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DM 24 novembre 1984

ID 7857 | | Visite: 15172 | Prevenzione Incendi

Decreto 24 novembre 1984

DM 24 novembre 1984 / Sicurezza antincendio gas naturale d ≤ 0,8

Norme di sicurezza antincendio per il trasporto, la distribuzione, l'accumulo e l'utilizzazione del gas naturale con densità non superiore a 0,8

(G.U. n. 12 del 15 gennaio 1985 S.O.)

Attenzione modificato da:
Decreto 27 novembre 1989
Decreto 16 novembre 1999
Decreto 16 aprile 2008

Collegati

Rapporto “Il mercato del lavoro 2018: verso una lettura integrata”

ID 7842 | | Visite: 4439 | News Sicurezza

Mercato lavoro 2018

Rapporto “Il mercato del lavoro 2018: verso una lettura integrata”

Questo secondo Rapporto annuale è frutto della collaborazione sviluppata nell’ambito dell’Accordo quadro tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti sulla struttura e sulla dinamica del mercato del lavoro in Italia e a implementare un Sistema informativo statistico condiviso.

L’obiettivo è valorizzare in termini informativi e analitici la ricchezza delle diverse fonti sull’occupazione – amministrative e statistiche – per rispondere alla crescente domanda di una lettura integrata del mercato del lavoro. La positiva cooperazione interistituzionale sviluppata nell’arco di un triennio ha condotto al raggiungimento di diversi obiettivi e l’Accordo, in scadenza a fine dicembre 2018, è stato prorogato fino a dicembre 2021 per proseguire la collaborazione e completare il percorso avviato. Nel quadro dell’Accordo, da dicembre 2016 viene regolarmente diffuso nei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre un comunicato congiunto “La Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione” il cui calendario di diffusione viene rilasciato anticipatamente ai media.

Inoltre, da gennaio 2018 è previsto il coordinamento fra tutte le istituzioni coinvolte dei calendari di diffusione delle comunicazioni periodiche congiunturali sui temi del lavoro. È in fase di sviluppo il complesso lavoro di analisi per la progressiva condivisione degli archivi e basi dati di Istat, Inps, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inail, e Anpal per la realizzazione del Sistema infor-mativo statistico sul lavoro, collocato all’interno delle infrastrutture informative dell’Istituto nazionale di statistica, e accessibile a tutte le istituzioni e al mondo della ricerca. Per il coordinamento e lo sviluppo di tutte le attività sono stati costitutiti un Comitato d’Indirizzo, composto da due membri per ciascuna istituzione, e un Gruppo di lavoro tecnico coordinato dall’Istat.

Questo Rapporto è frutto del lavoro congiunto di entrambi i gruppi e documenta i risultati delle attività di sperimentazione dell’integrazione delle fonti amministrative e statistiche.

Gli approfondimenti intendono fornire una base empirica e analitica utile allo sviluppo del dibattito pubblico su temi rilevanti inerenti il lavoro. Le analisi proposte, basate sull’utilizzo congiunto dei dati provenienti dalle istituzioni coinvolte, offrono un’interessante chiave di lettura del mercato del lavoro italiano, mostrando come l’integrazione delle informazioni, statistiche e amministrative possa rappresentare un importante strumento per gli utilizzatori e i policy makers.

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Fonte: INAIL

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 7668 | 20 Febbraio 2019

ID 7822 | | Visite: 2157 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Caduta mortale dal lucernario durante l'impermeabilizzazione della copertura

Responsabilità del legale rappresentante, direttore tecnico, capo cantiere della appaltatrice e del CSE della committente

Penale Sent. Sez. 4 Num. 7668 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 06/02/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Lecce ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato F.P., in qualità di legale rappresentante della appaltatrice Cogit s.p.a., F.P., in qualità di direttore tecnico della appaltatrice Cogit s.p.a., S.A., capo cantiere della appaltatrice Cogit s.p.a., N.L., in qualità di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori per conto della committente GH., L.S., in qualità di responsabile di lavori per conto della committente GH., R.P., in qualità di legale rappresentante della sub-appaltatrice Cover Tech e datore di lavoro di C.P., responsabili del reato di cui agli artt. 113 e 589 cod.pen., perché, con condotte tra loro indipendenti, cagionavano il decesso di C.P., precipitato da un lucernaio sito ad altezza di circa mt 10, per colpa consistita nell'omettere, ciascuno per il proprio ruolo, che la vittima usasse, nell'esecuzione delle opere di impermeabilizzazione della copertura, le misure di prevenzione consistenti nelle cinture di sicurezza ex art. 10 del d.P.R. n. 164 del 1956, nonché nell'omettere di apprestare sottopalchi o opere similari per prevenire il rischio di caduta dall'alto ex art. 70 del d.P.R. n. 164 del 1956 (1° agosto 2007), con conseguente condanna, concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, di R.P. e S.A. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, F.P. e N.L. alla pena di anni uno di reclusione, F.P. e L.S. alla pena di mesi dieci di reclusione, concessa a tutti la sospensione condizionale e la non menzione a F.P., F.P., L.S. e N.L.. La sentenza di secondo grado ha altresì confermato la condanna di tutti gli imputati, in solido con le responsabili civili Cogit s.p.a., GH. s.r.l., Cover Tech s.r.l., al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile, nei confronti delle parti civili OMISSIS, con la previsione di una provvisionale di euro 50.000,00 per ciascuna parte civile.
2. Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, tutti gli imputati ed i responsabili civili GH. s.r.l. e Cogit s.p.a.
3. F.P., F.P., S.A. (rispettivamente legale rappresentante, direttore tecnico, capo cantiere della appaltatrice) e N.L., coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori per conto della committente GH. s.r.l., hanno dedotto, con distinti ricorsi: 1) la nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dibattimentale e per la mancata assunzione di una prova decisiva (perizia tecnica in ordine alla presenza, al momento del sinistro, di funi in acciaio e/o pali di metallo ancorati al corpo di fabbrica), la cui istanza è stata respinta con argomentazione apodittica ed errata, reputando "irrilevante se il dispositivo di sicurezza suindicato vi fosse stato in passato o lo sarebbe stato in futuro nel corso dei lavori di realizzazione della multisala" e superando le deposizioni dei dipendenti della Cover Tech, pure ritenuti attendibili, con eccessiva valorizzazione della deposizione del teste L.; 2) e 3) la nullità della sentenza per erronea indicazione dei nomi, delle funzioni e dei ruoli degli imputati e per erronea identificazione del locus commissi delicti, con violazione dell'art. 546 cod.proc.pen. - ad esempio, R.P. è stato indicato come amministratore unico della Cover Tech s.r.l. nella prima pagina della sentenza di appello; si è omesso ogni riferimento al legame professionale di N.L. con la GH. s.r.l.; non si comprende se il sinistro sia avvenuto a Via Bozzano 1 o a Via Bastioni Carlo V, 35, sede della Cogit s.p.a.; 4) l'erronea interpretazione degli artt. 10 e 68 d.P.R. n. 164 del 1956 e l'erronea applicazione dell'art. 70 del d.P.R. n. 164 del 1956, atteso che, come emerso dalla deposizione del teste CO., erano presenti, nel caso di specie, parapetti persino tra una sezione e l'altra del solaio, che rendevano non obbligatorie le cinture di sicurezza; 5) l'inattendibilità del teste L., il quale ha dichiarato di aver visto stendere bitume sul lastricato solare, al posto della coibentazione con materiale plastico, nonostante l'omesso sopralluogo sul lastrico solare e la lacunosa documentazione fotografica, in relazione all'art. 198 cod.proc.pen., e le sue ricadute sulla ricostruzione storica del fatto e sulla esatta descrizione dei luoghi; 6) l'omessa disamina dei motivi di appello e la confusione tra i singoli atti di impugnazione; 7) l'omessa disamina di un elemento fondamentale ai fini della decisione e, cioè l'invio degli atti alla Procura della Repubblica, disposto dal giudice di primo grado, per procedere contro il responsabile della sicurezza del datore di lavoro e l'omessa giustificazione dell'estensione della responsabilità a figure lontane dalla vittima, mentre risulta provato che la Cover Tech s.r.l. avesse assunto l'onere della sicurezza sulla di lavoro assegnatale in via esclusiva (solaio), ove è avvenuto il sinistro, stante l'esclusività del lavoro da svolgere; 8) la nullità della sentenza per omessa disamina delle condotte dello stesso infortunato, che, considerata anche la consolidata professionalità e provata anzianità lavorativa, sembra aver tenuto un comportamento se non abnorme, quanto meno del tutto singolare ed esorbitante dall'incarico conferitogli, essendo stato rinvenuto senza cintura di sicurezza e con le scarpe da lavoro slacciate; 9) la nullità della sentenza per omessa disamina della circostanza di fatto, causalmente rilevante, dell'assunzione, da parte della vittima, di farmaci idonei a determinare capogiri, sonnolenza, stanchezza, disturbi visivi; 10) le lacune ed omissioni nella definizione delle esatte condotte contestate ai soggetti coinvolti, che, peraltro, incide anche sulla quantificazione della pena.
4. S.A. ha, inoltre, lamentato 11) la mancata concessione del beneficio della non menzione, nonostante la propria incensuratezza all'esito della riabilitazione relativa al precedente penale per furto militare, di cui era gravato (v. sentenza del Tribunale di Sorveglianza di Lecce del 9 luglio 2002).
5. L.S., responsabile dei lavori per conto della committente GH. s.r.l., ha dedotto 1) la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, essendo stato condannato l'imputato L.S. per una violazione colposa non presente nel capo di imputazione (e, cioè, per il difetto di coordinamento tra le diverse maestranze presenti nel cantiere, peraltro, inesigibile in quanto gravante su altro soggetto) e la motivazione apparente e contraddittoria sul punto; 2) la violazione degli arti. 113 e 589 cod.pen. e 2, 3 e 5 del d.lgs. n. 494 del 1996, non essendo emersa dall'istruttoria una effettiva possibilità di intervento di tale imputato a favore del lavoratore, atteso che L.S. non era presente sul cantiere il giorno del sinistro, benché vi si recasse con cadenza periodica, e che egli non era a conoscenza del subappalto alla Covertech dei lavori di impermeabilizzazione dei solai, di cui non era stato informato, in quanto il p.o.s. di tale impresa non era stato portato alla sua attenzione, come prescritto, ma all'attenzione di N.L., al quale soltanto è imputabile una negligente comunicazione, da cui non può, invece, desumersi un suo colposo limite nell'assumere informazioni sull'andamento del cantiere; 3) la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e la violazione dell'art. 192 cod.proc.pen. nella ricostruzione dell'evento, avvenuta solo in base alla testimonianza del teste M., tralasciando le contraddizioni di tale teste con gli altri e pervenendo, in questo modo, alla versione poco verosimile della scopertura dell'apertura, da parte di un soggetto non identificato, alle dipendenze di altra impresa e conseguentemente alla compresenza di più imprese in procinto di lavorare sul tetto, di cui L.S. avrebbe omesso il coordinamento, nonostante indicazioni contrarie emerse dall'istruttoria, oltre alla valutazione del rischio di caduta dall'alto come generico, nonostante le caratteristiche dell'opera, che presentava aperture consistenti sul tetto (normalmente inesistenti) e il livello di alta specializzazione dell'appaltatore e del subappaltatore; 4) la violazione dell'art. 41 cod.pen., non essendo stato compiuto un giudizio controfattuale in grado di dimostrare che la scellerata rimozione delle copertura del lucernaio avrebbe potuto essere evitata dal coordinamento di L.S., che non era, invece, tenuto alla costante presenza e vigilanza sul cantiere; 5) la violazione dell'art. 513 cod.proc.pen., non essendo transitate nel fascicolo per il dibattimento, nonostante l'espressa richiesta, le dichiarazioni rese, nel corso delle indagini preliminari, con l'assistenza del difensore, da N.L. (che ha dichiarato di non essere a conoscenza della presenza di maestranze sulla copertura), e dell'art. 603 cod.proc.pen., non avendo la Corte provveduto sulla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale finalizzata all'acquisizione di tali dichiarazioni; 6) la violazione dell'art. 62 bis cod.pen., non essendo stata riconosciuta la prevalenza delle attenuanti sull'aggravante, nonostante l'incensuratezza dell'imputato ed il suo riconosciuto atteggiamento collaborativo, con conseguente applicazione di una pena sproporzionata.
6. R.P., legale rappresentante della Cover Tech s.r.l., ha dedotto la mancanza ed illogicità della motivazione con riguardo agli arti. 40 e 589 cod.pen. ed il travisamento della prova, atteso che la sua responsabilità è stata fondata esclusivamente sul dato formale della sua carica di legale rappresentante della società subappaltatrice, senza tener conto dei ruoli effettivamente ricoperti dai vari soggetti coinvolti - in particolare del ruolo di responsabile della sicurezza della subappaltatrice, con una vera e propria delega di funzioni, rivestito da S.R., a cui era stato interamente delegato il settore anti-infortunistico, con reali poteri di spesa, e di quello di effettivo titolare dei poteri di rappresentanza della società subappaltatrice, rivestito dal socio A.M. - in particolare il ricorrente ha sottolineato che il piano operativo di sicurezza della Cover Tech s.r.l. è stata redatto congiuntamente da A.M. e S.R., oltre che vidimato da N.L.; che S.R. si è occupato personalmente del cantiere in oggetto e che da anni svolge attività di prevenzione per conto della Cover Tech s.r.l.; che S.A. ha riferito di essersi sempre interfacciato con S.R. e che anche gli operai della Cover Tech s.r.l. hanno confermato il ruolo di S.R..
7. La GH. s.r.l. ha dedotto 1) la violazione dell'art. 185 cod.pen., in quanto la propria responsabilità civile ex art. 2049 cod.civ. è stata affermata nonostante non sussistesse alcun rapporto organico con L.S. e N.L.; 2) la violazione dell'art. 41 cod.pen. e la mancanza e contraddittorietà della motivazione rispetto alla sentenza di primo grado, avendo il giudice di secondo grado negato il concorso causale della vittima, a differenza di quello di prime cure; 3) la violazione dell'art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994 e dell'art. 185 cod.pen., in quanto la condanna della committente al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili prescinde dall'avvenuto accertamento, nel corso del processo, dell'impossibilità per la GH. s.r.l. di fare alcunché per impedire l'evento, essendo stati rispettati tutti i requisiti di diligenza e prudenza previsti dalla legge (la scelta di un appaltatore che forniva le più ampie garanzie, la predisposizione di un piano di sicurezza e coordinamento efficace e particolareggiato con contestuale attribuzione al responsabile del cantiere del compito di verificare prima dei lavori le protezioni contro il rischio di caduta dall'alto, la inesistenza di situazioni di pericolo di immediata percepibilità).
8. La Cogit s.p.a. ha dedotto: 1) l'inosservanza e erronea applicazione dell'art. 603 cod.proc.pen. ed il vizio di motivazione, essendo stata rigettata l'istanza di accertamento tecnico in ordine alla presenza, al momento del sinistro, di funi e/o pali sul lastrico solare cui ancorare le cinture di sicurezza da parte dell'infortunato, in base ad argomentazioni apodittiche e illogiche e con travisamento della prova, e, cioè, in base alla dichiarazione del teste L., riferita esclusivamente al mancato rinvenimento del dispositivo di sicurezza individuale (cintura di sicurezza), la cui fornitura competeva a L.S., responsabile dei lavori, e a N.L., coordinatore della sicurezza, e ritenendo in modo illogico incerta la presenza nel cantiere dei dispositivi collettivi di sicurezza, pur avendone ammesso la presenza nelle prime fasi di lavorazione e dopo il dissequestro; 2) la violazione degli artt. 113 e 589 cod.pen., atteso che la responsabilità dell'evento letale è stata attribuita all'appaltatrice ed al suo legale rappresentante, nonostante si tratti della realizzazione di un rischio specifico della fase di lavorazione affidata alla sub- appaltatrice Cover Tech, di cui deve rispondere, dunque, unicamente quest'ultima, unitamente alla committente, che si è ingerita nell'esecuzione e che ha un dovere di vigilanza.

