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Cassazione Penale, Sez.VII, 17 aprile 2019 n.16715

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Cassazione 17 aprile 2019 n 16715 Attestato Formazione Falso

Corte di Cassazione - Penale, Sez.VII- Sentenza n. 16715 del 17 aprile 2019

Infortunio sul cantiere per la posa di cavi di fibra ottica. Attestato di formazione falso

Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO
Data Udienza: 08/02/2019

Fatto

1. Il Tribunale di Genova, con sentenza 8.11.2017 dichiarava l'imputato A. colpevole delle violazioni contravvenzionali in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 71, co. 3, sanzionato dall'art. 87, co. 3, lett. b), d. Lgs. n. 81 del 2008; artt. 71, co. 7, lett. a), 73, commi 4 e 5, in relazione all'art. 87, comma 2, lett. c) e d), d. Lgs. n. 81 del 2008), in relazione a fatti del 2.11.2015 condannandolo alla pena di 11.200€ di ammenda.

2. Con il ricorso per cassazione, articolato con due motivi, il difensore iscritto all'Albo speciale ex art. 613 c.p.p., deduce:
1) violazione di legge in relazione all'art. 533, c.p.p. e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione (si censura la sentenza impugnata per aver il giudice di merito ritenuto i dipendenti della FIAN non adeguatamente formati e non equipaggiati, pervenendo altresì ad affermare che gli attestati sulla formazione fossero falsi perché precedenti alla data di assunzione; diversamente, si sostiene, la circostanza che l'imputato avesse impiegato operai non formati sarebbe rimasta sfornita di prova, avendo solo presunto il giudice che la circostanza fosse stata provata in base ad una valutazione di inverosimiglianza circa il fatto che il dipendente P.L. potesse aver ricevuto la formazione in data 24.10.2015, ossia prima ancora di essere assunto, senza tener conto che si trattava di operai assunti a tempo determinato, i quali venivano licenziati e riassunti in base alle commesse, e senza peraltro tenere in considerazione che spesso i corsi di formazione precedono l'avviamento al lavoro vero e proprio; il giudice avrebbe poi ricostruito l'incidente in conformità a quanto sostenuto dall'operatore della ASL che aveva formulato una mera ipotesi ricostruttiva, disattendendo invece quella dei due operai presenti al fatto, che avevano descritto una modalità della sua verificazione assolutamente diversa);
2) violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonché per la mancata applicazione della disciplina del concorso formale o della continuazione (si sostiene, anzitutto, che le attenuanti generiche sarebbero state negate erroneamente, basando il diniego sul mancato risarcimento al lavoratore infortunato, sulla sua mancata partecipazione al processo e sull'invio alla ASL di documentazione falsa per evitare di dar corso alle prescrizioni; in particolare, non si sarebbe tenuto conto di una serie di fattori attenuanti (condotta di vita antecedente al reato; condotta di vita contemporanea e susseguente; condizioni di vita individuale, familiare e sociale; comportamento processuale cristallino dell'imputato), laddove gli elementi valorizzati per il diniego non giustificavano in realtà tale giudizio, anzitutto perché il risarcimento è dovuto dall'INAIL e dalla compagnia assicuratrice, in secondo luogo perché la mancata partecipazione al processo è stata necessitata dalla notevole distanza tra la residenza in Sicilia dell'imputato e la sede del processo in Liguria; infine, quanto all'invio alla ASL di documentazione falsa, non vi sarebbe prova in atti, essendo frutto tale affermazione di una ipotesi del giudice non comprovata dagli atti processuali; il giudice, infine, avrebbe errato sia nel non riconoscere il concorso formale, trattandosi di danno effettuato con una sola azione od omissione che ha violato più norme, sia, ancora, nel non riconoscere la continuazione tra le violazioni contestate, erroneamente ritenendo che non vi fossero elementi a sostegno).

Diritto

3. Il ricorso è inammissibile in quanto proposto per motivi non consentiti dalla legge.

4. Ed invero, la sentenza impugnata illustra con dovizia di particolari e con percorso logico-argomentativo privo di sbavature od errori ricostruttivi le ragioni per le quali l'imputato è stato ritenuto colpevole delle contravvenzioni in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, accertate a seguito di un infortunio sul cantiere allestito in Genova per la posa di alcuni cavi di fibra ottica ad un lavoratore extracomunitario suo dipendente; in particolare, dopo aver descritto i particolari dell'infortunio occorso al dipendente, il giudice è passato ad esaminare i fatti rilevanti ai fini dell'affermazione di responsabilità per i reati contravvenzionali rilevando che: a) il personale presente sul cantiere (segnatamente il P.L.) non aveva la formazione adatta per lo svolgimento dell'attività certamente pericolosa posta in essere; b) sul luogo era mostrato il POS in cui il datore di lavoro, conformemente alla visura camerale della CCIAA, risultava essere l'attuale ricorrente e non era presente alcuna indicazione sulla formazione specifica dei lavoratori; c) il coordinatore per la sicurezza, presente in loco, non essendo in condizione di fornire documentazione al riguardo, in un secondo momento aveva fatto pervenire la documentazione inviatagli dalla FIAN, da cui risultava che in nessuno degli eventi formativi organizzati dalla società erano però stati presenti i due lavoratori impiegati in quel cantiere, né il P.L. né il lavoratore infortunatosi, tale S., né tantomeno un terzo lavoratore, tale F., poi incontrato al pronto soccorso; d) le indagini successivamente svolte sul P.L., che aveva materialmente operato la movimentazione, consentivano di accertare che lo stesso era stato recentemente assunto in data 27.10.2015 e che il medesimo non avesse ricevuto formazione; e) richiesta di documentazione al riguardo, la FIAN aveva risposto inviando un attestato per la formazione successiva alla data del 2.11.2015, ma che recava una data antecedente; f) la falsità di tale attestato, in particolare, veniva desunta dal giudice non solo perché la data della supposta formazione (24.10.2015) era antecedente all'assunzione del P.L. (27.10.2015), ma soprattutto dal fatto che il progressivo dell'attestato corrispondeva ad un codice fiscale diverso rispetto a quello del lavoratore P.L.; g) gli accertamenti eseguiti presso la società che effettuava i corsi di formazione avevano dato infatti esito positivo, risultando invero che il progressivo indicato nell'attestato riguardava in effetti un altro lavoratore ed un altro corso; h) la deposizione resa dal P.L., infine, era risultata falsa, avendo egli fornito una versione assolutamente inverosimile sulla questione relativa all'attività di formazione che avrebbe svolto prima della data dell'infortunio al collega di lavoro (venendo a più riprese fatto oggetto di contestazione ex art. 500, c.p.p. da parte del PM nel corso dell'esame testimoniale) sia sulla sua situazione lavorativa con la FIAN (asserendo in chiusura del suo esame, di non avere più rapporti) sia, ancora, mostrando una disarmante ingenuità nell'affermare, a domanda del PM se qualcuno gli avesse indicato le modalità di movimentazione del pozzetto, che nessuno lo aveva fatto perché non ce n'era bisogno considerata la semplice manovra di sollevamento da svolgere; i) infine, sempre dalla sentenza emerge come lo stesso lavoratore infortunato avesse chiarito come la cinghia impressa sulle fotografie non era neppure quella usata per il posizionamento del pozzetto, precisando che quella utilizzata era molto più usurata ed era stata cambiata mentre egli veniva caricato sull'autoambulanza, aggiungendo di non aver ottenuto per il danno subito (amputazione di due dita) alcun risarcimento da parte della ditta dell'imputato o da terzi.

5. Sulla base, dunque, di tali consistenti elementi, il giudice ha concluso per la esistenza delle contravvenzioni oggetto di accertamento, non avendo provveduto, da un lato, ad adottare adeguate misure tecniche ed organizzative affinchè fossero impiegati accessori rispondenti alle vigenti normative idonei a garantire che il sollevamento del pozzetto avvenisse con una configurazione dell'imbracatura tale da evitare l'oscillazione lungo l'asse di rotazione, atteso che nel cantiere era presente solo una cinghia del tutto inidonea a spostare il pozzetto. Dall'altro, non avendo preso le misure necessarie affinchè il P.L., addetto alle manovre di sollevamento con la gru, avesse ricevuto una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l'utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in relazione ai rischi che potevano esser causati ad altre persone; tale mancanza di formazione, come evidenzia il giudice di merito, ha avuto una diretta incidenza causale sull'infortunio, poiché i pezzi del manufatto, legati insieme e non singolarmente, sono entrati in rotazione, colpendo il lavoratore sito dentro lo scavo.

6. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente appaiono del tutto prive di pregio, in quanto si risolvono non solo in censure puramente contestative ed in fatto, ma tradiscono in realtà il "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5r n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
E, sul punto, che l'attività di formazione del personale sul cantiere non fosse stata curata bene è desunta logicamente dal giudice con riferimento alla posizione del lavoratore P.L., al punto tale che la stessa società di cui l'imputato è legale rappresentante giunse a formare un documento falso che ne attestava la formazione, falsità corroborata non solo dall'anteriorità della data in cui la formazione sarebbe avvenuta rispetto alla data dell'assunzione, ma soprattutto dagli accertamenti svolti presso la società di formazione che avevano consentito di appurare che il cronologico esistente sull'attestato riguardasse in realtà un lavoratore diverso.

7. Quanto, poi, alla censura relativa al trattamento sanzionatorio, il giudice motiva il diniego delle attenuanti generiche escludendo la presenza di elementi giustificativi, dovendosi in particolare valorizzare, tra i tre elementi indicati dalla Corte, particolarmente la produzione della falsa documentazione da parte dell'imputato, che non solo denota particolare callidità nell'azione, ma è chiaramente descrittiva, nell'ottica del giudice, di un negativo giudizio sulla personalità dell'imputato, elemento che deve essere valutato ex art. 133, c.p., smentendo nel contempo la sussistenza dei fattori attenuanti invocati, tra cui proprio la condotta del reo successiva al reato, concretizzatasi nel produrre un documento falso all'organo di vigilanza per ottenere i benefici derivanti dalla procedura di cui al d. lgs. n. 758 del 1994, osta al riconoscimento dell'art. 62 bis, c.p.
Deve, in ogni caso, essere qui ribadito che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'Interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 - dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419).

8. Quanto poi alla contestata mancata applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, il giudice ne esclude l'applicabilità.
Sul punto, deve qui rilevarsi, quanto al concorso formale, che non risulta soddisfatta la condizione richiesta dal comma primo dell'art. 81, c.p. (ossia la violazione di diverse disposizioni di legge ovvero la commissione di più violazioni della medesima disposizione di legge con una sola azione od omissione, atteso che le violazioni di cui ai capi a) e b) sono riferite a condotte diverse; quanto poi alla mancata applicazione della disciplina del reato continuato, è ben vero che l'art. 81, comma secondo, cod. pen., non pone alcuna distinzione tra delitti e contravvenzioni, limitandosi a stabilire che "Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge".
La norma, infatti, si riferisce alle violazioni in genere e dunque ai reati, che possono essere indifferentemente sia i delitti che le contravvenzioni. La riduzione dei diversi reati, purché non eterogenei, in un trattamento sanzionatorio unico, rientra tuttavia nelle previsioni di detta norma alla sola condizione che in tema di continuazione l'elemento soggettivo comune ai reati presi in esame sia il dolo e non la colpa: circostanza da escludersi, nel caso di specie, trattandosi per ambedue le violazioni di reati contravvenzionali punibili a titolo di colpa. Ed invero è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l'elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali (da ultimo, v.: Sez. 3, n. 10235 del 24/01/2013 - dep. 05/03/2013, Vitale, Rv. 254423).

9. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, l'8 febbraio 2019

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Allegato riservato Cassazione Penale, Sez. 7, 17 aprile 2019, n. 16715.pdf
 
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Circolare 8 maggio 2019 - D.P.R. 435/91

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Circolare 8 maggio 2019

Circolare 8 maggio 2019 (Prot. 29364) 

D.P.R. 435/91 - Libro II - Titolo VII - "Radiotelegrafia e radiotelefonia" esenzione dall'installazione della stazione radiotelefonica ad onde ettometriche

La circolare n.2/2019 fornisce chiarimenti per garantire l’omogeneità di comportamento degli ispettori di bordo in sede di collaudo e di ispezione a stazioni radio, per la gestione delle esenzioni dall'installazione della stazione radiotelefonica ad onde ettometriche rilasciate alle unità trasporto passeggeri ai sensi del D.P.R. 435/91.

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Estratto:

Questo Comando Generale è stato recentemente compulsato dalla Capitaneria di porto di Genova per quanto attiene alcune evidenze emerse in sede di visite di sicurezza su unità da passeggeri rientranti nel campo di applicazione del DPR 435/91 Libro II – Titolo VII ed attinenti a provvedimenti di esenzione emanati ex art. 154 del D.P.R. 435/91 e condizioni/limitazioni operative ritenute meno restrittive rispetto ai requisiti indicati nella Circolare RT/RTF n. 9/2017 in data 19/01/2017 ovvero, in taluni casi a quelli imposti dalla Circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998.

In merito alla circolare RT/RTF n. 9/2017, si ritiene opportuno chiarire che la stessa:
- elenca i criteri già adottati dal Comando generale, a partire dal 2009, per il rilascio dell’esenzione di cui trattasi; prevedendo apparati radioelettrici da installare in funzione della navigazione e del servizio svolto dall’unità, aggiuntivi rispetto a quelli richiesti con i provvedimenti antecedentemente rilasciati anche in conformità alla Circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998;
- delega alle Capitanerie di porto, nel rispetto dei criteri in essa contenuti, la fase istruttoria ed il rilascio dell’esenzione di cui trattasi;
- non intende revocare od annullare provvedimenti di esenzione già in forza laddove non siano mutate le condizioni che ne hanno determinato il rilascio né tantomeno quelli emessi in accordo alle prescrizioni della Circolare RT/RTF n. 2/1998.
Relativamente, invece, alla Circolare RT/RTF n. 2/1998, si evince che per le unità da passeggeri:
- adibite alla navigazione entro un miglio dalla costa, durante la stagione estiva, in ore diurne ed in condizioni meteo marine favorevoli, e nel presupposto della presenza – nella zona di impiego – del servizio di ascolto continuo in VHF di stazioni radio-costiere restano valide le esenzioni già rilasciate;
- adibite alla navigazione nazionale litoranea, entro un’ora da porti, l’esenzione poteva essere rilasciata/mantenuta nel rispetto di precisi, nuovi, parametri operativi ed in presenza di specifiche apparecchiature radioelettriche (vds punto 2 della Circolare);
- in caso di difformità le Autorità marittime avrebbero dovuto informare tempestivamente (si ricorda era il 18 maggio 1998) lo scrivente Comando generale.
Alla luce di quanto sopra si riporta, quindi, di seguito, l’attuale corretta applicazione delle circolari di cui trattasi per la gestione delle esenzioni rilasciate alle unità trasporto passeggeri:
A. fino al 17 maggio 1998:
a) unità adibite alla navigazione entro un miglio dalla costa, durante la stagione estiva, in ore diurne ed in condizioni meteo marine favorevoli, e nel presupposto della presenza – nella zona di impiego – del servizio di ascolto continuo in VHF di stazioni
radio-costiere restano valide le esenzioni già rilasciate nel rispetto delle condizioni appena citate;
b) unità adibite alla navigazione nazionale litoranea, entro un’ora da porti, le esenzioni restano valide purchè nelle stesse sia stato previsto, così come richiesto dalla circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998, il secondo VHF che potrà essere anche di tipo portatile;
B. dal 18 maggio 1998 al 18 gennaio 2017:
a) unità adibite alla navigazione entro un miglio dalla costa, durante la stagione estiva, in ore diurne ed in condizioni meteo marine favorevoli, e nel presupposto della presenza – nella zona di impiego – del servizio di ascolto continuo in VHF di stazioni radio-costiere, le esenzioni già rilasciate restano valide nel rispetto delle condizioni appena citate;
b) unità adibite alla navigazione nazionale litoranea, entro un’ora da porti, le esenzioni già rilasciate restano valide se i punti 2.1, 2.2 e 2.3 della Circolare RT/RTF n. 2 del 18 maggio 1998 sono rispettati,
c) restano valide le esenzioni rilasciate da questo Comando Generale nelle quali sia stato previsto l’obbligo di installazione degli equipaggiamenti poi previsti nella circolare serie RT/RTF n.09/2017.
C. dal 19 gennaio 2017: trova applicazione la circolare serie RT/RTF n.09/2017.
Eventuali deviazioni rispetto all’applicazione dei contenuti dei punti A., B. o C. di cui sopra, devono essere gestite alla luce della novellata disciplina introdotta con le Circolari “Radiocomunicazioni” n. 5/2004 o RT/RTF n. 9/2017 a scelta dell’armatore a seconda della abilitazione dell’unità.

Fonte: MISE

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 18779 | 06 Maggio 2019

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Sentenze cassazione penale

Utilizzo di una macchina tagliastrisce fuori uso

Comportamento abnorme dell'operaio esperto

Penale Sent. Sez. 4 Num. 18779 Anno 2019

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: DI SALVO EMANUELE
Data Udienza: 23/01/2019

Fatto e diritto

1. G.B. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen., perché, in qualità di amministratore unico della s. r. I. "Castel Belts", cagionava lesioni personali gravi al dipendente P.M., il quale, mentre era intento ad attrezzare una macchina tagliastrisce, operazione per svolgere la quale era necessario smontare i ripari in plexiglas, che proteggevano le mani dai rulli, inavvertitamente urtava, con il piede, il pedale della macchina, così riavviandola e finendo con la mano sotto i rulli.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la macchina interessata all'infortunio era stata posta dal datore di lavoro fuori uso perché non a norma, così come segnalato da apposito cartello, secondo quanto dichiarato in dibattimento dalla stessa persona offesa, la quale ha anche precisato di non avere nell'immediato riferito della presenza del cartello perché nessuno gli aveva posto al riguardo domanda alcuna. È chiaro peraltro che la persona offesa era restia a riferire ciò, avendo utilizzato una macchina che, secondo quanto univocamente affermato dai testimoni escussi in dibattimento, come U. e M., colleglli di lavoro del P.M., non poteva essere usata. I testi F. e S. non erano invece in grado di riferire in ordine a tale circostanza, la prima perché in maternità e il secondo perché aveva mansioni completamente diverse. Del resto, si trattava di un capannone di 750 m quadri, suddiviso in reparti, in cui lavoravano 15-16 lavoratori, ragion per cui è perfettamente comprensibile che i testi non abbiano potuto fornire dettagli in merito alla problematica in disamina. La circostanza che il macchinario sia stato sottoposto a manutenzione, sia immediatamente prima che immediatamente dopo l'infortunio, è ascrivibile non al fatto che il macchinario fosse in uso ma all'intento del G.B. di valutare se fosse più conveniente metterlo a norma anziché dismetterlo. L'affermazione della Corte d'appello secondo cui non vi era alcuna altra macchina che sostituisse quella interessata collide invece con le dichiarazioni sia dei colleghi di lavoro della persona offesa che del funzionario della ASL, il quale ha riferito che ve ne era una nuova.
2.1. Il comportamento del lavoratore è da qualificarsi in termini di abnormità, trattandosi di un operaio esperto, che esercitava le proprie mansioni da vent'anni e che era stato adeguatamente formato circa l'utilizzo della macchina tagliastrisce. Egli indebitamente e consapevolmente rimise in funzione il macchinario, senza che il G.B. potesse prevedere ciò. È dunque da considerarsi interrotto il nesso di causalità.
2.2. Ingiustificatamente è stata negata la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla aggravante contestata, nonostante l'imputato abbia tenuto il macchinario in questione a disposizione dell'autorità procedente per ben otto mesi, affinché potessero essere compiuti tutti gli accertamenti, con un atteggiamento di piena collaborazione, che lo ha indotto anche a sottoporsi ad esame. L'affermazione che il cartello sarebbe stato posto in epoca successiva all'incidente non trova alcun riscontro nelle risultanze dibattimentali ed è stata addirittura smentita dalle medesime.
2.3. Erroneamente è stata rigettata la richiesta di applicare la sola pena pecuniaria della multa o, in alternativa, di sostituire la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, atteso che la circostanza che l'imputato abbia riportato precedenti condanne a sola pena pecuniaria, come pena principale o come sanzione sostitutiva, non osta affatto alla reiterazione dell'applicazione della sanzione pecuniaria medesima, tanto più che le sanzioni sono state tutte debitamente pagate e le condanne riguardano fatti risalenti nel tempo e reati posti a tutela di beni giuridici diversi.
2.4. Ingiustificatamente è stata negata la concessione della sospensione condizionale della pena, nonostante la precedente condanna fosse ad anni uno di reclusione e la presente sia a mesi due di reclusione, con un cumulo, dunque, abbondantemente al di sotto del limite dei due anni.
3. Risalendo il fatto al 29-1-2010, è maturato il termine prescrizionale, di anni 7 e mesi 6, onde il reato è estinto per prescrizione. Il ricorrere di una causa di estinzione del reato preclude la disamina della questione relativa alla fondatezza o meno dei motivi di ricorso. Quand'anche, infatti, dovesse addivenirsi, al riguardo, ad una valutazione in senso positivo, essa comporterebbe l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con conseguente prosecuzione del processo dinanzi al giudice del rinvio. Ma la prosecuzione del processo è incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato (Sez. U., 21-10-1992, Marino; Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244275 - 01; Cass., 23-1-1997, Bormgia, Rv. 208673; Cass., 24 -6- 1996, Battaglia, Rv.205548). Né, d'altronde, è possibile, in questa sede, fare applicazione del disposto dell'art. 129 cpv. cod. proc. pen., non risultando evidente il ricorrere di una delle cause di non punibilità di cui alla predetta norma, in considerazione delle ragioni espresse nella motivazione della decisione impugnata. 
4. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 23-1-2019.

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Il lavoro al videoterminale

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Il lavoro al videoterminale

Il lavoro al videoterminale

L'utilizzo del videoterminale, soprattutto se prolungato, puo provocare qualche disturbo, essenzialmente per l'apparato muscolo-scheletrico e per la vista, o problemi di affaticamento mentale.

