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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 14925 | 04 Aprile 2019

ID 8158 | | Visite: 2939 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Crollo di una gru a bandiera installata in un cantiere. Omessa messa in sicurezza del sito prima della sospensione dei lavori

Penale Sent. Sez. 4 Num. 14925 Anno 2019

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 28/03/2019

Ritenuto in fatto

1. La corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Marsala, appellata tra gli altri anche dagli imputati B.S., G.B. e dalla responsabile civile COGIP s.r.l., con la quale i primi due erano stati condannati alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di cui agli artt. 110 e 449 cod. pen., oltre al risarcimento del danno subito dal Comune di Gibellina, unitamente alla COGIP s.r.l., ha rimesso le parti al giudice civile per la liquidazione dello stesso, confermando nel resto.
Si è contestato al B.S. e al G.B., nella rispettiva qualità di procuratore speciale della COGIP s.r.l. con pieni poteri e responsabile del cantiere e di responsabile per la sicurezza del cantiere, di avere cagionato per colpa un disastro consistito nel crollo di una gru a torre installata presso un cantiere per la realizzazione di un centro polifunzionale, che era rovinata a terra investendo l'intera sede stradale della Via Burri e l'immobile prospiciente, abitato da V.S. e dal suo nucleo familiare, nel pieno centro abitato del comune di Gibellina. Nello specifico, si è contestata una condotta colposa improntata a generiche imprudenza, imperizia e negligenza, ma anche la violazione di specifiche disposizioni (art. 169 d.P.R. 547/55 e norme tecniche CNR 10021/85, e istruzioni del manuale di uso e mantenzione del macchinario), avendo demolito, o avendo consentito che fossero demolite, le travi di fondazione, rimossa la porzione di rotaie ivi ancorate sulla quali traslava il carro base della gru, eliminati i fine corsa e i cunei di arresto della gru e realizzato o, comunque, avendo consentito che fosse realizzata, una scarpata recante un dislivello di circa un metro al termine della base per il carrello; si è contestato, inoltre, di avere consentito che i "carrini", per mezzo dei quali il carro base della gru poteva traslare ancorato alle rotaie, rimanessero privi di efficaci meccanismi di motoriduzione (freni al libero scorrimento degli ingranaggi); di non avere adeguatamente garantito, in relazione ai valori del vento prevedibili nella zona, il fissaggio della gru al terreno, anche per mezzo di funi con funzione di controventatura; di non avere garantito l'efficienza dei motoriduttori orizzontali, non provvedendo a periodici ingrassaggi dei meccanismi (ralla tra il braccio orizzontale e quello verticale della gru) che avrebbero impedito, in presenza di vento forte, il corretto posizionamento della gru "in bandiera" (cioè secondo la direzione del vento), non impedendo una forte sollecitazione sul braccio orizzontale che offriva ampia superficie all'azione del vento, la quale, anche a causa della ridotta base di appoggio e scorrimento della gru (priva di fine corsa e opere fisse di arresto), oltre che del dislivello realizzato in corrispondenza della riduzione della base e dell'inefficienza dei mezzi ausiliari di ancoraggio, cagionava il collasso della gru e il determinarsi di un concreto pericolo per l'incolumità pubblica.
2. Avverso la sentenza, hanno proposto separati ricorsi il responsabile civile COGIP s.r.l. e l'imputatao B.S., con stesso difensore e separati atti aventi identico contenuto e l'imputato G.B. con proprio difensore e separato atto.
2.1. Ricorsi presentati per COGIP s.r.l. e B.S. dall'Avv. Pe.
La difesa ha formulato un motivo unico con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità del B.S., rilevando che la ricostruzione dei fatti operata dalla corte territoriale trarrebbe origine da considerazioni di natura tecnica prive di riscontro probatorio e che il giudice d'appello non avrebbe fornito una spiegazione idonea a superare il ragionevole dubbio.
In particolare, la difesa ha rilevato, sul piano controfattuale, come lo stesso consulente della pubblica accusa avesse riconosciuto che l'eventuale presenza dei fine corsa, il mancato taglio dei binari di scorrimento e la mancata realizzazione della scarpata e del conseguente dislivello non avrebbero potuto impedire il collasso della gru, poiché la forza del vento non avrebbe potuto essere contrastata. Sul punto, il deducente ha osservato che la forza del vento (ritenuta dalla corte di merito di modesta entità) andava ricollegata ad altra circostanza, vale a dire al fatto che il braccio orizzontale del macchinario era bloccato e non disposto a bandiera, avendo così offerto una forte resistenza al vento.
Quanto, poi, a tale specifico aspetto, la difesa ha rilevato che l'omissione dell'ingrassaggio era stata direttamente correlata al rischio specifico, sull'errato assunto che tale intervento fosse previsto dal manuale d'uso e manutenzione, pur avendo la corte ammesso che la previsone riguardava la fase di operatività del macchinario e non il momento successivo alla sua messa fuori servizio, con conseguente travisamento della relativa prova, avendo la corte ritenuto che tale adempimento fosse dovuto anche nel secondo caso, contestando l'inosservanza di una prescrizione prevista però per casi diversi da quello oggetto del procedimento.
Infine, la difesa ha contestato il giudizio di inverosimiglianza formulato dalla corte del merito con riferimento alla spiegazione del blocco degli ingranaggi offerta dal consulente della difesa, secondo il quale esso sarebbe stato determinato da un oggetto che era finito nel meccanismo, impedendo al braccio di ruotare e assumere la corretta posizione "in bandiera".
2.2. Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato G.B. dall'Avv. F. .
Anche questa difesa ha formulato un motivo unico, con il quale ha dedotto vizio della motivazione e violazione di legge, rilevando che la corte territoriale, nel confermare le statuizioni del tribunale, avrebbe assunto elementi di prova travisandoli e determinando una conseguente distorsione probatoria con riferimento alla posizione di garanzia del G.B., ritenuta sul presupposto che gli impropri interventi sulla gru che ne avrebbero determinato il collasso fossero avvenuti prima della sospensione del cantiere e, quindi, quando ancora essi erano soggetti alla vigilanza dell'imputato, affermazione che la difesa ha ritenuto smentita da un dato oggettivo, la deposizione del teste V.S., il quale aveva dichiarato che i lavori erano stati realizzati qualche tempo prima del sinistro e quando il cantiere era già stato sospeso. Con la conseguenza, secondo la prospettazione difensiva, che la condotta contestata e ritenuta funzionale all'occorso, sarebbe stata posta in essere allorché il cantiere aveva cessato l'attività e il G.B. dismesso la sua funzione, rilevandosi che tali interventi sarebbero stati effettuati su una situazione di fatto che non presentava criticità, giacché la gru era stata lasciata in condizioni di assoluta sicurezza.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. La corte territoriale ha dato atto che l'imputato B.S. e il responsabile civile COGIP s.r.l., con identiche argomentazioni, avevano contestato l'esistenza del nesso causale tra il crollo della gru e alcune tra le condotte contestate nella imputazione (in particolare: il taglio dei binari, la realizzazione della scarpata, la eliminazione dei dispositivi di fine corsa e l'omesso ingrassaggio dei meccanismi per la rotazione del braccio) sulla scorta delle valutazioni di ordine tecnico espresse dai propri consulenti.
Ha, dunque, richiamato le argomentazioni svolte nella sentenza appellata, rilevando come le testimonianze avessero consentito di ritenere accertato che il macchinario era stato fatto oggetto degli interventi modificativi descritti in imputazione, successivamente alla verifica ASL condotta nel luglio 2006 (allorché se ne era constatata la regolarità, confermata per il precedente periodo anche dall'installatore del macchinario). La messa fuori servizio della gru risaliva al settembre successivo e da quella data il macchinario non era stato più sottoposto a ingrassaggio dei meccanismi di rotazione del braccio dei denti della ralla. La ricostruzione delle cause del crollo era stata effettuata dai consulenti della pubblica accusa, le cui conclusioni erano state corroborate dalla prova dichiarativa promanante da soggetti che, a vario titolo, erano intervenuti sul cantiere per effettuare controlli o approntare operazioni manutentive della gru. Nell'ottobre del 2006, inoltre, era stata attestata dall'imputato B.S. e dal direttore dei lavori l'assenza di maestranze e di attività lavorativa nel cantiere, essendo stati i lavori sospesi il 27/09/2006, ma nel relativo verbale non erano stati indicati gli interventi approntati per la messa in sicurezza del sito e della gru prima di detta sospensione. In particolare, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, era stata attribuita fondamentale importanza a tal fine alla deposizione dell'installatore M., il quale aveva constatato la trasformazione delle parti del macchinario prima regolarmente funzionante. L'intervento del teste era stato sollecitato dal BI. (imputato non ricorrente) dal quale il dichiarante aveva appreso dell'imminente arresto del cantiere per mancanza di fondi, ragion per cui la gru era stata attanagliata sui binari in fase di parcheggio. Lo stesso, intervenuto dopo il crollo quale ausiliario di P.G., aveva verificato che la gru era crollata proprio nel punto in cui erano stati recisi i binari e mancavano i respingenti di fine corsa, in presenza di un dislivello dovuto alla realizzazione del tracciato di una strada per il trasporto dei materiali. Quanto alla collocazione temporale del sopralluogo effettuato su richiesta del BI. due mesi prima del crollo, la stessa doveva leggersi alla luce del fatto che, sempre secondo quanto dal medesimo affermato, ciò era certamente avvenuto prima della sospensione dei lavori e in vista di essa, essendo stato il cantiere ancora aperto in quel momento e non essendo state ancora realizzate la strada per il trasporto dei materiali e la interruzione dei binari.
Anche il teste V.S., soggetto che aveva subito il crollo della gru sul proprio immobile, prospiciente il cantiere, aveva affermato di avere visto il braccio girare sempre a bandiera, mentre ad un certo punto non si era più posto nella posizione corretta, mentre a cantiere ancora aperto aveva assistito a lavori di sbancamento proprio in prossimità della base della gru, i cui binari erano stati recisi, rimanendo sospesi nel vuoto. Un altro teste, abitante nelle vicinanze, aveva confermato tali dichiarazioni e affermato che la posizione del braccio della gru era cambiata qualche giorno prima del crollo e che esso, nonostante il vento, non assecondava la direzione di questo.
Tanto premesso in punto di fatto, il consulente del pubblico ministero aveva poi spiegato come molti fossero i fattori che avevano cagionato il crollo (realizzazione della scarpata, taglio dei binari, assenza di fine corsa e di opere fisse di arresto) avendo il braccio, non correttamente girato a bandiera, offerto al vento un'ampia superficie sulla quale era stata esercitata la spinta che aveva determinato il ribaltamento.
Tale ricostruzione è stata ritenuta dalla corte d'appello coerente con le dichiarazioni dei testi escussi, intervenuti nell'immediatezza, secondo cui il crollo era stato conseguenza dell'azione del vento sul braccio, da giorni non più correttamente posizionato in posizione tale da assecondare il vento. Le pinze di ancoraggio in posizione baricentrica sui binari erano saltate a causa del taglio di questi ultimi e della mancanza di fine corsa sino al limite della scarpata, realizzata per il trasporto dei materiali, senza che fosse stato però approntato alcun accorgimento atto ad arrestare lo scorrimento e il ribaltamento del mezzo.
A specifica contestazione difensiva in ordine all'esito del giudizio controfattuale, asseritamente negativo con riferimento al taglio dei binari e alla eliminazione dei dispositivi di fine corsa, quel giudice ha richiamato ancora una volta la consulenza disposta dal pubblico ministero e acquisita agli atti su accordo delle parti, e - sulla scorta di essa - precisato che la causa del crollo non era stata in realtà la riduzione della lunghezza dei binari, bensì il loro taglio con contestuale creazione di una scarpata, senza la predisposizione di accorgimenti atti a scongiurare che il macchinario potesse ribaltarsi a causa di quel dislivello e di strumenti meccanici atti a impedire la traslazione. Quanto alla efficienza causale della sola forza eolica, quel consulente aveva affermato che l'azione del vento era stata determinante non di per sé, ma in quanto aveva trovato il braccio della gru bloccato per mancato ingrassaggio, così smentendo l'assunto difensivo della irrilevanza delle condotte sopra descritte.
Inoltre, sempre a seguito di apposita contestazione difensiva, secondo cui l'operazione di ingrassaggio aveva una funzione fondamentale per garantire fluidità ai movimenti del macchinario, ma non anche in fase di sospensione dello stesso, il blocco del braccio essendo stato causato da un non meglio identificato oggetto casualmente finito nell'ingranaggio, la corte ha dato atto che tale spiegazione era stata considerata nulla più che una mera ipotesi dallo stesso soggetto che l'aveva formulata e che la essa non aveva ricevuto alcuna conferma sul piano fattuale, considerato che tale ipotesi era stata formulata solo sulla base delle riproduzioni fotografiche e senza un previo sopralluogo.
Quanto alla regola cautelare e alla concretizzazione del relativo rischio, la corte palermitana ha osservato che effettivamente il manuale non prescriveva l'ingrassaggio dei meccanismi di roteazione nella fase della messa fuori servizio della gru, ma tale operazione era espressamente consigliata nella parte del manuale dedicata alla manutenzione - roteazione, in cui si prescriveva l'ingrassaggio periodico dei punti predisposti sulla ralla e sui supporti del pignone di rotazione e dei denti della ralla stessa. Che tali operazioni fossero state sospese dal settembre 2006, data dell'ultimo sopralluogo che aveva constatato la regolarità del macchinario sino a quella del crollo (5/5/2007), era confermato dalle testimonianze di coloro che avevano constatato come, nei giorni precedenti il crollo, il braccio non si disponesse più a favore del vento e la mancata roteazione ha assunto un ruolo determinante nella causazione dell'evento, unitamente alle altre concause già esaminate e originate dal mancato controllo sul macchinario, cosicché anche a voler ritenere che un oggetto non meglio identificato (la cui presenza non aveva ricevuto alcun riscontro) fosse responsabile di quel blocco, le ulteriori condotte colpose avrebbero comunque conservato la loro efficienza causale rispetto all'evento.
La corte ha poi esaminato le posizioni di garanzia ritenute in capo agli imputati, rilevando come il B.S. non l'avesse sostanzialmente contestata, laddove il G.B. aveva ricevuto l'incarico di responsabile per la sicurezza del cantiere il 28/02/2005 dalla stessa COGIP s.r.l. e per tutta la durata dei lavori di che trattasi. La corte, peraltro, ha ritenuto che la difesa muovesse da un assunto errato, vale a dire che i lavori di recisione dei binari e di sbancamento del terreno fossero stati effettuati dopo la chiusura del cantiere: il direttore dei lavori, tuttavia, che aveva effettuato il sopralluogo dell'ottobre 2006, si era limitato ad affermare che la custodia e sorveglianza del cantiere era affidata all'impresa appaltatrice, nulla indicando quanto allo stato del cantiere al momento dell'accesso o agli accorgimenti provvisionali apprestati, laddove il teste V.S. aveva invece affermato che lo sbancamento del terreno era avvenuto prima della chiusura del cantiere e che i binari erano rimasti sospesi in aria. Il che dimostrerebbe che il cantiere era ancora aperto allorché furono eseguiti gli interventi ritenuti causalmente rilevanti, atteso che dopo il settembre 2006 (epoca in cui l'attività era stata sospesa) nessuno era intervenuto per effettuare i lavori di sbancamento di cui sopra, propedeutici alla dismissione del cantiere, rimasto sostanzialmente abbandonato. Anche il controllo dell'installatore, ad onta della imprecisione del ricordo, doveva collocarsi temporalmente prima della chiusura del cantiere, poiché non erano stati ancora realizzati la recisione dei binari e lo sbancamento del terrapieno. Pertanto, al momento in cui essi furono approntati, era ancora efficace l'incarico e G.B. quale repsonsabile per la sicurezza, essendo evidente anche a soggetto non esperto (quale era il V.S. che pure si rese conto della situazione di pericolo che si era venuta a creare) che il fermo della gru nelle condizioni più volte descritte costituiva un pericolo per incolumità pubblica, la violazione contestata essendosi risolta nell'omesso intervento dell'imputato ai fini della messa in sicurezza della gru, a nulla rilevando, una volta realizzatesi quelle pre condizioni, che il crollo fosse avvenuto a cantiere ormai chiuso e allorché non erano più presenti in loco i dipendenti della ditta, atteso che soggetto beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo alla organizzazione del lavoro, sempre che l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata e non sussista un comportamento di volontaria esposizione a pericolo del terzo.
3. I motivi sono tutti manifestamente infondati.
Deve, intanto, sottolinearsi che i ricorrenti hanno evocato, quanto al nesso causale e al connesso giudizio controfattuale, anche una violazione di legge, formulando tuttavia censure che attaccano il costrutto motivazionale della sentenza e la valutazione delle conclusioni difformi dei consulenti dell'accusa e della difesa.
Il cuore delle doglianze si snoda attraverso un ragionamento con il quale si è in sostanza contestata la lettura del compendio probatorio da parte dei giudici nel doppio grado di merito e si sono articolate doglianze ripropositive di quelle esaminate nella sentenza impugnata con un ragionamento probatorio rispetto al quale non è dato cogliere il necessario, previo confronto.
3.1. Ciò impone intanto un richiamo alla natura del sindacato di legittimità, perchè sia ancora una volta precisato che la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994), Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012), Valerio, Rv. 252615).
Poiché la funzione tipica dell'impugnazione è quella di una critica argomentata al provvedimento che si realizza, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), attraverso la presentazione di motivi che devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, deve inoltre ribadirsi che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta [cfr., in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584], essendo estranei alla natura stessa del sindacato di legittimità gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Ciò in quanto sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
3.2. La natura delle doglianze con cui si è evocato anche il vizio del travisamento della prova, rende opportuna una ulteriore premessa sul piano dei principi generali, questa volta con riferimento alla deducibilità di tale vizio in ipotesi di doppia affermazione conforme di penale resposnabilità: a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. dall'art. 8, comma primo, della legge n. 46 del 2006, il legislatore ha effettivamente esteso l'ambito della deducibilità del vizio di motivazione anche ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, così introducendo il travisamento della prova quale ulteriore criterio di valutazione della contradditorietà estrinseca della motivazione il cui esame nel giudizio di legittimità deve riguardare uno o più specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza (cfr. sez. 3 n. 38341 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911); ma, anche a seguito di tale modifica, resta pur sempre non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 3 n. 18521 dell'11/01/2018, Ferri, RV. 273217; sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). In ogni caso, un ricorso per cassazione che deduca il travisamento (e non soltanto l'erronea interpretazione) di una prova decisiva, ovvero l'omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l'eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (cfr. sez. 4 n. 14732 deH'01/03/2011, Molinario, Rv. 250133).
4. Nel caso in esame, il giudice d'appello ha indicato, con una motivazione assai analitica, in un'ottica di aperto confronto con le tesi difensive, le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la ricostruzione delle cause del crollo e il giudizio controfattuale operato con riferimento a tutte le condotte contestate, richiamando elementi fattuali neppure contestati nella loro storicità e, in ogni caso, del tutto obliterati nello svolgimento delle argomentazioni difensive, con le quali, in definitiva, la parte non fa che riproporre una sua diversa valutazione delle prove, sollecitando a questa corte uno scrutinio che assegni ad essa maggior pregio e dignità.
Ciò è vero sia con riferimento all'efficienza causale del vento, rispetto alla quale la corte ha ritenuto che era stato il blocco del braccio per omesso ingrassaggio a far sì che quel fenomeno atmosferico del tutto prevedibile esercitasse sul macchinario la forza che ne aveva determinato la traslazione e il ribaltamento; ma anche avuto riguardo alla valutazione delle prescrizioni contenute nel manuale d'uso in ordine alla manutenzione della gru nella fase di sospensione, rispetto alla quale i ricorrenti hanno omesso di considerare che la corte d'appello ha espressamente richiamato le indicazioni contenute nel capitolo dedicato alla manutenzione-roteazione del macchinario, ritenendo dunque, con motivazione del tutto logica, che ciò riguardasse anche la roteazione indispensabile perché il braccio opponesse una minor resistenza alla spinta dinamica del vento, assecondandone l'andamento anche in fase di sospensione.
Infine, quanto alla perdurante efficacia della posizione di garanzia assunta dal G.B., la risposta della corte di merito è altrettanto congrua e logica, oltre che coerente con le risultanze probatorie analiticamente esposte nella sentenza e non contestate nella loro storicità. Quel giudice ha operato un raffronto tra le testimonianze acquisite e le prove documentali per concludere nel senso che gli interventi ritenuti causalmente collegati al crollo erano avvenuti quando ancora il cantiere non era stato abbandonato, disconoscendo ogni rilievo alla circostanza che il crollo fosse avvenuto quando il cantiere era stato chiuso, le condotte omissive contestate all'imputato essendo state poste in essere in un momento successivo al sopralluogo che aveva constatato ancora la regolarità del macchinario, ma certamente anteriore alla dismissione del sito lavorativo.
5. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, l'inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno anche al versamento della somma di euro 2.000,00 alla cassa delle ammende non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il giorno 28 marzo 2019.