Considerato in diritto

1. I ricorsi di F.P., F.P., S.A. (rispettivamente legale rappresentante, direttore tecnico, capo cantiere della appaltatrice) e N.L., coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori per conto della committente GH. s.r.l., possono essere esaminati congiuntamente, proponendo uguali censure - fatta eccezione per l'ultimo motivo di S.A. , che è personale, riguardando la concessione del beneficio della non menzione di cui all'art. 175 cod.pen., e sarà esaminato all'esito).
2. Il primo motivo è manifestamente infondato, atteso che, come chiarito da Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017 ud. - dep. 31/08/2017, Rv. 270936 - 01, la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. A ciò si aggiunga che, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale (nel caso di specie, tramite l'assunzione della nuova prova richiesta) qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018 ud. - dep. 13/07/2018, Rv. 273577 - 01). Nel caso di specie, non si coglie quale lacuna o manifesta illogicità delle sentenze di merito l'accertamento peritale dovrebbe consentire di superare, atteso che nella sentenza di primo grado, a p. 22, si legge "il R.P. non aveva con sé alcuna cintura di sicurezza, rispetto alla quale, peraltro, è dubbio che fossero sul lastrico solare gli appositi cavi di acciaio o, almeno, i pali cui andavano allacciati i cavi di acciaio, per consentire l'aggancio della stessa in condizioni di sicurezza (l'imputato R.P. lo ha sostenuto e sembra fornirgli riscontro il teste S., che ha riferito di avere lavorato sul lastrico solare agganciandosi con la cintura di sicurezza; tuttavia, dalle foto prodotte all'odierna udienza dall'imputato emerge che i pali con i cavi di acciaio erano presenti nella prime fasi di lavorazione del prefabbricato ed erano presenti dopo il dissequestro del cantiere successivamente al sinistro, ma non è affatto certo che vi fossero nel corso della lavorazione eseguita dal C.P.. Al riguardo, deve rilevarsi che lo Spesal elevava un'apposita prescrizione sul punto che veniva adempiuta, come emerge dalla stessa comunicazione che effettuava la Cogit s.p.a. allo Spesal in data 30 agosto 2007, dove testualmente si legge, fra l'altro, che si era provveduto a realizzare funi di trattenuta propedeutiche all'utilizzo di sistema anticaduta .... e ciò dimostrerebbe che sicuramente non vi erano almeno i cavi di acciaio sul lastrico solare per consentire eventuali agganci della cintura di sicurezza". Il giudice di primo grado ha, dunque, preso in considerazione gli elementi istruttori, indicati dai ricorrenti quale prova della presenza di dei cavi e delle funi di aggancio delle cinture di sicurezza (la deposizione del teste S.), ma li ha superati, con una motivazione esaustiva, logica e priva di contraddizioni, in base agli indizi contrari desumibili dalla contestazione elevata dall'ente di controllo (contestazione che non risulta smentita) e dalla comunicazione della stessa Cogit s.p.a. A sua volta, il giudice di appello, con una motivazione altrettanto congrua, ha evidenziato la possibilità della presenza del dispositivo di sicurezza in esame nelle prime fasi di lavorazione dell'opera ed in quelle successive rispetto alla realizzazione dell'Impermeabilizzazione della copertura, fase durante la quale si è verificato l'infortunio: ipotesi che non può essere esclusa in considerazione della vetustà delle funi in acciaio e dei pali di metallo (che, peraltro, è condizionata dagli anni ormai trascorsi) e dall'unicità con il corpo di fabbrica, su cui, comunque, possono essere stati realizzati interventi all'esito delle prescrizioni del Spesal, sicché correttamente è pervenuto al giudizio di non decisività dell'accertamento peritale sollecitato.
3. Il secondo ed il terzo motivo dei ricorsi in esame denunciano mere irregolarità formali, che non incidono né sulla complessiva motivazione né sul dispositivo e sono, dunque, del tutto irrilevanti. Del resto, come si ricava dall'art. 546, terzo comma, cod.proc.pen., la nullità della sentenza deriva soltanto dall'assenza della motivazione, in base al rinvio all'art. 125, terzo comma, cod.proc.pen., dalla mancanza e incompletezza del dispositivo nei suoi elementi essenziali ovvero dalla mancata sottoscrizione del giudice. A ciò si aggiunga che dalla lettura complessiva dei provvedimenti si evince con certezza l'identificazione degli imputati e delle loro funzioni, la condotta agli stessi contestati e che non è neppure contestata la verificazione dell'infortunio, con le modalità descritte, sicché il luogo esatto di collocazione del fabbricato in esame non assume rilevanza.
4. Il quarto motivo, che denuncia l'erronea interpretazione degli artt. 10 e 68 d.P.R. n. 164 del 1956 e l'erronea applicazione dell'art. 70 del d.P.R. n. 164 del 1956, è infondato. I ricorrenti sembrano sostenere l'applicazione esclusiva, nel caso di specie, dell'art. 68 del d.P.R. n. 164 del 1956, ai sensi del quale le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio, escludendo, invece, l'applicazione degli artt. 10 e 70 del d.P.R. n. 164 del 1956, ai sensi dei quali rispettivamente nei lavori presso gronde e cornicioni, sui tetti, sui ponti sviluppabili a forbice e simili, su muri in demolizione e nei lavori analoghi che comunque espongano a rischi di caduta dall'alto o entro cavità, quando non sia possibile disporre impalcati di protezione o parapetti, gli operai addetti devono far uso di idonea cintura di sicurezza con bretelle collegate a fune di trattenuta, e, prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernai, tetti, coperture e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego, per cui nel caso in cui .sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di cinture di sicurezza.
Invero, deve osservarsi che il rapporto tra le disposizioni indicate, che prevedono regole precauzionali del tutto compatibili tra di loro, non è di specialità, non essendovi alcun elemento letterale o sistematico in tale senso, per cui esse si applicano congiuntamente laddove ne sussistono i presupposti e, cioè, in caso di lavori che espongano al rischio di cadute dall'alto ed in presenza di aperture e/o lucernai. In questo senso, peraltro, si è espressa Sez. 4, n. 9247 del 20/05/1993 ud. - dep. 12/10/1993, Rv. 195855 - 01, secondo cui la disposizione di cui all'art. 70, comma secondo, d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 e quella dell'art. 10 d.P.R. detto prevedono l'uso di cinture di sicurezza con un diverso scopo e, pertanto, hanno un differente oggetto, tutelando situazioni diversificate tra loro, atteso che, mentre la prima norma fa riferimento ai lavori da eseguirsi sui lucernai, tetti, coperture e simili relativamente a condizioni di scarsa resistenza, che il datore di lavoro deve verificare, e prescrive l’adozione di apprestamenti vari con l'uso di cinture di sicurezza, la seconda disposizione stabilisce tale uso, in via assoluta, per l'esecuzione di lavori che espongano al rischio di cadute dall'alto allorquando non sia possibile predisporre opere di riparo, sicché le due contravvenzioni concorrono tra loro (v. anche Sez. 4, n. 2676 del 24/01/1990 ud. - dep. 26/02/1990, Rv. 183481 - 01, secondo cui, a riguardo della prevenzione di infortuni sul lavoro nelle costruzioni, dalla combinata lettura delle disposizioni di cui agli artt. 10, 16 e 70 del d.P.R. 27 aprile 1956, n. 164, considerate nel più vasto ambito della norma di chiusura di cui all'art. 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro di: "adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro", è estraibile il principio generale per il quale incombe sul datore di lavoro l'obbligo di predisporre ogni misura cautelativa - fissa o provvisionale - atta ad evitare il rischio di cadute dell'alto degli addetti ai lavori).
Deve, inoltre, rilevarsi che nella formulazione della censura i ricorrenti sostengono la presenza di parapetti tra una sezione e l'altra del solaio dell'edificio, al fine di escludere la necessità delle cinture di sicurezza. Tuttavia, nella sentenza di primo grado, a p. 22, si legge che "non era stato predisposto un ponteggio (tipo sottopalco) che consentisse all'operaio, una volta caduto dal lucernaio, di precipitare a terra" e che "il lucernaio in quel momento non era protetto né con pedane metalliche né con un parapetto", sicché si sarebbe dovuto censurare, tramite la denuncia di un eventuale vizio motivazionale, tale accertamento di fatto.
5. Il quinto motivo, avente ad oggetto l'asserita verificata inattendibilità del teste L., è destituito di fondamento e tende a proporre le valutazioni degli imputati, senza, tuttavia, evidenziare alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione in punto di accertamento dei fatti, che, peraltro, è avvenuto non soltanto in base alla deposizione di tale teste, ma in base ad una molteplicità di elementi istruttori, complessivamente valutati, tra cui le deposizioni degli altri testi e i documenti acquisiti (ad esempio, la contestazione elevata dall'ente di controllo e la lettera con cui la Cogit s.p.a. ha comunicato il proprio adempimento).
Va, del resto, ricordato che, in tema di valutazione della prova testimoniale, non essendo necessari elementi di riscontro esterni, il giudice deve limitarsi a verificare l'intrinseca attendibilità della testimonianza - avuto riguardo alla logicità, coerenza ed analiticità della deposizione nonché all'assenza di contraddizioni con altre deposizioni testimoniali o con elementi accertati con i caratteri della certezza - sulla base della presunzione che, fino a prova contraria, il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisce di solito fatti obiettivamente veri (principio di affidabilità) e mente solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo (principio di normalità), specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sé o per altri (Sez. 6, n. 3041 del 03/10/2017 ud. - dep. 23/01/2018, Rv. 272152 - 01). Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno individuato quali sarebbero le conseguenze pregiudizievoli che deriverebbe per il teste L., estraneo alla verificazione dell'infortunio, dalla ricostruzione dei fatti e quale interesse avrebbe, dunque, a mentire.
6. La sesta censura, con cui si lamenta l'omessa disamina dei motivi di appello, è del tutto generica, in quanto non sono state indicate le argomentazioni degli appellanti che sarebbero state ignorate e ci si è limitati a lamentare l'inversione nell'ordine di elencazione dei motivi. Sul punto è sufficiente ricordare che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice d'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente, sia pure in modo sommario, il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso essere autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013 ud.- dep. 25/02/2014, Rv. 258962 - 01).
6. Il settimo motivo, con cui si denuncia l'omessa disamina di un elemento fondamentale ai fini della decisione e, cioè l'invio degli atti alla Procura della Repubblica, disposto dal giudice di primo grado, per procedere contro il responsabile della sicurezza del datore di lavoro e l'omessa giustificazione dell'estensione della responsabilità a figure lontane dalla vittima, pur risultando provato che la Cover Tech s.r.l. aveva assunto l'onere della sicurezza sul luogo, oggetto del lavoro assegnatale in via esclusiva (solaio), ove è avvenuto il sinistro, può essere esaminato unitamente al decimo motivo, che concerne le asserite lacune ed omissioni nella definizione delle esatte condotte contestate ai soggetti coinvolti, rilevante anche ai fini della quantificazione della pena.
Tali motivi non meritano accoglimento.
In primo luogo, il mancato coinvolgimento nel processo di ulteriore soggetto, sui cui possa incombere, in virtù della sua posizione di garanzia e del ruolo svolto, la responsabilità penale per l'evento letale, non esclude quella degli odierni ricorrenti, fondata su proprie condotte omissive, specificamente individuate dai giudici di merito.
In particolare, per quanto concerne il legale rappresentante della società appaltatrice e sub-committente (F.P.), il suo direttore tecnico ( F.P.) e il suo capo cantiere (S.A. ), nella ricostruzione dei giudici di merito, tali soggetti si sono ingeriti nell'esecuzione dei lavori da parte della sub-appaltatrice, di cui era dipendente la vittima (v. sentenza di primo grado, p. 17 "la ditta appaltatrice aveva addirittura posto il suo capo cantiere nella sostanziale direzione dei lavori oggetto di sub-appalto"). Da tale premessa è derivata l'affermazione della loro responsabilità, in quanto, tenuto conto della loro ingerenza, avrebbero dovuto assicurare la predisposizione di idonei dispositivi di sicurezza, di cui si è, invece, accertata l'assenza, e avrebbero dovuto vigilare sull'adozione di tali dispositivi, prevenendo eventuali situazioni di pericolo. La decisione risulta, dunque, conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente (a cui è equiparabile l'appaltatore, che assuma il ruolo di sub-committente), dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, sicché, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015 Ud. - dep. 02/11/2015, Rv. 264974 - 01). Con particolare riferimento, poi, al capo cantiere dell'appaltatrice, a cui, nella ricostruzione dei giudici di merito, si interfacciava la sub-appaltatrice, con i suoi operai, va ricordato che, in tema di sicurezza sul lavoro, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l'incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative "contra legem", come appunto quella di lavorare sulla copertura, nei pressi di lucernai, senza adeguate protezioni e con la possibilità di rimuovere la copertura dei lucernai (Sez. 4, n. 4340 del 24/11/2015 Ud. - dep. 02/02/2016, Rv. 265977 - 01). A ciò va aggiunto, invece, per quanto riguarda F.P., direttore tecnico dei lavori, che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tra i destinatari degli obblighi dettati dall'art. 4 d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, devono annoverarsi anche il direttore tecnico ed il "capo cantiere", figure inquadrabili nei modelli legali, rispettivamente, del dirigente e del preposto (Sez. 4, n. 39606 del 28/06/2007 Ud. - dep. 26/10/2007, Rv. 237879 - 01). Peraltro, come segnalato nella sentenza di primo grado, F.P. e S.A. , come N.L., erano presenti sul cantiere il giorno dell'infortunio, per cui, considerata la loro ingerenza nelle attività della sub-appaltatrice, sicuramente rispondono per l'omessa vigilanza nell'adozione di adeguate misure precauzionali nello svolgimento dell'attività di impermeabilizzazione della copertura.
Per quanto concerne N.L., coordinatore per la sicurezza, nominato dal committente, deve ricordarsi che, in tema di infortuni sul lavoro, tale figura è titolare di una posizione di garanzia - che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica - in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS - v. Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017 ud. - dep. 05/10/2017, Rv. 271026 - 01, che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del coordinatore per le lesioni subite da un lavoratore, in ragione dell'inidoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dall'impresa, che non contemplava specifiche misure contro il rischio di caduta attraverso lucernari, indicato nel piano di sicurezza e coordinamento. Nel caso di specie, più volte, i giudici di merito hanno ribadito la lacunosità del piano operativo di sicurezza della sub- appaltatrice, specificamente sottoscritto anche da N.L., nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza, relativamente al rischio di cadute dall'alto, al contrario, specificamente contemplato nel piano di sicurezza e coordinamento redatto dalla committente (ad esempio, p. 13 sentenza di primo grado): tale lacunosità è già da sola, dunque, fonte di responsabilità del coordinatore, considerato che l'evento letale ha costituito proprio la concretizzazione del rischio non adeguatamente valutato dalla sub- appaltatrice.
7. L'ottavo ed il nono motivo, che denunciano l'omessa disamina delle condotte e delle condizioni della vittima, non possono trovare accoglimento.
Invero nella sentenza di primo grado è espressamente riconosciuta l'imprudenza del lavoratore deceduto, "il quale, nonostante la presenza di vento forte e l'altezza del lastrico solare, svolgeva l'attività lavorativa senza alcun dispositivo individuale di sicurezza (a parte il casco) idoneo ad escludere il rischio caduta e, nonostante la presenza, nel corso dell'attività lavorativa, di un lucernaio aperto, vi si avvicinava". Si è, tuttavia, precisato che il comportamento di C.P. rientrava perfettamente nelle sue mansioni e nei lavori che era stato chiamato a svolgere, non potendosi qualificare come del tutto imprevedibile ed esorbitante dagli stessi "e ciò anche nell'ipotesi in cui, come paventato da alcune difese, fosse stato direttamente il prefato a rimuovere i pannelli posti sul lucernaio, vuoi per svolgere al meglio le sue mansioni, vuoi per ragioni istruttive rispetto all'altro operaio che lavorava con lui".
L'assunzione di farmaci, da parte della vittima, che possano aver determinato capogiri o perdita d'equilibrio, è, invece, circostanza prospettata dai ricorrenti, ma che, tuttavia, non è stata oggetto di alcun accertamento, anche in considerazione della sua irrilevanza, visto che i presidi di sicurezza, che sono stati omessi, avrebbero dovuto prevenire anche i rischi di eventuali malori.
La decisione non presenta, dunque, alcuna lacuna motivazionale e risulta conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, secondo cui: non sono riconducibili a caso fortuito gli incidenti sul lavoro determinati da colpa del lavoratore, poiché le prescrizioni poste a tutela dei lavoratori mirano a garantire l'incolumità degli stessi anche nell'ipotesi in cui, per stanchezza, imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, essi si siano venuti a trovare in situazione di particolare pericolo (Sez. 4, n. 4917 del 01/12/2009 Ud. - dep. 04/02/2010, Rv. 246643 - 01); il datore di lavoro (ma più in generale tutti i soggetti titolari di posizioni di garanzia nei confronti dei lavoratori, destinatari delle norme antinfortunistiche) sono esonerati da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 ud. - dep. 14/02/2018, Rv. 272222 - 01).
8. In ordine al motivo formulato dal solo S.A. e relativo alla mancata concessione del beneficio di cui all'art. 175 cod.pen., deve rilevarsi che la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale può essere concessa a chi abbia riportato una precedente condanna per la quale sia intervenuta pronuncia di riabilitazione, atteso che l'art.178 cod.pen. stabilisce che la riabilitazione, oltre alle pene accessorie, estingue ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti, e l'art.175, primo comma, cod. pen., non introduce alcuna deroga al riguardo (Sez. 3, n. 1623 del 28/10/2015 ud. - dep. 18/01/2016, Rv. 266348 - 01). Il motivo va, dunque, accolto e la sentenza annullata sul punto, con concessione del beneficio negato, direttamente in questa sede, ai sensi dell'art. 620 lett. I cod.proc.pen., atteso che, dalla sentenza di appello, si evince che il diniego è stato giustificato solo dall'esistenza del precedente penale per cui ormai è intervenuta la riabilitazione.
Per completezza occorre sottolineare che l'intervenuta riabilitazione è un'informazione concernente l'imputato e che la richiesta di notizie e informative concernenti gli imputati e l’acquisizione delle stesse al fascicolo processuale, unitamente al certificato di rito ed a quello del casellario giudiziale, non concretano l’esplicazione da parte del giudice di un'attività di carattere istruttorio, non concernendo l'assunzione delle prove del reato per cui si procede (Sez. 3, n. 8536 del 26/04/1974 ud.- dep. 15/11/1974, Rv. 128558 - 01). Del resto, come più volte affermato dalla Suprema Corte, il provvedimento giudiziario di riabilitazione va iscritto nel casellario (così Sez. 1, n. 45581 del 25/10/2012 cc. - dep. 21/11/2012, Rv. 254046 - 01; Sez. 3, n. 35708 del 04/07/2003 Cc. - dep. 04/09/2003, Rv. 225980 - 01), certificato che confluisce nel fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 431 lett. g cod.proc.pen. e di cui, anche in sede di legittimità, si può prendere visione, sicché la verifica della riabilitazione intervenuta prescinde dalla sentenza prodotta dal ricorrente.
9. All'esito dell'esame del ricorso del legale rappresentante della società appaltatrice e sub-committente, si può esaminare il ricorso del responsabile civile la Cogit s.p.a., che risulta infondato.
Per quanto concerne il primo motivo, con cui si denuncia l'inosservanza e erronea applicazione dell'art. 603 cod.proc.pen. ed il vizio di motivazione in ordine al mancato accoglimento dell'istanza di accertamento tecnico, può rinviarsi a quanto già esposto al punto 2 e ribadirsi la manifesta infondatezza di tale censura.
Relativamente al secondo motivo, con cui si è dedotta la violazione degli artt. 113 e 589 cod.pen., atteso che la responsabilità dell'evento letale è stata attribuita all'appaltatrice ed al suo legale rappresentante, nonostante si tratti della realizzazione di un rischio specifico della fase di lavorazione affidata alla sub-appaltatrice Cover Tech, di cui deve rispondere, dunque, unicamente quest'ultima, deve osservarsi che la Cogit s.p.a., che riveste la posizione di appaltatore nei confronti della GH. s.r.l., che le aveva commissionato la realizzazione di una struttura polifunzionale, costituita da cinema multisala, superfici commerciali, tavola calda, opere di sistemazione esterna, a sua volta, aveva affidato in sub-appalto la realizzazione dei lavori di impermeabilizzazione della multisala alla Cover Tech s.r.l., sicché nei confronti di quest'ultima la Cogit s.p.a. ha assunto la posizione di committente. In proposito va ricordato che l'esenzione del datore di lavoro committente (o sub-committente), ai sensi dell'art. 7, comma terzo, seconda parte, del d.lgs. n. 626 del 1994, dall'obbligo di cooperazione e di coordinamento con l'appaltatore (o sub-appaltatore) per l'attuazione delle misure di prevenzione dei rischi di infortunio sul lavoro, quando trattasi dei "rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi", opera esclusivamente con riguardo alle precauzioni dettate da regole richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale - generalmente mancante in chi opera in settori diversi - nella conoscenza delle procedure da adottarsi nelle singole lavorazioni o nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (Sez. 4, n. 31296 del 17/05/2005 ud. - dep. 19/08/2005, Rv. 231658 - 01). Più recentemente Sez. 3, n. 12228 del 25/02/2015 ud. - dep. 24/03/2015, Rv. 262757 - 01 ha precisato che, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine, escludendo che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio (v. anche Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008 ud. - dep. 20/03/2008, Rv. 239252 - 01, che ha affermato lo stesso principio in una fattispecie in cui è stata affermata la responsabilità del committente per la mancata predisposizione nel cantiere, in cui era stato chiamato a prestare la propria attività il lavoratore autonomo infortunatosi, di un parapetto idoneo ad evitare cadute a chi operava in altezza). Risulta, dunque, corretta, nel caso di specie, la qualificazione del rischio di caduta dall'alto come generico e non specifico, in quanto relativo alla realizzazione delle opere di copertura del fabbricato, a prescindere dalle specifiche procedure di lavorazione da adottare e da particolari competenze tecniche.
Va, inoltre, sottolineato che il ricorso omette di confrontarsi con le argomentazioni specifiche su cui è stata fondata la responsabilità del legale rappresentante della Cogit s.p.a., che vanno desunte non solo dalla sentenza impugnata, ma anche da quella di primo grado, trattandosi di doppia conforme. In primo luogo deve ricordarsi che i giudici di merito hanno affermato un'ingerenza della società appaltatrice nelle attività dell'appaltatrice, il cui dipendente è deceduto, sottolineando che gli operai della sub- appaltatrice si interfacciavano con il capo-cantiere nominato dalla società appaltatrice. A ciò si aggiunga che il giudice di primo grado si è specificamente soffermato sui compiti di coordinamento e cooperazione nell'attuazione delle misure di prevenzione e sicurezza da parte di tutte le ditte sub-appaltatrici, che incombevano su F.P., quale legale rappresentante della Cogit s.p.a., e sulla rilevanza causale di tali inadempimenti
nella causazione del sinistro, essendo derivato l'evento letale dalla mancata adozione di dispositivi di sicurezza idonei a prevenire la caduta dal lucernaio (sottopalco, pali a cui collegare le funi e le cinture di sicurezza) e presumibilmente anche dall'interferenza tra le varie maestranze presenti sul cantiere, con rimozione della copertura mobile del lucernaio.
10.11 ricorso proposto da R.P., che, quale legale rappresentante della Cover Tech s.r.l., è il datore di lavoro di C.P., non può trovare accoglimento.
Con la censura proposta il ricorrente lamenta il vizio motivazionale ed il travisamento della prova, non essendo stata valutata la situazione effettiva, in cui egli rivestiva una situazione meramente formale, mentre i soggetti che si sono occupati del cantiere sono il socio A.M. e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione S.R., titolare di una vera e propria delega di funzioni.
Invero, in materia di infortuni sul lavoro, la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, atteso che tale soggetto svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale (Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017 ud. - dep. 19/05/2017, Rv. 270286 - 01) e l'onere della prova circa l'avvenuto conferimento della delega di funzioni - e del conseguente trasferimento ad altri soggetti degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro - grava su chi l'allega, trattandosi di una causa di esclusione di responsabilità (Sez. 3, n. 14352 del 10/01/2018 ud. - dep. 28/03/2018, Rv. 272318 - 01). Alla luce di tali principi, richiamati e correttamente applicati dai giudici di merito, le deduzioni difensive del ricorrente sono del tutto inidonee a scalfire la logicità e coerenza della valutazione espressa dalla Corte di appello, che si fonda sulla circostanza che R.P. era non solo il legale rappresentante della Cover Tech s.r.l., ma anche formalmente il capo cantiere della società e che non ha fornito alcuna prova di aver delegato a S.R. gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti su di lui (v. anche sentenza di primo grado, p. 17, "al di là di quanto affermato da R.P., egli rivestiva non solo la figura del datore di lavoro, ma anche formalmente quella del direttore di cantiere, anche se di fatto, in cantiere non si recava mai") - ad esempio, non ha dedotto e dimostrato le rilevanti dimensioni dell'impresa, che avrebbero imposto la ripartizione delle funzioni, a prescindere dalla delega formale (così, tra le altre, Sez. 4, n. 11358 del 06/10/2005 ud. - dep. 31/03/2006, Rv. 233660 - 01, secondo cui, in materia di violazione della normativa antinfortunistica, soltanto ove sia interessata una impresa di grandi dimensioni, in cui la ripartizione delle funzioni è imposta dall'organizzazione aziendale, occorre accertare, ai fini dell'individuazione della persona responsabile, l'effettiva situazione delle posizioni di vertice per individuare i soggetti cui i compiti di prevenzione sono concretamente affidati con la predisposizione e l'attribuzione dei correlativi e necessari poteri per adempierli).
11. Il ricorso di L.S., responsabile di lavori per conto della committente GH. s.r.l., non merita accoglimento.
Il primo motivo è destituito di fondamento, atteso che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (principio confermato da Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 ud. - dep. 19/08/2014, Rv. 260161 - 01, in una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori).
Parimenti non possono essere accolti il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente.
In proposito occorre premettere che, in tema di infortuni sul lavoro, da un lato, la nomina del coordinatore per la progettazione o per l'esecuzione dei lavori non esonera il committente ed il responsabile dei lavori da responsabilità per la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi, nonché dalla vigilanza sul coordinatore medesimo in ordine all'effettivo svolgimento dell'attività di coordinamento e controllo sull'osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e, dall'altro, con la nomina del coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva, viene trasferita a tale soggetto lo svolgimento di una funzione tecnica di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non il puntuale e continuo controllo su di esse (demandato ad altre figure operative come il datore di lavoro, il dirigente o il preposto), mentre il committente (o in sua vece il responsabile dei lavori) rimane titolare di una posizione di garanzia limitata alla verifica che il tecnico nominato adempia al suo compito (Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013 ud. - dep. 13/09/2013, Rv. 256636 - 01). Tale impostazione trova il suo fondamento letterale, nella disciplina applicabile al caso di specie, nell'art. 6 della l. n. 494 del 1996, ai sensi del quale la designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 4, comma 1, e 5, comma 1, lettera a) - art. 4, comma 1, che stabilisce che "durante la progettazione esecutiva dell'opera, e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione: a) redige o fa redigere il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 12 e il piano generale di sicurezza di cui all'articolo 13;
b) predispone un fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell'allegato II al documento U.E. 260/5/93; art. 5, comma 1, lett. a, che stabilisce che "durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori provvede a: a) verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro". In conclusione, la posizione di garanzia del committente e del responsabile dei lavori è sicuramente ampia, comprendente l'esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, ma, comunque, agli stessi non competono direttamente i compiti del coordinatore nominato, ma spetta, invece, accertate che egli adempia agli obblighi su di lui incombenti - così Sez. 4, n. 14012 del 12/02/2015 ud. - dep. 02/04/2015, Rv. 263014 - 01, in una fattispecie in cui ha affermato la responsabilità per le lesioni gravissime occorse al lavoratore in capo aN'amministratore unico della società appaltante per non aver verificato l'adeguatezza sia del piano generale di sicurezza e coordinamento sia del piano operativo di sicurezza.
Alla luce di tali principi, la decisione dei giudici di merito, che hanno evidenziato la carente vigilanza del responsabile dei lavori L.S. sull'operato del coordinatore per la sicurezza N.L., risulta immune da censure, tenuto conto, peraltro, della circostanza che l'evento letale si è verificato in conseguenza di carenze strutturali del cantiere (assenza di sottopalchi che neutralizzassero il rischio derivante dalla possibile rimozione delle coperture dei lucernai e più in generale il rischio interferenziale; assenza di pali a cui collegare le cinture di sicurezza): carenze che erano percepibili dal responsabile dei lavori "ictu oculi" ed anche a prescindere dalla sua presenza giornaliera sul luogo di lavoro. La vigilanza sull'operato del coordinatore per la sicurezza, ove correttamente espletata, tramite lo svolgimento di riunioni, la richiesta di informazioni e qualche sopralluogo sul cantiere, avrebbe fatto emergere le deficienze del cantiere e consentito, pertanto, di porre rimedio a quella situazione di generale pericolosità, in conseguenza della quale si è verificato l'evento letale.
Né la ricostruzione dei fatti, avvenuta alla luce del complessivo esame di tutti gli elementi istruttori raccolti, presenta alcuna lacuna, manifesta illogicità o contraddittorietà.
Parimenti deve rigettarsi il quinto motivo, in quanto, in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell'acquisizione probatoria, nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 ud. - dep. 12/03/2014, Rv. 259893 - 01), come appunto avvenuto nel caso di specie.
Il sesto motivo è destituito di fondamento, atteso che, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, per il carattere globale del giudizio, il giudice di merito non è tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa (Sez. 7, n. 11210 del 20/10/2017 Cc., dep. 13/03/2018, Rv. 272460 - 01) - circostanze che non possono esaurirsi in quelle stesse che hanno giustificato la concessione delle attenuanti. Del resto, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017 ud. - dep. 26/06/2017, Rv. 270450 - 01).
12. Per quanto concerne il ricorso della GH. s.r.l., il primo motivo è infondato in quanto, in tema di infortuni sul lavoro, il committente dei lavori, sul quale incombe il dovere di vigilanza sull'operato del coordinatore per la sicurezza nominato, è civilmente responsabile per le violazioni commesse da quest'ultimo ed è, pertanto, tenuto al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite in giudizio (Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015 ud. - dep. 26/11/2015, Rv. 265663 - 01). D'altronde, negli orientamenti della giurisprudenza civile di legittimità, è pacifico che, in tema di responsabilità dei padroni e dei committenti ai sensi dell'art. 2049 c.c., il soggetto che, nell'espletamento della propria attività, si avvale dell'opera di terzi assume il rischio connaturato alla loro utilizzazione e, pertanto, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, ancorché non siano alle proprie dipendenze (Sez. civ. 3 n. 25373 del 12/10/2018 -Rv. 651162 - 01).
Relativamente alla seconda censura occorre premettere nei procedimenti per reati colposi il giudice, qualora ritenga un concorso di colpa da parte della vittima, ha l'obbligo di determinarne l'entità non solo al fine d'una corretta commisurazione della pena, ma anche allo scopo d'indicare, stante la costituzione di parte civile, la misura entro la quale risulta dovuto il risarcimento del danno (Sez. 4, n. 4019 del 15/01/1974 ud. - dep. 05/06/1974, Rv. 127099 - 01; nello stesso senso, anche se con riferimento ai reati colposi conseguenti alla circolazione stradale, Sez. 4, n. 38559 del 27/06/2017 ud. - dep. 02/08/2017, Rv. 271024 - 01, secondo cui il giudice del merito deve procedere all'accertamento e alla graduazione delle colpe concorrenti dell'autore del reato e della persona offesa, sia ai fini della determinazione della pena da applicare, ex art. 133 cod. pen., sia perché la misura del concorso di colpa della vittima nella causazione del danno incide sulla quantificazione del risarcimento). Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente non si è lamentato della mancata quantificazione dell'entità della colpa della vittima: doglianza che, peraltro, non essendo stata formulata in appello, non avrebbe potuto essere denunciata in sede di legittimità, trattandosi di questione ormai rimessa al giudice civile al fine della liquidazione del danno. Invero, la GH. s.r.l. ha piuttosto prospettato un'esclusione, da parte del giudice di secondo grado, del concorso colposo della vittima. In proposito deve ricordarsi che a p. 25 della sentenza di primo grado si è affermato che la responsabilità degli imputati "non può essere esclusa in relazione all'imprudenza mostrata dal lavoratore deceduto, il quale, nonostante la presenza di vento forte e l'altezza del lastrico solare, svolgeva l'attività lavorativa senza alcun dispositivo individuale di sicurezza (a parte il casco) idoneo a escludere il rischio caduta e, nonostante la presenza .... di un lucernaio aperto, vi si avvicinava tanto da cadere". Vi è, dunque, un esplicito riconoscimento di una condotta colposa della vittima rilevante nella causazione dell'infortunio. Nella sentenza di secondo grado, invece, si legge che "un'eventuale (non provata ma possibile) rilevanza causale nella verificazione del sinistro letale del comportamento imprudente della vittima non escluderebbe la responsabilità dei soggetti chiamati a rispondere del fatto" (v. sentenza di appello, fine p. 9 e inizio p. 10). Invero, il giudice di secondo grado non ha affatto escluso il concorso colposo della vittima, ma semplicemente se ne è disinteressato, trattandosi di una problematica non rilevante ai fini della decisione. Né, con la sua decisione, in assenza di una specifica impugnazione delle parti civili, avrebbe potuto rivedere la diversa affermazione del giudice di primo grado, violando il divieto di reformatio in peius. Il motivo de quo non può, dunque, essere accolto, restando fermo il riconoscimento del concorso colposo della vittima nella causazione dell'infortunio, avvenuto da parte del giudice di primo grado, ed essendo ormai rimessa la esatta quantificazione delle colpe al giudice civile in sede di liquidazione del danno.
Infine, l'ultima doglianza va respinta, rispondendo la GH. s.r.l., nella sua qualità di committente, in conseguenza dell'illecito del responsabile dei lavori e del coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva dalla stessa nominato, della cui opera si è avvalsa.
13. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla posizione di S.A. con esclusivo riferimento alla mancata concessione del beneficio di cui all'art. 175 cod.pen., che può essere disposto in questa sede ai sensi dell'art. 620 lett. I cod.proc.pen. Gli altri motivi di ricorso di S.A. vanno, invece, rigettati. I ricorsi degli imputati F.P., F.P., N.L., L.S., R.P. e dei responsabili civili Cogit s.p.a. e GH. s.r.l. devono essere integralmente rigettati e tali ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione nei confronti di S.A. , beneficio che dispone; rigetta nel resto il ricorso del medesimo.
Rigetta i ricorsi di F.P. , F.P. , N.L. , L.S., R.P. , GH. s.r.l. e Cogit s.p.a. e condanna tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso 6 febbraio 2019.

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Dispositivi anticaduta: procedura uso e verifica

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Cover Dispositivi anticaduta

Dispositivi anticaduta: procedura per l'uso e la verifica

Il presente documento, elaborato sullo standard BS 8437:2005 - Code of practice for selection, use and maintenance of personal fall protection systems and equipment for use in the workplace, illustra, anche con il supporto di immagini, l'uso in sicurezza dei sistemi di protezione anticaduta (edizione in vigore BS 8437:2005+A1:2012) .

In allegato Modello di ispezione imbracature Rev. 00 2018 [doc]

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I dispositivi anticaduta sono necessari dove esiste il rischio di caduta dall’alto.

Permettono all’utilizzatore il raggiungimento di una determinata area ma ne impediscono l’accesso alle zone considerate pericolose. Sono generalmente costituiti da una corda, una linea di ancoraggio, una imbracatura il cui utilizzo e le cui caratteristiche dipendo dalla area di lavoro.

Il presente documento è elaborato sullo standard BS 8437:2005 - Code of practice for selection, use and maintenance of personal fall protection systems and equipment for use in the workplace.

Traduzione IT non ufficilale

...

Articolo 77 TUS

art  115 TUS

Un sistema anticaduta completo è costituito da:

a. imbracatura;
b. punto di ancoraggio;
c. corda per l’ancoraggio;
d. dispositivi per la connessione, tramite la corda, dell’imbracatura al punto di ancoraggio.

Un sistema anticaduta collega fisicamente l’utente alla struttura del luogo di lavoro tramite una serie di componenti che arrestano la caduta libera dell’utente stesso applicando una forza di arresto.

La caduta è costituita da quattro fasi:

a. inizio della caduta;
b. caduta;
c. arresto;
d. sospensione dopo l’arresto.

Le lesioni possono verificarsi durante le seguenti fasi:

a. durante la caduta;
b. durante l’arresto della caduta;
c. durante la fase di sospensione.

5

Figura 1 - Cordino troppo lungo; l'utilizzatore cade oltre il limite

È, quindi, essenziale scegliere un sistema anticaduta idoneo alla lavorazione da eseguire.

Esistono quattro principali sistemi anticaduta:

a. sistemi basti su uno o più cordini che assorbono energia;
b. sistemi basati su sistema anticaduta retrattile;
c. sistemi basati su una linea di ancoraggio verticale e un dispositivo anticaduta di tipo guidato, che include sistemi con una linea di ancoraggio rigida e sistemi con una linea di ancoraggio flessibile;
d. sistemi basati su una linea di ancoraggio orizzontale con un o più dispositivi che permettono di muoversi lungo la linea stessa.

18

 Fig 16 - Illustrazione dei pericoli del collegamento di cordini ad assorbimento di energia in serie per aumentare la lunghezza complessiva

Legenda

1. Punto di ancoraggio;
2. Tre cordini con assorbitore di energia collegati in serie.

I dispositivi anticaduta sono dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) e come tali devono essere gestiti dal Datore di Lavoro in accordo al TITOLO III, CAPO II, Articolo 77 del D.Lgs. 81/08.

Vedi



Imbracature di sicurezza per il corpo: Norme, Requisiti e Registro di controllo

Documento sulle imbracature di sicurezza di cui alla norma UNI EN 361:2003 suddiviso in 3 parti:

A. Imbracature per il corpo (UNI EN 361:2003)
B. Scheda di controllo (UNI EN 365:2005)
C. Legislazione

Allegato Registro di verifica annuale imbracature di sicurezza. 

Vedi Documento Ed. 2021

________

Fonti:
BS 8437:2005
D.Lgs. 81/08

BS 8437:2005+A1:2012 (edizione in vigore data notizia)
Code of practice for selection, use and maintenance of personal fall protection systems and equipment for use in the workplace
https://shop.bsigroup.com/ProductDetail?pid=000000000030247884

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Nota INL n. 1438 del 14 febbraio 2019 | Orario di lavoro notturno

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Nota INL n  1438 del 14 febbraio 2019

Nota INL n. 1438 del 14 febbraio 2019 | Orario di lavoro notturno

Nota 1438 del 14 febbraio 2019, richiesta di parere in ordine ai limiti dell’orario di lavoro notturno ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 8 aprile 2003 n.66. - periodo di riferimento sul quale calcolare come media il suddetto limite (data pubblicazione 15 febbraio 2019).

Oggetto: richiesta di parere in ordine ai limiti dell’orario di lavoro notturno ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 8 aprile 2003 n.66. – periodo di riferimento sul quale calcolare come media il suddetto limite.

In relazione alla richiesta di cui all’oggetto formulata dall’ITL di Biella-Vercelli e pervenuta per il tramite dell’IIL di Milano con nota prot. n. 11834 del 27 novembre u.s. - sulla base dell’orientamento acquisito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali - si rappresenta quanto segue.

Il presente quesito ha ad oggetto la corretta modalità di individuazione dell’arco temporale di riferimento su cui calcolare il rispetto del limite della media di ore notturne lavorate che, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 66/2003, è pari ad otto ore nelle ventiquattro. Come noto, la norma prevede che “l'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite”. La norma nulla dice in ordine al parametro temporale in relazione al quale effettuare la media oraria del lavoro notturno.

Sul punto è, invece, intervenuto il Ministero del lavoro con la circolare n. 8 del 2005 precisando “tale limite costituisce, data la sua formulazione, una media fra ore lavorate e non lavorate pari ad 1/3 (8/24) che, in mancanza di una esplicita previsione normativa, può essere applicato su di un periodo di riferimento pari alla settimana lavorativa – salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo più ampio sul quale calcolare detto limite – considerato che il legislatore ha in più occasioni adoperato l’arco settimanale quale parametro per la quantificazione della durata della prestazione (vedi ad esempio gli articoli 3 e 4 del D.Lgs. 8 aprile 2003 n.66. in materia di orario normale di lavoro e orario medio)”.

