv. 241020). Nel caso di specie - come sottolineato dai giudici di merito- la mancanza dell'elemento di protezione era particolarmente evidente, e per molti versi, vistosa, tale, comunque, da non poter sfuggire, senza incorrere in grossolana negligenza. E peraltro che ciò non fosse in concreto sfuggito nel caso di specie, emerge chiaramente ove si consideri che erano state fornite ai lavoratori espresse indicazioni su come intervenire sulla macchina in questione e sulla necessità di procedere prima al fermo della macchina stessa. E' quindi evidentemente estraneo alla fattispecie in esame il caso del vizio occulto, insidioso o, comunque, non percepibile dall’agente modello.
Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che all'epoca dei fatti l'esercizio di fatto delle funzioni di amministratore della West Recycling S.r.l. era demandato al signor R.F., padre dell'odierna imputata, nelle more deceduto.
Osserva a riguardo la Corte: l'impugnata sentenza ha già sottolineato a riguardo come non risultassero specifiche ed idonee deleghe in favore del padre dell'odierna ricorrente e come comunque quest'ultima risultava aver impartito ai lavoratori istruzioni sull'uso delle macchine e direttive sulle precauzioni da adottare. Non può in ogni caso mettersi in dubbio, senza cadere in contraddizione insanabile, che il direttore generale di una struttura aziendale, e la F.A.F. ricopriva indiscussamente detta carica, costituisce figura apicale nella quale confluisce il carico di responsabilità anche in materia di sicurezza, senza che occorra delega di sorta, essendo destinatario iure proprio dei precetti antinfortunistici in quanto soggetto garante (principio più volte affermato da questo Collegio per il direttore di stabilimento - Sez. 4A, n. 41981 del 7/2/2012, Rv. 255001; n. 19712 del 2009, Rv. 243637; n. 6277 del 2008, Rv. 238749; n. 11351 del 2006, Rv. 233656). Inoltre, costituisce principio ampiamente condiviso quello secondo il quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e controllo gravanti sul datore di lavoro e sui soggetti garanti equiparati non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e di formazione dei dipendenti (Cass., Sez. 4A, n. 50605 del 5/4/2013, Rv. 258125; n. 27420 del 2008, Rv. 240886; n.  6277 del 2008, Rv. 238750; n. 47363 del 2005, Rv. 233181). Il responsabile in parola (la cui figura attualmente risulta descritta dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 33), infatti, svolge compiti di consulenza al fine d'individuare i fattori di rischio, la vantazione dei medesimi e indicare le misure di sicurezza e, a tal fine, elabora misure protettive e preventive, procedure di sicurezza, programmi formativi e informativi, partecipa alle pertinenti consultazioni, con la conseguenza che, pur potendo, a sua volta, incorrere in penale responsabilità, per avere omesso d'individuare fattori di rischio o per avere proposto procedure e accorgimenti, a loro volta rischiosi o inadeguati, non solleva dalla responsabilità propria datore di lavoro e dirigenti. Senza fondamento, infine, è del pari la pretesa di assegnare il tragico infortunio ad un'area di esclusiva riserva del datore di lavoro, e perciò, del coimputato E.. Infatti, un conto è il contenuto dell'obbligo non delegabile della complessiva e generale valutazione dei rischi attraverso la predisposizione del documento oggi regolato dall'art. 28 del cit. T.U. ed altro conto non rendersi conto dell'intollerabile ed elettivo rischio derivante dall'adozione di procedura operativa inadeguata e dalla mancanza d'adozione dei necessari presidi.
In ogni caso, come già questa Corte ha avuto modo di chiarire, "non par dubbio che la prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto "modello d'agente", il modello dell' "homo eiusdem condicionis et professionis", ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmáticamente una determinata attività, che importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta (Sez. 4A, 1/71992, n. 1345, massima; più di recente e sullo specifico argomento qui in esame, sempre Sez. 4A, 1/4/2010, n. 20047). Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il garante si renda conto di non essere in grado d'incidere sul rischio, l'abbandono della funzione, previa adeguata segnalazione al datore di lavoro (sul punto, Sez. 4A n. 20047 cit.)" (Cass., Sez. 4A, n. 33311 del 24/5/2012, Rv. 255585).
Quanto, infine, alla ponderazione del contributo colposo della vittima deve osservarsi quanto appresso. Il rispetto delle norme prevenzionali ha lo scopo di prevenire e ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l'errore dell'operatore, generato dalla reiterazione, dalle fisiologiche cadute d'attenzione nell'arco di tutto il tempo lavorativo ed anche, talvolta da vere e proprie distrazioni od imprudenze. Proprio al fine di scongiurare eventi nefasti evitabili rispettando standard di sicurezza collaudati determinati soggetti sono chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio infortunistico, senza che i primi possano pretendere esonero da responsabilità ove si accerti condotta inadeguata del lavoratore, salvo l'abnormità. Nel caso al vaglio, tuttavia, l'infortunato- come sottolineato dalla Corte territoriale- si è limitato a compiere un gesto istintivo (liberare il macchinario da un frammento di alluminio) del tutto coerente con le sue mansioni. In ogni caso, deve soggiungersi, non può assumere alcun apprezzabile rilievo penalistico la manovra o la condotta del lavoratore, pur, se del caso, scostatasi dal virtuale ideale, che in qualche misura abbia contribuito all'infortunio, trattandosi di circostanza tipica e fisiologica, correlata, come sopra detto, alla ripetizione del gesto, allo stress lavorativo e alle complessive condizioni psicofisiche del soggetto, rientrante nel rischio d'impresa e in quello prevenzionale, posto a base delle norme antinfortunistiche.
Una recentissima decisione di questa Corte (n. 8883 del 10 febbraio 2016), richiamata dalla difesa nel corso della discussione orale, ha precisato come in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore. (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori). In tale decisione si è comunque appunto sottolineato come fosse da ritenersi provato che il datore di lavoro avesse fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, il che, per le ragion i anzidette, è da escludersi nel caso di specie.
5. Il ricorso va pertanto rigettato. All'epilogo consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso nella camera di consiglio del 3 maggio 2016

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 40702 Anno 2016.pdf
 
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Cassazione penale sez. fer. n. 45335 | 26 agosto 2008

ID 10063 | | Visite: 2636 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale, Sez. fer., 05 dicembre 2008, n. 45335

Macchine CE e responsabilità del datore

Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio avvenuto in un cantiere di lavori stradali su una macchina stabilizzatrice caratterizzata dal rischio di cesoiamento tra le parti laterali dello scudo di protezione del tamburo.

L'imputato, assolto in primo grado ma condannato in secondo grado per lesione personale colposa, lamenta l'omessa valutazione della comunicazione, da parte della ditta produttrice, della certificazione di conformità CE della macchina e invoca un esonero da responsabilità derivante dalla normativa cautelare speciale di cui al D.P.R. n. 459 del 2006 che individua nel costruttore - e non nell'utilizzatore finale - il soggetto competente alla gestione del rischio.

La Corte rigetta il ricorso e considera che "la macchina si è rivelata non conforme ai cosiddetti requisiti essenziali di sicurezza come affermato dall'Ispettorato tecnico del ministero delle Attività Produttive nella nota 26.9.2002 e sostanzialmente riconosciuto dalla stessa ditta produttrice nel (OMISSIS) (come da missiva in atti che propone una integrazione delle norme di sicurezza).

Il difetto era stato peraltro già rilevato dall'u.p.g. tanto che la macchina, nel (OMISSIS), venne restituita all'imputato previa installazione di un riparo nella zona di pericolo".

Si è dunque "verificata la concorrente responsabilità del datore di lavoro e della ditta costruttrice (oltre che dei colleghi di lavoro dell'infortunato), non attribuendo, per contro, valore esimente della responsabilità dell'imputato alla tesi difensiva dell' "affidamento" che, secondo il ricorrente, ogni soggetto acquirente di apparecchi tecnologicamente complessi può fare "sulla corretta e prudente condotta di chi meglio conosce la macchina perchè più attento ai dettagli tecnici di cui non è ragionevole attendersi la universale notorietà"."

Dunque "eventuali concorrenti profili colposi addebitatali al fabbricante non elidono certamente il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo in danno del lavoratore."

E' infine "del tutto inconferente sia il discorso relativo alla ulteriore certificazione "successiva" di conformità CE, considerato che, per quanto sopra esposto, la violazione è davvero macroscopica, tanto da sconfinare nella violazione di regole di comune prudenza, sia quello relativo alle mancate specifiche "avvertenze di pericolo" da parte della ditta costruttrice"..."pertanto, deve considerarsi infondato l'assunto difensivo dell'esonero di responsabilità invocato dal ricorrente sulla base del marchio CE, non potendo ad esso ricollegarsi una presunzione assoluta di conformità della macchina alle norme di sicurezza, proprio per la prevedibilità ed evitabilità, nella ipotesi de qua, dell'evento lesivo."

...

Fatto Diritto

1. - Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Mantova, con la quale B.L. era stato assolto dal reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, dichiarava la responsabilità dello stesso e, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione, con la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
Condannava altresì l'imputato al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio e al risarcimento del danno a favore della parte civile da liquidarsi in separata sede oltre alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio della parte civile per il primo grado.
1.1. - Per una migliore comprensione dell'oggetto del presente giudizio di legittimità, si impone una sintetica ricostruzione della vicenda processuale.
L'imputato era stato chiamato a rispondere, nella sua qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della s.a.s. Viastrade, del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 2 e 3 in danno del lavoratore dipendente L.M.; quanto sopra per colpa consistita nella inosservanza della normativa antinfortunistica - e, in particolare, del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, - connessa alla utilizzazione, nel cantiere di lavori stradali della ditta in frazione (OMISSIS), di una macchina stabilizzatrice Wirtgen WR 2500 per lavori stradali che presentava il rischio di cesoiamento tra le parti laterali dello scudo di protezione del tamburo, tanto da cagionare lesioni personali gravissime al citato lavoratore il quale, avendo inserito il braccio destro nella zona pericolosa della macchina per sistemare un listello di legno proprio nel momento in cui un collega si accingeva a disporre l'abbassamento del suddetto scudo che, calando repentinamente, troncava di netto l'arto del L. il quale riportava lesioni (consistite nel distacco traumatico del braccio destro poi riattaccatogli con un intervento chirurgico) dalle quali derivavano pericolo di vita ed una malattia nel corpo, oltre ad una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni superiore ai quaranta giorni e all'indebolimento permanente della funzionalità del braccio.
1.1.1. - L'incidente era avvenuto il giorno 12.04.2001 nel sopra citato cantiere della s.a.s. Viastrade, dove alcuni operai stavano caricando la macchina operatrice livellatrice Wirtgen WR 2500 sull'apposito rimorchio perchè doveva essere trasportata altrove.
Il cuore di questa macchina è costituito da un tamburo di fresatura munito di un elevato numero di utensili da taglio (denti) che, mentre ruota, fresa il materiale della pavimentazione stradale ed ha come protezione un tegolo per evitare che i sassi vadano a finire ai lati o nelle altre parti dell'ingranaggio.
Alla cabina di guida si trovava M.N., mentre sul lato destro e sinistro del rimorchio, si trovavano, rispettivamente, il caposquadra G.A. e L.M..
1.1.2. - Il M. dichiarava in giudizio di aver condotto la macchina con il rullo e il tegolo alzati sul rimorchio percorrendo due rampe di carico secondo le indicazioni del G..
Una volta compiuto correttamente il posizionamento della macchina facendola appoggiare su due assi preventivamente collocate, aveva abbassato il tegolo.
A operazione ultimata, aveva però sentito gridare che c'era L. con il braccio dentro e aveva quindi rialzato il tegolo.
Il L., al contrario, aveva riferito che la macchina era stata caricata con il tegolo abbassato e, poichè una delle due assi sulle quali doveva appoggiarsi si era spostata mettendosi di traverso, aveva detto al conducente di alzare il tegolo e lui aveva messo dentro un braccio per raddrizzare l'asse ma, proprio in quel momento, il tegolo era stato abbassato e gli aveva troncato di netto il braccio destro.
1.1.3. - In primo grado, il B. veniva assolto dal Tribunale di Mantova con sentenza in data 27.10.2006 sulla base, essenzialmente, delle seguenti considerazioni:
a) la macchina operatrice utilizzata in leasing dal B. era munita della dichiarazione CE di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza;
b) nessun altro presidio di sicurezza si rendeva necessario a salvaguardia di ulteriori rischi prevedibili;
c) era fuori da ogni previsione che un lavoratore potesse introdurre un braccio sotto il tegolo alzato della macchina, anche perchè, per poterlo fare, il lavoratore avrebbe dovuto sdraiarsi a terra.
2. - All'esito del giudizio di appello, proposto a seguito di impugnazione del P.M (che aveva fatto propria la richiesta ex art. 572 c.p.p., di impugnazione della parte offesa), la Corte territoriale argomentava la condanna sulla base dei dati probatori emersi nell'istruttoria dibattimentale, dai quali emergevano, oltre al profilo di colpa specifica indicato nel capo di imputazione (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68) e valutato dal Tribunale di Mantova, anche altre violazioni della normativa infortunistica che, pur essendo richiamate nello stesso capo, non erano state valutate dal giudice di primo grado.
I giudici dell'appello, in particolare, evidenziavano che l'infortunio si era verificato a causa della mancata osservanza delle cautele da adottare nell'utilizzo del mezzo, considerato che, come sottolineato dal manuale fornito al B. dalla ditta costruttrice, intorno alla macchina c'erano angoli che non si potevano bene osservare e che era quindi necessario impiegare del personale di sicurezza per tenerli sotto controllo; che, inoltre, il conducente avrebbe dovuto essere adeguatamente istruito sulla necessità di accertarsi che non ci fossero persone nelle zone di pericolo e di abbassare il rullo il più lentamente possibile, controllando costantemente la eventuale presenza di persone nel raggio di lavoro della macchina mediante personale di sicurezza che doveva rimanere nel campo di visuale del conducente medesimo.
L'addebito di colpa a carico del B., oltre alla generica contestazione ex art. 590 c.p., commi 2 e 3, veniva dunque individuato, sia sotto il profilo della violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, - secondo il cui disposto "gli organi lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, quando possono costituire un pericolo per i lavoratori, devono per quanto possibile essere protetti e segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza" - sia sotto il profilo della carenza di informativa dei rischi specifici cui sono esposti i dipendenti, ritenuta connotata da gravità, "ove si consideri che il carico della fresa sul rimorchio non era operazione straordinaria, bensì consueta per non dire quotidiana, poichè la macchina non poteva spostarsi da sola da un luogo di lavoro ad un altro, ma doveva essere obbligatoriamente trasportata su un rimorchio".
3. - Propone ricorso per Cassazione il B. deducendo quattro motivi basati sulla prospettazione della violazione di legge e del difetto di motivazione.
3.1. - In particolare, lamenta, con il primo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza dell'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p. e nullità ex art. 522 c.p.p..
Sostiene il ricorrente che la condotta omissiva contestata al B. nel giudizio di secondo grado differisce da quella cui si riferisce il capo di imputazione, vale a dire, la "inosservanza della normativa antinfortunistica e, in particolare del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68"; la Corte d'Appello, in sostanza, avrebbe introdotto una ulteriore ipotesi di colpa consistita nella inosservanza, da parte dello stesso B., del disposto di cui all'art. 4, D.P.R. cit., addebitandogli la diversa condotta omissiva consistita "Dell'omettere di istruire adeguatamente i lavoratori sui particolari rischi cui erano esposti durante l'uso della macchina ed altresì nell' esigere l'osservanza delle relative norme di sicurezza".
Ciò in violazione del diritto di difesa e della effettività del contraddittorio.
3.1.2. - Con il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per avere i giudici di secondo grado erroneamente individuato la responsabilità dell'imputato a titolo di colpa specifica e violazione dell'art. 43 c.p. e D.P.R. n. 459 del 1996, artt. 1, 2 e 5, all. 1, 2, 3, 5.
Il ricorrente invoca un esonero totale di responsabilità del datore di lavoro derivante dalla normativa cautelare speciale di cui al D.P.R. n. 459 del 2006 che individua nel costruttore - e non nell'utilizzatore finale - il soggetto competente alla gestione del rischio.
3.1.3. - Con il terzo motivo lamenta (ex art. 606 c.p.p., lett. e)) la violazione dei criteri di valutazione della prova stabiliti dall'art. 192 c.p.p. per non avere la Corte d'appello "valutato diverse prove documentali, omettendo di dame conto in motivazione".
Il ricorrente, nell' elencare una serie di prove documentali di cui la Corte di Appello avrebbe omesso la valutazione (quali, ad esempio, i bollettini di aggiornamento tecnico inviati dalla Wirtgen macchine s.r.l. solo nel (OMISSIS), contenenti ulteriori "avvertenze di pericolo", non evidenziate in precedenza; la lettera con la quale, in data (OMISSIS), la Wirtgen Gmbh comunicava alla Wirtgen macchine s.r.l. la certificazione di conformità CE delle macchine prodotte e commercializzate dalla detta società; la lettera risalente al 7 luglio 2001 con la quale la Wirtgen segnalava alla Viastrade la situazione di pericolo di cesoiamento e di assestamento del mezzo sul rimorchio ai fini di trasporto) ribadisce la imputabilità del fatto a soggetto diverso (costruttore) sulla cui condotta lo stesso ricorrente era legittimato a fare "affidamento".
3.1.4. - Con il quarto motivo si duole della mancanza della motivazione "quanto al contrasto tra la condanna prevista dall'estratto e la pena cui l'imputato è stato condannato in sentenza" nonchè della "assoluta incertezza in ordine alla misura della pena inflitta".
4. - Tutti i sopra esposti motivi si appalesano privi di fondamento e non meritano accoglimento.
In realtà, il ricorrente, pur prospettando asserite violazioni di legge e pretese illogicità e carenze della motivazione, vorrebbe che la Corte esercitasse un inammissibile sindacato sull'apprezzamento fattuale della vicenda e, in particolare, sulla condotta dell'imputato e dell'infortunato, che esula dai poteri del giudice di legittimità, quando si è in presenza, come nella specie, di una motivazione rigorosa e convincente, in linea con i principi vigenti nella subiecta materia.
4.1. - Privo di fondamento risulta, in particolare, l'addebito formulato con il primo motivo, incentrato sulla violazione dell'art. 521 c.p.p..
Ciò in quanto, a parte il rilievo che la colpa specifica ascritta all'imputato (violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, a norma del quale "gli organi lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, quando possono costituire un pericolo per i lavoratori, devono per quanto possibile essere protetti e segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza") costituisce il risultato di un processo di codificazione di regole di comune prudenza, con la conseguenza che la contestazione o, per cosi dire, "aperta", va comunque rilevato che la Corte d'appello fa esplicito richiamo anche alla violazione originariamente addebitata, ritenuta sussistente in quanto la macchina in questione si è infatti rivelata non conforme ai cosiddetti requisiti essenziali di sicurezza, come affermato dall'Ispettorato tecnico del ministero delle Attività Produttive nella nota 26.9.2002 e sostanzialmente riconosciuto dalla stessa ditta produttrice nel (OMISSIS) (come da missiva in atti che propone una integrazione delle norme di sicurezza).
Il difetto era stato peraltro già rilevato dall'u.p.g. tanto che la macchina, nel (OMISSIS), venne restituita all'imputato previa installazione di un riparo nella zona di pericolo (v. pagg. 6/7 della sentenza impugnata).
Al riguardo, va altresì rilevato che, nei procedimenti per reati colposi, l'affermazione di responsabilità per un'ipotesi di colpa non menzionata nel capo di imputazione rientra pur sempre nella generica contestazione di colpa e, pertanto, lasciando inalterato il fatto storico, non viola le regole della immutabilità dell'accusa, in quanto la contestazione generica di colpa, benchè ulteriormente specificata, pone il pervenuto nelle condizioni di difendersi da qualunque addebito, con la conseguente possibilità di ravvisare in sentenza elementi di colpa non indicati in contestazione.
Per aversi immutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenire ad una incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio del diritto alla difesa.
Quando, come nella specie, nel capo di imputazione sono stati contestati elementi generici e specifici di colpa in materia di infortuni sul lavoro, costituisce giurisprudenza costante di questa Corte, quella della non sussistenza della violazione del richiamato principio ex art. 521 c.p.p., nel caso in cui il giudice del merito, accanto ad elementi specifici di colpa, ravvisi nell'ambito della colpa generica propria del datore di lavoro, l'ulteriore aspetto della omessa vigilanza intesa ad esigere che i lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi loro a disposizione (D.P.R. n. 547 del 1955, ex art. 4).
La Corte di merito si è limitata ad evidenziare un ulteriore aspetto di colpa specifica del datore di lavoro proprio in riferimento alle peculiarità del caso concreto senza, per questo, violare le regole della immutabilità dell'accusa con conseguente compromissione del diritto alla difesa (cfr. Cass. sez. 4^, 04.03.2004, n. 27851).
Va altresì rilevato che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, erroneamente interpretato dal ricorrente, non può parlarsi di violazione del principio di correlazione quando il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza si trovino in rapporto di continenza (nel senso che il maggiore comprende quello minore), mentre per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa e, quindi, "l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso "l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (Cass. SS. UU. 22.10.1996, n. 16).
In sostanza l'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato;
la nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 4^, 15.01.2007, n. 10103, Sez. 4^, 25.10. 2005, n. 41663).
Alla luce delle suddette considerazioni, si ritiene che, nel caso di specie, non sia avvenuta una modificazione del fatto, nè pertanto sia intervenuta violazione del principio di correlazione.
4.2. - Quanto al secondo motivo, incensurabile è l'apprezzamento del giudicante che ha ritenuto che, nella fattispecie, si sia verificata la concorrente responsabilità del datore di lavoro e della ditta costruttrice (oltre che dei colleghi di lavoro dell'infortunato), non attribuendo, per contro, valore esimente della responsabilità dell'imputato alla tesi difensiva dell' "affidamento" che, secondo il ricorrente, ogni soggetto acquirente di apparecchi tecnologicamente complessi può fare "sulla corretta e prudente condotta di chi meglio conosce la macchina perchè più attento ai dettagli tecnici di cui non è ragionevole attendersi la universale notorietà".
Al riguardo va preliminarmente rilevato che, in tema di prevenzione infortuni, la disposizione di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, che fissa le misure protettive per le macchine con riguardo alle zone di operazione in cui si compiono le normali attività durante le quali gli operai possono venire accidentalmente a contatto con gli organi lavoratori delle macchine, non è stata superata dalla previsione di cui al D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (regolamento per l'attuazione delle direttive comunitarie concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativamente alle macchine operataci), atteso che il citato art. 68 detta un principio di carattere generale che trova applicazione in tutti i casi nei quali vengono usate macchine pericolose (Cass., Sez. 3^, n. 18-12-2002, n. 5167, Sassi, rv 223377).
Invero, la disciplina normativa di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68- nel prescrivere che in ogni caso ed in qualsiasi fase dell'uso di una macchina, il pericolo derivante dagli organi lavoratori della stessa deve essere rimosso mediante idonei sistemi di protezione, oppure, quando ciò non sia tecnicamente possibile, mediante l'adozione di dispositivi di sicurezza - non lascia comunque alcun margine di discrezionalità in ordine alla necessità di evitare il funzionamento della macchina stessa quando lo stesso costituisca pericolo per il lavoratore addetto (ex multis, Cass. Sez. 4^, n. 4066 del 23.02.1996, rv. 204978; Sez. 4^, 30.11.1992, n. 1208).
Valore assorbente, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, riveste la considerazione che, tra i compiti di prevenzione che ad esso fanno capo, vi è anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari dei tutto sicuri. In altri termini, il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza.
Pertanto, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura (Cass. Sez. 4^, 11.12.2007, n. 6280; Sez. 4^, 10.11.2005, n. 2382, Minesso; Sez. 4^, 26.04.2000, Maniero ed altri).
Trattasi di affermazioni, pienamente condivisibili, che poggiano sul disposto dell'art. 2087 c.c. secondo cui l'imprenditore, al di là di ogni formalismo, è comunque tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa quelle misure che, sostanzialmente ed in concreto, secondo la particolarrtà del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessario a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Secondo la sopra richiamata giurisprudenza di legittimità, si è in presenza, infatti, di una disposizione, utilmente qui richiamabile, che costituisce "norma di chiusura" rispetto alle disposizioni della legislazione antinfortunistica, comportando a carico del datore di lavoro precisi obblighi di garanzia e di protezione dell'incolumità dei propri lavoratori e della stessa incolumità pubblica: obblighi che rendono esigibile, da parte del datore di lavoro, il dovere di impedire, mediante adeguato controllo e la predisposizione di ogni strumento a ciò necessario, che il bene o l'attività, sorgente di pericoli e rientrante nella sfera della sua signoria, possa provocare danni a chiunque ne venga a contatto, anche occasionalmente (Cass., Sez. 4^, 13.06.2000, Forti; Sez. 4^, 12.01.2005, Cuccù, secondo cui il datore di lavoro deve attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, appunto, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante della incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, gli viene correttamente imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2).
In questa prospettiva, va pertanto rilevato che, nel caso di specie, eventuali concorrenti profili colposi addebitatali al fabbricante non elidono certamente il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo in danno del lavoratore.
Questo, del resto, in linea con la pacifica affermazione secondo cui è configurabile la responsabilità del datore di lavoro il quale introduce nell'azienda e mette a disposizione del lavoratore una macchina - che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone - senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l'eventuale diverso venditore, abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l'idoneità all'uso, non valendo ad escludere la propria responsabilità la mera dichiarazione di avere fatto affidamento sull'osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica (Cass., Sez. 4^, 03.07.2002, Del Bianco Barbacucchia).
4.3. - Le argomentazioni fin qui svolte sono utilizzabili per smentire anche la fondatezza del terzo motivo, ad ulteriore confutazione del quale giova aggiungere che appare del tutto inconferente sia il discorso relativo alla ulteriore certificazione "successiva" di conformità CE, considerato che, per quanto sopra esposto, la violazione è davvero macroscopica, tanto da sconfinare nella violazione di regole di comune prudenza, sia quello relativo alle mancate specifiche "avvertenze di pericolo" da parte della ditta costruttrice.
A quest'ultimo riguardo, va rilevato che - a fronte di una colpa consistita nell'abbassamento del tegolo effettuato senza che chi diede l'ordine avesse ricevuto l'assicurazione che la vittima fosse al sicuro - alla voce "Pericolo" inserita nel manuale di Istruzioni, consegnato dalla ditta costruttrice unitamente alla macchina (e quindi in un momento antecedente all'infortunio de qua), erano previste precise cautele da adottare nell'utilizzo del mezzo, fra cui quella di "verificare che nessuno sia minacciato in caso di rovesciamento o di scivolamento della macchina" e che, comunque, si trattava di rischi evidenti anche a prescindere dalle istruzioni.
Invero, come logicamente argomentato dalla Corte territoriale, in esito a valutazione complessiva delle risultanze dibattimentali, nessuna chiara istruzione era stata data in tal senso e, a tutto concedere, anche ove impartita, nessuno si era accertato che fosse stata intesa in tutte le sue implicanze pratiche e che venisse poi rispettata.
Il carico della fresa sul rimorchio costituiva "operazione delicata e pericolosa sia per la mole e il peso del congegno sia per l'uso di assi da porre sulla rampa di carico (onde evitare il contatto metallo contro metallo) e che potevano per la pressione spostarsi e creare intralcio.
Sarebbe stato quindi doveroso prevedere e disciplinare una procedura di caricamento che tutelasse appieno la incolumità dei lavoratori, se del caso, integrando quella fornita dal manuale, o dal personale Wirtgen.
In verità, sarebbe bastato che l'imputato avesse una sola volta assistito a detta operazione di carico per rendersi conto dei rischi che si potevano determinare durante la fase di abbassamento del tegolo e della cesoia dentata, allorchè, essendo la macchina già sul rimorchio, la zona di maggior rischio era ad altezza d'uomo e facilmente accessibile, perchè non protetta.
Nessun dubbio può pertanto essere sollevato, sulla concreta prevedibilità dell'evento lesivo".
Anche alla luce delle suddette considerazioni, pertanto, deve considerarsi infondato l'assunto difensivo dell'esonero di responsabilità invocato dal ricorrente sulla base del marchio CE, non potendo ad esso ricollegarsi una presunzione assoluta di conformità della macchina alle norme di sicurezza, proprio per la prevedibilità ed evitabilità, nella ipotesi de qua, dell'evento lesivo.
Non può, infine, richiamarsi ai principi dell'affidamento il datore di lavoro che, in tema di sicurezza antinfortunistica, venga meno ai suoi compiti che comprendono, tra l'altro, l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinati lavori, la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, ed anche il controllo continuo, congrue ed effettivo, nel sorvegliare e quindi accertare che quelle misure vengano, in concreto, osservate, non pretermesse per contraria prassi disapplicativa, e, in tale contesto, che vengano concretamente utilizzati gli strumenti adeguati, in termini di sicurezza, al lavoro da svolgere, controllando anche le modalità concrete del processo di lavorazione.
Il datore di lavoro, quindi, non esaurisce il proprio compito nell'approntare i mezzi occorrenti all'attuazione delle misure di sicurezza e nel disporre che vengano usati, ma su di lui incombe anche l'obbligo di accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano utilizzati (tra le tante, Cass., Sez. 4^, 10.02.2005, Kapelj).
4.4. - Destituito di fondamento risulta infine il quarto motivo di ricorso relativo alla "assoluta incertezza" in ordine alla misura della pena inflitta.
Nella parte motiva dell'impugnato provvedimento emesso il 14.12.2007 e depositato il 28.12.2007, risulta ben specificato che, alla pena base (pari a mesi due di reclusione) inflitta all'imputato è stata applicata la riduzione di un terzo ex art. 62 bis c.p., con la conseguente irrogazione della pena in concreto pari a mesi uno e giorni dieci di reclusione.
L'errore materiale espresso in dispositivo di condanna alla pena di mesi uno di reclusione è stato evidentemente emendato con la procedura della correzione di errore materiale ex art. 130 c.p.p. se è vero, come è vero, che nell'estratto contumaciale notificato all'imputato in data 18.02.2008 la pena irrogata risulta conforme a quella menzionata nella parte motiva del provvedimento pari a mesi uno e giorni dieci di reclusione.
Nessun contrasto pertanto risulta tra la condanna irrogata e quella risultante dall'estratto contumaciale, non sussistendo la paventata e dedotta incertezza della pena inflitta.
4.5. - Per le sin qui illustrate ragioni il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 agosto 2008.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2008

