Cassazione penale sez. fer. n. 45335 | 26 agosto 2008
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Cassazione Penale, Sez. fer., 05 dicembre 2008, n. 45335
Macchine CE e responsabilità del datore
Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio avvenuto in un cantiere di lavori stradali su una macchina stabilizzatrice caratterizzata dal rischio di cesoiamento tra le parti laterali dello scudo di protezione del tamburo.
L'imputato, assolto in primo grado ma condannato in secondo grado per lesione personale colposa, lamenta l'omessa valutazione della comunicazione, da parte della ditta produttrice, della certificazione di conformità CE della macchina e invoca un esonero da responsabilità derivante dalla normativa cautelare speciale di cui al D.P.R. n. 459 del 2006 che individua nel costruttore - e non nell'utilizzatore finale - il soggetto competente alla gestione del rischio.
La Corte rigetta il ricorso e considera che "la macchina si è rivelata non conforme ai cosiddetti requisiti essenziali di sicurezza come affermato dall'Ispettorato tecnico del ministero delle Attività Produttive nella nota 26.9.2002 e sostanzialmente riconosciuto dalla stessa ditta produttrice nel (OMISSIS) (come da missiva in atti che propone una integrazione delle norme di sicurezza).
Il difetto era stato peraltro già rilevato dall'u.p.g. tanto che la macchina, nel (OMISSIS), venne restituita all'imputato previa installazione di un riparo nella zona di pericolo".
Si è dunque "verificata la concorrente responsabilità del datore di lavoro e della ditta costruttrice (oltre che dei colleghi di lavoro dell'infortunato), non attribuendo, per contro, valore esimente della responsabilità dell'imputato alla tesi difensiva dell' "affidamento" che, secondo il ricorrente, ogni soggetto acquirente di apparecchi tecnologicamente complessi può fare "sulla corretta e prudente condotta di chi meglio conosce la macchina perchè più attento ai dettagli tecnici di cui non è ragionevole attendersi la universale notorietà"."
Dunque "eventuali concorrenti profili colposi addebitatali al fabbricante non elidono certamente il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo in danno del lavoratore."
E' infine "del tutto inconferente sia il discorso relativo alla ulteriore certificazione "successiva" di conformità CE, considerato che, per quanto sopra esposto, la violazione è davvero macroscopica, tanto da sconfinare nella violazione di regole di comune prudenza, sia quello relativo alle mancate specifiche "avvertenze di pericolo" da parte della ditta costruttrice"..."pertanto, deve considerarsi infondato l'assunto difensivo dell'esonero di responsabilità invocato dal ricorrente sulla base del marchio CE, non potendo ad esso ricollegarsi una presunzione assoluta di conformità della macchina alle norme di sicurezza, proprio per la prevedibilità ed evitabilità, nella ipotesi de qua, dell'evento lesivo."
...
Fatto Diritto
Condannava altresì l'imputato al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio e al risarcimento del danno a favore della parte civile da liquidarsi in separata sede oltre alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio della parte civile per il primo grado.
1.1. - Per una migliore comprensione dell'oggetto del presente giudizio di legittimità, si impone una sintetica ricostruzione della vicenda processuale.
L'imputato era stato chiamato a rispondere, nella sua qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della s.a.s. Viastrade, del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 2 e 3 in danno del lavoratore dipendente L.M.; quanto sopra per colpa consistita nella inosservanza della normativa antinfortunistica - e, in particolare, del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, - connessa alla utilizzazione, nel cantiere di lavori stradali della ditta in frazione (OMISSIS), di una macchina stabilizzatrice Wirtgen WR 2500 per lavori stradali che presentava il rischio di cesoiamento tra le parti laterali dello scudo di protezione del tamburo, tanto da cagionare lesioni personali gravissime al citato lavoratore il quale, avendo inserito il braccio destro nella zona pericolosa della macchina per sistemare un listello di legno proprio nel momento in cui un collega si accingeva a disporre l'abbassamento del suddetto scudo che, calando repentinamente, troncava di netto l'arto del L. il quale riportava lesioni (consistite nel distacco traumatico del braccio destro poi riattaccatogli con un intervento chirurgico) dalle quali derivavano pericolo di vita ed una malattia nel corpo, oltre ad una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni superiore ai quaranta giorni e all'indebolimento permanente della funzionalità del braccio.