In relazione al parametro della settimana lavorativa, l’Ispettorato territoriale di Biella chiede se lo stesso debba essere riferito all’articolazione dell’orario settimanale del singolo lavoratore (che può quindi essere organizzato su 5 o su 6 giorni di lavoro alla settimana), oppure debba essere inteso in termini astratti (e quindi sempre riferito a n. 6 giorni di lavoro). Dalla soluzione del quesito posto discendono evidenti conseguenze sul calcolo della media e quindi sulla verifica del rispetto del limite all’orario di lavoro notturno.

Nel caso in cui la settimana lavorativa di 40 ore sia articolata su cinque giorni non sarà infatti consentito al personale impegnato in lavoro notturno svolgere lavoro straordinario, poiché la media oraria giornaliera delle otto ore sarebbe già raggiunta con il completamento dell’ordinario orario di lavoro (40:5=8). In caso contrario, si determinerebbe la violazione del divieto di cui all’art. 13 del D.Lgs. 8 aprile 2003 n.66..

Nel caso, invece, di una settimana articolata su 6 giornate di lavoro, il lavoratore notturno potrebbe effettuare lavoro straordinario sino al limite delle 48 ore settimanali in quanto, in questo caso, la media giornaliera sarebbe rispettosa del limite legale (48:6=8).

A parere dello Scrivente e sulla base dell’orientamento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, interessato sul punto, la “settimana lavorativa”, in assenza di una definizione normativa o contrattuale, può essere individuata nell’astratto periodo di 6 giorni (nel caso prestazione lavorativa su 5 giorni pertanto il sesto giorno è da considerarsi giornata di lavoro a zero ore) e cioè nell’arco temporale settimanale al “netto” del giorno obbligatorio di riposo previsto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 66/2003.

Tale soluzione, che prescinde quindi da una valutazione caso per caso legata al singolo orario di lavoro del dipendente, consente una applicazione più uniforme della disciplina in materia di lavoro notturno, tenendo in debito conto il fatto che il lavoratore abitualmente impiegato su 5 giorni a settimana avrebbe comunque due giorni per il recupero delle proprie energie psicofisiche.

Fonte: INL

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D.Lgs 16 luglio 2012 n. 109

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D.Lgs 16 luglio 2012 n. 109 

Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare.

(GU n.172 del 25-07-2012)

Entrata in vigore del provvedimento: 09/08/2012

Aggiornamento atto:

28/06/2013
DECRETO-LEGGE 28 giugno 2013, n. 76 (in G.U. 28/06/2013, n.150), convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 99 (in G.U. 22/08/2013, n. 196)

28/01/2016
DECRETO LEGISLATIVO 22 gennaio 2016, n. 10 (in G.U. 28/01/2016, n.22)

 

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 5900 | 07 Febbraio 2019

ID 7783 | | Visite: 4071 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Presenza di un piano rialzato di lavoro privo di parapetto. Nozione di luogo di lavoro

Penale Sent. Sez. 4 Num. 5900 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 17/01/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente N.D., sul gravame proposto dallo stesso, con sentenza del 23/3/2018, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia il 30/6/2016, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, ne rideterminava la pena in mesi due di reclusione, confermando nel resto la sentenza con cui ne era stata riconosciuta la penale responsabilità, quale datore di lavoro e legale rappresentante della ISS Palumbo s.r.l., per il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590 co. 2 in relazione all'art. 63 c. 1 e 64 c. 1 D.Lvo 81/08 in riferimento all'allegato IV punto 1.7.3.) in danno del dipendente F.M., commesso in Pistoia il 5/7/2013.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il N.D., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale in punto di affermazione di responsabilità.
Il ricorrente evidenzia che profilo di colpa specifica contestato come nesso causale per il reato di cui all'art 590 cod. pen. è rappresentato, secondo i due precedenti gradi di giudizio, dalla violazione degli art 63 e 64 del D.lgs. 81/08, in riferimento all'allegato 4 punto 1.73. in quanto l'odierno ricorrente non avrebbe dotato di parapetto o altre difese il luogo di lavoro in cui si trovava ad operare il F.M. al momento dell'infortunio.
L'infortunio - prosegue il ricorso- è avvenuto su di un piano costruito appositamente in posizione sopraelevata al fine di permettere ai camion di scaricare dai pianali agevolmente con i mezzi meccanici (muletti o transpallets manuali).
Nel caso di specie la parte offesa si trovava all'interno del piano di caricamento lontano dal bordo delimitante il dislivello, quando inciampando si è portato sul bordo ed è caduto nel livello inferiore riportando le lesioni per cui è processo.
Ebbene, il ricorrente ritiene che l'individuazione del piano sopraelevato come piano di lavoro non corrisponda al vero, in quanto per stessa ammissione degli organi di vigilanza intervenuti quel piano sopraelevato era stato funzionalmente costruito da B. per il carico e lo scarico delle merci all'interno del magazzino ed era destinato funzionalmente a quella tipologia di lavoro.
Si ricorda in ricorso che l'art 63 del Dlgs. 81/08 comma recita: "i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’allegato IV": E l'art 64 del medesimo decreto, al comma 1) punto a) prevede a sua volta che : "Il datore di lavoro provvede affinché: a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'art 63 commi 1,2,3".
Nel caso che ci occupa pertanto, secondo il ricorrente, la norma su cui dovrà essere incentrata l'attenzione ai fini della sua corretta applicazione è quella di cui all'allegato IV punto 1.7.3. che espressamente riporta: "Le impalcature, le passerelle, i ripiani, le rampe di accesso, i balconi ed i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti su tutti lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti. Tale protezione non è richiesta per i piani di caricamento di altezza inferiore a m. 2,00".
Ebbene il ricorrente lamenta che cade in errore la Corte di Appello nella parte motiva della sentenza laddove classifica il luogo da cui è caduto il F.M. come posto di lavoro sulla semplice asserzione che in quel luogo il F.M. stava facendo un lavoro diverso dal caricamento. Se così fosse anche gli interni dei rimorchi dei camion potrebbero essere definiti luoghi di lavoro e pertanto dotati di parapetti contro le cadute dall'alto. Ergo ciò impedirebbe di utilizzare i mezzi secondo la loro destinazione naturale.
Quindi l'interpretazione della Corte territoriale non avrebbe minimamente tenuto conto della destinazione naturale di quel luogo di lavoro, destinazione che non può essere modificata per il semplice fatto che qualcuno, errando si sia recato in quel luogo ad effettuare operazioni non proprie del luogo. Infatti laddove si ritenesse il piano in cui è avvenuto l'infortunio un posto di lavoro e non un piano di caricamento, i giudicanti avrebbero dovuto in primis dimostrare che quel piano di caricamento in realtà veniva utilizzato come posto di lavoro e che non venivano in alcun modo sul bordo caricate le merci. L'istruttoria dibattimentale, ha invece provato che in quel luogo venivano caricate le merci e che pertanto quello, indipendentemente dalle operazioni effettuate dal F.M., era un piano di caricamento, per necessità di utilizzo privo di parapetti cosi come stabilito dal punto 1.7.3 dell'allegato IV.
Con un secondo motivo ed un terzo motivo il difensore ricorrente deduce, sotto il duplice profilo dell'inosservanza delle norme processuali di cui agli artt.521, 522 cod. proc. pen. e del vizio motivazionale, che la sentenza di appello avrebbe condannato per il reato di lesioni colpose l’imputato, ritenendolo responsabile della violazione di altro profilo di colpa specifica mai contestato all'imputato e non riconducibile ai profili di colpa specifica ex art 63, 64 D.lgs. 81/08.
Evidenzia, infatti, che la Corte territoriale, nella parte motiva della sentenza, conferma che quel piano su cui stazionava il F.M. era senza dubbio addetto al carico delle merci, ma, essendo adibito anche ad altre operazioni, imputerebbe all'odierno imputato un profilo di colpa specifico diverso rispetto a quello richiamato nel capo di imputazione, laddove afferma che" le difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre la parte datoriale ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi più appropriati".
Secondo la Corte di appello -sottolinea il ricorrente- il datore di lavoro non sarebbe incorso nella violazione delle norme contravvenzionali richiamate nel capo di imputazione ma avrebbe dovuto organizzare il lavoro in maniera diversa evitando di fare in quel luogo altre operazioni di imballaggio. Quindi l'odierno imputato, al fine di evitare il verificarsi dell'infortunio non avrebbe violato le norme di cui agli artt. 63 e 64 DLgs. 81/08, ma avrebbe violato le regole imposte dall'art 18 del D.lgs. 81/08.
Tale violazione - si legge in ricorso- non è mai stata contestata all'odierno ricorrente, il quale correttamente nei precedenti gradi di giudizio si è difeso ravvisando che quel piano era un piano di caricamento e che come tale non poteva essere dotato di parapetti come esplicitamente previsto dalla norma
La Corte fiorentina, in altri termini, avrebbe violato le norme processuali cosi come stabilito dagli art 521, 522 cod. proc. pen. in quanto avrebbe previsto un profilo di colpa specifica diverso rispetto a quello contestato nel precedente grado di giudizio, ponendo come presupposto alla realizzazione del reato di cui all'art 590 una fattispecie contravvenzionale diversa rispetto a quella invece richiamata nel procedimento di primo grado
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delie doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta, secondo cui il datore di lavoro non aveva alcun obbligo di predisposizione dei parapetti in quanto il sito ove è avvenuto l'infortunio non era una postazione di lavoro, bensì un piano di caricamento asservito alla movimentazione delle merci.
L'odierno ricorrente, in sede di gravame del merito, aveva posto l'accento sul fatto che il teste M. avesse puntualizzato come le merci venivano caricate sul piano direttamente dai camion e quindi smistate verso l’interno; infatti al di là del piano vi erano gli uffici. E aveva sostenuto che una conferma di ciò si ricava anche dalla circostanza che la ASL, dopo l’infortunio, ha acconsentito all’adozione delle catenelle amovibili che non rappresentano un presidio contro il rischio di caduta servendo solo a delimitare l’area. Dunque, trattandosi di piano di caricamento, secondo la tesi difensiva non erano apponibili parapetti che ne avrebbero inibita l’utilizzo. Infatti, il punto 1.7.3 dell’allegato IV del D.Lvo 81/2008 esclude l’obbligo di parapetti o altre protezioni per i piani di caricamento inferiori ai 2 mt. di altezza. Il piano ove è avvenuto l'infortunio del F.M. - era stato dedotto- è operativo da oltre 20 anni e nessun rilievo il personale della USL ha mai sollevato durante le varie ispezioni e controlli che si sono succeduti.
3. La Corte territoriale, tuttavia, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, aveva già confutato tali tesi.
La vicenda che ci occupa- ricorda la sentenza impugnata- si verificava il 5 luglio 2013 all'interno dello Stabilimento B. di Pistoia, oggi Hitachi Rail Italy, dove la società Palumbo svolgeva attività di logistica nei magazzini di proprietà della committente.
L'infortunio del F.M. ebbe a realizzarsi in un magazzino di proprietà della committente dove, per favorire lo scarico delle merci era presente un piano di caricamento sopraelevato di circa 110 cm rispetto al piano di lavoro, piano rialzato denominato anche "ribalta" in virtù della sua funzione di asservimento alla movimentazione delle merci. Sul tale piano rialzato il personale effettuava operazioni di caricamento e la differenza in altezza era necessaria per agevolare le operazioni di carico da e per i camion che venivano a caricare/scaricare il materiale.
Il F.M. si trovava all'interno del piano di caricamento (ossia la ribalta) quando inciampava e nel tentativo di riprendersi cadeva rovinosamente dal dislivello riportando lesioni, consistite in fratture costali multiple, frattura della colonna anteriore dell'acetabolo dx, frattura del polso destro, che avevano determinato uno stato di malattia per 119 giorni.
Il profilo di colpa contestato al N.D. è quello di non avere provveduto, in violazione degli artt. 63 e 64 D.lvo 81/2008, a dotare di parapetti o altre difese il posto di lavoro sopraelevato rappresentato dal suddetto piano rialzato nel quale venivano solitamente compiute operazioni di carico e scarico di materiale.
Ebbene, come ricordano i giudici del gravame del merito, nel corso del dibattimento la dinamica del sinistro è stata ricostruita sulla base delle dichiarazioni di testi ed in particolare della persona offesa. Il F.M. si trovava in ginocchio sul piano rialzato per mettere una "reggetta" ossia del nastro per legare un carico appoggiato su detto piano, nel mentre stava per alzarsi in piedi ha inciampato nel coperchio di una cassa appoggiato lì vicino cadendo al piano sottostante e procurandosi così le lesioni descritte.
La sentenza impugnata dà atto che sono stati sentiti anche i tecnici del servizio di prevenzione della ASL i quali hanno riferito di avere effettuato un sopralluogo solo nel gennaio dell'anno successivo constatando che il piano rialzato era privo di protezioni atte ad impedire la caduta in basso, di avere quindi impartito la prescrizione di installare un parapetto ovvero eliminare il piano rialzato. E che altri testi hanno descritto come si svolgeva l'attività lavorativa: le merci venivano caricate sul piano rialzato con mezzi meccanici e poi processate per le varie destinazioni.
A seguito dell'infortunio - si legge ancora nella sentenza impugnata- la ditta appose, in adempimento delle prescrizioni, temporaneamente, un parapetto consistente in una catenella all'interno del perimetro a circa un metro e mezzo dal bordo, successivamente la B. eliminò il piano rialzato.
Ebbene, già il giudice di primo grado ritenuto la colpevolezza dell'imputato osservando come fosse del tutto evidente che se vi fossero state delle adeguate protezioni ovvero fossero state date ai lavoratori adeguate indicazioni circa la distanza da tenere dal bordo l'evento non si sarebbe verificato.
Come ricordano i giudici del gravame del merito, già dalla descrizione della dinamica del sinistro offerta dalla parte offesa, non contestata dalla difesa, si evince che il F.M., allorché inciampò nel coperchio di una cassa e cadde al di sotto del piano su cui stava operando, era intento a compiere operazione di imballaggio di merce, ergo stava compiendo una operazione lavorativa diversa da quella del semplice carico o scarico ma semmai preliminare ad essi.
La sentenza impugnata dà anche atto: 1. che il teste C. della ASL ha dichiarato di avere osservato il piano in questione nel corso del suo sopraluogo rilevando che esso era utilizzato sia per il deposito che per compiere altre operazioni in quanto su di esso erano presenti dei macchinari; 2. che il teste Ba. ha riferito che il piano in questione, oltre ad essere utilizzato normalmente come passaggio per accedere agli uffici posti al suo margine interno era normalmente utilizzato per eseguire l'imballaggio delle merci.
Logica appare essere stata la conclusione, in virtù delle sopra richiamate univoche risultanze che il piano rialzato in esame fosse anche un luogo di lavoro e come tale non era dotato di provvidenze atte a contrastare il pericolo di caduta, e che la difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi appropriati.
Né il richiamo ai più generici doveri in capo al datore di lavoro di cui all'art. 18 d.lgs. 81/08 porta -come lamenta il ricorrente- ad una modifica sostanziale dell'editto accusatorio.
4. Non va trascurato, in proposito, infatti, che questa Corte di legittimità ha in più occasioni sottolineato come in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (così Sez. 4, n. 51516 del 21/6/2013, Miniscalco ed altro, Rv. 257902 in relazione ad una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; conf. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161 in un caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; Sez. 4, n. 18390 del 15/2/2018, Di Landa, Rv. 273265 in una fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2019

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Decreto Ministero dell'Interno 10 maggio 2018

ID 6151 | | Visite: 16130 | Prevenzione Incendi

Decreto 10 maggio 2018

Periodo Transitorio RT Serbatoi mobili carburante categoria C

Decreto Ministero dell'Interno 10 maggio 2018

Disposizioni transitorie in materia di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di contenitori-distributori, ad uso privato, per l’erogazione di carburante liquido di categoria C.

GU Serie generale n. 113 del 17.05.2018

Entrata in vigore: 18.05.2018

...

Attesa l' esigenza di adottare una norma transitoria che consenta un più graduale passaggio alla nuova regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di contenitori-distributori, ad uso privato, per l’erogazione di carburante liquido di categoria C

Art. 1. Norma transitoria

1. La commercializzazione e l’installazione dei contenitori- distributori di tipo approvato conformi alle specifiche tecniche contenute nel decreto del Ministro dell’interno del 19 marzo 1990 recante «Norme per il rifornimento di carburanti, a mezzo di contenitori-distributori mobili, per macchine in uso presso aziende agricole, cave e cantieri » e nel decreto del Ministro dell’interno del 12 settembre 2003 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di depositi di gasolio per autotrazione ad uso privato, di capacità geometrica non superiore a 9 m3 , in contenitoridistributori rimovibili per il rifornimento di automezzi destinati all’attività di autotrasporto», è consentita per un periodo non superiore a nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica ai contenitori- distributori prodotti prima dell’entrata in vigore del decreto del Ministro dell’interno del 22 novembre 2017.

...

Schema - Periodo transitorio DM 10.05.2018

Periodo transitorio

______

Decreto 22 novembre 2017 Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di contenitori-distributori, ad uso privato, per l’erogazione di carburante liquido di categoria C. (GU n. 285 del 06.12.2017)

Entrato in vigore il 05 Gennaio 2018

Art. 6. Disposizioni finali decreto del Ministro dell’interno del 22 novembre 2017

1. Sono abrogate le seguenti disposizioni di prevenzione incendi:
a) decreto del Ministro dell’interno del 19 marzo 1990 recante «Norme per il rifornimento di carburanti, a mezzo di contenitori-distributori mobili, per macchine in uso presso aziende agricole, cave e cantieri»;
b) decreto del Ministro dell’interno del 12 settembre 2003 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di depositi di gasolio per autotrazione ad uso privato, di capacità geometrica non superiore a 9 m3, in contenitori-distributori rimovibili per il rifornimento di automezzi destinati all’attività di autotrasporto»;
c) art. 5, comma 4 del decreto del Ministro dell’interno del 27 gennaio 2006 recante «Requisiti degli apparecchi, sistemi di protezione e dispositivi utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva, ai sensi della direttiva n. 94/9/CE, presenti nelle attività soggette ai controlli
antincendio»;
2. Il presente decreto entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

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Salute e sicurezza - Attuazione del Patto della fabbrica

ID 7772 | | Visite: 3397 | Documenti Sicurezza Enti

Patto per la fabbrica 2018

Salute e sicurezza - Attuazione del Patto della fabbrica

Il 12 dicembre 2018 è stato sottoscritto tra Confindustria, Cgil, Cisl, Uil un primo accordo di attuazione del Patto per la Fabbrica in materia di salute e sicurezza e rappresentanza sui luoghi di lavoro.

L’intesa sulla sicurezza è importante perché mette al centro dell’iniziativa delle Parti la piena valorizzazione dei principi qualificanti del DLGS 81 del 2008 sui temi della salute e sicurezza impegnandole, inoltre, nell’elaborazione di una serie di proposte dirette ad attuare appieno il quadro normativo, stabilendo il ruolo della pariteticità come elemento di governance del sistema.
Tra le altre cose getta le basi per una serie di iniziative comuni finalizzate a:

- garantire, attraverso la prevenzione, più elevati standard di sicurezza e più ampie tutele,
- rafforzare il clima di cooperazione tra imprese e lavoratori anche per contrastare il pericolo di comportamenti e pratiche elusivi della legislazione vigente,
- migliorare le tutele assicurative dell’Inail garantendo, nel rispetto degli equilibri tra premi e prestazioni, migliori livelli di tutela a favore dei malati di origine professionale e degli infortunati,
- promuovere un Fondo per la tutela dei malati affetti da morbilità causata dall’amianto per garantire a essi un sostegno adeguato.

L’accordo avvia un confronto sui temi della salute e della sicurezza in relazione alle trasformazioni tecnologiche e organizzative in atto nel lavoro e definisce alcuni criteri per la rappresentanza dei lavoratori in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e su base territoriale, dandone più compiuta attuazione.
...
segue in allegato

Confindustria, Cgil, Cisl, Uil, 2 dicembre 2018

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Zoonosi vettore trasmesse: rischi occupazionali

ID 7770 | | Visite: 3148 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

zoonosi

Zoonosi vettore trasmesse: rischi occupazionali

Fact sheet  Inail – 2019

Le zoonosi costituiscono un importante problema di sanità pubblica rappresentando il 75% delle malattie emergenti a livello mondiale, molte delle quali sono vettore-trasmesse. Considerata l’epidemiologia delle zoonosi e le complesse interazioni tra uomo, animali e ambiente, è necessario garantire, nel controllo e nella prevenzione di tali malattie, un approccio multidisciplinare e integrato noto con il termine One Health.

Il Ministero della Salute ha predisposto Piani nazionali di sorveglianza e monitoraggio integrati per affrontare in maniera coordinata le eventuali emergenze epidemiche. L’analisi della letteratura sulle principali zoonosi vettore-trasmesse in Europa e in Italia ha permesso di identificare le idonee misure di prevenzione occupazionali.

...

Fonte: INAIL

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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 3469 | 06 Febbraio 2019

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Sentenze cassazione civile

Mancata concessione di riposi settimanali

Civile Sent. Sez. L Num. 3469 Anno 2019

Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: DE FELICE ALFONSINA
Data pubblicazione: 06/02/2019

Ritenuto

La Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vercelli, ha rigettato le opposizioni proposte dall'ASL n.11 di Vercelli e da M.B., Direttore Generale della stessa, avverso l'ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro, con la quale gli stessi erano stati condannati al pagamento in solido di una sanzione amministrativa irrogata per la mancata concessione di riposi settimanali ad alcuni lavoratori, per l'ammontare di Euro 21.445.
In particolare, la sanzione amministrativa riguardava la violazione dell'art. 9, co. l del d.lgs. n. 66 del 2003 da parte dell'Asl per mancata concessione di detti riposi per almeno ventiquattro ore consecutive nei confronti di ventisette fra infermieri professionali e tecnici di radiologia, per un totale di centodue giornate di lavoro, nel periodo 1 gennaio 2005 - 30 giugno 2007.
La Corte territoriale ha stabilito che la Direzione provinciale del lavoro:
a) nel notificare l'ordinanza - ingiunzione aveva rispettato il diritto di difesa dei destinatari del provvedimento sanzionatorio;
b) aveva correttamente individuato l'autore dell'illecito nel dott. M.B., rappresentante legale dell'ente, non essendosi raggiunta in giudizio la prova che le funzioni di datore di lavoro fossero state delegate a dirigenti dei singoli Dipartimenti in ragione della natura articolata e complessa della struttura sanitaria;
c) aveva correttamente ritenuto ratione temporis applicabile alla fattispecie l'art. 9 del d.lgs. n. 66 del 2003, di cui risultava pacifica la violazione;
d) ha considerato fondata la censura del Ministero, rivolta al capo della sentenza di primo grado che aveva accolto le eccezioni degli opponenti tese a escludere dal computo le giornate rese in regime di pronta reperibilità, avendo accertato che nel calcolo della sanzione amministrativa erano state ricomprese unicamente le giornate di mancato godimento del riposo settimanale in cui la disponibilità si era convertita in una chiamata al lavoro, rilevando che la predetta ipotesi in nulla si differenzia dall'altra in cui il mancato riposo deriva dallo svolgimento di un'ordinaria prestazione lavorativa.
e) ha affermato che il primo Giudice, nel quantificare la sanzione amministrativa comminata ai sensi dell'art. 18 bis del d.lgs. n.66 del 2003, avesse fatto corretta applicazione dell'art.8 della legge n.689 del 1981, escludendo dal computo il criterio del cumulo giuridico in favore di quello del cumulo materiale, pur meno favorevole all'azienda sanitaria.
La cassazione della sentenza è domandata dall'Asl n.ll di Vercelli e dal dott. M.B., con due distinti ricorsi, il primo basato su tre motivi illustrati da memoria, e il secondo fondato su due motivi.
Nel ricorso dell'Asl il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e la Direzione Provinciale del lavoro di Vercelli si costituiscono al solo fine di partecipare all'Udienza Pubblica, mentre M.B. rimane intimato.
Nel ricorso presentato da M.B., il Ministero delle Politiche Sociali e la Direzione Provinciale del lavoro di Vercelli, nonché l'Asl n. 11 di Vercelli, rimangono intimati.