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Pareri MISE Legge 122/1992 | Update 04.2019

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Pareri 122 1992

Pareri MISE Legge 122/1992 | Update 04.2019

Versione aggiornata al 10 Aprile 2019

Massimario dei pareri, circolari ed altri atti interpretativi rilasciati dal MiSE in tema di autoriparazione, aggiornata al 10 Aprile 2019. (Legge 122/1992

Il massimario riporta tutte le principali decisioni (pareri e circolari) emesse dal MiSE in materia di attività di autoriparazione.

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Indice generale ipertestuale (per argomenti)

1. Campo di applicazione
2. Soggetti
3. Requisiti morali
4 Immedesimazione
5 Univocità - Officine contigue
6 Associazione in partecipazione
7. Variazione legale rappresentante
8. Titoli di studio
9. Esperienza professionale maturata
10. Irretroattività data inizio attività e data nomina preposto
11. Trasferimento/conferimento d'azienda
12. Legge n. 25 del 5 gennaio 1996
13. Meccatronica (Legge n. 224/2012)
14. Sanzioni
15. Ricorsi
16. Officine presso Enti Pubblici
17. Incompatibilità
18. Impresa iscritta al RIA

Fonte: MISE

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Legge 22 marzo 2019 n. 29

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Legge 22 marzo 2019 n  29

Legge 22 marzo 2019 n. 29 

Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza

Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione.

(GU Serie Generale n.81 del 05-04-2019)

Entrata in vigore del provvedimento: 20/04/2019

...

Art. 1. Istituzione della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza

1. È istituita la Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza dei sistemi sanitari regionali, identificati per ciascuna regione e provincia autonoma ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 marzo 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 109 del 12 maggio 2017, per le seguenti finalità:

a) coordinamento, standardizzazione e supervisione dei dati, alimentati direttamente dai flussi dei registri delle regioni e delle province autonome, nonché validazione degli studi epidemiologici che discendono dall’istituzione di quanto previsto dall’articolo 4;

b) prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, programmazione sanitaria, verifica della qualità delle cure, valutazione dell’assistenza sanitaria;

c) messa in atto di misure di controllo epidemiologico delle malattie oncologiche e delle malattie infettive tumore-correlate;

d) studio dell’incidenza e della prevalenza delle malattie oncologiche e delle malattie infettive tumore-correlate, per poterne monitorare la diffusione e l’andamento;

e) sorveglianza epidemiologica per ridurre il rischio di introduzione o reintroduzione di malattie infettive, anche eliminate o sotto controllo;

f) prevenzione primaria e secondaria;

g) studio della morbosità e mortalità per malattie oncologiche e per malattie infettive tumore-correlate;

h) semplificazione delle procedure di scambio di dati, facilitazione della trasmissione degli stessi e loro tutela;

i) studio e monitoraggio dei fattori di rischio e dei fattori di protezione delle malattie sorvegliate;

l) promozione della ricerca scientifica in ambito oncologico, anche nel campo dei tumori rari;

m) monitoraggio dei fattori di rischio di origine professionale, anche attraverso forme di connessione e di scambio di dati con i sistemi informativi esistenti, con particolare riferimento al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, disciplinato dal regolamento di cui al decreto dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali e della salute 25 maggio 2016, n. 183.

2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della salute, acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati e disciplinati i dati che possono essere inseriti nella Rete di cui al comma 1, le modalità relative al loro trattamento, i soggetti che possono avere accesso alla medesima Rete, i dati che possono essere oggetto dell’accesso stesso, le misure per la custodia e la sicurezza dei predetti dati nonché le modalità con cui è garantito agli interessati, in ogni momento, l’esercizio dei diritti previsti dal regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. Con il regolamento di cui al primo periodo si provvede altresì a semplificare e razionalizzare gli obblighi informativi, in armonia con quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato al comma 1 del presente articolo, nell’ambito di un sistema integrato ed unico di flussi di dati, evitando duplicazioni e sovrapposizioni di banche dati sanitarie.

3. Al fine dell’inserimento tempestivo, qualificato e sistematico dei dati nella Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano assicurano l’invio dei flussi di dati prescritti secondo i tempi e i modi stabiliti dal regolamento di cui al comma 2, con validazione dei dati di competenza entro e non oltre il 30 aprile dell’anno successivo. I predetti adempimenti sono obbligatori e oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 5 della presente legge.

4. Il titolare del trattamento dei dati contenuti nella Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza di cui al comma 1 è il Ministero della salute.

5. Le attività e i compiti della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza sono svolti nel rispetto dei seguenti princìpi:

a) i dati devono essere validati scientificamente secondo gli standard qualitativi previsti in sede internazionale dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) dell’Organizzazione mondiale della sanità, relativi a casi diagnosticati di neoplasia; b) i dati devono essere trattati per le finalità di cui al comma 1 e allo scopo di: produrre dati di incidenza, mortalità, sopravvivenza, tipologia e prevalenza dei tumori; descrivere il rischio della malattia per sede e per tipo di tumore, per età, per sesso; contribuire, attraverso i dati prodotti, alla rilevazione di eventuali differenze nell’accesso alle cure erogate al paziente oncologico in relazione alle condizioni socio-economiche e all’area geografica di provenienza, anche in riferimento a cause di malattia derivanti da inquinamento ambientale; effettuare analisi statistico-epidemiologiche, anche con riferimento ai tumori rari; fornire, a livello nazionale e regionale, un’informazione continua e completa alla popolazione, anche attraverso la pubblicazione dei dati nel sito internet istituzionale del Ministero della salute; monitorare l’efficacia dei programmi di screening oncologici tradizionali e sperimentali attivi e operativi presso le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano; sostenere e monitorare gli studi epidemiologici finalizzati all’analisi dell’impatto dell’inquinamento ambientale sull’incidenza della patologia oncologica attraverso uno studio integrato sulle matrici ambientali e umane; valutare l’incidenza di fattori di carattere professionale sulla diffusione di patologie oncologiche; monitorare i trattamenti con farmaci dichiarati come innovativi, al fine di fornire nuove evidenze scientifiche sul loro grado di efficacia.

6. Per le finalità della presente legge, il Ministro della salute può stipulare, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, accordi di collaborazione a titolo gratuito con università, con centri di ricerca pubblici e privati e con enti e associazioni scientifiche che da almeno dieci anni operino, senza fini di lucro, nell’ambito dell’accreditamento dei sistemi di rilevazione dei tumori secondo standard nazionali e internazionali, della formazione degli operatori, della valutazione della qualità dei dati, della definizione dei criteri di realizzazione e di sviluppo di banche dati nazionali e dell’analisi e interpretazione dei dati, purché tali soggetti siano dotati di codici etici e di condotta che prevedano la risoluzione di ogni conflitto di interesse e improntino la loro attività alla massima trasparenza, anche attraverso la pubblicazione, nei rispettivi siti internet, degli statuti e degli atti costitutivi, della composizione degli organismi direttivi, dei bilanci, dei verbali e dei contributi e delle sovvenzioni a qualsiasi titolo ricevuti. 

[...]

Art. 8. Norme transitorie e finali

1. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all’aggiornamento delle normative ivi vigenti in tema di sorveglianza sanitaria della malattia oncologica, in relazione alle disposizioni introdotte dalla presente legge, e adottano le necessarie iniziative affinché la sorveglianza epidemiologica sulla malattia oncologica, nelle aree territoriali di loro pertinenza non coperte alla data di entrata in vigore della presente legge, venga espletata dai registri dei tumori di popolazione già istituiti o di nuova istituzione.

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INAIL | Autoliquidazione annuale dei premi 2018/2019

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Autoliquidazione annuale dei premi 2018 2019

INAIL | Autoliquidazione annuale dei premi 2018/2019

Guida Autoliquidazione annuale dei premi 2018/2019 ed istruzioni operative 

Autoliquidazione annuale premi 2018/2019

Dal 1° gennaio 2019 si applicano le tariffe aggiornate dei premi relativi alle gestioni "Industria, Artigianato, Terziario e Altre attività", nonchè la tariffa dei premi speciali unitari artigiani e quella della gestione navigazione, approvate con i decreti interministeriali 27 febbraio 2019 e pubblicati il 1° aprile 2019.

Le istruzioni operative forniscono indicazioni in merito alle scadenze, alle novità del premio speciale artigiani e di quello della navigazione, all'aggiornamento delle “Basi di calcolo”, alla riduzione e alla rateazione del premio nonchè ad alcuni casi particolari.

E' stata, inoltre, prevista un’apertura scaglionata dei servizi per l’autoliquidazione 2018/2019 e viene fornito il relativo calendario.

A supporto degli utenti è stata predisposta, come di consueto, anche la guida all’autoliquidazione 2018/2019, nella quale sono stati aggiornati gli esempi della sezione dedicata al calcolo del premio, con particolare riferimento all'eliminazione delle riduzioni e del premio supplementare silicosi/asbestosi.

Scadenze

Per consentire l’applicazione delle predette tariffe sono stati differiti tutti i termini riguardanti l’autoliquidazione 2018/2019, come già comunicato con la circolare 11 gennaio 2019, n. 1.

Si riepilogano gli adempimenti che il datore di lavoro deve effettuare entro il 16 maggio 2019 e le novità per il calcolo del premio di autoliquidazione 2018/2019:

Entro il 16 maggio 2019 il datore di lavoro deve:

- presentare la dichiarazione delle retribuzioni telematica, comprensiva dell’eventuale comunicazione del pagamento in quattro rate del premio di autoliquidazione, nonché della domanda di riduzione del premio artigiani in presenza dei requisiti previsti, utilizzando i servizi telematici “Invio dichiarazione salari”, “Alpi online” o, per il settore marittimo, il servizio “Invio retribuzioni e calcolo del premio”;

- pagare il premio di autoliquidazione. Il numero di riferimento da indicare nel modello F24 è 902019. Per le PAN il servizio online Invio retribuzioni e calcolo del premio indica il numero di riferimento da riportare nel modello F24;

-  inviare la comunicazione motivata di riduzione delle retribuzioni presunte 5 tramite il servizio online “Riduzione presunto”, indicando le minori retribuzioni per il calcolo della rata premio anticipata, qualora si presuma di erogare per l’anno di rata 2019 un importo di retribuzioni inferiori a quello corrisposto nell’anno precedente.

Il suddetto termine del 16 maggio 2019 si applica anche ai datori di lavoro che hanno cessato l’attività a gennaio e febbraio 2019.

Fonte: INAIL

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Il D.lgs. n. 81/2008 dieci anni dopo

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Dlgs812008 10 anni dopo

Il D.lgs. n. 81/2008 dieci anni dopo

Ottobre 2018, CIIP - Osservatorio Olympus 

Documento elaborato in collaborazione tra la CIIP, Consulta Intersassociativa Italiana per la Prevenzione, e l'Osservatorio Olympus relativo all'analisi dell'applicazione del d.lgs. n. 81/2008 a dieci anni dalla sua emanazione e ad alcune proposte di modifica e affinamento della disciplina legislativa.

03.04.2019 - Il documento è stato trasmesso ai Ministri della Salute e del Lavoro e al Presidente della Conferenza Stato-Regioni e Province Autonome

Considerazioni introduttive

A dieci anni dalla sua emanazione, qualunque valutazione sulla disciplina della sicurezza sul lavoro contenuta nel d.lgs. n. 81/2008 presuppone un’attenta analisi dei contesti entro i quali essa è destinata ad operare: contesti – quali sono quelli dell’organizzazione produttiva e del mercato del lavoro – in continua evoluzione, specialmente sotto la spinta della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica.

D’altro canto, al di là del fatto che ad un testo unico in materia il legislatore aveva già pensato fin dalla riforma sanitaria del 1978 e fermo restando che la spinta decisiva per l’emanazione del d.lgs. n. 81/2008 fu impressa dalla tragedia della ThyssenKrupp del 6 dicembre 2007, l’idea di una nuova disciplina complessiva della sicurezza sul lavoro era nata proprio in considerazione dei profondi mutamenti di contesto emersi dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 626/1994.

Non a caso, tra le tante finalità che il disegno di riassetto e di riforma della disciplina contenuto nella legge delega n. 123/2007 si poneva, si stagliavano due specifici obiettivi.

Da un lato, quello della universalizzazione della tutela in considerazione di un mercato del lavoro popolato da figure contrattuali sempre più diversificate ed in cui anche le caratteristiche personali dei lavoratori – come l’etnia, il genere e l’età – evidenziavano l’esigenza di una peculiare attenzione.

Da un altro lato, la necessità di contrastare i nuovi e sempre più insidiosi rischi connessi alla crescente tendenza alla frammentazione ed alla disarticolazione dei processi produttivi realizzata soprattutto mediante le catene degli appalti.

E proprio con questi dati di contesto – le caratteristiche del mercato del lavoro e dell’organizzazione del lavoro – occorre confrontarsi anche oggi in sede di bilancio del primo decennio di applicazione del d.lgs. n. 81/2008, anche eventualmente nella prospettiva di un suo eventuale affinamento, da realizzare mediante le fonti normative più idonee.

Nonostante un bilancio ampiamente positivo, come emerge dal cambio di passo che in molte imprese è stato fatto sul tema della salute e sicurezza dei lavoratori, dall’esperienza professionale delle associazioni che compongono la CIIP e dal monitoraggio giuridico effettuato dall’Osservatorio Olympus dell’Università di Urbino Carlo Bo emerge come i dieci anni di applicazione del d.lgs. n. 81/2008 abbiano evidenziato anche alcuni profili di criticità e la mancanza di attuazione di alcuni dei suoi precetti.

In particolare il gruppo di lavoro CIIP si è soffermato sui seguenti punti:

- incompleta attuazione delle previsioni del d.lgs. n. 81/2008 soprattutto per quanto concerne le normative di adeguamento e di armonizzazione con i principi fondamentali del Titolo I del d.lgs. n. 81/2008 (art. 3) e il mancato raccordo con altre discipline speciali (es. radioprotezione);
- necessità di adeguare la normativa di tutela rispetto alle innovazioni che nel frattempo sono intervenute nel mercato del lavoro, anche in considerazione sia della progressiva delocalizzazione dei rapporti di lavoro rispetto al tradizionale luogo di lavoro e al diverso rapporto tra persona, attrezzatura e ambiente (es. quali tutele di applicano ora a chi, un tempo lavoratore a progetto, oggi opera con diverse forme contrattuali essenzialmente di tipo autonomo? Quali tutele possono applicarsi ai lavoratori della c.d. gig economy?);
- la scarsa considerazione e la conseguente fragilità degli organismi preposti alle politiche di programmazione e di coordinamento sia a livello nazionale sia a livello decentrato (art. 5 e 7);
- il ritardo – normativo e operativo – e l’appannamento del ruolo e dei contenuti del Sistema informativo (SINP) rispetto alle attese sottostanti alla stesura dell’art. 8;
- esigenza di valorizzare il ruolo dei Servizi pubblici di prevenzione anche per quanto concerne la funzione di assistenza alle imprese (specialmente di minori dimensioni), come peraltro sollecitato a livello europeo;
- ferme restando le competenze delle varie amministrazioni sul piano organizzativo, promuovere un maggior coordinamento tra i vari organismi preposti alla vigilanza anche mediante la previsione che le risposte fornite dalla Commissione per gli interpelli costituiscano gli unici ed esclusivi criteri interpretativi e direttivi nel merito delle questioni per l’esercizio delle attività di vigilanza;
- esigenza di ricondurre le attività di vigilanza in certi specifici settori a principi di indipendenza e trasparenza;
- necessità di tenere conto, fra i requisiti minimi di qualificazione delle imprese, della formazione del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza;
- esigenza di distinguere il ruolo del RSPP rispetto alle funzioni operative precludendo la delega di funzioni ex art. 16 al medesimo;
- rendere effettiva la presenza del SSP specialmente nelle imprese di grandi dimensioni o con attività particolarmente rischiose (art. 31, comma 6);
- ferma restando l’inapplicabilità del d.lgs. n. 231/2001 alle PP.AA, incentivare nei loro confronti, mediante altri interventi premiali, l’adozione di modelli organizzativi e di gestione della sicurezza sul lavoro (art. 30);
- previsione dell’obbligatorietà della collaborazione del medico competente nella valutazione dei rischi che può esaurirsi con la stesura del DVR ove non si evidenzino necessità di sorveglianza sanitaria;
- introduzione dell’obbligo di sorveglianza sanitaria nell’ipotesi in cui essa emerga dalla valutazione dei rischi;
- esigenza di un completo riordino della disciplina per il controllo dell’assunzione di alcol e droghe (art. 41, comma 4-bis);
- introduzione di una disciplina valida per tutto il territorio nazionale relativa alla composizione ed al funzionamento delle Commissioni preposte all’esame dei ricorsi avverso il giudizio del medico competente;
- necessità di chiarire il carattere strettamente personale della prestazione del medico competente (anche sulla scorta della recente giurisprudenza di legittimità), ferma restando la sostituibilità in caso di legittimo impedimento, nonché di definire i rapporti tra il medico competente coordinatore e gli altri medici competenti;
- revisione del decreto ministeriale (d.m. 15 luglio 2003, n. 388) relativo al primo soccorso;
- esigenza di ripensare il sistema e le metodologie della formazione (compreso l’e-learning), soprattutto nell’ottica della sua effettività alla luce della definizione offertane dal d.lgs. n. 81/2008, e di individuare adeguati strumenti per valutarne l’efficacia;
- esigenza di rivedere, anche nella prospettiva di unificarle in un solo testo normativo, tutte le disposizioni in materia di formazione attuative del d.lgs. n. 81/2008, definendo criteri omogenei sull’accreditamento dei soggetti formatori;
- nei settori a basso rischio definire in modo puntale i requisiti dell’incaricato di cui all’art. 26, comma 3, oppure prevedere un Duvri semplificato;
- negli appalti pubblici, in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente prevedere un obbligo di coordinamento tra committente e appaltatore sulla falsariga di quanto previsto nel Titolo I del d.lgs. n. 81/2008;
- negli appalti pubblici in concessione, nelle ipotesi di project financing definire il ruolo del committente nelle diverse fasi di progettazione e di esecuzione dell’opera;
- semplificazione della procedura di controllo e verifica periodica di attrezzature e impianti (compresi quelli elettrici), configurando in capo al datore di lavoro i relativi obblighi avvalendosi di soggetti all’uopo abilitati ed attribuendo alle PP.AA. i compiti di controllo sulla sicurezza di attrezzature e impianti nonché sull’operato dei soggetti abilitati;
- esigenza di non menzionare specificamente norme tecniche vigenti al momento di emanazione della normativa, ma utilizzare previsioni di carattere generale tali da durare nel tempo (es. norme UNI Inail e BS citate nell’art. 30).