1.1.1. - L'incidente era avvenuto il giorno 12.04.2001 nel sopra citato cantiere della s.a.s. Viastrade, dove alcuni operai stavano caricando la macchina operatrice livellatrice Wirtgen WR 2500 sull'apposito rimorchio perchè doveva essere trasportata altrove.
Il cuore di questa macchina è costituito da un tamburo di fresatura munito di un elevato numero di utensili da taglio (denti) che, mentre ruota, fresa il materiale della pavimentazione stradale ed ha come protezione un tegolo per evitare che i sassi vadano a finire ai lati o nelle altre parti dell'ingranaggio.
Alla cabina di guida si trovava M.N., mentre sul lato destro e sinistro del rimorchio, si trovavano, rispettivamente, il caposquadra G.A. e L.M..
1.1.2. - Il M. dichiarava in giudizio di aver condotto la macchina con il rullo e il tegolo alzati sul rimorchio percorrendo due rampe di carico secondo le indicazioni del G..
Una volta compiuto correttamente il posizionamento della macchina facendola appoggiare su due assi preventivamente collocate, aveva abbassato il tegolo.
A operazione ultimata, aveva però sentito gridare che c'era L. con il braccio dentro e aveva quindi rialzato il tegolo.
Il L., al contrario, aveva riferito che la macchina era stata caricata con il tegolo abbassato e, poichè una delle due assi sulle quali doveva appoggiarsi si era spostata mettendosi di traverso, aveva detto al conducente di alzare il tegolo e lui aveva messo dentro un braccio per raddrizzare l'asse ma, proprio in quel momento, il tegolo era stato abbassato e gli aveva troncato di netto il braccio destro.
1.1.3. - In primo grado, il B. veniva assolto dal Tribunale di Mantova con sentenza in data 27.10.2006 sulla base, essenzialmente, delle seguenti considerazioni:
a) la macchina operatrice utilizzata in leasing dal B. era munita della dichiarazione CE di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza;
b) nessun altro presidio di sicurezza si rendeva necessario a salvaguardia di ulteriori rischi prevedibili;
c) era fuori da ogni previsione che un lavoratore potesse introdurre un braccio sotto il tegolo alzato della macchina, anche perchè, per poterlo fare, il lavoratore avrebbe dovuto sdraiarsi a terra.
2. - All'esito del giudizio di appello, proposto a seguito di impugnazione del P.M (che aveva fatto propria la richiesta ex art. 572 c.p.p., di impugnazione della parte offesa), la Corte territoriale argomentava la condanna sulla base dei dati probatori emersi nell'istruttoria dibattimentale, dai quali emergevano, oltre al profilo di colpa specifica indicato nel capo di imputazione (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68) e valutato dal Tribunale di Mantova, anche altre violazioni della normativa infortunistica che, pur essendo richiamate nello stesso capo, non erano state valutate dal giudice di primo grado.
I giudici dell'appello, in particolare, evidenziavano che l'infortunio si era verificato a causa della mancata osservanza delle cautele da adottare nell'utilizzo del mezzo, considerato che, come sottolineato dal manuale fornito al B. dalla ditta costruttrice, intorno alla macchina c'erano angoli che non si potevano bene osservare e che era quindi necessario impiegare del personale di sicurezza per tenerli sotto controllo; che, inoltre, il conducente avrebbe dovuto essere adeguatamente istruito sulla necessità di accertarsi che non ci fossero persone nelle zone di pericolo e di abbassare il rullo il più lentamente possibile, controllando costantemente la eventuale presenza di persone nel raggio di lavoro della macchina mediante personale di sicurezza che doveva rimanere nel campo di visuale del conducente medesimo.
L'addebito di colpa a carico del B., oltre alla generica contestazione ex art. 590 c.p., commi 2 e 3, veniva dunque individuato, sia sotto il profilo della violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, - secondo il cui disposto "gli organi lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, quando possono costituire un pericolo per i lavoratori, devono per quanto possibile essere protetti e segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza" - sia sotto il profilo della carenza di informativa dei rischi specifici cui sono esposti i dipendenti, ritenuta connotata da gravità, "ove si consideri che il carico della fresa sul rimorchio non era operazione straordinaria, bensì consueta per non dire quotidiana, poichè la macchina non poteva spostarsi da sola da un luogo di lavoro ad un altro, ma doveva essere obbligatoriamente trasportata su un rimorchio".