Considerato

Si riassumono di seguito i motivi contenuti nel ricorso dell'Asl n.ll di Vercelli.
Con il primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., la ricorrente deduce "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio". Secondo l'azienda sanitaria la sentenza gravata avrebbe errato nel ritenere responsabile dell'illecito contestato il Direttore Generale e non il dirigente preposto al settore al quale facevano riferimento i dipendenti, in quanto al primo competerebbe unicamente la gestione complessiva dell'azienda.
Quanto all'affermazione contenuta in motivazione circa il mancato raggiungimento della prova del conferimento di deleghe in capo ai singoli dirigenti, la censura lamenta che la statuizione non è adeguatamente sorretta sul piano argomentativo, ed è altresì contraria alle norme di diritto sulla dirigenza pubblica. Fin dalle cd. leggi Bassanini n.59 e n. 127 del 1997, e, specificamente per il settore della sanità, dal d.lgs. n.502 del 1992 (artt. 3, 15 e 15 bis) successivamente modificato dal d.lgs. n.299 del 1999, le responsabilità connesse alla gestione sono divenute appannaggio dei singoli dirigenti, mentre in capo al Direttore Generale è rimasta la responsabilità della gestione complessiva dell'azienda e della nomina dei responsabili delle strutture operative, di tal che il riferimento alla "delega delle responsabilità" da parte della Corte d'Appello torinese sarebbe del tutto inconferente, atteso che è la legge che affida direttamente le responsabilità di gestione ai dirigenti delle singole strutture operative. 
Anche quanto alla statuizione della Corte territoriale circa l'organizzazione dell'Asl di Vercelli in struttura semplice, tale da non giustificare l'affidamento, mediante espressa delega, della gestione del personale a un'unità separata, secondo la ricorrente la sentenza gravata sarebbe frutto di un'errata interpretazione delle norme di legge nonché viziata da un evidente difetto di motivazione. Sotto tale profilo, infatti, il Giudice dell'Appello nulla avrebbe detto circa il contenuto dell'atto aziendale prodotto in giudizio dall'Azienda sanitaria, da cui si trarrebbe una precisa conclusione in merito alla specificità organizzativa dell'Asl.
In merito all'asserita sussistenza di un generale obbligo di vigilanza in capo al Direttore Generale dell'Asl, circa l'osservanza delle norme imperative in tema di adempimenti correlati con i rapporti di lavoro del dipendenti dell'Azienda, l'argomento sarebbe stato introdotto per la prima volta nella sentenza d'Appello, e risulterebbe fuorviante rispetto al contenuto dell'ordinanza - ingiunzione, nella quale una responsabilità per culpa in vigilando non era stata affatto ipotizzata. Essa contrasterebbe altresì con il quadro normativo vigente, in base al quale, in capo al Direttore Generale la legge non porrebbe alcun obbligo di vigilanza sull'operato dei dirigenti, bensì unicamente una responsabilità della gestione complessiva dell'azienda.
Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., l'Asl ricorrente contesta "Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". La contestazione da parte del Ministero non sarebbe stata sollecitata dal personale infermieristico, bensì intimata in seguito a una visita ispettiva. L'intervento ispettivo, secondo la ricorrente, si porrebbe in aperto contrasto con l'esigenza della struttura ospedaliera di soddisfare il fondamentale diritto alla salute, esigenza di cui sarebbero ben consapevoli i dipendenti i quali, pur di non interrompere il rapporto assistenziale ponendo a rischio la salute dei ricoverati, sarebbero soliti aderire alla prassi di concludere accordi con i responsabili delle strutture, che contemplano turni più gravosi.
Di tale necessaria elasticità, rispetto all'originaria previsione di cui all'art. 9, co. 1 dei d.lgs. n.66 del 2003, si è fatto carico anche il legislatore, che col d.l. n.112 del 2008, convertito in l. n.133 del 2008, ha riveduto l'articolazione dei turni di lavoro e dei riposi, proprio al fine di venire incontro alle esigenze primarie del comparto della sanità. La sentenza gravata avrebbe erroneamente ignorato tale normativa, tesa ad alleggerire le rigide regole in materia di riposi nel settore della sanità, la quale costituisce una linea di tendenza confermata con la l. n.183 del 2010 (art. 7), ritenendola inapplicabile al caso di specie solo perché successiva alle violazioni contestate.
Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 1 e n. 3 cod. proc. civ., l'Asl contesta "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". La sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso il criterio del cumulo giuridico dal computo della sanzione complessiva, applicando la somma aritmetica delle violazioni secondo il criterio del cumulo materiale. Tale scelta, secondo parte ricorrente, si porrebbe in contrasto con la realtà di fatto, dovendo, nel caso di specie, il criterio di computo ispirarsi al principio della continuazione, atteso che le violazioni contestate sono della stessa specie e sono state commesse nell'ambito di un unico disegno.
Veniamo adesso all'illustrazione dei motivi oggetto del ricorso presentato da M.B., Direttore Generale dell'Asl n.ll di Vercelli all'epoca dei fatti.
Coi primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., egli contesta "Nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione in ordine al motivo sub "a" a sostegno dell'appello incidentale del Dott. M.B. inerente la violazione del suo diritto di difesa per non essere stato reso destinatario di notificazione della prima ordinanza-ingiunzione sì da escluderlo dalla possibilità di proporre ricorso gerarchico ex art. 16 D.lgs. 23.4.2004 n.124 norma di cui, congiuntamente qui si denuncia la violazione e/o erronea applicazione". Il M.B., cessato dal servizio nel 2009, denuncia di non aver ricevuto notifica della prima ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro presso la sua residenza di Chiavari, bensì presso l'Asl, all'epoca legalmente rappresentata da un altro soggetto. Detta notificazione non avrebbe perciò dispiegato effetti nei suoi confronti, mentre al contrario, la seconda ordinanza-ingiunzione gli sarebbe stata correttamente notificata. A causa dell'omessa notificazione nella prima fase amministrativa egli deduce di essere stato privato della possibilità di adire la via gerarchica, secondo quanto stabilito dall'art. 16 del d.lgs. n.124 del 2004. Di tale circostanza, puntualmente dedotta dal M.B. nella comparsa di costituzione in appello e nel ricorso incidentale, la sentenza gravata non avrebbe tenuto conto, da cui la censura anche per vizio di omessa motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta "Nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 6 ed 11 della legge n.689 del 24.11.1981 nonché dell'art. 115 co.2 c.p.c.".
La sentenza d'appello avrebbe errato nell'identificare in modo aprioristico il datore di lavoro col legale rappresentante dell'Ente, prescindendo dalla normativa specifica in materia sanitaria e dalla giurisprudenza di legittimità consolidata in tema di delega di responsabilità per settori in ambito di organizzazioni aziendali complesse e articolate.
Si esaminano di seguito i motivi di ricorso prospettati dall'Asl n.ll Vercelli.
Il primo motivo, che contesta l'individuazione dell'autore materiale delle violazioni m materia di riposi settimanali nella persona del Direttore Generale dell'Azienda, è infondato.
Nel caso in esame la responsabilità è stata correttamente attribuita dalla Corte territoriale in capo a M.B., atteso che il Direttore Generale non soltanto riveste all'interno dell'Asl la qualifica apicale, ma, trattandosi di una pubblica amministrazione, è altresì il destinatario quale legale rappresentante dell'ente, della funzione di garanzia dell'osservanza e della corretta applicazione delle norme legali e contrattuali che disciplinano i rapporti di lavoro. La sua responsabilità non può ritenersi limitata, pertanto, a sovrintendere alla gestione complessiva dell'azienda.
Di tale criterio di attribuzione soggettiva di responsabilità dell'ente pubblico si trova conferma in una specifica previsione in materia di sicurezza e igiene sul lavoro (art. 2 lett. b) del d.lgs. n. 626 del 1994), ove il legislatore ha individuato la funzione datoriale nella persona del legale rappresentante dell'ente. La giurisprudenza di legittimità in sede di accertamento della responsabilità penale, ha riaffermato il principio secondo cui il rappresentante legale dell'azienda ha la responsabilità dell'organizzazione amministrativa e gestionale della struttura sanitaria, anche al di là degli obblighi in materia di sicurezza e igiene sul lavoro (Cass. n.3961 del 2006), sicché detto principio cardine dell'ordinamento deve considerarsi valido anche nel settore sanitario.
A tal proposito, il d.lgs. n. 299 del 1999, che ha modificato il d.lgs. n. 502 del 1992, stabilisce che organi dell'azienda sono il Direttore Generale e il Collegio Sindacale (art.3), e che il Direttore amministrativo e il Direttore sanitario "partecipano, unitamente al Direttore Generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell'azienda.. ed assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza" (art. 3, comma 1 quinquies). 
L'organizzazione e il funzionamento delle Asl, enti con personalità giuridica pubblica, sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, in coerenza con il carattere imprenditoriale, strumentale delle stesse rispetto al raggiungimento del fine pubblico dell'azienda (Sez. Un. n.25048 del 2016). All'atto aziendale è affidato il compito di prevedere che singole responsabilità, per specifiche materie, possano essere delegate ai dirigenti o ai collaboratori per mezzo di un provvedimento ad hoc del Direttore Generale.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato che non è stata raggiunta la prova che alcuna delle prerogative datoriali fosse stata delegata ai dirigenti dei Settori dell 'Asl: né l'atto aziendale del 17.6.2004 che si limitava ad individuare le competenze dei vari servizi né le successive delibere del 31.5.2006 e 6.6.2008 in base alle quali veniva conferita alla dott.ssa R. l'incarico di dirigente del servizio infermieristico, tecnico sanitario e della riabilitazione, senza, tuttavia, aggiungere niente in ordine ad eventuali deleghe e alle connesse responsabilità.
Ha inoltre accertato che non era stato offerto alcun elemento dal quale potersi dedurre che all'Azienda sanitaria, in virtù della complessità della sua organizzazione, necessitasse affidare la gestione del personale a una struttura separata il cui dirigente avrebbe assunto ogni responsabilità in materia di gestione del personale, tale da escludere quella del legale rappresentante.
La Corte d'appello richiamandosi al generale obbligo di vigilanza del Direttore Generale sull'osservanza, da parte degli organi di gestione, delle norme imperative che disciplinano i rapporti di lavoro, identifica, anche sotto il profilo della culpa in vigilando una responsabilità dello stesso nella causazione dell'illecito oggetto della sanzione amministrativa.
L'iter logico argomentativo seguito dalla Corte territoriale è puntuale e si pone in conformità ai principi ordinamentali in tema di responsabilità datoriale nelle pubbliche amministrazioni. L'identificazione del garante dell'osservanza delle norme sui rapporti d'impiego nel Direttore Generale quale organo apicale dell'ente, è confermata, nel caso in esame, dall'accertamento di merito circa l'assenza, nell'atto aziendale, di una qual si voglia delega di responsabilità datoriali al dirigente del Settore infermieristico e tecnico da cui dipendevano i lavoratori o, comunque, ad altro ufficio separato.
Il secondo motivo presenta profili sia d'inammissibilità sia d infondatezza.
Quanto al primo, la censura (p. 27 del ricorso) fa riferimento alla prassi aziendale di stipulare accordi ad hoc fra dirigenti responsabili delle strutture e dipendenti in materia di fruizione dei riposi settimanali, al fine di tener conto delle esigenze di servizio". La censura sostiene che tale prassi non avrebbe mai scontentato né i dipendenti né gli assistiti e che l'art. 20 del C.C.N.L. dell'1.9.1995 del Comparto sanità avrebbe previsto espressamente che "il riposo settimanale coincide di norma con la giornata domenicale", introducendo la possibilità di un'articolazione dei riposi non così burocratica e "occhiuta" come quella proposta dall'Ispettorato del lavoro.
L'argomento si basa sulla sussistenza di accordi intercorsi con l'Azienda, che tuttavia parte ricorrente omette di trascrivere e di produrre non consentendo, perciò a questa Corte di avere l'esatta conoscenza della domanda, in difetto del requisito della specificità del motivo di ricorso di cui all'art. 366, n.4 cod. proc. civ.
La censura è altresì infondata, là dove vorrebbe giustificare la violazione dell'art. 9, del d.lgs. n.66 del 2008 (pacificamente accertata), sulla base di deroghe al sistema delle turnazioni e dei riposi settimanali introdotte da una legislazione successiva al verificarsi dei fatti oggetto del giudizio (occorsi tra l'1 gennaio 2005 e il 30 giugno 2007).
La Corte d'appello ha in proposito stabilito che la norma applicabile all'illecito contestato non contiene alcuna deroga al diritto al riposo settimanale, così come non nessuna deroga prevede il contratto collettivo per il comparto sanità dell'1.9.1995 (art. 20) richiamato dagli appellanti incidentali (ma prodotto solo dal Ministero del Lavoro) il quale si è limitato a regolare il caso in cui sussiste coincidenza tra la fruizione del riposo e la domenica.
Vero è, come sostiene la ricorrente, che lo stesso contratto collettivo, all'art. 20, al co.2, stabilisce che "Ove non possa essere fruito nella giornata domenicale, il riposo settimanale deve essere fruito di norma entro la settimana successiva, in giorno va concordato fra il dipendente ed il dirigente responsabile della struttura, avuto riguardo alle esigenze di servizio", ma, il ricorrere di tale eventualità è stata esclusa dalla Corte territoriale. Essa ha, infatti, accertato che, anche volendo attribuire valore derogatorio ai riferimento alla fruizione del riposo nella settimana successiva, l'ordinanza ingiunzione degli ispettori del lavoro è riferita "secondo un dato non contestato" (p. 16 seni.) ai soli casi in cui la prestazione lavorativa si era protratta dai 13 ai 27 giorni consecutivi senza fruizione di riposi, e, dunque, la doglianza esula comunque dall'ipotesi contemplata nella fonte negoziale.
La pretesa di estendere al sistema sanzionatone di cui alla legge n. 689 del 1981 discipline introdotte da disposizioni successive al verificarsi dell'illecito, sebbene contenenti previsioni più favorevoli al destinatario dell'obbligo violato è da considerarsi priva di fondamento. In base all'orientamento della giurisprudenza di legittimità al quale in questa sede s'intende dare continuità, "... i principi di legalità e irretroattività di cui all'art. 1 della l. n. 689 del 1981, comportano l'assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi e rendono inapplicabile la disciplina posteriore eventualmente più favorevole" (Cass. n.7485 del 2018).
Anche la terza censura prospettata dall'Asl, che si duole della mancata applicazione alla fattispecie del regime del cumulo giuridico, che avrebbe portato a una quantificazione dell'indennità meno sfavorevole alla ricorrente, è infondata.
La Corte d'Appello, dopo aver premesso che, per quanto attiene alle modalità di applicazione della sanzione amministrativa, il Giudice di primo grado aveva fatto corretta attuazione dell'art. 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003, introdotto dalla l. n.9 del 2014, contenente la disciplina delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni in materia di riposi settimanali (p.18 sent.), ha accertato altresì la conformità della scelta di applicare il criterio del cumulo materiale in luogo del più favorevole cumulo giuridico, per le plurime violazioni perpetrate ai danni di ventisette dipendenti.
Nel disciplinare il criterio del cumulo giuridico, l'art. 8 della I. n.689 del 1981, rubricato: "Più violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative", al comma 1 dispone che: "Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con un'azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo."
La stessa norma, al comma 2, prevede che "Alla stessa sanzione prevista dal precedente comma soggiace anche chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie."
Nel caso di specie, pertanto, le reiterate violazioni sono state attuate "con più azioni od omissioni", perché perpetrate, anche in tempi diversi, nei confronti di ventisette tra infermieri professionali e tecnici di radiologia. La scelta operata dal Giudice del merito di applicare al calcolo della sanzione amministrativa il criterio del cumulo materiale si rivela, pertanto, pienamente conforme alla norma dispositiva, posto che nel verificarsi di una pluralità di azioni od omissioni, il legislatore ha escluso ¡1 computo secondo il criterio del cumulo materiale (tot crimina, tot poenae) alla sola ipotesi in cui vengano violate le norme in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, delle quali non fanno, ovviamente, parte quelle in tema di riposi settimanali.
Passando all'esame del ricorso presentato da M.B., il primo motivo lamenta la violazione del diritto di difesa, per non essere stata notificata, presso la sua residenza la prima ordinanza - ingiunzione, trovandosi egli già in pensione, e qumdi per essergli stata preclusa la proposizione del ricorso gerarchico ai sensi deil'art. 16 del d.lgs. n.124 del 2004.
Il motivo non merita accoglimento.
La prima ordinanza ingiunzione, afferma la sentenza d'appello (pag. 11), era stata regolarmente notificata all'Asl, responsabile in solido col M.B. del pagamento della sanzione amministrativa. La seconda ordinanza - ingiunzione, costituente esatta duplicazione della prima, conteneva una sanzione di ammontare ridotto a carico del ricorrente, avendo il Ministero riconosciuto che nel primo provvedimento era stata inserita erroneamente una somma non dovuta, in quanto riferita a un periodo in cui il M.B. si trovava già in quiescenza. Tale secondo provvedimento, ha accertato la Corte d'Appello, era stato regolarmente notificato al M.B. presso la sua residenza di Chiavari, tant'è che sia l'Asl sia il Direttore Generale, si erano ritualmente opposti, prospettando le varie questioni preliminari e di merito esaminate nel giudizio.
Di qui la statuizione coerente ed esente da vizi logico - argomentativi del Giudice dell'appello, secondo cui il diritto di difesa del Direttore Generale era stato pienamente rispettato dal Ministero odierno intimato.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Esso si appunta sull'erronea motivazione della Corte d'appello con riguardo a quella che il ricorrente definisce "aprioristica difesa del principio di assimilazione datore di lavoro/legale rappresentante dell'ente" (p. 10 ric.), compiuta senza analizzare la normativa sul servizio sanitario nazionale e la giurisprudenza di legittimità in tema di deleghe di responsabilità.
Il motivo deve essere rigettato sulla base delle ragioni esposte in merito al primo motivo di ricorso dell'Asl n.11 di Vercelli, atteso che esso non aggiunge alcuna nuova doglianza a quelle già in precedenza esaminate.
In definitiva, sia il ricorso dell'Asl n. 11 di Vercelli che il ricorso di M.B. vanno rigettati. Non si provvede sulle spese del presente giudizio in mancanza di attività difensiva da parte degli intimati. 
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1 ois dell'art. 13 del d.P.R. n.115 del 2002.



P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Nulla spese.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a nonna del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all'Udienza Pubblica del 14 Novembre 2018

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 5030 | 01 Febbraio 2019

ID 7740 | | Visite: 3081 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Dipendente della ditta appaltatrice investito mortalmente da una pala gommata

Circolazione scoordinata di pedoni e mezzi

Penale Sent. Sez. 4 Num. 5030 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 09/01/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado che ha condannato alla pena sospesa di un anno di reclusione, concesse le attenuanti equivalenti all'aggravante, G.C. (direttore dello stabilimento della Italiana Coke s.r.l., preposto alla organizzazione del lavoro ed alla relativa vigilanza), B.G. (titolare delle deleghe formali, in materia di sicurezza e prevenzione per la Italiana Coke s.r.l.), A.B. (amministratore della E.M.I. s.n.c., fornitrice della pala coinvolta nel sinistro e dell'operatore che la conduceva), per il reato di cui agli artt. 589, primo e secondo comma, 40, secondo comma, 113, primo comma, cod.pen., per aver cagionato ovvero non impedito la morte dì S.B. con colpa, negligenza, imprudenza, imperizia e violazione degli artt. 2043, 2050, 2087 cod.civ., 15, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008, mentre ha assolto per non aver commesso il fatto F.B. - 14 settembre 2011. Più precisamente S.B., dipendente della Simic s.p.a., appaltatrice dei lavori di manutenzione degli impianti della Italiana Coke s.r.l., mentre percorreva una via interna allo stabilimento della committente (Viale delle Giraffe) per raggiungere un punto di incontro, veniva investito da una pala gommata Caterpillar, condotta da S.M., dipendente della E.M.I. s.n.c., azienda appaltatrice di lavori di carico, scarico e movimentazione del coke e di altri prodotti, e decedeva istantaneamente per effetto dell'urto e dello schiacciamento. Nella ricostruzione dei giudici di merito l'incidente è legato alla circolazione di una pala meccanica di notevoli dimensioni e struttura, in una zona di congiunzione tra due park distinti, posti a livello differente, senza le particolari cautele del trasporto eccezionale, di cui rispondono G.C. e B.G. (il primo direttore dello stabilimento e, quindi, investito di compiti di organizzazione del lavoro e relativa vigilanza, anche in assenza di deleghe formali, ed il secondo titolare di deleghe formali in punto di sicurezza relative al cantiere), in quanto non hanno fatto tutto ciò che era necessario per impedire l'evento, e A.B., nella sua qualità di amministratore della E.M.I. s.n.c., in quanto non è adeguatamente intervenuto presso la committente per impedire la circolazione viaria delle pale gommate o per garantirne le condizioni di assoluta sicurezza.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori, G.C., B.G., A.B..
3. G.C. e B.G. hanno dedotto, con due distinti ricorsi, due motivi comuni: 1) la mancanza e contraddittorietà della motivazione in rapporto alle doglianze espresse nell'appello e alle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, essendo emerso dalla consulenza della difesa (Ing.V.) la possibilità del passaggio in modo sicuro di mezzi e persone nel luogo ed all'epoca del sinistro e, dunque, anche della pala meccanica, del tutto conforme alla normativa vigente e destinata anche a operazioni di trasporto, elementi con cui il giudice dell'impugnazione, nell'affermare la necessità delle cautele proprie del trasporto eccezionale, non si è confrontato affatto, sottovalutando la condotta imprudente di S.M.; 2) la mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla condotta di S.M. e l'inosservanza o erronea applicazione degli art. 41, secondo comma, cod.pen., in quanto non viene in alcun modo chiarito come i ricorrenti avrebbero potuto impedire l'evento, data l'autonomia riconosciuta all'appaltatrice E.M.I. s.n.c., il cui dipendente ha condotto la pala, sollevando la benna di 2 metri da terra, in modo da non avere più alcuna visuale, ed a velocità sostenuta.
4. G.C. ha, inoltre, lamentato l'erronea applicazione degli artt. 41, secondo comma, 43, terzo comma, e 589 cod.pen., atteso che le sue mansioni di direttore di stabilimento erano limitate alla rappresentanza della società all'esterno ed agli aspetti produttivi e gestionali, non essendogli, al contrario, conferiti poteri in materia di sicurezza sul lavoro, sicché lo stesso non aveva alcuna posizione di garanzia e non è configurabile una sua colpa omissiva.
5. B.G. ha, invece, denunciato l'erronea applicazione dell'art. 40, secondo comma, cod.pen. e l'omessa motivazione in ordine alla propria posizione di garanzia, non essendo stata valutata la possibilità dell'inefficacia della delega nei propri confronti in considerazione dell'assenza di poteri effettivi, tenuto conto della molteplicità di incarichi attribuitigli in modo da renderlo un mero "capro espiatorio".
6. A.B. ha dedotto 1) l'illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione in relazione alle censure formulate in appello e alle risultanze dell'Istruttoria dibattimentale e l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 41, secondo comma, 43, terzo comma, 589 cod.pen., essendo emerso (dalle lettere inviate da S.M. a F.B., dalle dichiarazioni di F.B., S.M. e Pregliasco, di cui la Corte di appello ha omesso ogni valutazione) un "nolo a caldo", se non addirittura una somministrazione di mano d'opera, e, cioè rapporti idonei a privarlo della sua posizione di garanzia, affermata solo in base all'ammissione cauta" di S.M. della conoscenza, da parte di A.B., delle problematiche esistenti in Italiana Coke ed in assenza di altri riscontri, fatta eccezione per l'elemento indiziario desumibile da un'unica fattura con la dicitura "trasferimento di fossile da fuori parco", elemento del tutto equivoco, tenuto conto dell'interesse economico, da parte della E.M.I. s.n.c. agli spostamenti della pala nel maggiore tempo possibile, visto il pagamento ad ore; 2) l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 40, secondo comma, 41, secondo comma, cod.pen. e la contraddittorietà e mancanza della motivazione rispetto alla condotta posta in essere da S.M., che conduceva la pala meccanica fuori sagoma, a 2 metri da terra, in una zona trafficata, a velocità inadeguata, in violazione di quanto previsto dal proprio datore di lavoro nel documento di valutazione rischi e di qualsiasi norma di prudenza, e che determinava, quindi, un rischio eccentrico e esorbitante dalla sfera controllata dal titolare della posizione di garanzia, tale da escludere il nesso di causalità.
7. In data 19 dicembre 2018 sono pervenute memorie difensive di B.G. e C.G..

Considerato in diritto

1. I ricorsi vanno rigettati.
2. I motivi comuni dei ricorsi di C.G. e di B.G. sono infondati.
I giudici di merito hanno motivato in modo congruo, logico e privo di contraddizioni in ordine alla pericolosità del luogo di lavoro, desunta in particolare dalla deposizione dell'operaio T.M., il quale ha spiegato come fosse preoccupato di lavorare presso quel cantiere, caratterizzato dalla rumorosità e dal continuo incrociarsi di mezzi meccanici, veicoli e persone, e dalle dichiarazioni di S.M., il quale ha raccontato delle buche presenti nel suolo e degli ingombri laterali, oltre che dalle deposizioni degli altri lavoratori, tra cui, ad esempio, F.C. e M.L., e si sono specificamente confrontati, superandole, con le diverse valutazioni dei consulenti della difesa (M.V. e M.S.), che si riferiscono ad una situazione ottimale, in cui, tuttavia, non risultano esclusi i rischi emersi nell'istruttoria. A fronte di tale puntuale ricostruzione sulla insicurezza del luogo di lavoro, dovuto alla circolazione non separata e scoordinata di pedoni e mezzi, anche particolarmente pericolosi, sono state altresì specificamente individuate le condotte che i ricorrenti avrebbero dovuto adottare (e, cioè, attivarsi per impedire l'evento, bloccando, ad esempio, il transito di pedoni in caso di passaggio della pala di grandi dimensioni ed a pieno carico): condotte che avrebbero neutralizzato anche il rischio di disattenzione o condotte imprudenti dei lavoratori coinvolti e, cioè, della vittima, intenta a parlare al telefono, e del conducente del mezzo, che aveva sollevato la pala da terra in modo eccessivo, pur sempre per esigenze lavorative, e che non procedeva a passo d'uomo. Nessun vizio di motivazione è, dunque, ravvisabile nell'impugnata sentenza, che, peraltro, risulta pienamente conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il concetto di interferenza, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall'art. art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - in quanto la "ratio" della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse (Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018 ud. - dep. 28/02/2018, Rv. 273257 - 01).
3. Neppure merita accoglimento il motivo formulato da C.G. avente ad oggetto l'erronea applicazione degli artt. 41, secondo comma, 43, terzo comma, e 589 cod.pen., in considerazione dell'inconfigurabilità di una sua posizione di garanzia e della sua colpa omissiva, essendo le sue mansioni di direttore di stabilimento limitate alla rappresentanza della società all'esterno ed agli aspetti produttivi e gestionali, senza alcuna attribuzione di poteri in materia di sicurezza sul lavoro. Difatti, a prescindere dai poteri specificamente indicati negli atti notarili segnalati dal ricorrente, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, applicato dai giudici di merito, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore dello stabilimento di una società per azioni è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti, in base all'art. 18 del d.lgs. n. 81 del 2008 (Sez. 4, n. 41981 del 07/02/2012 Ud. - dep. 25/10/2012. Rv. 255001 - 01), come, peraltro, confermato nel caso dì specie, nella puntuale ricostruzione dei giudici di merito, dalla circostanza che "S.M., nel corso della sua deposizione, ha sottolineato di aver più volte segnalato, verbalmente, proprio al C.G. ... i problemi di sicurezza legali alla viabilità sul cantiere", riconoscendolo come interlocutore aziendale, per la Italiana Coke s.r.l., proprio per la sua qualità di direttore di stabilimento, per le problematiche collegate alla sicurezza del lavoro ed al rischio interferenziale. Peraltro, il ricorrente non ha individuato gli elementi dell'istruttoria da cui sarebbe emersa la titolarità, da parte di altri, di poteri organizzativi.
4. Parimenti va rigettato il motivo formulato da B.G., avente ad oggetto l'inefficacia della delega ricevuta ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008, in considerazione dell'assenza dell'attribuzione di effettivi poteri: motivo che si fonda sostanzialmente sul conferimento al ricorrente di una molteplicità di deleghe, anche relativamente ad altre imprese controllate dalla stessa Italiana Coke s.r.l., e sulla deposizione del teste C., che ha espresso una sua valutazione, non recepita dai giudici di merito. Invero, la stessa difesa ammette la validità della delega in esame, asserendone l'inefficacia nonostante ne riconosca l'impeccabilità formale (v. p. 14 del ricorso), ed evidenzia, da un lato, una circostanza del tutto irrilevante e, cioè, il conferimento di una pluralità di deleghe a B.G., che, ove impossibilitato allo svolgimento contemporaneo di più incarichi, avrebbe potuto rifiutarli, e, dall'altro, un elemento istruttorio superato dai giudici di merito in considerazione di altri dati indiziari (l'alta professionalità di B.G. e la sua presenza in cantiere al momento del fatto e del sopralluogo A.s.l.).
Del resto, pur premesso che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di infortuni sul lavoro, è necessario verificare in concreto che il delegato abbia effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro, indipendentemente dal contenuto formale della nomina (Sez. 4, n. 47136 del 24/09/2007 ud.- dep. 20/12/2007, Rv. 238350 - 01), va sottolineato che il ricorrente non ha formulato puntuali contestazioni relativamente a tali aspetti. A ciò si aggiunga che, ai sensi dell'art. 299 del d.lgs. n. 81 del 2008, le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’ articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti, ma il mancato esercizio di poteri regolarmente conferiti e, dunque, effettivi non esonera da responsabilità, costituendo, al contrario, una condotta inadempiente.
5. Neppure merita accoglimento il ricorso di A.B..
Invero, con il primo motivo il ricorrente si limita a riproporre una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella effettuata, con argomentazioni congrue, logiche e prive di contraddizioni, dal giudice dell'impugnazione, il quale ha escluso che la E.M.I. s.n.c. fosse una mera fornitrice dei macchinari e della mano d'opera, inseriti nell'organizzazione aziendale della Italiana Coke s.r.l., affermando, al contrario, che la E.M.I. s.n.c. era un'impresa presente sul cantiere, che sovrintendeva alle operazioni concernenti i suoi mezzi - a fondamento di tale accertamento sono stati indicati una pluralità di elementi indiziari (in particolare le lettere dirette all'appaltatrice di segnalazione dei danni causati dalla circolazione delle pale all'interno dello stabilimento, la deposizione di S.M., che ha ammesso che la situazione era nota alla sua azienda, e quella di Giacchino, che ha sottolineato i contatti diretti e continui tra F.B. e E.M.I. s.n.c. per la predisposizione delle pale e degli operatori necessari alle singole attività necessarie in cantiere), che la difesa tende a parcellizzare, senza denunciare alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione complessiva.
Dalla correttezza della ricostruzione in fatto deriva, in modo del tutto logico e coerente, l'infondatezza della seconda censura, avendo i giudici di merito ritenuto A.B., in qualità di amministratore della E.M.I. s.r.l. e, cioè di una delle imprese presenti nel cantiere, investite degli obblighi di cui all'art. 26 del d.lgs. n. 81 del 2008, responsabile di non essere intervenuto presso la committente per impedire la circolazione viaria delle proprie pale gommate o per garantire che tale circolazione avvenisse in condizioni di assoluta sicurezza (blocco del traffico, presenza di addetti al traffico, segnaletica dedicata) ovvero per non aver posto in essere una condotta idonea a neutralizzare anche i rischi derivanti dalle imprudenze del proprio dipendente, nel condurre la pala. Ad ogni modo, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di infortuni sul lavoro, non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale verificatosi, il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 Ud. - dep. 19/02/2014, Rv. 259313 - 01).
6. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 9 gennaio 2019.