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Cassazione penale sez. IV, n.33285 | 06 aprile 2011

ID 10061 | | Visite: 2293 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Sentenza Cassazione Penale Sez. 4 del 07 settembre 2011 n. 33285

Responsabilità dell'amministratore unico di una srl dedita alla raccolta rifiuti solidi urbani per lesioni colpose in danno di un operaio. L'imputata aveva infatti consentito che la vittima lavorasse utilizzando un cassone ed un sollevatore di cassonetti non idonei ai fini della sicurezza, in quanto la pulsantiera era posizionata in modo tale da non consentire che l'altra mano interferisse con gli organi operatori del sollevatore: in questo modo l'infortunato azionava la pulsantiera con due dita della mano destra, con la mano sinistra manteneva fermo il coperchio del cassonetto in sollevamento ed in tale frangente pativa lo schiacciamento del 4 dito della mano sinistra tra la struttura metallica del sollevatore idraulico e il cassone dell'autocarro. A seguito dell'infortunio, perdeva i sensi e caduto in terra si procurava la ulteriore lesione costituita da una frattura cranica con conseguente malattia superiore a 40 giorni.

Condannata in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.

Va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "Il datore di lavoro è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinano della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità".

Il datore di lavoro, infatti, è il principale destinatario delle norme antinfortunistiche previste a tutela della sicurezza dei lavoratori ed ha l'obbligo di conoscerle e di osservarle indipendentemente da carenze od omissioni altrui e da certificazioni pur provenienti da autorità di vigilanza.

Tale posizione di garanzia concorre con quella del costruttore, ma non è ad essa subordinata, in quanto la prossimità dell'imprenditore-datore alla fonte dei rischi, alle concrete modalità di lavoro e di eventuale elusione dei sistemi di sicurezza, gli consente immediatamente di percepire l'esposizione al pericolo dei lavoratori impiegati nell'utilizzo dei macchinari.

...

Fatto

1. Con sentenza del 8/6/2006 il Tribunale di Novara, sez. dist. di Borgomanero, condannava Pe. Ge. Ma. Ro. per il delitto di lesioni colpose in danno dell'operaio Gu. Er. (fatti acc. in (Omissis)). All'imputata, con le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, veniva irrogata la pena di mesi 2 di reclusione, sostituita con la pena pecuniaria; veniva inoltre condannata al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, con una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 5.000.
Alla Pe. veniva addebitato che, in qualità di amministratore unico della s.r.l. " DU. ", dedita alla raccolta di rifiuti solidi urbani ed in qualità di datore di lavoro, di avere consentito che la vittima lavorasse utilizzando un cassone ed un sollevatore di cassonetti non idonei ai fini della sicurezza, in quanto la pulsantiera era posizionata in modo tale da non consentire che l'altra mano interferisse con gli organi operatori del sollevatore; di modo che, mentre il Gu. azionava la pulsantiera con due dita della mano destra, con la mano sinistra manteneva fermo il coperchio del cassonetto in sollevamento ed in tale frangente pativa lo schiacciamento del 4 dito della mano sinistra tra la struttura metallica del sollevatore idraulico e il cassone dell'autocarro. A seguito dell'infortunio, perdeva i sensi e caduto in terra si procurava la ulteriore lesione costituita da una frattura cranica con conseguente malattia superiore a 40 giorni.
2. Con sentenza del 15/3/2010, la Corte di Appello di Torino confermava la pronuncia di condanna. Osservava la Corte di merito che la responsabilità dell'imputata si evinceva dalle seguenti circostanze:
- dalle deposizioni raccolte era emerso che era prassi per i lavoratori addetti alla raccolta dei rifiuti spingere con due dita di una mano i pulsanti di salita del cassonetto e con l'altra mantenere schiacciato il coperchio del cassonetto per evitare la caduta di rifiuti che poi si sarebbero dovuti alzare da terra;
- tale modalità di lavoro era possibile, in quanto la pulsantiera consentiva l'azionamento con una sola mano ed era vicina agli organi operatori;
- solo dopo l'incidente il veicolo era stato dotato di una doppia pulsantiere, in modo da rendere necessario avere impegnate entrambe le mani per dare il comando di sollevamento;
- irrilevante era che il macchinario fosse marchiato "CE", in quanto il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza dei lavoratori, indipendentemente dall'affidabilità formale dei macchinari a disposizione;
- il delitto era procedibile di ufficio, in quanto la malattia aveva avuto una durata superiore ai 40 giorni; peraltro anche le lesioni al cranio erano riconducibili alla colposa condotta dell'imputata.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputata, lamentando:
3.1 la erronea applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione in relazione al riconosciuto nesso causale tra la condotta omissiva e le lesioni al capo. Infatti, se lo schiacciamento di un dito (patologia guarita in 15 giorni) poteva essere ricondotto alla condotta contestata, lo stesso non poteva dirsi per la frattura cranica, dovuta al fatto che, per lenire il dolore, il Gu. aveva immerso la mano sinistra nell'acqua fredda e ciò aveva determinato, forse per un riflesso vagale, uno svenimento, la caduta in terra e, quindi, la lesione al capo. Tale evento, pertanto aveva avuto una scaturigine del tutto autonoma, non ricollegabile alla condotta omissiva contestata e quindi riferibile ad una causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l'evento;
3.2. il difetto di motivazione in relazione alla circostanza che era stata riconosciuta la colpevolezza, pur avendo l'imputata posto a disposizione dei suoi dipendenti un macchinario marcato "CE" e garantito nei requisiti di sicurezza. Eventuali inidoneità, ai sensi del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 6 avrebbero dovuto far capo al costruttore e non all'utilizzatore a cui, quindi, non poteva imputarsi la violazione dell'articolo 35, Decreto Legislativo cit.. In ogni caso, il lavoratore avrebbe dovuto conformarsi alle disposizioni di sicurezza impartite e non seguire modalità di lavoro rischiose ed in violazione dell'articolo 5 Decreto Legislativo cit..
3.3. la violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva, richiesta ai sensi dell'articolo 495 c.p.p., comma 2 finalizzata a dimostrare che ai lavoratori erano state impartite direttive per il corretto e sicuro utilizzo dei macchinari.

Diritto

4. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
4.1. In ordine all'accertamento del rapporto causale in caso di concorso di cause (articolo 41 cod. proc. pen.), va ricordato il consolidato l'insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui "Ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l'evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacchè, allora, la disposizione sarebbe pressochè inutile, in quanto all'esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell'equivalenza delle cause di cui all'articolo 41 c.p., comma 1. La norma, invece, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall'antecedente, ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1214 del 26/10/2005 Ud. (dep. 13/01/2006), Boscherini, Rv. 233173; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 20272 del 16/05/2006 Ud. (dep. 14/06/2006), Lorenzoni, Rv. 234596; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41943 del 04/10/2006 Ud. (dep. 21/12/2006), Lestingi, Rv. 235537; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 13939 del 30/01/2008 Ud. (dep. 03/04/2008), Bauwens, Rv. 239593).
Nel caso di specie, la condotta del Gu., che dopo lo schiacciamento del dito, in ragione della percezione del forte dolore, abbia cercato di lenirlo immergendo la mano nell'acqua fredda, innescando in tal modo lo svenimento e la frattura cranica, non può dirsi che abbia determinato una causa sopravvenuta dell'evento con caratteri di anomalia, eccezionalità ed imprevedibilità. Infatti la incontrollata reazione al dolore è ricollegabile con immediatezza allo schiacciamento del dito.
Pertanto correttamente il giudice di merito ha ritenuto permanere il nesso di causalità tra la condotta omissiva dell'imputata e la lesione al capo del Gu., in quanto il comportamento dell'imputata ha costituito un antecedente senza del quale l'evento non si sarebbe verificato, poichè la sua assenza non avrebbe determinato la condotta dell'operaio, costituente una causa sopravvenuta la quale, però, non presenta, sul piano quantitativo o qualitativo, una tale incidenza da doversi considerare idonea da sola a produrre l'evento. Ne consegue la infondatezza del primo motivo di ricorso.
4.2. Quanto al secondo motivo di censura, anche in tal caso va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "Il datore di lavoro è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinano della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 37060 del 12/06/2008 Ud. (dep. 30/09/2008), Vigliarti, Rv. 241020; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6280 del 11/12/2007 Ud. (dep. 08/02/2008), Mantelli, Rv. 238959; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 2630 del 23/11/2006 Ud. (dep. 25/01/2007), Mogliani, Rv. 236012; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 11122 del 15/06/1990 Ud. (dep. 04/08/1990), Beretta, Rv. 185064).
Il datore di lavoro, infatti, è il principale destinatario delle norme antinfortunistiche previste a tutela della sicurezza dei lavoratori ed ha l'obbligo di conoscerle e di osservarle indipendentemente da carenze od omissioni altrui e da certificazioni pur provenienti da autorità di vigilanza.
Tale posizione di garanzia concorre con quella del costruttore, ma non è ad essa subordinata, in quanto la prossimità dell'imprenditore-datore alla fonte dei rischi, alle concrete modalità di lavoro e di eventuale elusione dei sistemi di sicurezza, gli consente immediatamente di percepire l'esposizione al pericolo dei lavoratori impiegati nell'utilizzo dei macchinari.
4.3. Nè può dirsi che il comportamento negligente della persona offesa escluda la responsabilità dell'imputata. Questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass. 4, n. 21587/07, ric. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il Gu. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso il cassone che gli ha procurato l'infortunio e che era priva di idoneo dispositivo di sicurezza, in quanto dotato di una sola pulsantiera che non impediva l'utilizzo dell'altra mano per tener fermo il coperchio del cassonetto in elevazione. Pertanto la circostanza che la parte lesa, presa dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza, abbia avvicinato imprudentemente la mano sinistra una zona di pericolo, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che la cautela omessa era proprio preordinata ad evitare il rischio specifico (lesione agli arti) che poi concretamente si è materializzato nell'infortunio.
Ne consegue da quanto detto, anche la infondatezza della censura relativa alla mancata assunzione di una prova decisiva.
Invero, la prova che il datore di lavoro abbia impartito direttive a che i dipendenti non posizionassero gli arti nelle zone operative della macchina, non esonera per quanto sopra detto, la Pe. dalle sue responsabilità di tema di sicurezza dei macchinari utilizzati dai prestatori di lavoro.
L'infondatezza del ricorso comporta il suo rigetto e, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Cassazione Penale, Sez. 4, n. 6156 | 08 febbraio 2018

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 dell' 08 febbraio 2018 n. 6156

Nessun dispositivo di sicurezza della pressa: infortunio ad una mano. Certificazione di conformità da parte della ditta produttrice

Penale Sent. Sez. 4 Num. 6156 Anno 2018
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 19/12/2017

...

Fatto

1. La Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di quella città, appellata dall'imputato O.G., con la quale costui era stato condannato per il reato di cui all'art. 590 co. 1, 2, 3 e 5 cod. pen., per avere, nella qualità di A.D. della OLIMP s.r.l., per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 70 co. 2 d.lgs. 81/2008), consentito o, comunque, non impedito che gli organi lavoratori di una pressa presente in azienda, potendo costituire pericolo per i lavoratori, non fossero protetti, segregati o comunque provvisti di dispositivi di sicurezza e applicato alla macchina un sistema di azionamento a pedale, in luogo di quello a doppi comandi da azionarsi con entrambe le mani, così consentendo ai lavoratori di operare sulla stessa senza che fosse provvista di idoneo sistema o riparo che impedisse il contatto delle mani con gli organi lavoratori della pressa, così cagionando alla lavoratrice dipendente D.P. lo schiacciamento della mano sinistra con le lesioni meglio descritte in imputazione.
2. Secondo la originaria prospettazione d'accusa, all'O.G., n.q., era stato pure contestato il reato di cui all'art. 437 cod. pen., vale a dire la dolosa rimozione del sistema di sicurezza con il pedale di azionamento, imputazione dalla quale, tuttavia, egli era stato assolto già in primo grado perché il fatto non sussiste.
3. L'imputato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, formulando due motivi.
Con il primo, ha evocato un concorso apparente di norme tra l'art. 437 e l'art. 590 cod. pen., quest'ultimo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica e la conseguente violazione del principio di specialità di cui all'art. 15 cod. pen. e del ne bis in idem sostanziale. Cosicché, nel caso in esame, dovendosi considerare più grave il primo dei due reati, PO.G. avrebbe dovuto essere assolto anche dal secondo, stante il divieto di sottoporre a giudizio un soggetto per lo stesso fatto, per due titoli diversi.
Con il secondo, ha dedotto violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, rilevando che - pur essendo stato contestato all'imputato un profilo di colpa specifica e profili di colpa generica - tuttavia il punto focale dell'addebito era quello di avere applicato alla pressa un comando a pedale che non avrebbe impedito il contatto tra il macchinario e le mani dei lavoratori, laddove il macchinario era stato acquistato con certificazione di conformità e dotazione del sistema di doppio azionamento (a pedale e a doppi comandi manuali). Pertanto, non potendosi riconoscere alcun addebito a titolo di colpa specifica, la Corte d'appello ha riconosciuto, in capo all'imputato, un addebito a titolo di colpa generica, per non avere l'O.G. adottato tutte le possibili cautele per evitare che gli addetti alla pressa potessero subire infortuni, senza tuttavia specificare quali fossero le cautele omesse.