3. - Propone ricorso per Cassazione il B. deducendo quattro motivi basati sulla prospettazione della violazione di legge e del difetto di motivazione.
3.1. - In particolare, lamenta, con il primo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza dell'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p. e nullità ex art. 522 c.p.p..
Sostiene il ricorrente che la condotta omissiva contestata al B. nel giudizio di secondo grado differisce da quella cui si riferisce il capo di imputazione, vale a dire, la "inosservanza della normativa antinfortunistica e, in particolare del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68"; la Corte d'Appello, in sostanza, avrebbe introdotto una ulteriore ipotesi di colpa consistita nella inosservanza, da parte dello stesso B., del disposto di cui all'art. 4, D.P.R. cit., addebitandogli la diversa condotta omissiva consistita "Dell'omettere di istruire adeguatamente i lavoratori sui particolari rischi cui erano esposti durante l'uso della macchina ed altresì nell' esigere l'osservanza delle relative norme di sicurezza".
Ciò in violazione del diritto di difesa e della effettività del contraddittorio.
3.1.2. - Con il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per avere i giudici di secondo grado erroneamente individuato la responsabilità dell'imputato a titolo di colpa specifica e violazione dell'art. 43 c.p. e D.P.R. n. 459 del 1996, artt. 1, 2 e 5, all. 1, 2, 3, 5.
Il ricorrente invoca un esonero totale di responsabilità del datore di lavoro derivante dalla normativa cautelare speciale di cui al D.P.R. n. 459 del 2006 che individua nel costruttore - e non nell'utilizzatore finale - il soggetto competente alla gestione del rischio.
3.1.3. - Con il terzo motivo lamenta (ex art. 606 c.p.p., lett. e)) la violazione dei criteri di valutazione della prova stabiliti dall'art. 192 c.p.p. per non avere la Corte d'appello "valutato diverse prove documentali, omettendo di dame conto in motivazione".
Il ricorrente, nell' elencare una serie di prove documentali di cui la Corte di Appello avrebbe omesso la valutazione (quali, ad esempio, i bollettini di aggiornamento tecnico inviati dalla Wirtgen macchine s.r.l. solo nel (OMISSIS), contenenti ulteriori "avvertenze di pericolo", non evidenziate in precedenza; la lettera con la quale, in data (OMISSIS), la Wirtgen Gmbh comunicava alla Wirtgen macchine s.r.l. la certificazione di conformità CE delle macchine prodotte e commercializzate dalla detta società; la lettera risalente al 7 luglio 2001 con la quale la Wirtgen segnalava alla Viastrade la situazione di pericolo di cesoiamento e di assestamento del mezzo sul rimorchio ai fini di trasporto) ribadisce la imputabilità del fatto a soggetto diverso (costruttore) sulla cui condotta lo stesso ricorrente era legittimato a fare "affidamento".
3.1.4. - Con il quarto motivo si duole della mancanza della motivazione "quanto al contrasto tra la condanna prevista dall'estratto e la pena cui l'imputato è stato condannato in sentenza" nonchè della "assoluta incertezza in ordine alla misura della pena inflitta".
4. - Tutti i sopra esposti motivi si appalesano privi di fondamento e non meritano accoglimento.
In realtà, il ricorrente, pur prospettando asserite violazioni di legge e pretese illogicità e carenze della motivazione, vorrebbe che la Corte esercitasse un inammissibile sindacato sull'apprezzamento fattuale della vicenda e, in particolare, sulla condotta dell'imputato e dell'infortunato, che esula dai poteri del giudice di legittimità, quando si è in presenza, come nella specie, di una motivazione rigorosa e convincente, in linea con i principi vigenti nella subiecta materia.
4.1. - Privo di fondamento risulta, in particolare, l'addebito formulato con il primo motivo, incentrato sulla violazione dell'art. 521 c.p.p..