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 1 del 31 Gennaio 2019

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 1 del 31 Gennaio 2019

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 31 Gennaio 2019 (n. 1/2019):

30/01/2019 - n. 1/2019 Consiglio Nazionale degli Ingegneri
Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - risposta ai quesiti in merito – corsi di aggiornamento per i professionisti antincendio e corsi di aggiornamento per RSPP e coordinatori per la sicurezza - possibilità di istituire un unico corso con effetti abilitanti per diverse qualifiche professionali.

Oggetto: art. 12, d.gs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - risposta  in merito ai corsi di aggiornamento per i professionisti antincendio e corsi di aggiornamento per RSPP e coordinatori per la sicurezza - possibilità di istituire un unico corso con effetti abilitanti per diverse qualifiche professionali.

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha formulato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito a quanto segue:

1. se “sia consentito organizzare un unico corso formativo valido sia quale aggiornamento per RSPP, ASPP e coordinatori per la sicurezza nei cantieri, sia quale aggiornamento per la qualifica di professionista antincendio, ex d.lgs. n. 139/2006 e DM 5 agosto 2011”;
2. se “sia possibile erogare tale corso sotto forma, da un lato, di aggiornamento per RSPP, ASPP e coordinatori per la sicurezza, e, contemporaneamente, dall’altro lato, quale convegno o seminario di aggiornamento per i professionisti antincendio”.

In proposito l’istante rappresenta che “la particolarità di questi corsi, organizzati da alcuni soggetti formatori, sta dunque nel fatto che attraverso un unico corso formativo, e quindi un’unica sessione, si ottiene l’attestazione valida per diversi obblighi formativi e distinte qualifiche professionali”.

...

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D.M. 25 gennaio 2019 | Norme sicurezza antincendi edifici di civile abitazione

ID 7724 | | Visite: 45869 | Prevenzione Incendi

Decreto 25 gennaio 2019

Decreto 25 gennaio 2019

Update 10 Ottobre 2020

Ministero dell'Interno

Modifiche ed integrazioni all'allegato del decreto 16 maggio 1987, n. 246 concernente norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione

(GU Serie Generale n.30 del 05-02-2019

Entrata in vigore: 06.05.2019

Update 10 Ottobre 2020

Decreto-Legge 14 agosto 2020, n. 104 (GU n. 203 del 14-8-2020 S.O. n. 30) convertito dalla Legge 13 Ottobre 2020 n. 126 (G.U. n. 253 del 13-10-2020 - S.O. n. 37)
...

Art. 63 - bis Disposizioni urgenti in materia condominiale.  Differimento del termine per adeguamenti antincendio

2. È rinviato di sei mesi dal termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri (Delibera 7 Ottobre 2020 - Stato di emergenza prorogato al 31 Gennaio 2021 - ndr), il termine per gli adempimenti e adeguamenti antincendio previsti per il 6 maggio 2020, di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b, del decreto del Ministro dell’interno 25 gennaio 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 5 febbraio 2019.

Si applica: 

dal 06.05.2021 (per gli impianti allarme incendio e dei sistemi di allarme vocale per scopi di emergenza)
dal 31.07.2021 (prorogato - articolo 3, comma 1, lettera b, del decreto del Ministro dell’interno 25 gennaio 2019)

Vedi Nota proroga

...

Art. 1 Modifiche ed integrazioni al decreto del Ministro dell'interno 16 maggio 1987, n. 246

1. E' approvato l'allegato 1 che costituisce parte integrante del presente decreto e che modifica le norme tecniche contenute nell'allegato al decreto del Ministro dell'interno 16 maggio 1987, n. 246, sostituendo il punto «9. Deroghe» e introducendo, dopo il punto 9, il punto «9-bis. Gestione della sicurezza antincendio».
2. Le disposizioni contenute nell'allegato 1 al presente decreto si applicano agli edifici di civile abitazione di nuova realizzazione ed a quelli esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto secondo le modalita' previste dall'art. 3.

Art. 2  Requisiti di sicurezza antincendio delle facciate  negli edifici di civile abitazione

1. Per gli edifici di civile abitazione soggetti ai procedimenti di prevenzione incendi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, i requisiti di sicurezza antincendio delle facciate sono valutati avendo come obiettivi quelli di:
a) limitare la probabilita' di propagazione di un incendio originato all'interno dell'edificio, a causa di fiamme o fumi caldi che fuoriescono da vani, aperture, cavita' verticali della facciata, interstizi eventualmente presenti tra la testa del solaio e la facciata o tra la testa di una parete di separazione antincendio e la facciata, con conseguente coinvolgimento di altri compartimenti sia che essi si sviluppino in senso orizzontale che verticale, all'interno della costruzione e inizialmente non interessati dall'incendio;
b) limitare la probabilita' di incendio di una facciata e la successiva propagazione dello stesso a causa di un fuoco avente origine esterna (incendio in edificio adiacente oppure incendio a livello stradale o alla base dell'edificio);
c) evitare o limitare, in caso d'incendio, la caduta di parti di facciata (frammenti di vetri o di altre parti comunque disgregate o incendiate) che possono compromettere l'esodo in sicurezza degli occupanti l'edificio e l'intervento delle squadre di soccorso.
2. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti al comma 1, nelle more della determinazione di metodi di valutazione sperimentale dei requisiti di sicurezza antincendio delle facciate negli edifici civili, la guida tecnica «Requisiti di sicurezza antincendio delle facciate negli edifici civili» allegata alla lettera circolare n. 5043 del 15 aprile 2013 della Direzione centrale per la prevenzione e sicurezza tecnica del Dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile, del Ministero dell'interno puo' costituire un utile riferimento progettuale.
3. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano agli edifici di civile abitazione di nuova realizzazione e per quelli esistenti che siano oggetto di interventi successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto comportanti la realizzazione o il rifacimento delle facciate per una superficie superiore al 50% della superficie complessiva delle facciate.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano per gli edifici di civile abitazione per i quali alla data di entrata in vigore del presente decreto siano stati pianificati, o siano in corso, lavori di realizzazione o di rifacimento delle facciate sulla base di un progetto approvato dal competente Comando dei vigili del fuoco ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, ovvero che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, siano gia' in possesso degli atti abilitativi rilasciati dalle competenti autorità.

Art. 3 Disposizioni transitorie e finali

1. Gli edifici di civile abitazione esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono adeguati alle disposizioni dell'allegato 1 del presente decreto entro i seguenti termini:
a. due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto per le disposizioni riguardanti l'installazione, ove prevista, degli impianti di segnalazione manuale di allarme incendio e dei sistemi di allarme vocale per scopi di emergenza;
b. un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto per le restanti disposizioni.
2. Per gli edifici di civile abitazione esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto soggetti agli adempimenti di prevenzione incendi di cui al  decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, viene comunicato al Comando dei vigili del fuoco l'avvenuto adempimento agli adeguamenti previsti al comma 1, all'atto della presentazione della attestazione di rinnovo periodico di conformita' antincendio, di cui all'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151.
3. Il presente decreto entra in vigore il novantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana'.

[...segue in allegato]

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Decreto 16 maggio 1987 n. 246 | Consolidato 2019

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Decreto 16 maggio 1987 n. 246

Ed. 1.0 Febbraio 2019

Riservato Abbonati: Sicurezza, 2X, 3X, 4X, Full, il Testo Consolidato 2019 del DM 246/1987 pdf in Allegato. 

 D.M. 16 maggio 1987 n. 246  Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione (G.U. n. 148 del 27 giugno 1987)

Testo consolidato 2019 tiene conto della modifica di cui al:

D.M. 25 gennaio 2019 | Norme sicurezza antincendi edifici di civile abitazione - Modifiche ed integrazioni all'allegato del decreto 16 maggio 1987, n. 246 concernente norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione (GU n. 30 del 05-02-2019).

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Hazardous Waste Operations and Emergency Response

ID 7699 | | Visite: 5506 | Documenti Sicurezza Enti

Hazardous Waste Operations Emergency Response

Hazardous Waste Operations and Emergency Response (HAZWOPER)

The dumping of hazardous substances poses a significant threat to the environment. The U.S. Environmental Protection Agency’s (EPA) Toxic Release Inventory (TRI) data show that over 18 million tons of hazardous substances covered by TRI were disposed of or released into the environment from 1998 through 2004.(1)

Hazardous substances are a serious safety and health problem that continues to endanger human and animal life and environmental quality. Discarded hazardous substances that are toxic, flammable, or corrosive can cause fires, explosions, and pollution of air, water, and land. Unless hazardous substances are properly treated, stored, or disposed of, they will continue to do great harm to living things that contact them, now and in the future.

Because of the seriousness of the safety and health hazards related to hazardous waste operations and emergency response, the Occupational Safety and Health Administration (OSHA) issued its Hazardous Waste Operations and Emergency Response (HAZWOPER) standard, Title 29 Code of Federal Regulations (CFR) Parts 1910.120 and 1926.65 (see 54 Federal Register 9294-9336, March 6, 1989) to protect employees in this environment and to help them handle hazardous substances safely and effectively. The HAZWOPER standard for the construction industry, 29 CFR 1926.65, is identical to 29 CFR 1910.120. For brevity, the HAZWOPER standard is referenced as 1910.120 throughout the remainder of this publication.

The HAZWOPER standard covers all employers performing the following three general categories of work operations: 

- Hazardous waste site cleanup operations [paragraphs (b)-(o)] (e.g., SUPERFUND cleanup),
- Operations involving hazardous waste that are conducted at treatment, storage, and disposal (TSD) facilities [paragraph (p)] (e.g., landfill that accepts hazardous waste), and 
- Emergency response operations involving hazardous substance releases [paragraph (q)] (e.g., chemical spill at a manufacturing plant). An understanding of how each of these sections are different from each other and what they apply to is essential to ensure compliance with the appropriate section of HAZWOPER.

The scope and application [paragraphs (a)(1) and (a)(2)] sections of the standard define these work operations and indicate what sections of the standard they fall under. State, county, and municipal employees, including hazardous waste treatment, storage and disposal facility employees, and first responders, such as fire and rescue personnel, police, and medical personnel, are covered by HAZWOPER and other regulations issued by the 26 states and territories operating their own OSHA-approved safety and health programs (see listing at the end of this booklet or visit OSHA’s website at www.osha.gov). EPA HAZWOPER regulations cover these employees in states without OSHA-approved state plans.

The EPA adopted the HAZWOPER standard at 40 CFR Part 311 for public employees (either compensated or non-compensated) who perform operations within the scope of the standard in states that do not have an OSHA-approved state plan. This booklet provides an overview of the HAZWOPER requirements for each type of work operation and explains each section separately to provide a clearer understanding of the standard. Having this understanding enables employers to protect the health and safety of their employees in these different environments

(1)U.S. Environmental Protection Agency, TRI 2004 Public Data Release (http://www.epa.gov/tri/tridata/index.htm).

HAZWOPER 01

Figure 1. Is an incident an emergency response or incidental release under HAZWOPER?
...
More

OSHA 2008

https://www.osha.gov/laws-regs/regulations/standardnumber/1910/1910.120

https://www.osha.gov/SLTC/emergencypreparedness/hazwoper/background.html

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 3217 | 23 gennaio 2019

ID 7681 | | Visite: 2533 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio durante la pulizia di un macchinario

Mancanza di formazione e responsabilità dei preposti

Penale Sent. Sez. 4 Num. 3217 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 09/01/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che ha condannato alla pena di euro 1000,00 di multa A.G. e P.S. per il reato di cui agli artt. 110, 590, secondo e terzo comma, cod.pen., perché, in qualità rispettivamente di responsabile della produzione e capoturno e, quindi, preposti, per colpa consistita nella violazione degli artt. 19, comma 1, lett. f e 37, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 81 del 2008, e, cioè, nel non aver segnalato la pericolosità delle operazioni di pulizia delle macchine e nel non aver assicurato un'adeguata formazione alla persona offesa relativamente alla procedura da adottare nella pulitura della macchina a rulli, cagionavano a F.R., intento in tale operazione, un trauma da schiacciamento del piede destro, che restava incastrato tra i rulli, con frattura scomposta del calcagno, da cui derivava una malattia di 129 giorni - 23 giugno 2011.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, A.G. e P.S., che hanno dedotto 1) la violazione degli artt. 40, 41 e 43 cod.pen. in relazione alla ricostruzione del fatto, all'affermazione circa la sussistenza del nesso di causalità e dell'elemento soggettivo e la contraddittorietà e manifesta illogicità su tali punti, risultante dal testo del provvedimento impugnato, dalla specifica procedura adottata per la pulizia delle macchine a rullo, dalle trascrizioni dell'udienza del 7 giugno 2016 e dall'atto di appello, atteso che era stata adottata una specifica procedura per la pulizia della macchina a rullo, già il 19 maggio 2011, con previsione dello svolgimento delle operazioni da parte di un solo lavoratore ed a macchina spenta, che, se fosse stata rispettata, avrebbe evitato il sinistro, verificatosi perché la vittima ha operato mentre la macchina era funzionante, con l'aiuto di un altro operaio (più precisamente i ricorrenti hanno evidenziato una serie di condotte del lavoratore portate all'attenzione del giudice dell'impugnazione, che, però, le ha completamente ignorate, soffermandosi solo sulla carenza di formazione e sull'assenza di un'adeguata procedura di pulizia dei rulli, ritenendo erroneamente adottata successivamente al sinistro quella vigente già dal maggio 2011); 2) la violazione degli artt. 133 e 62 n. 6 cod.pen. in relazione alla quantificazione della pena, avvenuta in base a generici riferimenti alla gravità dell'infortunio, alla mancata formazione ed alle ipotizzate prassi scorrette e pericolose, ed in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante del risarcimento del danno, nonostante l'intervento dell'assicurazione della società, come da transazione conclusa in data 8 gennaio 2016 ed allegata al ricorso.

Considerato in diritto

1. Occorre premettere che, in considerazione della sospensione della prescrizione collegata alle istanze di rinvio della difesa all'udienza del 16 dicembre 2014, dell'11 marzo 2015, 15 settembre 2015, la prescrizione non è ancora maturata. In proposito va ricordato che il rinvio del processo disposto sull'accordo delle parti comporta la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell'art. 159, comma 1, n. 3), cod. pen., anche nel caso in cui l'accoglimento della richiesta di rinvio non sia imposto da una particolare disposizione di legge (Sez. 6, n. 51912 del 17/10/2017 ud. - dep. 14/11/2017, Rv. 271561 - 01) e che, qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio della udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per concorrente impegno professionale di detto difensore, il corso della prescrizione è sospeso per tutto il periodo del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell'ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione, non trovando applicazione i limiti di durata previsti dall'art. 159, comma primo, n. 3 cod. pen. (Sez. 3, n. 19687 del 21/03/2018 Ud. - dep. 07/05/2018, Rv. 273057 - 01).
2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto integra una mera riproposizione delle censure svolte in appello e prescinde completamente dalle argomentazioni dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto decisiva l'omessa formazione del dipendente F.R..
Nella sentenza impugnata si legge, difatti, che "il lavoratore prestava la propria attività presso la Terninox s.p.a. da circa 5 anni rispetto all'epoca del sinistro, ma era addetto ad altro impianto; il giorno del sinistro era stato spostato al differente macchinario senza sapere alcunché del funzionamento il dipendente ha riferito che non era stato istruito dai colleghi, nel senso che, per le operazioni di pulizia del macchinario in questione, seguiva ciò che vedeva fare dai colleghi"; "dalle dichiarazioni testimoniali di F.V., collega che svolgeva l'attività de qua con il F.R., all'udienza del 7.6.16 è risultato che: F.R. era stato spostato al macchinario in questione solo quel giorno"; "dalla deposizione del teste C.E., tecnico della prevenzione dell'ASL di Monza all'udienza del 6.6.16, è emerso che il F.R. non aveva effettuato alcuna attività di formazione rispetto al funzionamento del macchinario", sicché "la manovra posta in essere, ossia la pulizia della briglia con la macchina in movimento, non fu che l'epilogo scontato della mancanza di informazioni adeguate", atteso che il lavoratore può percepire eventuali anomalie nella propria condotta e conseguentemente astenersene soltanto se dotato della necessaria formazione stratificata dalla consueta prassi operativa.
La censura formulata non contiene alcuna critica rispetto a tali passaggi del ragionamento svolto, che sono da soli sufficienti a sostenere il giudizio di responsabilità penale dei ricorrenti, in quanto le ulteriori argomentazioni relative all'inadeguatezza della procedura concernente la pulizia dei rulli sono meramente rafforzative ed aggiuntive, come confermato dall'incipit del successivo sviluppo della motivazione ("oltre a tale profilo di responsabilità"). Da tale premessa deriva, pertanto, l'irrilevanza di un eventuale errore - contenuto nella sentenza impugnata - sull'epoca di adozione di un'adeguata e corretta procedura per la pulizia dei rulli, che, comunque, non è stata spiegata al dipendente, vittima dell'infortunio. In proposito va, difatti, ribadito, come già affermato da Sez. 4, n. 2984 del 29/01/1992 ud. - dep. 17/03/1992, Rv. 189648, che l'eventuale errore contenuto in una delle argomentazioni della motivazione è irrilevante se il giudizio di merito sia fondato anche su elementi del tutto diversi e rispetto ai quali la motivazione non appare viziata. A ciò si aggiunga che ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.
Va, infine, sottolineato che, in tema di sicurezza sul lavoro, il preposto assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative "contra legem" (Sez. 4, n. 4340 del 24/11/2015 ud. - dep. 02/02/2016, Rv. 265977 - 01), e che non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l’infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/04/2015 ud. - dep. 28/05/2015, Rv. 263497 - 01). Alla luce di tali principi va ribadita la irrilevanza del momento in cui è stata adottata la corretta procedura per la pulitura della macchina a rulli, tenuto conto che dall'istruttoria è emersa l'instaurazione di una prassi difforme e pericolosa.
Solo per completezza va evidenziato che nella sentenza di primo grado è stata specificamente affrontata e risolta in senso positivo, con indicazione delle relative deleghe, la questione dell'attribuzione ai preposti A.G. e S. poteri specifici di formazione dei lavoratori, che, nel caso di specie, peraltro, non esigevano né particolari competenze né autonomia di spesa, risolvendosi nella mera necessità di assicurare ai lavoratori adeguate istruzioni e spiegazioni sulle macchine utilizzate e sulle relative procedure da seguire.
3. Il secondo motivo è in parte fondato.
Mentre la quantificazione della pena e l'allontanamento dal minimo edittale è stata adeguatamente giustificata in considerazione della gravità della condotta e del danno, il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen. è stato fondato sull'avvenuto risarcimento del lavoratore da parte degli istituti preposti alla previdenza sociale, senza alcuna valutazione della transazione tra la vittima e la compagnia di assicurazione della società datrice di lavoro, che non solo è stata allegata al presente ricorso, ma risulta prodotta all'udienza del 2 febbraio 2016, in cui è stata dichiarata l'apertura del dibattimento del giudizio di primo grado. Va, difatti, ricordato che, ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., il risarcimento, ancorché effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall'imputato medesimo se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018 Ud. - dep. 18/05/2018, Rv. 273587 - 01).
4. In conclusione, la sentenza va annullata limitatamente al punto concernente l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., di cui il giudice del rinvio valuterà la sussistenza dei presupposti alla luce della documentazione allo stato non esaminata. Per completezza va ricordato che nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento parziale della sentenza per mancato riconoscimento di una circostanza attenuante è impedita la declaratoria della prescrizione, essendosi ormai formato il giudicato sulla affermazione di responsabilità (tra le tante in questo senso v. Sez. 3, n. 19690 del 03/04/2013 ud. - dep. 08/05/2013, Rv. 256377 - 01), in quanto incidono sul computo dei termini di prescrizione solo le aggravanti che stabiliscono una pena di specie diversa e quelle ad effetto speciale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen. e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta i ricorsi nel resto.
Visto l'art. 624 cod.proc.pen., dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità degli imputati.
Così deciso 9 gennaio 2019.

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 3217 Anno 2019.pdf
 
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Decreto 18 luglio 2014

ID 7856 | | Visite: 4040 | Prevenzione Incendi

Decreto 18 luglio 2014

Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli interporti, con superficie superiore a 20.000 m², e alle relative attività affidatarie.

(GU n.173 del 28-07-2014)
_______

Att. 79 del DPR 1° agosto 2011, n. 151

Aerostazioni, stazioni ferroviarie, stazioni marittime, con superficie coperta accessibile al pubblico superiore a 5.000 m2; metropolitane in tutto o in parte sotterranee. 

N.

ATTIVITÀ

(DPR 151/2011)

CATEGORIA

A

B

C

79

Interporti con superficie superiore a 20.000 m2

 

 

Tutti

Equiparazione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82

--

Non presente nell’allegato al DM 16/02/82 in quanto attività di nuova istituzione

Tale attività viene equiparata, ai soli fini della determinazione degli oneri relativi alle prestazioni del Corpo Nazionale dei vigili del fuoco, all’attività 87 dell’allegato al DM 16/02/82.

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21° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

ID 7841 | | Visite: 10903 | Decreti Sicurezza lavoro

21° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche 

25 Febbraio 2019

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto Direttoriale n. 8 del 25 Febbraio 2019

Con il Decreto direttoriale n. 8 del 25 Febbraio 2019, è stato adottato il ventunesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del d.i. 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Il suddetto decreto è composto da sei articoli:

- all'articolo 1 è rinnovata l'iscrizione per i soggetti per i quali la Commissione di cui al d.i. 11 aprile 2011 ha potuto tempestivamente concludere la propria istruttoria;
- all'articolo 2 sono apportate le variazioni alle iscrizioni già in possesso sulla base delle richieste pervenute nei mesi precedenti;
- all'articolo 3, vengono ulteriormente prorogati i soggetti ivi indicati per i quali è tuttora in corso l'attività di istruttoria tecnica da parte della Commissione di cui al d.i. 11 aprile 2011 delle istanze di rinnovo dell'iscrizione quinquennale, al fine di garantirne - la continuità operativa e l'iscrizione nell'elenco dei soggetti abilitati;
- all'articolo 4 è riportata la cancellazione dall'elenco dei soggetti abilitati;
- all'articolo 5 viene specificato che con il presente decreto si adotta l'elenco aggiornato, in sostituzione di quello adottato con il decreto del 10 agosto 2018, n. 72;
- all'articolo 6 sono riportati, come di consueto, gli obblighi cui sono tenuti i soggetti abilitati.

 Fonte: MPLS

Tutti gli elenchi pubblicati

D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature

Consulta il database dei Soggetti abilitati 

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D.Lgs. 231/2001 Responsabilità amministrativa enti | Consolidato 2018

ID 5145 | | Visite: 26301 | Decreti Sicurezza lavoro

Cover 231 2018

D.Lgs. 231/2001 Responsabilità amministrativa enti | Consolidato 2018

Ed. 1.1 del 17 Dicembre 2017

D. Lgs 231/2001 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

Attenzione! Vedi testo consolidato ultimo

Il testo consolidato 2018 del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 23 "Responsabilità amministrativa Enti", tiene conto delle modifiche e abrogazioni dal 2001 al 2017.

Disponibile, in allegato, il testo consolidato Riservato Abbonati in formato PDF stampabile/copiabile.

Download Indice Ed. 1.1 del 17 Dicembre 2017

Il testo nativo:

Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231
Disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.
(GU Serie Generale n.140 del 19-06-2001)

Aggiornamenti all'atto:

Ed. 1.1 Dicembre 2017

LEGGE 30 novembre 2017, n. 179 (G.U. 14/12/2017, n. 291) ha disposto (con l'art. 2 comma 1) l'introduzione dei commi 2-bis, 2-ter, 2-quater all'art. 6.

Ed. 1.0 Dicembre 2017

DECRETO LEGGE 25 settembre 2001, n. 350 (G.U. 26/09/2001, n.224) , convertito con modificazioni dalla L. 23 novembre 2001, n. 409 (G.U. 24/11/2001, n. 274)

DECRETO LEGISLATIVO 11 aprile 2002, n. 61 (G.U. 15/04/2002, n.88)

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 maggio 2002, n. 115 (G.U. 15/06/2002, n.139 SO n.126)

LEGGE 14 gennaio 2003, n. 7 (G.U. 27/01/2003, n.21)

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 14 novembre 2002, n. 313 (G.U. 13/02/2003, n.36 in SO n.22)

DECRETO 26 giugno 2003, n. 201 (G.U. 04/08/2003, n.179)

LEGGE 11 agosto 2003, n. 228 (G.U. 23/08/2003, n.195)

LEGGE 18 aprile 2005, n. 62 (G.U. 27/04/2005, n.96 SO n.76)

LEGGE 28 dicembre 2005, n. 262 (G.U. 28/12/2005, n.301 SO n.208)

LEGGE 9 gennaio 2006, n. 7 (G.U. 18/01/2006, n.14)

LEGGE 6 febbraio 2006, n. 38 (G.U. 15/02/2006, n.38)

LEGGE 3 agosto 2007, n. 123 (G.U. 10/08/2007, n.185)

DECRETO LEGISLATIVO 21 novembre 2007, n. 231 (G.U. 14/12/2007, n.290 SO n.268)

LEGGE 18 marzo 2008, n. 48 (G.U. 04/04/2008, n.80 in SO n.79)

DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008, n. 81 (G.U. 30/04/2008, n.101 SO n.79)

LEGGE 15 luglio 2009, n. 94 (G.U. 24/07/2009, n.170 SO n.128)

LEGGE 23 luglio 2009, n. 99 (G.U. 31/07/2009, n.176 SO n.136)

LEGGE 3 agosto 2009, n. 116 (G.U. 14/08/2009, n.188)

LEGGE 23 dicembre 2009, n. 191 (iG.U. 30/12/2009, n.302 SO n.243)

DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121 (in G.U. 01/08/2011, n.177)

LEGGE 12 novembre 2011, n. 183 (G.U. 14/11/2011, n.265 SO n.234)

DECRETO LEGISLATIVO 16 luglio 2012, n. 109 (G.U. 25/07/2012, n.172)

LEGGE 6 novembre 2012, n. 190 (G.U. 13/11/2012, n.265)

DECRETO-LEGGE 31 agosto 2013, n. 101 (G.U. 31/08/2013, n.204), convertito con modificazioni dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125 (G.U. 30/10/2013, n. 255)

DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2014, n. 39 (G.U. 22/03/2014, n.68)

LEGGE 15 dicembre 2014, n. 186 (G.U. 17/12/2014, n.292)

LEGGE 22 maggio 2015, n. 68 (G.U. 28/05/2015, n.122)

LEGGE 27 maggio 2015, n. 69 (G.U. 30/05/2015, n.124)

LEGGE 29 ottobre 2016, n. 199 (G.U. 03/11/2016, n.257)

DECRETO LEGISLATIVO 15 marzo 2017, n. 38 (G.U. 30/03/2017, n.75)

LEGGE 17 ottobre 2017, n. 161 (G.U. 04/11/2017, n.258)

LEGGE 20 novembre 2017, n. 167 (G.U. 27/11/2017, n.277)
...

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Pagine: +120
Edizione: 1.1
Pubblicato: 17/12/2017
Autore: Ing. Marco Maccarelli
Editore: Certifico s.r.l. 
Lingue: Italiano 
ISBN: 978-88-98550-83-8
Abbonati: Sicurezza/2X/3X/4X/Full

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 2 del 15 Febbraio 2019

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 2 del 15 Febbraio 2019

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 15 Febbraio 2019 (n. 2/2019):

15/02/2019 - n. 02/2019 Destinatario: Regione Toscana

Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - risposta al quesito inerente l'applicazione, per l'attività degli Enti ispettivi, della Circolare “Orientamenti pratici per la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (ESEDI) all'amianto nell'ambito delle attività previste dall'art. 249 c. 2 del  D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal D. Lgs. 3 agosto 2009, n. 106"

Oggetto: art. 12, d.gs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - risposta all'applicazione, per l'attività degli Enti ispettivi, della Circolare Orientamenti pratici per la determinazione delle ESEDI.

La Regione Toscana ha formulato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito all'applicazione, per l'attività degli Enti ispettivi, della Circolare “Orientamenti pratici per la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (ESEDI) all'amianto nell'ambito delle attività previste dall'art. 249 c. 2 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal D. Lgs. 3 agosto 2009, n. 106”.

In particolare l'istante chiede se il punto d), dell'allegato 1 alla Circolare Esedi, trova applicazione per gli Enti ispettivi.