Tuttavia, osservando alcune norme di buona pratica è possibile prevenirli.
Questo opuscolo può essere utilizzato dai datori di lavoro per informare correttamente sui rischi a cui sono esposti i lavoratori che utilizzano abitualmente il videoterminale e per spiegare loro come sistemare la postazione di lavoro e usare le apparecchiature in modo corretto.

Inail 2010

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PI: Attestazione di rinnovo decennale il 7 ottobre 2019

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PI Attestazione rinnovo decennale

Prevenzione incendi - Attestazione di rinnovo periodico decennale una tantum: 7 ottobre 2019

Le attività soggette a rinnovo decennale presentano la prima attestazione di rinnovo periodico, se in possesso di certificato di prevenzione incendi una tantum rilasciato nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1988 e il 31 dicembre 1999. Si tratta delle attività dei punti 6, 7, 8, 64, 71, 72, 77 dell’allegato I al DPR 151/2011. (Entrata in vigore 07/10/2011)

Ad esempio, vi rientrano: i centri informatici di elaborazione e/o archiviazione dati con oltre 25 addetti, le aziende e uffici con oltre 300 addetti, edifici destinati ad uso civile con altezza antincendio superiore a 24 metri, ecc, nel dettaglio:

Attività Descrizione
6 Reti di trasporto e di distribuzione di gas infiammabili, compresi quelli di origine petrolifera o chimica, con esclusione delle reti di distribuzione e dei relativi impianti con pressione di esercizio non superiore a 0,5MPa
7 Centrali di produzione di idrocarburi liquidi e gassosi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, piattaforme fisse e strutture fisse assimilabili, di perforazione e/o produzione di idrocarburi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886 ed al decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624
8 Oleodotti con diametro superiore a 100 mm
64 Centri informatici di elaborazione e/o archiviazione dati con oltre 25 addetti
71 Aziende ed uffici con oltre 300 persone presenti
72 Edifici sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, aperti al pubblico, destinati a contenere biblioteche ed archivi, musei, gallerie, esposizioni e mostre, nonché qualsiasi altra attività contenuta nel presente Allegato.
77 Edifici destinati ad uso civile con altezza antincendio superiore a 24 m

DPR 151/2011
...
Art. 5. Attestazione di rinnovo periodico di conformità antincendio

1. La richiesta di rinnovo periodico di conformità antincendio che, ogni cinque anni, il titolare delle attività di cui all'Allegato I del presente regolamento è tenuto ad inviare al Comando, è effettuata tramite una dichiarazione attestante l'assenza di variazioni alle condizioni di sicurezza antincendio corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7. Il Comando rilascia contestuale ricevuta dell'avvenuta presentazione della dichiarazione.

2. Per le attività di cui ai numeri 6, 7, 8, 64, 71, 72 e 77 dell'Allegato I, la cadenza quinquennale di cui al comma 1 è elevata a dieci anni.
...
Art. 11. Disposizioni transitorie e finali

6. Gli enti e i privati responsabili delle attività di cui al comma 2, dell'articolo 5, presentano la prima attestazione di rinnovo periodico, entro i seguenti termini:

a) entro sei anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento (07/10/2017) per le attività con certificato di prevenzione incendi una tantum rilasciato antecedentemente al 1° gennaio 1988; 
b) entro otto anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento (07/10/2019) per le attività con certificato di prevenzione incendi una tantum rilasciato nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1988 ed il 31 dicembre 1999;
c) entro dieci anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento (07/10/2021) per le attività con certificato di prevenzione incendi una tantum rilasciato nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 e la data di entrata in vigore del presente regolamento.

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D.Lgs. 230/1995 Radiazioni ionizzanti | Consolidato 2019

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Protezione esposdizione radiazioni ionizzanti 2019 small

D.Lgs. 230/1995 Radiazioni ionizzanti | Consolidato 2019

Abrogato dal Decreto Legislativo 31 luglio 2020 n. 101 (dal 27 Agosto 2020)

Il Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 230 e s.m.i. è il testo base della Protezione sanitaria dalle radiazioni ionizzanti in Italia (Radioprotezione).

Il testo consolidato 2019 del Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 230 "Radiazioni ionizzanti", tiene conto delle modifiche e abrogazioni dal 2000 a Gennaio 2018.

Disponibile il D.Lgs. 230/1995 Radiazioni ionizzanti | Consolidato 2019, direttamente dal nostro sito, in formato PDF, copiabile/stampabile riservato Abbonati Sicurezza.

Download Indice Ed. 1.1 Aprile 2019

 Il D.Lgs. 230/1995 implementa la Direttiva 96/29/Euratom e numerose altre Direttive in materia di Radioprotezione.

La Radioprotezione è una disciplina che si occupa della protezione delle persone rispetto ai rischi potenzialmente derivanti dall’esposizione a sorgenti di radiazioni ionizzanti. il cui scopo è la prevenzione totale dei danni deterministici e la limitazione della probabilità di accadimento degli effetti stocastici.

La Radioprotezione viene garantita attraverso l’emissione di normative tecniche destinate a contenere l’esposizione entro limiti definiti.

Organismo di riferimento in tal senso, è l'ICRP (International Commission on Radiological Protection), istituita nel 1928 dal Secondo Congresso Internazionale di Radiologia, e la cui organizzazione e denominazione attuale risalgono al 1950.

L’ICRP ha sviluppato i principi fondamentali della radioprotezione e ha indicato i limiti di dose per la protezione sanitaria degli addetti ad attività comportanti esposizione alle radiazioni.

Sebbene l’ICRP non abbia carattere governativo, ovvero non dipenda dalle autorità governative dei singoli paesi, ha autorevolezza tale da essere organismo scientifico riconosciuto dalla Comunità Europea nel fissare le direttive di protezione sanitaria contro le radiazioni ionizzanti.

Nel 1957 è stato istituito l’EURATOM, organismo della Comunità Europea che sovrintende a tutti gli aspetti connessi all’impiego pacifico delle radiazioni ionizzanti e che provvede ad emettere direttive sulla base delle raccomandazioni dell’ICRP.

Nota di redazione

La Direttiva quadro generale 2013/59/EURATOM  che modifica in modo rilevante l'assetto normativo della protezione contro il pericolo dall'esposizione radiazioni ionizzanti deve essere recepita dagli stati membri entro il 6 febbraio 2018 con un periodo di transizione di 4 anni dall'entrata in vigore il 6 febbraio 2014, alla data notizia, nessuno schema di recepimento pubblicato da parte dell'Italia.

Direttiva 2013/59/EURATOM
Direttiva 2013/59/EURATOM del Consiglio del 5 dicembre 2013 che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom90/641/Euratom96/29/Euratom97/43/Euratom e 2003/122/Euratom.

La direttiva ha come oggetto la protezione congiunta alle esposizioni delle seguenti categorie di soggetti:

- Esposizione dei lavoratori (cap. VI) (occupational exposure)
- Esposizione pazienti e individui procedura diagnostica o terapia medica (cap. VII) (medical exposure)
- Esposizione esclusi dalle esposizioni occupazionali e mediche cap. VIII) (public exposure)

Il testo nativo:

Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 230
Attuazione delle direttive 89/618/Euratom90/641/Euratom96/29/Euratom2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, 2009/71/Euratom in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70/Euratom in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attivita' civili.
(GU n.136 del 13-6-1995 - Suppl. Ordinario n. 74)

Modifiche e abrogazioni:

Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n. 187 (in SO n.105, relativo alla G.U. 07/07/2000, n.157) 
Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n. 241 (in SO n.140, relativo alla G.U. 31/08/2000, n.203) 
- Errata Corrige (in G.U. 22/03/2001, n.68) 
Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (in SO n.93, relativo alla G.U. 26/04/2001, n.96) 
Decreto Legislativo 9 maggio 2001, n. 257 (in G.U. 04/07/2001, n.153)
Legge 1 marzo 2002, n. 39 (in SO n.54, relativo alla G.U. 26/03/2002, n.72) 
Decreto Legislativo 6 febbraio 2007, n. 52 (in G.U. 24/04/2007, n.95)
Decreto Legislativo 20 febbraio 2009, n. 23 (in G.U. 23/03/2009, n.68)
Decreto Legislativo 23 marzo 2011, n. 41 (in G.U. 13/04/2011, n.85) 
Decreto Legislativo 1 giugno 2011, n. 100 (in G.U. 07/07/2011, n.156) 
Decreto Legislativo 19 ottobre 2011, n. 185 (in G.U. 15/11/2011, n.266) 
Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 45 (in G.U. 26/03/2014, n.71) 
Legge 28 luglio 2016, n. 153 (in SO n.31, relativo alla G.U. 09/08/2016, n.185) 
Decreto Legislativo 15 settembre 2017, n. 137 (in G.U. 19/09/2017, n.219)
Decreto Legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (in G.U. 22/01/2018, n.17) [Ed. 1.1 2019]

...

Formato: pdf
Pagine: +480
Edizione: 1.1
Pubblicato: 07/04/2019
Autore: Ing. Marco Maccarelli
Editore: Certifico s.r.l. 
Lingue: Italiano 
ISBN: 978-88-98550-90-6
Abbonati: Sicurezza/2X/3X/4X/Full

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Cassazione Civile Sent. Sez. 6 n. 10373 | 12 Aprile 2019

ID 8293 | | Visite: 2392 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Movimentazione manuale di carichi e discopatia lombare

Onere di dimostrazione dell'esposizione al rischio e del nesso di causalità

Civile Ord. Sez. 6 Num. 10373 Anno 2019

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: ESPOSITO LUCIA
Data pubblicazione: 12/04/2019

Ritenuto

1. Il Tribunale di Bergamo respinse la domanda proposta da M.M., volta al riconoscimento dell'eziologia professionale della malattia di cui era affetto (discopatia lombare plurima in esito a microdiscectomia L4 - L5) e la condanna dell'Inail all'Indennizzo ex art. 13 D.lgs. 38/2000, in relazione a domanda amministrativa presentata il 19/12/2014, motivando il rigetto sul rilievo che il ricorrente non aveva formulato alcuna richiesta istruttoria idonea a dar conto dell'avvenuta prestazione di mansioni di movimentazione manuale del carichi svolte in modo non occasionale in assenza di ausili efficaci;
2. La Corte d'appello di Brescia confermò la sentenza, rilevando, a fondamento della decisione, che non risultava dimostrata l'esposizione a rischio, nella fattispecie costituita dall'esercizio In modo continuativo delle mansioni descritte in ricorso, e che correttamente il Tribunale non aveva accolto le richieste di ordine di esibizione di documentazione nel confronti dell'Inail e di c.t.u. medico legale, risultando dal documenti raccolti nel corso dell'Indagine amministrativa una storia lavorativa non compatibile con l'allegata esposizione a rischio e non emergendo alcun riscontro circa le mansioni pesanti riferite dal lavoratore;
3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione M.M. con unico motivo;
4.1'INAIL ha resistito con controricorso; 
5.la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;

Considerato

1. Con unico motivo il ricorrente deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 115, 116, 420 c. 5, 421 e 445 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, osservando che la Corte aveva omesso di provvedere sulle istanze istruttorie e, in particolare, sulla richiesta di consulenza tecnica, violando l'art. 445 c.p.c., il quale prevede espressamente l'esperimento della consulenza nei procedimenti in materia di prestazioni previdenziali ed assistenziali;
2. il ricorso è inammissibile perché la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento consolidato;
3. va rilevato, infatti, che la statuizione riguardo la mancanza di prova circa l'esercizio in modo continuativo delle mansioni descritte in ricorso, e, quindi, dell'allegata esposizione a rischio, sostanzialmente rimasta incensurata, ha carattere preliminare rispetto all'eventuale espletamento di una c.t.u., alla quale non può essere affidata la prova del fatto costitutivo del diritto fatto valere e, specificamente, del nesso causale tra le mansioni in concreto svolte e la malattia;
4. la giurisprudenza di questa Corte di legittimità è ferma nel ritenere che la consulenza non possa essere finalizzata ad esonerare la parte dall'onere della prova, né possa essere richiesta a fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati (Cass. n. 15219 del 05/07/2007), poiché essa non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all'acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze (Cass. n. 5914 del 09/11/1981, Cass. n. 9461 del 21/04/2010);
5. va ricordato quanto espressamente affermato sul punto in tema di equo indennizzo: <il dipendente ha l'onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità della patologia denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita, non potendosi considerare sufficiente il mero richiamo alle mansioni astrattamente previste. Ne consegue che, ove sia mancata l'indicazione di tali fatti, la prova del fatto costitutivo e del nesso causale non può essere affidata all'accertamento peritale, non costituendo la consulenza di ufficio un mezzo sostitutivo dell'onere della prova, ma solo uno strumento istruttorio finalizzato ad integrare l'attività del giudice per mezzo di cognizioni tecniche con riguardo a fatti già acquisiti> (Cass. n. 16778 del 17/07/2009);
6. alla luce delle argomentazioni esposte emerge che il giudicante ha correttamente applicato le regole che presiedono all'onere della prova, gravando sull'assicurato l'onere di dimostrare l'esposizione al rischio e il nesso di causalità tra detta esposizione e la malattia, talché nessun profilo di violazione di legge è ravvisabile e la censura si risolve in una inammissibile intrusione nel potere di valutazione delle prove del giudice del merito;
7. in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con esclusione di statuizioni sulle spese a carico della parte ricorrente, in presenza di dichiarazione sostitutiva ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ.;
8. non sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, essendo stata la parte ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato;



P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese. Così deciso in Roma il 23/1/2019

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Guida Buone pratiche protezione lavoratori esposizione silice

ID 8277 | | Visite: 5141 | Documenti Sicurezza Enti

Guida Buone pratiche proptezione lavoratori esposizione silice NEPSI

Guida Buone pratiche protezione lavoratori esposizione silice cristallina e sostanze

ID 8277 | 01.05.2019

Questa guida è il risultato di una raccolta delle conoscenze e delle informazioni sulla gestione della silice cristallina respirabile, già disponibili nei settori di produzione e/o utilizzazione di prodotti o materie prime contenenti silice cristallina. La pubblicazione di questa guida rappresenta un contributo dell'industria (datori di lavoro e dipendenti) alla protezione dei lavoratori dalla possibile esposizione alla silice cristallina respirabile nel luogo di lavoro.

L'obiettivo di questa guida è quello di fornire ai produttori e agli utenti di prodotti e materiali contenenti silice cristallina una guida per l'applicazione pratica di un programma per gestire la silice cristallina respirabile e per l'utilizzo sicuro dei prodotti contenenti silice cristallina nel luogo di lavoro.

Le industrie che producono e utilizzano la silice sottolineano l'importanza della protezione dei lavoratori dai potenziali effetti sulla salute dell'esposizione professionale alla silice cristallina respirabile nell'ambiente di lavoro. Pertanto è necessario concentrare gli sforzi per ridurre al minimo la potenziale esposizione individuale alla silice cristallina respirabile nel luogo di lavoro.

Questa è una guida dinamica, che si concentra sugli aspetti considerati più significativi. Nonostante la sua completezza, non è stato tuttavia possibile coprire in dettaglio tutte le aree di interesse.

Si consiglia ad utenti, clienti, lavoratori e lettori di consultare specialisti ed esperti in materia di salute sul lavoro, in merito a tutte le questioni di controllo della silice cristallina respirabile in ciascun specifico ambiente di lavoro.

Questa Guida alle Buone Pratiche è un Allegato all'Accordo sulla protezione della salute dei lavoratori tramite la corretta manipolazione ed utilizzo della silice cristallina e dei prodotti contenenti la stessa, e si basa su determinati principi: le parti concordano che la silice cristallina e i materiali / prodotti / materie prime che contengono silice cristallina sono, come descritto più in dettaglio nell'Allegato 5, componenti /ingredienti di base, utili e spesso indispensabili, per un gran numero di attività industriali e altre attività professionali che contribuiscono a proteggere posti di lavoro e ad assicurare il futuro economico dei settori e delle società, e che la loro produzione e il loro utilizzo su vasta scala deve, pertanto, continuare

NEPSI European Network for Silica - 2006

Guida alle Buone Pratiche per Protezione della salute dei lavoratori tramite la corretta manipolazione ed utilizzo della Silice Cristallina e dei prodotti che la contengono

Cos’è l’accordo NEPSI?
Nel 2006 l’industria (datori di lavoro e dipendenti di 14 settori industriali) ha realizzato una Guida alle buone pratiche per la protezione della salute dei lavoratori tramite la corretta manipolazione ed utilizzo della silice cristallina e dei prodotti che la contengono, documento che costituisce la base dell’Accordo di dialogo sociale e contiene oltre 65 schede che descrivono tecniche di buona pratica in numerosi contesti lavorativi. Le schede identificano adeguate misure di controllo che consentano ai datori di lavoro di ridurre i livelli di esposizione alla silice cristallina respirabile a una quantità minima.

Pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (OJ 2006/C279/02) e tradotto in 22 lingue, l’Accordo ha dato il via alla più grande campagna di sensibilizzazione mai realizzata sui rischi derivanti dall’esposizione alla RCS. L’Accordo prevede un audit obbligatorio della sua applicazione ogni due anni e gli effetti sono già visibili nei luoghi di lavoro interessati. I firmatari dell’Accordo si impegnano a proseguire ulteriori ricerche sui rischi dell’esposizione e a integrare e aggiornare regolarmente le buone pratiche. L’Accordo NEPSI è uno straordinario strumento di prevenzione per migliorare la tutela dei lavoratori sul luogo di lavoro grazie alle misure di riduzione delle polveri di RCS descritte nella Guida alle buone pratiche, costantemente aggiornata.

Il Considerando 19 della Direttiva 2017/2398 recita espressamente: “Gli orientamenti e gli esempi di buone prassi elaborati dalla Commissione, dagli Stati membri o dalle parti sociali o altre iniziative, quali l’«accordo di dialogo sociale sulla protezione della salute dei lavoratori attraverso la manipolazione e l’uso corretti della silice cristallina e dei suoi prodotti» (NEPSi), costituiscono strumenti preziosi e necessari per integrare le misure normative e, in particolare, per sostenere l’efficace applicazione dei valori limite, e dovrebbero pertanto essere tenuti debitamente in conto. Essi comprendono misure tese a evitare o ridurre al minimo l’esposizione quali, nel caso della silice cristallina respirabile, l’abbattimento ad acqua delle polveri affinché queste non siano aerodisperse.”

Chi sono i firmatari dell’Accordo NEPSI?
Nel 2006 le associazioni datoriali e i dipendenti di 14 settori industriali hanno firmato l’Accordo sulla protezione della salute dei lavoratori attraverso la corretta manipolazione ed utilizzo della silice cristallina e dei prodotti che la contengono (il cosiddetto Accordo NEPSI – European Network for Silica, pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, OJ 2006/C279/02).

I dipendenti sono rappresentati da: IndustriAll. I datori di lavoro sono rappresentati da: GlassFibreEurope (fibra di vetro), BIBM (componenti in calcestruzzo prefabbricato), CAEF (fonderie), CEEMET (associazione di aziende metalmeccaniche e affini), CEMBUREAU (cemento), CERAME‐UNIE (ceramica), EMO (malte), EUROMINES (attività estrattiva), EUROROC (pietre naturali), EURIMA (lane minerali per isolamento), EXCA (argilla espansa), FEVE (contenitori in vetro), Glass for Europe (vetro piano), IMA‐Europe (minerali per l’industria), UEPG (aggregati). L’accordo rimane sempre aperto a nuovi firmatari e recentemente hanno aderito a NEPSI le seguenti associazioni di categoria: ECSPA (associazione dei produttori europei di silicati di calcio), ERMCO (organizzazione europea del calcestruzzo) e AstA Worldwide (associazione dei produttori di pietra composita).

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NEPSI 2006
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VVF: attività di vigilanza in materia di sicurezza

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VVF attivita  di vigilanza in materia di sicurezza

VVF: attività di vigilanza in materia di sicurezza

ID 8270 | 30.04.2019 / Documento allegato

Il D.Lgs. 81/2008 attribuisce al C.N.VV.F. la vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro "per quanto di specifica competenza".

1. Il ruolo del C.N.VV.F. ed il D.Lgs. n. 81/2008

L'Art. 13 del D.Lgs. n. 81/2008 attribuisce al C.N.VV.F. la vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro "per quanto di specifica competenza".

D.Lgs. n. 81/2008
...
Art. 13 Vigilanza

1. La vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché per il settore minerario, fino all'effettiva attuazione del trasferimento di competenze da adottarsi ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, dal Ministero dello sviluppo economico, e per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. Le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del presente articolo, nell'ambito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.

1-bis. Nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni.

2. Ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al personale ispettivo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ivi compresa quella in materia di salute e sicurezza dei lavoratori di cui all'articolo 35 della legge 26 aprile 1974, n. 191, lo stesso personale esercita l'attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nelle seguenti attività, nel quadro del coordinamento territoriale di cui all'articolo 7:
a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l'impiego di esplosivi;
b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei;
c) ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, e della salute, adottato sentito il comitato di cui all'articolo 5 e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali svolge attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza dell'Azienda sanitaria locale competente per territorio.

3. In attesa del complessivo riordino delle competenze in tema di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, restano ferme le competenze in materia di salute e sicurezza dei lavoratori attribuite alle autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli uffici di sanità aerea e marittima, alle autorità portuali ed aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale nonché ai servizi sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco; i predetti servizi sono competenti altresì per le aree riservate o operative e per quelle che presentano analoghe esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute. L'Amministrazione della giustizia può avvalersi dei servizi istituiti per le Forze armate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi istituiti con riferimento alle strutture penitenziarie.

4. La vigilanza di cui al presente articolo è esercitata nel rispetto del coordinamento di cui agli articoli 5 e 7.

5. Il personale delle pubbliche amministrazioni, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di consulenza.

6. L'importo delle somme che l'ASL, in qualità di organo di vigilanza, ammette a pagare in sede amministrativa ai sensi dell'articolo 21, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, integra l'apposito capitolo regionale per finanziare l'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dai dipartimenti di prevenzione delle AA.SS.LL.

7. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 64 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, con riferimento agli organi di vigilanza competenti, come individuati dal presente decreto.