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Sommario
1. Raccordo tra D.Lgs 81/08 e altre norme
1.1 Gas Tossici
1.2 Agibilità locali e attività di pubblico spettacolo
1.3 Aziende RIR
1.4 Radioprotezione
1.5 REACH e CLP
1.6 Legge 68/99 (Inserimento mirato dei disabili)
1.7 App. per diagnostica a (RM) e requisiti di sicurezza (DPR 542/94 e DM 10/8/2018)
1.8 D.M. 3 agosto 2015 e norme in materia di prevenzione incendi
2. Il campo di applicazione oggettivo
2.1 Unicità della disciplina e normative di adeguamento
3. Il campo di applicazione soggettivo
3.1 La definizione universale di lavoratore
3.2 L’esclusione dei lavoratori domestici dalla definizione di lavoratore
3.3 Gli equiparati al lavoratore
3.4 La definizione di “lavoratore” e le discipline specifiche per i contratti: principi generali 
3.5 La somministrazione
3.6 Le prestazioni di lavoro occasionale
3.7 Le collaborazioni coordinate e continuative e la gig economy
3.8 La definizione di datore di lavoro nel settore privato
3.9 La definizione di datore di lavoro nel settore pubblico
4. Il sistema istituzionale
4.1 Artt. 5, 7 del D.Lgs 81/2008
4.2 Art. 8 del D.Lgs 81/2008
4.3 Assistenza e consulenza
4.4 Il sistema di vigilanza
4.5 La vigilanza in alcuni specifici settori
5. Il sistema di prevenzione aziendale
5.1 Qualificazione delle imprese e formazione dei datori di lavoro
5.2 Delega di funzioni e RSPP
5.3 Effettività della istituzione del SSP nelle imprese grandi o con attività particolarmente rischiose
5.4 Incentivazione dell’adozione dei MOG nelle PP.AA.
5.5. Sorveglianza sanitaria 
5.5.1 Il ruolo del medico competente nella valutazione dei rischi
5.5.2 Controllo assunzione alcol e sostanze stupefacenti e psicotrope
5.5.3 Idoneità verso terzi
5.5.4 Ricorso avverso il giudizio del Medico Competente
5.5.5 Rapporti contrattuali e aggiornamento professionale
5.5.6 Primo Soccorso
5.5.7 Titolo X Esposizione ad agenti biologici
5.6. RLS-RLST-RLSS
5.7. Formazione
5.7.1 Un unico testo degli Accordi Stato-Regioni
5.7.2 Revisione del sistema di identificazione dei formatori in materia di SSL
5.7.3 Requisiti dei docenti
5.7.4 Formazione in modalità e-learning
5.7.5 Valutazione dei risultati della formazione
5.8 Appalti di lavori, servizi, forniture 
5.9 Controlli e verifiche periodiche di attrezzature e impianti
5.9.1 Verifiche delle attrezzature di lavoro
5.9.2 Art. 71- comma 8 del D.Lgs 81/2008
5.9.3 Art. 71 comma 11 del D.Lgs 81/2008
5.9.4 Impianti elettrici

....

Fonte: Osservatorio Olympus

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Relazione tecnica antincendio: Normativa, Modelli esempio e Utility

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Relazione tecnica antincendio 2018

Relazione tecnica antincendio: Normativa, Modelli esempio e Utility

ID 5378 | Scheda 07.08.2018

Il presente approfondimento, documento completo in allegato, confronta le modalità di redazione della relazione tecnica antincendio di cui all'allegato I del DM 7 agosto 2012 con la progettazione con approccio ingegneristico di cui al DM 03 agosto 2015 (DM 9 maggio 2007 All . I lett. A)

Allegati Modelli di Relazioni tecniche, elaborate in conformità all’allegato I al DM 7 agosto 2012 e al DM 03 agosto 2015 e Utility DM 03 agosto 2015.

DM 7 agosto 2012
.
..
Art. 3. Istanza di valutazione dei progetti 
...

1. Per le attività soggette di categoria B e C, l’istanza di valutazione dei progetti, di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, deve contenere:

a) generalità e domicilio del richiedente o, nel caso di ente o società, del suo legale rappresentante;
b) specifi cazione della attività soggetta principale e delle eventuali attività soggette secondarie, oggetto dell’istanza di valutazione del progetto;
c) ubicazione prevista per la realizzazione delle opere;
d) informazioni generali sull’attività principale e sulle eventuali attività secondarie soggette a controllo di prevenzione incendi e indicazioni del tipo di intervento in progetto.

2. All’istanza sono allegati:
a) documentazione tecnica, a firma di tecnico abilitato, conforme a quanto previsto dall’Allegato I al presente decreto;
b) attestato del versamento effettuato a favore della Tesoreria provinciale dello Stato ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.

3. In caso di modifiche di cui all’articolo 4, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, che comportano un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, la documentazione tecnica di cui al comma 2, lettera a), deve essere conforme a quanto specificato nell’Allegato I, lettera C, al presente decreto.

4. Nel caso di utilizzo dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio, la documentazione tecnica di cui al comma 2, lettera a), deve essere a firma di professionista antincendio e conforme a quanto specificato nell’Allegato I, lettera A, al presente decreto, integrata con quanto stabilito nell’allegato al decreto del Ministro dell’interno 9 maggio 2007, ivi compreso il documento contenente il programma per l’attuazione del SGSA.
...

DM 3 agosto 2015

Art. 1. Approvazione e modalità applicative delle norme tecniche di prevenzione incendi

1. Sono approvate, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, le norme tecniche di prevenzione incendi di cui all’allegato 1, che costituisce parte integrante del presente decreto.
...

Art. 2. Campo di applicazione

(Articolo così sostituito dal Decreto del Ministero dell'interno 12 Aprile 2019)

1. Le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, si applicano alla progettazione, alla realizzazione e all’esercizio delle attività di cui all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, individuate con i numeri: 9; 14; da 19 a 40; da 42 a 47; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64; 65, limitatamente ai locali di spettacolo e di trattenimento; 66, ad esclusione delle strutture turistico-ricettive all’aria aperta e dei rifugi alpini; da 67 a 71; 72; 73; 75; 76, 77, limitatamente agli edifici destinati a civile abitazione. Sono fatte salve le modalità applicative alternative di cui all’art. 2 -bis.

2. Le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, si applicano alle attività di cui al comma 1 di nuova realizzazione.

3. Per gli interventi di modifica ovvero di ampliamento alle attività di cui al comma 1, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, si applicano a condizione che le misure di sicurezza antincendio esistenti, nella parte dell’attività non interessata dall’intervento, siano compatibili con gli interventi da realizzare.

4. Per gli interventi di modifica o di ampliamento delle attività esistenti di cui al comma 1, non rientranti nei casi di cui al comma 3, si continuano ad applicare le specifiche norme tecniche di prevenzione incendi di cui all’art. 5 comma 1 -bis e, per quanto non disciplinato dalle stesse, i criteri tecnici di prevenzione incendi di cui all’art. 15, comma 3, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139. Nei casi previsti dal presente comma, è fatta salva, altresì, la possibilità per il responsabile dell’attività di applicare le disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, all’intera attività.

5. Le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, possono essere di riferimento per la progettazione, la realizzazione e l’esercizio delle attività che non rientrano nei limiti di assoggettabilità previsti nell’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, o che non siano elencate nel medesimo allegato.

...

Art. 5. Disposizioni finali

1. Ai fini dell’applicazione delle norme tecniche di cui all’articolo 1, restano valide:

a) le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno 7 agosto 2012 relativamente alla documentazione tecnica da allegare alle istanze di cui decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151. La medesima documentazione tecnica deve includere le informazioni indicate nelle norme tecniche di cui al presente decreto;

b) le disposizioni di cui all’articolo 11, comma 3, del decreto del Ministro dell’interno 7 agosto 2012 e quelle degli articoli 3, comma 3, 4, comma 2, e 6, comma 4, del decreto del Ministro dell’interno 9 maggio 2007, relative alla determinazione degli importi dei corrispettivi dovuti per i servizi resi dai Comandi provinciali dei vigili del fuoco.

1-bis. Alle attività per le quali vengono applicate le norme tecniche di cui all’art. 1, comma 1, non si applicano le seguenti: (comma aggiunto dal Decreto del Ministero dell'interno 12 Aprile 2019)
...

2. Per le attività di cui all’art. 2 in regola con gli adempimenti previsti agli articoli 3, 4 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, il presente decreto non comporta adempimenti. (Comma così sostituito dal Decreto del Ministero dell'interno 12 Aprile 2019)

Relazione tecnica antincendio   Normativa Modelli esempio e Utility

La relazione tecnica

Il decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n.151, concernente la disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, prevede che gli enti ed i privati responsabili delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi (Allegato I del decreto), per i nuovi impianti o costruzioni ovvero, per quelli esistenti, in caso di modifiche che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, siano tenuti a richiedere apposita istanza al Comando dei Vigili del Fuoco competente.

L’istanza è corredata da una relazione tecnica, elaborata in conformità all’allegato I al DM 07/08/2012, volta a dimostrare l’osservanza dei criteri generali di sicurezza antincendio, tramite l’individuazione dei pericoli di incendio, la valutazione dei rischi connessi e la descrizione delle misure di prevenzione e protezione antincendio da attuare per ridurre i rischi. La relazione dunque riporta l’evidenza di tutti i processi decisionali operati per l’individuazione della soluzione progettuale.

DM 7 agosto 2012 Allegato I

ALLEGATO I DOCUMENTAZIONE TECNICA ALLEGATA ALL'ISTANZA DI VALUTAZIONE DEI PROGETTI

La documentazione tecnica di prevenzione incendi attiene alle caratteristiche di sicurezza antincendio delle attivita' soggette ai controlli di prevenzione incendi riportate nell'Allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n.151 e consente di accertare la loro rispondenza alle vigenti norme o, in mancanza, ai criteri generali di prevenzione incendi.
In particolare comprende:
- relazione tecnica;
- elaborati grafici.

A - DOCUMENTAZIONE RELATIVA AD ATTIVITA' NON REGOLATE DA SPECIFICHE DISPOSIZIONI ANTINCENDIO
A.1 RELAZIONE TECNICA
La relazione tecnica evidenzia l'osservanza dei criteri generali di sicurezza antincendio, tramite l'individuazione dei pericoli di incendio, la valutazione dei rischi connessi e la descrizione delle misure di prevenzione e protezione antincendio da attuare per ridurre i rischi.
A.1.1 Individuazione dei pericoli di incendio
La prima parte della relazione contiene l'indicazione di elementi che permettono di individuare i pericoli presenti nell'attivita', quali ad esempio:
- destinazione d'uso (generale e particolare);
- sostanze pericolose e loro modalita' di stoccaggio;
- carico di incendio nei vari compartimenti;
- impianti di processo;
- lavorazioni;
- macchine, apparecchiature ed attrezzi;
- movimentazioni interne;
- impianti tecnologici di servizio;
- aree a rischio specifico.
A.1.2 Descrizione delle condizioni ambientali
La seconda parte della relazione contiene la descrizione delle condizioni ambientali nelle quali i pericoli sono inseriti, al fine di consentire la valutazione del rischio incendio connesso ai pericoli individuati, quali ad esempio:
- condizioni di accessibilita' e viabilita';
 - lay-out aziendale (distanziamenti, separazioni, isolamento);
- caratteristiche degli edifici (tipologia edilizia, geometria, volumetria, superfici, altezza, piani interrati, articolazione planovolumetrica, compartimentazione, ecc.);
- aerazione (ventilazione);
- affollamento degli ambienti, con particolare riferimento alla presenza di persone con ridotte od impedite capacita' motorie o sensoriali;
- vie di esodo.
A.1.3 Valutazione qualitativa del rischio incendio
La terza parte della relazione contiene la valutazione qualitativa del livello di rischio incendio, l'indicazione degli obiettivi di sicurezza assunti e l'indicazione delle azioni messe in atto per perseguirli.
A.1.4 Compensazione del rischio incendio (strategia antincendio)
La quarta parte della relazione tecnica contiene la descrizione dei provvedimenti da adottare nei confronti dei pericoli di incendio, delle condizioni ambientali, e la descrizione delle misure preventive e protettive assunte, con particolare riguardo al comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali ed ai presidi antincendio, evidenziando le norme tecniche di prodotto e di impianto prese a riferimento. Relativamente agli impianti di protezione attiva la documentazione indica le norme di progettazione seguite, le prestazioni dell'impianto, le sue caratteristiche dimensionali, (quali ad esempio, portate specifiche, pressioni operative, caratteristica e durata dell'alimentazione dell'agente estinguente, ecc..) e quelle dei componenti da impiegare nella sua realizzazione, nonche' l'idoneita' dell'impianto in relazione al rischio di incendio presente nell'attivita'.
A.1.5 Gestione dell'emergenza
Nell'ultima parte della relazione sono indicati, in via generale, gli elementi strategici della pianificazione dell'emergenza che dimostrino la perseguibilita' dell'obiettivo della mitigazione del rischio residuo attraverso una efficiente organizzazione e gestione aziendale.

A.2 ELABORATI GRAFICI
Gli elaborati grafici comprendono:
a) planimetria generale in scala (da 1:2000 a 1:200), a seconda delle dimensioni dell'insediamento, dalla quale risultino:
- l'ubicazione delle attivita';
- le condizioni di accessibilita' all'area e di viabilita' al contorno, gli accessi pedonali e carrabili;
- le distanze di sicurezza esterne;
- le risorse idriche della zona (idranti esterni, corsi d'acqua, acquedotti e riserve idriche);
- gli impianti tecnologici esterni (cabine elettriche, elettrodotti, rete gas, impianti di distribuzione gas tecnici);
- l'ubicazione degli elementi e dei dispositivi caratteristici del funzionamento degli impianti di protezione antincendio e degli organi di manovra in emergenza degli impianti tecnologici;
- quanto altro ritenuto utile per una descrizione complessiva dell'attivita' ai fini antincendio, del contesto territoriale in cui l'attivita' si inserisce ed ogni altro utile riferimento per le squadre di soccorso in caso di intervento.
b) piante in scala da 1:50 a 1:200, a seconda della dimensione dell'edificio o locale dell'attivita', relative a ciascun piano, recanti l'indicazione degli elementi caratterizzanti il rischio di incendio e le misure di sicurezza e protezione riportate nella relazione tecnica quali, in particolare:
- la destinazione d'uso ai fini antincendio di ogni locale con indicazione delle sostanze pericolose presenti, dei macchinari ed impianti esistenti e rilevanti ai fini antincendio;
- l'indicazione dei percorsi di esodo, con il verso di apertura delle porte, i corridoi, i vani scala, gli ascensori, nonche' le relative dimensioni;
- le attrezzature mobili di estinzione e gli impianti di protezione antincendio, se previsti;
- l'illuminazione di sicurezza.
c) sezioni ed eventuali prospetti degli edifici, in scala adeguata;

B - DOCUMENTAZIONE RELATIVA AD ATTIVITA' REGOLATE DA SPECIFICHE DISPOSIZIONI ANTINCENDI
B.1 RELAZIONE TECNICA
La relazione tecnica puo' limitarsi a dimostrare l'osservanza delle specifiche disposizioni tecniche di prevenzione incendi.
B.2 ELABORATI GRAFICI
Gli elaborati grafici comprendono i medesimi elementi richiesti al punto A.2.

C - MODIFICHE DI ATTIVITA' ESISTENTI
In caso di modifiche di attivita' esistenti, gli elaborati grafici relativi alla planimetria generale devono riguardare l'intero complesso, mentre la restante documentazione progettuale di cui ai precedenti punti, potra' essere limitata alla sola parte oggetto degli interventi di modifica.