Diritto

1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte territoriale ha ricostruito i fatti sulla scorta di quanto esposto nella sentenza appellata, ritenendo così accertato che la lavoratrice D.P., addetta alla pressa incriminata, avesse, nell'occorso, utilizzato il macchinario secondo le indicazioni dell'imputato, servendosi del comando a pedale e venendo così a contatto con la pressa. Infatti, in base al racconto della donna, costei aveva azionato la pressa con il pedale quando ancora non aveva da essa estratto la mano.
Dalla ispezione espletata era poi emerso che la pressa in questione non era effettivamente dotata di idoneo sistema di riparo che impedisse il contatto delle mani con gli organi di lavoro.
Da ciò era stata ricavata la penale responsabilità dell'imputato, non avendo egli, n.q., adottato le cautele necessarie ad eliminare la pericolosità di quel macchinario, rimuovendo il comando a pedale e consentendone l'uso solo a mezzo del doppio comando manuale.
La Corte territoriale ha poi respinto le doglianze formulate con il gravame di merito, rilevando, quanto alla certificazione di conformità da parte della ditta produttrice della pressa e alla circostanza che il macchinario era già dotato di sistema di azionamento a pedale, che la specifica disposizione antinfortunistica contestata (art. 70 co. 2 d.lgs. 81/1008) rimanda all'All. V (requisiti generali di sicurezza) che, nell'ipotesi di utilizzo di presse, prevede che le stesse debbano essere munite di ripari atti ad evitare che le mani o altre parti del corpo dei lavoratori restino offese dal punzone o da altri organi mobili lavoratori, in ogni caso rilevando che residuerebbero, nel caso all'esame, anche profili di colpa generica, testualmente contestati, dovendo il datore di lavoro porre in essere tutte le cautele atte ad evitare pregiudizio al lavoratore nell'uso della pressa ed elidere la pericolosità intrinseca del macchinario, così dando risposta anche alla seconda doglianza, con la quale era stata eccepita la nullità della sentenza appellata per violazione dell'art. 522 cod. proc. pen.
3. Il primo motivo è infondato.
Con la specifica doglianza, non proposta in sede di gravame di merito e, quindi, affetta da intriseci connotati di inammissibilità, la parte ha evocato un presunto rapporto di specialità tra le norme di cui ai reati ab origine contestati all'O.G., configurandosi, secondo tale impostazione, un concorso apparente di norme che giustificherebbe l'assoluzione dalla fattispecie colposa, per essere stato l'imputato già giudicato per quella dolosa.
3.1. La tesi difensiva non può essere accolta.
In caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di specialità (art. 15 cod. pen.) richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle [cfr. Sez. U. n 1235 del 28/10/2010 Cc. (dep. 19/01/2011), Giordano ed altri, Rv. 248864].
Peraltro, con specifico riferimento agli elementi differenziali tra il reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e le lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, si è anche in passato precisato che il contenuto costitutivo del reato descritto dall’art. 437 cod. pen. e quello del reato di lesioni colpose sono tra loro sostanzialmente diversi e l’uno non comprende l’altro; infatti, nel reato di lesioni colpose l’elemento soggettivo è costituito appunto dalla colpa, mentre nel reato ex art. 437 cod. pen. è richiesto il dolo, che consiste nella coscienza di non adempiere l’obbligo giuridico di collocare gli impianti; nello schema legale tipico del primo non è inclusa la condotta costitutiva descritta nella fattispecie legale del secondo; i due reati si differenziano anche per la diversità dell'evento che nel delitto di cui all'art. 437 cod. pen. è costituito dal comune pericolo di disastro o di un infortunio il cui effettivo verificarsi non è elemento costitutivo del reato medesimo perché costituisce ove si realizzi, circostanza aggravante; invece, nel delitto di cui all'art. 590 cod. pen., l'evento è costituito dalle lesioni subite dalla parte offesa [cfr. sez. 4 n. 1648 del 17/11/1983 Ud. (dep. 24/02/1984), Rv, 162784].
Sempre a tal proposito, si è anche successivamente affermato che il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza del posto di lavoro, sì che la condotta contraria, oltre che integrare gli estremi del delitto di cui all'art. 437 cod. pen., si atteggia anche ad elemento costitutivo della colpa per inosservanza di leggi che connota il delitto di lesioni di cui all'art. 590 cod. pen. [cfr. sez. 1 n. 459 del 29/10/1993 Ud. (dep. 19/01/1994), Rv. 196205].
3.2. Anche il secondo motivo è infondato.
La Corte ha congruamente risposto alla doglianza formulata in sede di merito, rilevando lo specifico profilo di colpa specifica e descrivendo, all'interno della contestazione contenuta nel capo d'imputazione, anche i profili di colpa generica ravvisabili nella condotta contestata all'O.G..
Parte ricorrente si è limitata ad opporre che la Corte d'appello avrebbe ritagliato in capo all'agente una condotta non descritta nel capo d'imputazione, avendo escluso il profilo di colpa specifica (applicazione del comando a pedale) e riconoscendo solo profili di colpa generica non indicati.
La doglianza è frutto di un'affermazione che sostanzialmente non si confronta con le argomentazioni che il giudice d'appello ha esposto a sostegno del proprio convincimento. Ove tale raffronto vi fosse stato, infatti, non sarebbe sfuggito l'espresso riferimento operato dal giudice di merito all'art. 70 co. 2 d.lgs. 81/2008, con il richiamo ivi contenuto all'AII. V, concernente anche macchinari del tipo di quello oggetto della norma cautelare violata.
Non corrisponde al vero, pertanto, che la Corte d'appello abbia escluso profili di colpa specifica, quanto a quelli di colpa generica, rilevandosi una precisa descrizione di essi, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente.
Sul punto, peraltro, non può omettersi un confronto anche con i principi più volte affermati da questa Corte di legittimità, disattesi, sebbene richiamati, nel ricorso, essendosi negata la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna nel caso in cui la contestazione concerna globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa [cfr. Sez. 4 n. 35943 del 07/03/2014, Rv. 260161; n. 51516 del 21/06/2013, Rv. 257902].

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso in Roma il giorno 19 dicembre 2017.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 4636 | 04 Febbraio 2020

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 04 febbraio 2020 n. 4636

Schiacciamento di una mano con la macchina reggiatrice. Prassi lavorativa non corretta

Penale Sent. Sez. 4 Num. 4636 Anno 2020
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 15/01/2020

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Brescia, in data 5 febbraio 2019, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Cremona, in data 1 marzo 2016, aveva condannato A.C. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di lesioni personali colpose, con violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in danno di M.B. in data 1 ottobre 2011.
L'addebito che viene mosso al A.C., nella sua qualità di procuratore speciale delegato in materia di sicurezza della società Arvedi Tubi Acciaio s.p.a. di Cremona e direttore dello stabilimento della predetta società, é di avere omesso di segregare mediante apposite barriere la zona pericolosa ove era ubicata, sulla linea 5 dello stabilimento, una macchina reggiatrice impiegata per il confezionamento di fasci di tubi d'acciaio in forma esagonale; e di avere altresì omesso di controllare che i lavoratori rispettassero le norme di sicurezza e che non fossero poste in essere prassi lavorative non corrette. Tali condotte omissive, nell'assunto accusatorio recepito nel giudizio di merito, erano alla base dell'Infortunio occorso al M.B., dipendente della Arvedi, il quale, avendo ricevuto segnalazione della presenza di rigature sui tubi in fase di accatastamento, effettuava un controllo con la mano sinistra sul fascio di tubi in uscita, quando la linea di produzione si attivava al fine di spostare i tubi verso la successiva area di movimentazione: ciò che cagionava lo schiacciamento della mano del M.B., con le conseguenze lesive descritte nell'imputazione.
La Corte di merito ha respinto le censure mosse in appello dalla difesa del A.C., affermando che il rischio di schiacciamento era prevedibile ed anzi era stato previsto; che il M.B. si era procurato le lesioni nell'espletamento delle sue mansioni; che era stata comprovata la presenza e la tolleranza di prassi pericolose integranti la condotta colposa contestata; e che, se la zona fosse stata dotata di una protezione tale da bloccare il movimento dei rulli in occasione dell'accesso dei lavoratori, l'infortunio non si sarebbe verificato.
2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorre il A.C., con atto articolato in due ampi motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa: la Corte di merito, pur confermando la decisione di primo grado, ne disattende alcune fondamentali affermazioni, come ad esempio quella secondo la quale non era sostenibile la prevedibilità del rischio-schiacciamento in relazione alla fase di lavorazione in corso al momento dell'infortunio, prevedibilità che invece la Corte distrettuale ravvisa giudicando di fatto irrilevante la presenza di un documento per il lavoro sicuro; in realtà, obietta il deducente, il fatto non era prevedibile perché non vi era alcuna necessità che gli addetti alla parte terminale della linea produttiva accedessero alla zona dell'incidente, tanto più per un controllo dei tubi in uscita; e già in primo grado si era dato atto dell'incomprensibilità della verifica di qualità da parte della persona offesa e della totale assenza di organi pericolosi nel punto della linea ove avvenne l'infortunio, tale non essendo la presenza di un carico che viene sospinto su una rulliera priva di moto. Quanto alla procedura di lavoro PLS 09, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, essa non individuava espressamente il rischio di schiacciamento in tutte le fasi di lavoro della linea 5, atteso che tale rischio non era indicato proprio in relazione alla fase in atto al momento dell'infortunio. Tale errore percettivo, secondo il deducente, si risolve in una forma di travisamento della prova. Ed ancora, non é vero che l'infortunio fosse avvenuto nella fase di stiva-formazione esagono e reggiatura automatica, come si afferma nella sentenza impugnata, ma nella fase immediatamente successiva, ossia durante il transito dell'esagono sui rulli; inoltre, erra la Corte distrettuale nell'affermare che il teste a discarico D. abbia affermato che la mancata adozione della barriera fosse legata a un problema operativo di passaggio del carico anziché all'imprevedibilità del rischio, laddove il teste si riferiva chiaramente alla parte finale della linea, e non al punto della linea stessa ove avvenne l'incidente. Sotto altro profilo, l'assunto secondo il quale vi sarebbe stata una prassi lavorativa pericolosa, accreditato sia dal Tribunale che dalla Corte di merito, era stato smentito dai testi I. (secondo il quale il controllo veniva effettuato manualmente solo quando il carico é già spostato oppure a valle della zona dell'incidente) e D. (il quale non viene creduto dalla Corte di merito perché, come capo reparto, avrebbe l'interesse a sostenere l'assenza di pratiche pericolose e l'esercizio corretto del dovere di controllo).
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla configurabilità del nesso causale tra la condotta contestata e l'evento: a fronte di un'evidente incertezza nella ricostruzione della dinamica dell'infortunio, la Corte di merito ha accreditato una ricostruzione diversa rispetto a quella recepita nell'imputazione, adombrando ii sospetto di un'anticipazione delle operazioni di imbracatura dei fasci, che ad avviso della Corte di merito ben spiegherebbe gli esiti traumatici da schiacciamento, ma che é risultata in realtà indimostrata nel giudizio; oltre a ciò, é stata accordata piena attendibilità alla persona offesa, mentre inspiegabilmente non é stato dato credito alla deposizione del capo reparto D., di segno completamente diverso.

Considerato in diritto

1. Si premette che la non manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, a fronte della data di commissione del reato, comporta che il reato stesso debba dichiararsi estinto per prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Si premette ulteriormente che non formano oggetto di contestazione né la circostanza che la zona ove si verificò l'infortunio non era dotata di dispositivi di protezione (che, secondo quanto si accenna a pag. 3 della sentenza impugnata, vennero allestiti in epoca successiva all'infortunio); né la posizione di garanzia attribuita all'odierno imputato A.C., nella sua qualità.
Le lagnanze difensive si appuntano, nell'essenziale, sulla prevedibilità dell'evento (e, a monte, del rischio concretizzatosi) e sulla sussistenza del nesso causale in relazione a quanto addebitato al A.C. a fronte di quanto emerso in giudizio.
Si tratta di lagnanze che, ancorché in modo non manifesto, risultano infondate.
2. Sotto il primo profilo, come precisato dalla Corte di merito, proprio alla luce della produzione difensiva del PSL 09 - Linea 5 (prodotto con l'atto d'appello e oggi inserito in allegato 2 al ricorso) risulta che, in realtà, il rischio schiacciamento era specificamente previsto nelle singole fasi lavorative e nelle operazioni ivi indicate, compresa quella che, secondo il ricorrente, era in corso in occasione dell'infortunio.
Ma, a parte ciò e soprattutto, é dirimente il riferimento all'acquisizione di elementi probatori che hanno consentito di accertare la presenza di una prassi lavorativa non corretta, con riguardo ad operazioni rischiose corrispondenti a quella che il M.B. stava ponendo in essere al momento dell'incidente e che erano state poste in essere anche in precedenza: la prova dell'esistenza di tale prassi, cui fa specifico riferimento la sentenza impugnata, era stata del resto già accreditata dal giudice di primo grado con riguardo a comportamenti anche di altri lavoratori, sulla base delle dichiarazioni rese dagli operai (pag. 4 sentenza del Tribunale di Cremona in data 1 marzo 2016). Si soggiunge in proposito che non sono ammissibili in questa sede censure in ordine al giudizio di attendibilità dichiarativa della persona offesa e all'inattendibilità del teste D., essendo noto che non é consentito proporre alla Corte di legittimità una nuova valutazione delle acquisizioni probatorie, di stretta pertinenza dei giudici di merito (ex multis Sez. 6, Sentenza n. 47204 del 07/10/2015 , Musso, Rv. 265482) o sollecitare un giudizio di attendibilità delle fonti di prova orale difforme rispetto a quello del giudice di merito (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico e altro, Rv. 271623).
3. Sotto il secondo profilo dianzi indicato, la successiva apposizione di adeguate protezioni nella zona interessata dall'Infortunio, se non é di per sé autonomamente dimostrativa della prevedibilità ex ante del rischio poi concretizzatosi (prevedibilità che peraltro riposa su altre acquisizioni probatorie), costituisce tuttavia una conferma indiretta della riferibilità causale dell'evento alla condotta omissiva contestata al A.C. nella sua qualità, avuto riguardo al fatto che l'adozione di dette cautele integra il comportamento alternativo diligente di cui gli viene imputata l'omissione e che, ove fosse stato adottato prima dell'incidente, ne avrebbe certamente impedito il verificarsi.
4. Poiché però, come detto, l'infondatezza dei motivi di ricorso non può qualificarsi come manifesta, ne discende che lo spirare del termine prescrizionale impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato é estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato é estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2020.

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Circolare 8805 del 26.06.2017

ID 10051 | | Visite: 3348 | Prevenzione Incendi

Circolare 8805 del 26.06.2017

OGGETTO: D.P.R.151/11 - Attività 18.2.C dell'Allegato I. Procedimento di deroga.

Con riferimento alla pratica di prevenzione incendi n.....: concernente l'oggetto, si rende noto che lo studio di ingegneria incaricato di redigere un progetto in deroga per un esercizio di minuta vendita di sostanze esplodenti ha chiesto alla scrivente Direzione di fornire chiarimenti in merito alle procedure da seguire.

Al riguardo si rappresenta che qualora l'oggetto della deroga interessi aspetti disciplinati dal regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, la deroga può essere concessa dal Prefetto a seguito dell'espressione del parere favorevole della Commissione tecnica territoriale in materia di sostanze esplodenti (cfr. art.2 del cap.VI dell'allegato B al R.D.635/1940 come modificato dall'art.4, comma 4 del D.M.9 agosto 2011).

In tal caso, espletata tale procedura, ai fini della prevenzione incendi, il titolare dell'attività deve attivare i procedimenti di cui agli artt. 3 e 4 del D.P.R.151/11.

Qualora, invece, la deroga venga richiesta nell'impossibilità di osservare integralmente una regola tecnica di prevenzione incendi - quale, ad esempio, quella relativa ad eventuali attività commerciali contigue alla minuta vendita - è necessario attivare il procedimento di cui all'art.7 del citato decreto, fatti salvi gli altri adempimenti in capo al titolare dell'attività.

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Primo documento di consenso sulla sorveglianza sanitaria

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Primo documento di consenso slla soveglianza sanitaria

Primo documento di consenso sulla sorveglianza sanitaria

CIIP, febbraio 2020

Pubblicato il "Primo documento di consenso sulla sorveglianza sanitaria" prodotto dal Gruppo di Lavoro della CIIP.

Il GdL Sorveglianza Sanitaria comprende Medici Competenti e Medici del Lavoro che operano nei servizi pubblici di vigilanza. Dal confronto fra le diverse professionalità nasce questo documento di consenso, un piccolo vademecum per migliorare la qualità della sorveglianza sanitaria, i rapporti tra imprese e professionisti e sistema pubblico di prevenzione e controllo.

___

INDICE
1. INTRODUZIONE
2. LINEE DI INDIRIZZO PER LA SORVEGLIANZA SANITARIA E IL GIUDIZIO DI IDONEITA’
2.1. FINALITA’ ECAMPO DI APPLICAZIONE DELLA SORVEGLIANZA SANITARIA (coordinamento Fulvio D’Orsi)
2.1.1. Aspetti generali
2.1.2. I rischi previsti da specifiche norme di legge
2.1.3. La radioprotezione medica
2.1.4. I rischi non previsti da specifiche norme di legge
2.1.5. Rischio per la sicurezza dei terzi e rischio per la comunità
2.1.6. La sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali
2.1.7. La sorveglianza sanitaria nel lavoro somministrato
2.1.8. L’idoneità per il lavoro all’estero
2.1.9. L’idoneità dei lavoratori di imprese straniere che lavorano in Italia
2.1.10. Il collocamento mirato dei disabili
2.1.11. Gli aspetti di interfaccia casa lavoro
2.1.12. L’art. 5 della L. 300/70
2.1.13. La promozione della salute
2.1.14. Tabella di sintesi
2.2. IL GIUDIZIO DI IDONEITA’ LAVORATIVA: FORMULAZIONE, CONDIVISIONE, APPLICAZIONE (a cura di Carlo Nava - Giuseppe Taino - Quintino Bardoscia)
2.2.1Aspettigenerali
2.2.2. Il percorso operativo
2.2.3 Il giudizio di idoneitàparziale e l’accomodamento ragionevole
2.2.4 L’uso della Metodologia ICF per la ricollocazione del lavoratore con limitazionie disabilità
3. APPROFONDIMENTI E PROPOSTE
3.1. IL RUOLO DEL MEDICO COMPETENTE NELLAVALUTAZIONE DEI RISCHI (a cura di Natale Battevi - Laura Bodini)
3.2. IL RICORSO AVVERSOIL GIUDIZIO DEL MEDICO COMPETENTE (a cura di Antonia Maria Guglielmin)
3.3. “PORTABILITA’” DELLACARTELLACLINICA (a cura di Giuseppe Taino)
3.4. UTILITA’ E UTILIZZO DEI DATI DELLA SORVEGLIANZA SANITARIA (a cura di Roberto Dighera)
3.5. ESEMPI DI UTILITA’ E UTILIZZO DEI DATI DELL’ALLEGATO 3B
3.5.1. L’uso dei dati aggregati da parte dei medici competenti (Giovanni Falasca)
3.5.2. L’uso dei dati aggregati da parte dei Servizi di Prevenzione delle ASL (a cura di Battista Magna)
3.6. RAPPORTI CONTRATTUALI, FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE (a cura di Susanna Cantoni)

Fonte: CIIP - Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione

...

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Lettera circolare 30 ottobre 1996 Prot n. P2244 4122

ID 10023 | | Visite: 5494 | Prevenzione Incendi

Lettera circolare 30 ottobre 1996 Prot n. P2244/4122

OGGETTO: D.M. 26 agosto 1992 “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica” – Chiarimenti applicativi e deroghe in via generale ai punti 5.0 e 5.2.

Sono pervenuti a questo Ufficio numerosi quesiti in ordine all’applicazione di alcune misure previste dal decreto citato in epigrafe. Al riguardo, sul conforme parere che il Comitato Centrale Tecnico Scientifico per la prevenzione incendi ha espresso nella riunione del 22 ottobre 1996, si riportano nell’allegato “A” i relativi chiarimenti.

Inoltre, per quanto riguarda gli edifici scolastici esistenti alla data di emanazione del disposto in questione, includendo in tale fattispecie anche quegli edifici per i quali a tale data era stato richiesto il parere preventivo, si trasmettono con l’allegato “B”, le misure che il Comitato Centrale Tecnico Scientifico per la prevenzione incendi ha definito nella medesima riunione, al fine di permettere la concessione di deroghe in via generale ai punti citati nell’oggetto. Tali disposizioni, essendo in linea con i principi informativi di analoghe deroghe rilasciate nel corso del tempo, consentono ai Comandi Provinciali VV.F. di procedere direttamente all’approvazione dei progetti, intendendosi accolte in via generale le deroghe alle specifiche prescrizioni del decreto in argomento.

D.M. 26 agosto 1992
...
5. Misure per l'evacuazione in caso di emergenza
5.0. Affollamento Il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in:
- aule: 26 persone/aula. Qualora le persone effettivamente presenti siano numericamente diverse dal valore desunto dal calcolo effettuato sulla base della densità di affollamento, l'indicazione del numero di persone deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare dell'attività; (1)
- aree destinate a servizi: persone effettivamente presenti + 20%; 
- refettori e palestre (2): densità di affollamento pari a 0,4 persone/m2.
...
...
5.2. Sistema di via di uscita Ogni scuola deve essere provvista di un sistema organizzato di vie di uscita dimensionato in base al massimo affollamento ipotizzabile in funzione della capacità di deflusso ed essere dotata di almeno 2 uscite verso luogo sicuro. Gli spazi frequentati dagli alunni o dal personale docente e non docente, qualora distribuiti su più piani, devono essere dotati, oltre che della scala che serve al normale deflusso, almeno di una scala di sicurezza esterna o di una scala a prova di fumo o a prova di fumo interna. 

A) Punto 5.0 - Affollamento - Deroga in via generale
Nel caso di refettori e palestre, qualora le persone effettivamente presenti siano numericamente diverse dal valore desunto dal calcolo effettuato sulla base delle densità di affollamento indicate al punto 5.0, l'indicazione del numero di persone deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare dell'attività.

B) Punto 5.2 - Sistema di vie di uscita - Deroga in via generale

B1) Edifici a tre piani fuori terra: limitatamente agli edifici a tre piani fuori terra è ammesso che, in luogo della scala esterna o a prova di fumo, sia realizzata una scala protetta a condizione che tutte le scale siano protette e che adducano, attraverso percorsi di esodo, all'esterno. Nella gestione dell'emergenza si deve tenere conto della realtà dei predetti percorsi. Ai fini del computo della lunghezza del percorso di cui al punto 5.4, si chiarisce che non deve essere considerato il percorso interno ai vani scala protetti.

B2) Edifici a due piani fuori terra: è ammessa la realizzazione di una sola scala, protetta, alle seguenti condizioni:
- il numero di persone complessivamente presenti al secondo piano sia commisurato alla larghezza della scala, considerando la capacità di deflusso non superiore a 50;
- il percorso di piano non sia superiore a 15 m. Sono ammessi percorsi di lunghezza non superiore a 25 m se corridoi e scale sono provvisti di rivestimenti ed arredi di classe 1ª di reazione al fuoco in ragione di non più del 50% della loro superficie totale (pavimenti, pareti, soffitti e proiezione orizzontale delle scale) e di classe 0 per le restanti parti e ove ritenuto necessario, di impianto automatico di rivelazione e allarme incendio;
- il percorso da ogni punto dell'edificio fino a luogo sicuro non superi i 45 m.