In concreto, tale attività è volta a verificare l'attuazione del complesso di norme, contenute nel codice penale ed in leggi speciali, che si prefiggono di:

- prevenire l'insorgere di incendi nei luoghi di lavoro;
- prevenire la formazione e l'innesco di miscele esplosive nei luoghi di lavoro;
- assicurare le condizioni per un rapido e sicuro allontanamento dei lavoratori in caso di pericolo d'incendio e/o esplosione.

2. Uffici di polizia giudiziaria

Per far fronte agli adempimenti derivanti da tale attività istituzionale (aggiuntiva rispetto a quelle tradizionali rappresentate dall'estinzione degli incendi e del soccorso pubblico, nonché della prevenzione incendi e delle attività di ricerca e studio) presso le sedi dei Comandi Provinciali VV.F. sono presenti gli "Uffici di Polizia Giudiziaria".

Ciò premesso, le attività che il C.N.VV.F. svolge nello specifico ambito della sicurezza nei luoghi di lavoro, consistono essenzialmente in:

3. Agenti e ufficiali di P.G.

A tal proposito è opportuno sottolineare che, in forza degli art. 7, co. 1 e 2, artt. 8 e 17 della legge 27 dicembre 1941, n. 1570, nonché degli artt. 14 e 16 della legge 13 maggio 1961, n. 469 e degli artt. 1 e 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252 accorpati integralmente dal disposto dell'art. 6, 2° comma del D.Lgs. 8 marzo 2006 n. 139, il personale operativo del C.N.VV.F. nell'esercizio delle attività istituzionali svolge funzioni di polizia giudiziaria; in particolare, al personale appartenente al ruolo di vigile del fuoco è attribuita la qualifica di agente di polizia giudiziaria, mentre al personale appartenente agli altri ruoli dell'area operativa del Corpo Nazionale (capi squadra, capi reparti, funzionari, dirigenti) è attribuita la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria.

La competenza degli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria degli operatori del C.N.VV.F. è limitata alle tipologie di reati fondamentalmente ascrivibili alle due seguenti categorie:

- delitti contro la pubblica incolumità;
- contravvenzioni in materia di sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro.

4. I principali reati di competenza del C.N.VV.F.

Le principali fattispecie di reato relative alle violazioni delle norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro che rientrano tra le competenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco possono così riassumersi:

- Omissione colposa di cautele e difese contro disastri o infortuni sul lavoro
(codice penale, art. 451);

- Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro
(codice penale, art. 437);

- Omessa predisposizione ed omesso controllo dei mezzi ed impianti di estinzione incendi
(D.Lgs. n. 81/2008 - combinato disposto degli artt. 63, comma 1 (punto 4.1.3 allegato IV), 64, comma 1, lett. a) e 68);

- Omessa sottoposizione a preventivo esame di progetti ed omessa richiesta di visita di controllo di impianti o costruzioni
(D.Lgs. n. 81/2008 - combinato disposto degli artt. 63, comma 1 (punto 4.4 allegato IV), 64, comma 1, lett a) e 68);

- Omessa predisposizione del "documento della sicurezza e salute dei lavoratori
(D.Lgs. n. 81/2008 - combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. a) e 55, comma 1, lett. a));

- Omessa designazione del responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
(D.Lgs. n. 81/2008 - combinato disposto degli artt.17, comma 1, lett. b) e 55, comma 1, lett. b));

- Omessa adozione delle misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'incolumità dei lavoratori
(D.Lgs. n. 81/2008 - combinato disposto degli artt. 46 comma 2, e 55, comma 4, lett. b));

- Omessa designazione dei lavoratori incaricati delle attività di prevenzione incendi, lotta antincendio ed evacuazione
(D.Lgs. n. 81/2008 - combinato disposto degli artt. 18 comma 1, lett. b) e 55, comma 4, lett. a));

- Omessa formazione dei lavoratori incaricati delle attività di prevenzione incendi, lotta antincendio ed evacuazione
(D.Lgs. n. 81/2008 - combinato disposto degli artt. 18 comma 1, lett. l), e 55, comma 4, lett. e));

- Omessa attuazione del sistema di gestione della sicurezza da parte del gestore di attività a rischio di incidente rilevate ai sensi del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334.
(D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334 - articolo 7 comma 2 - ndr Seveso III D.Lgs. 105/2015).

5. La speciale procedura per i reati in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi sul lavoro introdotta dal D.Lgs. 758/1994

In conclusione, appare importante evidenziare brevemente la speciale procedura introdotta dal Legislatore, con l'ormai datato D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 in materia di violazioni (di carattere contravvenzionale) delle norme relative alla sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro:

- una volta accertata la commissione di una contravvenzione in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi lavoro, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando, contestualmente, un arco temporale in cui questi deve adempiere;

- trascorso tale intervallo di tempo, l'organo di vigilanza verifica che il contravventore abbia adempiuto (nei tempi e nei modi) alla prescrizione impartita e, in caso affermativo, lo ammette al pagamento di una somma di denaro (1/4 della pena edittale massima prevista per la violazione);

- a pagamento avvenuto l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'avvenuto adempimento (nei tempi e nei modi) e l'avvenuto pagamento (nei tempi) chiedendo, al contempo, l'archiviazione del procedimento penale apertosi (e rimasto in sospeso) con la contestazione della contravvenzione.

In tal modo, quindi, il legislatore ha inteso perseguire un il duplice obiettivo: deflazionare il sistema penale da un lato e garantire l'incolumità dei lavoratori attraverso la rimozione delle situazioni pericolose ed il ripristino delle condizioni di sicurezza, dall'altro.

Vedasi: DISCIPLINA SANZIONATORIA IN MATERIA DI LAVORO

Fonte: VVF

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Infortuni sul lavoro e malattie professionali: la mappa delle province italiane

ID 8263 | | Visite: 2541 | News Sicurezza

infortuni sul lavoro

Infortuni sul lavoro e malattie professionali: la mappa delle province italiane

Il 28 aprile ricorre la Giornata Mondiale per la Salute e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, nata per promuovere un impegno attivo e condiviso di governi, datori di lavoro e lavoratori che garantisca un ambiente sicuro e salubre dando massima priorità al principio di prevenzione.

In occasione di tale ricorrenza l’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro ha deciso di analizzare gli open data INAIL più recenti in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali relativi ai suoi assicurati. In particolare si è scelto di scendere nel dettaglio della provincia italiana, in modo da avere un utile approfondimento sulle differenze territoriali.

Ne risulta che in generale gli incidenti sul lavoro nel periodo preso in considerazione (2018) sono aumentati rispetto al periodo precedente dello 0,9% a fronte di un aumento degli occupati tale da rendere l’incidenza degli infortuni pari a quella del 2017.

L’aumento è dovuto principalmente all’incremento degli incidenti negli spostamenti casa-lavoro (+2,8% rispetto al 2017) e in particolar modo quando si utilizzano mezzi di trasporto (+5,4%). Analizzando le caratteristiche anagrafiche dei lavoratori coinvolti in incidenti in occasione di lavoro, si nota un forte aumento degli incidenti sul lavoro che coinvolgono i cittadini di origine straniera (+6,7% rispetto al 2017) e i giovani (+5%).

A livello provinciale, sono due gli aspetti che hanno interessato maggiormente la presente analisi:

1. nel biennio 2017-2018 il Sud (spicca la provincia di Crotone) è in testa per l’incidenza degli infortuni in occasione di lavoro con esito mortale, probabilmente per la scarsa attenzione alle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro e per la maggiore concentrazione delle occasioni di lavoro nei settori a rischio (agricoltura e costruzioni);

2. nel 2018 si distinguono in negativo 9 province per l’incidenza dei tumori sul totale delle malattie professionali, nel 70% dei casi provocati dall’amianto. Di queste, 7 si trovano nel Nord Italia (in testa fra esse Gorizia, seguita da Torino, Novara e Milano).

È tuttavia interessante notare che, invece, la medaglia nera per il numero assoluto di tumori determinati da malattie professionali spetti a Taranto, seguita da Torino, Napoli, Milano, Genova e Venezia. Analizzando nel dettaglio i settori correlati alle cause tumorali in tali province, si rileva che il 71% dei lavoratori del settore metalmeccanico sono più esposti al rischio di contrarre un tumore durante l’attività lavorativa. A Taranto, ad esempio, il 70% dei tumori denunciati è correlato al settore metalmeccanico, quota che supera l’80% per le province di Genova (83%), Venezia (87%), Brescia (85%) e Gorizia (93%). Fra le prime 10 province analizzate, l’incidenza dei tumori, contratti dai lavoratori del macro settore chimico, petrolchimico e lavorazioni di gomma e plastica, supera il 20% nelle province di Torino (24%) e Milano (22%).

...

Fonte: Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 17223 | 19 Aprile 2019

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Sentenze cassazione penale

Folgorazione durante i lavori di ristrutturazione di uno stabile

Responsabile il committente/responsabile dei lavori che non valuta il rischio specifico per il quale ha anche la diffida della RFI

Penale Sent. Sez. 4 Num. 17223 Anno 2019
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 02/04/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di L'Aquila ha confermato la sentenza di primo grado che, all'esito dell'abbreviato, ha condannato F.C. alla pena sospesa di cinque mesi e giorni dieci di reclusione per il reato di cui agli artt. 113, 589, secondo comma, cod.pen., per avere cagionato, in qualità di committente e responsabile dei lavori di ristrutturazione dello stabile di sua proprietà ed in cooperazione colposa con altri, il decesso di A.L.M., il quale, in data 7 settembre 2011, nell'urtare inavvertitamente contro un filo elettrico ad alta tensione, mentre lavorava sul ponteggio del cantiere, restava folgorato da una scarica elettrica, con imprudenza consistita nel non osservare la diffida ricevuta da Ferrovie dello Stato (raccomandata in data 10 novembre 2000), con cui si vietava la prosecuzione dei lavori e la realizzazione di costruzioni nella zona asservita dall'elettrodotto, e con negligenza consistita nel non aver avvisato l'impresa esecutrice dei lavori circa i pericoli connessi alla mancata distanza di sicurezza dall'elettrodotto dell'area in cui veniva realizzato il ponteggio.
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l'imputato, che ha dedotto 1) la violazione di legge ed il vizio di motivazione per erronea applicazione dell'art. 93 del d.lgs. n. 81 del 2008, avendo i giudici di merito attribuito compiti e responsabilità al committente che, in realtà, erano stati trasferiti al tecnico abilitato, coordinatore in materia di sicurezza e salute, I.G. con espresso esonero del ricorrente dalla responsabilità penale; 2) l'erronea applicazione degli artt. 190, 192 cod.proc.pen. e 111 Cost., avendo il giudice di appello omesso di valutare le prove fornite dalla difesa, anche al solo fine di confrontarle con quelle fornite dall'accusa. In particolare il ricorrente ha evidenziato di aver rispettato tutte le prescrizioni urbanistiche, ottenendo tutte le necessarie autorizzazioni, senza che il Comune di Avezzano, da cui aveva acquistato l'immobile oggetto di ristrutturazione, abbia mai segnalato il problema della linea dell'alta tensione, parzialmente esistente e modificatasi in relazione alle esigenze della linea ferroviaria, e di essere, pertanto, inconsapevole del rischio connesso alla folgorazione; di non essersi ingerito nell'attività dell'appaltatore e di aver nominato il coordinatore responsabile della sicurezza, proprio dopo aver ricevuto la diffida delle Ferrovie dello Stato, in quanto, quale operaio di una ditta pubblicitaria, era sprovvisto di ogni competenza in materia e del tutto ignaro della circostanza che la linea di alta tensione fosse attiva, come emerso dalla deposizione della moglie, all'udienza del 5 novembre 2015, a cui i giudici di merito non hanno fatto alcun riferimento; di non essere destinatario degli obblighi derivanti dalla legge e relativi all'adozione di misure di cautela e
protezione per i relativi lavori da svolgersi a distanza inferiore a quella prevista dalla legge dalle linee elettriche, obblighi che gravano su chi si occupa della sicurezza del cantiere.

Considerato in diritto

1 -Il ricorso è inammissibile, in quanto, nell'esposizione unitaria delle due censure formulate, non si confronta con le argomentazioni dei giudici di merito e risulta, pertanto, del tutto a-specifico. In proposito va, difatti, ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 ud. - dep. 16/05/2012, Rv. 253849 - 01).
2.Più precisamente nella sentenza impugnata si legge che "in una situazione quale quella emergente dagli atti, in cui il committente/responsabile dei lavori non aveva neppure valutato e/o fatto valutare il rischio specifico, per il quale aveva ricevuto formale diffida dalla RFI, relativo alla vicinanza del fabbricato ai cavi elettrici di alta tensione, l'avvenuta nomina di un coordinatore per l'esecuzione (peraltro, riguardante unicamente lavori di rifacimento intonaci esterni, demolizione e ricostruzione di un balcone e sistemazione gronde) non fosse affatto idonea a trasferire a tale figura tecnica le competenze e le responsabilità in ordine alla alta vigilanza", che grava sul committente. Il giudice di appello ha, difatti, precisato che F.C. aveva conservato il ruolo di responsabile dei lavori, non avendo mai attribuito tale ruolo ad un tecnico, ed avendo nominato I.G. coordinatore per la sicurezza limitatamente alla fase di esecuzione delle opere e con esclusivo riferimento ai lavori di rifacimento degli intonaci esterni, alla demolizione e ricostruzione di un balcone e alla sistemazione delle gronde, senza alcuna menzione, nell'incarico conferito, dei lavori di rifacimento del tetto - v. p. 5-6 della sentenza di appello "dalla documentazione versata in atti risulta ..che F.C. - committente e responsabile dei lavori - designò (con atto di data 13.7.2011) il geom. I.G. quale coordinatore in materia di sicurezza durante l'esecuzione dell'opera per il cantiere: lavori di ristrutturazione (rifacimento intonaci esterni, demolizione e ricostruzione di un balcone e sistemazione gronde sul proprio fabbricato....tale atto di nomina porta in calce la firma del F.C. (quale responsabile dei lavori designante) e, più in giù, la firma per accettazione del geometra I.G. (quale coordinatore per l'esecuzione dei lavori)".
Proprio alla luce di tale premesse il giudice di appello ha concluso che l'imputato era rimasto responsabile per l'omessa osservanza del divieto della RFI, ricevuto già nel 2010, di proseguire le opere di ristrutturazione del fabbricato di sua proprietà, non collocato a distanza di sicurezza dalla linea di corrente ad alta tensione, e per l'omessa informazione dell'appaltatore di tale situazione di pericolo.
La Corte ha, inoltre, sottolineato, nello sviluppo del ragionamento seguito, che "il legislatore..non ha predeterminato ..gli effetti della nomina del responsabile dei lavori, avendo stabilito espressamente che l'area di esonero della responsabilità del committente dipende dal contenuto e dall'estensione dell'Incarico conferito (limitatamente all'incarico conferito)".
Di fronte a tale puntuale ricostruzione del fatto, che si fonda sull'assenza della nomina del responsabile dei lavori e sulla delimitazione dell'incarico di coordinamento in materia di sicurezza, attribuito a I.G., alla sola fase esecutiva e ai soli lavori di rifacimento degli intonaci, demolizione e ricostruzione di un balcone e sistemazione delle gronde, il ricorrente si è limitato ribadire le censure già formulate in appello, senza indicare significativi elementi probatori, di cui è stata omessa la valutazione o eventuali aspetti di manifesta illogicità o contraddittorietà nell'interpretazione del documento decisivo su cui la Corte di appello si è soffermata (atto di conferimento dell'incarico a I.G. del 13 luglio 2011).
In proposito deve osservarsi che la deposizione della moglie dell'imputato è del tutto irrilevante nella ricostruzione dell'oggetto dell'Incarico conferito al tecnico, avendo ad oggetto le motivazioni che hanno indotto l'imputato alla nomina di un ulteriore tecnico, ma non la trattativa tra le parti o la stipula del contratto. Occorre, del resto, ribadire che, ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (Sez. 6, n. 11984 del 24/10/1997 ud.- dep. 22/12/1997, Rv. 209490 - 01).
3. La decisione adottata, sulla base di tale ricostruzione del fatto, congruamente motivata, risulta, ad ogni modo, pienamente conforme alla legge.
In proposito deve osservarsi che, ai sensi dell'art. 90, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, il committente o il responsabile dei lavori, nelle fasi di progettazione dell'opera, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all'articolo 15, in particolare: a) al momento delle scelte architettoniche, tecniche ed organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente; b) all'atto della previsione della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro. Il rinvio all'art. 15 del d.lgs. n. 81 del 2008 comporta che sul committente gravi, insieme al datore di lavoro, l'obbligo di assicurare le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e, dunque, di valutare tutti i rischi per la salute e sicurezza (lett. a) e di eliminare i rischi e, ove ciò non sia possibile, di ridurli al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico (lett. c), sicché non ha pregio l'argomentazione del ricorrente, secondo cui gli obblighi di cui agli artt. 80 ss. del d.lgs. n. 81 del 2008 non graverebbero sul committente, ma solo sul datore di lavoro - in particolare art. 83, secondo cui non possono essere eseguiti lavori in prossimità di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, o che per circostanze particolari si debbano ritenere non sufficientemente protette, e comunque a distanze inferiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell'allegato IX, salvo che vengano adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi. Alla luce di tale disciplina, come correttamente affermato dai giudici di merito, l'imputato, nel suo ruolo di committente, non avendo nominato un responsabile dei lavori, avrebbe, difatti, dovuto valutare i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori, tra cui sicuramente ricade quello derivante dalla vicinanza dell'area ad un cavo di alta tensione, di cui, in considerazione della diffida ricevuta dalle RFI, non può affermarsi l'ignoranza.
Ancora, può ricordarsi che, in tema di infortuni sul lavoro, il committente, nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche non contemporanea) di più imprese esecutrici, ha l’obbligo: 1) di elaborare il documento unico di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma 3, d.lgs n. 81 del 2008; 2) di nominare il coordinatore per la progettazione dell'opera di cui agli artt. 89, comma 1, lett. e), e 91 d.lgs n. 81 del 2008 (CSP), deputato a redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC); 3) di nominare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f) e 92 d.lgs n. 81 del 2008 (CSE), deputato a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi (Sez. 4, n. 10544 del 25/01/2018 ud. - dep. 08/03/2018, Rv. 272239 - 01): nel caso di specie, i giudici di merito hanno, dunque, esattamente fondato la responsabilità del committente proprio sulla incompletezza e inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi, che non contemplava affatto il rischio connesso alla vicinanza del cantiere ai cavi di alta tensione, essendo la presenza di più imprese sul cantiere confermata dalla nomina del coordinatore per la fase esecutiva.
Per completezza deve aggiungersi che, ai sensi dell'art. 26, primo comma, lett. b, del d.lgs. n. 81 del 2008, il committente deve fornire all'appaltatore dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui deve operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività, sicché, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, tra gli obblighi specifici a cui resta limitata la responsabilità del committente, in tema di sicurezza sul lavoro, va ricompreso quello dell'informazione sui rischi dell'ambiente di lavoro e sulla cooperazione nell'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione (Sez. 3, n. 6884 del 18/11/2008 ud. - dep. 18/02/2009, Rv. 242735 - 01), del cui adempimento, nel caso di specie, non vi è stata alcuna allegazione.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e, non essendovi ragioni di esonero, della somma di euro duemila alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso 2 aprile 2019

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 17223 Anno 2019.pdf
 
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Rumore: Schede acquisizione dati

ID 8229 | | Visite: 3169 | Documenti Sicurezza Enti

Schede acquisizione dati rumore

Modelli schede acquisizione dati di Fabbricante, rilievo tecnico e bonifiche acustiche

1. Costruttori

Scheda Tecnica Acquisizione Dati Emissioni Rumore
Modello di scheda raccolta dati dai fabbricanti per le emissioni di rumore

2. Tecnici

Scheda Tecnica Acquisizione
Misure di Rumore Modello di resoconto di prova per il rumore

3. Scheda Banca Dati Bonifiche

Fonte: PAF 2016

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La resistenza al fuoco degli elementi strutturali

ID 8212 | | Visite: 6361 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Resistenza al fuoco INAIL 2019

La resistenza al fuoco degli elementi strutturali

Il ‘Codice di prevenzione incendi’, nella sezione S ‘Strategia antincendio’, prevede dieci capitoli dedicati alle Misure di riduzione del rischio di incendio.

Il capitolo S.2 tratta della resistenza al fuoco delle strutture e offre ai progettisti molteplici opportunità per la risoluzione dei problemi di ingegneria strutturale in caso di incendio.

La pubblicazione fornisce una serie di casi studio che illustrano l’applicazione delle soluzioni conformi e alternative contemplate nel capito S.2 del Codice.

La progettazione della sicurezza antincendio nelle attività soggette alle visite ed ai controlli dei Vigili del Fuoco e nei luoghi di lavoro, al fine di ridurre l’insorgenza di un incendio e di limitarne le conseguenze, è sancita dal d.p.r. 1 agosto 2011 n. 151 per le attività soggette, mentre nei luoghi di lavoro è prescritta, in maniera più generale, dall’art. 17 del D.lgs 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i. (Testo unico per la sicurezza). Le suddette misure, che si basano sulla preliminare valutazione del rischio incendio, possono essere individuate a partire da un approccio progettuale di tipo prescrittivo o di tipo prestazionale. Si segnala che tali obblighi valgono anche in attività che non sono luoghi di lavoro in virtù del d.lgs. 139 dell’8 marzo 2006 e s.m.i..

La progettazione antincendio, nel rispetto della normativa vigente in materia, può essere effettuata elaborando soluzioni tecniche flessibili ed aderenti alle specifiche caratteristiche ed esigenze delle attività soggette al controllo di prevenzione incendi (metodo prestazionale). In questo contesto si inserisce il Codice di prevenzione incendi (Co.P.I.) il quale, senza effettuare uno strappo rispetto al passato, si propone come promotore del cambiamento, privilegiando l’approccio prestazionale, in grado di garantire standard di sicurezza antincendio elevati mediante un insieme di soluzioni progettuali, sia conformi che alternative. In sostanza, il Codice rappresenta uno strumento finalizzato all'ottenimento degli obiettivi di sicurezza antincendio, caratterizzato da un linguaggio allineato con gli standard internazionali. La strategia antincendio in esso rappresentata, in dipendenza dei livelli di prestazione scelti, garantisce i prefissati obiettivi di sicurezza, mediante diverse soluzioni progettuali, grazie alla compresenza ed all’apporto delle varie misure antincendio.