Relazione Tecnica - Diagramma approccio classico/ingegneristico progettazione antincendio

Relazione tecnica antincendio Diagramma

Fig. 1 - Documentazione tecnica (Relazione tecnica) per l'approccio classico e ingegneristico alla progettazione antincendio

Modello VVF PIN 1 2018 Valutazione progetto

Sul nuovo Modello VVF PIN 1 2018 Valutazione progetto, in calce è riportato:
...
Allega i seguenti documenti tecnici di progetto2, debitamente firmati, conformi a quanto previsto dall’Allegato I3 al Decreto del Ministero dell’Interno 7-8-2012:
- Relazione tecnica (n. fascicoli: )
- Elaborati grafici (n. elaborati: )

2 In caso di utilizzo dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio, di cui al Decreto del Ministero dell’Interno 9-5-2007, la documentazione tecnica di progetto, a firma di professionista antincendio, deve essere conforme a quanto specificato all’art. 3, comma 4, del Decreto del Ministero dell’Interno 7-8-2012;
3 In caso di modifiche che comportano un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, la documentazione tecnica deve essere conforme a quanto specificato nell'Allegato I, lettera C del Decreto del Ministero dell’Interno 7-8-2012 

Relazione tecnica - Contenuti

I contenuti sono riportati nella Tabella 1, opportunamente modificata, visti i nuovi obblighi progettuali in materia di valutazione del rischio di esplosione (Capitolo V2 del DM 03 agosto 2015) e di gestione dell’esercizio ordinario (Capitolo S5 del DM 03 agosto 2015(1)

Relazione tecnica secondo All. I DM 7/08/2012
A.1.1. Individuazione dei pericoli di incendio/esplosione
A.1.2 Descrizione delle condizioni ambientali
A.1.3 Valutazione qualitativa del rischio incendio/esplosione
A.1.4. Compensazione del rischio di incendio/esplosione
A.1.5. Gestione (dell'emergenza)

Tabella 1 - Relazione tecnica secondo l’Allegato I DM 07/08/2012

A fronte di tale vincolo documentale, il progettista deve:

1. sviluppare una progettazione per fronteggiare il rischio di incendio, conforme alle indicazioni del paragrafo G.2.8, ovvero procedendo:

- a valutare il rischio attraverso l’individuazione dei pericoli, la descrizione delle condizioni ambientali nelle quali i pericoli sono inseriti e la determinazione qualitativa dell’entità del danno conseguente, pervenendo alla determinazione dei profili di rischio e adottando le decisioni più opportune sui pericoli presenti;

- ad individuare la strategia antincendio sufficiente per la compensazione del rischio valutato, mediante la corretta selezione dei livelli di prestazione per ogni misura prevista in funzione del rischio valutato e la selezione delle soluzioni progettuali più adatte (conformi, alternative, in deroga);

2. sviluppare una progettazione per fronteggiare il rischio di esplosione conforme alle indicazioni del capitolo V2, ovvero procedendo:

- a valutare, secondo il paragrafo V.2.2, il rischio di esplosione attraverso: l’individuazione delle caratteristiche delle sostanze infiammabili o polveri combustibili, la determinazione della probabilità di formazione, durata ed estensione delle atmosfere esplosive (zonizzazione), la segnalazione dei potenziali pericoli di innesco, dell’entità degli effetti prevedibili di un’esplosione e del livello di rischio accettabile;

- ad individuare le misure per la riduzione del rischio di esplosione (V.2.3 e V.2.4), ricorrendo all’installazione di sistemi adeguati alla classifica della zona (V.2.5) ed all’eventuale ricorso ad opere da costruzione progettate per resistere alle esplosioni (V.2.6).

Pertanto, il progettista dovrà integrare in un’unica trattazione le due modalità di progettazione previste in G.2.8 e V2; tenuto conto della possibilità di sovrapposizione dei temi proposta nella Tabella 2, si ritiene che possa essere redatta un’unica relazione tecnica nella quale siano ricompresi i criteri di progettazione contro i rischi di incendio e di esplosione.

DM 07/08/2012 Allegato I paragrafo G.2.6 Codice paragrafo V2 Codice
A.1.1. Individuazione dei pericoli di incendio/esplosione G.2.6.1.a Individuazione pericoli di incendio V.2.2.a-d (individuazione pericolo di esplosione)
A.1.2 Descrizione delle condizioni ambientali G.2.6.1.b Descrizione condizioni ambientali V.2.6 (opere resistenti all'esplosione) + V.2.2.g (ventilazione) + Tabella V.2.4
A.1.3 Valutazione qualitativa del rischio incendio/esplosione G.2.5.1.c Identificazione e descrizione del rischio di incendio V.2.2.e/f Valutazione dell'entità degli effetti prevedibili di un'esplosione e quantificazione del livello di rischio accettabile
A.1.4. Compensazione del rischio di incendio/esplosione G.2.8.2 Compensazione rischio V.2.3, V.2.4, V.2.5 (compensazione rischio esplosione)
A.1.5. Gestione (dell'emergenza) G.2.8.2 (solo S.5) Gestione Tabella V.2.3 (provvedimenti gestionali)

Tabella 2 – Confronto tra Allegato I DM 07/08/2012, Capitolo G.2.6 e Capitolo V2 Codice

La valutazione del rischio di esplosione

Riguardo la valutazione del rischio di esplosione, si ritiene opportuno fare alcune considerazioni sul contenuto del paragrafo V.2.2, con particolare riferimento alle lettere e) “valutazione dell’entità degli effetti prevedibili di un’esplosione” ed f) “quantificazione del livello di rischio accettabile”.

In generale, la valutazione dell’entità degli effetti è da intendersi, anche in linea con il Titolo XI del D.Lgs. 81/08, di tipo qualitativo. I danni provocati da un’esplosione, infatti, non dipendono solo dall’entità della sovrappressione ma anche dalla proiezione di frammenti e/o dall’insorgenza di incendi a seguito di esplosione e/o al collasso di elementi strutturali come specificato nel paragrafo V.2.2.5; viceversa, il valore della sovrappressione di picco diventa un dato indispensabile per il dimensionamento degli elementi costruttivi resistenti all’esplosione laddove scelti come uno dei mezzi di protezione necessario per il richiesto livello di sicurezza.

Per la determinazione delle sovrappressioni che si sviluppano nelle esplosioni il Codice consente il ricorso a formulazioni semplificate presenti in normativa o a espressioni empiriche che collegano fra loro le grandezze più significative di una esplosione. I modelli empirici semplificati di calcolo maggiormente utilizzati sono il TNT equivalente, il TNO Multienergy ed il CCPS QRA. Oltre ai metodi empirici ed ai modelli semplificati, per la stima delle sovrappressioni che si sviluppano a seguito di esplosioni, si può ricorrere a codici di calcolo riconosciuti (es. modelli CFD – fluidodinamica numerica).

Il Codice, nella RTV V2, tiene contro, inoltre, anche dell’effetto domino e richiede di verificare, qualora l’esplosione fosse seguita da un incendio, gli effetti dell’incendio tenendo conto della indisponibilità di quanto danneggiato dalla esplosione, come ad esempio l’indisponibilità della rete idranti, il danneggiamento dei compartimenti e la mancata fruibilità di percorsi di esodo. Allo stesso modo, se l’esplosione fosse preceduta da un incendio, è necessario valutare gli effetti dell’esplosione tenendo conto della indisponibilità di quanto danneggiato, come rottura dei sistemi di pressurizzazione, tenute su apparecchiature, maggior degrado di potenziali sorgenti di emissione.

La quantificazione del livello di rischio accettabile, è una richiesta strettamente collegata all’entità dei danni conseguenti all’esplosione. Ad esempio, in caso di danno “catastrofico” (molti morti e feriti, conseguenze a lungo termine sulla produzione, chiusura permanente o danni ambientali irreversibili, come definito nella Tabella A.5.2.5b NFPA 551), alla luce di quanto previsto dall’Allegato L – parte B (2) e dal paragrafo 1.3.5 della Guida CEI 31-35 (3), appare quanto mai opportuno (quando non prescritto dal Comando provinciale dei Vigili del Fuoco) adottare un livello di sicurezza superiore a quello minimo richiesto dal citato Allegato L in modo da ridurre l’entità delle perdite, soprattutto nel caso di vite umane, realizzando misure aggiuntive a quelle necessarie per raggiungere il livello minimo di sicurezza, proposte nelle tabelle del paragrafo V.2.3 e qui riportate nelle Tabelle 3 e 4.

- Formazione professionale in materia di protezione dalle esplosioni dei lavoratori addetti ai luoghi dove possono formarsi atmosfere esplosive.
- Assegnazione ai lavoratori addetti di attrezzature portatili e di indumenti di lavoro non in grado di innescare un'atmosfera esplosiva.
- Predisposizione di specifiche procedure di lavoro e di comportamento per i lavoratori addetti.
- Segnalazione dei pericoli di formazione di atmosfere esplosive.
- Adozione di procedure specifiche in caso di emergenza per la messa in sicurezza delle sorgenti di emissione e delle fonti di innesco.
- Realizzazione delle verifiche di sicurezza (verifica iniziale, periodica e manutenzione) degli impianti e delle attrezzature installate nei luoghi di lavoro con aree in cui possano formarsi atmosfere esplosive, nel rispetto delle normative tecniche applicabili.

Tabella 3 – Misure impiegabili, provvedimenti impiantistici (Tabella V.2-3 Codice)

- Protezione dai danneggiamenti meccanici dei sistemi di contenimento.
- Impiego di sistemi a circuito chiuso per la movimentazione delle sostanze infiammabili.
- Realizzazione di sistemi di dispersione/diluizione/bonifica dei rilasci di sostanze infiammabili in modo da:

a) mantenere la concentrazione delle miscele potenzialmente esplosive al di fuori dei limiti di esplosività;
b) ridurre l'estensione dell'atmosfera pericolosa a volumi trascurabili, secondo le norme tecniche applicabili, ai fini delle conseguenze in caso di accensione;
c) confinare l'atmosfera pericolosa in aree dove non sono presenti sorgenti di innesco efficaci.

- Installazione di impianti di rivelazione sostanze infiammabili per:

a) attivazione delle misure di messa in sicurezza delle sorgenti di innesco;
b) evacuazione delle persone preventivamente all'accensione dell'atmosfera esplosiva.

- Installazione all'interno delle Zone pericolose di impianti, attrezzature, sistemi di protezione e relativi sistemi di connessione non in grado di provocarne l'accensione.
- Installazione di impianti di rivelazione inneschi (es. scintille, superfici calde, ....).
- Realizzazione di sistemi di inertizzazione delle apparecchiature in modo da ridurre la concentrazione di ossigeno al di sotto della concentrazione limite (LOC).
- Installazione di sistemi di mitigazione degli effetti di un'esplosione per ridurre al minimo i rischi rappresentati per i lavoratori dalle conseguenze fisiche di un'esplosione, scelti tra i seguenti:

a) sistemi di protezione mediante sfogo dell'esplosione di gas;
b) sistemi di protezione mediante sfogo dell'esplosione di polveri;
c) sistemi di isolamento dell'esplosione;
d) sistemi di soppressione dell'esplosione;
e) apparecchi resistenti alle esplosioni;
f) elementi costruttivi dei fabbricati progettati per resistere alle esplosioni.

Tabella 4 - Misure impiegabili, provvedimenti impiantistici (Tabella V.2-4 Codice)

Il Codice pone la salvaguardia della vita umana come il primo obiettivo di sicurezza, pertanto misure di sicurezza aggiuntive ai fini della protezione degli occupanti possono essere quelle riportate nel paragrafo V.2.4 (Misure per la riduzione del rischio per gli occupanti), ossia il concepimento del layout di fabbricati e impianti con l’obiettivo di ridurre il numero di occupanti esposti agli effetti di un’esplosione. A tal fin, le sorgenti di pericolo possono essere installate come segue:

a. all’esterno dei fabbricati, opportunamente schermate o distanziate;

b. in locali dove è prevista solo la presenza occasionale di occupanti;

c. all’interno dei locali, in posizione opportunamente schermata rispetto alle postazioni fisse di lavoro. 

Prodotti impiegabili

Il livello minimo di sicurezza da adottare sugli apparecchi (4) (e relativi assiemi ed impianti), contenenti almeno un innesco tra quelli contemplati dalla Norma UNI EN 1127 e riportati nella Tabella V.2-2 del Codice, è indicato nella Tabella 5, elaborata in base alla lettura congiunta delle Direttive 2014/34/UE99/92/CE (direttive ATEX di prodotto e sociale) e delle Norme UNI EN 13463-1 e CEI EN 60079-0.

Zone Tipi di apparecchi/assiemi compatibili con la qualifica della Zona
Z0, Z20
(P>10-1)
Categoria 1 Garantiscono il livello di protezione richiesto anche in caso di una disfunzione rara o di due
disfunzioni prevedibili indipendenti
Z1, Z21
(10-3<P<10-1)
Categoria 2 Garantiscono il livello di protezione richiesto anche in presenza di una disfunzione prevedibile
Z2, Z22
(10-5<P<10-3)
Categoria 3 Garantiscono il livello di protezione richiesto nel funzionamento normale

Tabella 5 – Regole di installazione di apparecchi/assiemi secondo Dir. 2014/34/UE, 99/92/CE, EN 13463-1, EN 60079-0

La documentazione tecnica su prodotti, assiemi e sistemi di protezione che deve essere resa disponibile ai progettisti e ai funzionari VV.F., deve consentire di verificare se le condizioni di installazione ed esercizio sono compatibili con le condizioni previste dal fabbricante per il funzionamento sicuro, dando evidenza di aver raggiunto un livello di sicurezza equivalente non inferiore a tre.

Opere da costruzione progettate per resistere alle esplosioni

Laddove si dovesse scegliere come uno dei mezzi di protezione la resistenza strutturale, le caratteristiche costruttive devono essere individuate in funzione del tipo di conseguenze attese sul fabbricato, in caso di esplosione.

In conformità alle Norme Tecniche per le Costruzioni 2008 (vedi anche nuove NTC 2018 Decreto 17 gennaio 2018), gli effetti di un’esplosione sono ritenuti (Tabella 6):

1. trascurabili, quando si verifica nell’ambito di fabbricati con presenza solo occasionale di persone e/o negli edifici agricoli;
2. localizzati, attesi in caso di un’esplosione all’interno di:
- - fabbricati con affollamenti normali/significativi,
- - industrie con attività pericolose per l’ambiente e non;
3. generalizzati, attesi in caso di un’esplosione all’interno di fabbricati con funzioni pubbliche o strategiche importanti o all’interno di industrie con attività particolarmente pericolose per l’ambiente.

Decreto 17 gennaio 2018 NTC 2018
...
3.6.2. ESPLOSIONI

3.6.2.1 GENERALITÀ
Gli effetti delle esplosioni possono essere tenuti in conto nella progettazione di quelle costruzioni in cui possono presentarsi miscele esplosive di polveri o gas in aria o in cui sono contenuti materiali esplosivi. Sono escluse da questo capitolo le azioni derivanti da esplosioni che si verificano all’esterno della costruzione.

3.6.2.2 CLASSIFICAZIONE DELLE AZIONI DOVUTE ALLE ESPLOSIONI
Le azioni di progetto dovute alle esplosioni sono classificate, sulla base degli effetti che possono produrre sulle costruzioni, in tre categorie, come indicate in Tabella seguente:

Categoria di azione Possibili effetti
1 Effetti trascurabili sulle strutture
2 Effetti localizzati su parte delle strutture
3 Effetti generalizzati sulle strutture

....


Categoria delle azioni NTC 2008 Destinazioni d'uso ammissibili con le categorie di azione (EN 1991.1-7 + NAD) Eurocodice 1
    1        Effetti trascurabili CC1 Opere da costruzione con presenza solo occasionale di persone, edifici di persone, edifici agricoli
2 Effetti localizzati

CC2
rischio inferiore

Opere da costruzione il cui uso preveda normali affollamenti, senza contenuti pericolosi per l'ambiente e senza funzioni pubbliche e sociali essenziali

Industrie con attività non pericolose per l'ambiente

CC2
rischio superiore

Opere da costruzione il cui uso preveda affollamenti significativi

Industrie con attività pericolose per l'ambiente

3 Effetti generalizzati CC3

Opere da costruzione con funzioni pubbliche o strategiche importanti

Industrie con attività particolarmente pericolose per l'ambiente

Tabella 6 - Categoria delle azioni provocate dalle esplosioni (Tabella V.2-6 del Codice)

In funzione della tipologia di conseguenza attesa, le precauzioni da adottare nella progettazione delle strutture sono indicate nelle NTC e, in particolare:

- per le opere da costruzione con destinazione CC1, non vanno considerate le azioni derivanti da esplosione;
- per le opere da costruzione con destinazione CC2, la quantificazione delle azioni si effettua con riferimento a:
- - NTC, per la sovrappressione di progetto per esplosioni confinate di gas, vapori o nebbie;
- - EN 1991 1-7 integrata dal rispettivo NAD, per la sovrappressione di progetto per esplosioni di polveri;

facendo utile ricorso anche a modelli semplificati di tipo statico equivalenti:

- per le opere da costruzione con destinazione CC3 devono essere effettuate analisi dinamiche non lineari che tengano conto:
- - degli effetti del venting e della geometria degli ambienti nel calcolo della sovrappressione;
- - del comportamento dinamico non lineare delle strutture;
- - dell’analisi del rischio effettuate con metodi probabilistici;
- - degli aspetti economici per l’ottimizzazione delle soluzioni.

Conclusioni

Il Codice di Prevenzione Incendi inserisce a pieno titolo la valutazione del rischio di esplosione dovuto alla formazione di atmosfere esplosive per la presenza di gas, vapori, nebbie e polveri combustibili, come elemento fondamentale per la progettazione della sicurezza antincendio delle attività soggette. La regola tecnica verticale V2 rappresenta una linea guida a servizio dei professionisti per la corretta predisposizione del documento di valutazione del rischio esplosione e, nel contempo, fornisce un compendio utile al funzionario dei Vigili del Fuoco durante la fase di valutazione del progetto antincendio.

NOTE

(1) L’obbligo di valutazione del rischio di esplosione vale anche per le attività non rientranti nel campo di applicazione del DM 3/8/2015, alla luce delle disposizioni contenute nella Lett. Circ. 14005 del 26/10/2011.

(2) Nella premessa alle regole di installazione, la parte B dell’Allegato L del D.Lgs. 81/08, recita testualmente “qualora il documento sulla protezione contro le esplosioni basato sulla valutazione del rischio non preveda altrimenti…”.

(3) Il paragrafo testualmente recita “Si deve stabilire il numero di mezzi di protezione indipendenti da cause comuni di inefficacia, ossia stabilire il grado di sicurezza (se del caso maggiore di 3) per convenzione ammesso per i luoghi con pericolo di esplosione”.

(4) Secondo la Direttiva 2014/34/UE per apparecchi si intendono “macchine, dispositivi fissi o mobili, organi di comando, strumentazione e sistemi di rilevazione e di prevenzione che, da soli o combinati (assiemi), sono desti- nati a produzione/trasporto/deposito/misurazione/regolazione/conversione di energia e/o alla trasformazione di materiale e che, per via delle potenziali proprie sorgenti di innesco rischiano di provocare un’esplosione”.