(1) Il valore di 26 persone/aula costituisce il parametro ufficiale in vigore all'epoca dell'emanazione del DM 26/8/1992 che al p.to 5.0 prevede la possibilità di adottare indici diversi purché il titolare dell'attività sottoscriva apposita dichiarazione. Ai fini della sicurezza antincendi, condizione fondamentale per garantire un sicuro esodo dalle aule è che queste dispongano di idonee uscite come prescritto al p.to 5.6. A fronte di tale condizione cautelativa, un modesto incremento numerico della popolazione scolastica per singola aula, consentito dalle norme di riferimento del Ministero dell’Istruzione, purché compatibile con la capacità di deflusso del sistema di vie di uscita, non pregiudica le condizioni generali di sicurezza (Nota prot. n. P480/4122 sott. 32 del 6/5/2008).

(2) Per le strutture indipendenti adibite a palestra anche a servizio di istituti scolastici è possibile applicare le norme di cui al DM 18/3/1996, che risultano meno severe per gli aspetti di resistenza al fuoco e reazione al fuoco (Lett. circ. prot. n. P205-P354/4122 sott. 32 del 18-05-2004).

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Circolare 13223 del 24.10.12

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Circolare 13223 del 24.10.12

Criteri per la concessione di deroghe per le strutture ricettive turistico alberghiere esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell’interno del 9 aprile 1994 e s.m.i., siti all’interno di edifici sottoposti alle disposizioni di tutela ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42.

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DPR 27 ottobre 1971 n.1269

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DPR 27 ottobre 1971 n.1269

Norme per l'esecuzione dell'art. 16 del decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito in legge, con modificazioni, con la legge 18 dicembre 1970, n. 1034, riguardante la disciplina dei distributori automatici di carburante per autotrazione. 

(GU n.29 del 1-2-1972 )

Testo allegato aggiornato da:

29/03/1993
D.L. 29 marzo 1993, n. 82 (in G.U. 29/03/1993, n.73), convertito, con modificazioni, dalla L. 27 maggio 1993, n. 162 (in G.U. 28/5/1993 n. 123)

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Agenti cancerogeni, mutageni e ionizzanti: esame preliminare CdM

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Agenti cancerogeni mutageni e ionizzanti esame preliminare CdM

Sorveglianza sanitaria agenti cancerogeni, mutageni e ionizzanti: esame preliminare CdM

Update 09 Giugno 2020

Pubblicato il D.Lgs. 1 giugno 2020 n. 44 

Attuazione della direttiva (UE) 2017/2398 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, che modifica la direttiva 2004/37/CE del Consiglio, relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro.

(GU Serie Generale n.145 del 09-06-2020)

Entrata in vigore del provvedimento: 24/06/2020

Consiglio dei Ministri n. 26 del 29 Gennaio 2020

Nella seduta del 29 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/2398 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni durante il lavoro ed ha approvato, in esame preliminare, l'attuazione della direttiva 2013/59/EURATOM, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti (n.b. termine di recepimento IT scaduto da quasi due anni).

Nello specifico:

- Attuazione della direttiva (UE) 2017/2398 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni durante il lavoro (Ministro del lavoro e delle politiche sociali)

Vedi Schema Dlgs attuazione direttiva (UE) 2017/2398

Il testo modifica le norme volte ad assicurare un’adeguata sorveglianza sanitaria dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni durante il lavoro. In particolare, rispetto all’attuale normativa, si prevede che il medico o l’autorità responsabile della sorveglianza sanitaria dei lavoratori possa segnalare che la stessa debba proseguire anche dopo il termine dell’esposizione, per il periodo di tempo che ritiene necessario per proteggere la salute del lavoratore interessato. Inoltre, il testo prevede specifiche modifiche alle norme sui lavoratori esposti alla polvere di silice cristallina respirabile.

Termine di Recepimento: entro il 17 Gennaio 2020 (scaduto)
Art. 2 direttiva (UE) 2017/2398 
Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 17 gennaio 2020
La modifica alla Direttiva 2004/37/CE, dovrà essere recepita nel D.Lgs. 81/2008 ed andrà a modificare/integrare il capo II e gli Allegati XLII e XLIII

- Attuazione della direttiva 2013/59/EURATOM, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom (Ministro della salute - Ministro dello sviluppo economico - Ministro del lavoro e delle politiche sociali - Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare)

Il decreto, oltre a recepire nel nostro ordinamento la direttiva 2013/59/EURATOM, provvede a riordinare e armonizzare la normativa di settore, assicurando il mantenimento delle misure di protezione dei lavoratori e della popolazione più rigorose rispetto alle norme minime stabilite dalla medesima direttiva.

Tra le novità, nell’ottica di una più ampia tutela dei lavoratori esposti a fattori di rischio, la direttiva prevede tra l’altro che il responsabile della sorveglianza sanitaria possa richiedere che la sorveglianza prosegua anche dopo l’esposizione, per il periodo di tempo che ritiene necessario per proteggere la salute del lavoratore e, inoltre che informi il lavoratore stesso riguardo all’opportunità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa come avviene già oggi per l’esposizione all’amianto.

La sorveglianza sanitaria in corso del rapporto di lavoro resta a carico del datore di lavoro, mentre gli accertamenti sanitari riferiti ad un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro resteranno a carico del servizio sanitario nazionale.

La Commissione Europea, in data 25.07.2019 ha deferito l'Italia (unico stato dell'UE a non aver adottato alcuna norma di recepimento) alla Corte di giustizia UE per il mancato recepimento delle norme UE sulla radioprotezione.
La Commissione ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'UE a causa del mancato recepimento delle norme fondamentali di sicurezza rivedute in materia di protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti (direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio). Nel dicembre 2013 gli Stati membri hanno convenuto di recepire la direttiva entro il 6 febbraio 2018 (pertanto scaduto da quasi due anni) e di comunicare alla Commissione le misure e le disposizioni adottate nel diritto nazionale.

La Legge di delegazione europea 2018Legge 4 ottobre 2019 n. 117, "Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2018" (GU n.245 del 18-10-2019), all'Art. 20 riporta delega al Governo ad introdurre le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva 2013/59/Euratom:

Art. 20 Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom 

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Fonte: Consiglio dei Ministri

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 3184 | 27 Gennaio 2020

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 27 gennaio 2020, n. 3184

Infortunio dell'addetto a carico e scarico di "roller". Banchina priva di protezione ma nessuna responsabilità del dirigente con delega se non ha autonomia decisionale e di spesa

Penale Sent. Sez. 4 Num. 3184 Anno 2020
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 17/10/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza, emessa all'esito di giudizio ordinario, dal Tribunale di Firenze che ha ritenuto A.R. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. perché, quale dirigente con delega agli "interventi ed adeguamenti strutturali, manutenzione di uffici e impianti" per il Centro Meccanizzazione Postale (CMP) di Sesto Fiorentino delle POSTE ITALIANE Spa, cagionava al dipendente M.C. lesioni personali gravi, consistenti in frattura pluriframmentaria alla gamba destra guarita in 387 giorni.
2. Intorno alle 17 del 14/05/2012, M.C., all'epoca dipendente delle POSTE ITALIANE, Impiegato nel reparto "ricevimento/invio", con la mansione di addetto allo scarico e al carico delle merci, si trovava sotto la pensilina in corrispondenza della banchina di carico e stava provvedendo al carico di "roller" (carrelli con struttura "a gabbia", contenenti plichi da recapitare) su un camion, quando, tirando all'indietro uno dei carrelli e non essendosi accorto della fine della banchina, cadeva all'indietro, finendo sul piazzale sottostante. Il carrello, bloccato dalle cinghie, non cadeva sul lavoratore ma ne investiva le gambe.
All'epoca dei fatti, l'imputato rivestiva l'incarico di responsabile dell'area Centro 1, con delega conferita per assicurare la rispondenza dei luoghi di lavoro alle disposizioni normative vigenti, con poteri di spesa nell'ambito del budget approvato annualmente dall'azienda.
3. I Giudici del merito hanno ritenuto sussistere il profilo di colpa contestato e ravvisato nella violazione, da parte dell'imputato, degli artt. 63 comma 1 e 64 comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008, non avendo garantito che la banchina di carico fosse tale da assicurare i lavoratori dal rischio di caduta, in particolare non avendola dotata di barriere di protezione. Il primo Giudice aveva osservato che, indipendentemente dalla condotta non ortodossa della persona offesa, vi era un concreto rischio di caduta dal bordo della banchina, assai prossimo allo spazio di manovra a disposizione, in considerazione della configurazione dei luoghi, del tipo di manovra da compiere col carrello, del peso delle merci, della limitatezza dello spazio a disposizione. L'eventuale distrazione del lavoratore non poteva esimere da colpa l'imputato.
4. Avverso la sentenza di appello l'imputato, a mezzo del difensore, ricorre per cassazione, articolando tre motivi. Con il primo, deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione, risultante dai verbali delle dichiarazioni testimoniali acquisite, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un nesso causale tra l'asserita violazione di regole cautelari e l'evento lesivo. La sentenza impugnata utilizza un unico dato probatorio, costituito dalle dichiarazioni del teste C., le quali non erano state affatto valutate dalla sentenza di primo grado e, comunque, erano state contraddette da altre dichiarazioni testimoniali quanto alla ricostruzione del fatto storico, del tutto diversa da quella ritenuta in sentenza. Nell'assumere quale unico riferimento probatorio la testimonianza del C., la Corte di appello considera la situazione che solitamente si verificava durante le operazioni di carico su quella banchina e non la reale situazione nel momento in cui l'infortunio si è verificato. La caduta del M.C., diversamente da quanto assume il teste C., si è verificata quando la banchina era ormai del tutto sgombra, visto che la persona offesa stava movimentando l'ultimo dei carrelli da caricare sui furgoni postali, circostanza confermata dal teste B.. Questi, nella sua deposizione, aveva evidenziato che la responsabilità ricadeva unicamente sul lavoratore infortunato che aveva sbagliato nell'andare indietro. Quanto all'affermazione resa dal teste C. secondo cui egli stesso ed altri colleghi avevano fatto presente al datore di lavoro, tramite i rappresentanti sindacali, il rischio, essa costituisce palese travisamento della prova da parte della Corte di appello giacché il C. non ha detto di aver portato all'attenzione del datore di lavoro la situazione di rischio né, in conseguenza, ha ricevuto dallo stesso l'invito ad usare la massima attenzione nel muoversi su quella banchina. Con il secondo motivo, si eccepisce l'erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., nonché degli artt. 63 e 64 e dell'Allegato IV, punti 1.3.13 e 1.3.14 del d.lgs. 81/2008, con riferimento all'individuazione dell'omessa installazione delle barriere protettive sui bordi della banchina quale causa dell'evento che si è verificato. Diversamente da quanto assunto nelle sentenze di merito, il combinato disposto dei punti 1.3.13 e 1.3.14 del d.lgs. 81/2008 prevede unicamente che le banchine di carico debbano "offrire una sicurezza tale da evitare che i lavoratori possano cadere", atteso che laddove il citato decreto reputi unica misura idonea ad eliminare o mitigare il rischio di caduta l'installazione di balaustre lo contempla esplicitamente. Una "banchina di carico" come quella su cui si è verificato l'infortunio occorso non è altro che una particolare specie di luogo di lavoro rientrante nel più ampio genere dei "piani di caricamento", per i quali la norma prevede l'installazione "su tutti i lati aperti" soltanto se l'altezza è superiore ai 2 metri. Nel caso in esame, l'altezza era inferiore. Peraltro, anche se apposte, le balaustre non avrebbero evitato la caduta del lavoratore. Il dibattimento ha consentito di accertare l'adozione di una puntuale procedura aziendale in tema di movimentazione dei carrelli postali, la formazione dei dipendenti (inclusa la persona offesa), la dotazione di attrezzature di sicurezza. Ciò vale di per sé ad escludere la sussistenza di qualsiasi omissione penalmente rilevante ai sensi dell'art. 40, comma 2, cod. pen. In ogni caso, la condotta posta in essere dalla persona offesa ha interrotto il nesso causale. Sono le stesse dichiarazioni del teste B. a qualificare come assolutamente "esorbitante" ed abnorme il comportamento dell'infortunato. Con il terzo motivo, si lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'esatta individuazione dell'area di rischio di cui l'imputato poteva considerarsi gestore, in considerazione della concreta posizione dallo stesso rivestita nell'ambito della struttura organizzativa della società e del tenore della delega conferitagli dal datore di lavoro. I Giudici si sono limitati a tener conto della delega senza considerare che il suo reale contenuto andava ricavato dagli ulteriori elementi acquisiti. Il riferimento è, in particolare, alla valutazione espressa dall'ispettore della ASL, Alessio F., il quale ricordando gli esiti degli accertamenti svolti quale ufficiale di polizia giudiziaria delegato alle indagini, ha attribuito esclusivamente al datore di lavoro, dott. Capra e alla dirigente da questi delegata, dott.ssa Carcione [coimputata non appellante], le omissioni dallo stesso reputate penalmente rilevanti. La delega conferita all'ing. A.R. gli attribuiva di attuare, da una parte, gli interventi indicati nel Piano annuale stabilito dal datore di lavoro, dall'altra, gli ulteriori interventi richiesti dal datore di lavoro o dai dirigenti.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.
2. In tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia - che può essere generata da investitura formale o dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante - deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di protezione dello specifico bene giuridico che necessita di protezione, e di gestione della specifica fonte di pericolo di lesione di tale bene, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (Sez. 4, n. 38624 del 19/06/2019, B., Rv. 277190).
Il tema dell'individuazione delle diverse posizioni di garanzia nell'ambito del sistema prevenzionistico della sicurezza del lavoro è stato ripetutamente esaminato da questa Suprema Corte e diffusamente esaminato in recenti sentenze (Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Gandolla e altri; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison e altri), la cui complessiva disamina merita di essere tenuta in conto. L'infortunio, come si è esposto, è stato determinato dalla mancata assicurazione dei lavoratori dal rischio caduta dalla banchina, per non averla dotata di barriere di protezione. La giurisprudenza di questa Corte, come si è detto, ha ampiamente illustrato come si articoli, nel sistema della sicurezza del lavoro, la posizione di garanzia; come essa debba essere definita in linea di principio e come debba essere riconosciuta in concreto con riguardo all'organizzazione aziendale. La materia è stata parzialmente disciplinata sin dai primi atti normativi di settore ed è stata infine unitariamente trattata nel Testo unico sulla sicurezza del lavoro di cui al d.lgs. 81/2008, peraltro recependo la sistemazione giurisprudenziale dell'istituto che si era formata nel corso del tempo. Come è noto, il sistema prevenzionistico è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale: il datore di lavoro, il dirigente e il preposto. In particolare, per ambedue le ultime figure occorre tener conto, da un lato, dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità; e dall'altro, del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono. Tali definizioni di carattere generale subiscono specificazioni in relazione a diversi fattori, quali il settore di attività, la conformazione giuridica dell'azienda, la sua concreta organizzazione, le sue dimensioni, essendo ben possibile che in un'organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i ruoli in questione. Queste considerazioni di principio evidenziano che nell'ambito dello stesso organismo può riscontrarsi la presenza di più figure di garanti. L'individuazione della responsabilità penale passa, pertanto, anche attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all'interno di ciascuna istituzione, atteso che, oltre alle categorie giuridiche, rilevano, in particolare, i concreti ruoli esercitati da ciascuno sulla base dei quali si declina la categoria giuridica della posizione di garanzia. Espressione, questa, che esprime l'obbligo giuridico di impedire l'evento il quale fonda la responsabilità in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell'art. 40 cpv cod. pen.
La centralità dell'idea di rischio emerge con particolare incisività nel contesto della sicurezza del lavoro, pur esistendo diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Si può, quindi, affermare che garante è il soggetto che gestisce il rischio.
Riconosciuta la sfera di rischio come area che designa l'ambito in cui si esplica l'obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l'obbligo del garante, ne discende altresì la necessità di individuare concretamente la figura istituzionale che può essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fisica che incarna concretamente quel ruolo. 
3. I menzionati principi rilevano quanto alla posizione dell'odierno imputato. È opportuno ricordare che l'imputazione per cui è processo è stata elevata anche nei confronti di MG.C. (non ricorrente), quale dirigente con delega alla sicurezza del Centro Meccanizzazione POSTE ITALIANE Spa, conducendo all'affermazione di responsabilità anche nei confronti della stessa.
Nel caso di specie, dal documento di "delega e attribuzioni di responsabilità su interventi e adeguamenti strutturali, su manutenzione di uffici e impianti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. n. 81/2008" emerge che l'imputato non disponeva di autonomi poteri di intervento e di scelta degli interventi da effettuare - e, dunque, di autonomia decisionale - in quanto il relativo potere di spesa doveva essere esercitato in accordo con il Piano degli interventi definiti dal datore di lavoro. Egli era un organo tecnico, in quanto tale con funzioni distinte da quelle dell'unico delegato alla sicurezza (coimputata MG.C.) e soggetto a deliberazioni assunte da altre persone. Dunque, l'imputato non rivestiva alcuna posizione di garanzia nel senso più sopra illustrato.
Al riguardo, l'impugnata pronunzia si appalesa non esente anche da profili di contraddittorietà e di illogicità laddove afferma che dalla richiamata delega spettava al A.R. definire il Piano annuale di interventi «pur seguendo le indicazioni del datore di lavoro». Trascura così di adeguatamente considerare, oltre al contenuto della delega, la natura del rischio concretizzatosi, afferente alla predisposizione delle opere provvisionali, la presenza di altra figura qualificata alla gestione di tale rischio esecutivo, la stessa condanna di tale soggetto (il riferimento è alla C.). Né individua un concreto, oggettivo nucleo di responsabilità nella gestione dello specifico rischio.
4. In conclusione, non si ravvisa alcuna violazione di cautele ascrivibili all'imputato, conseguendone che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per non avere l'imputato commesso il fatto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere commesso il fatto.
Così deciso il 17 ottobre 2019

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Circolare n. 132 del 22 dicembre 1962

ID 9984 | | Visite: 4584 | Prevenzione Incendi

Circolare n. 132 del 22 dicembre 1962

MINISTERO DELL’INTERNO
DIREZIONE GENERALE DEI SERVIZI ANTINCENDI

Circolare N. 132
Ispett. Tecn./ Prev.
Prot. N° 45539/4112
Roma, 22 dicembre 1962


OGGETTO: Depositi ed impianti di olii minerali. Norme di sicurezza integrative di quelle stabilite nel decreto ministeriale 31 luglio 1934.

Con l’evoluzione sempre più importante e rapida dell’industria petrolifera e petrolchimica si è profondamente alterata, per dimensioni ed altre caratteristiche, la situazione dei relativi stabilimenti in base alla quale furono compilate le norme di sicurezza di cui al decreto ministeriale 31 luglio 1934.

Lo sviluppo verificatosi nel settore petrolifero ha determinato, in particolare, la necessità di realizzare ingenti depositi di olii minerali, della potenzialità di parecchie centinaia di migliaia di metri cui tra greggio e prodotti finiti, nonchè di installare serbatoi di capienza singola superiore anche ai 50.000 mc, con diametro ed altezza molto maggiori di quelli che erano normalmente in esercizio al momento della compilazione delle norme di sicurezza innanzi citate.

La capacità di alcuni serbatoi, recentemente installati, ha fatto sorgere nuovi problemi nei confronti degli argini o dei muri di contenimento i quali, a loro volta, tendono a crescere oltre ogni limite determinando così anche delicati problemi circa la loro stabilità per l’aumentare delle pressioni in gioco.

Inoltre nelle nuove condizioni, come si è avuto modo di constatare, la difesa antincendi degli stabilimenti petroliferi, che ha per presupposto fondamentale la possibilità di impiegare mezzi mobili anche da terra in aggiunta all’azione degli impianti fissi, o per l’inefficienza di questi, diventa sempre più difficile se non addirittura impossibile.

Infatti l’impiego di lance schiumogene a mano, il cui getto può essere diretto con immediatezza dalla volontà intelligente dell’operatore, nonchè quello anche massiccio di cannoni schiumogeni - di maggiore potenza ma di minore maneggevolezza -, non offre le necessarie garanzie circa il risultato positivo della manovra, giacché i getti a grande distanza ed altezza sono fortemente sfrangiati, subiscono l’azione del vento, presentano grande difficoltà a colpire dal basso, con efficacia, il bersaglio costituito da un semplice anello circolare, nel caso di incendio di serbatoio a tetto galleggiante e, in definitiva, risultano di scarsa efficacia, quando addirittura non riescono a raggiungere l’obiettivo.

Oltre a ciò è da rilevare il fatto che, nel caso d’impiego dei cannoni schiumogeni, si verifica - per la rilevante portata di essi - un enorme consumo di liquido schiumogeno che crea problemi di approvvigionamento e di trasporto - non attraverso condutture - di difficile soluzione in caso di necessità.

Le difficoltà di intervento innanzi esposte sono ulteriormente accresciute dalla tendenza, da parte delle società che gestiscono le raffinerie o i depositi petroliferi, a costruire, per motivi di spazio, bacini di contenimento circondati da muri di altezza sempre maggiore, costituenti come un bastione, il che rende ancora più difficile ogni manovra efficace da terra.