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, a tal proposito, ha condotto un sondaggio che ha coinvolto più di 2000 ingegneri - il 6,3% “professionisti antincendio” attualmente iscritti negli elenchi del Ministero dell’Interno - in merito ai progetti e alle deroghe che hanno fatto ricorso al Codice come metodo di progettazione. L'indagine, i cui risultati sono stati pubblicati dal CNI sul proprio sito (www.tuttoingegnere.it) il 17 ottobre 2016, ha rivelato un notevole interesse verso le nuove potenzialità introdotte dal Codice ma, allo stesso tempo, un utilizzo non diffuso dello stesso: oltre il 62% dei progettisti, infatti, pur avendo frequentato corsi di formazione incentrati sull’utilizzo del Codice, non ha provato ad utilizzarlo oppure ha rinunciato dopo un tentativo; di quelli che lo hanno adottato, pochi hanno fatto ricorso alle cosiddette soluzioni alternative. Probabilmente a causa della percepita complessità dello strumento normativo, e conseguente aumento della responsabilità, il Codice è di fatto spesso ignorato a vantaggio del più “consolidato” metodo prescrittivo. Al fine di illustrare le potenzialità del Codice e di fornire degli strumenti esplicativi, incentrati su esempi pratici di progettazione, che sembrano rappresentare un’esigenza particolarmente sentita dai professionisti intervistati nel sondaggio, è stata attivata una collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente - Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale - Università di Roma “Sapienza”, il Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici - Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (C.N.VV.F.) ed il Consiglio Nazionale degli Ingegneri. Saranno quindi sviluppati, secondo l’approccio e con gli obiettivi sopra evidenziati, una serie di compendi riguardanti, fondamentalmente, le dieci misure della strategia antincendio presenti nel Codice. La presente pubblicazione si occupa delle tematiche relative alla misura S.2 Resistenza al fuoco.

I risultati di tale attività potranno costituire, negli intenti dei promotori dell’attività di ricerca, uno strumento di supporto nella progettazione e gestione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro e uno spunto di riflessione per i professionisti antincendio e, anche a scopo didattico, un ausilio pratico per gli studenti interessati alla formazione specialistica in materia di progettazione antincendio. 

___________

Indice

Prefazione 
1. Obiettivi 
2. Introduzione 
2.1 La normativa europea ed i requisiti base delle opere di costruzione 
2.2 La normativa italiana 
3. Le azioni sulle strutture esposte al fuoco 
3.1 Azioni meccaniche 
3.2 Azioni termiche 
4. La modellazione dell’incendio 
5. La valutazione della resistenza al fuoco 
5.1 Metodo sperimentale 
5.2 Metodo tabellare 
5.3 Metodo analitico 
5.3.1 Metodi di calcolo analitici semplificati 
5.3.2 Metodi di calcolo analitici avanzati 
6. Il comportamento al fuoco dei materiali strutturali 
7. Le soluzioni fornite dal Codice - la misura antincendio S.2 
8. Le opportunità offerte al progettista dal Codice 
Caso studio 1: resistenza al fuoco di elementi portanti in C.A.P. 
- Descrizione 
- Studio della problematica di sicurezza antincendio 
- Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi
- Obiettivi dello studio 
- Valutazione delle prestazioni di resistenza al fuoco del tegolo: metodo analitico 
- a) Analisi della distribuzione termica nell’elemento 
- b) Proprietà meccaniche dei materiali 
- c) Verifica della capacità portante dell’elemento 
- Valutazione delle prestazioni di resistenza al fuoco del tegolo: metodo tabellare 
- Considerazioni a commento 
Caso studio 2: resistenza al fuoco di un solaio in C.A. 
- Descrizione 
- Studio della problematica di sicurezza antincendio 
- Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
- Obiettivi dello studio 
- a1) Valutazione delle prestazioni di resistenza al fuoco del solaio - metodo analitico 
- a2) Valutazione delle prestazioni di resistenza al fuoco del solaio - metodo tabellare 
- b1) Valutazione delle prestazioni di resistenza della soletta piena in C.A. - metodo analitico 
- b2) Valutazione delle prestazioni di resistenza della soletta piena in C.A. - metodo tabellare 
- c1) Valutazione delle prestazioni di resistenza al fuoco della trave portante 
- c2) Metodo dell’isoterma a 500° C 
- Considerazioni a commento 
Caso studio 3: resistenza al fuoco di una trave portante in acciaio 
Descrizione 
Studio della problematica di sicurezza antincendio 
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
Elementi strutturali in acciaio non protetti 
Elementi strutturali in acciaio protetti 
Considerazioni a commento 
Caso studio 4: resistenza al fuoco di una colonna portante in acciaio 
Descrizione 
Studio della problematica di sicurezza antincendio 
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
Verifica degli elementi compressi (colonne con sezione di classe 1, 2 o 3) 
Determinazione della classe di duttilità a caldo del profilato 
Colonna in acciaio non protetta 
Colonna in acciaio protetta 
Considerazioni a commento 
Caso studio 5: resistenza al fuoco di un solaio composto in acciaio e calcestruzzo 
Descrizione
Studio della problematica di sicurezza antincendio
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
Verifica dei requisiti “I” ed “R” per la soletta composta 
Studio della capacità portante delle travi principali 
Calcolo del momento resistente MR 
Studio della capacità portante delle travi secondarie 
Considerazioni a commento 
Caso studio 6: resistenza al fuoco di una trave portante in legno 
Descrizione
Studio della problematica di sicurezza antincendio
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio
Verifica della trave con il metodo della sezione efficace 
Protezione della trave al fine di garantire una capacità portante corrispondente a R60 
Considerazioni a commento 
Caso studio 7: resistenza al fuoco di una muratura portante 
Descrizione 
Studio della problematica di sicurezza antincendio 
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
a) Valutazione delle prestazioni di resistenza al fuoco della muratura - metodo analitico 
b) Valutazione delle prestazioni di resistenza al fuoco di una muratura di tamponamento 
Considerazioni a commento 
Caso studio 8: resistenza al fuoco di una trave portante in alluminio 
Descrizione 
Studio della problematica di sicurezza antincendio 
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
Elementi strutturali in alluminio non protetti 
Elementi strutturali in alluminio protetti 
Considerazioni a commento 
Appendice A - Studio di curve d’incendio 
A.1 - Caso studio curva RHR(t) e modellazione termica con CFAST - ipotesi incendio in un deposito di lavorati in legno 
Descrizione 
Studio della problematica di sicurezza antincendio
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
a) Determinazione del fattore di ventilazione O: 
b) Determinazione dei vari parametri significativi della curva: 
c) Determinazione del verificarsi del flashover: 
c) Determinazione delle quantità di combustibile bruciato durante l’incendio: 
d) Determinazione della velocità di combustione: 
Modellazioni con CFAST 
a) Ipotesi pareti e solaio in CLS 
b) Ipotesi struttura portante in C.A. con pareti e solaio in laterizio 
c) Ipotesi sulla gestione del materiale combustibile - focolare da 5 MW 
Considerazioni a commento 
A.2 - Caso studio curva naturale d’incendio - ipotesi incendio in un archivio 
Descrizione 
Studio della problematica di sicurezza antincendio 
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
Considerazioni a commento 
Appendice B - Applicazione del metodo analitico avanzato per la valutazione della resistenza al fuoco di un’intera struttura 
Valutazioni con la FSE sulla resistenza al fuoco delle strutture di un fabbricato produttivo con deposito di materiale combustibile 
Descrizione 
Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi 
Obiettivi dello studio 
a) Inquadramento generale del progetto 
b) Simulazioni di incendio 
c) Parametri utilizzati nelle simulazioni di incendio 
d) Scenario di incendio di progetto esaminato 
e) Verifiche analitiche della resistenza strutturale al fuoco

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Fonte: INAIL

Pubblicazione realizzata da Inail Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici
Responsabili scientifici
Raffaele Sabatino, Mara Lombardi, Marco Cavriani, Gaetano Fede
Autori
Raffaele Sabatino, Mara Lombardi, Nicolò Sciarretta, Mauro Caciolai, Piergiacomo Cancelliere,Luca Ponticelli, Vincenzo Cascioli, Filippo Cosi
Collaboratori
Daniela Freda, Antonella Pireddu, Andrea Marino, Ivano Favaro

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Rapporto annuale ispettorato nazionale del lavoro 2018

ID 8206 | | Visite: 5245 | Documenti Sicurezza Organi Istituzionali

Rapporto annuale INL 2018

Rapporto annuale ispettorato nazionale del lavoro 2018

18 aprile 2019

Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Cominardi, e il  Direttore dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, Leonardo Alestra, hanno presentato il Rapporto annuale dell'attività di vigilanza  in materia di lavoro e legislazione sociale - anno 2018 - che costituisce il documento riepilogativo dei risultati dell'attività ispettiva svolta dal personale dell'Ispettorato, dell'INPS e dell'INAIL, evidenziando gli ottimi risultati ottenuti dall'Agenzia sul piano della efficacia dei controlli, in particolare in relazione ai fenomeni di violazione di maggior allarme sociale, quali il lavoro "nero", il caporalato e l'intermediazione illecita.

PERSONALE ISPETTIVO

- 2.726 ispettori del lavoro,circa 2.100 dei quali effettivamente adibiti alla attività di vigilanza;
- 391 militari del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro;
- 1.143 ispettori dell’INPS;
- 289 ispettori dell’INAIL, 284 dei quali concretamente impegnati nei controlli (al netto cioè del personale che riveste incarichi amministrativi).

DATI COMPLESSIVI 

MONITORAGGIO ATTIVITÀ DI VIGILANZA ANNO 2018

DATI NAZIONALI

Ambito della vigilanza

Aziende ispezionate

Aziende irregolari

N. lavoratori irregolari

N. lavoratori totalmente in nero

Recupero contributi e premi evasi

Vigilanza Lavoro

116.846

70.111

83.761

33.800

114.224.300

Vigilanza Previdenziale

14.726

14.001

37.497

5.170

1.115.847.710

Vigilanza Assicurativa

12.591

14.143*

41.674

3.336

126.108.082

TOTALE

144.163

98.255

162.932

42.306

1.356.180.092

*Nel dato sono conteggiate anche le verifiche avviate nel 2017 e definite nel corso del 2018.

 

70%

% aziende irregolari (su accertamenti definiti)

Accertamenti ispettivi (casse integrazione, patronati, contratti di solidarietà ecc.) svolti da personale INL

22.117

TOTALE GENERALE ISPEZIONI ED ACCERTAMENTI ISPETTIVI

166.280

L’ammontare dei contributi e premi evasi complessivamente recuperati all’esito degli accertamenti svolti è risultato pari ad € 1.356.180.092, superiore del +23% rispetto al dato rilevato nell’anno precedente (€ 1.100.099.932).

Le aziende presso le quali le verifiche effettuate hanno portato ad accertare illeciti sono state in totale 98.255, con un tasso di irregolarità degli accertamenti definiti pari al 70% (+ 5% rispetto al 2017): oltre due aziende su tre sono pertanto risultate irregolari.

RIPARTIZIONE ACCESSI VIGILANZA LAVORO PER SETTORE MERCEOLOGICO

ripartizione

IRREGOLARITÀ PER SETTORE MERCEOLOGICO

settore merceologico

LAVORO NERO

Lavoratori in nero accertati 42.306, pari adoltre il 40% del totale rilevato di lavoratori irregolari.

La maggiore incidenza del fenomeno è stata registrata in Campania, Puglia, Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna. I settori merceologici maggiormente interessati sono: servizi di alloggio e ristorazione(10.082 lavoratori in nero – occupazione di lavoratori in nero nel 54% circa degli accertamenti definiti), commercio (4.722 lavoratori in nero – occupazione di lavoratori in nero nel 28% circa degli accertamenti definiti), edilizia(4.710 lavoratori in nero – occupazione di lavoratori in nero nel 16% circa degli accertamenti definiti), attività manifatturiere(4.191 lavoratori in nero – occupazione di lavoratori in nero nel 39% circa degli accertamenti definiti), agricoltura (3.349 lavoratori in nero – occupazione di lavoratori in nero nel 51% circa degli accertamenti definiti).

CAPORALATO IN AGRICOLTURA

Nel settore di cui trattasi sono state effettuate 7.160 ispezioni, con un tasso di irregolarità registrato di circa il 54,79%, superiore di oltre 4 punti percentuali rispetto al 2017 (50%). Dei 5.114 lavoratori irregolari riscontrati, 3.349 (65,5%)sono risultati in “nero” e, tra questi, n. 263 cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno. Grazie ad una importante concentrazione delle forze ispettive su questo fronte – in particolare dei militari dell’Arma dei Carabinieri – si registra un netto incrementonel deferimento all’Autorità Giudiziaria di 299 persone (+220% rispetto alle 94 del 2017), 56 delle quali in stato di arresto, con una casistica concentrata per il 69%. (206 segnalazioni) nel solo settore dell'agricoltura.

Dei 1.474 lavoratori interessati alle operazioni di contrasto al caporalato ben 673 (circa il 46%) sono risultati totalmente in nero, percirca il 74% (496)impiegati nel solo settore agricolo.

Nel numero dei suddetti lavoratori in nero vittime di sfruttamento si contano altresì 478 stranieri (350 nel settore agricolo), ai quali si sommano ulteriori 157 stranieri extracomunitari privi di regolare permesso di soggiorno (130 solo in agricoltura).

AUTOTRASPORTO

Nel settore dell’autotrasporto sono state complessivamente ispezionate 6.855 aziende e sono state definite 6.183 verifiche, con l’accertamento di 4.358 illeciti e, dunque, con una incidenza delle irregolarità pari a circa il 70,5%. Le infrazioni riscontrate hanno interessato 12.120 lavoratori; di questi, 1.130 sono risultati totalmente “in nero” e 22 extracomunitari privi di regolare permesso di soggiorno. Le più ricorrenti e diffuse tipologie di illeciti attengono, nell’ambito in questione, alle violazioni della disciplina in materia di orario di lavoro e dei tempi di guida e di riposo (riscontrate per 4.496 lavoratori) ed ai fenomeni interpositori (1.917 lavoratori coinvolti).

CORRETTA QUALIFICAZIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO

A seguito dell’accertamento, in sede di attività di vigilanza, del distorto utilizzo delle fattispecie contrattuali flessibili, sono stati riqualificati 5.475 rapporti di lavoro, prevalentemente concentrati nei settori merceologici: sanità e assistenza sociale (780), attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (769), noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (744), costruzioni (674).

I controlli hanno riguardato anche la nuova disciplina in tema di lavoro occasionale, introdotta dall’art. 54 bis, D.L. n. 50/2017 (conv. da L. n. 96/2017), oggetto di specifica attenzione nel Documento di programmazione dell’attività di vigilanza per l’anno 2018. Come nell’anno precedente, anche nel 2018 gli illeciti in tale materia sono risultati più frequenti nel settore della sanità e dell’assistenza sociale, in una percentuale pari al 40% dei casi, decisamente superiore a quella riscontrata nelle restanti attività economiche. Sotto il profilo della loro distribuzione territoriale, tali violazioni risultano infine essere prevalentemente concentrate nelle Regioni del Centro-Nord (circa il 94%) con particolare riferimento ad Emilia Romagna (984), Lombardia (689), Veneto (538), Liguria (484) e Piemonte (432).

ESTERNALIZZAZIONI FITTIZIE

Gli accertamenti concernenti le irregolarità in materia di decentramento produttivo (appalto, distacco o somministrazione) hanno riguardato complessivamente 10.877 lavoratori coinvolti in forme di esternalizzazione fittizia. I casi di fenomeni interpositori rilevati sono risultati così distribuiti nei diversi settori merceologici: trasporto e magazzinaggio (1.951 lavoratori interessati), noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (1.927 lavoratori interessati), costruzioni (1.902 lavoratori interessati), attività manifatturiere (1.592 lavoratori interessati).

Le regioni maggiormente coinvolte sono risultate essere: Emilia Romagna (2.442 lavoratori interessati), Lazio (1.808 lavoratori interessati), Lombardia (1.359 lavoratori interessati), Veneto (1.292 lavoratori interessati) e Piemonte (931 lavoratori interessati).

Nelle regioni del Nord Italia è risultata essere prevalente anche la concentrazione delle fattispecie rilevate di distacco transnazionale fittizio (663 lavoratori interessati).

COOPERATIVE DI LAVORO

Nel 2018, su un totale di 3.311 cooperative ispezionate, ne sono risultate irregolari 1.986 (circa il 60%, nel 2017 le cooperative irregolari sono risultate 1.826 pertanto si registra un aumento in percentuale dell’8,76%). È stata inoltre accertata l’occupazione irregolare di 28.403 lavoratori (a fronte dei 16.838 del 2017, con un aumento del 60%), 1.036 dei quali totalmente “in nero” (il 3,65% dei lavoratori irregolari). Sono stati recuperati contributi e premi evasi per un importo imponibile accertato pari a euro 61.180.914,23, in aumento di circa il 15% rispetto al 2017 (euro 53.294.927,33).

VIGILANZA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO

L’azione ispettiva svolta in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ha riguardato 20.492 aziende, 16.394 delle quali, all’esito dei 20.025 accertamenti definiti, sono risultate irregolari. Il tasso di irregolarità delle aziende ispezionate, pari a circa l’82%, è risultato aumentato di quasi il 5% rispetto al 2017, quando si era attestato al 77,09%. Nel corso degli accertamenti sono state contestate complessivamente 31.218 violazioni (26.885 penali e 4.333 amministrative). Tra gli illeciti penalmente rilevanti, 22.198 afferiscono a violazioni prevenzionistiche, mentre 4.237 irregolarità riguardano l’art. 4 della L. n. 300/1970, che disciplina le condizioni per l’installazione degli impianti di videosorveglianza e degli altri strumenti di controllo.

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Fonte: INL

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 14925 | 04 Aprile 2019

ID 8158 | | Visite: 2939 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Crollo di una gru a bandiera installata in un cantiere. Omessa messa in sicurezza del sito prima della sospensione dei lavori