Ciò in quanto, a parte il rilievo che la colpa specifica ascritta all'imputato (violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, a norma del quale "gli organi lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, quando possono costituire un pericolo per i lavoratori, devono per quanto possibile essere protetti e segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza") costituisce il risultato di un processo di codificazione di regole di comune prudenza, con la conseguenza che la contestazione o, per cosi dire, "aperta", va comunque rilevato che la Corte d'appello fa esplicito richiamo anche alla violazione originariamente addebitata, ritenuta sussistente in quanto la macchina in questione si è infatti rivelata non conforme ai cosiddetti requisiti essenziali di sicurezza, come affermato dall'Ispettorato tecnico del ministero delle Attività Produttive nella nota 26.9.2002 e sostanzialmente riconosciuto dalla stessa ditta produttrice nel (OMISSIS) (come da missiva in atti che propone una integrazione delle norme di sicurezza).
Il difetto era stato peraltro già rilevato dall'u.p.g. tanto che la macchina, nel (OMISSIS), venne restituita all'imputato previa installazione di un riparo nella zona di pericolo (v. pagg. 6/7 della sentenza impugnata).
Al riguardo, va altresì rilevato che, nei procedimenti per reati colposi, l'affermazione di responsabilità per un'ipotesi di colpa non menzionata nel capo di imputazione rientra pur sempre nella generica contestazione di colpa e, pertanto, lasciando inalterato il fatto storico, non viola le regole della immutabilità dell'accusa, in quanto la contestazione generica di colpa, benchè ulteriormente specificata, pone il pervenuto nelle condizioni di difendersi da qualunque addebito, con la conseguente possibilità di ravvisare in sentenza elementi di colpa non indicati in contestazione.
Per aversi immutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenire ad una incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio del diritto alla difesa.
Quando, come nella specie, nel capo di imputazione sono stati contestati elementi generici e specifici di colpa in materia di infortuni sul lavoro, costituisce giurisprudenza costante di questa Corte, quella della non sussistenza della violazione del richiamato principio ex art. 521 c.p.p., nel caso in cui il giudice del merito, accanto ad elementi specifici di colpa, ravvisi nell'ambito della colpa generica propria del datore di lavoro, l'ulteriore aspetto della omessa vigilanza intesa ad esigere che i lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi loro a disposizione (D.P.R. n. 547 del 1955, ex art. 4).
La Corte di merito si è limitata ad evidenziare un ulteriore aspetto di colpa specifica del datore di lavoro proprio in riferimento alle peculiarità del caso concreto senza, per questo, violare le regole della immutabilità dell'accusa con conseguente compromissione del diritto alla difesa (cfr. Cass. sez. 4^, 04.03.2004, n. 27851).
Va altresì rilevato che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, erroneamente interpretato dal ricorrente, non può parlarsi di violazione del principio di correlazione quando il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza si trovino in rapporto di continenza (nel senso che il maggiore comprende quello minore), mentre per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa e, quindi, "l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso "l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (Cass. SS. UU. 22.10.1996, n. 16).
In sostanza l'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato;
la nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 4^, 15.01.2007, n. 10103, Sez. 4^, 25.10. 2005, n. 41663).
Alla luce delle suddette considerazioni, si ritiene che, nel caso di specie, non sia avvenuta una modificazione del fatto, nè pertanto sia intervenuta violazione del principio di correlazione.
4.2. - Quanto al secondo motivo, incensurabile è l'apprezzamento del giudicante che ha ritenuto che, nella fattispecie, si sia verificata la concorrente responsabilità del datore di lavoro e della ditta costruttrice (oltre che dei colleghi di lavoro dell'infortunato), non attribuendo, per contro, valore esimente della responsabilità dell'imputato alla tesi difensiva dell' "affidamento" che, secondo il ricorrente, ogni soggetto acquirente di apparecchi tecnologicamente complessi può fare "sulla corretta e prudente condotta di chi meglio conosce la macchina perchè più attento ai dettagli tecnici di cui non è ragionevole attendersi la universale notorietà".