Misure integrative al Decreto ministeriale 31 luglio 1934 (ndr)

Ciò premesso questo Ministero, allo scopo di limitare il volume di un eventuale incendio negli impianti petroliferi, di garantire la dovuta stabilità ai muri dei bacini di contenimento e di rendere possibile un’efficace azione di soccorso, anche nell’ipotesi che gli impianti fissi andassero fuori servizio, è venuto nella determinazione di emanare le seguenti norme di sicurezza che, preliminarmente, sono state sottoposte all’esame ed al parere della Commissione consultiva per le sostanze esplosive ed infiammabili:

1) i serbatoi destinati a contenere petrolio greggio o prodotti definiti di categoria A e B, ai sensi delle vigenti disposizioni, devono essere a tetto galleggiante qualora la loro capacità geometrica superi 1.500 mc.
Per i serbatoi destinati a contenere i prodotti di categoria C, si consiglia l’adozione del tetto galleggiante quando la loro capacità superi 20.000 mc.
2) Premesso che, in linea di massima sono preferibili gli argini in terra ai muri di contenimento, l’altezza sul piano di campagna dei muri, di norma, non deve superare 4 metri. Solo in casi eccezionali, da giustificare di volta in volta, l’altezza dei muri può superare i 4 metri.
Gli argini di terra ed i muri di contenimento devono essere stagni.
3) I muri dei bacini a pianta poligonale devono essere calcolati tenendo conto dei seguenti fattori resistenti:
I) peso proprio;
II) peso del liquido ipotizzato che, riempiendo il bacino, agisce per gravità sulla eventuale suola interna della fondazione del muro;
III) peso del terreno che grava su detta suola e su quella eventuale esterna;
IV) qualunque altro fattore che concorra alla resistenza.
Come fattori ribaltanti devono essere considerati i seguenti:
I) la pressione idrostatica agente sul muro per tutta l’altezza della sua proiezione verticale comprendente anche la fondazione;
II) la sottospinta idrostatica, che però potrà essere trascurata in parte o del tutto solo quando il muro è incastrato in roccia sana ed eseguito con ogni accuratezza in modo da assicurare una parziale o totale monoliticità con la fondazione;
III) qualunque altro fattore che concorra a provocare il ribaltamento.
4) Il coefficiente di sicurezza, inteso come il rapporto fra i valori del momento resistente e di quello ribaltante, deve essere di almeno 1,2. Particolare cura deve essere tenuta nella costruzione dei raccordi di spigolo dei muri di contenimento. In tali zone dovrà essere assicurata la resistenza agli sforzi di trazione e di flessione.
5) I muri di contenimento a pianta circolare devono essere dimensionati in base ai procedimenti della scienza delle costruzioni, tenendo conto di tutte le forze attive e resistenti agenti su di essi.
6) In ogni caso deve essere curato, con opportuna scelta del terreno di posa, accurata esecuzione o adatti accorgimenti, che non possa verificarsi il sifonamento del liquido che invadesse il bacino.
7) Per i muri di altezza superiore a 4 metri deve essere previsto un passaggio di coronamento sul muro, largo almeno 1 metro, protetto da balaustra ai lati e con scale di accesso dall’esterno del bacino, poste a non più di 80 metri l’una dall’altra.
8) In ogni caso i serbatoi a tetto galleggiante dovranno avere, in sommità, un passeggiatoio posto all’esterno del mantello, largo almeno 80 cm e protetto, su entrambi i lati; le scale di accesso a tale ballatoio dovranno distare non più di 60 metri l’una dall’altra.
9) In corrispondenza dei punti di sbocco delle scale sul passeggiatoio di coronamento dei serbatoi, devono essere costruiti ripari in prosecuzione del mantello, alti 2 m sul piano di passaggio e larghi almeno 4 m, che consentano l’accesso ai soccorritori nonchè l’inizio delle operazioni di spegnimento.
10) Tra il passaggio di coronamento del muro di contenimento e quello del serbatoio devono essere costruite passerelle che consentano ai soccorritori di raggiungere direttamente la cima del serbatoio senza discendere nel bacino di contenimento.
11) L’altezza del serbatoio non deve superare, per più di 12 metri, l’altezza del muro di contenimento.
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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 1 del 23 Gennaio 2020

ID 9975 | | Visite: 2339 | Interpelli Sicurezza lavoro



Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 1 del 23 Gennaio 2020

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 23 Gennaio 2020 (n. 1/2020):

23/01/2020 - n. 1/2020 Regione Friuli Venezia Giulia
Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - risposta ai quesiti in merito - all’applicazione della sanzione prevista per la violazione dell’art. 71 comma 7 e art. 73 comma 4 del D. Lgs 81/08”. 

Oggetto: art. 12, d.gs. n. 81/2008 e successive modificazioni in merito “all’applicazione della sanzione prevista per la violazione dell’art. 71 comma 7 e art. 73 comma 4 del D.Lgs. 81/08”.

La Regione Friuli Venezia Giulia ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione, in merito alla seguente problematica: «L'art. 69, comma 1, lettera e) del D. Lgs 81/08 definisce operatore: il lavoratore incaricato dell’uso di una attrezzatura di lavoro o il datore di lavoro che ne fa uso.

L’art. 71, co. 7, lettera a) del medesimo Decreto sancisce che “qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché: a) l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una informazione, formazione ed addestramento adeguati.” Tale formazione, in relazione a quanto disposto dall’art. 73, comma 4, per le attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari, ha caratteristiche “tali da consentire l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro, anche in relazione ai rischi che possano essere causati ad altre persone.”

Visto quanto previsto dall’art. 69, co. 1, lett. e) del Testo Unico, quindi, anche il datore di lavoro che utilizza le attrezzature di cui al comma 4 dell’art. 73 è considerato operatore e in quanto tale deve essere formato e abilitato al loro utilizzo.

Ciò premesso, in virtù di tale parificazione di fatto al lavoratore, si richiede se in caso di omessa abilitazione del datore di lavoro all’utilizzo di attrezzature di cui all’art. 73 co. 4 debba essere ascritta allo stesso la sanzione prevista dall’art. 87 - comma 2, lettera c), del D. Lgs. 81/08, in riferimento alla violazione di cui all’art. 71, comma 7, lettera a), del medesimo Decreto in relazione ai rischi che come un qualsiasi altro lavoratore potrebbe indurre ai terzi».

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Cassazione penale sez. IV n. 37060 | 12 giugno 2008

ID 10064 | | Visite: 2916 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale, Sez. 4, 30 settembre 2008, n. 37060 

Macchine CE e Responsabilità

Responsabilità dell'amministratore unico di una s.r.l. importatrice in Italia e venditrice di una macchina priva di adeguati meccanismi di protezione e del datore di lavoro di una s.p.a. acquirente della predetta macchina per omicidio colposo ai danni di un socio della società cooperativa incaricata dei servizi di pulizia e intento a pulire la macchina stessa - Sussiste.

La Cassazione afferma che, per quanto riguarda il costruttore della macchina, "accanto ai vizi "non esternamente percepibili", la macchina in questione presentasse altri vizi, viceversa palesi e facilmente percepibili dall'imputato, che li ha colposamente ignorati."

L'imputata ha sostanzialmente immesso sul mercato una macchina non rispondente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza.
"Altrettanto infondate sono le censure proposte in relazione al marchio "CE" apposto sulla macchina, atteso che esso, come giustamente si è sostenuto nella sentenza impugnata, certamente - anche in considerazione della sua natura autocertificatoria - non esonera da responsabilità chi produce o mette in vendita macchinari realizzati senza il rispetto delle norme antinfortunistiche."

"Quanto al ricorso di T.A., valgono, per il primo motivo di ricorso, le argomentazioni sopra esposte con riguardo al ricorso della V..

E dunque, anche nei confronti del T., deve rilevarsi, da un lato, l'evidenza e la rilevanza, sotto il profilo della mancanza dei requisiti di sicurezza, del vizio della macchina in questione, individuato nella presenza del dispositivo di comando, la cui collocazione e le cui caratteristiche tecniche, come già segnalato, non erano per nulla conformi alle norme di sicurezza.

Dall'altro, che il vizio rilevato era chiaramente e facilmente percepibile dall'imputato che lo ha colposamente ignorato; donde l'affermazione di responsabilità per avere lo stesso introdotto nella sua azienda e messo a disposizione dei suoi dipendenti una macchina realizzata senza il rispetto delle norme antinfortunistiche.

Norme del cui assoluto ed integrale rispetto egli, quale datore di lavoro della vittima, e responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, avrebbe dovuto accertarsi, nulla rilevando la marchiatura "CE"..."

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) V.S., N. IL (OMISSIS);
2) T.A., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 18/06/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. FOTI GIACOMO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. Maresca, che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

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Fatto Diritto

1 - Con sentenza del 18 giugno 2007, la Corte d'Appello di Firenze, in riforma della sentenza del tribunale della stessa città del 14.10.2005, su appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il medesimo tribunale, ha ritenuto V.S. - nella qualità di amministratore unico della "Laundry Facile Service s.r.l.", importatore in Italia e venditore della macchina denominata "introduttore" marca "Biko AG tipo Twinfeed 3500 n. (OMISSIS)", costruita da una società svizzera - e T.A. - direttore generale della "S.O.F. s.p.a.", acquirente della predetta macchina - responsabili del delitto di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di T.R..
All'affermazione di responsabilità degli imputati è conseguita la loro condanna - riconosciute ad ambedue le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull'aggravante contestata - alla pena, sospesa per entrambi alle condizioni di legge, di quattro mesi di reclusione ciascuno, sostituita con la corrispondente pena pecuniaria pari a Euro 4.650,00 di multa.
Secondo quanto pacificamente accertato dai giudici del merito, la vittima era socio della società cooperativa "Segema Global Service s.r.l." cui la "Se.Ge.Ma. Italia s.p.a.", a seguito di associazione d'impresa con la predetta cooperativa, aveva affidato l'esecuzione dei servizi di pulizia appaltati dalla "S.O.F. s.p.a.", esercente attività di lavanderia industriale.
L'infortunio si era verificato presso la sede della S.O.F., allorchè il lavoratore, in momento successivo al normale orario di lavoro, stava provvedendo, da solo, con l'ausilio di un soffio di aria compressa, alla pulizia della macchina sopra indicata, che è un "introduttore" di biancheria che serve a stendere ed introdurre le lenzuola appena lavate all'interno di appositi congegni predisposti per la stiratura.
Il retro di tale macchina, ove si è verificato l'infortunio, hanno sostenuto i giudici della Corte territoriale, presenta una parte mobile, di consistenti dimensioni, denominata "convogliatore" o "trascinatore" che compie, allorchè è in funzione, un movimento indicato come "innalzamento" ed "abbassamento".
Proprio un movimento improvviso del "convogliatore" aveva determinato l'infortunio, avendo la vittima involontariamente azionato il dispositivo di comando che ha messo in azione il "convogliatore";meccanismo che, alla stregua di quanto accertato in sede di consulenza tecnica e di perizia, è risultato azionabile pur in mancanza di alimentazione elettrica e di alimentazione pneumatica.
In particolare, è stato accertato che la vittima, intenta alla pulizia della macchina, volgendo le spalle alla parte mobile della stessa, era rimasta intrappolata tra le strutture fisse della parte posteriore ed il "trascinatore", inaspettatamente innalzatosi, con conseguente chiusura a morsa del corpo, allorchè la vittima ha involontariamente azionato il dispositivo di comando collocato sul montante posteriore sinistro del macchinario.
Pacifica, quindi, doveva ritenersi, a giudizio della Corte territoriale, la correlazione tra tale dispositivo e l'avvio del "convogliatore" il cui movimento aveva intrappolato il corpo del lavoratore.
Richiamando quanto sostenuto dallo stesso giudice di primo grado, che pure aveva assolto gli imputati, i giudici dell'impugnazione hanno, altresì, ritenuto accertato:
a) che al momento dell'infortunio il macchinario non era collegato alla rete elettrica e che il movimento del "trascinatore" era stato determinato dal rilascio dell'energia pneumatica, ovvero dell'aria compressa ancora presente nei circuiti e nei serbatoi della macchina;
b) che la stessa macchina non presentava i requisiti minimi di sicurezza di cui al D.P.R. n. 459 del 1996 in quanto il dispositivo di comando (selettore), involontariamente azionato dalla vittima, non era del tipo cosiddetto "a uomo presente"; si trattava, invero, di congegno posto in prossimità degli elementi mobili, privo di protezioni e suscettibile di contatto accidentale, e dunque realizzato in violazione delle disposizioni dettate dal citato D.P.R.;
c) che non vi era un interruttore generale in grado di isolare la macchina dall'energia pneumatica accumulatasi, di guisa che questa rendeva possibile il movimento delle parti meccaniche pure in assenza di energia elettrica.
Poste tali premesse, la Corte territoriale è, quindi, pervenuta all'affermazione di responsabilità dei due imputati, per avere, nelle rispettive qualità sopra indicate, l'uno importato in Italia e posto in vendita ( V.), l'altro utilizzato ( T.) una macchina priva di adeguati meccanismi di protezione, non conforme alle prescrizioni dettate dalla legge in materia di sicurezza.
Con riguardo alla V., i giudici dell'impugnazione, contestando le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado - secondo il quale il macchinario in questione presentava vizi non percettibili esteriormente, rispetto ai quali nessuna particolare verifica avrebbe potuto chiedersi agli imputati in presenza della marchiatura CE e vista l'assenza di anomalie di costruzione, donde la sentenza assolutoria - hanno sostenuto che, seppure l'"introduttore" presentava anche vizi non esteriormente percepibili, tuttavia esso era portatore di evidenti e palesi difformità rispetto alle prescrizioni antinfortunistiche, ritenute in chiara connessione causale con l'infortunio, in relazione alle quali dovevano rilevarsi chiari ed evidenti profili di colpa a carico dell'imputata.
In particolare, con riguardo al posizionamento ed alle caratteristiche del dispositivo di comando del "convogliatore", quei giudici, richiamando i risultati dell'indagine peritale, hanno rilevato che tale dispositivo era collocato in prossimità degli elementi mobili della macchina, cioè in posizione pericolosa anche in fase di normale utilizzo; ed ancora, che lo stesso era privo di protezioni utili ad evitare un avvio involontario del meccanismo, come accaduto nel caso in esame.
Ciò in aperta violazione di quanto prescritto dall'allegato "I", sub "1.2.2" del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, secondo cui i dispositivi di comando devono essere disposti in modo da garantire una manovra sicura, univoca e rapida, devono essere situati fuori dalla zone pericolose e progettati in modo che il movimento della macchina possa avvenire solo in presenza di una manovra intenzionale.
In violazione, altresì, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 77, il quale prescrive che i comandi di messa in moto delle macchine devono essere posizionati in modo da evitare avviamenti o innesti accidentali, o essere muniti di dispositivi di sicurezza che li evitino.
Proprio le segnalate inadeguatezze del dispositivo di comando del "convogliatore" si è posto, a giudizio della Corte territoriale, quale causa dell'evento.
In ordine all'elemento psicologico del reato contestato, la stessa Corte ne ha affermato la sussistenza sotto il profilo della colpa specifica.
Quanto rilevato in tema di mancata conformità del dispositivo di comando alle prescrizioni in materia di sicurezza, dimostrava, secondo i giudici del merito, che l'imputata è incorsa, nella rilevata qualità, nella inosservanza di precise prescrizioni normative, tra le quali quella di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 7, comma 1, che vieta, tra l'altro, la vendita di macchine o parti di macchine non rispondenti alle norme dello stesso decreto (nel caso di specie alle richiamate prescrizioni di cui al citato D.P.R., art. 77); ed ancora, quella di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, comma 2 che vieta, in generale, tra l'altro, la vendita di macchine non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza.
Con riguardo al T., direttore generale della S.O.F., società appaltante i servizi di pulizia e proprietaria della macchina sulla quale si è verificato l'infortunio, la Corte territoriale ha rilevato profili di colpa a carico dello stesso per avere omesso di adottare gli accorgimenti necessari ad evitare l'avviamento accidentale della macchina e di informare adeguatamente la Segema Global Service circa i rischi connessi all'uso della stessa.
Contestando le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado - secondo il quale nessun addebito poteva muoversi all'imputato, avendo egli ricevuto, da soggetti tecnicamente qualificati ed incaricati del collaudo della macchina, piena assicurazione circa l'assenza di anomalie nel funzionamento della stessa - detta Corte ha, anzitutto, rilevato che il giudice di primo grado aveva travisato le risultanze istruttorie, laddove egli aveva ritenuto, ripercorrendo la tesi difensiva dell'imputato, che costui avesse chiesto ai suoi sottoposti, a tal fine inviati in Svizzera, ed alla società elvetica costruttrice della macchina, un preventivo collaudo e controllo della stessa sotto il profilo della conformità alle norme antinfortunistiche.
In realtà, hanno sostenuto i giudici dell'impugnazione, l'assunto del T. è stato smentito dal teste B., responsabile della manutenzione degli impianti della S.O.F. ed inviato in Svizzera per il presunto collaudo, il quale ha ridotto il richiamato controllo ad un semplice "giro" all'interno dello stabilimento, dove la macchina era ancora in fase di costruzione ed era stata solo sommariamente visionata.
Non era, dunque, avvenuto nessun collaudo del macchinario in questione, almeno in Svizzera; ancor meno era stato eseguito un controllo (ben diverso dal primo) di conformità dello stesso alle norme antinfortunistiche, in relazione al quale, peraltro, il B. non aveva, a giudizio dei giudici del merito, alcuna specifica competenza.
Quanto al collaudo, in realtà avvenuto, successivamente, in Italia, presso la sede della S.O.F., gli stessi giudici hanno rilevato, richiamando ed in parte riportando la testimonianza del B., che in tale occasione non era stato eseguito alcun controllo circa la rispondenza della macchina acquistata ai requisiti di sicurezza fissati dalle norme antinfortunistiche, ed hanno altresì sostenuto come, in ogni caso, non potesse ammettersi che un così delicato controllo fosse demandato alla stessa società costruttrice della macchina.
L'anomalia del controllo, peraltro, hanno ancora osservato i giudici del merito, troverebbe conferma nel mancato coinvolgimento nello stesso, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione della società, C.G., con il quale l'imputato avrebbe dovuto necessariamente coordinarsi.
Quanto alla presenza sulla macchina della marcatura "CE" ed all'ottemperanza del produttore alle procedure di cui al D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (regolamento per l'attuazione delle direttive CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine), la Corte territoriale ha osservato che nè detta marcatura, nè l'osservanza degli adempimenti di cui al citato D.P.R., risolventesi in una poco appagante autoverifica ed autocertificazione della sicurezza provenienti dalla stessa ditta costruttrice della macchina, potevano porre l'imputato al riparo dai propri obblighi nè la macchina al di sopra di ogni sospetto.
Il citato D.P.R. n. 459 del 1996, peraltro, ha infine osservato la Corte territoriale, non ha certo comportato l'abrogazione delle norme di cui al D.P.R. n. 547 del 1955.
2 - Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i due imputati che, per il tramite dei rispettivi difensori, deducono:
1) V.S., con unico motivo: contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Sostiene la ricorrente la contraddittorietà della motivazione, laddove la Corte territoriale, da un lato, ha ammesso che l'introduttore avesse vizi non esteriormente percepibili, dall'altro, ha sostenuto, senza alcuna ulteriore specificazione, che detti vizi concretizzassero una evidente e non occulta difformità rispetto alle prescrizioni antinfortunistiche. Ulteriore contraddittorietà viene ravvisata laddove la predetta Corte ha ricondotto alla ricorrente la fattispecie colposa contestata, non sulla scorta dell'accertamento tecnico effettuato circa il residuo ciclo di movimento del convogliatore anche in assenza di energia elettrica (evidentemente ritenendo non esigibile dall'imputata tale specifica conoscenza), ma in considerazione della carenza del dispositivo di comando della macchina. La presenza del marchio "CE" sulla macchina segnala ancor più, a giudizio della ricorrente, la contraddittorietà della motivazione, laddove si consideri per la marchiatura "CE" è prevista una globale valutazione della stessa macchina, non differenziandosi tra la sicurezza dei meccanismi interni (nel caso di specie, il ciclo di movimento passivo) e quella dei comandi esterni, non richiedendosi per l'imprenditore, semplice importatore e venditore, una soglia di conoscenza così specifica.
Tutto ciò si riverbererebbe anche sull'elemento psicologico del reato, posto che l'accertamento, da parte della ricorrente, della presenza del marchio "CE" e dell'assenza di anomalie di costruzioni emergenti dal libretto di manutenzione, o comunque riscontrabili esternamente in quanto collegati a vizi meccanici interni relativi al funzionamento della macchina, riscontra, si sostiene nel ricorso, una diligente condotta dell'imputata, conforme alla professionalità alla stessa richiesta.
2) T.A.:
a) violazione di norme di legge, in particolare, degli artt. 40 e 589 c.p. e del D.P.R. n. 459 del 1996, art. 2, commi 1 e 2, allegati 1^ e 5^, carenza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata; sotto tale profilo - premesso che la macchina in questione, acquistata dalla S.O.F., era regolarmente corredata del marchio "CE", del manuale d'uso con relativi schemi elettrici e meccanici, che il costruttore della macchina era una primaria azienda del settore, che la stessa macchina era stata collaudata senza che fosse segnalata alcuna anomalia o carenza in materia di sicurezza e che la S.O.F. aveva da tempo in dotazione macchinari analoghi, costruiti dalla stessa azienda, che non avevano mai presentato problemi di sorta - sostiene il ricorrente che i giudici avrebbero del tutto trascurato la valenza della marchiatura "CE" e del relativo corredo di documentazione tecnica; il predetto marchio, invero, ben lungi dall'essere una mera etichetta formale, attesta che il costruttore, nella realizzazione della macchina, ha rispettato tutti i requisiti di sicurezza previsti dalle varie direttive europee in materia, e dunque la conformità della macchina a tali requisiti; in particolare, la marcatura "CE" attestava, ai sensi del D.P.R. n. 459 del 1996, art. 2, la messa in sicurezza della macchina nel senso che la stessa, disalimentate le fonti di energia (nel caso di specie, quelle elettrica e pneumatica), dovesse essere assolutamente statica e che eventuale energia residua o immagazzinata dopo l'isolamento della macchina, doveva essere dissipata senza pericolo ed in sicurezza; il certificato di conformità che correda la macchina, inoltre, specifica le norme seguite per la realizzazione della stessa, tra le quali sono citate anche quelle previste nel Decreto del Ministero dell'Industria e dell'Artigianato, 12 marzo 1998 concernenti la sicurezza del macchinario in relazione ai dispositivi di arresto ed al sistema di trasmissione; nel caso di specie, sostiene il ricorrente, l'infortunio è avvenuto a macchina ferma, disalimentata dalle fonti di energia elettrica e pneumatica - cioè quando la stessa doveva essere in condizioni di assoluta sicurezza - a causa di un accumulo di energia pneumatica che mai avrebbe dovuto residuare, stante la prescritta, e legittimamente presunta dall'imputato, dissipazione dell'energia residua, secondo quanto prescritto dalle norme sopra richiamate; e dunque i vizi della macchina, riconducibili al costruttore della stessa, ed al suo mandatario nell'Unione Europea che l'ha fornita, sono stati la causa dell'infortunio e della morte del lavoratore, di cui costoro devono esser chiamati a rispondere; del tutto assente, quindi, sarebbe il nesso causale tra la condotta del T. e l'evento, ravvisandosi, sotto tale profilo, la violazione del disposto dell'art. 40 c.p. e difettando l'elemento psicologico del reato, avendo l'imputato legittimamente confidato nel rispetto, da parte del costruttore, delle regole e prescrizioni previste in tema di sicurezza;
b) violazione dell'art. 163 c.p. ed omessa motivazione, con riguardo alla disposta sospensione condizionale della pena, mai richiesta dall'imputato, della quale egli chiede la revoca..
I ricorrenti concludono, quindi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
3 - Ambedue i ricorsi sono infondati.
A) Quanto ai vizi motivazionali rilevati da V.S., deve, anzitutto, osservarsi come questa Corte abbia costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorchè il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l'iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata.
Il vizio è altresì presente nell'ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.
Orbene, nel caso di specie le censure mosse dalla ricorrente si rivelano del tutto infondate poichè la sentenza impugnata presenta una struttura motivazionale adeguata e coerente sotto il profilo logico, priva delle segnalate contraddizioni.
In particolare, nessuna contraddittorietà è riscontabile nell'iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale laddove, da un lato, i giudici del merito hanno ritenuto che l'"introduttore" fosse portatore di "vizi non esternamente percepibili" - evidentemente individuati nell'assenza di congegni che consentissero l'isolamento della macchina dalla residua energia pneumatica accumulatasi, al fine di evitare imprevisti movimenti delle parti meccaniche, pur in assenza di energia elettrica - dall'altro, hanno indicato la presenza di ulteriori vizi, questa volta evidenti ed immediatamente percepibili, rappresentati, alla stregua di acquisizioni probatorie non contestate, dal dispositivo di comando (selettore), inavvertitamente azionato dal lavoratore.
Tale congegno, ha sostenuto, senza essere smentita, la predetta Corte, non era del tipo "ad uomo presente" ed era posizionato in prossimità degli elementi mobili della macchina, privo di protezioni e dunque suscettibile di contatto accidentale; ciò in aperta violazione delle norme antinfortunistiche e, in particolare, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 77, il quale prevede che "i comandi di messa in moto delle macchine devono essere collocati in modo da evitare avviamenti o innesti accidentali o essere provvisti di dispositivi atti a conseguire lo stesso scopo".
In violazione, altresì, del D.P.R. n. 459 del 1996, recante il regolamento per l'attuazione di varie direttive CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine.
I giudici dell'impugnazione, quindi, hanno ritenuto, con argomentazioni coerenti e per nulla contraddittorie, che accanto ai vizi "non esternamente percepibili", la macchina in questione presentasse altri vizi, viceversa palesi e facilmente percepibili dall'imputato, che li ha colposamente ignorati.
Tale condotta è stata legittimamente ritenuta da quei giudici conforme alla fattispecie delittuosa contestata, avendo sostanzialmente l'imputata immesso sul mercato una macchina non rispondente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza.
Altrettanto infondate sono le censure proposte in relazione al marchio "CE" apposto sulla macchina, atteso che esso, come giustamente si è sostenuto nella sentenza impugnata, certamente - anche in considerazione della sua natura autocertificatoria - non esonera da responsabilità chi produce o mette in vendita macchinari realizzati senza il rispetto delle norme antinfortunistiche.
B) Quanto al ricorso di T.A., valgono, per il primo motivo di ricorso, le argomentazioni sopra esposte con riguardo al ricorso della V..
E dunque, anche nei confronti del T., deve rilevarsi, da un lato, l'evidenza e la rilevanza, sotto il profilo della mancanza dei requisiti di sicurezza, del vizio della macchina in questione, individuato nella presenza del dispositivo di comando, la cui collocazione e le cui caratteristiche tecniche, come già segnalato, non erano per nulla conformi alle norme di sicurezza.
Dall'altro, che il vizio rilevato era chiaramente e facilmente percepibile dall'imputato che lo ha colposamente ignorato; donde l'affermazione di responsabilità per avere lo stesso introdotto nella sua azienda e messo a disposizione dei suoi dipendenti una macchina realizzata senza il rispetto delle norme antinfortunistiche.
Norme del cui assoluto ed integrale rispetto egli, quale datore di lavoro della vittima, e responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, avrebbe dovuto accertarsi, nulla rilevando la marchiatura "CE" che, come già osservato, non esonera da responsabilità, in ragione dell'accertata non conformità della macchina ai previsti requisiti di sicurezza. Ancor meno possono esonerare da responsabilità l'asserita notorietà e competenza tecnica del costruttore nè l'utilizzo di altri macchinari, prodotti dalla stessa azienda, risultati del tutto conformi alle leggi.
L'imprenditore, invero, secondo quanto ha costantemente affermato questa Corte, è, comunque, il principale destinatario delle norme antinfortunistiche previste a tutela della sicurezza dei lavoratori ed ha l'obbligo di conoscerle e di osservarle indipendentemente da carenze od omissioni altrui e da certificazioni pur provenienti da autorità di vigilanza.
Infondato è, altresì, il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta che i giudici del merito hanno concesso, d'ufficio e senza alcuna motivazione, la sospensione condizionale della pena, in realtà dall'imputato mai richiesta, laddove il beneficio si sarebbe risolto in un pregiudizio in considerazione della natura e dell'entità della condanna inflitta (pena pecuniaria in misura contenuta).
Orbene, escluso il dedotto vizio motivazionale, posto che le ragioni della concessione del richiamato beneficio possono trarsi agevolmente dal complesso argomentativo della sentenza, occorre rilevare che, in tema di sospensione condizionale della pena, le S.U. di questa Corte hanno affermato (Cass. S.U. n. 6563/94) che detto beneficio "non può risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena; l'interesse all'impugnazione, condizionante l'ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa.
Il pregiudizio addotto dall'interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella "individualizzazione" della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato.
(In applicazione del principio la Corte ha escluso che possa assumere rilevanza giuridica la mera opportunità, prospettata dal ricorrente, di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perchè valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall'art. 164 c.p., comma 1.
per la concessione del beneficio medesimo).
Principio successivamente confermato da Cass. n. 8050/07, secondo cui: "Il beneficio della sospensione condizionale della pena non può mai risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena; tuttavia, tale pregiudizio non può ritenersi costituito dall'impossibilità di riservare il beneficio per l'ipotesi di future eventuali condanne più gravi.
(Affermando il principio la Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato avverso la concessione - non richiesta - da parte del giudice di merito della sospensione condizionale della pena).
Nel caso di specie, l'imputato, nel chiedere la revoca del beneficio, pur non richiamandosi esplicitamente all'opportunità di riservarlo ad eventuali future condanne a pene di maggior gravità, richiama genericamente "situazioni giuridiche più vantaggiose" che, pur non meglio specificate, non possono che essere correlate a valutazioni di opportunità del tutto soggettive, e dunque irrilevanti, come quella di riservare il beneficio per eventuali successive condanne a pene più gravi.
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2008