Compilazione Relazioni Tecniche Antincendio On-Line

http://www.vigilfuoco.it/aspx/Page.aspx?IdPage=6393

Compilazione Relazioni Tecniche VVF
Attività 74 - Centrale Termica Gas Compila ora Istruzioni
Attività 74 - Centrale Termica Gasolio Compila ora Istruzioni
Attività 75 - Autorimessa Compila ora Istruzioni
Attività 77 - Edificio Civile Compila ora Istruzioni
Relazione - Ascensori Compila ora Istruzioni

 

 

 

 

 

Fonti:
CEI - Artciolo nativo / rielaborato Certifico
Edilclima Srl - Modello relazione
Studio CZ - Utility

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 3 del 20 Marzo 2019

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 3 del 20 Marzo 2019

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 20 Marzo 2019 (n. 3/2019):

20/03/2019 - n. 03/2019
Destinatario: Federazione Sindacale Italiana dei Tecnici e Coordinatori della Sicurezza

Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - risposta al quesito inerente l'aggiornamento per coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori - numero massimo di partecipanti a convegni o seminari validi ai fini dell’aggiornamento

Oggetto: art. 12, d.gs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - risposta al quesito inerente l'aggiornamento per coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori - numero massimo di partecipanti a convegni o seminari validi ai fini dell’aggiornamento.

La Federazione Sindacale Italiana dei Tecnici e Coordinatori della Sicurezza, ha formulato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito a “quale sia il corretto numero massimo di partecipanti ai convegni o seminari di aggiornamento per i Coordinatori per la Sicurezza: nessun limite massimo, così come indicato nel cap. 9.1, ovvero 35 partecipanti così come indicato nell’Allegato V all’ACSR del 07.07.2016”. In proposito l'istante rappresenta che, da un lato, il punto 9.1 dell’ Accordo in sede di Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano del 7 luglio 2016 stabilisce che in riferimento all’assolvimento dell’aggiornamento del coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori per il tramite di convegni o seminari la frase “l’aggiornamento può essere svolto anche attraverso la partecipazione a convegni o seminari, in tal caso è richiesta la tenuta del registro presenza dei partecipanti da parte del soggetto che realizza l’iniziativa e non vi è alcun vincolo sul numero massimo di partecipanti”, dall’altro, la Tabella riassuntiva inserita nell’Allegato V del citato Accordo riporta che ai corsi di aggiornamento per la figura di Coordinatore per la sicurezza possano essere presenti un numero massimo di 35 partecipanti.

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RADPAR | RECOMMENDATION BOOKLET

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RADPAR Radon Prevention and Remediation EC 2012

RADPAR | RECOMMENDATION BOOKLET (2012)

Radon prevention and remediation 2012

Nell’ambito del progetto RADPAR (RADon Prevention And Remediation), che ha terminato i suoi lavori nel 2012 e a cui l'Italia ha partecipato tramite esperti dell'Istituto Superiore di Sanità, sono stati prodotti una serie di documenti tecnici che affrontano diversi aspetti del problema radon.

In questo ambito è stato prodotto anche un booklet di raccomandazioni - elaborate tenendo conto delle indicazioni degli organismi internazionali e dell'esperienza maturata in molti Paesi - che rappresentano un utile strumento per elaborare e migliorare le strategie nazionali per ottimizzare le attività da svolgere per la riduzione dell’impatto sanitario dell’esposizione al radon.

Le raccomandazioni RADPAR vertono sui seguenti argomenti:

1. piani nazionali e attività regolatorie sul radon;

2. protocolli per le misure di concentrazione di radon negli ambienti chiusi;

3. metodi per migliorare la comunicazione alla popolazione del rischio associato al radon;

4. metodi per risolvere il potenziale conflitto tra il risparmio energetico degli edifici e la riduzione dell’esposizione al radon;

5. protocolli di misura per le tecniche usate per la riduzione del radon negli ambienti chiusi;

6. corsi di formazione per le misure di radon, per le misure di prevenzione nei nuovi edifici, e le azioni di risanamento per gli edifici esistenti;

7. analisi di costo-efficacia e costo-beneficio delle strategie usate per la riduzione del radon.

EC 2012

Colllegati

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 12094 | 19 Marzo 2019

ID 8023 | | Visite: 2514 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio con la macchina rettificatrice non protetta

Penale Sent. Sez. 4 Num. 12094 Anno 2019

Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 22/11/2018

Ritenuto in fatto 

La Corte di appello di Firenze, in data 19/01/2018, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Firenze condannava U.T. alla pena di mesi due di reclusione, con le attenuanti generiche prevalenti e i benefici di legge, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen., per avere, quale legale rappresentante della srl Grafiche U.T., cagionato per colpa - e precisamente per avere messo a disposizione dei dipendenti la macchina rettificatrice Tacchella non conforme ai requisiti di legge quanto alla sicurezza - lesioni personali durate oltre 150 giorni al dipendente A.G. che, mentre passava in detta macchina dei fogli di lana di vetro, veniva colpito al braccio sinistro da frammenti della mola improvvisamente rottasi. I coimputati A.M., responsabile del servizio di prevenzione e protezione, e N.C., venditrice della macchina, venivano invece assolti dal medesimo reato per non aver commesso il fatto (avvenuto in Vinci in data 11/01/2013).
2. Secondo la ricostruzione operata la macchina in questione era dotata di uno schermo di protezione con due ante scorrevoli che coprivano la parte centrale della zona di lavorazione, aprendo le quali la macchina si arrestava; al momento dell'infortunio questa, però, era priva di un perno centrale che impedisse lo spostamento solidale di dette ante verso un lato, lasciando così scoperta e non protetta la zona di lavorazione. L'infortunio si era verificato perché lo stesso operaio rimasto leso aveva detto di avere spostato un po' il complesso delle ante di protezione, senza aprirle al centro, forse per poter accedere ad un punto in cui doveva piazzare un fermo.
3. Avverso la sentenza di appello l'imputato, a mezzo del difensore, interpone ricorso elevando tre motivi. Con il primo, deduce vizio di motivazione in ordine alle prove a discarico assunte nell'istruttoria dibattimentale. Si riferisce alla testimonianza della persona offesa che ha escluso con assoluta certezza un qualsiasi intervento di modifica del macchinario dal momento in cui questi venne installato in azienda. Sul punto, il Giudice di appello ha quindi travisato la prova. Con il secondo, lamenta vizio di motivazione rispetto ai dati probatori e violazione dell'art. 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., per mancata indicazione dei criteri adottati nella valutazione delle prove decisive e per la deduzione dell'esistenza di un fatto in assenza di indizi precisi, gravi e concordanti. La Corte distrettuale, laddove sostiene che il U.T. ha omesso di fornire alla persona offesa le necessarie informazioni sul funzionamento della macchina e sulla necessità di dispositivi di sicurezza, ha ulteriormente travisato la testimonianza resa dal A.G. il quale ha, invece, affermato di conoscere bene il funzionamento della rettificatrice e di essere stato adeguatamente informato circa le corrette modalità con cui doveva essere compiuta l'operazione di posizionamento del fermo. Con il terzo motivo, infine, eccepisce violazione dell'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., per mancato raggiungimento della certezza sulla responsabilità dell'imputato e mancata applicazione del principio del favor rei. Il Giudice di appello ritiene provato il fatto che il perno fosse già stato rimosso in precedenza dal datore di lavoro o da altri dipendenti non già sulla base di un suo accertamento "in positivo" ma presumendolo dalla sola mancata prova del fatto contrario. In assenza di un tale accertamento "in positivo", sussiste il ragionevole dubbio sul fatto che il sistema di protezione della macchina sia stato alterato dalla persona offesa in occasione dell'infortunio, rendendo così impossibile al datore di lavoro apprestarvi alcun rimedio

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Tutti e tre i motivi di ricorso esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni della decisione. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre [Sez. U., sent. n. 930 del 13/12/1995, (dep. il 29/01/1996), Clarke, Rv. 203430) cui la giurisprudenza successiva delle sezioni semplici si è uniformata.
3. Ciò premesso, si rileva che la sentenza di appello si appalesa congrua, adeguatamente motivata, del tutto immune dalle sollevate doglianze. La sentenza ricorda che l'esistenza del perno centrale era stata dichiarata dall'operaio infortunato che, pur avendo il dubbio che esso fosse ancora presente, era certo che esistesse in passato; dal teste C. che aveva montato la macchina, dotata del perno, nell'officina del U.T. alla fine del 2008, e dai testi P. e Co.. La Corte di appello ha reputato provato che: l'infortunio si era verificato per l'assenza del perno o di un qualunque meccanismo che impedisse alle due ante di protezione di scorrere lasciando così scoperta la mola nel corso della lavorazione; il perno in questione esisteva al momento dell'acquisto e della installazione del macchinario che, in ragione della velocizzazione del lavoro, era stato successivamente modificato dal datore di lavoro o da altri dipendenti i quali avevano senza dubbio agito o con il suo assenso o a sua insaputa, approfittando della sua negligenza nel controllare lo svolgimento del lavoro e nel rispettare le norme di sicurezza; la manovra del lavoratore infortunato era resa possibile proprio dalla mancanza del dispositivo di sicurezza in origine presente sul macchinario. Correttamente la Corte distrettuale concludeva che era stata raggiunta la prova che la rettificatrice era stata modificata «dopo il suo acquisto, dal datore di lavoro o da altri dipendenti che hanno senza dubbio agito o con il suo assenso o, se a sua insaputa, approfittando della sua negligenza nel controllare lo svolgimento del lavoro e il rispetto delle più elementari norme di sicurezza». Né risulta che l'imputato avesse ben informato il soggetto addetto alla macchina della necessità di quel sistema di protezione e della estrema pericolosità di una sua alterazione. Con ragionamento altrettanto congruo, la Corte fiorentina, in adesione alle osservazioni del giudice di primo grado, ha sottolineato che il U.T. sarebbe ugualmente responsabile anche se avesse acquistato la macchina priva di dispositivo di sicurezza perché le norme antinfortunistiche, del cui rispetto il datore di lavoro si pone quale garante, prescrivono che gli organi in movimento siano coperti e non accessibili al lavoratore e che vi siano quindi meccanismi di interruzione automatica del loro funzionamento nel caso che la protezione venga anche solo momentaneamente tolta.
4. Nel caso di specie, dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, poiché la Corte territoriale ha preso in esame tutte le deduzioni difensive ed è pervenuta alle sue conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in alcun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Alla stessa stregua in cui, per le considerazioni testé espresse, non può dirsi sussistere alcuna violazione dell'art 533, comma 1, cod. proc. pen., trattandosi di un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie concettuali, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e, perciò, a superare lo scrutinio di legittimità. Né la Corte Suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità [Sez. U, sent. n. 2110 del 23/11/1995 (dep. il 23/02/1996), Fachini e altri, Rv. 203767) cui la giurisprudenza successiva delle sezioni semplici si è uniformata.
5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000,00 euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 novembre 2018

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D.P.R. 24 maggio 1979 n. 886

ID 7995 | | Visite: 4508 | Decreti Sicurezza lavoro

D.P.R. 24 maggio 1979 n. 886

Integrazione ed adeguamento delle norme di polizia delle miniere e delle cave, contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1959, n. 128, al fine di regolare le attivita' di prospezione, di ricerca e di coltivazione degli Idrocarburi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale. 

(GU n.114 del 26 aprile 1980 - S.O n. 1)

In allegato:
- Testo coordinato DPR 24 maggio 1979, n. 886 coordinato D. Lgs 25 novembre 1996, n. 624 - VVF 2019
- Testo consolidato 2019, aggiornato da:

26/01/1995
DECRETO LEGISLATIVO 19 dicembre 1994, n. 758 (in SO n.9, relativo alla G.U. 26/01/1995, n.21)

14/12/1996
DECRETO LEGISLATIVO 25 novembre 1996, n. 624 (in SO n.219, relativo alla G.U. 14/12/1996, n.293)

21/06/2007
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 14 maggio 2007, n. 78 (in G.U. 21/06/2007, n.142)

Collegati:

Trasporti: Responsabilità attori sicurezza del carico

ID 7983 | | Visite: 12048 | Documenti Riservati Sicurezza

Trasporti   Responsabilit  attori trasporti sicurezza del carico

Trasporti: Responsabilità attori trasporti sicurezza del carico

ID 7875 | 15.03.2019 / In allegato

Circolare Prot. n. 17277 del 19.07.2011 - Individuazione del caricatore

Estratti legislativi e documenti collegati in calce, sulle responsabilità attori trasporti sicurezza del carico

Con la pubblicazione del Decreto 19 maggio 2017  il 19 maggio 2017,  che recepisce la Direttiva 2014/47/UE relativa ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell’Unione Europea, sono previsti requisiti per il fissaggio del carico in accordo con la norma tecnica UNI EN 12195-1 (norma da rispettare per il fissaggio del carico già per i trasporti su strada in regime ADR).

Excursus

La legislazione

D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada - C.d.S.) e successive modificazioni
D.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495 Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada. 
D.Lgs. 21 novembre 2005, n. 286 - Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore.
Direttiva 2014/47/UE relativa ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell’Unione
Decreto 19 maggio 2017 recepimento della direttiva 2014/47/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell'Unione e che abroga la direttiva 2000/30/CE.

D.Lgs. 21 novembre 2005 n. 286
...
Art. 7. Responsabilità del vettore, del committente del caricatore e del proprietario della merce

1. Nell'effettuazione dei servizi di trasporto di merci su strada, il vettore e' tenuto al rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari poste a tutela della sicurezza della circolazione stradale e della sicurezza sociale, e risponde della violazione di tali disposizioni.

2. Ferma restando l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 26, commi 1 e 3, della legge 6 giugno 1974, n. 298, e successive modificazioni, nei confronti dei soggetti che esercitano abusivamente l'attivita' di autotrasporto, le sanzioni di cui all'articolo 26, comma 2, della legge 6 giugno 1974, n. 298, si applicano al committente, al caricatore ed al proprietario della merce che affidano il servizio di trasporto ad un vettore che non sia provvisto del necessario titolo abilitativo, ovvero che operi violando condizioni e limiti nello stesso prescritti, oppure ad un vettore straniero che non sia in possesso di idoneo titolo che lo ammetta ad effettuare nel territorio italiano la prestazione di trasporto eseguita. Alla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della confisca delle merci trasportate, ai sensi dell'articolo 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Gli organi di polizia stradale di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, procedono al sequestro della merce trasportata, ai sensi dell'articolo 19 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.

3. In presenza di un contratto di trasporto di merci su strada stipulato in forma scritta, laddove il conducente del veicolo con il quale e' stato effettuato il trasporto abbia violato le norme sulla sicurezza della circolazione stradale, di cui al comma 6, il vettore, il committente, nonche' il caricatore ed il proprietario delle merci oggetto del trasporto che abbiano fornito istruzioni al conducente in merito alla riconsegna delle stesse, sono obbligati in concorso con lo stesso conducente, ai sensi dell'articolo 197 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, qualora le modalita' di esecuzione della prestazione, previste nella documentazione contrattuale, risultino incompatibili con il rispetto, da parte del conducente, delle norme sulla sicurezza della circolazione stradale violate, e la loro responsabilita', nei limiti e con le modalita' fissati dal presente decreto legislativo, sia accertata dagli organi preposti all'espletamento dei servizi di polizia stradale, di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Sono nulli e privi di effetti gli atti ed i comportamenti diretti a far gravare sul vettore le conseguenze economiche delle sanzioni applicate al committente, al caricatore ed al proprietario della merce in conseguenza della violazione delle norme sulla sicurezza della circolazione.

4. Quando il contratto di trasporto non sia stato stipulato in forma scritta, anche mediante richiamo ad un accordo di diritto privato concluso ai sensi dell'articolo 5, gli organi di polizia stradale che hanno accertato la violazione, da parte del conducente del veicolo con cui e' stato effettuato il trasporto, dei limiti di velocita' di cui all'articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, o la mancata osservanza dei tempi di guida e di riposo di cui all'articolo 174 dello stesso decreto legislativo, verificano la compatibilita' delle istruzioni scritte fornite al vettore, in merito all'esecuzione della specifica prestazione di trasporto, con il rispetto della disposizione di cui e' stata contestata la violazione. Le istruzioni devono trovarsi a bordo del veicolo e possono essere contenute nella scheda di trasporto o nella documentazione equivalente ovvero allegate alla documentazione equipollente di cui all'articolo 7-bis. In mancanza delle istruzioni di cui sopra a bordo del veicolo, al vettore ed al committente si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie previste per le violazioni contestate al conducente. Le stesse sanzioni sono altresi' applicate al vettore e al committente quando le istruzioni di trasporto sono incompatibili con il rispetto delle predette norme.

5. In relazione alle esigenze di tutela della sicurezza sociale, quando il contratto di trasporto non sia stato stipulato in forma scritta, anche mediante richiamo ad un accordo di diritto privato concluso ai sensi dell'articolo 5, il committente, o un suo delegato alla compilazione, riporta sulla scheda di trasporto o sulla documentazione equivalente di cui all'articolo 7-bis, comma 1, il numero di iscrizione del vettore all'Albo nazionale degli autotrasportatori ovvero allega alla documentazione ad essa equipollente una dichiarazione scritta di aver preso visione della carta di circolazione del veicolo o di altra documentazione da cui risulti il numero di iscrizione del vettore all'Albo nazionale degli autotrasportatori. Qualora non siano riportate tali indicazioni sulla scheda di trasporto o sui documenti equivalenti ovvero non sia allegata ai documenti equipollenti la dichiarazione sopra indicata, al committente e' applicata la sanzione prevista dall'articolo 7-bis, comma 4.

6. Ai fini dell'accertamento della responsabilita' di cui ai commi da 1 a 5, sono rilevanti le violazioni delle seguenti disposizioni del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, inerenti la sicurezza della circolazione:
a) articolo 61 (sagoma limite);
b) articolo 62 (massa limite);
c) articolo 142 (limiti di velocita);
d) articolo 164 (sistemazione del carico sui veicoli);
e) articolo 167 (trasporto di cose su veicoli a motore e sui rimorchi), anche nei casi diversi da quello di cui al comma 9 dello stesso articolo;
f) articolo 174 (durata della guida degli autoveicoli adibiti al trasporto di persone e cose).

7. Il caricatore e' in ogni caso responsabile laddove venga accertata la violazione delle norme in materia di massa limite ai sensi degli articoli 61 e 62 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, e di quelle relative alla corretta sistemazione del carico sui veicoli, ai sensi dei citati articoli 164 e 167 dello stesso decreto legislativo.

7-bis. Quando dalla violazione di disposizioni del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, derivino la morte di persone o lesioni personali gravi o gravissime e la violazione sia stata commessa alla guida di uno dei veicoli per i quali e' richiesta la patente di guida di categoria C o C+E, e' disposta la verifica, presso il vettore, il committente, nonche' il caricatore e il proprietario della merce oggetto del trasporto, del rispetto delle norme sulla sicurezza della circolazione stradale previste dal presente articolo e dall'articolo 83-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni.