Penale Sent. Sez. 4 Num. 14925 Anno 2019

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 28/03/2019

Ritenuto in fatto

1. La corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Marsala, appellata tra gli altri anche dagli imputati B.S., G.B. e dalla responsabile civile COGIP s.r.l., con la quale i primi due erano stati condannati alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di cui agli artt. 110 e 449 cod. pen., oltre al risarcimento del danno subito dal Comune di Gibellina, unitamente alla COGIP s.r.l., ha rimesso le parti al giudice civile per la liquidazione dello stesso, confermando nel resto.
Si è contestato al B.S. e al G.B., nella rispettiva qualità di procuratore speciale della COGIP s.r.l. con pieni poteri e responsabile del cantiere e di responsabile per la sicurezza del cantiere, di avere cagionato per colpa un disastro consistito nel crollo di una gru a torre installata presso un cantiere per la realizzazione di un centro polifunzionale, che era rovinata a terra investendo l'intera sede stradale della Via Burri e l'immobile prospiciente, abitato da V.S. e dal suo nucleo familiare, nel pieno centro abitato del comune di Gibellina. Nello specifico, si è contestata una condotta colposa improntata a generiche imprudenza, imperizia e negligenza, ma anche la violazione di specifiche disposizioni (art. 169 d.P.R. 547/55 e norme tecniche CNR 10021/85, e istruzioni del manuale di uso e mantenzione del macchinario), avendo demolito, o avendo consentito che fossero demolite, le travi di fondazione, rimossa la porzione di rotaie ivi ancorate sulla quali traslava il carro base della gru, eliminati i fine corsa e i cunei di arresto della gru e realizzato o, comunque, avendo consentito che fosse realizzata, una scarpata recante un dislivello di circa un metro al termine della base per il carrello; si è contestato, inoltre, di avere consentito che i "carrini", per mezzo dei quali il carro base della gru poteva traslare ancorato alle rotaie, rimanessero privi di efficaci meccanismi di motoriduzione (freni al libero scorrimento degli ingranaggi); di non avere adeguatamente garantito, in relazione ai valori del vento prevedibili nella zona, il fissaggio della gru al terreno, anche per mezzo di funi con funzione di controventatura; di non avere garantito l'efficienza dei motoriduttori orizzontali, non provvedendo a periodici ingrassaggi dei meccanismi (ralla tra il braccio orizzontale e quello verticale della gru) che avrebbero impedito, in presenza di vento forte, il corretto posizionamento della gru "in bandiera" (cioè secondo la direzione del vento), non impedendo una forte sollecitazione sul braccio orizzontale che offriva ampia superficie all'azione del vento, la quale, anche a causa della ridotta base di appoggio e scorrimento della gru (priva di fine corsa e opere fisse di arresto), oltre che del dislivello realizzato in corrispondenza della riduzione della base e dell'inefficienza dei mezzi ausiliari di ancoraggio, cagionava il collasso della gru e il determinarsi di un concreto pericolo per l'incolumità pubblica.
2. Avverso la sentenza, hanno proposto separati ricorsi il responsabile civile COGIP s.r.l. e l'imputatao B.S., con stesso difensore e separati atti aventi identico contenuto e l'imputato G.B. con proprio difensore e separato atto.
2.1. Ricorsi presentati per COGIP s.r.l. e B.S. dall'Avv. Pe.
La difesa ha formulato un motivo unico con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità del B.S., rilevando che la ricostruzione dei fatti operata dalla corte territoriale trarrebbe origine da considerazioni di natura tecnica prive di riscontro probatorio e che il giudice d'appello non avrebbe fornito una spiegazione idonea a superare il ragionevole dubbio.
In particolare, la difesa ha rilevato, sul piano controfattuale, come lo stesso consulente della pubblica accusa avesse riconosciuto che l'eventuale presenza dei fine corsa, il mancato taglio dei binari di scorrimento e la mancata realizzazione della scarpata e del conseguente dislivello non avrebbero potuto impedire il collasso della gru, poiché la forza del vento non avrebbe potuto essere contrastata. Sul punto, il deducente ha osservato che la forza del vento (ritenuta dalla corte di merito di modesta entità) andava ricollegata ad altra circostanza, vale a dire al fatto che il braccio orizzontale del macchinario era bloccato e non disposto a bandiera, avendo così offerto una forte resistenza al vento.
Quanto, poi, a tale specifico aspetto, la difesa ha rilevato che l'omissione dell'ingrassaggio era stata direttamente correlata al rischio specifico, sull'errato assunto che tale intervento fosse previsto dal manuale d'uso e manutenzione, pur avendo la corte ammesso che la previsone riguardava la fase di operatività del macchinario e non il momento successivo alla sua messa fuori servizio, con conseguente travisamento della relativa prova, avendo la corte ritenuto che tale adempimento fosse dovuto anche nel secondo caso, contestando l'inosservanza di una prescrizione prevista però per casi diversi da quello oggetto del procedimento.
Infine, la difesa ha contestato il giudizio di inverosimiglianza formulato dalla corte del merito con riferimento alla spiegazione del blocco degli ingranaggi offerta dal consulente della difesa, secondo il quale esso sarebbe stato determinato da un oggetto che era finito nel meccanismo, impedendo al braccio di ruotare e assumere la corretta posizione "in bandiera".
2.2. Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato G.B. dall'Avv. F. .
Anche questa difesa ha formulato un motivo unico, con il quale ha dedotto vizio della motivazione e violazione di legge, rilevando che la corte territoriale, nel confermare le statuizioni del tribunale, avrebbe assunto elementi di prova travisandoli e determinando una conseguente distorsione probatoria con riferimento alla posizione di garanzia del G.B., ritenuta sul presupposto che gli impropri interventi sulla gru che ne avrebbero determinato il collasso fossero avvenuti prima della sospensione del cantiere e, quindi, quando ancora essi erano soggetti alla vigilanza dell'imputato, affermazione che la difesa ha ritenuto smentita da un dato oggettivo, la deposizione del teste V.S., il quale aveva dichiarato che i lavori erano stati realizzati qualche tempo prima del sinistro e quando il cantiere era già stato sospeso. Con la conseguenza, secondo la prospettazione difensiva, che la condotta contestata e ritenuta funzionale all'occorso, sarebbe stata posta in essere allorché il cantiere aveva cessato l'attività e il G.B. dismesso la sua funzione, rilevandosi che tali interventi sarebbero stati effettuati su una situazione di fatto che non presentava criticità, giacché la gru era stata lasciata in condizioni di assoluta sicurezza.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. La corte territoriale ha dato atto che l'imputato B.S. e il responsabile civile COGIP s.r.l., con identiche argomentazioni, avevano contestato l'esistenza del nesso causale tra il crollo della gru e alcune tra le condotte contestate nella imputazione (in particolare: il taglio dei binari, la realizzazione della scarpata, la eliminazione dei dispositivi di fine corsa e l'omesso ingrassaggio dei meccanismi per la rotazione del braccio) sulla scorta delle valutazioni di ordine tecnico espresse dai propri consulenti.
Ha, dunque, richiamato le argomentazioni svolte nella sentenza appellata, rilevando come le testimonianze avessero consentito di ritenere accertato che il macchinario era stato fatto oggetto degli interventi modificativi descritti in imputazione, successivamente alla verifica ASL condotta nel luglio 2006 (allorché se ne era constatata la regolarità, confermata per il precedente periodo anche dall'installatore del macchinario). La messa fuori servizio della gru risaliva al settembre successivo e da quella data il macchinario non era stato più sottoposto a ingrassaggio dei meccanismi di rotazione del braccio dei denti della ralla. La ricostruzione delle cause del crollo era stata effettuata dai consulenti della pubblica accusa, le cui conclusioni erano state corroborate dalla prova dichiarativa promanante da soggetti che, a vario titolo, erano intervenuti sul cantiere per effettuare controlli o approntare operazioni manutentive della gru. Nell'ottobre del 2006, inoltre, era stata attestata dall'imputato B.S. e dal direttore dei lavori l'assenza di maestranze e di attività lavorativa nel cantiere, essendo stati i lavori sospesi il 27/09/2006, ma nel relativo verbale non erano stati indicati gli interventi approntati per la messa in sicurezza del sito e della gru prima di detta sospensione. In particolare, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, era stata attribuita fondamentale importanza a tal fine alla deposizione dell'installatore M., il quale aveva constatato la trasformazione delle parti del macchinario prima regolarmente funzionante. L'intervento del teste era stato sollecitato dal BI. (imputato non ricorrente) dal quale il dichiarante aveva appreso dell'imminente arresto del cantiere per mancanza di fondi, ragion per cui la gru era stata attanagliata sui binari in fase di parcheggio. Lo stesso, intervenuto dopo il crollo quale ausiliario di P.G., aveva verificato che la gru era crollata proprio nel punto in cui erano stati recisi i binari e mancavano i respingenti di fine corsa, in presenza di un dislivello dovuto alla realizzazione del tracciato di una strada per il trasporto dei materiali. Quanto alla collocazione temporale del sopralluogo effettuato su richiesta del BI. due mesi prima del crollo, la stessa doveva leggersi alla luce del fatto che, sempre secondo quanto dal medesimo affermato, ciò era certamente avvenuto prima della sospensione dei lavori e in vista di essa, essendo stato il cantiere ancora aperto in quel momento e non essendo state ancora realizzate la strada per il trasporto dei materiali e la interruzione dei binari.
Anche il teste V.S., soggetto che aveva subito il crollo della gru sul proprio immobile, prospiciente il cantiere, aveva affermato di avere visto il braccio girare sempre a bandiera, mentre ad un certo punto non si era più posto nella posizione corretta, mentre a cantiere ancora aperto aveva assistito a lavori di sbancamento proprio in prossimità della base della gru, i cui binari erano stati recisi, rimanendo sospesi nel vuoto. Un altro teste, abitante nelle vicinanze, aveva confermato tali dichiarazioni e affermato che la posizione del braccio della gru era cambiata qualche giorno prima del crollo e che esso, nonostante il vento, non assecondava la direzione di questo.
Tanto premesso in punto di fatto, il consulente del pubblico ministero aveva poi spiegato come molti fossero i fattori che avevano cagionato il crollo (realizzazione della scarpata, taglio dei binari, assenza di fine corsa e di opere fisse di arresto) avendo il braccio, non correttamente girato a bandiera, offerto al vento un'ampia superficie sulla quale era stata esercitata la spinta che aveva determinato il ribaltamento.
Tale ricostruzione è stata ritenuta dalla corte d'appello coerente con le dichiarazioni dei testi escussi, intervenuti nell'immediatezza, secondo cui il crollo era stato conseguenza dell'azione del vento sul braccio, da giorni non più correttamente posizionato in posizione tale da assecondare il vento. Le pinze di ancoraggio in posizione baricentrica sui binari erano saltate a causa del taglio di questi ultimi e della mancanza di fine corsa sino al limite della scarpata, realizzata per il trasporto dei materiali, senza che fosse stato però approntato alcun accorgimento atto ad arrestare lo scorrimento e il ribaltamento del mezzo.
A specifica contestazione difensiva in ordine all'esito del giudizio controfattuale, asseritamente negativo con riferimento al taglio dei binari e alla eliminazione dei dispositivi di fine corsa, quel giudice ha richiamato ancora una volta la consulenza disposta dal pubblico ministero e acquisita agli atti su accordo delle parti, e - sulla scorta di essa - precisato che la causa del crollo non era stata in realtà la riduzione della lunghezza dei binari, bensì il loro taglio con contestuale creazione di una scarpata, senza la predisposizione di accorgimenti atti a scongiurare che il macchinario potesse ribaltarsi a causa di quel dislivello e di strumenti meccanici atti a impedire la traslazione. Quanto alla efficienza causale della sola forza eolica, quel consulente aveva affermato che l'azione del vento era stata determinante non di per sé, ma in quanto aveva trovato il braccio della gru bloccato per mancato ingrassaggio, così smentendo l'assunto difensivo della irrilevanza delle condotte sopra descritte.
Inoltre, sempre a seguito di apposita contestazione difensiva, secondo cui l'operazione di ingrassaggio aveva una funzione fondamentale per garantire fluidità ai movimenti del macchinario, ma non anche in fase di sospensione dello stesso, il blocco del braccio essendo stato causato da un non meglio identificato oggetto casualmente finito nell'ingranaggio, la corte ha dato atto che tale spiegazione era stata considerata nulla più che una mera ipotesi dallo stesso soggetto che l'aveva formulata e che la essa non aveva ricevuto alcuna conferma sul piano fattuale, considerato che tale ipotesi era stata formulata solo sulla base delle riproduzioni fotografiche e senza un previo sopralluogo.
Quanto alla regola cautelare e alla concretizzazione del relativo rischio, la corte palermitana ha osservato che effettivamente il manuale non prescriveva l'ingrassaggio dei meccanismi di roteazione nella fase della messa fuori servizio della gru, ma tale operazione era espressamente consigliata nella parte del manuale dedicata alla manutenzione - roteazione, in cui si prescriveva l'ingrassaggio periodico dei punti predisposti sulla ralla e sui supporti del pignone di rotazione e dei denti della ralla stessa. Che tali operazioni fossero state sospese dal settembre 2006, data dell'ultimo sopralluogo che aveva constatato la regolarità del macchinario sino a quella del crollo (5/5/2007), era confermato dalle testimonianze di coloro che avevano constatato come, nei giorni precedenti il crollo, il braccio non si disponesse più a favore del vento e la mancata roteazione ha assunto un ruolo determinante nella causazione dell'evento, unitamente alle altre concause già esaminate e originate dal mancato controllo sul macchinario, cosicché anche a voler ritenere che un oggetto non meglio identificato (la cui presenza non aveva ricevuto alcun riscontro) fosse responsabile di quel blocco, le ulteriori condotte colpose avrebbero comunque conservato la loro efficienza causale rispetto all'evento.
La corte ha poi esaminato le posizioni di garanzia ritenute in capo agli imputati, rilevando come il B.S. non l'avesse sostanzialmente contestata, laddove il G.B. aveva ricevuto l'incarico di responsabile per la sicurezza del cantiere il 28/02/2005 dalla stessa COGIP s.r.l. e per tutta la durata dei lavori di che trattasi. La corte, peraltro, ha ritenuto che la difesa muovesse da un assunto errato, vale a dire che i lavori di recisione dei binari e di sbancamento del terreno fossero stati effettuati dopo la chiusura del cantiere: il direttore dei lavori, tuttavia, che aveva effettuato il sopralluogo dell'ottobre 2006, si era limitato ad affermare che la custodia e sorveglianza del cantiere era affidata all'impresa appaltatrice, nulla indicando quanto allo stato del cantiere al momento dell'accesso o agli accorgimenti provvisionali apprestati, laddove il teste V.S. aveva invece affermato che lo sbancamento del terreno era avvenuto prima della chiusura del cantiere e che i binari erano rimasti sospesi in aria. Il che dimostrerebbe che il cantiere era ancora aperto allorché furono eseguiti gli interventi ritenuti causalmente rilevanti, atteso che dopo il settembre 2006 (epoca in cui l'attività era stata sospesa) nessuno era intervenuto per effettuare i lavori di sbancamento di cui sopra, propedeutici alla dismissione del cantiere, rimasto sostanzialmente abbandonato. Anche il controllo dell'installatore, ad onta della imprecisione del ricordo, doveva collocarsi temporalmente prima della chiusura del cantiere, poiché non erano stati ancora realizzati la recisione dei binari e lo sbancamento del terrapieno. Pertanto, al momento in cui essi furono approntati, era ancora efficace l'incarico e G.B. quale repsonsabile per la sicurezza, essendo evidente anche a soggetto non esperto (quale era il V.S. che pure si rese conto della situazione di pericolo che si era venuta a creare) che il fermo della gru nelle condizioni più volte descritte costituiva un pericolo per incolumità pubblica, la violazione contestata essendosi risolta nell'omesso intervento dell'imputato ai fini della messa in sicurezza della gru, a nulla rilevando, una volta realizzatesi quelle pre condizioni, che il crollo fosse avvenuto a cantiere ormai chiuso e allorché non erano più presenti in loco i dipendenti della ditta, atteso che soggetto beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo alla organizzazione del lavoro, sempre che l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata e non sussista un comportamento di volontaria esposizione a pericolo del terzo.
3. I motivi sono tutti manifestamente infondati.
Deve, intanto, sottolinearsi che i ricorrenti hanno evocato, quanto al nesso causale e al connesso giudizio controfattuale, anche una violazione di legge, formulando tuttavia censure che attaccano il costrutto motivazionale della sentenza e la valutazione delle conclusioni difformi dei consulenti dell'accusa e della difesa.
Il cuore delle doglianze si snoda attraverso un ragionamento con il quale si è in sostanza contestata la lettura del compendio probatorio da parte dei giudici nel doppio grado di merito e si sono articolate doglianze ripropositive di quelle esaminate nella sentenza impugnata con un ragionamento probatorio rispetto al quale non è dato cogliere il necessario, previo confronto.
3.1. Ciò impone intanto un richiamo alla natura del sindacato di legittimità, perchè sia ancora una volta precisato che la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994), Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012), Valerio, Rv. 252615).
Poiché la funzione tipica dell'impugnazione è quella di una critica argomentata al provvedimento che si realizza, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), attraverso la presentazione di motivi che devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, deve inoltre ribadirsi che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta [cfr., in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584], essendo estranei alla natura stessa del sindacato di legittimità gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Ciò in quanto sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
3.2. La natura delle doglianze con cui si è evocato anche il vizio del travisamento della prova, rende opportuna una ulteriore premessa sul piano dei principi generali, questa volta con riferimento alla deducibilità di tale vizio in ipotesi di doppia affermazione conforme di penale resposnabilità: a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. dall'art. 8, comma primo, della legge n. 46 del 2006, il legislatore ha effettivamente esteso l'ambito della deducibilità del vizio di motivazione anche ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, così introducendo il travisamento della prova quale ulteriore criterio di valutazione della contradditorietà estrinseca della motivazione il cui esame nel giudizio di legittimità deve riguardare uno o più specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza (cfr. sez. 3 n. 38341 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911); ma, anche a seguito di tale modifica, resta pur sempre non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 3 n. 18521 dell'11/01/2018, Ferri, RV. 273217; sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). In ogni caso, un ricorso per cassazione che deduca il travisamento (e non soltanto l'erronea interpretazione) di una prova decisiva, ovvero l'omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l'eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (cfr. sez. 4 n. 14732 deH'01/03/2011, Molinario, Rv. 250133).
4. Nel caso in esame, il giudice d'appello ha indicato, con una motivazione assai analitica, in un'ottica di aperto confronto con le tesi difensive, le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la ricostruzione delle cause del crollo e il giudizio controfattuale operato con riferimento a tutte le condotte contestate, richiamando elementi fattuali neppure contestati nella loro storicità e, in ogni caso, del tutto obliterati nello svolgimento delle argomentazioni difensive, con le quali, in definitiva, la parte non fa che riproporre una sua diversa valutazione delle prove, sollecitando a questa corte uno scrutinio che assegni ad essa maggior pregio e dignità.
Ciò è vero sia con riferimento all'efficienza causale del vento, rispetto alla quale la corte ha ritenuto che era stato il blocco del braccio per omesso ingrassaggio a far sì che quel fenomeno atmosferico del tutto prevedibile esercitasse sul macchinario la forza che ne aveva determinato la traslazione e il ribaltamento; ma anche avuto riguardo alla valutazione delle prescrizioni contenute nel manuale d'uso in ordine alla manutenzione della gru nella fase di sospensione, rispetto alla quale i ricorrenti hanno omesso di considerare che la corte d'appello ha espressamente richiamato le indicazioni contenute nel capitolo dedicato alla manutenzione-roteazione del macchinario, ritenendo dunque, con motivazione del tutto logica, che ciò riguardasse anche la roteazione indispensabile perché il braccio opponesse una minor resistenza alla spinta dinamica del vento, assecondandone l'andamento anche in fase di sospensione.
Infine, quanto alla perdurante efficacia della posizione di garanzia assunta dal G.B., la risposta della corte di merito è altrettanto congrua e logica, oltre che coerente con le risultanze probatorie analiticamente esposte nella sentenza e non contestate nella loro storicità. Quel giudice ha operato un raffronto tra le testimonianze acquisite e le prove documentali per concludere nel senso che gli interventi ritenuti causalmente collegati al crollo erano avvenuti quando ancora il cantiere non era stato abbandonato, disconoscendo ogni rilievo alla circostanza che il crollo fosse avvenuto quando il cantiere era stato chiuso, le condotte omissive contestate all'imputato essendo state poste in essere in un momento successivo al sopralluogo che aveva constatato ancora la regolarità del macchinario, ma certamente anteriore alla dismissione del sito lavorativo.
5. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, l'inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno anche al versamento della somma di euro 2.000,00 alla cassa delle ammende non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il giorno 28 marzo 2019.

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Pareri MISE Legge 122/1992 | Update 04.2019

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Pareri 122 1992

Pareri MISE Legge 122/1992 | Update 04.2019

Versione aggiornata al 10 Aprile 2019

Massimario dei pareri, circolari ed altri atti interpretativi rilasciati dal MiSE in tema di autoriparazione, aggiornata al 10 Aprile 2019. (Legge 122/1992

Il massimario riporta tutte le principali decisioni (pareri e circolari) emesse dal MiSE in materia di attività di autoriparazione.

...

Indice generale ipertestuale (per argomenti)

1. Campo di applicazione
2. Soggetti
3. Requisiti morali
4 Immedesimazione
5 Univocità - Officine contigue
6 Associazione in partecipazione
7. Variazione legale rappresentante
8. Titoli di studio
9. Esperienza professionale maturata
10. Irretroattività data inizio attività e data nomina preposto
11. Trasferimento/conferimento d'azienda
12. Legge n. 25 del 5 gennaio 1996
13. Meccatronica (Legge n. 224/2012)
14. Sanzioni
15. Ricorsi
16. Officine presso Enti Pubblici
17. Incompatibilità
18. Impresa iscritta al RIA

Fonte: MISE

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Limiti esposizione professionale agenti cancerogeni e mutageni: TLV (Threshold Limit Values) ACGIH

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Limiti di esposizione professionale (agenti cancerogeni e mutageni) TLV - ACGIH

ID 3565 | 28.04.2017 (Documento in discussione)

I TLV (Threshold Limit Values) dell’ACGIH

Il decreto legislativo 81/2008 definisce come Valore Limite, il limite della concentrazione media, ponderata in funzione del tempo, di un agente cancerogeno o mutageno nell’aria, rilevabile entro la zona di respirazione di un lavoratore, in relazione a un periodo di riferimento determinato, stabilito nell’Allegato XLIII.

Rimane però ancora controversa l'opinione in base alla quale si può ritenere che esista, per le sostanze cancerogene, un livello di soglia “sicuro” al di sotto del quale il rischio di contrarre il tumore sia nullo. Esistono dei modelli matematici che descrivono la relazione dose-risposta per queste sostanze e che consentono di estrapolare il livello al di sotto del quale il rischio è pari a zero (NOEL, Not Observed Effect Limit).

Tuttavia, il comportamento di molte sostanze cancerogene è difficilmente classificabile in modelli comportamentali netti; la risposta individuale a tali sostanze è molto variabile ed adottare un modello matematico al posto di un altro, alle basse dosi, può portare a notevoli differenze nella stima della soglia di rischio. Nonostante i dubbi sulla loro efficacia, sono fissati a livello nazionale ed internazionale dei valori limite di esposizione professionali anche per gli agenti chimici cancerogeni e mutageni, nell’ottica che l’attribuzione di un limite possa comunque essere cautelativa per i lavoratori.

La definizione di Valore Limite nella nostra legislazione è, secondo l’art 222 comma 3 d del D. Lgs. 81/2008:

“d) valore limite di esposizione professionale: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media ponderata nel tempo di un agente chimico nell'aria all'interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un determinato periodo di riferimento; un primo elenco di tali valori è riportato nell'allegato XXXVIII;”.

Si rende quindi necessario un confronto con i più importanti Enti scientifici o governativi mondiali che raccomandano valori limite di esposizione per un ampio numero di sostanze, tra questi ricordiamo l’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), l’OSHA (Occupational Safety and Health Administration), il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) e il Comitato tedesco per i MAK.

______________

Direttiva 98/24/CE del Consiglio del 7 aprile 1998 sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)

"valore limite di esposizione professionale»: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media o ponderata nel tempo di un agente chimico nell’aria all’interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un periodo di riferimento specificato"

La filosofia dei limiti di esposizione

La filosofia alla base dei vari tipi di limite indicati a seguire è diversa a seconda della situazione socio-economica del periodo e della nazione in cui si affronta il problema.

Si accenna alle due tendenze estreme nella formulazione dei limiti, e cioè:

- quella basata su valutazioni esclusivamente tossicologiche e sanitarie (i cosiddetti healthbased occupational exposure limits) (OMS, UE)
- quella che tiene in primaria considerazione fattori socioproduttivi e di fattibilità tecnica. (MAK, PEL, OHSA, ILO)

La differenza fra i due tipi di limite è sostanziale e può essere di entità rilevante in particolari condizioni: fra quelli del primo tipo si possono annoverare i limiti proposti dall’OMS e dalla UE, mentre fra i secondi rientrano in forme diverse i MAK (Maximale Arbeitsplatz Conzentrazionen) tedeschi, i PEL (Permissible Exsposure Limits) dell’OSHA (Occupational Safety and Health Administration) ed i limiti proposti dall’ILO (International Labour Office).

E’ comunque da tener presente che la determinazione dei limiti generalmente in uso è forzatamente condizionata da considerazioni extrascientifiche, economiche, socio-culturali e politiche, tipiche dello Stato che li recepisce in un determinato periodo storico.

I TLV dell’ACGIH

In una posizione intermedia si colloca la filosofia alla base dei noti TLV (Threshold Limit Values) dell’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), il cui uso è probabilmente il più diffuso nei paesi industrializzati; questi “valori limite di soglia” indicano, per ognuna delle sostanze elencate, le concentrazioni delle sostanze aerodisperse alle quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta per turni lavorativi di otto ore al giorno, quaranta ore a settimana, quarantotto settimane all’anno, quaranta anni di vita lavorativa, senza effetti negativi per la salute.