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Allegato riservato Sentenza sez. 4 del 30 Settembre 2008 n. 37060.pdf
 
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Cassazione penale sez. IV n. 34774 | 10 giugno 2010

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Sentenze cassazione penale

Cassazione penale sez. IV  n. 34774 | 10 giugno 2010

La Corte afferma che al "legale rapp.te della ditta datrice di lavoro, è stata addebitata la violazione dell'art. 2087 c.c. “perché per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché in violazione alle norme in materia di prevenzione infortuni (art. 68 D.P.R. 547/55 e artt. 22 e 6 comma 2 del D.Lgs 626/94), … … per non aver protetto, segregate o comunque munito di dispositivi di sicurezza la lama della macchina *** e non essersi assicurato che *** avesse acquisito una sufficiente ed adeguata formazione in materia di sicurezza e salute relative al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni…”."

"Quanto all'affidamento che il *** poteva fare sul fornitore del macchinario (azienda leader nel settore), va tenuto conto che in materia di lavoro, il datore è il primo garante della sicurezza dei suoi dipendenti. Pertanto in caso di infortuni egli non è esonerato da responsabilità, se non ha esercitato i dovuti controlli e la necessaria vigilanza, in ordine alla fornitura di una macchina non munita dei necessari congegni di sicurezza.

Nel caso di specie, il macchinario era privo dei sistemi di blocco automatico, tanto vero che il *** rimosso il carter di protezione della sega a nastro per rimuovere il fascio di tovagliolini inceppati, ebbe a procurarsi le lesioni alla mano sinistra, perché la lama non aveva arrestato il suo movimento.

Ne consegue la constatazione della evidente violazione delle richiamate norme di sicurezza e la configurabile responsabilità del costruttore, per quanto detto, non esclude ma si associa a quella del datore di lavoro (cfr. Cass. IV, n. 6280\07, Mantelli).

Né può dirsi che la causalità della negligente condotta omissiva del *** sia esclusa dalla condotta disattenta della vittima, la quale, prima di effettuare l'intervento di rimozione, non aveva azionato un pulsante di blocco (quindi non automatico) a sua disposizione.

Invero, questa corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute".

Quanto invece alla responsabilità del produttore, la Corte di cassazione ha chiarito che non potesse valere, per escluderla, la “delega di funzioni” che questi sosteneva avere rilasciato all’interno della propria azienda.

Inoltre in tema di responsabilità del produttore, va ricordato il principio consolidato secondo cui, in caso di infortunio sul luogo di lavoro determinato dall’utilizzo di un macchinario inidoneo, sussiste la posizione di garanzia del costruttore della macchina, che non è esclusa nè da quella del progettista nè da quella dello stesso datore di lavoro che il macchinario utilizzi.

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Fatto Diritto

1. Con sentenza del 15\1\2008 il Tribunale di Lucca condannava *** ed ***, per il delitto di cui all'art. 590 c.p. per lesioni aggravate in danno dell'operaio ***
Il Tribunale concesse le attenuanti generiche equivalenti, irrogava la pena di mesi 1 di reclusione, pena condonata.
Al *** veniva addebitato di avere fatto lavorare l'operaio presso una sega tipo “***” destinata al taglio di tovagliolini di carta, priva di segregazione della lama o di dispositivi di sicurezza, di modo che, mentre l'operaio cercava di rimuovere dei tovagliolini lavorati che si erano inceppati nei meccanismi, la sua mano sinistra veniva attinta dalla lama in movimento che gli provocava l'amputazione di due falangi.
All'***, legale rappresentante dell'azienda produttrice del macchinario, veniva addebitato di aver posto in commercio la macchina senza gli adeguati dispositivi di sicurezza.
2. Con sentenza del 5\3\2009 la Corte di Appello di Firenze confermava la pronuncia di condanna. Osservava la Corte che:
- in ordine al *** non si era consumata alcuna violazione del principio di correlazione, in quanto, immutato il fatto contestato, il giudice di primo grado si era limitato a richiamare ulteriori norme di prevenzione (gli artt. 72 e 82 DPR 547\55) la cui violazione aveva reso insicuro l'utilizzo della sega;
- l'incidente si era verificato, non durante l'esecuzione di operazioni di produzione, ma al momento in cui il lavoratore aveva rimosso un carter per poter eliminare dei tovagliolini accumulati e nessun sistema automatico aveva determinato l'arresto del movimento della lama;
- irrilevante era che il macchinario fin dall'origine fosse sprovvisto di sistemi di blocco automatici, in quanto è il datore di lavoro garante della sicurezza dei suoi dipendenti;
- la condotta della vittima non poteva considerarsi né abnorme, né imprevedibile e, pertanto non recideva il nesso causale con la condotta omissiva del ***
- quanto all'*** non risultava da nessun atto formale che egli avesse delegato il controllo delle misure di prevenzione infortuni ad altro soggetto, in esecuzione di una delibera del Consiglio di amministrazione della società del 19\10\1998.
3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, lamentando:
3.1. per il *** :
a) la violazione di legge ed in particolare del principio di correlazione, in quanto al P. era stata addebitata la violazione dell'art. 68 del DPR 547\1955, mentre invece in sentenza la responsabilità dell'imputato era stata ricondotta alla violazione degli art. 72 ed 82 DPR cit.
Ebbene non poteva dirsi che si era trattato di una mera modificazione della indicazione delle norme da applicare, fermo restando il fatto contestato, in quanto con il richiamo ai detti articoli si era fatto riferimento a specifiche condotte che il *** avrebbe dovuto tenere e non aveva tenuto. Inoltre, con il richiamo alle predette norme si erano aggiunti dei profili di colpa specifica non contestati.
b) L'erronea applicazione delle norme di prevenzione, in quanto il giudice di merito non aveva rilevato che il macchinario era stato acquistato da un'azienda leader in tale settore e munita di certificazione CE. La lama era segregata all'interno del macchinario ed in ogni caso accessibili all’operario era[no] i pulsanti di emergenza e di blocco della lama.
c) La violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione all'affermata sussistenza del nesso causale tra la condotta del *** e l'evento. Infatti il processo aveva accertato che il dipendente aveva ricevuto dall'azienda una sufficiente formazione in relazione all'utilizzo del macchinario. Pertanto la circostanza che questi avesse gravemente violato i protocolli si sicurezza per l'utilizzo della sega (richiamati da apposita cartellonistica), senza arrestare il movimento della lama all'atto di rimuovere il carter, era stata una condotta abnorme ed imprevedibile da sola idonea a produrre l'evento.
3.2. per ***:
a) il travisamento del fatto ed il difetto di motivazione in relazione alla affermata insussistenza di una delega di funzioni dall' *** al ***. Invero nella procura speciale rilasciata nel settembre 1996 poteva rinvenirsi tale delega, anche tenendo conto che il *** era il certificatore ed il progettista del macchinario;
b) inoltre negletta era stata la procura rilasciata a *** il cui esplicitamente gli si attribuiva l'incarico della attuazione delle misure di sicurezza delle macchine e dei prototipi;
c) il difetto di motivazione in relazione alla affermazione che l'imputato avesse ammesso il difetto di sicurezza della macchina, quando invece tale circostanza era stata contestata.
4. I ricorsi sono infondati, ma la sentenza va annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione.
4.1. In relazione alla lamentata violazione del principio di correlazione, va osservato che con l'esercizio dell'azione penale al *** in qualità di legale rapp.te della ditta datrice di lavoro, è stata addebitata la violazione dell'art. 2087 c.c. “perché per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché in violazione alle norme in materia di prevenzione infortuni (art. 68 D.P.R. 547/55 e artt. 22 e 6 comma 2 del D.Lgs 626/94), … … per non aver protetto, segregate o comunque munito di dispositivi di sicurezza la lama della macchina *** e non essersi assicurato che *** avesse acquisito una sufficiente ed adeguata formazione in materia di sicurezza e salute relative al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni…”.
L'art. 68 cit. prevede, per ragioni di sicurezza, la protezioni degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine. Nelle sentenze di merito, viene anche fatto carico al *** della violazione degli artt. 72 e 82 DPR cit., che prevedono meccanismi di blocco automatico della macchina in caso di rimozione delle protezioni amovibili e in caso di operazioni di caricamento, registrazione e cambio pezzi.
Orbene tale ulteriore attribuzione di titolo di colpa non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Infatti, premesso che le modalità dell'incidente sono state chiarite in modo inequivocabile durante l'istruttoria dibattimentale (esso si è verificato mentre il lavoratore rimuoveva da vicino alla lama dei tovagliolini incastratisi, senza che il movimento della macchina si fermasse) e che pertanto su tali circostanze l'imputato è stato messo in grado di difendersi, va ricordato come questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, abbia statuito che "Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione.
Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Cass. IV, 38818\05, De Bona; conf. Cass. I, 11538\97, Geremia; Cass. IV, 2393\05, Tucci; Cass. IV, 31968\09, Raso).
Per quanto detto la doglianza è infondata.
4.2. Quanto all'affidamento che il *** poteva fare sul fornitore del macchinario (azienda leader nel settore), va tenuto conto che in materia di lavoro, il datore è il primo garante della sicurezza dei suoi dipendenti. Pertanto in caso di infortuni egli non è esonerato da responsabilità, se non ha esercitato i dovuti controlli e la necessaria vigilanza, in ordine alla fornitura di una macchina non munita dei necessari congegni di sicurezza.
Nel caso di specie, il macchinario era privo dei sistemi di blocco automatico, tanto vero che il *** rimosso il carter di protezione della sega a nastro per rimuovere il fascio di tovagliolini inceppati, ebbe a procurarsi le lesioni alla mano sinistra, perché la lama non aveva arrestato il suo movimento.
Ne consegue la constatazione della evidente violazione delle richiamate norme di sicurezza e la configurabile responsabilità del costruttore, per quanto detto, non esclude ma si associa a quella del datore di lavoro (cfr. Cass. IV, n. 6280\07, Mantelli).
Né può dirsi che la causalità della negligente condotta omissiva del *** sia esclusa dalla condotta disattenta della vittima, la quale, prima di effettuare l'intervento di rimozione, non aveva azionato un pulsante di blocco (quindi non automatico) a sua disposizione.
Invero, questa corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 21587\07, ric. Pelosi, rv. 236721).
Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, la vittima ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso la sega che gli ha procurato l'infortunio e che era priva dei dispositivi di blocco automatico della lama in movimento.
Pertanto la circostanza che il *** preso dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza, abbia avvicinato imprudentemente la mano alla lama, dopo la rimozione del carter, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che la cautela omessa era proprio preordinata ad evitare il rischio specifico (lesione agli arti) che poi concretamente si è materializzato nell'infortunio in danno del ***.
Ne consegue che anche tale motivo di impugnazione è infondato.
4.3. Quanto all'*** la sua responsabilità è stata affermata in quanto, nella qualità di legale responsabile della ditta fornitrice della sega, aveva immesso sul mercato la macchina *** non conforme alle normative vigenti in materia di sicurezza su lavoro.
Ora premesso che dalla sentenza di merito emerge con certezza la carenza delle dotazioni di sicurezza del macchinario, va osservato che nessun travisamento si è maturato in relazione ad una eventuale trasferimento della responsabilità nei controlli di sicurezza in capo all'ingegnere ***.
A questi, infatti, con la procura rilasciata il 21\11\1996, veniva tra l'altro attribuito il compito di "... rappresentare la società in tutte le operazioni relative alle dichiarazioni di conformità dei prodotti richieste dalle disposizioni vigenti di diritto comunitari”. Si tratta pertanto di un'attività di "rappresentanza" verso terzi di natura amministrativa e non certo di attribuzione di un controllo tecnico interno con attribuzione dei relativi poteri di spesa.
4.4. Analoghe considerazioni possono essere fatte in relazione ai compiti attribuiti al "direttore" *** con la procura rilasciata 21\11\1996. In tale atto, infatti, al *** vengono riconosciuti una pluralità di compiti tra cui la vigilanza della sicurezza del lavoro: si tratta di una delega riguardante l'attuazione delle norme di igiene e prevenzione all'interno dell'azienda e non in relazione ai prodotti commercializzati.
Ne consegue che, anche in tale ipotesi, nessun travisamento si è maturato ad opera del giudice di merito.
In ogni caso, anche a voler ammettere, in via del tutto ipotetica, che effettivamente vi sia stata una delega di funzioni anche in relazione alla sicurezza dei prodotti commercializzati, va osservato che tale delega non esclude la responsabilità dell'*** nel caso de quo.
Invero con la delega di funzioni (in passato prevista dall'art. 1 D.Lgs. 626/1994, ora disciplinata esplicitamente nell'art. 16 del D.Lgs. 81\2008), il datore di lavoro trasferisce in capo ad altro soggetto poteri ed obblighi originariamente appartenenti al delegante in materia di sicurezza sui lavoro. In sostanza il datore trasferisce in capo ad altro soggetto la sua posizione di garanzia.
Tale trasferimento è limitato, però, alla sicurezza dei suoi lavoratori e\o degli ambienti di lavoro ove opera la sua azienda : non a caso la delega viene conferita in qualità di "datore di lavoro".
Pertanto, quest'ultimo, nella diversa qualità di generico "imprenditore" non può trasferire in capo ad altri la responsabilità che egli ha nei confronti di terzi diversi dai suoi dipendenti (in questo caso gli utilizzatori di prodotti privi dei requisiti di sicurezza). Infatti, se fosse ammessa tale possibilità, si consentirebbe per via negoziale di sottrarsi agli obblighi di garanzia nascenti dall'art. 40 c.p. e quindi di intaccare il principio di inderogabilità del precetto penale.
In tali casi una delega, non ha altra funzione che predisporre, in organizzazioni complesse, una migliore organizzazione del lavoro, ma la sua presenza non è destinata ad incidere sulla efficacia causale della condotta omissiva dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 40 cpv.
Sarà possibile invece tenerne conto sul piano dell'elemento soggettivo, valutando la prevedibilità ed evitabilità dell'evento, anche alla luce dell'affidamento che egli poteva tare sul corretto esercizio dei poteri da parte del delegato, in ogni caso senza potersi sottrarre a responsabilità per omessa vigilanza e controllo.
Ne consegue che correttamente il giudice di merito, considerato che l'*** aveva consentito l'immissione in commercio della macchina utensile priva in modo evidente dei requisiti di sicurezza, ne ha dedotto la sua responsabilità ai sensi dell'art. 7 del DPR 547\1955.
5. L'infondatezza dei ricorsi non può condurre al loro rigetto, in quanto nelle more il reato contestato si è estinto per prescrizione (data del fatto 4\12\2001; prescrizione, in assenza di sospensioni, il 4\6\2009).
Ne consegue l'annullamento della sentenza senza rinvio.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 10 giugno 2010
Depositato in Cancelleria 27 settembre 2010

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Cassazione sez. IV pen. n. 26247 | 14 giugno 2013

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Sentenze cassazione penale

Cassazione sez. IV pen. n. 26247 | 14 giugno 2013

Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri e idonei all'uso - adottando nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori medesimi - e risponde in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento: ciò a prescindere dall'eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi e, comunque, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano a esonerarlo dalla sua responsabilità.