Decreto 19 maggio 2017
...
Art. 7. Responsabilità
1. Il certificato di revisione relativo al controllo tecnico periodico più recente o la relativa copia o, in caso di certificato di revisione elettronico, una copia cartacea certificata o l’originale cartaceo di tale certificato e la relazione relativa all’ultimo controllo tecnico su strada, sono tenuti a bordo del veicolo.

2. Le imprese ed i conducenti di un veicolo sottoposto a un controllo tecnico su strada collaborano con gli ispettori e consentono l’accesso al veicolo, alle sue parti ed a tutta la documentazione utile ai fini del controllo.

3. Le imprese sono responsabili del mantenimento dei propri veicoli in condizioni di sicurezza e conformità, ferme restando le responsabilità del conducente di tali veicoli.

Caricatore

D.Lgs. 21 novembre 2005 n. 286
...
Art. 2, comma 1
....
d) caricatore, l'impresa o la persona giuridica pubblica che consegna la merce al vettore, curando la sistemazione delle merci sul veicolo adibito all'esecuzione del trasporto.

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Allegato riservato Circolare prot. n. 17277 23.14.12 del 19 luglio 2011.pdf
 
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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 7172 | 13 Marzo 2019

ID 7976 | | Visite: 3946 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile, Sez. Lav. 13 marzo 2019 n. 7172

Ruolo di un RSPP. Qualifica professionale

Civile Ord. Sez. L Num. 7172 Anno 2019

Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BLASUTTO DANIELA
Data pubblicazione: 13/03/20197

Ritenuto

1. La Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale accoglimento dell'appello proposto da B.G. nei confronti di Trenitalia s.p.a., in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato il diritto dell'appellante alla qualifica di Professional livello B dal 1° ottobre 2008 e ha condannato la società appellata all'assegnazione definitiva di dette mansioni, oltre al pagamento delle differenze retributive dal 1° luglio 2008, con interessi e rivalutazione da ogni singola scadenza.
1.1. Preliminarmente, ha rigettato l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalla società appellata per violazione dell'art. 434 cod.proc.civ., osservando che l'atto di appello del B.G. conteneva una censura complessiva della sentenza che, pur senza seguire l'ordine suggerito dalla norma di rito, individuava specificamente sia le parti di cui si chiedeva la riforma sia le circostanze dalle quali si assumeva la violazione di legge, riconducibili ad una erronea applicazione dell'art. 2103 cod. civ. e della legge n. 81 del 2008.
Del pari ha ritenuto infondata l'eccezione di manifesta infondatezza del ricorso, sollevata da Trenitalia s.p.a. per essere l'impugnazione incentrata su una violazione di ordine solo formale, relativa all'omesso procedimento logico-giuridico trifasico, occorrente per l'esame della domanda di inquadramento superiore. Ha osservato che la censura, prospettata come formalistica, costituiva piuttosto la premessa di un'approfondita confutazione del merito.
1.2. Venendo all'applicazione in concreto del procedimento trifasico, omesso dal Tribunale, la Corte di appello ha premesso che Trenitalia s.p.a. non aveva mai contestato l'altissima professionalità dell'appellante, dotato di titoli ragguardevoli, attestati da ampia documentazione, incentrando piuttosto le censure sulla sussunzione delle mansioni svolte in concreto nella declaratoria contrattuale rivendicata.
Dopo avere esaminato la declaratoria dell'ex ottava qualifica professionale (ora livello B), la declaratoria rivendicata dal ricorrente (livello A) e quella propria della categoria di inquadramento (livello D), e rilevato che la pretesa verteva sulla riconducibilità alla qualifica superiore delle funzioni di garanzia previste dalla legge 81 del 2008, avendo il ricorrente ricoperto la carica di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) dell'unità organizzativa IMC carrozze di Reggio Calabria a decorrere dal 1° luglio 2008 (funzione per la quale aveva rivendicato la promozione alla qualifica superiore ex art. 2103 cod. civ.), la Corte di appello ha ritenuto la riconducibilità delle anzidette funzioni in quelle classificate contrattualmente come attività di studio, progettazione, pianificazione e attuazione operativa finalizzate al conseguimento degli "obiettivi aziendali", osservando che quest'ultima locuzione non può essere intesa in una prospettiva strettamente economicistica, in quanto la sicurezza sul lavoro, preordinata alla realizzazione di esigenze di rango costituzionale ineliminabili, costituisce un obiettivo non meramente strumentale, ma essenziale per l'azienda. Ha poi osservato che tale elemento della qualificazione accomuna la declaratoria del livello B e quella del livello A, differenziandosi quest'ultima per la professionalità di grado "altissimo" e per i contributi di "particolare rilevanza per la realizzazione degli obiettivi aziendali".
1.3. La Corte territoriale ha precisato che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) assume una responsabilità personale diretta anche di rango penale e, seppure svolga un ruolo non operativo ma di consulenza, a lui compete l'obbligo giuridico di collaborare con datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione di tali doveri di supporto informativo, valutativo e programmatico.
Dal punto di vista contenutistico, inoltre, il documento di valutazione dei rischi (DVR) costituisce un esempio scolastico di "studio di ricerca, di progettazione e pianificazione", dovendo contenere tutte le indicazioni necessarie all'adozione delle misure di sicurezza in un ambito di prescrizioni di massima; l'esistenza di una fitta rete di normative, spesso di difficile comprensione, comporta un'attività ampiamente discrezionale di studio e di adattamento della previsione astratta alla realtà concreta dell'unità operativa cui il RSPP è addetto.
1.4. Esclusa quindi la riconducibilità della posizione del RSPP nell'alveo della declaratoria del livello D, la Corte di appello ha ritenuto che la posizione ricoperta dal B.G. in concreto fosse deducibile nel livello B, rispetto al quale il livello A è connotato da una differenza sostanzialmente quantitativa, risiedente essenzialmente nel maggior grado di specializzazione richiesto e nella particolare rilevanza dei contributi per la realizzazione degli obiettivi aziendali, circostanza che non può che riverberarsi sulla complessità o meno della struttura sulla quale il RSPP esercita i propri compiti. In tale contesto sarebbe stato onere del ricorrente provare che l'unità organizzativa IMC carrozze di Reggio Calabria, per quantità di personale, macchinari, attività svolte e quant'altro, costituisce un'articolazione di "particolare importanza", prova che non era stata offerta.
1.5. Tenuto conto che il giudice ben può attribuire una qualifica intermedia tra quella posseduta e quella rivendicata, ove ne sussistano i presupposti, in quanto ciò non costituisce vizio di ultrapetizione, ha riconosciuto il diritto del B.G. all'inquadramento nel livello B dal 1° ottobre 2008, data del compimento del terzo mese di assegnazione al ruolo di RSPP, con conseguente diritto alle maggiori retribuzioni con decorrenza dal primo giorno di adibizione alle mansioni superiori, oltre accessori.
2. Avverso tale sentenza Trenitalia s.p.a. propone ricorso affidato a due motivi, cui resiste il B.G. con controricorso.
3. La società ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.l cod.proc.civ. (inserito dall'art. 1, lett. f, del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).

Considerato

1. Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione falsa applicazione dell'art. 342 cod.proc.civ., come modificato dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7.8.2012 n. 134 (art. 360 n. 3 cod.proc.civ.).
Assume la società ricorrente che la riforma di rito del legislatore italiano, ispirata al modello del codice di rito tedesco (§ 520 nn. 1 e 2 ZPO), richiede che la motivazione dell'appello debba contenere, "a pena di inammissibilità, 1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuto al giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.
Sostiene che l'appello dovrebbe contenere un vero e proprio progetto alternativo di sentenza e che la parte, in relazione ai singoli passi la sentenza impugnata non condivisi, dovrebbe indicare con inequivocabile nettezza i motivi, anche a mezzo di preciso rinvio a documenti, atti istruttori, allegazioni difensive, dell'evidenziato dissenso, proponendo essa stessa un ragionato progetto alternativo di decisione, fondato su precise censure rivolte la sentenza di primo grado.
Trascrive dunque interamente il ricorso in appello, rilevando che la modalità di redazione dell'atto non corrisponde ai requisiti formali previsti dalla riforma processuale e che tale rilievo è preliminare alla verifica della valutazione in concreto della specificità dei motivi.
Conclusivamente chiede a questa Corte se l'inosservanza delle modalità di formulazione dell'atto di appello, sanzionata con l'inammissibilità di cui all'art. 342 cod. proc. civ., nuovo testo, sia preliminare ed ostativa all'esame relativo alla specificità dei motivi.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell'articolo 21 C.C.N.L. 16 aprile 2003, anche in relazione all'articolo 2082 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) .
La società ricorrente, analizzate le declaratorie contrattuali del livello D (di inquadramento del ricorrente ) e del livello B-Quadri, con specifico riferimento alla figura "professional" (riconosciuta dalla sentenza impugnata), la quale riguarda i lavoratori adibiti ad uno dei settori specificamente elencati (manutenzione, circolazione, condotta, servizi di bordo, marketing, assistenza alla clientela, vendita, approvvigionamenti, logistica, amministrazione e contabilità, tecnico amministrativa, finanza, pianificazione e controllo, personale e organizzazione) che, nel loro campo di attività, realizzano studi di ricerca, progettazione o di pianificazione operativa finalizzati alla realizzazione di obiettivi aziendali, assume che la locuzione "obiettivi aziendali" va interpretata alla luce della definizione di imprenditore fornita dall'art. 2082 cod. civ. , per cui essa corrisponde agli scopi (produzione o scambi di beni o servizi) che intende perseguire colui che opera sul piano economico e le funzioni svolte dalla figura del RSPP non potrebbero essere sussunte in tale alveo applicativo.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. Gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel nuovo testo, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. S.U. 27199 del 2017, Cass. 13535 del 2018).
3.2. La Corte di appello ha correttamente interpretato ed applicato alla fattispecie tali regole processuali nel ritenere che l'atto di appello non richiedesse la formulazione di un progetto alternativo di decisione e che la regola della specificità dell'impugnazione fosse stata rispettata per avere l'appello incentrato ogni censura sulla inosservanza del c. d. criterio "trifasico", da cui non si può prescindere nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento del lavoratore nel contesto della domanda avente ad oggetto l'attribuzione di una qualifica superiore, secondo uno schema procedimentale che richiede lo svolgimento dei tre momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione, ciascuno dei quali facente parte del complessivo ragionamento decisorio.
3.3. Tanto è sufficiente per il rigetto del primo motivo, atteso che la società ricorrente non ha svolto alcuna censura di ordine processuale in ordine al rispetto della specificità dell'appello, che assume essere accertamento successivo alla esatta osservanza del modello formale prospettato a fondamento del ricorso. In ogni caso, siffatto accertamento in concreto richiederebbe anche la trascrizione della sentenza di primo grado, occorrente per giudicare il grado di specificità del motivo, adempimento non ottemperato nella specie.
4. Anche il secondo motivo è infondato.
4.1. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro (ex plurimis, Cass. pen. 24958 del 2017). L'attività di consulenza non è contemplata nella declaratoria del livello D (tecnici specializzati), che riguarda i lavoratori che espletano, "con margini di autonomia discrezionalità nell'ambito di procedure ed istruzioni ricevute", attività richiedenti un "elevato livello di conoscenza nonché professionalità e competenze tecniche, specialistiche, commerciali e o gestionali o che hanno un contenuto professionale di maggior rilievo, finalizzate alla realizzazione di processi produttivi...
Non compare nella declaratoria professionale lo svolgimento di attività di consulenza, che invece è agevolmente riconducibile nell'alveo della declaratoria livello B - Quadri, figura "professional", corrispondente al lavoratore che, sulla base di direttive aziendali e con la necessaria conoscenza ed esperienza in uno dei settori in cui si articola l'attività produttiva dell'azienda, realizza "studi di ricerca, di progettazione o di pianificazione operativa finalizzati al conseguimento degli obiettivi aziendali, anche attraverso l'utilizzo di sistemi e metodologie innovative...".
4.2. Premesso che nessuno dei settori elencati dalla norma e riportati nel motivo di ricorso consente di escludere l'osservanza di norme sulla sicurezza e protezione dei lavoratori, che invece costituisce adempimento coessenziale allo svolgimento di qualunque attività economica di impresa, osserva questa Corte che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) è tenuto ad adempiere all'obbligo di valutazione e prevenzione del rischio in conformità alle previsioni normative in materia, formulando specifiche e tassative prescrizioni tecniche vincolanti per tutti i soggetti destinati ad operare nella struttura aziendale e sui macchinari ivi presenti, a prescindere dalle specifiche conoscenze e capacità dei singoli operatori (v. Cass. pen. 40718 del 2017). Egli risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, ogni qual volta l'infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare al datore di lavoro, con la conseguenza che il reato di lesioni colpose è procedibile d'ufficio ai sensi del terzo comma dell'art. 590 cod. pen. (sent. cit.).
4.3. Il ruolo svolto dal RSPP è stato chiarito dalle Sezioni Unite penali di questa Corte, secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Cass., Sezioni Unite penali, sent. n. 38343 del 2014). Sulla causalità nei reati omissivi impropri ed il ragionamento predittivo (v. S.U. sent. cit.).
5. Le competenze richieste al Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione (RSPP) implicano lo studio dei rischi correlati a un determinato ambiente o a una determinata tipologia di lavoro e la ricerca volta alla indicazione delle soluzioni tecniche, realizzazione progetti e soluzioni per assicurare la sicurezza dei luoghi e delle prestazioni lavorative. Ne discende che i soggetti cui è affidato il compito di valutare i rischi connessi all'attività lavorativa devono necessariamente possedere capacità, esperienze e conoscenze che esulano dalle ordinarie competenze affidate ad un lavoratore che espleta attività tecniche, ancorché connesse ad un elevato livello di esperienza e professionalità.
Il complesso di tali funzioni, seppure di ordine consultivo e non operativo, con assoggettamento del preposto anche a responsabilità penale di ordine omissivo per violazioni correlate alla posizione di garanzia, concorre anch'esso al perseguimento degli "obiettivi aziendali", non potendo tale locuzione essere astretta ad un significato di ordine solo economico-produttivo, atteso che la sicurezza sui luoghi di lavoro costituisce uno degli obblighi primari dell'imprenditore alla luce dell'art. 41 Cost.
6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
7. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).



P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso nella Adunanza camerale del 9 gennaio 2019

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Rischio fulmini: quando occorre la Valutazione

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Valutazione rischio fulminazione

Rischio fulmini: quando occorre la Valutazione

La valutazione dei rischi dovuti a fulmini è prevista per strutture residenziali e luoghi di lavoro, ma con fonti normative e limiti differenti.

Le norme

- CEI EN 62305-1 "Protezione contro i fulmini. Parte 1: Principi generali" Febbraio 2013;

- CEI EN 62305-2 "Protezione contro i fulmini. Parte 2: Valutazione del rischio" Febbraio 2013;

- CEI EN 62305-3 "Protezione contro i fulmini. Parte 3: Danno materiale alle strutture e pericolo per le persone" Febbraio 2013;

- CEI EN 62305-4 "Protezione contro i fulmini. Parte 4: Impianti elettrici ed elettronici nelle strutture" Febbraio 2013;

- CEI 81-28 "Guida alla protezione contro i fulmini degli impianti fotovoltaici" Luglio 2013;

- CEI 81-29 "Linee guida per l'applicazione delle norme CEI EN 62305" Febbraio 2014;

- CEI 81-30 "Protezione contro i fulmini. Reti di localizzazione fulmini (LLS).

- CEI 81-3: "Valori medi del numero dei fulmini a terra per anno e per chilometro quadrato dei Comuni d'Italia, in ordine alfabetico." Maggio 1999. (Abrogata

Vedi il Documento Valutazione rischio fulminazione

Quando occorre la Valutazione: strutture residenziali e lavoro

AI fini del Rischio di tipo 1 “Perdita di vite umane” indicato dalla Norme CEI EN 62305 l’obbligo di valutazione del rischio deriva:

A) per le strutture di tipo civile residenziale non luoghi di lavoro, dall’Art. 5 comma “d” del DM 37/2008 in edifici con volume superiore a 200 mcse è interpretabile la progettazione del LPS (Art. 5.) come una valutazione (prevedibile appuntop per edifici con sup. maggiore di 200 mq ma non chiara se sup. minore di 200 mq (chiarimenti attesi).

Art. 5. Progettazione degli impianti
...
d) impianti elettrici relativi ad unità immobiliari provviste, anche solo parzialmente, di ambienti soggetti a normativa specifica del CEI, in caso di locali adibiti ad uso medico o per i quali sussista pericolo di esplosione o a maggior rischio di incendio, nonché per gli impianti di protezione da scariche atmosferiche in edifici di volume superiore a 200 mc;

B) per i luoghi di lavoro l’obbligo deriva dalgli Artt 80 e 84 del D,Lgs. 81/2008.

Art. 84 Protezioni dai fulmini
Il datore di lavoro provvede affinché gli edifici, gli impianti, le strutture, le attrezzature, siano protetti dagli effetti dei fulmini realizzati secondo le norme tecniche. 

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La gestione della sicurezza antincendio negli edifici storici

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La gestione della sicurezza antincendio negli edifici storici CFPA

La gestione della sicurezza antincendio negli edifici storici

Valutazione del rischio
La valutazione del rischio è il primo passo della gestione della sicurezza antincendio, un processo continuativo che ha lo scopo di raggiungere e mantenere un certo livello di sicurezza antincendio in un edificio storico. Investire in una progettazione della valutazione del rischio fatta da professionisti – una squadra di consulenti di prevenzione incendi ed esperti di restauro - e la preparazione di una analisi costi-benefici può fornire soluzioni accettabili e far risparmiare soldi. Le misure di protezione antincendio devono essere basate sulla valutazione del rischio.

La valutazione del rischio deve essere mantenuta aggiornata. Deve essere revisionata ad intervalli regolari, non meno di una volta l’anno, prima e dopo gli interventi di manutenzione, di eventi speciali ecc. Normalmente, il personale interno appositamente formato può controllare se la sicurezza antincendio è al livello richiesto e chiedere aiuto ai consulenti antincendio, se necessario.

Documentazione.
Occorre predisporre una documentazione completa che descriva l’edificio ed i suoi impianti antincendio, il cambio di uso dell’edificio con un occhio alla prevenzione incendi, la struttura organizzativa in atto per la prevenzione incendi e le modifiche che avvengono nel tempo. Occorre prendere in considerazione se un certo cambiamento riduce il livello di sicurezza antincendio dell’edificio. La documentazione deve essere elaborata e conservata dal personale interno che è ben a conoscenza delle procedure e delle caratteristiche dell’edificio.