Al riguardo va preliminarmente rilevato che, in tema di prevenzione infortuni, la disposizione di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, che fissa le misure protettive per le macchine con riguardo alle zone di operazione in cui si compiono le normali attività durante le quali gli operai possono venire accidentalmente a contatto con gli organi lavoratori delle macchine, non è stata superata dalla previsione di cui al D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (regolamento per l'attuazione delle direttive comunitarie concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativamente alle macchine operataci), atteso che il citato art. 68 detta un principio di carattere generale che trova applicazione in tutti i casi nei quali vengono usate macchine pericolose (Cass., Sez. 3^, n. 18-12-2002, n. 5167, Sassi, rv 223377).
Invero, la disciplina normativa di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68- nel prescrivere che in ogni caso ed in qualsiasi fase dell'uso di una macchina, il pericolo derivante dagli organi lavoratori della stessa deve essere rimosso mediante idonei sistemi di protezione, oppure, quando ciò non sia tecnicamente possibile, mediante l'adozione di dispositivi di sicurezza - non lascia comunque alcun margine di discrezionalità in ordine alla necessità di evitare il funzionamento della macchina stessa quando lo stesso costituisca pericolo per il lavoratore addetto (ex multis, Cass. Sez. 4^, n. 4066 del 23.02.1996, rv. 204978; Sez. 4^, 30.11.1992, n. 1208).
Valore assorbente, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, riveste la considerazione che, tra i compiti di prevenzione che ad esso fanno capo, vi è anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari dei tutto sicuri. In altri termini, il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza.
Pertanto, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura (Cass. Sez. 4^, 11.12.2007, n. 6280; Sez. 4^, 10.11.2005, n. 2382, Minesso; Sez. 4^, 26.04.2000, Maniero ed altri).
Trattasi di affermazioni, pienamente condivisibili, che poggiano sul disposto dell'art. 2087 c.c. secondo cui l'imprenditore, al di là di ogni formalismo, è comunque tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa quelle misure che, sostanzialmente ed in concreto, secondo la particolarrtà del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessario a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Secondo la sopra richiamata giurisprudenza di legittimità, si è in presenza, infatti, di una disposizione, utilmente qui richiamabile, che costituisce "norma di chiusura" rispetto alle disposizioni della legislazione antinfortunistica, comportando a carico del datore di lavoro precisi obblighi di garanzia e di protezione dell'incolumità dei propri lavoratori e della stessa incolumità pubblica: obblighi che rendono esigibile, da parte del datore di lavoro, il dovere di impedire, mediante adeguato controllo e la predisposizione di ogni strumento a ciò necessario, che il bene o l'attività, sorgente di pericoli e rientrante nella sfera della sua signoria, possa provocare danni a chiunque ne venga a contatto, anche occasionalmente (Cass., Sez. 4^, 13.06.2000, Forti; Sez. 4^, 12.01.2005, Cuccù, secondo cui il datore di lavoro deve attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, appunto, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante della incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, gli viene correttamente imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2).
In questa prospettiva, va pertanto rilevato che, nel caso di specie, eventuali concorrenti profili colposi addebitatali al fabbricante non elidono certamente il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo in danno del lavoratore.
Questo, del resto, in linea con la pacifica affermazione secondo cui è configurabile la responsabilità del datore di lavoro il quale introduce nell'azienda e mette a disposizione del lavoratore una macchina - che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone - senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l'eventuale diverso venditore, abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l'idoneità all'uso, non valendo ad escludere la propria responsabilità la mera dichiarazione di avere fatto affidamento sull'osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica (Cass., Sez. 4^, 03.07.2002, Del Bianco Barbacucchia).
4.3. - Le argomentazioni fin qui svolte sono utilizzabili per smentire anche la fondatezza del terzo motivo, ad ulteriore confutazione del quale giova aggiungere che appare del tutto inconferente sia il discorso relativo alla ulteriore certificazione "successiva" di conformità CE, considerato che, per quanto sopra esposto, la violazione è davvero macroscopica, tanto da sconfinare nella violazione di regole di comune prudenza, sia quello relativo alle mancate specifiche "avvertenze di pericolo" da parte della ditta costruttrice.
A quest'ultimo riguardo, va rilevato che - a fronte di una colpa consistita nell'abbassamento del tegolo effettuato senza che chi diede l'ordine avesse ricevuto l'assicurazione che la vittima fosse al sicuro - alla voce "Pericolo" inserita nel manuale di Istruzioni, consegnato dalla ditta costruttrice unitamente alla macchina (e quindi in un momento antecedente all'infortunio de qua), erano previste precise cautele da adottare nell'utilizzo del mezzo, fra cui quella di "verificare che nessuno sia minacciato in caso di rovesciamento o di scivolamento della macchina" e che, comunque, si trattava di rischi evidenti anche a prescindere dalle istruzioni.