Tuttavia, a causa della notevole variabilità della sensibilità individuale, una piccola percentuale di lavoratori può accusare disagi in presenza di alcune sostanze le cui concentrazioni siano pari o inferiori ai rispettivi TLV e, in una percentuale ancora minore di esposti, si può osservare un effetto più marcato per l’aggravarsi di condizioni patologiche preesistenti o per l’insorgere di una malattia professionale.

Alcuni individui possono inoltre essere ipersuscettibili o sensibili in modo insolito a talune sostanze in conseguenza di fattori genetici, età, abitudini personali (fumo, abuso di alcolici, altre droghe), cure farmacologiche o esposizioni pregresse. Tali lavoratori possono non risultare adeguatamente protetti contro gli effetti avversi per la salute da parte di agenti chimici presenti in concentrazioni pari o inferiori ai TLV e il medico competente deve stimare il grado di protezione addizionale opportuno per tali soggetti.

I TLV sono stati stabiliti (e vengono annualmente aggiornati) in base a dati della letteratura scientifica internazionale relativi a studi epidemiologici in campo industriale, a ricerche sperimentali sull’uomo, su animali e su colture cellulari, possibilmente combinando tutti questi elementi di giudizio. A seconda del tipo di sostanza presa in considerazione, possono variare sia la tipologia di danno che si vuole prevenire, sia la natura e l’entità delle informazioni tossicologiche e sanitarie disponibili per stabilire ed aggiornare i TLV.

In ogni caso bisogna rimarcare che questi limiti non costituiscono una linea di demarcazione netta fra concentrazione non pericolosa e concentrazione pericolosa, né un indice relativo di tossicità; essi non vanno adottati per scopi diversi o con modalità differenti da quelli per cui sono stati formulati ed, in ogni caso, non debbono essere utilizzati da persone non esperte nella disciplina dell’Igiene del Lavoro.

L’ACGIH prevede tre categorie di TLV:

- Valore limite di soglia- media ponderata nel tempo (TLV-TWA) concentrazione media ponderata nel tempo, su una giornata lavorativa convenzionale di otto ore e su quaranta ore lavorative settimanali, alla quale quasi tutti i lavoratori possono essere ripetutamente esposti, giorno dopo giorno, senza effetti negativi;

- Valore limite di soglia - limite per breve tempo di esposizione (TLV-STEL) concentrazione alla quale i lavoratori possono essere esposti continuativamente per breve periodo di tempo, purché il TLV-TWA giornaliero non venga superato, senza che insorgano irritazione, danno cronico o irreversibile del tessuto, riduzione dello stato di vigilanza di grado sufficiente ad accrescere le probabilità di infortuni od influire sulle capacità di mettersi in salvo o ridurre materialmente l’efficienza lavorativa. Il TLV-STEL non costituisce un limite di esposizione separato indipendente, ma piuttosto integra il TLV-TWA di una sostanza la cui azione tossica sia principalmente di natura cronica, qualora esistano effetti acuti riconosciuti. Gli STEL vengono raccomandati quando l’esposizione umana od animale ad alta concentrazione per breve durata ha messo in evidenza effetti tossici. Uno STEL viene definito come esposizione media ponderata su un periodo di 15 minuti, che non deve essere mai superata nella giornata lavorativa, anche se la media ponderata su 8 ore è inferiore al TLV. Esposizioni al valore STEL non devono protrarsi oltre i 15 minuti e non devono ripetersi per più di 4 volte al giorno. Fra esposizioni successive al valore STEL debbono intercorrere almeno 60 minuti. Un periodo di mediazione diverso dai 15 minuti può essere consigliabile se ciò è giustificato da effetti biologici osservati.

- Valore limite di soglia - Ceiling (TLV- C) concentrazione che non deve essere superata durante l’attività lavorativa nemmeno per un brevissimo periodo di tempo. Per alcune sostanze, quali i gas irritanti, riveste importanza la sola categoria del TLV-C; per altre sostanze, in funzione della loro azione fisiologica, possono essere importanti due o tre categorie di TLV.

E’ sufficiente che uno qualsiasi dei tre TLV venga superato per presumere che esista un potenziale rischio di esposizione per la sostanza in questione.

Esempio/Confronto

D.Lgs. 81/2008 ALLEGATO XLIII (Valori limite di esposizione professionale)

AGENTE VALORE LIMITE OSSERVAZIONI
mg/m3 ppm
Benzene 3,25 (5) 1 (5) Pelle (6)
EINECS 200-753-7 CAS 71-43-2
Cloruro di vinile monomero 7,77 (5) 3 (5) EINECS 200-831 CAS 75-01-4
Polveri di legno duro 5,00 (5,7) --- ---


(1) EINECS: Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti (European Inventory of Existing Chemical Susbstances).
(2) CAS: Numero Chemical Abstract Service.
(3) mg/m3 = milligrammi per metro cubo d'aria a 20° e 101,3 Kpa (corrispondenti a 760 mm di mercurio).
(4) ppm = parti per milione nell'aria (in volume: mL/m3 )
(5) Valori misurati o calcolati in relazione ad un periodo di riferimento di otto ore.
(6) Sostanziale contributo al carico corporeo totale attraverso la possibile esposizione cutanea.
(7) Frazione inalabile; se le polveri di legno duro sono mescolate con altre polveri di legno, il valore limite si applica a tutte le polveri di legno presenti nella miscela in questione.

(*)A tale proposito occorre ricordare che non c'è un accordo fra i ricercatori sulla esistenza di una dose soglia per gli agenti cancerogeni ed ancor più sulla possibilità della sua univoca determinazione; di conseguenza, per molti non è ammissibile stabilire un valore limite di esposizione, cioè definire un livello di rischio "accettabile", in quanto la patologia eventualmente insorta, pur se improbabile, è sempre della stessa gravità, non dipendente dall'intensità e durata dell'esposizione.

Comunque, il concetto di valore limite era già presente ed utilizzato, attraverso i TLV dell'ACGIH, perlomeno per una parte delle sostanze note come cancerogene, per cui il corretto utilizzo dello stesso attraverso un processo di prevenzione che risponda ai criteri prima descritti potrebbe anche essere considerato utile. La seconda considerazione coinvolge invece il merito dei valori limite proposti: in particolare, per il benzene il valore indicato, ponderato su 8 ore lavorative, appare francamente troppo elevato (9,75 mg/m3 sino al 31.12.2001, poi di 3,25 mg/m3) non soltanto perché molto superiore al corrispondente TLV dell'ACGIH (1,6 mg/m3 ), ma soprattutto in quanto non giustificabile in base a considerazioni tecniche.

Nell'industria chimica infatti esso è generalmente sostituibile senza particolari problemi, ed in ogni caso le misure di contenimento disponibili possono agevolmente ridurre l'esposizione a livelli molto inferiori (sino ai livelli dell'ambiente esterno) e per tempi limitati.

Un discorso analogo può esser fatto riguardo all'esposizione a polveri di legno duro, i corrispondenti TLV ACGIH, in attuale fase di revisione, appaiono comunque già più cautelativi.

Le misure suddette sono state sostanzialmente confermate nel Capo II, Titolo IX del D.Lgs 81/08.

(*)Alessandro Bacaloni
Sapienza Università degli Studi di Roma - Dipartimento di Chimica

2017 TLVs and BEIs

http://www.acgih.org/forms/store/ProductFormPublic/2017-tlvs-and-beis

Certifico Srl - IT Rev. 00 2017

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 18323 | 03 Maggio 2019

ID 8344 | | Visite: 2325 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Omessa valutazione del rischio connesso allo svolgimento di attività lavorative con impegno di prodotti infiammabili

Penale Sent. Sez. 4 Num. 18323 Anno 2019

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 11/01/2019

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 10/04/2018, la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia del Tribunale di Livorno che - dichiarato E.M. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1, cod. pen. - riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava, limitatamente al profilo di colpa di cui all'art. 29 D.lgs.n.81/2008, alla pena di giorni 30 di reclusione, sostituita la pena detentiva con la multa pari ad euro 7.500.
2. In particolare, il E.M., in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della COREMAS s.r.l., nonché in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e rappresentante del servizio di sicurezza e protezione della SOGESE s.r.l. e, quindi, di datore di lavoro per entrambe le ditte, non avendo effettuato una valutazione del rischio connesso allo svolgimento di attività lavorative con impegno di prodotti infiammabili, causava a G.F. - operaio dipendente della SOGESE e temporaneamente distaccato presso la COREMAS - lesioni consistite in ustioni in varie parti del corpo con prognosi superiore a 40 giorni. Questi, intento ad effettuare un taglio con impegno di fiamma ossidrica, omettendo di accertarsi che nelle vicinanze non vi fosse materiale a rischio di accensione, determinava - verosimilmente per una favilla scaturita dall'attrezzatura utilizzata - l'innesco di fiamme che si propagavano da un fusto in cui vi erano residui di un diluente altamente infiammabile che si trovava a circa 3 metri di distanza. In Collesalvetti, loc. Stagno, il giorno 01/02/2013.
3. Avverso la sentenza di appello, l'imputato, a mezzo del difensore, interpone ricorso per cassazione, articolando due motivi.
3.1. Con il primo, deduce inosservanza o erronea applicazione di legge. Richiama il comma 5 dell'art. 29 D.lgs.n.81/2008 - unica violazione residuata rispetto all'originario capo di imputazione - laddove statuisce che, fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui al comma 6, lett. f), gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi. Con nota in data 31/01/2013, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali chiariva poi che il termine ultimo per l'utilizzo da parte delle imprese sino a dieci lavoratori dell'autocertificazione era il 31 maggio. Infatti, essendo il decreto interministeriale, richiamato dal citato art. 29, entrato in vigore il 06/02/2013, da quel momento solo sarebbero decorsi i tre mesi indicati dalla norma per permettere ai datori di lavoro di effettuare la valutazione del rischio. Poiché l'infortunio è occorso in data 01/02/2013, appare chiaro che, all'epoca dei fatti, non vi fosse per l'imputato alcun obbligo di redazione del documento di valutazione dei rischi. Il profilo di colpa specifica viene dunque meno. La Corte evidenzia che la COREMAS aveva effettuato l'autocertificazione ammessa ex lege per poi dire che nel DVR la valutazione del rischio è stata completamente omessa. Peraltro, il documento che la Corte analizza non è un DVR ex art. 29 D.lgs.n.81/2008 ma una valutazione sul rischio chimico, in conformità ad altra normativa (d. lgs. 626/1994), anteriore alla pubblicazione del TU, che prevedeva che il datore di lavoro dovesse valutare il rischio chimico non come rischio di infortunio ma come analisi di agenti patogeni chimici per possibili malattie professionali.
3.2. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione. La condotta del dipendente è stata abnorme perché egli ha preso un bidone dalla stanza dedicata alle sostanze infiammabili e lo ha utilizzato per sgabello durante le operazioni di saldatura. Il datore di lavoro aveva creato un'apposita stanza per effettuare le operazioni di diluizione e travaso delle sostanze chimiche infiammabili e aveva previsto il loro stoccaggio esclusivamente in tale luogo. Non si comprende quindi come l'omissione della valutazione del rischio esplosione avrebbe potuto in qualche modo incidere sul comportamento tenuto dal dipendente

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va respinto.
2. La dinamica dell'evento risulta essere stata puntualmente ricostruita sulla base delle acquisizioni istruttorie che hanno individuato le cause dell'infortunio nel fatto che l'operaio stava operando nelle strette vicinanze di un bidone vuoto che conteneva vapori di sostanza facilmente infiammabile.
3. Su entrambe le doglianze proposte dalla difesa dell'imputato, la Corte di appello ha fornito adeguata e congrua motivazione. In particolare, quanto al primo motivo, già illustrato con l'atto di appello, ha sottolineato che il ragionamento difensivo prescinde totalmente dalla circostanza, pacificamente provata, alla stregua delle risultanze istruttorie, della presenza, sul luogo di lavoro ove operavano i dipendenti della società COREMAS, di fusti o bidoni contenenti residui di sostanze altamente infiammabili. Ricorda al riguardo, oltre alla testimonianza dell'infortunato G.F., quelle dei suoi colleghi, G. e D., e del responsabile della sicurezza, Q.. Costituiva fatto notorio che i bidoni, già contenenti diluenti per vernici, si trovassero sul piazzale di lavoro e non confinati nell'apposito locale predisposto ad hoc dal datore di lavoro, contravvenendo la regola precauzionale, raccomandata peraltro anche dal fabbricante del diluente, di evitare qualsiasi sorgente di calore nelle vicinanze di esso.
Correttamente il Giudice di appello evidenzia lo specifico obbligo in capo al datore di lavoro, l'odierno imputato, di valutazione del rischio di esplosione, il quale, contrariamente a quanto emerge dall'autocertificazione dallo stesso presentata ai sensi dell'art. 29, comma 5,D.lgs.n.81/2008, risulta del tutto omesso nel DVR adottato dall'anzidetta società. In tale documento, ricorda la Corte di merito, i prodotti chimici utilizzati, tra cui il diluente Nitro, risultano valutati quale fattore di rischio per le malattie professionali e non certo come possibile causa di innesco di incendio a seguito dell'esposizione a fonti di calore ovvero ai residui prodotti da interventi effettuati con cannello a fiamma ossiacetilenica. Il DVR utilizzato non era dunque adeguato perché non valutava affatto l'anzidetto rischio, manifestando in conseguenza una evidente carenza sotto il profilo delle misure preventive da adottare.
4. Con riguardo al secondo motivo, il Collegio rileva che la Corte territoriale, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, se da un lato ha escluso la concreta previsione del rischio e conseguentemente la sua corretta gestione, per altro verso ha escluso ogni condotta incongrua del lavoratore: quest'ultima infatti - come più volte affermato da questa Corte Suprema (ex multis, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Serafica e altro, Rv. 267253) - può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento solo quando si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, mentre nel caso di specie l'evento e la condotta omissiva che vi ha dato causa sono riconducibili proprio all'area di rischio tipica della prestazione lavorativa. Invero, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227).
Il datore di lavoro ha dunque l'obbligo giuridico di analizzare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre ad aggiornamenti periodici il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.lgs.n.81/2008, all'interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l'essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943). E ciò perché in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo deve essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si è concretamente verificato [Sez.4, n. 8622 del 04/12/2009 (dep. 03/03/2010), Giovannini, Rv. 246498].
E, sotto questo profilo, appare indubbio che, ove le condizioni lavorative fossero state conformate alle esigenze di sicurezza, l'evento di cui trattasi non si sarebbe verificato.
5. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 11 gennaio 2019

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Interpello n. 3/2019 - Autorizzazione installazione impianti audiovisivi

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Interpello n  3  08 05 2019

Interpello n. 3/2019 08.05.2019 - Autorizzazione all'installazione ed utilizzo degli impianti audiovisivi 

Istanza di interpello ai sensi dell'articolo 9 del d.lgs. n. 124/2004. Autorizzazione amministrativa ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge n. 300/1970.

Il Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro ha proposto istanza di interpello per conoscere il parere di questa Amministrazione in merito alla configurabilità della fattispecie del silenzio- assenso con riferimento alla richiesta di autorizzazione all'installazione ed utilizzo degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti di cui all'attuale articolo 4, comma 1, della legge 20 maggio 1970, n. 300. E ciò in considerazione delle disposizioni della legge n. 241/1990 che dispongono che il silenzio dell'amministrazione competente equivalga ad accoglimento della domanda.

Più in particolare, si chiede se il silenzio dell'organo amministrativo adito, in relazione all'istanza di autorizzazione, possa essere considerato un assenso tacito all'istanza medesima, in virtù del quale l'impresa possa procedere all'installazione degli impianti richiesti.

Al riguardo, acquisito il parere dell'Ufficio legislativo e dell'Ispettorato nazionale del lavoro, si rappresenta quanto segue.

Per espressa previsione del secondo comma dell'articolo 4 della citata legge n. 300 del 1970, sono esclusi dall'ambito applicativo del primo comma del medesimo articolo gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Il terzo comma stabilisce, invece, l'utilizzabilità delle informazioni raccolte per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto delle previsioni del decreto legislativo n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

Le disposizioni contenute nell'articolo 4 sono volte a contemperare le esigenze datoriali con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore sul luogo di lavoro. Più in particolare, si vuole evitare che l'attività lavorativa risulti impropriamente e ingiustificatamente caratterizzata da un controllo continuo e anelastico, tale da eliminare ogni profilo di autonomia e riservatezza nello svolgimento della prestazione di lavoro.

La formulazione della norma affida, in primis, ad un accordo tra la parte datoriale e le rappresentanze sindacali la possibilità di impiego degli impianti e degli altri strumenti che consentano anche il controllo dell'attività dei lavoratori. In mancanza di accordo, l'installazione è subordinata all'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro.

Il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto più volte per regolare, con provvedimenti e linee guida, tale fattispecie, in considerazione della stretta interazione tra l'articolo 4 della legge n. 300 e la normativa in materia di protezione dei dati personali, spesso richiamata anche nei provvedimenti di autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, con i quali sono stabilite le prescrizioni di utilizzo degli impianti e degli altri strumenti di controllo.

Giova evidenziare, in proposito, che con nota del 16 aprile 2012 (prot. n. 7162) l'allora Direzione Generale per l'attività ispettiva di questo Ministero aveva fornito istruzioni operative in relazione al rilascio delle autorizzazioni previste dall'articolo 4 della legge n. 300 del 1970. In quella occasione era stata sottolineata la necessità di considerare i presupposti legittimanti la richiesta di installazione di impianti di controllo, ovvero l'effettiva sussistenza delle esigenze organizzative e produttive, sottolineando inoltre il necessario rispetto del Codice per la privacy, nonché dei successivi provvedimenti del Garante, in particolare delle prescrizioni del Provvedimento generale sulla videosorveglianza dell'8 aprile 2010, nel quale, tra l'altro, si afferma l'esclusione dell'applicazione del principio del silenzio-assenso in questo caso specifico.

Con nota del 18 giugno 2018 (prot. n. 302) in tema di rilascio delle autorizzazioni in esame per esigenze di sicurezza sul lavoro, l'Ispettorato nazionale del lavoro ha altresì ribadito alle proprie strutture territoriali la necessità della stretta connessione teleologica che deve intercorrere tra la richiesta di installazione e l'esigenza manifestata.

Per quanto sin qui rilevato, la formulazione dell'articolo 4, primo comma, della legge n. 300 del 1970 non consente la possibilità di installazione ed utilizzo degli impianti di controllo in assenza di un atto espresso di autorizzazione, sia esso di carattere negoziale (l'accordo sindacale) o amministrativo (il provvedimento).

Tale interpretazione appare condivisa anche dalla giurisprudenza, la quale ha da ultimo affermato che “la diseguaglianza di fatto e quindi l'indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell'imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, dà conto della ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile, potendo alternativamente essere sostituita dall'autorizzazione della direzione territoriale del lavoro" (cfr. Cass. pen. n. 22148/2017), in continuità con un orientamento interpretativo consolidato in materia (cfr. Cass. pen. n. 51897/2016; Cass. civ. n. 1490/1986).

Alla luce di quanto evidenziato, con riferimento ai procedimenti attivabili mediante la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 4, comma 1, della legge n. 300 del 1970 e successive modificazioni non è, quindi, configurabile l'istituto del silenzio-assenso, occorrendo l'emanazione di un provvedimento espresso di accoglimento ovvero di rigetto della relativa istanza.

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Fonte: MLPS

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Tariffe premi INAIL 2019

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Tariffe premi 2019

Tariffe premi INAIL 2019

INAIL, 02.5.2019

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Dalla struttura del nuovo impianto dei premi assicurativi alle modalità per la loro applicazione, la pubblicazione riassume le caratteristiche principali del sistema entrato in vigore lo scorso primo gennaio, a quasi 20 anni dall’ultimo aggiornamento.

Opuscolo informativo dedicato alla revisione delle tariffe per l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali. La pubblicazione, realizzata dalla Direzione centrale pianificazione e comunicazione, dalla Direzione centrale rapporto assicurativo, dalla Consulenza statistico attuariale e dalla Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione centrale, descrive le caratteristiche dell’impianto tariffario entrato in vigore lo scorso primo gennaio, a quasi 20 anni dall’ultimo aggiornamento.

I contenuti suddivisi in cinque sezioni.

L’opuscolo è articolato in cinque sezioni che spaziano dalla revisione della tariffa ordinaria dei dipendenti delle gestioni Industria, Artigianato, Terziario e Altre attività, che si traduce in una riduzione del tasso medio complessivo del 32,72% rispetto a quello del 2000, al miglioramento delle prestazioni economiche correlato al nuovo impianto dei premi (assegno una tantum in caso di evento mortale, nuove tabelle di indennizzo in capitale del danno biologico, istituto della “Vivenza a carico”), passando per gli approfondimenti dedicati alle modalità di applicazione delle tariffe e alle gestioni tariffarie degli artigiani autonomi e degli addetti del settore navigazione.

Con l’adeguamento del nomenclatore agli attuali fattori di rischio le voci ridotte da 739 a 595. Il nuovo nomenclatore tariffario, in particolare, è stato reso più aderente agli attuali fattori di rischio attraverso una significativa contrazione del numero delle voci di tariffa, che sono passate da 739 a 595, con l’eliminazione di quelle relative ad attività obsolete e all’introduzione di nuove voci che tengono conto dell’evoluzione tecnologica e delle nuove modalità di organizzazione del lavoro, come quelle legate alla produzione di nanomateriali e alla consegna merci svolta in ambito urbano dai cosiddetti rider.

Confermati gli incentivi per le aziende virtuose che investono in prevenzione.

Il calcolo dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, inoltre, ora tiene conto della gravità degli infortuni e non solo degli oneri sostenuti dall’Inail per indennizzarli. È stata invece confermata la riduzione del premio per gli interventi di prevenzione realizzati in ambito aziendale, così come l’impegno per il sostegno dei progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro previsti dal Testo Unico del 2008, in linea con le risorse erogate in media nell’ultimo quinquennio.

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Fonte: INAIL

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Procedura d'infrazione n. 2013/4117 del 26 giugno 2013

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Procedura infrazione 2013 4117

Procedura d'infrazione n. 2013/4117 del 26 giugno 2013

Procedura d'infrazione n. 2013/4117 del 26 giugno 2013, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato, per non corretto recepimento della direttiva 89/391/CEE concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.