Le informazioni su tutti gli impianti e dispositivi antincendio devono essere descritta nel dettaglio in un Manuale della sicurezza antincendio o in un documento simile, secondo la normativa nazionale. Questo Manuale della sicurezza antincendio deve comprendere le planimetrie dei piani con la posizione degli estintori, degli idranti, delle valvole di intercettazione del gas, degli schemi elettrici, schede di sicurezza e liste delle parti di ricambio. Il Manuale della sicurezza antincendio deve anche comprendere le istruzioni operative, di servizio e di manutenzione per gli impianti e dispositivi antincendio, insieme ai dettagli di ogni modifica o miglioramento effettuato su tali dispositivi. Nel Manuale della sicurezza antincendio occorre anche scrivere le procedure di sicurezza per occasioni speciali quando ci si attende un rischio più elevato. Le occasioni speciali sono eventi speciali con fuochi artificiali e/o con attrezzature elettriche addizionali, dove si svolgono lavori a caldo (vedere il punto 6.1.4), ecc.

Un Registro antincendio o documento simile, in conformità alle normative nazionali, deve essere creato ed utilizzato per registrare informazioni come per esempio:
- Sessioni formative antincendio, compresa la durata dell’evento, il contenuto ed il nome di coloro che vi hanno partecipato.
- Esercitazioni antincendio, compreso il tempo, la durata ed il nome di coloro che vi hanno partecipato. La registrazione deve comprendere una colonna “commenti” per annotare qualsiasi problema particolare o altre osservazioni. Se si incontra un problema o una difficoltà, occorre anche fornire i dettagli della
soluzione.
- Ispezioni o visite effettuate dal personale del servizio antincendio, dai Vigili del Fuoco, dalle compagnie assicuratrici, o da altre persone, con brevi dettagli di qualsiasi osservazione effettuata.
- Dettagli completi di tutte le manutenzioni sugli impianti antincendio, compresa l’illuminazione di sicurezza. Si raccomanda che queste informazioni siano registrate nel Registro antincendio anche quando ci siano altri registri separati per la manutenzione, come per esempio l’impianto di rivelazione incendio o
gli impianti di allarme.
- Dettagli di ogni incendio, falso allarme o altri argomenti di interesse insieme con le risposte o le azioni di rimedio adottate.

Un Piano di limitazione del danno deve essere la base di tutto il lavoro da svolgere quanto scoppia un incendio e per aiutare i Vigili del Fuoco nel caso sia necessario.

Il Piano di limitazione del danno deve esporre con un certo dettaglio la risposta dell’organizzazione all’emergenza e deve comprendere informazioni come per esempio:
- Una breve descrizione dei luoghi e della loro destinazione d’uso.
- Una planimetria generale che mostri le strade di accesso, le strade interne, gli idranti e altri elementi come le saracinesche del gas principali ed i locali quadri elettrici generali.
- L’identificazione degli elementi che possono essere rimossi durante una emergenza, insieme alla posizioni sicure predefinite nelle quali gli elementi possono essere trasportati.
- L’allocazione dei compiti ai dipendenti ed alle altre persone, insieme ai numeri di telefono fissi o mobili.
- I compiti dei dirigenti e dei supervisori.
- I rapporti con i servizi antincendio e di soccorso.
- I nomi e gli indirizzi delle risorse come consulenti, specialisti della conservazione, ecc.

Nello sviluppo del Piano di limitazione del danno, occorre stabilire un sistema di categorizzazione per garantire che ci sia una chiara priorità nella rimozione degli oggetti. Questo deve identificare:
- Prima priorità: oggetti di valore storico internazionale che sono intimamente connessi con l’edificio o con i suoi precedenti occupanti.
- Seconda priorità: oggetti di valore nazionale o che sono importanti per spiegare la storia dell’edificio e dei suoi occupanti. Questo insieme deve anche comprendere oggetti che hanno un alto valore monetario.
- Terza priorità: oggetti che sarebbe difficile o costoso rimpiazzare e che contribuiscono alla storia dell’edificio.
- Non classificati: oggetti che saranno lasciati al loro posto.
Il Piano di limitazione del danno deve essere sviluppato e aggiornato con la cooperazione dei Vigili del Fuoco locali.

...segue

Linea Guida CFPA-E N. 30:2013 F

D.P.R. n. 151/2011 
...
Attività n. 72 (solo categoria C)
Edifici sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, aperti al pubblico, destinati a contenere biblioteche ed archivi, musei, gallerie, esposizioni e mostre, nonché qualsiasi altra attività contenuta nel presente Allegato.

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Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento golfari

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Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento golfari

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento golfari

I golfari sono accessori di sollevamento così come definito dalla direttiva 2006/42/CE: “Gli accessori di sollevamento sono componenti o attrezzature non collegate alle macchine per il sollevamento, che consentono la presa del carico, disposti tra la macchina e il carico oppure sul carico stesso, oppure destinati a divenire parte integrante del carico e ad essere immessi sul mercato separatamente; anche le imbracature e le loro componenti sono considerate accessori di sollevamento”. Per meglio identificare i golfari come accessori di sollevamento, nel dicembre 2009, è stata emessa, dalla Commissione Europea la “Classification of equipment used for lifting loads with lifting machinery” riferita proprio alla direttiva 2006/42/CE.

La finalità del presente elaborato è quella di fornire informazioni finalizzate all’uso in sicurezza dei golfari e le indicazioni per eseguire, anche sulla scorta di numerosi esempi riportati, una valutazione del rischio connessa all’utilizzo di questa tipologia di accessori di sollevamento. Poiché, nella vostra azienda possono essere presenti situazioni non riportate all’interno del presente elaborato, lo stesso NON deve essere inteso come uno strumento sostitutivo del manuale istruzioni, fornito dal costruttore dell’ attrezzatura di lavoro, che rimane lo strumento principale di riferimento per l’utilizzatore.

ATS  Brianza 2017

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Calcolatore GVR | ATS Brianza

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CalcolatoreGVR

Calcolatore GVR | ATS Brianza

06.03.2019

Nell'ottica delle funzioni di "Assistenza alle imprese", (art. 10 del D.Lgs. n. 81/2008), e Promozione della Sicurezza erogate dall'ATS Brianza, è stato congegnato il calcolatore GVR al fine di facilitare i portatori di interesse nella gestione delle attrezzature a pressione e gli impianti termici per i quali, dall'analisi delle statistiche relative agli ultimi anni, relative alle ispezioni nei confronti delle aziende afferenti alle provincie di Monza e Brianza e Lecco, sono emerse criticità connesse nell'ottemperanza agli obblighi previsti dalla relativa normativa che si caratterizza per un'oggettiva complessità.

Il calcolatore fornisce indicazioni sulla eventuale assoggettabilità delle attrezzature al DM n. 329/04 e al regime delle verifiche periodiche (art. 71, comma 11, D.Lgs. n. 81/2008). Premesso che la responsabilità della valutazione dei rischi è in capo al datore di lavoro, al riguardo, è opportuno che lo stesso si confronti con persone esperte in materia di recipienti a pressione e/o sicurezza sul lavoro al fine di determinare, con assoluta certezza, la correttezza dei dati inseriti e gli obblighi di legge connessi all'uso in sicurezza 

L’obiettivo è tutelare la sicurezza del lavoratore, fornendo alle aziende informazioni chiare per facilitarle nell’individuazione delle attrezzature da denunciare e far così emergere, dal sommerso, quelle prive dei controlli e delle verifiche ovvero quelle che potenzialmente non sono idonee ai fini della sicurezza. Infatti, attraverso la verifica periodica, in aggiunta alla prove previste, si accerta: che la configurazione dell’attrezzatura sia tra quelle previste nelle istruzioni d’uso; la regolare tenuta del registro di controllo; lo stato di conservazione.

https://webapp.ats-brianza.it/impiantistica/calcolatore/index.asp?CALCOLATORE+GVR.x=136&CALCOLATORE+GVR.y=38

Fonte: ATS Brianza

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Codice comportamento Imprese di Costruzioni / ANCE

ID 8155 | | Visite: 6897 | Documenti Sicurezza Enti

Codice comportamento Imprese di Costruzioni   ANCE 2019

Codice comportamento Imprese di Costruzioni / ANCE 2022

ID 8155 | Update 30.03.2024

Include tutte modifiche legislative apportate al DLgs 231/2001 a Marzo 2022.

Ai sensi dell’art. 6, comma 3,  Del dlgs. 8 giugno 2001, n. 231 e s.m.i.

Scarica questo file (Codice comportamento Imprese di Costruzioni - ANCE 2019.pdf)  Codice comportamento Imprese di Costruzioni ANCE 2022
Scarica questo file (Codice comportamento Imprese di Costruzioni - ANCE 2019.pdf)  Codice comportamento Imprese di Costruzioni ANCE 2019
Scarica questo file (Codice comportamento Imprese di Costruzioni - ANCE 2019.pdf)  Codice comportamento Imprese di Costruzioni ANCE 2013
Scarica questo file (Codice comportamento Imprese di Costruzioni - ANCE 2019.pdf)  Codice comportamento Imprese di Costruzioni ANCE 2008

Rev. 2022

Il presente Codice di comportamento costituisce il documento, aggiornato a tutto marzo 2022, redatto dall'ANCE in ottemperanza al disposto di cui all'art. 6 comma 3 del DLgs 231/2001.

La Prima Parte del Codice intende fornire alle imprese aderenti all’ANCE le conoscenze necessarie e la metodologia generale per la predisposizione di un Modello di Organizzazione e Gestione conforme al DLgs 231/2001, finalizzato alla prevenzione dei reati presupposto della responsabilità amministrativa introdotta dallo stesso DLgs 231/2001.

La Seconda Parte del Codice identifica l’azienda di costruzione considerata “standard” ed effettua, sempre con riferimento ai reati presupposto della responsabilità amministrativa, una esaustiva analisi dei rischi reato per tale impresa, da porre in correlazione con i protocolli di prevenzione che saranno sviluppati nella parte successiva.

La Terza Parte del Codice, vale a dire il «Modello tipo di organizzazione e gestione - MOG», fornisce alle imprese aderenti all'ANCE una guida operativa dettagliata per la elaborazione dei documenti prescrittivi della singola azienda (Codice Etico, Parte Generale e Parte Speciale del MOG) in coerenza con le previsioni del «Codice di comportamento»; quanto presentato in questa Terza Parte, riferito ad una impresa di costruzioni standard, deve essere oggetto di concreta e puntuale valutazione e personalizzazione da parte di ciascuna impresa, alla luce delle proprie peculiarità operative, dimensionali ed organizzative: tale personalizzazione può essere validamente supportata da un software (SQuadra231) che ANCE mette a disposizione gratuita delle imprese associate.

In funzione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative e produttive, la singola impresa può decidere di dare attuazione anche solo parziale a quanto previsto dal presente Codice di comportamento.

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Malattie professionali nei siti di interesse nazionale per le bonifiche

ID 8142 | | Visite: 3306 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

SIN 2019

Le malattie professionali nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN)

Il volume riporta i dati relativi ai casi di malattia professionale riconosciuti con esito positivo da parte dell’Inail nei residenti nei territori definiti "siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN)"

Sono analizzati 11.015 casi di malattie professionali verificatesi nel periodo 2010-2014 nei 44 siti considerati e calcolati gli indicatori di rischio rispetto alla dimensione degli attesi su base di macroarea geografica. Per ogni sito sono disponibili specifiche schede descrittive comprensive dei risultati epidemiologici, della loro interpretazione e discussione critica e dell’analisi dei risultati degli studi analitici già disponibili nella letteratura scientifica.

L’analisi dello stato di salute nelle popolazioni residenti nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN) è sistematicamente sviluppata dall’Istituto superiore di sanità, con i metodi definiti nel progetto SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e insediamenti esposti a rischio di inquinamento) e nell’ambito di una collaborazione scientifica con una rete di istituzioni operanti a livello nazionale e regionale. Recentemente l’approccio di sorveglianza sistematica degli indicatori di salute e di analisi a priori delle evidenze disponibili (che rappresenta il paradigma concettuale di riferimento di tale esperienza) è stato incluso dall’Organizzazione mondiale della sanità fra quelli riconosciuti come validi per caratterizzare lo stato di salute dei residenti nei siti. Il progetto SENTIERI ha prodotto con carattere di sistematicità analisi accurate della distribuzione dei decessi per causa, dei ricoveri ospedalieri e dell’incidenza dei tumori nelle popolazioni residenti nei siti. Tali analisi costituiscono uno strumento prezioso per la programmazione sanitaria, per orientare le attività di risanamento e bonifica e per la verifica della loro efficacia.

Il rischio per la salute di natura strettamente ambientale (in relazione alla mera residenza dei soggetti nei pressi di fonti di inquinamento) e il rischio di natura occupazionale sono strettamente connessi e agiscono in modalità sinergiche. Tale evidenza risulta particolarmente cogente quando si discute di popolazioni residenti nei SIN, nei quali in molti casi il profilo dei lavoratori nei contesti produttivi coinvolti e dei residenti nelle aree di insediamento possono coincidere. La natura dei rischi per la salute, le modalità di esposizione e i meccanismi di tutela per gli esposti di origine ambientale e occupazionale sono tuttavia strutturalmente diversi ed è stato ripetutamente evidenziato come sia di grande rilevanza la definizione di strumenti metodologici che consentano di isolare e di stimare separatamente lo specifico contributo dell’esposizione di origine professionale allo stato di salute dei residenti.

Lo scopo di questo volume, redatto in collaborazione fra le strutture dell’Inail dedicate alla ricerca epidemiologica e alla consulenza medica, statistica e attuariale, è di fornire una stima del rischio di origine strettamente professionale nei SIN, sulla base dell’analisi dei casi di malattia professionale riconosciuti dall’Istituto. La stima della componente di origine professionale, oltre a fornire un contributo significativo nell’analisi dello stato di salute dei residenti, può aprire la strada alla definizione di strumenti metodologici per identificare con maggiore accuratezza i danni per la salute attribuibili alla specifica componente di compromissione ambientale in senso stretto.

Sono stati analizzati i casi di malattia di origine professionale riconosciuti dall’Inail nel periodo 2010 - 2014 fra i residenti nei 44 SIN considerati. La selezione dei SIN è coerente con i precedenti studi epidemiologici condotti nell’ambito del progetto SENTIERI ed è determinata dalle caratteristiche relative ai territori costituenti il SIN che in alcuni casi non consentivano le analisi statistiche. La scelta di non escludere alcuna malattia deriva dalla natura dello studio che si caratterizza per l’approccio di tipo ecologico. L’indicatore statistico utilizzato è il Rapporto standardizzato di incidenza (SIR) di malattia professionale. Per la stima di tali rapporti è stato utilizzato il riferimento di ripartizione geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole).

Tale indicatore consente quindi di valutare la significatività di eventuali eccessi nel numero di casi di malattia professionale rispetto al numero atteso stimato, sulla base del tasso di macroarea geografica.

Nei 44 siti considerati, nel periodo 2010 - 2014, sono stati riconosciuti 11.015 casi di malattia professionale (8.877 negli uomini e 2.138 nelle donne). Le malattie del sistema muscoloscheletrico (3.715 e 1.197 rispettivamente negli uomini e nelle donne), del sistema respiratorio (1.910; 50), le ipoacusie (1072; 6) e i tumori di origine professionale (1.134; 40) sono le patologie predominanti.

L’analisi dei rapporti standardizzati di incidenza ha evidenziato un eccesso del 24,2 %, pari a 1.732 casi, nel periodo considerato rispetto all’atteso per gli uomini (346 casi per anno). Nelle analisi territoriali gli eccessi risultano significativi per i siti di Casale Monferrato, Cengio e Saliceto, Broni e, nei soli uomini, Pieve Vergonte e Pitelli nel Nord-Ovest; per i siti di Sassuolo - Scandiano e, nei soli uomini, Laguna di Grado - Marano e Trieste nel Nord-Est; per i siti di Livorno, Terni, Basso bacino del fiume Chienti e, nei soli uomini, Piombino e Massa Carrara nel Centro; per i siti di Sulcis - Iglesiente - Guspinese e, nei soli uomini, Area litorale vesuviano, Taranto, Aree industriali Val Basento, Tito, Gela, Biancavilla nel Sud.

Nell’analisi per singola malattia, devono essere sottolineati gli eccessi per mesotelioma e tumore del polmone in numerosi siti, in alcuni casi senza che l’amianto sia esplicitamente citato fra i contaminanti nei documenti di caratterizzazione dei siti. Le specifiche analisi per tipo di malattia professionale e territorio sono riportate in dettaglio nella sezione dei risultati del presente volume e offrono numerosi spunti di discussione.

I risultati presentati devono essere valutati tenendo presente i limiti della base di dati e delle modalità di analisi. In particolare si deve porre attenzione alla circostanza che sussistono alcune categorie lavorative che godono di regimi specifici di tutela assicurativa per il rischio di malattia e infortunio non gestiti dall’Inail e sono quindi esclusi da questa analisi dei dati. Il criterio inoltre di assegnazione dei soggetti ammalati ai vari territori è quello della residenza al momento del riconoscimento di malattia ed è possibile quindi la sussistenza di un bias di attribuzione geografica.

Con i limiti appena citati, le analisi presentate in questo volume costituiscono il primo tentativo nel nostro paese di offrire un quadro puntuale della distribuzione dei rischi per la salute di origine strettamente occupazionale nei siti di interesse nazionale per le bonifiche. Si tratta anche di un tentativo di introdurre i dati relativi ai riconoscimenti di malattia professionale nella discussione epidemiologica e in particolare nell’ambito degli studi ecologici di sorveglianza. Questo ultimo elemento di riflessione si pone con coerenza nella rinnovata missione dell’Istituto come ente deputato alla tutela complessiva dei lavoratori e come polo di ricerca scientifica per la salute e la sicurezza del lavoro.