Nello specifico il richiedente rappresenta che al punto d), dell'allegato 1 alla lettera circolare richiamata, per la "Sorveglianza e controllo dell'aria e prelievo dei campioni ai fini dell'individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale si citano attività di campionamento ed analisi di campioni aerei o massivi ed attività di sopralluogo per accertare lo stato di conservazione dei manufatti installati".

...

_______

Art. 249 co. 2 D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 

2. Nei casi di esposizioni sporadiche e di debole intensita' e a condizione che risulti chiaramente dalla valutazione dei rischi di cui al comma 1 che il valore limite di esposizione all'amianto non e' superato nell'aria dell'ambiente di lavoro, non si applicano gli articoli 250 251, comma 1, 259 e 260, comma 1, nelle seguenti attivita':

a) brevi attivita' non continuative di manutenzione durante le quali il lavoro viene effettuato solo su materiali non friabili;

b) rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice;

c) incapsulamento e confinamento di materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato;

d) sorveglianza e controllo dell'aria e prelievo dei campioni ai fini dell'individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale.

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Linee di Indirizzo alcol e stupefacenti lavoro-correlati 2019

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Linee di Indirizzo 2019 alcol e stupefacenti lavoro

Indirizzi per la prevenzione di infortuni gravi e mortali correlati all'assunzione di alcolici e di sostanze stupefacenti

Conferenza Stato-Regioni, 13 febbraio 2019

L'ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni, convocata per mercoledì 13 febbraio 2019, alle ore 14.45 presso la Sala riunioni del I piano di Via della Stamperia, n. 8, in Roma, è integrato come segue:

8. Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento "Indirizzi per la prevenzione di infortuni gravi e mortali correlati all'assunzione di alcolici e di sostanze stupefacenti, l'accertamento di condizioni di alcol dipendenza e di tossicodipendenza e il coordinamento delle azioni di vigilanza" del Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e di sicurezza sul lavoro ex articolo 5 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. (SALUTE) Codice sito 4.10/2015/84 - Servizio sanità, lavoro e politiche sociali.

PCdM DAR 0002262 P-4.37.2.21 del 07/02/2019

http://www.regioni.it/conferenze/2019/02/07/13022019-integrazione-ordine-del-giorno-594355/

(CSR - Sottoposizione definitiva CSR)

______

REPORT Conferenza Stato-Regioni - Seduta del 13 febbraio 2019

Odg 8.
8. Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento "Indirizzi per la prevenzione di infortuni gravi e mortali correlati all'assunzione di alcolici e di sostanze stupefacenti, l'accertamento di condizioni di alcol dipendenza e di tossicodipendenza e il coordinamento delle azioni di vigilanza" del Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e di sicurezza sul lavoro ex articolo 5 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
RINVIO

Il testo definitivo Min. Salute 2017

Decreto 22 dicembre 2018 n. 151

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Decreto 22 dicembre 2018 n. 151

Regolamento di attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impegnano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare.

(GU n.39 del 15-02-2019)

Entrata in vigore del provvedimento: 02/03/2019

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 6397 | 11 Febbraio 2019

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Sentenze cassazione penale

Braccio incastrato nell'autobetoniera priva di griglia di protezione. 

Penale Sent. Sez. 4 Num. 6397 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 06/12/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Ancona l'11 dicembre 2017, in parziale riforma della sentenza emessa all'esito del dibattimento il 12 aprile 2016 dal Tribunale di Macerata, che aveva riconosciuto D.S., in veste di legale rappresentante della s.r.l. Gheos e della s.r.l. Diesse Trading, responsabile delle lesioni colpose patite dal lavoratore dipendente (della ditta Gheos) R.B., con violazione della disciplina antinfortunistica, ed inoltre aveva riconosciuto l'infortunato R.B. responsabile della contravvenzione di cui all'art. 20, comma 2, lett. g, del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (ex art. 59, comma 1, lett. a, del d. lgs. n. 81 del 2008), per avere effettuato di propria iniziativa un'operazione tale da compromettere la sicurezza sul lavoro, fatti commessi entrambi il 31 maggio 2012, in conseguenza condannando ciascuno alla pena di giustizia, invece, ha assolto R.B. dal reato contestato, per insussistenza del fatto, confermando integralmente la sentenza per quanto riguarda la posizione del datore di lavoro D.S..
2. Sinteticamente, i fatti, come ricostruiti dai giudici di merito.
R.B., dipendente con mansioni di autista e di preposto all'autobetoniera della s.r.l. Gheos di cui D.S. era legale rappresentante, il 31 maggio 2011 è salito sulla scaletta posteriore di un'autobetoniera di proprietà della "Diesse Trading" s.r.l., ditta di cui pure D.S. era legale rappresentante, veicolo che era privo di carter di protezione in corrispondenza del tamburo sito nella zona posteriore, in violazione dell'art. 71, comma 4, lett. a), punto n. 2, del d. lgs. n. 81 del 2008.
Mentre il Tribunale aveva ritenuto che R.B., giunto alla posizione di ispezione, abbia introdotto all'interno del tamburo, che era in movimento, la lancia di lavaggio in maniera impropria, senza avere previamente fermato la rotazione del tamburo, sicché il braccio sinistro del malcapitato è restato incastrato nelle alette in movimento della betoniera, con conseguenze gravissime, essendosi reso necessario amputare l'omero sinistro, la Corte di appello invece ha ritenuto, alla stregua di plurimi elementi fattuali, essere occorso un gesto accidentale ed incolpevole del lavoratore (malore o perdita di equilibrio nello scendere per avere messo male il piede di appoggio ovvero giramento di testa), con le gravi conseguenze descritte, per essere rimasto il braccio sinistro in posizione piegata incastrato tra le alette all'altezza del gomito.
D.S., invece, è stato nei gradi di merito ritenuto responsabile per non avere dotato l'autobetoniera di apposita griglia di sicurezza, prevista dal manuale di uso del mezzo, atta ad evitare che gli arti dei lavoratori potessero rimanere incastrati - come avvenuto - nelle alette rotanti dentro il tamburo.
3. Ricorre tempestivamente per la cassazione della sentenza, tramite difensore, D.S., che si affida a due motivi con i quali denunzia, rispettivamente, difetto di motivazione e violazione di legge.
3.1. Con il primo motivo, in particolare, censura contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere assolto R.B. e condannato D.S., nonostante le incertezze e le contradditorietà degli elementi probatori, con particolare riferimento all'esito della perizia svolta in primo grado dalla dr.ssa Omissis alle osservazioni del consulente tecnico della difesa, prof. Omissis, e alle dichiarazioni rese dalla vittima R.B..
La questione di fondo consiste - rileva il ricorrente - nella presenza o meno della griglia di protezione in corrispondenza del tamburo nella betoniera.
La Corte territoriale ha ritenuto la griglia assente, facendo proprie le considerazioni del perito, dr.ssa Omissis, ma trascurando le osservazioni del consulente di parte, secondo il quale la grigia veniva asportata senza dare previa comunicazione a D.S.. In tal senso milita anche la constatazione che, come emerso, tutti gli altri numerosi automezzi della ditta "Diesse Trading" s.r.l. sono forniti di griglia.
Le differenti considerazioni svolte dalla Corte territoriale (alla p. 5) trascurerebbero che l'asportazione o la collocazione della griglia sono possibili anche direttamente da parte dei dipendenti, come affermato dalla p.o. all'udienza del 23 giugno 2015 e come ritenuto anche dal c.t. di parte, prof. Omissis, che ha verificato che nel manuale della parte di ricambio si legge che la rete di protezione e gli accessori sono asportabili attraverso la rimozione dei soli bulloni.
La rimovibilità della griglia pone il tema della effettiva conoscenza della avvenuta asportazione della stessa da parte dell'imprenditore, conoscenza che doveva essere necessariamente trasferita dai dipendenti all'imprenditore, il quale peraltro aveva numerosi mezzi in varie parti d'Italia, quindi al di fuori della sfera di diretto controllo sugli stessi.
La causa del sinistro, anche alla luce del principio di auto-responsabilità di cui al d. lgs. n. 81 del 2008, è da rinvenire, dunque, nella condotta di R.B., il quale non doveva comunque avvicinarsi alle alette della betoniera in movimento, essendo tenuto a fermare la rotazione del tamburo prima di salire sulla scaletta e, in ogni caso, ad informare il titolare dell'assenza della griglia di protezione, cosa che invece ha omesso di fare.
3.2. Mediante l'ulteriore motivo il ricorrente lamenta la violazione od erronea applicazione degli artt. 27 Cost. e 533, comma 1, cod. proc. pen., alla stregua di tutte le considerazioni svolte al punto che precede, per avere la Corte di merito confermato la condanna nonostante gli elementi dimostrino, ad avviso del ricorrente, l'estraneità di D.S. rispetto al fatto contestato, quanto meno per difetto assoluto - si ritiene - dell'elemento soggettivo, apparendo incerta la responsabilità dell'imputato ed «essendo l'evento dannoso da attribuire esclusivamente alla condotta imprudente (salire sulla scaletta con il tamburo dell'autobetoniera in funzione e con la consapevolezza dell'assenza della griglia di protezione, assenza neppure comunicata al datore di lavoro) ascrivibile alla persona offesa R.B.» (così alla p. 7 del ricorso).

Considerato in diritto

1. Premesso che il reato non è prescritto, dovendo calcolarsi 187 giorni di sospensione della prescrizione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
I due profili dell'impugnazione vanno affrontati congiuntamente, essendo riconducibili ad unico tema, quello cioè della asportabilità della griglia senza che il datore di lavoro ne sia informato.
In realtà, la sentenza di appello fa leva sull'esame delle risultanze fotografiche, interpretate dal perito nel senso che il giorno del sinistro risultava mancante non soltanto la griglia ma anche un supporto metallico indicato come assolutamente indispensabile per l'apposizione della stessa, circostanza da cui i giudici di merito traggono la conseguenza - che non risulta né illogica né illegittima - che la grata era mancante dall'origine (pp. 5-6 della sentenza impugnata). Con tale decisiva considerazione la difesa non si confronta, impostando invece l'impugnazione sulla evenienza che la grata, regolarmente montata, sia stata smontata e la circostanza non segnalata all'imprenditore, così sollecitando una - non consentita - rivalutazione delle circostanze di fatto.
2. Discende dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente (art. 616 cod. proc. pen.) al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 06/12/2018.

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Decreto MLPS 22 gennaio 2019

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Decreto MLPS 22 gennaio 2019

Decreto MLPS 22 gennaio 2019 

Individuazione della procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attivita' lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare.

(GU Serie Generale n.37 del 13-02-2019)

Entrata in vigore: 15 marzo 2019

...

Art. 1. Finalità e campo di applicazione

1. Il presente decreto individua, ai sensi dell’art. 161, comma 2 -bis , del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, i criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare. L’applicazione dei criteri di cui al presente decreto non preclude l’utilizzo di altre metodologie di consolidata validità.

2. Le attività lavorative di cui al comma 1 fanno riferimento alle situazioni descritte nei principi per il segnalamento temporaneo di cui all’art. 2 del disciplinare tecnico approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002, le cui previsioni sono fatte salve.

Art. 2. Procedure di apposizione della segnaletica stradale

1. Nelle attività di apposizione della segnaletica per la delimitazione di cantieri stradali in presenza di traffico veicolare, i gestori delle infrastrutture, come definiti dall’art. 14 del Codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e le imprese appaltatrici, esecutrici o affidatarie, applicano almeno i criteri di sicurezza di cui all’allegato I, ovvero criteri equivalenti per le situazioni non disciplinate nel medesimo allegato.

2. Dell’adozione e applicazione dei criteri minimi di cui al comma 1 i gestori delle infrastrutture, come definiti dall’art. 14 del Codice della strada, le imprese appaltatrici, esecutrici e affidatarie e i coordinatori, ove nominati, danno evidenza nei documenti della sicurezza di cui agli articoli 17, 26, 96 e 100 del decreto legislativo n. 81 del 2008.

Art. 3. Informazione e formazione

1. I datori di lavoro del gestore delle infrastrutture e delle imprese esecutrici e affidatarie, ferme restando le previsioni del decreto legislativo n. 81 del 2008, assicurano che gli addetti all’attività di apposizione, integrazione e rimozione della segnaletica oggetto del presente decreto ricevano una informazione, formazione e addestramento specifici relativamente alle procedure di cui all’art. 2.

2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione e dell’addestramento sono individuati nell’allegato II.

Art. 4. Dispositivi di protezione individuale

1. Fermi restando gli obblighi di formazione e addestramento, i datori di lavoro mettono a disposizione dei lavoratori dispositivi di protezione individuale conformi alle previsioni di cui al Titolo III del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Gli indumenti ad alta visibilità devono rispondere a quanto previsto dal decreto legislativo 4 dicembre 1992 n. 475, dal decreto del Ministro dei lavori pubblici del 9 giugno 1995, dal decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 10, e dalla norma UNI EN ISO 20471. Tali indumenti devono essere di classe 3 per tutte le attività lavorative eseguite su strade di categoria A, B, C, e D e almeno di classe 2 per le attività lavorative eseguite su strade di categoria E ed F urbane ed extraurbane, secondo la classificazione di cui all’art. 2, comma 3, del Codice della strada. Non sono più ammessi indumenti ad alta visibilità di classe 1.

2. I veicoli operativi di cui all’art. 38 del Regolamento del Codice della strada, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, devono essere segnalati con dispositivi supplementari a luce lampeggiante, o pannelli luminosi, o segnali a messaggio variabile, ovvero mediante la combinazione di questi segnali, in relazione alla categoria della strada e alla tipologia di intervento.

3. La segnaletica della zona di intervento deve avere le caratteristiche di cui all’art. 3 del disciplinare tecnico approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002.

Art. 5. Raccolta e analisi dei dati

1. Entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro di cui all’articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008, con il coinvolgimento dell’INAIL e dei soggetti preposti al controllo della circolazione stradale, definisce i criteri e le modalità, tenuto conto della competenza delle diverse amministrazioni interessate, per la raccolta e l’analisi dei dati relativi agli infortuni correlati alle attività lavorative di cui all’art. 1, comma 1.

Art. 6. Revisione e integrazione

1. Le previsioni e le procedure previste dal presente decreto, ove necessario, sono oggetto di revisione periodica, con cadenza almeno triennale, anche sulla base dei dati raccolti in ordine alle statistiche degli incidenti in presenza di cantieri stradali di cui all’art. 5.

2. Il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 4 marzo 2013 è abrogato dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. Dall’applicazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il presente decreto entra in vigore decorsi trenta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

...

ALLEGATO I
CRITERI MINIMI PER LA POSA, IL MANTENIMENTO E LA RIMOZIONE DELLA SEGNALETICA DI DELIMITAZIONE E DI SEGNALAZIONE DELLE ATTIVITÀLAVORATIVE CHE SI SVOLGONO IN PRESENZA DI TRAFFICO VEICOLARE

ALLEGATO II
SCHEMA DI CORSI DI FORMAZIONE PER PREPOSTI E LAVORATORI, ADDETTI ALLE ATTIVITÀ DI PIANIFICAZIONE, CONTROLLO E APPOSIZIONE DELLA SEGNALETICA STRADALE DESTINATA ALLE ATTIVITÀ LAVORATIVE CHE SI SVOLGANO IN PRESENZA DI TRAFFICO VEICOLARE.

Documento di approfondimento:

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I dilemmi etici che affliggono la medicina del lavoro stanno divenendo più complessi perché lo sviluppo della scienza, le regole del mercato, le norme civili e deontologiche delle professioni sanitarie non sempre forniscono risposte aggiornate alle questioni etiche che sorgono nel contesto del cambiamento del mondo del lavoro.

Per affrontare i dilemmi etici, un numero crescente di associazioni professionali ha adottato codici etici con l’obiettivo di definire standard di comportamento ai quali i professionisti devono fare riferimento nella pratica quotidiana. In quanto richiamato dalla norma italiana (art. 39, comma 1, d.lgs 81/2008), assume particolare importanza il codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (Icoh).

...

Fonte: INAIL

Modello OT/24 anno 2019

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Modello OT24 2019

Modello da utilizzare per oscillazione del tasso OT/24 anno 2019

Per accedere alla riduzione, l’azienda che ha realizzato interventi migliorativi deve presentare un’apposita istanza (Modulo OT24), esclusivamente in modalità telematica, attraverso la sezione Servizi Online presente sul sito www.inail.it, entro il termine del 28 febbraio 2019, unitamente alla documentazione probante richiesta dall’Istituto.

L’azienda deve indicare sul modulo di domanda (Modulo OT24) gli interventi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro che ha attuato nell’anno solare precedente quello di presentazione della domanda (2018),
in aggiunta a quelli previsti dalla normativa in materia.

Modello OT23 2020 / Modello OT24 2019

A seguito della revisione dell'intero sistema delle tariffe dei premi INAIL, introdotta dal D.I. 27/2/2019, sono stati ricondotte ad un unico articolo (art. 23) le azioni che portavano alla riduzione del tasso INAIL per prevenzione previste dalla normativa precedente (DM 12.12.2000) per il primo biennio di attività dall'art. 20 (Modello OT20) e dopo il primo biennio di attività dall'art. 24 (Modello OT24).

Il nuovo Modello OT23 vale, dunque, per tutte le imprese, sia nel primo biennio di attività della PAT sia dopo il primo biennio di attività, e prevede l'attuazione di azioni migliorative per prevenzione che riprendono quelle del Modello OT24 dell'anno scorso, salvo alcune modifiche.

Vedi Modello OT23 anno 2020

Nel Modello OT24 gli interventi si presentano articolati nelle seguenti quattro sezioni:

A Interventi di carattere generale
B Interventi di carattere generale ispirati alla responsabilità sociale
C Interventi trasversali
D Interventi settoriali generali
E Interventi settoriali.

All’interno di tali sezioni, gli interventi sono classificati in funzione della loro applicabilità all’intera azienda oppure a singole Pat (Posizione Assicurativa Territoriale).

In particolare, gli interventi trasversali generali (TG) e gli interventi settoriali generali (SG), presenti nelle sezioni A e B e D, si riflettono sull’azienda nel suo complesso e devono essere realizzati su tutte le Pat (Posizione Assicurativa Territoriale) del cliente.

Altri interventi, previsti nelle sezioni C ed E, possono essere realizzati anche solo su singole Pat dell’azienda.

In generale, gli interventi possono essere realizzati in tutti i settori produttivi, ad eccezione degli interventi Settoriali Generali (SG), compresi nella sezione D, che possono essere realizzati solo dalle aziende appartenenti a determinati settori
produttivi. Nel caso di accentramento delle posizioni assicurative, gli interventi devono essere realizzati su tutte le sedi di lavoro che confluiscono nella Pat (Posizione Assicurativa Territoriale) accentrante.

...

Per poter accedere alla riduzione del tasso medio di tariffa è necessario aver effettuato interventi tali che la somma dei loro punteggi sia pari almeno a 100.

TG = Trasversale Generale (può essere realizzato su tutti i settori produttivi e produce effetti su tutte le PAT della ditta)
T = Trasversale (può essere realizzato su tutti i settori produttivi ma non necessariamente attuato in tutte le PAT della ditta) 
SG = Settoriale Generale (può essere realizzato solo in alcuni settori e produce effetti su tutte le PAT) 
S = Settoriale (il punteggio varia in funzione dei settori e può essere attuato non necessariamente in tutte le PAT)

Novità del modello 2019:

E INTERVENTI SETTORIALI

E-19 INTERVENTI PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO DA POLVERI CONTENENTI SILICE LIBERA CRISTALLINA RESPIRABILE NEL SETTORE CERAMICHE - PIASTRELLE: l’azienda ha adottato misure che hanno portato o mantenuto i livelli di esposizione personale dei lavoratori al di sotto del valore di 0,05 mg/m3 

Punteggio= 80

Note:
Ai fini del presente intervento per “misure” si intendono quelle individuate nelle schede specifiche di cui alla parte 4 della buona pratica elaborata dal Network Italiano Silice: Piastrelle ceramiche - Indicazioni sulle misure  di prevenzione e protezione per la riduzione della esposizione a polveri contenenti Silice Libera Cristallina.

Il livello di esposizione a silice libera cristallina dei lavoratori nei reparti interessati deve essere misurato ante e post intervento; il livello post intervento dovrà risultare inferiore a 0,05 mg/m3 e comunque non superiore a quello rilevato prima dell’intervento. Tutte le misure dovranno essere realizzate adottando la medesima metodologia, in accordo con le norme tecniche UNI ISO 16258 - parti 1 e 2 (misurazione della concentrazione di silice libera cristallina aerodispersa) e UNI EN 482 e UNI EN 689 (valutazione del rischio da esposizione a polveri).

E-20 INTERVENTI PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO DA POLVERI CONTENENTI SILICE LIBERA CRISTALLINA RESPIRABILE NEL SETTORE FONDERIE: l’azienda ha adottato misure che hanno portato o mantenuto i livelli di esposizione personale dei lavoratori al di sotto del valore di 0,05 mg/m3 

Punteggio=80

Note:
Ai fini del presente intervento per “misure” si intendono quelle individuate nelle schede specifiche di cui alla parte 4 della buona pratica elaborata dal Network Italiano Silice reperibile: Comparto fonderie - Indicazioni sulle misure di prevenzione e protezione per la riduzione della esposizione a polveri contenenti Silice Libera Cristallina.
Il livello di esposizione a silice libera cristallina dei lavoratori nei reparti interessati deve essere misurato ante e post intervento; il livello post intervento dovrà risultare inferiore a 0,05 mg/m3 e comunque non superiore a quello rilevato prima dell’intervento. Tutte le misure dovranno essere realizzate adottando la medesima metodologia, in accordo con le norme  tecniche UNI ISO 16258 - parti 1 e 2 (misurazione della concentrazione di silice libera cristallina aerodispersa) e UNI EN 482 e UNI EN 689 (valutazione del rischio da esposizione a polveri)

E -21 INTERVENTI PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO DA POLVERI CONTENENTI SILICE LIBERA CRISTALLINA RESPIRABILE NEL COMPARTO LAPIDEO: l’azienda ha adottato misure che hanno portato o mantenuto i livelli di esposizione personale dei lavoratori al di sotto del valore di 0,05 mg/m3 

Punteggio=80

Note:
Ai fini del presente intervento per “misure” si intendono quelle individuate nelle schede specifiche di cui alla parte 4 della buona pratica elaborata dal Network Italiano Silice: Comparto lapideo - Indicazioni sulle misure di prevenzione e protezione per la riduzione della esposizione a polveri contenenti Silice Libera Cristallina.
Il livello di esposizione a silice libera cristallina dei lavoratori nei reparti interessati deve essere misurato ante e post intervento; il livello post intervento dovrà risultare inferiore a 0,05 mg/m3 e comunque non superiore a quello rilevato prima dell’intervento. Tutte le misure dovranno essere realizzate adottando la medesima metodologia, in accordo con le norme tecniche UNI ISO 16258 - parti 1 e 2 (misurazione della concentrazione di silice libera cristallina aerodispersa) e UNI EN 482 e UNI EN 689 (valutazione del rischio da esposizione a polveri).

E -22 INTERVENTI PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO DA POLVERI CONTENENTI SILICE LIBERA CRISTALLINA RESPIRABILE NEI LAVORI DI SCAVO DI GALLERIE: l’azienda ha adottato misure che hanno portato o mantenuto i livelli di esposizione personale dei lavoratori al di sotto del valore di 0,05 mg/m3 

Punteggio=80

Note:
Ai fini del presente intervento per “misure” si intendono quelle individuate nelle schede specifiche di cui alla parte 4 della buona pratica elaborata dal Network Italiano Silice: Indicazioni sulle misure di prevenzione e protezione per la riduzione della esposizione a polveri contenenti Silice Libera Cristallina - Scavo di gallerie.
Il livello di esposizione a silice libera cristallina dei lavoratori nei reparti interessati deve essere misurato ante e post intervento; il livello post intervento dovrà risultare inferiore a 0,05 mg/m3 e comunque non superiore a quello rilevato prima dell’intervento. Tutte le misure dovranno essere realizzate adottando la medesima metodologia, in accordo con le norme tecniche UNI ISO 16258 - parti 1 e 2 (misurazione della concentrazione di silice libera cristallina aerodispersa) e UNI EN 482 e UNI EN 689 (valutazione del rischio da esposizione a polveri).

Vedi Documenti 

Rischio silice quadro normativo

Rischio silice: quadro normativo e documenti

Scheda tecnica 02.04.2018

Documento e riferimenti, in allegato, sulla Silice Libera Cristallina e sul rischio SLC nelle attività estrattive, di lavorazione pietre, ecc: i nuovi limiti UE, i limiti delle principali organizzazioni, le lavorazioni, le malattie professionali riconosciute e tutti i Documenti preparatori e Linee guida del NIS (Network Italiano Silice).

________

UNI EN 689 2018

UNI EN 689:2018 sostituisce UNI EN 689:1997

Atmosfera nell'ambiente di lavoro - Misura dell'esposizione per inalazione agli agenti chimici - Strategia per la verifica della conformità coi valori limite di esposizione occupazionale
La norma definisce una strategia per effettuare misure rappresentative dell’esposizione per inalazione ad agenti chimici in modo da dimostrare la conformità coi limiti di esposizione occupazionale (OELVs).
La presente norma europea non è applicabile a OELVs con periodi di riferimento inferiori ai 15 minuti.

http://store.uni.com/catalogo/index.php/uni-en-689-2018.html

Data entrata in vigore: 12 luglio 2018

Recepisce:
EN 689:2018

Sostituisce:
UNI EN 689:1997
_________

In allegato preview EN 689:2018 riservato Abbonati 

La EN 689 è una delle metodiche standardizzate per la misurazione degli agenti contenute nell’allegato ALLEGATO XLI del D.Lgs.81/08-Titolo IX art.225 c.2.

Nell’ambito della valutazione del rischio chimico all’interno di un’azienda, l’analisi dell’esposizione alle sostanze contenute nell’aria è sempre molto difficoltosa.
All’interno delle aziende, difatti, esistono diverse attività lavorative, diversi processi che impiegano, o possono impiegare, sostanze chimiche potenzialmente pericolose per inalazione. Può essere molto complesso, inoltre, analizzare la velocità di emissione, i tempi di emissione, la distanza dalle fonti di emissione, in relazione all’effettiva esposizione dei lavoratori.
La EN 689 indica strategie e metodologie per misurare la concentrazione degli agenti chimici, mettere in rapporto l’esposizione inalatoria degli operatori con i valori limite di riferimento e consentire il confronto dei dati nel tempo, definendo la periodicità delle misure

E-23 INTERVENTI PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO IN AMBIENTI SOSPETTI DI INQUINAMENTO E IN AMBIENTI CONFINATI: l’azienda con meno di 50 lavoratori ha acquistato dispositivi e/o robot atti a eliminare o ridurre la presenza dell’uomo all’interno di ambienti sospetti di inquinamento e/o di ambienti confinati.

Punteggio= 60

Note:
Ai fini del presente intervento per “ambienti sospetti di inquinamento e ambienti confinati” si intendono quelli così definiti dal d.p.r. 177/2011 (rispettivamente, ambienti di cui agli articoli 66 e 121 del d.lgs. 81/2008 e ambienti di cui all'allegato IV, punto 3, del medesimo decreto).
L’intervento si intende realizzato se l’azienda ha acquistato nell’anno 2018 almeno un dispositivo (ad es. trivelle perforanti, cannoni ad aria compressa, lance o ugelli per lavaggio, dispositivi per mescolamento ecc.) o un robot (ad es. per ispezioni, per pulizia in remoto, per lavaggio ecc.) atti a eliminare o ridurre la presenza dell’uomo all’interno di ambienti sospetti di inquinamento e/o di ambienti confinati.
L’intervento può essere riproposto per i quattro anni successivi a quello di acquisto dei dispositivi/robot.

 Vedi Prodotto

DVR Procedure Spazi confinati Rev 3.1

DVR & Procedure Spazi confinati

NEW Ed. 3.1 Novembre 2018

Il Prodotto consente di redigere un DVR e relative Procedure di sicurezza per il Rischio Ambienti Confinati. 
E' disponibile un Modello master doc di Documento completo di Procedure, check list, guide, normativa e altra documentazione d'interesse. 