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SENTENZA sez. IV, 30 maggio 2013,n. 26247

FATTO
RITENUTO IN FATTO

1. - Con sentenza resa in data 14.10.2011, la Corte d'appello di Perugia, in riforma della sentenza del 20.1.2009 del Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Città di Castello, su appello della parte civile, ha condannato M.G. (in solido con la BIMA di Magrini Giuseppe & C. s.n.c, quale responsabile civile) al risarcimento dei danni sofferti da O.D. a seguito delle lesioni personali dallo stesso subite in qualità di lavoratore dipendente della BIMA di Magrini Giuseppe & C. s.n.c., e colpevolmente provocate dal M. (legale rappresentante della BIMA di Magrini Giuseppe & C. s.n.c), in cooperazione colposa con C.F., a sua volta legale rappresentante della Copress s.r.l., ditta costruttrice della macchina-pressa durante il cui uso, in Città di Castello, in data 6.3.2002, l' O., nell'esercizio delle proprie mansioni lavorative alle dipendenze della ditta del M., si era procurato le richiamate lesioni personali, consistite nella perdita del secondo dito della mano sinistra e in alcune fratture a carico del terzo e del quarto dito della stessa mano.
In particolare, al M., nella richiamata qualità di legale rappresentante della BIMA di Magrini Giuseppe & C. s.n.c. datrice di lavoro del prestatore infortunato, è stata contestata, nella prospettiva del reato di lesioni colpose allo stesso ascritto, la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonchè il mancato rispetto delle norme cautelari espressioni di colpa specifica analiticamente indicate nei capi di accusa sollevati a suo carico.
Nel caso di specie, la pressa cui era addetto il lavoratore infortunato, azionabile unicamente mediante la contemporanea pressione di due pulsanti con le due diverse mani del lavoratore addetto, si era nell'occasione de qua inopinatamente messa in moto con la pressione di un solo pulsante, essendosi verificato un falso contatto all'interno della scatola dei cablaggi relativa al secondo pulsante; falso contatto prodottosi per effetto del riempimento di detta scatola con residui di materiale metallico rivenienti dalle lavorazioni della pressa che, messasi improvvisamente in moto, aveva provocato lo schiacciamento della mano sinistra del lavoratore.
Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, il M., anche nella qualità di legale
rappresentante della BIMA di Magrini Giuseppe & C. s.n.c, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi d'impugnazione. 
2.1. - Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge in relazione all'art. 590 c.p., comma 3 e art. 533 c.p.; D.P.R. n. 547 del 1955, art. 115; D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1 e comma 4, lett. b).
In particolare, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia omesso di rilevare come la pressa cui era addetto il lavoratore infortunato fosse espressamente certificata come corrispondente alla normativa antinfortunistica (siccome munita della marchiatura CE), mentre la presenza del materiale metallico all'interno della scatola di uno dei comandi elettrici della pressa poteva essere accettabile solo previo smontaggio della stessa scatola: ossia previa esecuzione di un adempimento certamente inesigibile nei confronti dell'utilizzatore di una macchina acquistata come pienamente corrispondente agli standards di sicurezza certificati.
Nella specie, secondo il ricorrente, l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui sarebbe configurabile una responsabilità del datore di lavoro per aver messo a disposizione del lavoratore una macchina senza preventivamente accertarsi della relativa resistenza e idoneità all'uso, avrebbe determinato una forma d'imputazione dell'evento, a carico del datore di lavoro, a titolo di responsabilità oggettiva, non potendo ammettersi che quest'ultimo sia chiamato a smontare e analizzare tutti i macchinali omologati utilizzati nella propria azienda, al fine di individuare eventuali vizi di costruzione costituenti potenziali fonti di danno per i propri lavoratori.
In relazione all'ipotesi in esame, la responsabilità dell'evento lesivo occorso ai danni del lavoratore infortunato doveva integralmente ricondursi al fatto del produttore della pressa, per avere quest'ultimo posto in commercio una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza.
Sotto altro profilo, secondo il ricorrente neppure sarebbe ragionevole sostenere che la pressa utilizzata dal lavoratore infortunato si presentasse come manifestamente inadeguata dal punto di vista della sicurezza, avuto riguardo alle limitatissime dimensioni della fessurazione attraverso la quale era penetrato il materiale metallico all'interno della scatola dei comandi elettrici, e attesa l'impossibilità di stabilire da quanto tempo si fosse verificato detto modestissimo scollamento delle superna.
2.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 590 c.p., comma 3, e art. 583 c.p., avendo la corte territoriale proceduto all'affermazione della responsabilità del M. sulla base di un esame solo sommario degli elementi di prova disponibili, trascurando le prospettazioni difensive del datore di lavoro illogicamente ritenute prive di alcuna attendibilità.
In particolare, la corte territoriale avrebbe omesso di dettare una motivazione coerente e logicamente fondata in ordine all'esistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto al M., stante l'integrale riconducibilità della responsabilità dell'evento lesivo subito dal lavoratore al fatto del  produttore della macchina, la cui certificata conformità agli standards di sicurezza in precedenza richiamati non poteva non giustificare il legittimo affidamento del datore di lavoro, il quale, a sua volta, non aveva apportato alcuna modificazione strutturale alla macchina de qua.
Sotto altro profilo, la corte territoriale si sarebbe altresì resa responsabile di un vizio di travisamento della prova, avendo ritenuto esistenti fatti non emersi dagli atti (con particolare riguardo al tema della manutenzione della macchina) e, viceversa, avendo ritenuto inesistenti fatti per converso comprovati (quale la circostanza che nelle istruzioni fornite dal produttore si facesse riferimento all'esigenza di controlli semestrali dell'impianto elettrico, mediante l'uso di un tester e controllando i teleruttori e i contatti nonchè pulendo con aria compressa il quadro, se sporco).
Ciò premesso, la motivazione dettata dalla corte territoriale, nel fondarsi su argomentazioni di puro genere e asserzioni meramente apodittiche, avrebbe omesso il vaglio critico delle risultanze processuali e l'illustrazione della ritenuta riconducibilità del fatto all'ipotesi criminosa contestata a carico del M..
3. - Ha depositato memoria la parte civile costituita, concludendo per l'inammissibilità, ovvero il rigetto, dell'impugnazione proposta dai ricorrenti.

DIRITTO
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. - Entrambi i motivi del ricorso - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione delle questioni dedotte - sono infondati.
Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso a un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità CE o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore, valgano a esonerarlo dalla sua responsabilità (Cass., Sez. 4, n. 37060/2008, Rv. 241020).
Più in particolare, il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri e idonei all'uso, rispondendo in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento, e ciò a prescindere dall'eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi (Cass., Sez. 4, n. 6280/2007, Rv. 238959).
La responsabilità del costruttore, nell'ipotesi in cui l'evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non vale quindi a escludere la responsabilità del datore di lavoro utilizzatore della  macchina, giacchè questi è obbligato a eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati ad avvalersi della macchina e ad adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 2630/2006, Rv. 236012).
A tale regola, fondante la concorrente responsabilità del datore di lavoro, può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (per esempio, allorquando il vizio riguardi una parte non visibile e non raggiungibile della macchina) (Cass., Sez. 4, n. 1216/2005, Rv. 233175).
Nel caso di specie, la corte territoriale, dopo aver riaffermato il principio della concorrente responsabilità del datore di lavoro con quello del produttore della macchina, ha correttamente sottolineato come i relativi obblighi di controllo cautelare (a fini di sicurezza), non potendo esaurirsi nella verifica una tantum della rispondenza del macchinario utilizzato agli standards di sicurezza, implicavano viceversa l'esercizio di un costante monitoraggio esteso all'integrità della macchina e al controllo continuo e costante del suo corretto funzionamento.
In relazione all'ipotesi infortunistica contestata al M., la corte ha evidenziato come il datore di lavoro avesse messo a disposizione del lavoratore un macchinario privo dei necessari presìdi in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutatone in progress delle carenze di quel macchinario, anche attraverso un'adeguata azione manutentiva.
Sul punto, muovendo dalla deposizione resa dal teste F. (con ciò stesso smentendo il preteso vizio di travisamento della prova nella forma contestata con il secondo motivo di ricorso proposto in questa sede), la corte perugina ha sottolineato come la manutenzione della pressa in esame non aveva mai avuto carattere di sistematicità, essendosi il datore di lavoro avvalso, a tal fine, della sola opera di un elettricista in modo saltuario e contingente ("all'occorrenza"), senza mai provvedere al controllo della scatola dei comandi.
Al riguardo, del tutto irrilevante appare, secondo la coerente argomentazione del giudice d'appello, l'invocata previsione, nelle istruzioni fornite dalla ditta produttrice, di controlli semestrali dell'impianto elettrico effettuati utilizzando un tester e controllando i teleruttori e i contatti nonchè pulendo con aria compressa il quadro, se sporco, non potendo ammettersi, da parte del datore di lavoro, un affidamento acritico sulle indicazioni del costruttore, essendo il datore di lavoro in proprio debitore della sicurezza dei lavoratori e dunque assumendo per intero l'obbligo di assicurazione delle condizioni permanenti di idoneità dei macchinali utilizzati.
Nel dettaglio, la corte territoriale ha evidenziato come la fessurazione di tre millimetri entro la quale si erano infiltrati i residui di materiale metallico rivenienti dalle lavorazioni della pressa appariva obiettivamente rilevabile e visibile (secondo quanto emerso dalle dichiarazioni del perito resa all'udienza del 7.5.2008, f. 14), per ciò solo costituendo un'obiettiva e rilevabile fonte di pericolo tale da imporre un'adeguata azione preventiva, nella specie del tutto mancata.
La stessa circostanza che la macchina fosse in uso da sei anni, soggetta a vibrazioni e sollecitazioni che ne rendevano plausibile l'allargamento della rilevata fessurazione, unitamente alle modalità operative della pressa (comportanti il prodursi del richiamato materiale metallico tale da accrescere i pericoli d'infiltrazione), apparivano tali, secondo il giudizio della corte, da imporre l'esercizio di un costante monitoraggio del macchinario, onde prevenire proprio il rischio del cattivo funzionamento successivamente manifestatosi.
Sotto altro profilo, i giudici d'appello hanno sottolineato come il M. non potesse neppure addurre la mancata conoscenza della circostanza che la scatola dei comandi non fosse protetta da una idonea guaina plastica, essendo tale dato (già di per sè obiettivamente rilevabile) in ogni caso destinato a una necessaria verifica, senza acritici affidamenti sulla relativa presenza in forza delle astratte certificazioni fornite dal produttore.
Sulla base di tali premesse, la corte ha concluso attribuendo al datore di lavoro la responsabilità colposa dell'evento infortunistico de quo, escludendone la relativa imprevedibilità e inevitabilità, ma anzi rilevando il non adeguato apprestamento, da parte dello stesso, di adeguate misure precauzionali, rapportate alle caratteristiche del macchinario in uso, per come derivanti dall'originale progettazione e dalla prolungata utilizzazione dello stesso.
Il complesso delle argomentazioni così compendiate nella sentenza impugnata, nel prospettare le caratteristiche concrete del fatto e l'effettiva riconducibilità dello stesso al M. sulla base di fattispecie concrete di imputazione causale e soggettiva logicamente e probatoriamente fondate, appare coerente ai dati legislativi applicati e del tutto immune da vizi d'indole logica o giuridica, e come tale idonea a sfuggire integralmente alle censure in questa sede illustrate dall'odierno ricorrente.
5. - Al riscontro dell'infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal M. - in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società civilmente responsabili per i danni sofferti dal lavoratore infortunato - segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre al rimborso delle spese in favore della parte civile costituita secondo la liquidazione di cui al dispositivo.


P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2500,00 oltre accessorì come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2013

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Allegato riservato Cassazione sez. IV pen. n. 26247 del 14 giugno 2013.pdf
 
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Cassazione Civile Sez. 3 n. 2395 | 03 Febbraio 2020

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Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile, Sez. 3 del 03 febbraio 2020 n. 2395

Infortunio durante l'utilizzo di un macchinario. Responsabilità della società produttrice del macchinario

Civile Sent. Sez. 3 Num. 2395 Anno 2020
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: TATANGELO AUGUSTO
Data pubblicazione: 03/02/2020

Rilevato
G.B. ha agito in giudizio nei confronti di SGM S.r.l. per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un infortunio sul lavoro avvenuto mentre utilizzava un macchinario prodotto da tale società.
La società convenuta, avendo dedotto, tra l'altro, che la responsabilità dell'infortunio era in realtà imputabile alla società datrice di lavoro dell'attore (Daima di Davide F. & C. S.a.s.), ha chiesto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quest'ultima, ai sensi dell'art. 102 c.p.c.. L'istanza non è stata accolta. Nel corso del giudizio è intervenuto l'INAIL chiedendo alla società convenuta la restituzione degli importi erogati al lavoratore a titolo di indennità.
Le domande dell'attore e dell'istituto intervenuto sono state accolte dal Tribunale di Milano.
La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ridotto l'importo liquidato a titolo di risarcimento del 30%.
Ricorre la SGM S.r.l., sulla base di sette motivi.
Resiste con controricorso l'INAIL.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l'altro intimato. La società ricorrente ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore nonché memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Considerato
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Lesione del litisconsorzio necessario - violazione dell'art. 102 cpc (SS.UU n. 22776/2012)».
Con il secondo motivo si denunzia «Segue. Nullità del procedimento di II grado».
I primi due motivi del ricorso costituiscono espressione della medesima censura; possono quindi essere esaminati congiuntamente.
La società ricorrente deduce di avere indicato, nelle proprie difese, il datore di lavoro dell'attore come esclusivo responsabile del danno da questi subito e sostiene che ciò avrebbe determinato la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con tale soggetto; non essendo stato il contraddittorio integrato nei confronti dello stesso, ne fa discendere la violazione dell'art. 102 c.p.c. e la nullità dell'intero giudizio, di primo e secondo grado.
Le censure sono infondate.
Nel caso in cui il convenuto in un giudizio risarcitorio prospetti l'esclusiva responsabilità di un terzo per il danno allegato dall'attore, non si determina affatto una ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c. con il terzo indicato quale responsabile.
Il convenuto stesso può eventualmente chiederne la chiamata in causa ai sensi dell'art. 106 c.p.c. ovvero detta chiamata può essere eventualmente disposta dal giudice, nell'esercizio di una sua facoltà discrezionale non sindacabile in sede di impugnazione, ai sensi dell'art. 107 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6208 del 13/03/2013, Rv. 625938 - 01: «la contestazione della legittimazione passiva da parte del convenuto, con l'indicazione di un terzo quale soggetto effettivamente legittimato danno luogo ad un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, dal quale deriva a carico del giudice solo la facoltà, non sindacabile in sede di gravame, presupponendo una valutazione discrezionale, di ordinare la chiamata in causa del terzo, ai sensi dell'art. 107 c.p.c.»-, conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22596 del 01/12/2004, Rv. 579364 - 01; Sez. L, Sentenza n. 4129 del 22/03/2002, Rv. 553204 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 7083 del 22/06/1995, Rv. 493031 - 01).
Solo laddove effettivamente avvenga la chiamata in giudizio del terzo, peraltro, si determina (non una ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c., ma una ipotesi di inscindibilità di cause, per dipendenza, e quindi di litisconsorzio necessario meramente processuale (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4722 del 28/02/2018, Rv. 647631 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 11946 del 08/08/2003, Rv. 565766 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 13397 del 29/10/2001, Rv. 549891 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 3114 del 01/04/1999, Rv. 524813 - 01).
Quanto sin qui osservato è sufficiente a dar conto dell'infondatezza delle censure di cui ai motivi di ricorso in esame, formulate esclusivamente sulla base della deduzione dell'insussistente violazione dell'art. 102 c.p.c..
È peraltro opportuno osservare (anche per completezza espo-sitiva) che la società ricorrente non chiarisce in modo sufficientemente specifico se, costituendosi tempestivamente, aveva chiesto la chiamata in causa del datore di lavoro dell'attore, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., per sostenere l'esclusiva o concorrente responsabilità di quest'ultimo e/o per essere manlevata e, tanto meno, precisa se aveva ritualmente chiesto a tal fine lo spostamento dell'udienza al giudice istruttore, come previsto dall'art. 269 c.p.c. (richiesta di differimento la cui omissione determina la decadenza del convenuto dalla facoltà di chiamare in causa il terzo: cfr. Cass., Sez. 6 - 3, Sentenza n. 10579 del 07/05/2013, Rv. 626173 - 01).
Dunque il ricorso, anche a volerlo intendere come volto a censurare la mancata autorizzazione alla chiamata del terzo, non potrebbe ritenersi ammissibile, per un palese difetto di specificità nell'allegazione del carattere decisivo della doglianza.
2. Con il terzo motivo si denunzia «Omessa pronuncia circa l'ammissibilità della querela di falso presentata in primo grado da SGM».
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente deduce di avere proposto querela di falso in primo grado, in relazione ad un verbale di intervento della ASL avente ad oggetto il macchinario difettoso: riferisce che sia l'istruttore, sia il tribunale, nella sentenza di primo grado, avevano ritenuto la querela irrilevante; sostiene che il proprio specifico motivo di appello sul punto non sarebbe stato esaminato in secondo grado.
Orbene, deve in primo luogo rilevarsi che, nelle conclusioni rassegnate in appello dalla ricorrente (che risultano trascritte nell'epigrafe della sentenza impugnata), non vi è alcun cenno né alla richiesta istruttoria relativa all'ammissione della querela di falso né al relativo motivo di gravame.
D'altra parte, anche tenuto conto del costante indirizzo di questa Corte secondo cui il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali, quale certamente è quella in esame (ex multis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10422 del 15/04/2019, Rv. 653579 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 25154 del 11/10/2018, Rv. 651158 - 01; Sez. 2, Ordinanza n. 1876 del 25/01/2018, Rv. 647132 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013, Rv. 628214 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009, Rv. 606407 - 01), è assorbente la considerazione che la censura difetta di specificità, in quanto essa, per come è formulata, non consente di apprezzare adeguatamente i termini della effettiva rilevanza della querela di falso avanzata.
La ricorrente si limita ad affermare che aveva contestato il contenuto del verbale della ASL, ma non richiama puntualmente il contenuto di tale verbale ed il tenore della querela, con le specifiche contestazioni avanzate in relazione ad esso, né precisa in modo adeguato le ragioni della affermata rilevanza delle suddette contestazioni ai fini della decisione.
Orbene, le censure concernenti la violazione dei "principi regolatori del giusto processo" e cioè delle regole processuali di cui all'art. 360 n. 4 c.p.c., devono avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia; in mancanza esse sono inammissibili (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22341 del 26/09/2017, Rv. 646020 - 03).
Inoltre, l'accertamento della ammissibilità e della concludenza della querela di falso, avendo carattere meramente strumen-tale, è riservato esclusivamente al giudice del merito e non può essere autonomamente impugnato in Cassazione (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1333 del 03/02/1993, Rv. 480660 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 12399 del 28/05/2007, Rv. 597512 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 5102 del 13/03/2015, Rv. 634640 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 4310 del 26/03/2002, Rv. 553280 - 01).
Il motivo di ricorso in esame va pertanto dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 360 bis, n. 2, c.p.c..
3. Con il quarto motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione dell'art. 120, D. Lgs. 206/2005 in tema di onere della prova».
Con il settimo motivo si denunzia «Omesso esame del fatto che i macchinari fabbricati da SGM Srl non sono prodotti in serie».
Il quarto ed il settimo motivo del ricorso sono connessi, in quanto riguardano entrambi la prova del difetto del macchinario e del nesso di causa tra tale difetto ed il danno subito dall'attore; possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati. 
Secondo la società ricorrente l'attore non avrebbe fornito adeguata prova del difetto del macchinario da essa prodotto, nonché del nesso di causa tra il preteso difetto dello stesso e i danni da lui riportati. Sarebbe, in tal senso, decisiva la circostanza che gli accertamenti del consulente tecnico di ufficio avevano avuto luogo su un macchinario diverso da quello che aveva causato l'incidente e che, erroneamente, la corte territoriale aveva ritenuto trattarsi di macchine prodotte in serie.
Le censure in esame, sebbene denuncino la violazione della disciplina normativa che regola l'onere della prova e l'omesso esame di un fatto decisivo, in realtà si risolvono, nella sostanza, in contestazioni relative ad accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e sostenuti da adeguata motivazione (non apparente e non insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede) nonché nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.
In realtà va esclusa qualunque violazione - in diritto - della disciplina normativa sull'onere della prova, correttamente applicata dalla corte territoriale, la quale ha ritenuto - in fatto - che l'attore avesse provato sia il difetto del macchinario sia il nesso di causa tra tale difetto ed il danno subito.
Inoltre, il fatto di cui la società ricorrente lamenta l'omesso esame, oltre ad essere in realtà preso espressamente in considerazione dai giudici del merito, non può in alcun modo ritenersi decisivo.
La corte di appello ha infatti chiaramente dato atto che il macchinario che aveva dato luogo all'Incidente era stato esaminato e fotografato ("da fermo”, cioè non in funzione) dal consulente tecnico di ufficio e che tale esame aveva evidenziato il difetto ritenuto causa del danno. Ha inoltre adeguatamente chiarito il motivo per cui ha ritenuto rilevante la consulenza operata su un diverso, (anche se identico o, quanto meno, analogo) macchinario, peraltro messo spontaneamente a disposizione dalla stessa convenuta (l'accertamento aveva ad oggetto determinate caratteristiche proprie dell'ordinario funzionamento dell'apparato, che non richiedevano di operare la verifica sulla specifica macchina che aveva causato il danno). Esaminando nel complesso la motivazione della sentenza impugnata, emerge d'altronde con evidenza che l'inciso sulla produzione in serie dei macchinari in questione non ha in realtà un concreto ed effettivo rilievo ai fini della decisione: la suddetta motivazione resta cioè adeguata a dare conto del percorso argomentativo posto alla base del giudizio di fatto, anche a prescindere da tale inciso.
4. Con il quinto motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione dell'art. 122 D. Lgs. 206/2005 in tema di esclusiva responsabilità del danneggiato».
Con il sesto motivo si denunzia «Omesso esame del fatto che il danneggiato si è volontariamente esposto al pericolo».
Il quinto ed il sesto motivo sono connessi - avendo entrambi ad oggetto il concorso di colpa del danneggiato - e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Anche questi motivi sono infondati.
La corte territoriale, all'esito della valutazione delle prove, ha ritenuto - in fatto - che non era stata fornita la dimostrazione che il G.B. fosse consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e che si fosse volontariamente esposto a detto pericolo. Ha peraltro effettivamente ritenuto che vi fosse un suo concorso di colpa, riducendo notevolmente il risarcimento (del 30%) allo stesso riconosciuto, per aver tenuto una condotta gravemente imprudente.
Anche in questo caso le censure, sebbene sia denunciata una (del tutto insussistente) violazione di legge e l'omesso esame di un fatto decisivo, in realtà si risolvono nella contestazione degli indicati accertamenti di fatto operati dai giudici di merito i quali, in quanto sostenuti da adeguata motivazione (non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico) non sono censurabili in sede di legittimità, nonché nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.
5. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.