Invero, come logicamente argomentato dalla Corte territoriale, in esito a valutazione complessiva delle risultanze dibattimentali, nessuna chiara istruzione era stata data in tal senso e, a tutto concedere, anche ove impartita, nessuno si era accertato che fosse stata intesa in tutte le sue implicanze pratiche e che venisse poi rispettata.
Il carico della fresa sul rimorchio costituiva "operazione delicata e pericolosa sia per la mole e il peso del congegno sia per l'uso di assi da porre sulla rampa di carico (onde evitare il contatto metallo contro metallo) e che potevano per la pressione spostarsi e creare intralcio.
Sarebbe stato quindi doveroso prevedere e disciplinare una procedura di caricamento che tutelasse appieno la incolumità dei lavoratori, se del caso, integrando quella fornita dal manuale, o dal personale Wirtgen.
In verità, sarebbe bastato che l'imputato avesse una sola volta assistito a detta operazione di carico per rendersi conto dei rischi che si potevano determinare durante la fase di abbassamento del tegolo e della cesoia dentata, allorchè, essendo la macchina già sul rimorchio, la zona di maggior rischio era ad altezza d'uomo e facilmente accessibile, perchè non protetta.
Nessun dubbio può pertanto essere sollevato, sulla concreta prevedibilità dell'evento lesivo".
Anche alla luce delle suddette considerazioni, pertanto, deve considerarsi infondato l'assunto difensivo dell'esonero di responsabilità invocato dal ricorrente sulla base del marchio CE, non potendo ad esso ricollegarsi una presunzione assoluta di conformità della macchina alle norme di sicurezza, proprio per la prevedibilità ed evitabilità, nella ipotesi de qua, dell'evento lesivo.
Non può, infine, richiamarsi ai principi dell'affidamento il datore di lavoro che, in tema di sicurezza antinfortunistica, venga meno ai suoi compiti che comprendono, tra l'altro, l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinati lavori, la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, ed anche il controllo continuo, congrue ed effettivo, nel sorvegliare e quindi accertare che quelle misure vengano, in concreto, osservate, non pretermesse per contraria prassi disapplicativa, e, in tale contesto, che vengano concretamente utilizzati gli strumenti adeguati, in termini di sicurezza, al lavoro da svolgere, controllando anche le modalità concrete del processo di lavorazione.
Il datore di lavoro, quindi, non esaurisce il proprio compito nell'approntare i mezzi occorrenti all'attuazione delle misure di sicurezza e nel disporre che vengano usati, ma su di lui incombe anche l'obbligo di accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano utilizzati (tra le tante, Cass., Sez. 4^, 10.02.2005, Kapelj).
4.4. - Destituito di fondamento risulta infine il quarto motivo di ricorso relativo alla "assoluta incertezza" in ordine alla misura della pena inflitta.
Nella parte motiva dell'impugnato provvedimento emesso il 14.12.2007 e depositato il 28.12.2007, risulta ben specificato che, alla pena base (pari a mesi due di reclusione) inflitta all'imputato è stata applicata la riduzione di un terzo ex art. 62 bis c.p., con la conseguente irrogazione della pena in concreto pari a mesi uno e giorni dieci di reclusione.
L'errore materiale espresso in dispositivo di condanna alla pena di mesi uno di reclusione è stato evidentemente emendato con la procedura della correzione di errore materiale ex art. 130 c.p.p. se è vero, come è vero, che nell'estratto contumaciale notificato all'imputato in data 18.02.2008 la pena irrogata risulta conforme a quella menzionata nella parte motiva del provvedimento pari a mesi uno e giorni dieci di reclusione.
Nessun contrasto pertanto risulta tra la condanna irrogata e quella risultante dall'estratto contumaciale, non sussistendo la paventata e dedotta incertezza della pena inflitta.
4.5. - Per le sin qui illustrate ragioni il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Così deciso in Roma, il 26 agosto 2008.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2008
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