Violazione
La Commissione europea ritiene che l'Italia non abbia attuato pienamente la Direttiva 89/391/CEE (Direttiva quadro), relativa alle misure volte a migliorare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro. In proposito, sono stati comunicati alla Commissione europea diversi provvedimenti normativi rivolti ad inserire, nel corpo dell'ordinam ento italiano, le disposizioni della Direttiva stessa.
Si tratta del Decreto Legislativo 19/09/94 n. 626, del Decreto Legislativo 23/06/03 n. 195 e del Decreto Legislativo 19/03/96 n. 242. Tuttavia, le Autorità italiane non hanno resi noti, alla Commissione, altri atti normativi - il Decreto Legislativo n. 81/08 e le sue successive modificazioni denom inate 'Testo Unico" - anch’essi finalizzati al recepimento di prescrizioni della Direttiva suddetta. Riguardo ai provvedimenti nazionali da ultim o menzionati, la Commissione avanza il dubbio che essi non abbiano correttamente recepito l'art. 7, paragrafo 3, della sopra menzionata Direttiva. Il medesimo articolo disciplina le modalità secondo le quali il datore di lavoro deve costituire, aH'interno dell'azienda, i
servizi preposti alla prevenzione dei rischi professionali, nonché alla protezione dagli stessi rischi. In base a tali modalità, il datore di lavoro deve, in primo luogo, affidare le competenze in questione a soggetti scelti fra i lavoratori dell'azienda. Solo ove, nell'am bito del personale dell'azienda, non siano reperibili collaboratori qualificati per tali incarichi, il datore di lavoro potrà reclutare, per la bisogna, operatori esterni. Quindi, la Direttiva stabilisce, a chiare lettere, una precisa gerarchia, ponendo l’opzione, relativa alla composizione "interna" del servizio di sicurezza, in posizione di preferenza rispetto all'altra, Implicante l'esternalizzazione dello stesso servizio. Con ciò il legislatore UE ha
perseguito la finalità di assicurare, per quanto possibile, la partecipazione dei lavoratori interni alla gestione di un'attività, come quella di sicurezza sul luoghi di lavoro, che risponde ad interessi fondamentali ed im preteribili dei lavoratori stessi. Per converso il legislatore italiano, all'art. 31 del sopra menzionato Testo Unico, prevede, in generale, che il datore di lavoro possa scegliere liberamente - a prescindere dalla presenza o meno di lavoratori interni in grado di espletare efficientem ente le attività di sicurezza - se impiegare all'uopo questi ultim i o ricorrere ad operatori esterni. Detto assunto generale viene meno solo in 6 specifici casi, descritti al comma 6 del medesimo art. 31, i quali sono caratterizzati, per vari motivi, da una peculiare accentuazione del rischio di impresa. Solo con riguardo a tali ipotesi, dunque, la normativa nazionale prevede l'obbligo per il datore di lavoro, in prima istanza, di organizzare l'attività di sicurezza con lavoratori interni, ed in seconda battuta, solo ove i predetti non risultino adeguati a tali mansioni, con prestatori esterni. La Commissione, in proposito, ritiene che la Direttiva di cui si tratta potrà ritenersi attuata correttam ente solo quando l'indefettibilità dell'obbligo, di impiegare personale interno per le attività di profilassi rispetto ai rischi professionali, verrà imposta dal legislatore italiano come regola generale.

Procedura risolta

La Procedura è stata risolta poi attraverso le novità introdotte dalla Legge n. 98/2013 (Decreto del fare) e le modifiche all’art. 31 del D.Lgs. 81/2008: ora il datore di lavoro (art. 31, comma 1) deve organizzare il SPP “prioritariamente” all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva.

Legge n. 98/2013
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia.

(GU n.194 del 20-8-2013 - S.O. n. 63 )

Decreto-Legge 21 giugno 2013, n. 69

Art. 32 (Semplificazione di adempimenti formali in materia di lavoro)
1. Al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono  apportate  le seguenti modificazioni:

b-bis). All'articolo 31, comma 1, dopo le  parole: «servizio di prevenzione e protezione» e' inserita la seguente «prioritariamente»;

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E-book Rischio Chimico e Cancerogeno

ID 8301 | | Visite: 3715 | Documenti Sicurezza Enti

Ebook rischio chimico cancerogeno

E-book Rischio Chimico e Cancerogeno

CIIP, 24 Aprile 2019

In occasione del Workers' Memorial Day, del 28 aprile 2019, è stato pubblicato da CIIP l'E-book Rischio Chimico e Cancerogeno "Il tuo lavoro conta, proteggiti" curato da Lalla Bodini, Carlo Sala, Susanna Cantoni e Enrico Cigada.

La Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione aderisce alla Campagna europea Ambienti di lavoro sani e sicuri di EU-OSHA del biennio 2018-2019 "Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro in presenza di sostanze pericolose".

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Indice

RISCHIO CHIMICO PER LA SALUTE. ALLE ORIGINI DI UN CONCETTO
Franco Carnevale e AlbertoBaldasseroni

L’INDIVIDUAZIONE DEL RISCHIO CHIMICO MEDIANTE I FLUSSI INFORMATIVI INAIL REGIONI E PROVINCE AUTONOME
Giovanni Falasca e Battista Magna

RÉVISION DE LA DIRECTIVE SUR LESCANCERS AU TRAVAIL: UNE BATAILLEPOLITIQUEDE LONGUE HALEINE
Laurent Vogel diETUI

LA VALUTAZIONE DEIRISCHI A SEGUITO DEI REGOLAMENTI EUROPEI
Carlo Sala

LA FORMAZIONE DEI LAVORATORI SUI RISCHI DETERMINATI DA SOSTANZE CHIMICHE PERICOLOSE
Norberto Canciani con E. Ariano, S. Cantoni, E. Gerbino, S. Savi, R. Vitale, A. Zaffanella, C. Zamponi

AFLATOSSINE E RISCHIO CANCEROGENO NELLA FILIERA AGROALIMENTARE
Fulvio Ferri

ANTIBLASTICI ECHEMIOTERAPICI I RISCHILEGATI ALL’ESPOSIZIONE PROFESSIONALEE AMBIENTALE
Carlo Sala

ASFALTATURA ERISCHIO CANCEROGENO DA IDROCARBURIPOLICICLICI AROMATICI
Ettore Brunelli

L'ESPOSIZIONEA PRODOTTI FITOSANITARI
Maria Cristina Aprea e Lucia Miligi

METALLI DURI: UNA ESPOSIZIONE INFORTE CRESCITA
Fabrizio Ferraris

NANOMATERIALI: UNTEMA IN CRESCITA
Saverio Pappagallo e Daniele Carpanelli

SOSTANZE PERFLUOROALCHILICHE (PFAS) COMEPERTURBATORI ENDOCRINI
Elisabetta Barbassa

ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A SILICE LIBERACRISTALLINA NEL SETTORE DELLE COSTRUZIONI
Battista Magna

Fonte: CIIP

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 17685 | 29 Aprile 2019

ID 8292 | | Visite: 2060 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Carenze strutturali o manutentive dei luoghi di lavoro nell'impianto di depurazione

Responsabilità della titolare del contratto di appalto

Penale Sent. Sez. 3 Num. 17685 Anno 2019

Presidente: ACETO ALDO
Relatore: GALTERIO DONATELLA
Data Udienza: 14/12/2018

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 8.5.2018 il Tribunale di Paola ha condannato C.N. alla pena di € 450,00 di ammenda ritenendolo responsabile di una pluralità di violazioni in materia di sicurezza sul lavoro ai sensi del decreto legislativo 81/2018.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 
2.1. Con il primo motivo lamenta, invocando il vizio motivazionale, l'omessa valutazione e conseguente disamina della copiosa documentazione prodotta dalla difesa attestante che la gestione del depuratore cui sono riferite le contravvenzioni ascrittile era stata affidata all'imputata dal Comune che ne è il titolare giusta ordinanza contingibile ed urgente mediante contratti che vengono rinnovati ogni due mesi, autorizzandola all'uso delle maestranze della precedente gestione: conseguentemente afferendo le violazioni di cui all'imputazione a carenze strutturali dell'impianto, la responsabilità per il suo omesso adeguamento strutturale doveva essere ascritta al Comune, che ne resta il proprietario, e non già all'odierna ricorrente che, comunque, si era fatta carico di provvedere anche per le omissioni imputabili all'ente locale seppure in ritardo rispetto ai tempi assegnati.
2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio motivazionale, che nonostante il giudicante dia atto che l'adempimento fosse stato posto in essere dall'imputata, arriva all'affermazione di responsabilità sulla scorta del generale principio di solidarietà della stazione appaltante. Sottolinea che nessun obbligo all'adempimento delle prescrizioni impartite dall'Ispettorato poteva essere posto a carico dell'affidataria in via di urgenza dell'impianto volto a permetterne il funzionamento per motivi di sanità e che ciò nonostante era stato, con motivazione contraddittoria ed apparente, fatto riferimento alla contemporaneità delle condotte, espressione di un unico disegno criminoso, che era invece smentito dal fatto che il Comune, proprietario dell'Impianto era rimasto del tutto inerte: nessun disegno identitario poteva essere ravvisato tra la sua condotta di segno positivo avendo posto in essere, ancorché non obbligata, le condotte necessarie all'adeguamento dell'impianto e quella di segno negativo del Comune rimasto inadempiente.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo deve ritenersi manifestamente infondato.
Le irregolarità riscontrate in sede di sopralluogo presso l'impianto di depurazione del Comune di Paola da parte dell'Ispettorato del lavoro concernono, quanto ai capi di imputazione d), e) ed f), carenze strutturali o manutentive dei luoghi di lavoro riguardanti l'impianto elettrico privo di messa a terra e di protezione, le vasche destinate al contenimento di sostanze liquide sprovviste di parapetti e gli uffici in precarie condizioni igieniche e di insalubrità in presenza di umidità, nonché dotati di bagni con un numero di docce insufficienti e non serviti da acqua calda, e quanto ai capi a) e b) la mancata adozione delle necessarie cautele atte a garantire la sicurezza sul lavoro in ambito di prevenzione rischi e formazione dei dipendenti direttamente nei confronti del personale.
L'adempimento ai correlativi obblighi imposti dal d. lgs 81/2008 in quanto concernenti la tutela delle condizioni di sicurezza e di igiene dei luoghi di lavoro ricade, anche per quanto concerne gli impianti strutturali ed i locali in cui si svolge l'attività lavorativa, sul datore di lavoro, indipendentemente dal fatto che questi sia o meno il proprietario delle suddette strutture, trattandosi del soggetto obbligato ad assumere le cautele previste ex lege.
Ciò premesso, essendo stato accertato che l'imputata fosse la titolare, in quanto legale rappresentante della società Lao Pools, del contratto di appalto per la gestione del depuratore in virtù dell'originario contratto stipulato con il Comune alla scadenza del quale, risalente al novembre 2012, la sua posizione contrattuale veniva prorogata per effetto di un'ordinanza contingibile ed urgente emessa il 23.1.2013, nessun fondamento rivestono le doglianze in ordine alla sua condizione di affidataria dell'appalto in via di urgenza posto che è proprio in virtù della suddetta ordinanza del Sindaco che costei ha conservato la qualifica di appaltatrice e conseguentemente quella di datrice di lavoro delle maestranze impiegate alla gestione dell'impianto. In virtù di tale qualifica sulla stessa ricadevano pertanto gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro che essendo stati adempiuti, per quanto concerne la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro di cui ai capi d), e) ed f), ben oltre il termine all'uopo concessole e prorogato su sua stessa richiesta, e per quanto riguarda le prescrizioni di cui ai capi a) e b) solo successivamente al sopralluogo recando la documentazione richiestale una data successiva all'accertamento ispettivo, impongono di ritenere perfezionate le relative contravvenzioni.
2. Il secondo motivo, che si traduce in censure confuse e debordanti dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata, è inammissibile restando oscure sia le finalità delle doglianze che sembrano contestare l'inconfigurabilità di un concorso tra l'imputata (che risulta essere l'appaltatrice e non già l'appaltante dell'Impianto) ed il Comune, di cui la pronuncia del Tribunale non reca traccia, sia i punti del provvedimento contestati. Laddove, in ogni caso, si fa riferimento al medesimo disegno criminoso non è evincibile quale sia l'interesse della ricorrente a dolersi dell'identità del disegno criminoso tra le plurime contravvenzioni ascrittele, tradottosi in un regime sanzionatorio per costei di maggior favore per effetto della riduzione di pena conseguente alla configurazione del reato continuato ai sensi dell'art. 81, 2 comma cod. pen..
Segue all'esito del ricorso la condanna della ricorrente a norma dell'art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14.12.2018

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Bozza di revisione della RTO del Codice di prevenzione incendi

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Bozza revisione

Bozza di revisione della RTO del Codice di prevenzione incendi (DM 03/08/2015)

Update 17.09.2019

Testo allegato notificato alla Commissione europea il 10.07.2019, numero di notifica: 2019/334/I (Italia).

Termine dello status quo : 11/10/2019
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CNI, 24.04.2019

Nella seduta del Comitato Centrale Tecnico Scientifico (CCTS) del 9 aprile 2019 è stata presentata la bozza di revisione della Regola Tecnica Orizzontale (RTO) del Codice di prevenzione incendi (DM 03/08/2015 – “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139"). 

Il CNI aveva trasmesso al Corpo Nazionale dei VVF, nell’aprile 2018, un pacchetto di n. 77 osservazioni e richieste di modifica della RTO, frutto di un’attenta valutazione della documentazione pervenuta dagli Ordini provinciali, così come puntualmente riportato nella circolare n° 288 del 13/04/2018. I Vigili del Fuoco, nei giorni scorsi, hanno concesso un ulteriore periodo di inchiesta pubblica, durante il quale si potranno proporre ulteriori contributi.

...

Fonte: CNI

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Decreto 12 aprile 2019

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Decreto 12 aprile 2019

Decreto 12 aprile 2019 Modifiche al Testo Unico PI (RTO) | Eliminazione doppio binario

Modifiche al decreto 3 agosto 2015, recante l'approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139

(GU n.95 del 23-04-2019)

Entrata in vigore: 20.10.2019

Vedi il Codice di prevenzione Incendi - Aggiornato 2019

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Art. 1. Modifiche all’art. 1 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015

1. All’art. 1 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 il comma 2 è abrogato.

Art. 2. Modifiche all’art. 2 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015

1. L’art. 2 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 è sostituito dal seguente:

«Art. 2 (Campo di applicazione e modalità applicative) .

1. Le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, si applicano alla progettazione, alla realizzazione e all’esercizio delle attività di cui all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, individuate con i numeri: 9; 14; da 19 a 40; da 42 a 47; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64; 66, ad esclusione delle strutture turistico-ricettive all’aria aperta e dei rifugi alpini; 67, ad esclusione degli asili nido; da 69 a 71; 73; 75; 76. Sono fatte salve le modalità applicative alternative di cui all’art.  2 -bis .
2. Le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, si applicano alle attività di cui al comma 1 di nuova realizzazione. 
3. Per gli interventi di modifica ovvero di ampliamento alle attività di cui al comma 1, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, si applicano a condizione che le misure di sicurezza antincendio esistenti, nella parte dell’attività non interessata dall’intervento, siano compatibili con gli interventi da realizzare.
4. Per gli interventi di modifica o di ampliamento delle attività esistenti di cui al comma 1, non rientranti nei casi di cui al comma 3, si continuano ad applicare le specifiche norme tecniche di prevenzione incendi di cui all’art. 5 comma 1 -bis e, per quanto non disciplinato dalle stesse, i criteri tecnici di prevenzione incendi di cui all’art. 15, comma 3, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139. Nei casi previsti dal presente comma, è fatta salva, altresì, la possibilità per il responsabile dell’attività di applicare le disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, all’intera attività.
5. Le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, possono essere di riferimento per la progettazione, la realizzazione e l’esercizio delle attività che non rientrano nei limiti di assoggettabilità previsti nell’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, o che non siano elencate nel medesimo allegato.».

Art. 3. Introduzione dell’art. 2 -bis del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015

1. Dopo l’art. 2 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 aggiunto il seguente articolo:

«Art. 2 -bis (Modalità applicative alternative) 

1. In alternativa alle norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, è fatta salva la possibilità di applicare le norme tecniche indicate all’art. 5, comma 1 -bis , per le seguenti attività, così come individuate ai punti di cui all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151:
a) 66, ad esclusione delle strutture turistico-ricettive all’aria aperta e dei rifugi alpini;
b) 67, ad esclusione degli asili nido;
c) 69, limitatamente alle attività commerciali ove sia prevista la vendita e l’esposizione di beni;
d) 71;
e) 75, con esclusione dei depositi di mezzi rotabili e dei locali adibiti al ricovero di natanti ed aeromobili.».

Art. 4. Modifiche all’art. 5 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015

1. All’art. 5 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:
«1 -bis . Alle attività per le quali vengono applicate le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, non si applicano le seguenti:
a) decreto del 30 novembre 1983 recante «Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi e successive modificazioni»;
b) decreto del 31 marzo 2003 recante «Requisiti di reazione al fuoco dei materiali costituenti le condotte di distribuzione e ripresa dell’aria degli impianti di condizionamento e ventilazione»;
c) decreto del 3 novembre 2004 recante «disposizioni relative all’installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l’apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso di incendio»;
d) decreto del 15 marzo 2005 recante «Requisiti di reazione al fuoco dei prodotti da costruzione installati in attività disciplinate da specifiche disposizioni tecniche di prevenzione incendi in base al sistema di classificazione europeo»;
e) decreto del 15 settembre 2005 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per i vani degli impianti di sollevamento ubicati nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi;
f) decreto del 16 febbraio 2007, recante «Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione»;
g) decreto del 9 marzo 2007, recante «Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco»;
h) decreto del 20 dicembre 2012 recante «Regola tecnica di prevenzione incendi per gli impianti di protezione attiva contro l’incendio installati nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi»;
i) decreto del Ministro dell’interno 22 febbraio 2006 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e esercizio di edifici e/o locali destinati ad uffici»;
l) decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l’esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere»;
m) decreto del Ministro dell’interno 6 ottobre 2003 recante «Approvazione della regola tecnica recante l’aggiornamento delle disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere esistenti di cui al decreto 9 aprile 1994»;
n) decreto del Ministro dell’interno 14 luglio 2015 recante «Disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50»;
o) decreto del Ministro dell’interno 1° febbraio 1986 recante «Norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l’esercizio delle autorimesse e simili»;
p) decreto del Ministro dell’interno 22 novembre 2002 recante «Disposizioni in materia di parcamento di autoveicoli alimentati a gas di petrolio liquefatto all’interno di autorimesse in relazione al sistema di sicurezza dell’impianto;
q) decreto del Ministro dell’interno 26 agosto 1992 recante «Norme di prevenzione incendi nell’edilizia scolastica e successive integrazioni»;
r) decreto del Ministro dell’interno 27 luglio 2010 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle attività commerciali con superficie superiore a 400 mq»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Per le attività di cui all’art. 2 in regola con gli adempimenti previsti agli articoli 3, 4 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, il presente decreto non comporta adempimenti.».

Art. 5. Disposizioni transitorie e finali

1. Le modifiche introdotte con gli articoli 1, 2, 3 e 4 si applicano alle attività interessate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. Il presente decreto entra in vigore il centottantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (20 Ottobre 2019).

Tabella 1

Le modalità di applicazione indicate vengono sintetizzate nella tabella seguente (indicativa).

Tipologia di attività

Progettazione di nuove attività

Progettazione di modifiche/ampliamenti di attività esistenti

 

 

 

Attività soggette

Senza RTV

Solo codice per:
9; 14; da 19 a 40; da 42 a 47; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64; 66, ad esclusione delle strutture turistico-ricettive all’aria aperta e dei rifugi alpini; 67, ad esclusione degli asili nido; da 69 a 71; 73; 75; 76.

- Codice

- Se il Codice non è compatibile con l'esistente, allora regole tradizionali oppure applicazione del codice all'intera attività

 

Con RTV

Si può scegliere tra:

- Codice

- Regole tradizionali

Attività non soggette

Il Codice può essere applicato come riferimento con esonero dall'applicazione delle regole tradizionali.