La valutazione dei rischio specifico ambienti confinati è prevista, se presente, come attività da integrare nel DVR generale (artt. 17 e 28 D.Lgs. 81/08) in particolare in riferimento agli Artt. 66 e 121 o in accordo con il DPR 177/2011.

Il Modello è strutturato con la metodologia di OHSA CFR 1910.146 con il concetto di "permesso di lavoro per operare negli spazi confinati" (PRCS) "Permit-Required Confined Spaces" e alcuni passi (di studio) estratti da NIOSH Worker Deaths in Confined Spaces No. 94-103 e Working in Confinated Spaces No 80‐106; illustrate inoltre apposite Procedure di sicurezza per operare in ambienti confinati.

Quindi in relazione alla possibilità di dover intervenire all'interno degli spazi confinati e, al fine di avere uno strumento efficace per la gestione della sicurezza e salute, nonché, delle criticità nella gestione delle emergenze, viene adottata la metodologia suddetta per la valutazione del rischio e classificazione degli spazi confinati, ad integrazione del processo di valutazione compiuto nel DVR generale aziendale.

 ...

Segnaliamo inoltre quale intervento trasversale: 

C-16 INTERVENTI PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO ELETTRICO: l’azienda ha effettuato nel corso dell’anno 2018 una analisi termografica a una o più parti di impianto elettrico e ha conseguentemente attuato le opportune azioni correttive.

Punteggio = 50

Note:

L’intervento si riferisce a parti di impianto quali quadri elettrici, quadri di comando e trasformatori.
Il rilievo termografico e l’interpretazione e valutazione dei dati rilevati devono essere eseguiti da persone certificate in accordo ai Livelli 1 e 2 previsti dalla norma UNI EN ISO 9712. Ogni punto oggetto di analisi termografica deve essere corredato da foto nel campo visibile e infrarosso.

Documentazione ritenuta probante:

- Report dell’analisi termografica, corredato da foto nel campo visibile e infrarosso, datato e firmato da persona certificata almeno di Livello 2 secondo la norma UNI EN ISO 9712.
- Per la persona che ha condotto il rilievo termografico sul campo: evidenza del nome e cognome e della certificazione almeno di Livello 1, metodo TT (Termografia a infrarossi) secondo la norma UNI EN ISO 9712.
- Per la persona che ha redatto il report di analisi, evidenza del nome e cognome e della certificazione almeno di Livello 2, metodo TT (Termografia a infrarossi) secondo la norma UNI EN ISO 9712.
- Evidenze dell’attuazione delle eventuali azioni correttive poste in atto (ad es. fatture, schede di intervento, ecc.).

 Vedi Documento 

INDAGINI TERMOGRAFICHE INDUSTRIALI: APPLICAZIONI E NORME

Un Documento sull'applicazione della UNI ISO 18434-1:2011 (Estratto Appendici A, B e C) Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine - Termografia

La termografia industriale IR applicata alle macchine, può avere un duplice obbiettivo:

1. quale strumento per sicurezza, prevenzione dal rischio incendio ed esplosione importante (indagine predittive); 
2. per l'ottimizzazione degli oneri di manutenzione.

Le termografia IR è un metodo di indagine “non distruttivo” (Prove Non Distruttive - NPD) cioè non va ad interagire direttamente con l’oggetto in esame, esistono molte norme che regolamentano l’analisi, la formazione dei soggetti addetti.

Le prove termografiche devono essere condotte secondo i principi di UNI EN 16714-1, 2, 3 e a seconda dell'applicazione (del caso UNI ISO 18434-1:2011 Monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine) ed in particolare UNI ISO 18436-7:2014 per i requisiti per la qualificazione e la valutazione del personale nella termografia monitoraggio e diagnostica dello stato delle macchine (vedi anche UNI EN ISO ISO 9712:2012 per la qualificazione e certificazione del personale NPD).

Vedi Documento 

Segnaliamo inoltre quale intervento settoriale:

E7 - INTERVENTI PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO DA LAVORO IN SOLITARIO: sono stati acquistati o noleggiati sistemi di rilevamento “uomo a terra”

Documentazione ritenuta probante:
- Fatture di acquisto o contratto di noleggio dei dispositivi, relativi all’anno 2018
- Stralcio del DVR dal quale risultino le mansioni a rischio per lavoro in solitario

 Vedi Documento 

Lavoratori isolati sicurezza

Lavoratori isolati: Sicurezza

Il Documento allegato affronta il quadro normativo generale della Sicurezza dei "Lavoratori isolati", con riferimento all'uso dei dispositivi con funzionalità uomo a terra e immobilità o isolato (man down) geolocalizzati, estremamente utili e segnalati su quesito MLPS, per l'emergenza in questo contesto lavorativo.

Non è definita dalla legislazione la figura del "lavoratore isolato" (salvo alcuni riferimenti di cui in seguito), malgrado molti lavoratori eseguono attività lavorative che possono essere ricondotte a tale figura in considerazione del concetto. A riferimento, la norma UNI EN ISO 15743 Ergonomia dell’ambiente termico – Posti di lavoro al freddo – Valutazione e gestione del rischio, per la gestione organizzativa per i lavori in ambienti a basse temperature es. lavori in celle frigo, che sono molte volte riconducibili a lavoro isolati/lavori in condizioni particolari.

Fonte: INAIL

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 5007 | 01 Febbraio 2019

ID 7741 | | Visite: 2427 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio durante l'assemblaggio di due leve oscillanti di una macchina utensile

Nessuna responsabilità del datore di lavoro che valuta il rischio e adotta idonee misure di sicurezza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 5007 Anno 2019

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 28/11/2018

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Asti ha assolto P.M. dal reato ascritto di lesioni colpose per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, con la formula: "perché il fatto non costituisce reato".
1.1. La vicenda attiene all'infortunio subito dal lavoratore F.B., mentre questi era intento all'assemblaggio di due leve oscillanti di una macchina utensile (Curvatubi mod. 305 HV). Tali leve dovevano essere posizionate, allineate e centrate al fine di poter inserire il perno. Ad un certo punto la leva di sinistra si era incastrata e non scendeva nella corretta posizione. F.B. stava cercando di posizionarla tenendola con le due mani (quella destra all'interno del macchinario), quando improvvisamente la leva era scivolata nella sua posizione, urtando il dito medio della mano destra del F.B., provocandogli le lesioni per cui si procede (amputazione dell'apice del 3° dito della mano destra).
Secondo la contestazione l'imputato, quale datore di lavoro, avrebbe colposamente omesso di valutare adeguatamente il rischio presente nell'operazione assegnata al F.B.; inoltre, non avrebbe provveduto alla formazione sui rischi riferiti alle mansioni ed alle conseguenti misure e procedure di prevenzione, con particolare riferimento a situazioni anormali prevedibili derivanti dall'uso delle attrezzature di lavoro.
1.2. Il Tribunale, di contro, ha ritenuto che il lavoratore, nell'occorso, avesse tenuto un comportamento esorbitante rispetto alle disposizioni impartite dal datore di lavoro, in violazione delle norme che impongono anche ai lavoratori di agire con diligenza, prudenza e perizia; ha, conseguentemente, escluso la configurabilità di profili di colpa a carico del prevenuto, che non aveva potuto evitare un evento derivante da un comportamento imprevedibilmente colposo del lavoratore (mediante introduzione della mano destra all'interno della macchina, invece di utilizzare l'apposito palanchino per sbloccare la leva).
2. Avverso tale sentenza propone ricorso immediato per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, lamentando inosservanza o erronea applicazione della legge penale.
Deduce che non è condivisibile la conclusione cui è giunto il Tribunale, che non ha tenuto conto della costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, nella materia degli infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore che rientri comunque nelle mansioni a lui assegnate non può mai essere considerata condotta abnorme, come tale imprevedibile e ingovernabile per il datore di lavoro. Nel caso di specie, il comportamento del F.B. non è connotato da esorbitanza o abnormità, giacché l'incidente si è verificato all'interno del processo produttivo e delle mansioni attribuite in via ordinaria al lavoratore.
Da questo punto di vista, il ricorrente sostiene che il Tribunale ha violato l'art. 590 cod. pen., come integrato dalle norme di prevenzione degli infortuni, avendo escluso la responsabilità del datore di lavoro senza indagare/motivare sui profili di colpa comunque a lui addebitabili.
Deduce, inoltre, che gli addebiti di colpa elevati al P.M. non hanno trovato alcuna smentita in sede processuale.
3. Con memoria depositata il 22.11.2018 la difesa di P.M. chiede motivatamente il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato e quindi inammissibile.
1.1. Contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, la sentenza impugnata ha fatto corretto uso delle norme di riferimento e dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in relazione al caso concreto sottoposto al suo esame.
1.2. In particolare, è stato correttamente richiamato l'orientamento secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016 - Santini e altro, Rv. 26607301; in motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori).
1.3. Con particolare riguardo alla nozione di condotta "esorbitante" del lavoratore, non è affatto vero - come paventato dal ricorrente - che la stessa è esclusa tutte le volte che la condotta del lavoratore rientri comunque nelle mansioni a lui assegnate. Interpretata in termini così assoluti, non sarebbe mai possibile riscontrare una condotta abnorme da parte di un prestatore di lavoro nell'esercizio delle sue mansioni. Occorre invece che il giudice, caso per caso, analizzi compiutamente le caratteristiche dell'attività lavorativa demandata al dipendente, accertando in concreto le modalità con cui la stessa si è esplicata, al fine di verificare se i compiti assegnati dal datore di lavoro siano stati rispettati, e se siano state osservate le prescrizioni di sicurezza correlate ai rischi connessi alla prestazione lavorativa oggetto di indagine. Sotto questo profilo, la giurisprudenza più accorta ha sottolineato che in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non rileva tanto che l'attività svolta rientri nell'ambito delle mansioni del lavoratore, quanto che essa sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri).
2. La sentenza impugnata, in linea con i suddetti principi, e facendo corretta applicazione delle norme giuridiche rilevanti nel caso di specie, ha adeguatamente motivato in ordine all'assenza di qualsivoglia responsabilità del datore di lavoro nel caso concreto sottoposto al suo esame, avendo accertato non solo che il rischio di schiacciamento era comunque stato previsto, ma anche che il lavoratore era stato effettivamente dotato degli strumenti idonei ad effettuare le mansioni richieste in completa sicurezza; invece il F.B., nello scegliere di adottare l'opzione più comoda ma anche quella più incauta, aveva adottato un comportamento esorbitante dall'ambito delle disposizioni impartite dal datore di lavoro e seguite dai propri colleghi, violando gli obblighi imposti dalla normativa prevenzionistica.
In tal modo è stata motivatamente esclusa la colpa del P.M., essendo stato accertato in concreto che costui aveva fornito mezzi idonei alla prevenzione ed adempiuto alle obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, a fronte di una condotta esorbitante del lavoratore, tale da attivare un rischio eccentrico e non controllabile da parte del datore di lavoro.
La sentenza impugnata, quindi, sfugge con evidenza alle censure di violazione di legge dedotte dal Procuratore ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 28 novembre 2018

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Nota integrativa INL circolare n.2/2019

ID 7739 | | Visite: 3027 | Circolari Sicurezza lavoro

Nota integrativa INL alla Circolare n.2/2019

Oggetto: art. 1, comma 445, lett. e), L. n. 145/2018 – maggiorazioni sanzioni. Nota integrativa alla circolare n.2/2019.

[panel[Con la circolare n. 2 del 14 gennaio 2019, sono state fornite indicazioni in merito all’applicazione delle maggiorazioni degli importi sanzionatori delle violazioni introdotte con l’art. 1, comma 445, della L. n. 145/2018 (c.d. Legge di bilancio 2019).

Ad integrazione della predetta circolare, si ritiene necessario fornire alcuni chiarimenti circa la portata applicativa della lett. e) dell’art. 1, comma 445, che testualmente recita: “le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti”, introducendo un’ipotesi di “recidiva”.

Come già evidenziato nella circolare citata, la finalità della norma è da rinvenire nella esigenza di reprimere le condotte lesive della dignità dei lavoratori, con particolare riferimento ai fenomeni del lavoro sommerso, dell’interposizione, del distacco transnazionale, nonché alle infrazioni in materia di orario di lavoro, riposo settimanale e/o giornaliero e di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

A tal fine, il legislatore, non solo ha previsto la maggiorazione del 10 e del 20% degli importi dovuti a titolo di sanzione, ma ha altresì introdotto il raddoppio di tali percentuali, laddove il datore di lavoro, nei tre anni precedenti, sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti.

La disposizione, quindi, sanziona la reiterazione dei “medesimi illeciti”, cioè l’ulteriore violazione dello stesso precetto già trasgredito nel precedente triennio.

Con riferimento al soggetto destinatario delle maggiorazioni raddoppiate, il legislatore ha utilizzato l’espressione “datore di lavoro… destinatario di sanzioni amministrative o penali…”.

In tal caso, ai fini della verifica sulla sussistenza della “recidiva”, il destinatario delle sanzioni va individuato nel soggetto che, nell’ambito della medesima impresa, ha rivestito la qualità di:

-  “trasgressore” in caso di violazioni amministrative;
-  “datore di lavoro” in caso di violazioni punite dal d.lgs. n. 81/2008 (nel quale è infatti contenuta una nozione di “datore di lavoro”).

Ai fini della recidiva occorrerà far riferimento agli illeciti definitivamente accertati, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza in riferimento all’art. 8 bis della L. 689/1981. La disposizione in esame non reca infatti formule di deroga al principio generale, a differenza di quella utilizzata – ad esempio – all’art. 8, co. 2 lett. b), della L. n. 199/2016 che ricomprende esplicitamente tutte le sanzioni amministrative “ancorché non definitive”.

La definitività dell’illecito, come noto, consegue:
- allo spirare del termine per impugnare l’ordinanza-ingiunzione ex art. 18 L. n. 689/1981;
- nella ipotesi in cui sia pagata la sanzione ingiunta;
- al passaggio in giudicato della sentenza emessa a seguito di impugnazione della medesima ordinanza.

Ciò stante, ai fini dell’applicazione dell’aumento in questione, il significato da attribuire all’espressione “essere destinatario delle medesime sanzioni nel triennio precedente” va inteso nel senso di essere stato destinatario di provvedimenti divenuti definitivi nel triennio precedente alla commissione del nuovo illecito per il quale va effettuato il calcolo della sanzione.

Sono da considerarsi ostative all’applicazione dell’aumento per la prevista recidiva, in ogni caso, le ipotesi di estinzione degli illeciti amministrativi contestati, qualora sia intervenuto il pagamento in misura ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981, ai sensi di quanto disposto espressamente dal comma 4 dell’art. 8 bis, cui va equiparato il pagamento ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 124/2004. Allo stesso modo non può riconoscersi rilevanza agli illeciti per i quali il contravventore abbia adempiuto alla prescrizione effettuando i relativi pagamenti ai sensi degli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 758/1994 e dell’art. 15 del d.lgs. n. 124/2004.

Va infine chiarito che gli illeciti pregressi rilevanti ai fini dell’applicazione delle maggiorazioni di cui trattasi non debbono essere stati commessi dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione atteso che, come ha chiarito la giurisprudenza per casi analoghi – ad es. in materia di recidiva per il reato di cui all’art. 186 C.d.S. – si tratta di “una condizione che assolutamente non è stabilita dalla norma che si limita a prevedere una sanzione più gravosa per chi si trova nella situazione oggettiva di aver già commesso analoga violazione….ritenendo evidentemente tale situazione indice di maggiore pericolosità e meritevole di una sanzione maggiore” (Cass. Sez. IV Penale, 7 febbraio – 5 aprile 2013, n. 15913).[/panel]

...

Fonte: INL

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Valutazione rischio diagnostica per immagini in ambito veterinario

ID 7726 | | Visite: 3407 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Valutazione rischio diagnostica immagini ambito veterinario 2018

La valutazione del rischio nella diagnostica per immagini in ambito veterinario

INAIL, 2018

L’utilizzo di tecniche diagnostiche facenti uso sia di radiazioni ionizzanti (RI) che del principio fisico della risonanza magnetica (RM) ha visto notevolmente accrescere nell’ultimo ventennio le loro applicazioni in ambito veterinario, un settore il cui sviluppo è andato, in generale, via via aumentando con il crescere dell’attenzione e della cura dell’uomo nei confronti del mondo animale.

Le motivazioni sono legate a molteplici contesti: in primis la crescita esponenziale della presenza sempre più diffusa del possesso dei cosiddetti animali d’affetto, ovvero per lo più cani e gatti che molto spesso diventano parte integrante della propria abitazione o del contesto familiare in cui vengono presi in adozione. La spesa nei confronti di questa tipologia di animali per quanto attiene l’acquisto del cibo e per gli aspetti di cura sanitaria rappresenta oggi una voce sanitaria spesso molto importante nel budget di molte famiglie, pronte a volte anche a sacrificare altre tipologie di interessi per mantenere in salute e in piena forma il proprio amico fedele.

Gli animali domestici, anche quelli meglio accuditi dal proprio padrone, sono di fatto soggetti ad infortunio domestico alla stessa stregua dell’uomo, oltre che a tutte le forme di malattia generali e specifiche che appartengono alla specie di appartenenza. Inoltre il fatto di non vivere in cattività comporta per l’animale la perdita di buona parte dei riflessi istintivi propri della sua natura, come la caccia, la fuga, la difesa, l’istinto a cercare cibo per nutrirsi. Ecco perché se l’animale domestico viene portato al di fuori dell’ambiente in cui è ospitato viene a trovarsi completamente disorientato, incapace sia di difendersi che di percepire i pericoli del mondo circostante.

Di fatto se per l’uomo oggi l’ambiente in cui si registra il maggior numero di infortuni è quello domestico, anche per gli animali è facile immaginare una sorte analoga, anche se per motivi in parte diversi, quali l’incapacità di discernere molte tipologie di pericoli quali ingerire detersivi, scottarsi avvicinandosi inopportunamente ai fornelli o altre fonti di calore ad alta temperatura, cadere arrampicandosi da finestre e balconi.

Ma gli animali d’affetto non rappresentano l’unica utenza significativa del mondo veterinario: gli animali destinati ad attività ludico-sportive, come i cavalli da corsa e da ostacoli, rappresentano oggi in tutto il mondo una fonte incredibile di fruitori dei servizi veterinari e hanno spinto alcune case costruttrici - come è successo in Inghilterra, negli Stati Uniti e anche in Italia - ad investire nella realizzazione di apparecchiature diagnostiche completamente dedicate al mondo animale e a specifiche applicazioni in base alla specie, alla taglia e anche - in taluni casi - in funzione del distretto corporeo interessato.

Un altro mondo meno rilevante nei numeri, ma non per questo meno importante nelle applicazioni, è rappresentato da tutti gli animali addestrati, come i cani antidroga, i cani per i non vedenti o quelli impiegati per il ritrovamento di persone sotto le macerie a seguito di terremoti o di altre calamità naturali ed eventi incidentali. Questi animali seguono un percorso di selezione e di addestramento molto intenso della durata talvolta anche di diversi anni, vengono continuamente mantenuti in allenamento e lo stato di salute monitorato costantemente al fine di garantire la piena efficienza per far fronte a qualsiasi intervento.

Un’altra branca della diagnostica veterinaria è quella che afferisce alle riserve naturali in cui vengono tenuti alcuni generi animali che sono a rischio di estinzione. In questi ambiti non solo è importante la cura e la salvaguardia della salute dell’animale, ma la loro tutela sanitaria è anche propedeutica ad incentivarne la riproduzione, finalizzata al mantenimento in vita della specie.

Esiste poi anche un’altra branca legata all’impiego degli animali per la sperimentazione scientifica, consentita in Italia e in Europa nel rispetto di severe legislazioni e accordi internazionali, necessaria per la sperimentazione e la produzione di nuovi farmaci, per lo studio delle malattie e per la messa a punto di nuovi metodi di diagnosi e protocolli di cura. Il cosiddetto animale da laboratorio (tipicamente topi, ratti, cavie, conigli, ecc.) viene opportunamente prescelto sulla base del tessuto, dell’apparato o dell’organo oggetto di studio, che meglio si avvicina a quello dell’uomo.

Questo genere di sperimentazione preclinica rappresenta, in medicina in molti casi, una delle fasi cruciali per ottenere il benestare - da parte delle autorità competenti - al passaggio della sperimentazione sull’uomo.

_________

1. Introduzione
2. Anestesia dell’animale
2.1 Anestesia locale
2.2 Anestesia generale
3. La diagnosi per immagini sugli animali
4. Analisi dei rischi legati all’utilizzo di radiazioni ionizzanti e campi elettromagnetici nelle tecniche di diagnostica per immagini
4.1 Rischi legati all’utilizzo delle radiazioni ionizzanti
4.2 Rischi legati all’utilizzo delle apparecchiature di risonanza magnetica
5. L’attuale quadro normativo e le figure professionali coinvolte nella gestione dei rischi associati all’utilizzo di apparecchiature di diagnostica per immagini
5.1 Il quadro normativo per le radiazioni ionizzanti
5.2 Il quadro normativo in risonanza magnetica
6. Le indicazioni operative Inail in risonanza magnetica nella veterinaria del 2011
7. Aspetti generali inerenti la detenzione e l’autorizzazione all’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti (di cui ai capi V e VI del d.lgs. 230/1995)
7.1 La non rilevanza radiologica
7.2 La comunicazione preventiva di pratica
7.3 Nulla osta di categoria A e B
8. L’installazione di impianti radiologici in ambito veterinario
9. Conclusioni
10. Bibliografia
11. Riferimenti normativi
12. Acronimi

Fonte: INAIL

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Alcol e guida: norme e obblighi

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Alcol e guida   Norme e obblighi

Alcol e guida: norme e obblighi

ID 7488 | 02.01.2019 | Documento completo in allegato

La Legge 120 del 29/07/2010, ha introdotto con l'Art. 33 al Lgs n. 285 del 30 aprile 1992 (Nuovo Codice della Strada), l'Art. 186-bis "Guida sotto l'influenza dell'alcool per conducenti di eta' inferiore a ventuno anni, per i neo-patentati e per chi esercita professionalmente l'attivita' di trasporto di persone o di cose", il tasso alcolemico "zero", per i neopatentati e per chi al lavora al volante.

La prima legge italiana che permette l’uso dell’etilometro è il D.Lgs n. 285 del 30 aprile 1992 (Nuovo Codice della Strada), Rif. Art. 186, 186 bis e Art. 187.

La Legge 30 marzo 2001 n. 125 (Legge quadro alcol)  fissa il limite massimo di concentrazione alcolica, per porsi alla guida senza incorrere in sanzioni, a 0,5 g/l.

Il decreto 30 luglio 2008, relativo ai livelli di tasso alcolemico, (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione) è stato predisposto in attuazione del Decreto legge 3 agosto 2007 n.117, recante “Disposizioni urgenti modificative del Codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione”, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della Legge 2 ottobre 2007, n. 160, e reca obblighi, es (Art. 2. c 1.) per i titolari e i gestori dei locali ove si svolgono, con qualsiasi modalita' e in qualsiasi orario, spettacoli o altre forme di intrattenimento, congiuntamente all’attivita' di vendita e somministrazione di bevande alcoliche

La Legge 120 del 29/07/2010 (Modifiche al D.Lgs. n. 285/1992) introduce un nuovo concetto: il principio "o bevi o guidi", valido per i neopatentati e per chi al volante ci lavora: camionisti, tassisti e conducenti di autobus. Per tutte queste categorie l'alcol non è più tollerato: il limite diventa zero.

Queste categorie di guidatori devono controllare che il loro tasso alcolemico torni a zero prima di mettersi alla guida. Diventa quindi indispensabile l'uso di un etilometro (professionale) per verificare il proprio stato.

Le sanzioni per i guidatori (eccetto le categorie suddette) sono di seguito riportate:

TASSO ALCOLEMICO DA 0,50 A 0,80 g/l Ammenda Da 500 a 2.000 €
Sospensione patente  Da 3 a 6 mesi
Punti patente - 10 punti
 Arresto NO 
Fermo del veicolo SI

 

TASSO ALCOLEMICO DA 0,80 A 1,50 g/l Ammenda Da 800 a 3.200 €
Sospensione patente  Da 6 a 12 mesi
Punti patente - 10 punti
Arresto fino a 6 mesi
Fermo del veicolo SI

 

TASSO ALCOLEMICO DA 0,80 A 1,50 g/l Ammenda Da 1500 a 6000 €
Sospensione patente  Da 12 a 24 mesi
Punti patente - 10 punti
Arresto da 6 a 12 mesi
Fermo del veicolo Confisca del veicolo.
Confisca del veicolo
con sentenza di condanna.
Il veicolo non può più essere
affidato in custodia al
trasgressore


Accertamento dello stato di ebrezza

Gli organi di Polizia stradale, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili (ETILOMETRO). L’accertamento si effettua mediante l’analisi dell’aria alveolare espirata. La concentrazione dovrà risultare da almeno due determinazioni concordanti, che vengono effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti. L’etilometro, oltre a visualizzare i risultati delle misurazioni e dei controlli, deve anche, mediante apposita stampante, fornire la corrispondente prova documentale. Quando le prove qualitative hanno dato esito positivo, gli organi di Polizia stradale hanno la facoltà di effettuare ulteriori accertamenti con strumenti e procedure determinati dal regolamento, presso il più vicino ufficio o comando. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche, l’accertamento viene effettuato da parte di strutture sanitarie adeguate, le quali, rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base alle vigenti disposizioni di legge

Codice della Strada

La normativa attuale italiana stabilisce come valore limite legale il tasso di alcolemia di 0,5 g/litro: guidare un veicolo oltre questo limite - e quindi in stato di ebbrezza - costituisce un reato, punito, oltre che con la perdita di 10 punti della patente, con le severe sanzioni previste dagli articoli 186 e 186 bis del Codice della Strada:

Guida con tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,8 g/l
- ammenda da 500 a 2000 euro,
- sospensione patente da 3 a 6 mesi.

Guida con tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 g/l
- ammenda da 800 a 3200 euro,
- arresto fino a 6 mesi,
- sospensione patente da 6 mesi ad 1 anno.

Guida con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l
- ammenda da 1500 a 6000 euro,
- arresto da 6 mesi ad un anno, 
- sospensione patente da 1 a 2 anni, 
- sequestro preventivo del veicolo,
- confisca del veicolo (salvo che appartenga a persona estranea al reato).

La patente di guida è sempre revocata quando:
- il reato è stato commesso da conducente di autobus o di veicolo destinato al trasporto merci (con massa complessiva a pieno carico superiore alle 3,5 t),
- in caso di recidiva biennale (cioè se la stessa persona compie più violazioni nel corso di un biennio).
La revoca della patente viene inoltre disposta quando il conducente, con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o sotto l'influenza di droghe, ha provocato un incidente.

Le pene previste dall'articolo 186 comma 2 e 186 bis comma 3 del Codice della Strada sono raddoppiate se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale (in questo caso è disposto il fermo amministrativo del veicolo per 180 giorni, salvo che appartenga a persona estranea all'illecito).

Rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcolimetrico 

L'accertamento alcolimetrico è eseguito attraverso uno strumento chiamato etilometro che misura la quantità di alcool contenuta nell?aria espirata. L'esame viene ripetuto due volte, effettuando due misurazioni successive a distanza di 5 minuti l'una dall'altra.
Il rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico è reato ed è punito, oltre che con la perdita di 10 punti della patente di guida, con le stesse pene previste per chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.

Legge 120 del 29/07/2010
...
Art. 33.
(Modifiche agli articoli 186 e 187 e introduzione dell'articolo 186-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di guida sotto l'influenza dell'alcool e in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, nonche' di guida sotto l'influenza dell'alcool per conducenti di eta' inferiore a ventuno anni per i neo patentati e per chi esercita professionalmente l'attivita' di trasporto di persone o di cose)
...
2. Dopo l'articolo 186 del decreto legislativo n. 285 del 1992, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, e' inserito il seguente:

«Art. 186-bis. (Guida sotto l'influenza dell'alcool per conducenti di eta' inferiore a ventuno anni, per i neo-patentati e per chi esercita professionalmente l'attivita' di trasporto di persone o di cose). 