P.Q.M.
La Corte:
- rigetta il ricorso;
- condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell'ente controricorrente, liquidandole in complessivi € 6.000.00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (ri-getto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 10 sette 1 2019.

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Poliambulatorio odontoiatrico: attività non soggetta PI

ID 10052 | | Visite: 7052 | Prevenzione Incendi

Poliambulatorio odontoiatrico   attivit  non soggetta PI

Poliambulatorio odontoiatrico: attività non soggetta PI

Quesito inerente la necessità di richiedere o meno il parere di conformità per un edificio adibito a poliambulatorio specialistico odontoiatrico (su attività di cui al D.M. 16.02.1982).

Prot n. 0002630 del 25.02.2011

E' pervenuto in data 03.01.2011 a questo Comando, I'allegato quesito, a firma del p.i....., inerente la necessità di richiedere o meno il parere di conformità per un edificio adibito a poliambulatorio specialistico odontoiatrico.

Questo Comando ritiene che il titolare dell'attività non sia tenuto a presentare a questo Comando domanda di parere di conformità ai sensi dell'art. 2 del D.P.R.37/98 in quanto tale poliarnbulatorio non rientra tra le 97 attività di cui ai D.M. 16.02.1982. Resta fermo I'obbligo da parte del titolare dell'attività di attenersi alle disposizioni previste dal titolo IV dell'Allegato al D.M. 18.09.2002 per la progettazione la realizzazione e l'esercizio del poliambulatorio.

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Dati INAIL 1/2020 - Andamento infortuni sul lavoro e malattie professionali

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Dati INAIL 1 2020

Dati INAIL 1/2020 - Andamento infortuni sul lavoro e malattie professionali

Denunce di infortunio e malattia professionale, nel nuovo numero di Dati Inail la prima fotografia del 2019

Dall’analisi dei dati provvisori rilevati allo scorso 31 dicembre, l’andamento infortunistico risulta sostanzialmente stabile (+0,1%) rispetto all’anno precedente, mentre i casi mortali sono stati 44 in meno (-3,9%). In aumento del 2,9% le patologie di origine lavorativa denunciate all’Istituto

Il nuovo numero del periodico Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, scatta la prima fotografia dell’andamento di infortuni sul lavoro e malattie professionali nel 2019. Dall’analisi sui dati provvisori non consolidati rilevati al 31 dicembre scorso – che riguardano esclusivamente i casi denunciati all’Inail e non la loro definizione amministrativa, che sarà disponibile in occasione della presentazione della Relazione annuale del presidente di metà anno – emerge una sostanziale stabilità del numero complessivo degli infortuni, in crescita dello 0,1% rispetto al 2018, da 640.723 a 641.638. Concentrando l’attenzione sui casi mortali, le denunce sono state 44 in meno, da 1.133 a 1.089 (-3,9%), mentre le patologie lavoro-correlate denunciate all’Istituto sono state 61.310, 1.725 in più rispetto ai 12 mesi precedenti (+2,9%).

Gli incrementi percentuali maggiori in Sardegna, Basilicata e Umbria. I dati evidenziano a livello nazionale un incremento dei casi avvenuti “in itinere”, nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, che sono passati da 98.446 a 100.905 (+2,5%), mentre quelli “in occasione di lavoro” sono passati da 542.277 a 540.733 (-0,3%). Tra gennaio e dicembre del 2019 il numero degli infortuni denunciati è diminuito dello 0,05% nella gestione Industria e servizi (dai 501.740 casi del 2018 ai 501.496 del 2019) e dell’1,5% in Agricoltura (da 33.180 a 32.692), mentre è aumentato dell’1,6% nel Conto Stato (da 105.803 a 107.450). L’analisi territoriale evidenzia un aumento delle denunce d’infortunio sul lavoro nel Nord-Ovest (+0,1%), nel Centro (+1,2%) e nelle Isole (+0,5%), e una diminuzione nel Nord-Est (-0,1%) e al Sud (-0,8%). Tra le regioni con i maggiori incrementi percentuali spiccano Sardegna (+4,2%), Basilicata (+2,7%), Umbria (+2,2%) e Marche (+2,1%), mentre i decrementi maggiori sono quelli rilevati in Molise (-6,9%), Valle d’Aosta (-4,0%) e Abruzzo (-3,7%).

Nel 2018 quasi il doppio di vittime in incidenti plurimi. La riduzione delle denunce di casi mortali riguarda invece quasi esclusivamente quelli occorsi “in itinere”, che nel 2019 sono stati 41 in meno rispetto all’anno precedente (da 347 a 306), mentre quelli avvenuti “in occasione di lavoro” sono stati 783, soltanto tre in meno rispetto ai 786 denunciati nei 12 mesi precedenti. La flessione è comunque da ritenere poco rassicurante e il raffronto tra i due anni poco significativo in quanto il 2018 si è contraddistinto, soprattutto, per il maggior numero di “incidenti plurimi”, ovvero gli eventi che causano la morte di almeno due lavoratori, che per loro natura ed entità possono influenzare l’andamento del trend infortunistico. I 24 incidenti plurimi avvenuti tra gennaio e dicembre del 2018, infatti, hanno causato 82 vittime, quasi il doppio dei 44 lavoratori deceduti nei 19 incidenti plurimi avvenuti nel 2019.

Il fenomeno tecnopatico in crescita nell’Industria e servizi. Le denunce di malattia professionale nel 2019 sono aumentate, da 47.424 a 49.378 (+4,1%), solo nella gestione Industria e servizi, in cui è concentrato l’80,6% delle patologie denunciate, mentre sono diminuite in Agricoltura, da 11.491 a 11.294 (-1,7%), e nel Conto Stato, da 670 a 638 (-4,8%). L’aumento ha riguardato il Nord-Est (+2,0%), il Centro (+2,4%), dove è denunciato un caso su tre, il Sud (+2,9%) e le Isole (+11,1%). Il Nord-Ovest, come rilevato da Dati Inail, si distingue invece per un calo dell’1,4%. Le malattie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo (38.492 casi), del sistema nervoso (6.678, con una prevalenza della sindrome del tunnel carpale) e dell’orecchio (4.311) continuano a rappresentare, anche nel 2019, le prime tre patologie lavoro-correlate denunciate, seguite da quelle del sistema respiratorio (2.809) e dai tumori (2.458). Queste cinque malattie rappresentano quasi il 90% del totale dei casi denunciati all’Inail.

Fonte: INAIL

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The mental health of workers in the digital era

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The mental health of workers in the digital era

How recent technical innovation and its pace affects the mental well-being of workers

Technology has shaped the way we work, and has modified the work itself. Faster processes, electronic records, synchronous and advanced communication systems, such as video-audio conferencing, emailing, instant messaging and social networking have enabled a high level of communication; optimising time and minimising space.

Thanks to these advances, new professional sectors have been developed under the general description of teleworking including tele-medicine, tele-education, tele-consultancy. However, this growth, based on the associated technological achievements, has not been without a dark side. As early as 1982 it was recognised that working with new technology, can create a particular type of stress, known as technostress.

At the time, the term ‘technostress’ referred to the stress created while working with a computer. However, today’s workplaces are characterised by advances in technology which extend far beyond the evolution of desk-top computers, including devices such as smartphones, laptops and tablets.

A key common feature of these technological developments is that they enable the worker to work away from a conventional office set-up. In conjunction with this increased potential mobility, fast internet connections and features such as cloud computing facilitate a new way of working based on a worker potentially having connectivity at any time and anywhere. As a result, mobile devices can remain connected for an unlimited time raising the possibility of constant contact with others. However, this any time and anywhere connectivity and contact can be intrusive and unhelpful, potentially blurring the boundaries between work and personal life. This briefing aims to provide Committee members (and other readers) with an insight into how recent technical innovation and its pace affect the mental well-being of workers. It summarises the findings of the relevant literature and identifies areas requiring further research or data collection.

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Lettera Circolare Prot n. 1563/4108 29 agosto 1995

ID 10022 | | Visite: 8631 | Prevenzione Incendi

Lettera Circolare Prot n. 1563/4108 29 agosto 1995

OGGETTO: Decreto ministeriale 1/2/1986 - Criteri per la concessione di deroghe in via generale ai punti 3.2, 3.6.3 e 37.2.

Pervengono a questo Ministero numerose istanze di deroga relative ad autorimesse che non possono essere adeguate alle misure previste nei punti 3.2, 3.6.3 e 3.7.2 del decreto ministeriale 1/2/1986.

Al riguardo, sulla scorta delle deroghe concesse ed in attesa della definizione della nuova disciplina che aggiornerà le vigenti disposizioni in materia, si ritiene opportuno indicare le misure di sicurezza alternative a quanto richiesto dai seguenti punti del DM. 01/02/1986:

a) punto 3.2, per quanto attiene l'altezza dei piani;
b) punto 3.6.3, nel caso in cui le corsie di manovra abbiano larghezza inferiore al minimo prescritto;
c) punto 3.7.2, per quanto attiene la larghezza delle rampe e nel caso in cui l'accesso, in luogo delle rampe, avvenga da montauto meccanico.

Essendo tali misure in linea con i principi informativi della nuova disciplina ed al fine di snellire i procedimenti ed evitare aggravi di lavoro per procedure solo burocratiche, si dispone che, ove risultino integralmente rispettate le condizioni riportate nell'allegato, i Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco procedano direttamente all'approvazione del progetto, intendendosi accolte in via generale tali deroghe ai punti 3.2, 3.6.3 e 3 7 2 del decreto ministeriale 01/02/1986.

PUNTO 3.2. ALTEZZA DEI PIANI
Per autorimesse private, sino a 40 autovetture, ed ubicate non oltre il lO interrato, è consentito che l'altezza del piano sia inferiore a m 2,40 con un minimo di m 2,00, a condizione che:

a) l'autorimessa sia dotata di un sistema di ventilazione naturale con aperture di aerazione prive di serramenti e di superficie non inferiore ad 1/20 della superficie in pianta dell'autorimessa. Almeno il 50% della suddetta superficie di ventilazione deve essere ricavata su pareti contrapposte;
b) l'altezza minima di m 2,00 deve essere rispettata nei confronti di qualsiasi sporgenza dall'intradosso del solaio di copertura, compresi eventuali impianti e tubazioni a soffitto;
c) il percorso massimo per raggiungere le uscite deve essere non superiore a m 30. Tale lunghezza deve essere osservata anche per le autorimesse di cui al punto 3.10.6, 20 capoverso.

PUNTO 3.6.3. CORSIE DI MANOVRA
Nel caso in cui le corsie di manovra risultino di larghezza inferiore al minimo prescritto, e ammesso che le corsie stesse, per tratti limitati, abbiano larghezza non inferiore a m 3,00 a condizione che sia installata apposita segnaletica che evidenzi i restringimenti di corsia, integrata, in corrispondenza dei cambi di direzione delle corsie stesse, da idonei sistemi ottici (p.e. specchi parabolici).

PUNTO 3.7.2. AMPIEZZA DELLE RAMPE
Per autorimesse oltre 15 e sino a 40 autovetture è consentita una sola rampa di ampiezza non inferiore a m 3,00, a condizione che venga installato un impianto semaforico idoneo a regolare il transito sulla rampa medesima a senso unico alternato

PUNTO 3.7.2. AUTORIMESSE SENZA RAMPA CON ACCESSO DA MONTAUTO
Nel caso di autorimesse interrate, con capacità di parcamento non superiore a 30 autoveicoli, e consentito che l'accesso avvenga da montauto alle seguenti condizioni:

- il locale per il ricevimento degli autoveicoli annesso al montauto sia ubicato su spazio scoperto; qualora non sia garantito tale requisito il locale ricevimento sia di tipo protetto con stesse caratteristiche del vano montauto;
- il vano montauto sia protetto rispetto all'area destinata a parcheggio con strutture di separazione REI 90 e porte di caratteristiche non inferiori a RE 90;
- il sistema del montauto sia dotato di dispositivo ausiliario automatico per l'alimentazione di energia elettrica in caso di mancanza di energia di rete. Il relativo generatore abbia potenza sufficiente per l'alimentazione di tutti gli impianti di sicurezza;
- l'autorimessa sia dotata di impianto di illuminazione di emergenza con autonomia di almeno 30 minuti;
- la movimentazione degli automezzi nel vano montauto avvenga senza persone a bordo;
- sia esposto all'esterno, in corrispondenza del vano di caricamento in luogo idoneo e facilmente visibile, il regolamento di utilizzazione dell'impianto, con le limitazioni e prescrizioni di esercizio;
- l'area destinata al parcamento degli autoveicoli sia dotata di impianto fisso di spegnimento automatico del tipo a pioggia (sprinkler).

La Lettera Circolare Prot n. 1563/4108 29 agosto 1995 è rimandata anche dalla Nota DCPREV del 20/12/2013 (n. 17223) – Autorimesse: Applicabilità dei criteri per la concessione di deroga in via generale per la SCIA antincendio cat. A (allegata).

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Autorimesse - Raccolta di quesiti e chiarimenti VVF

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Autorimesse   Raccolta di quesiti e chiarimenti VVF

Autorimesse - Raccolta di quesiti e chiarimenti VVF

ID 10020 | 01.02.2010

Quesiti di prevenzione incendi relativi autorimesse a box affacciantisi su spazio a cielo libero, autosilo, dispositivi di sollevamento di autoveicoli, comunicazione tra autorimesse e locali di installazione di impianti termici, cantine, ricoveri di autoveicoli in appositi locali, parcamento di motocicli e ciclomotori, autosaloni, impianti elettrici nelle autorimesse interrate, ventilazione, compartimentazione, sezionamenti, luogo sicuro, parcheggi all’aperto, percorsi d’esodo, ricovero aeromobili ultraleggeri, pavimentazioni delle autorimesse, drenaggio delle acque in una autorimessa, pendenza dei pavimenti, caratteristiche idrauliche degli impianti idrici antincendio, classificazione dei piani delle autorimesse, ingresso e accesso, rampe, parcamento autoveicoli alimentati a G.P.L., autovetture con motore elettrico, ecc.

(1) Con l'entrata in vigore il 7 ottobre 2011 del nuovo regolamento di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, le “autorimesse” (e simili) sono ricompresi al punto 75 dell’allegato I al decreto che, a differenza di quanto previsto dal vecchio elenco del D.M. 16/2/1982, comprende anche attività prima non soggette (depositi di mezzi rotabili <treni, tram="" ecc.=""> di superficie coperta superiore a 1.000 m2). Per effetto dei nuovi limiti sono diventate soggette alcune attività prima esenti e viceversa esenti altre prima soggette come ad esempio: - Autorimesse con 10 o più autoveicoli, ma con superficie < 300 m2 (prima soggette, ora non più) - Autorimesse con 9 o meno autoveicoli, ma con superficie > 300 m2 (prima non soggette, ora soggette con il nuovo regolamento).

N.  ATTIVITÀ CATEGORIA
A B C
75 Autorimesse pubbliche e private, parcheggi pluriplano e meccanizzati di superficie complessiva coperta superiore a 300 m2; locali adibiti al ricovero di natanti ed aeromobili di superficie superiore a 500 m2; depositi di mezzi rotabili (treni, tram ecc.) di superficie coperta superiore a 1.000 m2.  Autorimesse fino a 1.000 m2 Autorimesse oltre 1.000 m2 e fino a 3.000 m2; ricovero di natanti ed aeromobili oltre 500 m2 e fino a 1000 m2 Autorimesse oltre 3000 m2; ricovero di natanti ed aeromobili di superficie oltre i 1000 m2; depositi di mezzi rotabili

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Decreto 6 ottobre 2009

ID 10004 | | Visite: 3993 | Prevenzione Incendi

Decreto 6 ottobre 2009

Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l'esercizio degli impianti di distribuzione di gas di petrolio liquefatto ad uso nautico.

(GU n. 245 del 21 ottobre 2009)

Circolare n. 10 del 10 febbraio 1969

ID 10002 | | Visite: 6839 | Prevenzione Incendi

Circolare n. 10 del 10 febbraio 1969

Distributori stradali di carburanti.

Testo consolidato 2020 con le modifiche apportate da:

- Circolare n. 4555/4113 del 23/02/1979.
- Circolare N. 17 MI.SA. (88) 10 del 11 ottobre 1988
- Lettera circolare n. 22732/4113 del 10/11/1976
- Circolare n. 54 del 3/9/1974
- Circolare n. 68 del 23 settembre 1970
_______

Gli impianti di distribuzione di carburanti sono disciplinati dalle norme di cui al decreto ministeriale 31 luglio 1934, che riguardano la installazione dei serbatoi (capacità, profondità d'interramento, distanze, cassa di contenimento, ecc.), le ”colonnine” distributrici e l'esercizio degli impianti medesimi.

In relazione però allo sviluppo sempre maggiore degli impianti di distribuzione di carburanti sono state via prospettate nuove esigenze funzionali, scaturite dall'esercizio degli stessi, alla soluzione delle quali si è provveduto con apposite disposizioni integrative di quelle previste nel Decreto Ministeriale innanzi citato, emanate con le Circolari Ministeriali che di seguito si indicano:

- Circolare n. 70 dell'11 giugno 1951:”Norme suppletive per la vendita di carburanti in aree pubbliche".
- Circolare n. 60 del 23 aprile 1954:”Rifornimento, a mezzo di autocisterne, di distributori stradali di carburanti, esistenti lungo le vie di comunicazione, fuori degli agglomerati urbani”.
- Circolare n. 59 del 12 giugno 1957:”Impianti di distributori di benzina, depositi di carburanti e stazioni di servizio nei pressi delle carceri”.
- Circolare n. 26 del 13 aprile 1960:”Attraversamenti con linee telegrafiche di aree sulle quali sorgono depositi o distributori stradali di benzina”.
- Circolare n. 68 del 24 maggio 1963:”Distributori di carburanti. Serbatoi collegati a più colonnine e colonnine collegate a più serbatoi”.
- Circolare n. 50 del 4 maggio 1964:”Vendita petrolio agevolato per uso riscaldamento domestico in lattine presso le stazioni per la distribuzione dei carburanti”.
- Circolare n. 23 del 13 marzo 1965:”Distributori automatici di carburanti con funzionamento a gettoni".
- Circolare n. 68 del 10 giugno 1967:”Distributori di carburanti sottostanti ad elettrodotti”.
- Circolare n. 55 del 27 agosto 1968:”Distributori stradali di carburanti Potenzialità dei serbatoi".

Fonte VVF

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Decreto Legislativo 12 giugno 2003 n. 233

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Decreto Legislativo 12 giugno 2003 n  233 ATEX lavoro

Decreto Legislativo 12 giugno 2003 n. 233 / ATEX lavoro

Attuazione della direttiva 1999/92/CE relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori esposti al rischio di atmosfere esplosive. 

(GU Serie Generale n.197 del 26-08-2003)

Entrata in vigore del provvedimento: 10/9/2003

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Incidenti in gallerie stradali

ID 9983 | | Visite: 2594 | News Sicurezza

Incidenti in gallerie stradali

Incidenti in gallerie stradali

La proposta riporta un’analisi sulla sicurezza e sull’incidentalità, anche di tipo lavoro-correlato, nelle gallerie stradali italiane.

Tra il 2013 e il 2017 l’incidentalità è crescente e interessa soprattutto le gallerie fino a 500 metri dove si osservano le più elevate frequenze e gravità. Per lunghezze superiori si osservano significative variazioni in percentuale.

Il d.p.r. 151/2011 sulla prevenzione incendi e la direttiva 54/2004/EC sui requisiti di sicurezza e sui comportamenti degli utenti e soccorritori in gallerie della Rete Trans-europea sono due fondamentali norme di sicurezza applicabili a queste infrastrutture da cui, tuttavia, restano escluse le gallerie fino a 500 metri.

...

Fonte: INAIL

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Lettera circolare n. 756 del 16 marzo 2009

ID 9973 | | Visite: 3952 | Prevenzione Incendi

Lettera circolare n. 756 del 16 marzo 2009

OGGETTO: D.M. 22 ottobre 2007(N) recante "Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la installazione di motori a combustione interna accoppiati a macchina generatrice elettrica o a macchina operatrice a servizio di attività  civili, industriali, agricole, artigianali, commerciali e di servizi" - Chiarimenti. 

Con riferimento ad alcuni quesiti, pervenuti a questo Ufficio, in merito al decreto indicato in oggetto, si formulano i seguenti chiarimenti. 

1. Le installazioni di gruppi di produzione di energia elettrica in modo continuativo - mossi da motori alimentati anche da combustibili alternativi/rinnovabili, quali ad es. oli vegetali, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione o biogas -vanno classificati come impianti industriali di produzione di energia elettrica e non come gruppi elettrogeni e, pertanto, non ricadono nel campo di applicazione del D.M. 22 ottobre 2007.

Ciò premesso, - in considerazione anche delle finalità del D.Lgs.29/03 in materia di promozione dell"energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili - le indicazioni e le limitazioni. anche quelle relative alla capacità dei depositi di combustibili. riportate nella regola tecnica di prevenzione incendi di cui al D.M. 22 ottobre 2007, possono costituire un utile criterio di riferimento, ma non sono da considerarsi vincolanti.

2. Ai fini dell'applicazione del decreto in oggetto - fino ad un approfondimento della problematica a cura elci Comitato Centrale Tecnico Scientifico - il gasolio viene considerato in ogni caso liquido combustibile di categoria C, così come classificato dal D.M. 31 luglio 1934. a prescindere dall'effettiva temperatura d·infiammabilità

3. I gruppi elettrogeni commercializzati prima dell'entrata in vigore del D.P.R.459/96 possono essere utilizzati pur in assenza della marcatura CE e della dichiarazione CE di conformità di cui al Titolo III del D.M. 22 ottobre 2007, a condizione che venga attestata tale circostanza, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza, e venga curata la tenuta del libretto d'uso e manutenzione, ai fini dei controlli dell'organo di vigilanza.

(N) Il D.M. 22 ottobre 2007 è abrogato da:

D.M. 13 luglio 2011 Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la installazione di motori a combustione interna accoppiati a macchina generatrice elettrica o ad altra macchina operatrice e di unità di cogenerazione a servizio di attività civili, industriali, agricole, artigianali, commerciali e di servizi. (G.U. n. 169 del 22 luglio 2011) 

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