Vedi: Tabella di lettura D.M. 3 agosto 2015 / D.P.R. 151/2011

Fig  1  Schema procedura PI Attivit  senza RT

Fig. 1. Schema procedura PI ad Attività senza RT

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 17207 | 19 Aprile 2019

ID 8253 | | Visite: 2181 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Corretto utilizzo del carrello elevatore

Non può essere abnorme il comportamento del lavoratore che agisce seguendo una direttiva del datore di lavoro

Penale Sent. Sez. 4 Num. 17207 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: NARDIN MAURA
Data Udienza: 06/02/2019

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 19 giugno 2017 la Corte di Appello Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Rovigo con cui R.B. stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 1A e 3A cod. pen. per avere colposamente cagionato lesioni personali gravi a A.O., perché con imprudenza, negligenza ed imperizia ed in violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro ed in particolare degli artt. 37 e 71, comma 7A d.lgs. 81/2008, non provvedeva a formare ed informare il lavoratore sui rischi delle mansioni che era chiamato a svolgere, in particolare in ordine alla conduzione di carrelli elevatori, sicché il medesimo prelevando con le mani un pneumatico dalla base di un cumulo di pneumatici, veniva travolto dalla caduta di uno di questi.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi.
3. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett.re b) ed e) la violazione di legge, con riferimento agli artt. 37 e 71 d.lgs. 81/2008 nonché il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità fra la condotta addebitata e l'evento ed al mancato riconoscimento dell'abnormità del comportamento tenuto dalla persona offesa. Sottolinea che un diverso adempimento dell'obbligo di formazione ed informazione non avrebbe potuto ovviare alla manovra posta in essere dal lavoratore, che aveva agito senza ricorrere all'esperienza più comune ed all'ordinario buon senso, che inducono da sole ad astenersi a spostare con le mani un pneumatico posto alla base di un cumulo, al fine di evitare crolli di materiali.
4. Con il secondo motivo lamenta ex art. 606, comma 1A lett.re b) ed e) la violazione di legge penale in relazione agli artt. 41, cpv., 590 cod. pen. e 2087 cod. civ., per non avere la sentenza tenuto in considerazione che laddove il comportamento del lavoratore si riveli esorbitante, tanto da essere al di fuori dalla possibilità di controllo del garante, deve ritenersi escluso il nesso causale fra la condotta di questi e l'evento, costituendo l'azione posta in essere dal dipendente rischio eccentrico rispetto alla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Osserva che, in ogni caso, in applicazione del principio di autoresponsabilità, che impone al lavoratore su attenersi alle direttive ricevute ed alle più generiche cautele derivanti dall'agire con prudenza, dovrebbe escludersi la responsabilità del datore di lavoro, essendo evidente la violazione del modello collaborativo che vede il lavoratore titolare di obblighi di prevenzione.
5. All'udienza si è costituita la parte civile che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
2. I due motivi proposti possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
3. Va rilevato, preliminarmente, che l'imputato non contesta, quantomeno in questa sede, l'omessa formazione ed informazione del dipendente da parte sua, ma sostiene che l'assolvimento di un simile obbligo non avrebbe in alcun modo evitato il comportamento del lavoratore, posto che quest'ultimo aveva agito in spregio delle più elementari regole di esperienza comune e di comune buon senso.
Ora, la sentenza impugnata, affondando la questione della violazione contestata rimarca che l'art. 37 del d.lgs. 81/2008 non impone esclusivamente la formazione di informazione sull'uso delle attrezzature di lavoro, ma, più in generale, sui rischi delle mansioni assegnate. Afferma, inoltre, come sia risultato in giudizio che fosse stata data al lavoratore la direttiva di prendere i pneumatici dal basso, al fine di 'smuovere' l'ammasso di pneumatici, così da poter successivamente usare il carrello elevatore.
La causa del sinistro, dunque, viene rinvenuta dalla Corte territoriale, non solo in una condotta omissiva, ma altresì nella condotta attiva del datore di lavoro, consistita nell'impartire l'ordine al lavoratore di provvedere in modo da poter usare il mezzo assegnatogli, anche utilizzando i pneumatici che si trovavano nella parte inferiore del cumulo. L'avere il dipendente agito secondo le direttive del datore di lavoro esclude in radice l'insussistenza di un collegamento causale diretto fra la condotta di quest'ultimo e l'evento, essendo strumentale ed improprio il richiamo a comportamenti esorbitanti della persona offesa, in quanto espressamente richiesti, con le istruzioni impartite al lavoratore, certamente non conformi alle più elementari regole di prudenza e di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il ragionamento contenuto nella sentenza impugnata è ineccepibile ed appaiono, alla luce della ricostruzione del fatto operata dal giudice di secondo grado, del tutto inconferenti le sollecitazioni introdotte dal ricorrente sull'esorbitanza dell'azione del lavoratore, posto che in giudizio è stato accertato come il suo comportamento sia stato oggetto di richiesta da parte del datore di lavoro.
Il ricorso, invero, non si confronta con il nucleo centrale della decisione che individua nella condotta attiva del datore di lavoro, che ha impartito la direttiva, la causa dell'incidente, riportando, dunque, qualunque conseguenza di quell'ordine nella sfera di governo del rischio che gli è propria.
Ne consegue l'inammissibilità dell'impugnazione proposta in questa sede, le cui censure si rivelano generiche e comunque manifestamente infondate, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Va, inoltre, condannato il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio di legittimità dalla parte civile, da liquidarsi in euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile A.O. in questo giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.500,00 oltre ad accessori come per legge.
Così deciso il 6/02/2019

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Cassazione Penale Sent. Sez. 7 n. 16467 | 16 Aprile 2019

ID 8214 | | Visite: 2295 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Mancanza del POS. Responsabilità penale del committente subappaltatore

Penale Ord. Sez. 7 Num. 16467 Anno 2019

Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: GAI EMANUELA
Data Udienza: 08/03/2019

Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il tribunale di Cuneo ha condannato, per quanto qui rileva, alla pena di € 2.000,00 di ammenda con pagamento rateale ex art. 133 ter cod.pen., M.A. in ordine alla violazione di cui all'art. 96 comma 1 lett. g) in relazione all'art. 159 del d.lgs n. 81 del 2008 perché in qualità di subappaltatore per lavori presso il cantiere edile sito in Saluzzo, non adottava il POS di cui all'art. 89 del medesimo decreto. In Saluzzo il 4 aprile 2013.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l'annullamento, deducendo il vizio di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente sul rilievo che l'adozione del POS spetterebbe, in caso di contratto di appalto, unicamente in capo al datore di lavoro e al committente che aveva conferito l'esecuzione dei lavori all'imputato.

Considerato in diritto
3. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza del motivo.
E' affermazione costante quella secondo cui in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272221 - 01; Sez. 4, n. 27296 del 02/12/2016, Vettor, Rv. 270100 - 01).
Dunque, immune da censure è la sentenza impugnata che, sulla scorta della ammissione piena dei fatti, ha affermato la responsabilità penale dell'imputato.
4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l'8 marzo 2019

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ILO 2019 | Safety and Health at the heart of the Future of Work

ID 8207 | | Visite: 4467 | Documenti Sicurezza

ILO 2019

Safety and Health at the heart of the Future of Work: Building on 100 years of experience

Geneva (ILO 18 April 2019)

Changes in working practices, demographics, technology and the environment are creating new occupational safety and health (OSH) concerns, according to a new report from the International Labour Organization (ILO).

Growing challenges include psychosocial risks, work-related stress and non-communicable diseases, notably circulatory and respiratory diseases, and cancers.

The report, Safety and Health at the heart of the Future of Work: Building on 100 years of experience * , is being published ahead of the World Day for Safety and Health at Work , which is marked on April 28th. It reviews the ILO’s 100 years of work on OSH issues, and highlights emerging health and safety issues in the world of work.

Currently, more than 374 million people are injured or made ill every year through work-related accidents. It is estimated that work days lost to OSH-related causes represent almost 4 per cent of global GDP, in some countries as much as 6 per cent, the Report says.

“As well as more effective prevention for established risks, we are seeing profound changes in our places and ways of working. We need safety and health structures that reflect this, alongside a general culture of prevention that creates shared responsibility,” said Manal Azzi, ILO Technical Specialist on Occupational Safety and Health.

“As well as the economic cost we must recognize the immeasurable human suffering such illnesses and accidents cause. These are all-the-more tragic because they are largely preventable."

Looking to the future, the report highlights four major transformative forces driving changes. It points out that all also offer opportunities for improvements.

First, technology, such as digitization, robotics, and nanotechology, can also affect psychosocial health and introduce new materials with unmeasured health hazards. Correctly applied it can also help reduce hazardous exposures, facilitate training and labour inspections.

Demographic shifts are important because young workers have significantly high occupational injury rates, while older workers need adaptive practices and equipment to work safely. Women – who are entering the workforce in increasing numbers – are more likely to have non-standard work arrangements and have a higher risk of musculoskeletal disorders.

Thirdly, development and climate change give rise to risks such as air pollution, heat stress, emerging diseases, shifting weather and temperature patterns that can bring job losses. Equally, new jobs will be created through sustainable development and the green economy.

Finally, changes in the organization of work can bring flexibility that allows more people to enter the labour force, but may also lead to psychosocial issues (for example, insecurity, compromised privacy and rest time, or inadequate OSH and social protections) and excessive work hours. Approximately 36 per cent of the world’s workforce currently works excessive hours (more than 48 hours per week).
________

Table of contents

Introduction
Global trends in safety and health: The picture today
Chapter 1: 100 years of safety and health at work
1. Why the world needed to respond to accidents and diseases at work 100 years ago
2. The ILO: Founded on the concept of safe and healthy work
3. Post-Second World War: An increasingly global perspective on OSH
4. Towards a culture of prevention
5. ILO and safety and health at work in the new millennium
Chapter 2:
A safe and healthy future of work: Challenges and opportunities
2.1 Technology
Digitalization and ICT
Automation and robotics
Nanotechnology
2.2 Demographics
Young workers
Aging worker populations
Gender
Migrant workers
2.3 Sustainable development and OSH
Climate change, air pollution and environmental degradation
The green economy
ILO instruments in relation to climate change, sustainable development and OSH
2.4 Changes in work organization
Excessive hours of work
Non-standard forms of employment
Working time arrangements
The informal economy
The example of digital labour platforms
Chapter 3:
Responding to the safety and health challenges and
opportunities of the future of work
3.1 Anticipation of new OSH risks
3.2 Multidisiplinarity in managing OSH
3.3 Building competence on OSH
3.4 Widening the horizon: The link to public health
3.5 International labour standards and other instruments on OSH
National OSH legislation and management
Governance of OSH
3.6 Reinforcing the role of governments and social partners and expanding partnerships
Concluding remarks
References

...

Fonte: ILO

Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/2008 - 04.2019

ID 8178 | | Visite: 7354 | Testo Unico Sicurezza

TUS 04 2019

Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/2008 - 04.2019

Decreto legislativo 81/2008 in materia salute e sicurezza nei luoghi di lavoro - Ed. 04.2019 (15 Aprile 2019)

Disponibile il testo coordinato MLPS nell'edizione Aprile 2019 Download TUS Ed. 04.2019

Novità in questa versione:

- Inserito il Decreto Interministeriale 22 gennaio 2019 - Individuazione della procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare (GU n. 37 del 13/02/2019);
- Aggiornato il LINK ESTERNO alle tabelle delle tariffe adottate per le attività di verifica periodica delle attrezzature di lavoro di cui all’allegato VII, ulteriormente adeguate ai sensi articolo 1, comma 2) del decreto dirigenziale del 23 novembre 2012 dall’allegato I alla nota prot. n. 4393 del 04/03/2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
- Sostituito il Decreto Direttoriale n. 89 del 23 novembre 2018 con il Decreto Direttoriale n. 8 del 25 febbraio 2019 - Ventunesimo elenco dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’art. 71 comma 11 (LINK ESTERNO all’Allegato);
- Inseriti gli interpelli n. 1 del 31/01/2019 n. 2 del 15/02/2019 e n. 3 del 20/03/2019;
- Modificati gli articoli 74, commi 1 e 2, e 76, commi 1 e 2, ai sensi Decreto Legislativo 19 febbraio 2019, n. 17 (GU n.59 del 11/03/2019 2018 in vigore dal 12/03/2019);
- Inserito il decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, così come modificato dall’art. del Decreto Legislativo 19 febbraio 2019, n. 17 (GU n.59 del 11/03/2019 2018 in vigore dal 12/03/2019);

MLPS - 15 Aprile 2019

Tutte le Versioni del TUS MLPS pubblicate

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Codice comportamento Imprese di Costruzioni / ANCE

ID 8155 | | Visite: 6897 | Documenti Sicurezza Enti

Codice comportamento Imprese di Costruzioni   ANCE 2019

Codice comportamento Imprese di Costruzioni / ANCE 2022

ID 8155 | Update 30.03.2024

Include tutte modifiche legislative apportate al DLgs 231/2001 a Marzo 2022.

Ai sensi dell’art. 6, comma 3,  Del dlgs. 8 giugno 2001, n. 231 e s.m.i.

Scarica questo file (Codice comportamento Imprese di Costruzioni - ANCE 2019.pdf)  Codice comportamento Imprese di Costruzioni ANCE 2022
Scarica questo file (Codice comportamento Imprese di Costruzioni - ANCE 2019.pdf)  Codice comportamento Imprese di Costruzioni ANCE 2019
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Scarica questo file (Codice comportamento Imprese di Costruzioni - ANCE 2019.pdf)  Codice comportamento Imprese di Costruzioni ANCE 2008

Rev. 2022

Il presente Codice di comportamento costituisce il documento, aggiornato a tutto marzo 2022, redatto dall'ANCE in ottemperanza al disposto di cui all'art. 6 comma 3 del DLgs 231/2001.

La Prima Parte del Codice intende fornire alle imprese aderenti all’ANCE le conoscenze necessarie e la metodologia generale per la predisposizione di un Modello di Organizzazione e Gestione conforme al DLgs 231/2001, finalizzato alla prevenzione dei reati presupposto della responsabilità amministrativa introdotta dallo stesso DLgs 231/2001.

La Seconda Parte del Codice identifica l’azienda di costruzione considerata “standard” ed effettua, sempre con riferimento ai reati presupposto della responsabilità amministrativa, una esaustiva analisi dei rischi reato per tale impresa, da porre in correlazione con i protocolli di prevenzione che saranno sviluppati nella parte successiva.

La Terza Parte del Codice, vale a dire il «Modello tipo di organizzazione e gestione - MOG», fornisce alle imprese aderenti all'ANCE una guida operativa dettagliata per la elaborazione dei documenti prescrittivi della singola azienda (Codice Etico, Parte Generale e Parte Speciale del MOG) in coerenza con le previsioni del «Codice di comportamento»; quanto presentato in questa Terza Parte, riferito ad una impresa di costruzioni standard, deve essere oggetto di concreta e puntuale valutazione e personalizzazione da parte di ciascuna impresa, alla luce delle proprie peculiarità operative, dimensionali ed organizzative: tale personalizzazione può essere validamente supportata da un software (SQuadra231) che ANCE mette a disposizione gratuita delle imprese associate.

In funzione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative e produttive, la singola impresa può decidere di dare attuazione anche solo parziale a quanto previsto dal presente Codice di comportamento.

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Malattie professionali nei siti di interesse nazionale per le bonifiche

ID 8142 | | Visite: 3306 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

SIN 2019

Le malattie professionali nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN)

Il volume riporta i dati relativi ai casi di malattia professionale riconosciuti con esito positivo da parte dell’Inail nei residenti nei territori definiti "siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN)"

Sono analizzati 11.015 casi di malattie professionali verificatesi nel periodo 2010-2014 nei 44 siti considerati e calcolati gli indicatori di rischio rispetto alla dimensione degli attesi su base di macroarea geografica. Per ogni sito sono disponibili specifiche schede descrittive comprensive dei risultati epidemiologici, della loro interpretazione e discussione critica e dell’analisi dei risultati degli studi analitici già disponibili nella letteratura scientifica.

L’analisi dello stato di salute nelle popolazioni residenti nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN) è sistematicamente sviluppata dall’Istituto superiore di sanità, con i metodi definiti nel progetto SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e insediamenti esposti a rischio di inquinamento) e nell’ambito di una collaborazione scientifica con una rete di istituzioni operanti a livello nazionale e regionale. Recentemente l’approccio di sorveglianza sistematica degli indicatori di salute e di analisi a priori delle evidenze disponibili (che rappresenta il paradigma concettuale di riferimento di tale esperienza) è stato incluso dall’Organizzazione mondiale della sanità fra quelli riconosciuti come validi per caratterizzare lo stato di salute dei residenti nei siti. Il progetto SENTIERI ha prodotto con carattere di sistematicità analisi accurate della distribuzione dei decessi per causa, dei ricoveri ospedalieri e dell’incidenza dei tumori nelle popolazioni residenti nei siti. Tali analisi costituiscono uno strumento prezioso per la programmazione sanitaria, per orientare le attività di risanamento e bonifica e per la verifica della loro efficacia.

Il rischio per la salute di natura strettamente ambientale (in relazione alla mera residenza dei soggetti nei pressi di fonti di inquinamento) e il rischio di natura occupazionale sono strettamente connessi e agiscono in modalità sinergiche. Tale evidenza risulta particolarmente cogente quando si discute di popolazioni residenti nei SIN, nei quali in molti casi il profilo dei lavoratori nei contesti produttivi coinvolti e dei residenti nelle aree di insediamento possono coincidere. La natura dei rischi per la salute, le modalità di esposizione e i meccanismi di tutela per gli esposti di origine ambientale e occupazionale sono tuttavia strutturalmente diversi ed è stato ripetutamente evidenziato come sia di grande rilevanza la definizione di strumenti metodologici che consentano di isolare e di stimare separatamente lo specifico contributo dell’esposizione di origine professionale allo stato di salute dei residenti.

Lo scopo di questo volume, redatto in collaborazione fra le strutture dell’Inail dedicate alla ricerca epidemiologica e alla consulenza medica, statistica e attuariale, è di fornire una stima del rischio di origine strettamente professionale nei SIN, sulla base dell’analisi dei casi di malattia professionale riconosciuti dall’Istituto. La stima della componente di origine professionale, oltre a fornire un contributo significativo nell’analisi dello stato di salute dei residenti, può aprire la strada alla definizione di strumenti metodologici per identificare con maggiore accuratezza i danni per la salute attribuibili alla specifica componente di compromissione ambientale in senso stretto.

Sono stati analizzati i casi di malattia di origine professionale riconosciuti dall’Inail nel periodo 2010 - 2014 fra i residenti nei 44 SIN considerati. La selezione dei SIN è coerente con i precedenti studi epidemiologici condotti nell’ambito del progetto SENTIERI ed è determinata dalle caratteristiche relative ai territori costituenti il SIN che in alcuni casi non consentivano le analisi statistiche. La scelta di non escludere alcuna malattia deriva dalla natura dello studio che si caratterizza per l’approccio di tipo ecologico. L’indicatore statistico utilizzato è il Rapporto standardizzato di incidenza (SIR) di malattia professionale. Per la stima di tali rapporti è stato utilizzato il riferimento di ripartizione geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole).

Tale indicatore consente quindi di valutare la significatività di eventuali eccessi nel numero di casi di malattia professionale rispetto al numero atteso stimato, sulla base del tasso di macroarea geografica.

Nei 44 siti considerati, nel periodo 2010 - 2014, sono stati riconosciuti 11.015 casi di malattia professionale (8.877 negli uomini e 2.138 nelle donne). Le malattie del sistema muscoloscheletrico (3.715 e 1.197 rispettivamente negli uomini e nelle donne), del sistema respiratorio (1.910; 50), le ipoacusie (1072; 6) e i tumori di origine professionale (1.134; 40) sono le patologie predominanti.

L’analisi dei rapporti standardizzati di incidenza ha evidenziato un eccesso del 24,2 %, pari a 1.732 casi, nel periodo considerato rispetto all’atteso per gli uomini (346 casi per anno). Nelle analisi territoriali gli eccessi risultano significativi per i siti di Casale Monferrato, Cengio e Saliceto, Broni e, nei soli uomini, Pieve Vergonte e Pitelli nel Nord-Ovest; per i siti di Sassuolo - Scandiano e, nei soli uomini, Laguna di Grado - Marano e Trieste nel Nord-Est; per i siti di Livorno, Terni, Basso bacino del fiume Chienti e, nei soli uomini, Piombino e Massa Carrara nel Centro; per i siti di Sulcis - Iglesiente - Guspinese e, nei soli uomini, Area litorale vesuviano, Taranto, Aree industriali Val Basento, Tito, Gela, Biancavilla nel Sud.

Nell’analisi per singola malattia, devono essere sottolineati gli eccessi per mesotelioma e tumore del polmone in numerosi siti, in alcuni casi senza che l’amianto sia esplicitamente citato fra i contaminanti nei documenti di caratterizzazione dei siti. Le specifiche analisi per tipo di malattia professionale e territorio sono riportate in dettaglio nella sezione dei risultati del presente volume e offrono numerosi spunti di discussione.

I risultati presentati devono essere valutati tenendo presente i limiti della base di dati e delle modalità di analisi. In particolare si deve porre attenzione alla circostanza che sussistono alcune categorie lavorative che godono di regimi specifici di tutela assicurativa per il rischio di malattia e infortunio non gestiti dall’Inail e sono quindi esclusi da questa analisi dei dati. Il criterio inoltre di assegnazione dei soggetti ammalati ai vari territori è quello della residenza al momento del riconoscimento di malattia ed è possibile quindi la sussistenza di un bias di attribuzione geografica.

Con i limiti appena citati, le analisi presentate in questo volume costituiscono il primo tentativo nel nostro paese di offrire un quadro puntuale della distribuzione dei rischi per la salute di origine strettamente occupazionale nei siti di interesse nazionale per le bonifiche. Si tratta anche di un tentativo di introdurre i dati relativi ai riconoscimenti di malattia professionale nella discussione epidemiologica e in particolare nell’ambito degli studi ecologici di sorveglianza. Questo ultimo elemento di riflessione si pone con coerenza nella rinnovata missione dell’Istituto come ente deputato alla tutela complessiva dei lavoratori e come polo di ricerca scientifica per la salute e la sicurezza del lavoro.

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Contenuto:

Sintesi
Guida alla lettura
Obiettivi e razionale dell’analisi delle malattie di origine professionale nell’ambito della sorveglianza epidemiologica nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN)
Fonti dei dati, metodi e indicatori epidemiologici per l’analisi delle malattie professionali nei SIN
Risultati
Schede
Area industriale Porto Torres (APT)
Area litorale vesuviano (ALV)
Aree industriali val Basento (AVB)
Bacino idrografico fiume Sacco (BFS)
Balangero (BAL)
Bari - Fibronit (BAR)
Basso Bacino fiume Chienti (BBC)
Biancavilla (BIA)
Bolzano (BOL)
Brescia Caffaro (BRE)
Brindisi (BRI)
Broni (BRO)
Casale Monferrato (CAS)
Cengio e Saliceto (CES)
Cerro al Lambro (CER)
Cogoleto Stoppani (COS)
Crotone - Cassano - Cerchiara (CCC)
Emarese (EMA)
Falconara marittima (FAL)
Fidenza (FID)
Gela (GEL)
Laghi di Mantova e polo chimico (LMN)
Laguna di Grado e Marano (LGM)
Litorale domizio-flegreo e Agro aversano (LDF)
Livorno (LIV)
Manfredonia (MAN)
Massa Carrara (MSC)
Milazzo (MIL)
Orbetello (ex Sitoco) (ORB)
Pieve Vergonte (PIV)
Pioltello Rodano (PIR)
Piombino (PIO)
Pitelli (PIT)
Priolo (PRI)
Sassuolo - Scandiano (SAS)
Serravalle Scrivia (SER)
Sesto San Giovanni (SES)
Sulcis - Iglesiente - Guspinese (SIG)
Taranto (TAR)
Terni - Papigno (TER)
Tito (TIT)
Trento nord (TRE)
Trieste (TRI)
Venezia (Porto Marghera) (VEN)
Conclusioni
Bibliografia e sitografia
Appendice

...

Fonte: INAIL

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