1. E' vietato guidare dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto l'influenza di queste per:

a) i conducenti di eta' inferiore a ventuno anni e i conducenti nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B;

b) i conducenti che esercitano l'attivita' di trasporto di persone, di cui agli articoli 85, 86 e 87;

c) i conducenti che esercitano l'attivita' di trasporto di cose, di cui agli articoli 88, 89 e 90;

d) i conducenti di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, di autoveicoli trainanti un rimorchio che comporti una massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli superiore a 3,5 t, di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di postia sedere, escluso quello del conducente, e' superiore a otto, nonche' di autoarticolati e di autosnodati.

2. I conducenti di cui al comma 1 che guidino dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto l'influenza di queste sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 155 a euro 624, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a O (zero) e non superiore a 0,5 grammi per litro (gli). Nel caso in cui il conducente, nelle condizioni di cui al periodo precedente, provochi un incidente, le sanzioni di cui al medesimo periodo sono raddoppiate.

3. Per i conducenti di cui al comma 1 del presente articolo, ove incorrano negli illeciti di cui all'articolo 186, comma 2, lettera a), le sanzioni ivi previste sono aumentate di un terzo; ove incorrano negli illeciti di cui all'articolo 186, comma 2, lettere b) e c), le sanzioni ivi previste sono aumentate da un terzo alla meta'.

4. Le circostanze attenuanti concorrenti con le aggravanti di cui al comma 3 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste. Le diminuzioni di pena si operano sulla quantita' della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.

5. La patente di guida e' sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l) per i conducenti di cui alla lettera d) del comma 1, ovvero in caso di recidiva nel triennio per gli altri conducenti di cui al medesimo comma. E' fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al quinto e al sesto periodo della lettera c) del comma 2 dell'articolo 186.

6. Si applicano le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6, 8 e 9 dell'articolo 186. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5 dell'articolo 186, il conducente e' punito con le pene previste dal comma 2, lettera c), del medesimo articolo, aumentate da un terzo alla meta'. La condanna per il reato di cui al periodo precedente comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalita' e procedure previste dal citato articolo 186, comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida e' raddoppiata. Con l'ordinanza con la quale e' disposta la sospensione della patente di guida, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8 del citato articolo 186. Se il fatto e' commesso da soggetto gia' condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, e' sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI.

7. Il conducente di eta' inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a O (zero) e non superiore a 0,5 grammi per litro (g/1), non puo' conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del diciannovesimo anno di eta'. Il conducente di eta' inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), non puo' conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del ventunesimo anno di eta'».Il conducente di eta' inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato accertatoun valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), non puo' conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del ventunesimo anno di eta'».
...
Art.54 (Modifiche alla disciplina della somministrazione e vendita di alcool nelle ore notturne)

1. All'articolo 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 e' sostituito dai seguenti:
«2. I titolari e i gestori degli esercizi muniti della licenza prevista dai commi primo e secondo dell'articolo 86 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, ivi compresi gli esercizi ove si svolgono, con qualsiasi modalita', spettacoli o altre forme di intrattenimento e svago, musicali o danzanti, nonche' chiunque somministra bevande alcoliche o superalcoliche in spazi o aree pubblici ovvero nei circoli gestiti da persone fisiche, da enti o da associazioni, devono interrompere la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche alle ore 3 e non possono riprenderla nelle tre ore successive, salvo che sia diversamente disposto dal questore in considerazione di particolari esigenze di sicurezza.
2-bis. I titolari e i gestori degli esercizi di vicinato, di cui agli articoli 4, comma 1, lettera d), e 7 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive modificazioni, devono interrompere la vendita per asporto di bevande alcoliche e superalcoliche dalle ore 24 alle ore 6, salvo che sia diversamente disposto dal questore in considerazione di particolari esigenze di sicurezza.
2-ter. I divieti di cui ai commi 2 e 2-bis non si applicano alla vendita e alla somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche effettuate nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio e nella notte tra il 15 e il 16 agosto.
2-quater. I titolari e i gestori dei locali di cui al comma 2, che proseguano la propria attivita' oltre le ore 24, devono avere presso almeno un'uscita del locale un apparecchio di rilevazione del tasso alcolemico, di tipo precursore chimico o elettronico, a disposizione dei clienti che desiderino verificare il proprio stato di idoneita' alla guida dopo l'assunzione di alcool. Devono altresi' esporre all'entrata, all'interno e all'uscita dei locali apposite tabelle che
riproducano:
a) la descrizione dei sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica nell'aria alveolare espirata;
b) le quantita', espresse in centimetri cubici, delle bevande alcoliche piu' comuni che determinano il superamento del tasso alcolemico per la guida in stato di ebbrezza, pari a 0,5 grammi per litro, da determinare anche sulla base del peso corporeo.
2-quinquies. 
...



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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 3228 | 23 Gennaio 2019

ID 7682 | | Visite: 3759 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio e interferenze

Responsabile il datore di lavoro committente che non prevede il rischio da compresenza anche nell'ipotesi di un comportamento imprudente del preposto

Penale Sent. Sez. 4 Num. 3228 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: MENICHETTI CARLA
Data Udienza: 09/01/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza in data 26 aprile 2018, confermava la pronuncia di condanna resa dal Tribunale cittadino nei confronti di S.P., quale responsabile del reato di lesioni colpose ai danni di C.G., fatto commesso con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, e segnatamente dell'art.26, comma 2, lett.B) D) del d.lgs.n.81/2008, ferme le statuizioni civili anche in relazione all'entità della concessa provvisionale.
2. Secondo l'ipotesi accusatoria, lo S.P., quale amministratore della Organizzazione Gestione Logistica soc. Coop. (OGL) e datore di lavoro del C.G., con mansioni di magazziniere in servizio presso lo stabilimento della Bayer Healthcare Manufactoring s.r.l. in Garbagnate Milanese, aveva cagionato al proprio dipendente gravi lesioni personali - come descritte nel capo di imputazione e documentate dalla certificazione medica in atti - aveva omesso di coordinare gli interventi dì protezione e prevenzione dai rischi interferenziali tra i lavori delle diverse imprese coinvolte, cagionando così lesioni gravi al C.G., che mentre si trovava tra la ribalta di carico di un camion ed il pianale, era caduto di schiena nel vuoto a causa della messa in moto del mezzo.
Questa la ricostruzione del fatto contenuta in sentenza: Bayer e OGL avevano in essere un contratto di appalto in base al quale, presso la sede della Bayer a Garbagnate Milanese, operava personale della OGL con varie mansioni, tra cui quella di carico/scarico, movimentazione e stoccaggio merci. Il giorno 30 agosto 2013, data dell'infortunio, erano presenti P.N., dipendente della Bayer quale preposto ed addetto alla sicurezza, due dipendenti della OGL addetti al carico, il C.G. e F.M., che aveva il compito di caricare un container di medicinali, e l'autista del camion, C., dipendente del vettore terzo DHL. La procedura operativa allegata al documento unico di valutazione del rischio (DUVRI), adottato dalla Bayer e fatto proprio dalla OGL, prevedeva che le chiavi dell'automezzo, una volta posizionato presso le porte attrezzate, dovessero essere custodite dal preposto P.N. (Bayer) in un apposito cassetto nell'ufficio della committente, per poi essere riconsegnate all'autista (DHL) dopo l'abbassamento della saracinesca di accesso alla ribalta del camion, una volta che l'addetto al carico merci (OGL) lo avesse informato del completamento dell'operazione di carico e della chiusura della saracinesca del container. Il giorno del fatto il F., chiamato il P.N. per un controllo della temperatura interna del container, ed alzata la pedana, aveva chiamato il C.G., che si trovava in un altro magazzino, per mostrargli come aveva sistemato i bancali all'interno del container; a quel punto il P.N., ritenendo ultimate le operazioni di carico, si era allontanato con l'autista C. e gli aveva consegnato le chiavi, nonostante la saracinesca del container non fosse stata abbassata, autorizzandolo a cominciare le procedure per spostare il camion. Intanto il C.G., chiamato dal F., si era avvicinato alla ribalta, accessibile dalla saracinesca ancora aperta e, non riuscendo ad udire le grida del F. che lo avvisava che il camion si stava muovendo, aveva poggiato il piede sul cassone antistante il container, mantenendo l'altro piede sulla ribalta e cadendo dall'altezza di oltre un metro.
Nel corso del dibattimento il P.N. aveva ammesso di aver violato la procedura prevista, per aver mantenuto le chiavi con sé ed aver autorizzato l'autista del camion a muoversi nonostante la saracinesca non fosse stata abbassata; era poi emerso che a seguito dell'incidente era stata adottata una procedura più rigorosa per la custodia delle chiavi del mezzo, in modo tale da poter essere prelevate solo una volta chiusa la saracinesca; ancora, dagli accertamenti effettuati da personale della ASL, era risultato che la procedura operativa allegata al DUVRI non contemplava l'interferenza di due ditte separate, tanto che in essa si parlava genericamente di "operatore del magazzino" e di "operatore addetto" senza specificare tuttavìa se si trattasse di operatore della Bayer o della cooperativa OGL, e che dunque non era stato valutato il rischio da compresenza.
La Corte di Milano, condividendo il giudizio del Tribunale, ha ritenuto generica la procedura, che non contemplava adeguatamente il rischio interferenziale da compresenza, ed ha ancora sottolineato, all'esito delle deposizioni dei testi sentiti in dibattimento, che il livello di conoscenza e di concreta applicazione della detta procedura di consegna e custodia delle chiavi era assai scarso.
Di qui la prova che la procedura operativa prevenzionale predisposta dalla Bayer e fatta propria da OGL non fosse idonea a garantire dai rischi connessi ai lavori in compresenza e che il profilo di colpa ascritto allo S.P. fosse stato correttamente ancorato alla violazione dell'art.26 del d.lgs.n.81/2008, stante la mancanza di coordinamento tra i lavoratori di diverse aziende, mentre andava escluso ogni comportamento esorbitante del lavoratore, potendosi anzi ravvisare altre posizioni di garanzia (di qui la trasmissione degli atti all'ufficio di procura).
3. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, per quattro motivi.
Con i primi due motivi lamenta inosservanza della legge penale e carenza e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra la condotta e l'evento lesivo. Osserva che - secondo la dinamica degli accadimenti che è stata descritta e non è oggetto di contestazione - la responsabilità dell'infortunio era da addebitare esclusivamente al preposto P.N., per la sconsiderata azione posta in essere, in violazione della procedura di custodia e riconsegna della chiave all'autista. Deduce ancora che anche la nuova procedura adottata sulla scorta delle indicazioni della ASL non sarebbe idonea ad evitare sinistri analoghi a quelli per cui è processo e quindi nulla è dimostrato circa il fatto che, con una procedura differente, l'evento sarebbe stato scongiurato, proprio perché dipeso dal comportamento eccezionale del preposto.
Il terzo ed il quarto motivo estendono i medesimi vizi alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in capo all'imputato. Il rischio non poteva essere previsto dallo S.P., poiché questi non poteva certo vigilare sulla condotta di un dipendente della Bayer né prefigurarsi che il P.N. avrebbe eluso la misure predisposte e consegnato le chiavi all'autista autorizzandolo a muovere un automezzo prima del tempo. Non era poi affatto vero, né era stato dimostrato - sostiene ancora il ricorrente - che i lavoratori della cooperativa e della committente non avessero chiare le modalità di effettuazione delle rispettive mansioni.
4. La parte civile, Gaetano C.G., tramite il difensore e procuratore speciale, con nota in data 19 dicembre 2018 ha revocato la costituzione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è fondato.
2. Secondo quanto testualmente recita la norma prevenzionale di cui all'art.26, d.lgs.n.81/2008 contestata in imputazione come profilo di colpa specifica, il datore di lavoro, in caso di lavori in appalto, coopera all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e coordina gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Tale documento è allegato al contratto di appalto o di opera e va adeguato in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture.
Nel caso di specie il DUVRI non prevedeva il rischio interferenziale, o rischio da compresenza e di tale carenza è chiamato a rispondere il datore di lavoro.
3. Più volte questa Corte di legittimità si è pronunciata sul punto, spiegando che il concetto di interferenza, ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall'art.26 del d.lgs.n.81/2008, è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese dì verse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori: la ratio della norma - indipendentemente dalla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese - è infatti quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali, attivando percorsi condivisi in informazione e cooperazione, nonché soluzioni comuni a problematiche complesse (Sez.4, n.9167 del 1/2/2018, Rv.273257; Sez.4, n.30557 del 7/6/2016, Rv.267687).
Nel caso a giudizio, la Corte territoriale ha fatto buon governo di tale principio, laddove ha considerato, in fatto, che presso la sede Bayer a Garbagnate Milanese operavano i dipendenti di detta società, i lavoratori della cooperativa OLG, di cui lo S.P. era amministratore unico ed alle cui dipendenze lavorava il C.G., e si avvicendavano i vari autisti delle società di trasporto, per quanto interessa la DHL, terza rispetto al rapporto di appalto.
Ha poi valorizzato, per rimarcare la responsabilità dell'imputato, nella indicata qualità, che vi era un solo DUVRI adottato dalla Bayer, cui lo S.P. aveva prestato adesione, e che la procedura operativa ivi prevista (quanto alla custodia delle chiavi da parte del P.N. e la riconsegna all'autista del camion solo dopo la chiusura della saracinesca di accesso alla ribalta del mezzo) era assolutamente carente, in quanto non contemplava l'interferenza di due ditte separate e la compresenza di personale di entrambe.
4. Quanto al ruolo del P.N., una sua eventuale responsabilità connessa alla posizione di garanzia di preposto, è tuttora da vagliare e comunque non esonera il datore di lavoro dalla propria responsabilità per il profilo di colpa specifica a lui ascritto, essendo venuto meno a preciso obbligo di legge.
Del tutto inconferente poi il richiamo del ricorrente ad un preteso comportamento abnorme, eccezionale o esorbitante del lavoratore, cioè del P.N., poiché tale causa di interruzione del nesso di causalità riguarda semmai la condotta della vittima e non di altro garante, così come inconferente e meramente assertiva la valutazione che la difesa svolge sulle persistente inidoneità delle attuali misure di prevenzione, adottate dopo il sinistro occorso al C.G..
5. Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 9 gennaio 2019

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 3228 Anno 2019.pdf
 
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Direttiva (UE) 2019/130

ID 7678 | | Visite: 13915 | Legislazione Sicurezza UE

2019 130

Modifica Direttiva 2004/37/CE Protezione lavoratori esposizione agenti cancerogeni o mutageni

Update 16.02.2021

Direttiva recepita con il Decreto 11 Febbraio 2021

Decreto 11 Febbraio 2021
Recepimento della direttiva (UE) 2019/130 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 gennaio 2019, nonché della direttiva (UE) 2019/983 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 che modificano la direttiva (CE) 2004/37 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro

Update 20.06.2019

Direttiva (UE) 2019/130 del Parlamento Europeo e del Consiglio e del 16 gennaio 2019 che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro

GU L 30/112 del 31.01.2019

Entrata in vigore: 20.02.2019

Recepimento: entro il 20.02.2021

Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro un termine di due anni dalla data della sua entrata in vigore. 

Le Direttive esposizione ad agenti cancerogeni lavoro

La Direttiva (UE) 2019/130 è la 5a direttiva di modifica della Direttiva 90/394/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro (sesta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE).

Direttiva 90/394/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro (sesta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE)
Modifiche:
1. Direttiva 97/42/CE (recepita)
2. Direttiva 1999/38/CE (recepita)
3. Direttiva 2004/37/CE (recepita)
4. Direttiva (UE) 2017/2398 (Da recepire entro il 17 Gennaio 2020)
5. Direttiva (UE) 2019/130 (Da recepire entro il 20 Febbraio 2021) 
6. Direttiva (UE) 2019/983 (Da recepire entro l'11 Luglio 2021)

Nuove sostanze cancerogene da inserire nel TUS D.Lgs. 81/2008

Sono 24 le nuove sostanze cancerogene (3 esistenti al 2017) da inserire nell'Alegato XLIII di cui al Capo II Protezione da agenti cancerogeni e mutageni del Titolo IX Sostanze pericolose del D.Lgs. 81/2008 in accordo con le Direttive:

Direttiva (UE) 2017/2398 
Direttiva (UE) 2019/130 
Direttiva (UE) 2019/983

Sostanze cancerogene introdotte Direttiva (UE) 2017/2398

- Composti di cromo VI
- Fibre ceramiche refrattarie
- Polvere di silice cristallina respirabile
- Ossido di etilene
- 1,2-Epossipropano
- Acrilammide
- 2-Nitropropano
- o-Toluidina
- 1,3-Butadiene
- Idrazina
- Bromoetilene

Sostanze cancerogene introdotte Direttiva (UE) 2019/130:

- Oli minerali precedentemente usati nei motori a combustione interna
- Miscele di idrocarburi policiclici aromatic
- Emissioni di gas di scarico dei motori diesel
- Tricloroetilene
- 4,4′-metilendianilina (MDA)
- Epicloridrina
- Etilene dibromuro
- Etilene dicloruro

Sostanze cancerogene introdotte Direttiva (UE) 2019/983:

- Cadmio e suoi composti inorganici
- Berillio e composti inorganici del berillio
- Acido arsenico e suoi sali e composti inorganici dell'arsenico
- Formaldeide
- 4,4′-metilene-bis(2 cloroanilina)

Articolo 1

La direttiva 2004/37/CE è così modificata:

1) è inserito l'articolo seguente:

«Articolo 13 bis Accordi delle parti sociali

Gli accordi delle parti sociali eventualmente conclusi nell'ambito della presente direttiva sono elencati nel sito web dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA). L'elenco è aggiornato periodicamente.»;

2) all'allegato I sono aggiunti i punti seguenti:

«7. Lavori comportanti penetrazione cutanea degli oli minerali precedentemente usati nei motori a combustione interna per lubrificare e raffreddare le parti mobili all'interno del motore.

8. Lavori comportanti esposizione alle emissioni di gas di scarico dei motori diesel.»;

3) l'allegato III è sostituito dal testo che figura nell'allegato della presente direttiva.

Articolo 2

1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro un termine di due anni dalla data della sua entrata in vigore. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni. Le disposizioni adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

...

ALLEGATO

ALLEGATO III VALORI LIMITE E ALTRE DISPOSIZIONI DIRETTAMENTE CONNESSE (ARTICOLO 16)

A.   VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE PROFESSIONALE

NOME AGENTE

N. CE 
(1)

N. CAS 
(2)

Valori limite

 Osserv.

Misure transitorie

Adozione

 

Data recepimento

 

8 ore 
(3)

Breve durata 
(4)

mg/m3 
(5)

ppm 
(6)

f/ml 
(7)

mg/m3 
(5)

ppm 
(6)

f/ml 
(7)

Polveri di legno duro

2 (8)

Valore limite: 3 mg/m3
fino al 17 gennaio 2023

Direttiva 2004/37/CE

---

Composti di cromo VI definiti cancerogeni ai sensi dell'articolo 2, lettera a), punto i)

(come cromo)

0,005

Valore limite: 0,010 mg/m3
fino al 17 gennaio 2025

Valore limite: 0,025 mg/m3
per i procedimenti di saldatura
o taglio al plasma o analoghi
procedimenti di lavorazione
che producono fumi fino al
17 gennaio 2025

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

Fibre ceramiche refrattarie definite cancerogene ai sensi dell'articolo 2, lettera a), punto i)

0,3

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

Polvere di silice cristallina respirabile

0,1 (9)

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

Benzene

200-753-7

71-43-2

3,25

1

Pelle (10)

 

Direttiva 2004/37/CE

---

Cloruro di vinile monomero

200-831-0

75-01-4

2,6

1

 

Direttiva 2004/37/CE

---

Ossido di etilene

200-849-9

75-21-8

1,8

1

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

1,2-Epossipropano

200-879-2

75-56-9

2,4

1

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

Tricloroetilene

201-167-4

79-01-6

54,7

10

164,1

30

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

Acrilammide

201-173-7

79-06-1

0,1

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

2-Nitropropano

201-209-1

79-46-9

18

5

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

o-Toluidina

202-429-0

95-53-4

0,5

0,1

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

4,4'- metilendianilina

202-974-4

101-77-9

0,08

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

Epicloridrina

203-439-8

106-89-8

1,9

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

Etilene dibromuro

203-444-5

106-93-4

0,8

0,1

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

1,3-Butadiene

203-450-8

106-99-0   

2,2

1

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

Etilene dicloruro

203-458-1

107-06-2

8,2

2

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

Idrazina

206-114-9

302-01-2

0,013

0,01

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

Bromoetilene

209-800-6

593-60-2

4,4

1

 

Direttiva (UE) 2017/2398

17 Gennaio 2020

Emissioni di gas di scarico dei motori diesel

 

 

0,05(*1)

 

 

 

 

 

 

Il valore limite si applica
a decorrere dal 21 febbraio 
2023. Per le attività minerarie 
sotterraneee la costruzione
di gallerie,il valore limite 
si applica a decorrere dal
21 febbraio 2026.

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

Miscele di idrocarburi policiclici aromatici, in particolare quelle contenenti benzo[a]pirene, definite cancerogene ai sensi della presente direttiva

 

 

 

 

 

 

 

 

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

Oli minerali precedentemente usati nei motori a combustione interna per lubrificare e raffreddare le parti mobili all'interno del motore

 

 

 

 

 

 

 

 

Pelle (10)

 

Direttiva (UE) 2019/130

20 Febbraio 2021

 ALTRE DISPOSIZIONI DIRETTAMENTE CONNESSE
...

(1)  N. CE (ossia EINECS, ELINCS o NLP): è il numero ufficiale della sostanza all'interno dell'Unione europea, come definito nell'allegato VI, parte 1, punto 1.1.1.2, del regolamento (CE) n. 1272/2008.
(2)  N. CAS: numero di registrazione CAS (Chemical Abstract Service).
(3)  Misurato o calcolato in relazione a un periodo di riferimento di 8 ore.
(4)  Limite per esposizione di breve durata (STEL). Valore limite al di sopra del quale l'esposizione dovrebbe essere evitata e che si riferisce a un periodo di 15 minuti salvo indicazione contraria.
(5)  mg/m3 = milligrammi per metro cubo di aria a 20 °C e 101,3 kPa (corrispondenti alla pressione di 760 mm di mercurio).
(6)  ppm= parti per milione per volume di aria (ml/m3).
(7)  f/ml= fibre per millilitro.
(8)  Frazione inalabile: se le polveri di legno duro sono mischiate con altre polveri di legno, il valore limite si applica a tutte le polveri di legno presenti nella miscela in questione.
(9)  Frazione inalabile.
(10)  Contribuisce in modo significativo all'esposizione totale attraverso la via di assorbimento cutanea.
(*1)  Misurate sotto forma di carbonio elementare.
...

Nota di commento:

La modifica alla Direttiva 2004/37/CE, dovrà essere recepita nel D.Lgs. 81/2008 entro il 20 febbraio 2021 ed andrà a modificare/integrare il capo II e gli Allegati XLII e XLIII:

________

D.Lgs. 81/2008
....
Capo II Protezione da agenti cancerogeni e mutageni

Art. 233. Campo di applicazione

1. Fatto salvo quanto previsto per le attività disciplinate dal capo III e per i lavoratori esposti esclusivamente alle radiazioni previste dal trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica, le norme del presente titolo si applicano a tutte le attività nelle quali i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti cancerogeni o mutageni a causa della loro attività lavorativa.

Art. 234. Definizioni

1. Agli effetti del presente decreto si intende per:

a) agente cancerogeno:
1) una sostanza o miscela che corrisponde ai criteri di classificazione come sostanza cancerogena di categoria 1 A o 1 B di cui all'allegato I del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio;
2) una sostanza, miscela o procedimento menzionati all'allegato XLII del presente decreto, nonché sostanza o miscela liberate nel corso di un processo e menzionate nello stesso allegato;

b) agente mutageno:
1) una sostanza o miscela corrispondente ai criteri di classificazione come agente mutageno di cellule germinali di categoria 1 A o 1 B di cui all'allegato I del regolamento (CE) n. 1272/2008.

c) valore limite: se non altrimenti specificato, il limite della concentrazione media, ponderata in funzione del tempo, di un agente cancerogeno o mutageno nell'aria, rilevabile entro la zona di respirazione di un lavoratore, in relazione ad un periodo di riferimento determinato stabilito nell'allegato XLIII.
...
Art. 236. Valutazione del rischio

1. Fatto salvo quanto previsto all'articolo 235, il datore di lavoro effettua una valutazione dell'esposizione a agenti cancerogeni o mutageni, i risultati della quale sono riportati nel documento di cui all'articolo 17.

2. Detta valutazione tiene conto, in particolare, delle caratteristiche delle lavorazioni, della loro durata e della loro frequenza, dei quantitativi di agenti cancerogeni o mutageni prodotti ovvero utilizzati, della loro concentrazione, della capacità degli stessi di penetrare nell'organismo per le diverse vie di assorbimento, anche in relazione al loro stato di aggregazione e, qualora allo stato solido, se in massa compatta o in scaglie o in forma polverulenta e se o meno contenuti in una matrice solida che ne riduce o ne impedisce la fuoriuscita. La valutazione deve tener conto di tutti i possibili modi di esposizione, compreso quello in cui vi è assorbimento cutaneo.

3. Il datore di lavoro, in relazione ai risultati della valutazione di cui al comma 1, adotta le misure preventive e protettive del presente capo, adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative.

4. Il documento di cui all'articolo 28, comma 2, o l'autocertificazione dell'effettuazione della valutazione dei rischi di cui all'articolo 29, comma 5, sono integrati con i seguenti dati:

a) le attività lavorative che comportano la presenza di sostanze o miscele cancerogene o mutagene o di processi industriali di cui all'allegato XLII, con l'indicazione dei motivi per i quali sono impiegati agenti cancerogeni;
b) i quantitativi di sostanze ovvero miscele cancerogene o mutagene1 prodotti ovvero utilizzati, ovvero presenti come impurità o sottoprodotti;
c) il numero dei lavoratori esposti ovvero potenzialmente esposti ad agenti cancerogeni o mutageni;
d) l'esposizione dei suddetti lavoratori, ove nota e il grado della stessa;
e) le misure preventive e protettive applicate ed il tipo dei dispositivi di protezione individuale utilizzati;
f) le indagini svolte per la possibile sostituzione degli agenti cancerogeni e le sostanze e le miscele1 eventualmente utilizzati come sostituti.

5. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall'ultima valutazione effettuata.

6. Il rappresentante per la sicurezza può richiedere i dati di cui al comma 4, fermo restando l'obbligo di cui all'articolo 50, comma 6.

...

ALLEGATO XLII

Elenco di sostanze, miscele e processi

ELENCO DI SOSTANZE, MISCELE E PROCESSI

1. Produzione di auramina con il metodo Michler.
2. I lavori che espongono agli idrocarburi policiclici aromatici presenti nella fuliggine, nel catrame o nella pece di carbone.
3. Lavori che espongono alle polveri, fumi e nebbie prodotti durante il raffinamento del nichel a temperature elevate.
4. Processo agli acidi forti nella fabbricazione di alcool isopropilico.
5. Il lavoro comportante l'esposizione a polvere di legno duro.

ALLEGATO XLIII

Valori limite di esposizione professionale:

Nome agente EINECS (1)  CAS (2)  V.L. esposizione
professionale 
osservazioni Misure transitorie
       Mg/m3 (3) Ppm (4)    
Benzene 200-753-7 71-43-2 3,25 (5) 1 (5) Pelle (6) Sino al 31 dicembre 
2001il valore limite 
è di 3 ppm (=9,75 mg/m3)
Cloruro di vinile monomero  200-831 75-01-4 7,77 (5) 3 (5) -
Polveri di legno - - 5,00 (5) (7) - - -

(1) EINECS: Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti (European Inventory of Existing Chemical Susbstances). 
(2) CAS: Numero Chemical Abstract Service. 
(3) mg/m3 = milligrammi per metro cubo d'aria a 20° e 101,3 Kpa (corrispondenti a 760 mm di mercurio). 
(4) ppm = parti per milione nell'aria (in volume: ml/m3). 
(5) Valori misurati o calcolati in relazione ad un periodo di riferimento di otto ore. 
(6) Sostanziale contributo al carico corporeo totale attraverso la possibile esposizione cutanea. 
(7) Frazione inalabile; se le polveri di legno duro sono mescolate con altre polveri di legno, il valore limite si applica a tutte le polveri di legno presenti nella miscela in questione

___________

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