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Contenuto:

Sintesi
Guida alla lettura
Obiettivi e razionale dell’analisi delle malattie di origine professionale nell’ambito della sorveglianza epidemiologica nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN)
Fonti dei dati, metodi e indicatori epidemiologici per l’analisi delle malattie professionali nei SIN
Risultati
Schede
Area industriale Porto Torres (APT)
Area litorale vesuviano (ALV)
Aree industriali val Basento (AVB)
Bacino idrografico fiume Sacco (BFS)
Balangero (BAL)
Bari - Fibronit (BAR)
Basso Bacino fiume Chienti (BBC)
Biancavilla (BIA)
Bolzano (BOL)
Brescia Caffaro (BRE)
Brindisi (BRI)
Broni (BRO)
Casale Monferrato (CAS)
Cengio e Saliceto (CES)
Cerro al Lambro (CER)
Cogoleto Stoppani (COS)
Crotone - Cassano - Cerchiara (CCC)
Emarese (EMA)
Falconara marittima (FAL)
Fidenza (FID)
Gela (GEL)
Laghi di Mantova e polo chimico (LMN)
Laguna di Grado e Marano (LGM)
Litorale domizio-flegreo e Agro aversano (LDF)
Livorno (LIV)
Manfredonia (MAN)
Massa Carrara (MSC)
Milazzo (MIL)
Orbetello (ex Sitoco) (ORB)
Pieve Vergonte (PIV)
Pioltello Rodano (PIR)
Piombino (PIO)
Pitelli (PIT)
Priolo (PRI)
Sassuolo - Scandiano (SAS)
Serravalle Scrivia (SER)
Sesto San Giovanni (SES)
Sulcis - Iglesiente - Guspinese (SIG)
Taranto (TAR)
Terni - Papigno (TER)
Tito (TIT)
Trento nord (TRE)
Trieste (TRI)
Venezia (Porto Marghera) (VEN)
Conclusioni
Bibliografia e sitografia
Appendice

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Fonte: INAIL

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Nuove tariffe Inail | decreti interministeriali 27.02.2019

ID 8122 | | Visite: 9792 | News Sicurezza

Nuove tariffe Inail

Nuove tariffe Inail: i decreti interministeriali registrati alla Corte dei  Conti

01.04.2019

La Corte dei Conti ha registrato i tre decreti del 27 febbraio - relativi alle gestioni Industria, Artigianato, Terziario e altre attività, alla gestione Navigazione e ai premi speciali dei titolari di aziende artigiane, dei soci di società fra artigiani lavoratori e dei familiari coadiuvanti - con cui il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, ha approvato il nuovo sistema tariffario predisposto dall’Inail.

A quasi 20 anni dall’ultimo aggiornamento, la revisione delle tariffe dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, in vigore dall’inizio di quest’anno, ha riguardato l’aggiornamento del nomenclatore, il ricalcolo dei tassi medi e il meccanismo di oscillazione del tasso per andamento infortunistico.

Confermata la riduzione per interventi di prevenzione. Nel nuovo impianto, il calcolo dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico tiene conto della gravità degli infortuni e non semplicemente degli oneri sostenuti dall’Istituto per indennizzarli. È stata inoltre confermata la riduzione del premio per gli interventi di prevenzione realizzati in ambito aziendale, così come l’impegno per il sostegno dei progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro previsti dal Testo Unico del 2008, in linea con le risorse erogate in media nell’ultimo quinquennio.

Introdotte nuove voci ed eliminate quelle relative ad attività obsolete. Il sistema è stato reso più aderente agli attuali fattori di rischio attraverso una razionalizzazione delle voci di tariffa, che si è tradotta nell’eliminazione di quelle relative ad attività obsolete e nell’introduzione di nuove voci che tengono conto dell’evoluzione tecnologica e delle nuove modalità di organizzazione del lavoro.

Il taglio degli oneri per le aziende sale a 1,7 miliardi. La revisione ha comportato anche una riduzione del 32,72% – dal 26,53 per mille del 2000 al 17,85 per mille – dei tassi medi nazionali per le imprese, che sono stati calcolati prendendo come riferimento i dati relativi all’andamento infortunistico e tecnopatico nel triennio 2013-2015 e le retribuzioni soggette a contribuzione di competenza nello stesso periodo, mentre il taglio complessivo dell’onere finanziario che ricade sulle aziende è aumentato di circa 500 milioni, fino a 1,7 miliardi di euro.

Previsto un monitoraggio costante per rispondere ai cambiamenti del mondo produttivo. Dopo il primo triennio di applicazione delle nuove tariffe, il nuovo sistema sarà sottoposto a una verifica rispetto alle trasformazioni, anche tecnologiche, del mondo produttivo e ai risultati attesi con la sua introduzione. È già prevista, inoltre, la possibilità di introdurre nuove voci di tariffa nel caso in cui sia impossibile ricondurre le attività a quelle esistenti.

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Fonte: INAIL

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 13590 | 28 Marzo 2019

ID 8116 | | Visite: 2186 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Trauma da schiacciamento del braccio: incompletezza del sistema di protezione del nastro trasportatore

Penale Sent. Sez. 4 Num. 13590 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 15/03/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Ferrara resa in data 8.07.2016, nei confronti di O.A., in relazione alla contravvenzione di cui agli artt. 70 comma 1 e 87 comma 2 d.lgs 81/2008 (capo A), nonché del delitto di lesioni colpose cui all'art. 590 comma 3 (capo B) indicato in rubrica, fatti commessi il 22.05.2012, confermava la responsabilità penale e la condanna alla pena di euro 3.000,00 di ammenda e 4 mesi di reclusione; revocava le statuizioni civili all'esito della rinuncia della costituzione di parte civile con allegata quietanza dell'avvenuta transazione.
2.O.A., legale rappresentante della Società S.E.I Escavazione inerti s.p.a., nella sua qualità di datore di lavoro è stato ritenuto responsabile per addebiti di colpa generica e specifica delle lesioni gravi riportate dal dipendente B. che, intento nello stabilimento di Settepolesini di Bondeno all'attività di controllo degli impianti, in particolare della macchina nastro trasportatore, inciampava urtando il carter di protezione laterale del macchinario e a causa dell'incompletezza del sistema di protezione del nastro trasportatore andava a finire con il braccio dentro il rullo del nastro in movimento che lo trascinava all'interno provocandogli "trauma da schiacciamento arto superiore sinistro con vasta ferita lacero contusa e frattura stiloide ulnare". Ciò in quanto, come ricostruito dai tecnici AUSL intervenuti sul luogo dell'infortunio, il carter di protezione del nastro trasportatore era incompleto e inadeguato, essendovi uno spazio non coperto nel quale appunto si era insinuato il braccio del dipendente nella caduta. A seguito delle prescrizioni dopo l'infortunio, infatti, era stato indicato l'adeguamento del macchinario alle normative del settore, mediante l'installazione di una gabbia metallica di protezione avvolgente interamente le parti in movimento.
La Corte di merito confermava l'affermazione di responsabilità penale, escludeva, inoltre, che la condotta del lavoratore potesse essere qualificata come abnorme.
3. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, O.A..
Con il primo motivo l'esponente deduce con riferimento al capo B) il vizio motivazionale in particolare contraddittorietà e illogicità della motivazione, travisamento del fatto. Evidenzia in particolare una contraddizione tra la ricostruzione fattuale del primo giudice e quella della Corte territoriale con riferimento al punto di ingresso dell'arto del lavoratore, collocato, nella sentenza impugnata, nella parte terminale del nastro privo di copertura e, dal giudice di primo grado, lungo il carter della macchina che piegandosi ha consentito il contatto traumatico.
Lamenta una inadeguata valutazione del nesso causale con riferimento alla condotta asseritamente omissiva attribuita al titolare della posizione di garanzia e deduce che il nastro trasportatore era conforme alla normativa di sicurezza, come certificato dal produttore ed era stato valutato positivamente dalla ditta che ha redatto il documento di sicurezza e che nessuna contestazione era stata mosso dagli ispettori intervenuti.
Con il secondo motivo si duole del mancato riconoscimento dei benefici di legge e delle attenuanti generiche. Ritiene che, sul punto, in sentenza siano state adottate mere formule di stile, da ritenersi inappropriate in riferimento al reato colposo per cui si procede, anche alla luce del risarcimento dei danni intervenuto in corso di causa.

Considerato in diritto

1. Il ricorso impone i seguenti rilievi.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Giova ricordare che questa Suprema Corte ha chiarito che il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (tra le altre Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).
Deve poi considerarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa "lettura" dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all'ambito di cognizione della Corte di Cassazione. Ebbene, si deve in questa sede ribadire l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, Rv. 233464).
3.1 Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo alla ricostruzione della dinamica del fatto ed alla affermazione di penale responsabilità alla luce di un preteso travisamento della prova. Giova ricordare che il vizio di travisamento della prova, nel caso in cui i giudici delle due fasi di merito siano pervenuti a decisione conforme, può essere dedotto solo nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep.2014, Nicoli, Rv.258432) ovvero qualora entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forme di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), il riscontro della persistente infedeltà delle motivazioni dettate in entrambe le decisioni di merito (Sez.4, n.44765 del 22/10/2013, Buonfine, 256837).
Sul punto , la Corte territoriale ha sviluppato un percorso motivazionale immune da aporie di ordine logico e saldamente ancorato all'acquisito compendio probatorio,già evidenziato dal primo giudice. Non vi è infatti alcuna contraddizione e tantomeno travisamento della prova nella ricostruzione della dinamica dell'incidente operata dai Giudici di merito in quanto il Tribunale di Ferrara aveva affermato che il B. era caduto mentre stava controllando un cuscinetto del nastro trasportatore che sembrava sul punto di rompersi, aveva così urtato il carter facendolo ripiegare su se stesso e andando a impattare nello "spazio non coperto dal lamierino" che a seguito dell'urto si era amplificato (fol 1); la Corte di appello nella valutazione del motivo di gravame, volto ad attribuire la causa determinante dell' infortunio alla caduta della persona offesa che con il suo peso avrebbe determinato il cedimento e la deformazione parziale del lamierino, valorizzava la testimonianza del teste M. del Servizio AUSI di Ferrara, secondo cui la copertura del nastro trasportatore era incompleta mancando la protezione per oltre 13 metri di lunghezza del nastro, di conseguenza la " zona situata fra il rullo e la parte inferiore del nastro era accessibile come poi rilevato nel verbale di contravvenzione elevato a seguito dell'ispezione del 22.05.2012"( fol 4).
Muovendo da tali rilievi, la Corte territoriale ha quindi escluso il carattere abnorme della condotta posta in essere dal lavoratore e ribadito la sussistenza del nesso causale tra la violazione della normativa antinfortunistica riscontrata e l'evento lesivo verificatosi. Preme allora evidenziare che il richiamato percorso argomentativo si colloca nell'alveo dell'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità. Invero, la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Segnatamente, si è chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili - come avvenuto nel caso di specie - della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. 2000, Rv. 215686). E la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, Rv. 236109).
3. Il secondo motivo di ricorso non ha pregio.
Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, 22 settembre 2003, n. 36382 Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua", Sez. 4, 4 agosto 1998 n. 9120, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298).
Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie. La Corte di Appello, infatti, ha chiarito: che l'imputato è gravato da un precedente specifico per violazione della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza e di un reato di natura fiscale e per l'attività di gestione dei rifiuti non autorizzata elementi che denotano il disprezzo per il bene giuridico tutelato e gli interessi della collettività. Sulla scorta di tali rilievi, il Collegio ha legittimamente motivato che non vi erano ragioni per ritenere sussistente un ravvedimento, tale da giustificare la concessione delle attenuanti generiche e per ritenere che, in futuro, l'O.A. si asterrà dalla commissione di altri reati. Trattasi di valutazioni prognostiche immuni da aporie logiche e del tutto conferenti, anche in riferimento alla natura colposa dell'illecito per il quale oggi si procede.
4. Quanto al reato di cui al capo A), va osservato la contravvenzione per la quale l’imputato è stato tratto a giudizio è prescritta, essendo maturato il termine massimo di cinque anni prima della pronuncia della sentenza da parte della corte d’appello. Invero il reato risulta essere stato commesso il 22.05.2012 il termine di prescrizione, a norma degli artt. 157 e 161 c.p., è spirato il 22.5.2017, prima della pronuncia della sentenza di impugnata avvenuta il 20.03.2018.
Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità. Pertanto, ricorrono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. maturate.
Mette conto considerare che il giudice di legittimità può rilevare d’ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d’appello, pur se non dedotta in quella sede, purché, a tal fine, non occorra alcuna attività di apprezzamento delle prove finalizzata all’individuazione di un "dies a quo" diverso da quello indicato nell'imputazione contestata e ritenuto nella sentenza di primo grado (cfr. Sez.U. n.1206 del 17.12.2015,Ricci; Sez. 4 27019 del 16.06.2015 rv 263879-01;Sez. 3, n. 14438 del 30/01/2014,Pinto, Rv. 259135; Sez. 2, Sentenza n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096).
5. In conclusione la sentenza impugnata va, annullata senza rinvio per quanto attiene alla condanna di cui al capo A), per essere il reato contestato estinto per prescrizione, poiché non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., non potendosi constatare con evidenza dagli atti l'insussistenza del fatto-reato.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto, previa rideterminazione della pena per il capo B), così come indicata in dispositivo e risultante dalla pronuncia del Giudice di primo grado.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla contravvenzione di cui al capo A) e per l'effetto ridetermina la pena finale in mesi quattro di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 15.03.2019

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 12869 | 25 Marzo 2019

ID 8081 | | Visite: 2948 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Interferenza tra pedoni e veicoli e rischio di investimento

Posizioni di garanzia in relazione all'infortunio mortale del lavoratore investito e schiacciato da un carrello

Penale Sent. Sez. 4 Num. 12869 Anno 2019

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: BELLINI UGO
Data Udienza: 11/12/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Firenze con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, riconosceva a tutti e tre gli imputati le circostanze attenuanti generiche e rideterminava la pena in anni uno mesi quattro di reclusione nei confronti di L.G. e in sei mesi di reclusione ciascuno nei confronti di F.L. e di P.L. in relazione al reato di omicidio colposo ai danni del lavoratore R.L. il quale era stato investito e schiacciato da carrello trasportatore di materiale in acciaio all'interno di area di movimentazione e stoccaggio (TVE) di proprietà della azienda L. ma in uso alla società TRAILER s.p.a., incaricata dalla prima dell'Immagazzinamento e della spedizione dei rotoli di acciaio realizzati nel reparto.
1.2 A L.G., amministratore delegato della TRAILER s.p.a., datore di lavoro del conducente del carrello investitore e responsabile dell'area destinata a spedizione e a magazzino del materiale di acciaio (vergella) era contestato di avere omesso di fornire disposizioni e di avere fatto rispettare le regole di circolazione durante l'uso dei carrelli e di non avere adottato misure organizzative tese ad evitare la circolazione di pedoni nelle aree riservate all'attività dei carrelli in violazione degli art.35 e 4 bis L.626/1994.
1.3 A P.L. quale dipendente e responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della L. s.p.a. veniva contestato di avere omesso di inserire nel DUVRI il rischio connesso alla insufficiente illuminazione dei locali adibiti allo stoccaggio e al trasporto dei prodotti in acciaio e di avere omesso di informare adeguatamente i dipendenti della L. dei rischi derivanti dalla interferenza con l'attività demandata al personale della TRAILER s.p.a., nonché per avere omesso di fornire disposizioni sulla segnalazione delle vie di circolazione dei carrelli, in violazione degli art.4, co.I, 21 e 22 d.lvo 626/94 e art. 2 d.lvo 493/96.
1.4 A F.L. infine, quale capo reparto dell'area TVE era contestato di avere omesso di informare adeguatamente i dipendenti della L. dei rischi derivanti dalla interferenza con l'attività demandata al personale della TRAILER s.p.a., nonché per avere omesso di coordinarsi con i responsabili della TRAILER in relazione all'attività svolta nell'area TVE, e di segnalare alla direzione l'assenza di una adeguata segnaletica di sicurezza per la circolazione dei carrelli all'interno della suddetta area, in violazione degli art. 21 e 22 e 7 co.II D.L..VO 626/94 e 2 D.L.vo 493/96.
2. Il Giudice distrettuale, escluso il profilo di colpa specifica relativo alla omessa valutazione dei rischi connessi alla insufficiente illuminazione e ripercorsa l'istruttoria dibattimentale, ravvisava la ricorrenza di tutti gli ulteriori profili di colpa ascritti, in particolare ponendo in rilievo la mancata cooperazione e il mancato coordinamento, da parte dei soggetti investiti di posizioni di garanzia in rappresentanza delle rispettive aziende, nella predisposizione di misure idonee a salvaguardare i lavoratori dal rischio di investimento, sia per carente previsione ed adozione di sistemi di sicurezza idonei a consentire ai conducenti dei carrelli una adeguata visibilità ambientale, sia in relazione alla previsione, alla adozione e al mantenimento in buono stato di manutenzione di percorsi pedonali atti ad impedire l'interferenza tra pedoni e veicoli nella porzione di area TVE, pure in uso alla società TRAILER s.p.a. rispetto alla quale peraltro non poteva ritenersi esclusa una programmazione coordinata anche in capo alla L. s.p.a. i cui dipendenti, a diverso titolo e anche per motivi non strettamente lavorativi (accesso alla mensa e agli altri servizi), erano adusi all'attraversamento dei percorsi carrabili in modo tale da interferire con il passaggio dei mezzi impiegati per il trasporto dei prodotti lavorati.
2.1 Escluso sotto diverso profilo il rilievo causale assorbente della condotta dell'operaio della L. intento, prima di essere attinto dal carrello, in incombenti personali, evidenziava che ciascuno dei profili di antidoverosità riconosciuti in capo ai prevenuti era risultato etiologicamente rilevante per la determinazione dell'evento che costituiva appunto la concretizzazione del rischio delle inosservanze contestate.
2.2 Sotto il profilo soggettivo escludeva che In relazione alla titolarità della posizione di garanzia del legale rappresentante della TRAILER s.p.a. si fosse realizzata una delega di funzioni idonea ad esonerare il delegante in ragione dell'ampiezza della procura non accompagnata dal richiamo di un ambito ben definito di competenze, soprattutto con riferimento al settore della sicurezza.
2.3 Quanto al F.L. ne riconosceva la responsabilità valorizzando la sua posizione di garanzia in ordine alla predisposizione e al mantenimento dei percorsi pedonali per i lavoratori e quale coordinatore tra i vari reparti dell'area TVE, mentre il P.L. era ritenuto responsabile quale soggetto delegato alla sicurezza sul luogo di lavoro per avere omesso nel DUVRI una valutazione del rischio specifico di investimento attraverso la individuazione di misure di prevenzione idonee e mediante il dettaglio di specifiche misure per l'accesso all'area TRAILER dei dipendenti della L., fornendo altresì ai dipendenti una idonea informazione e formazione sugli accessi e sui percorsi fruibili.
3. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione le difese degli imputati.
1 ricorrenti P.L. e F.L. prospettano cinque motivi di ricorso.
3.1 Con un primo motivo di ricorso la difesa degli imputati si duole di travisamento della prova e difetto motivazionale, nonché violazione di legge per errata applicazione dell'art.17 comma I lett.a) D.Lgs 81/2008 ovvero, in difetto, di difetto di motivazione sul punto.
Assume invero che la inferenza relativa alla non corretta valutazione del rischio da parte degli imputati con particolare riferimento alla predisposizione di percorsi pedonali all'interno del capannone TVE costituiva ipotesi di grave travisamento in ragione delle allegazioni documentali prodotte, tanto in relazione alle risultanze del confronto tra L. s.p.a. e USL 6 di Livorno, sia in relazione alla disposizione del lavoro 08/03 che regolamentava gli accessi alle zone di lavoro individuando percorsi sicuri per ogni tipo di spostamento.
In relazione alle asserite carenze riscontrate nella predisposizione del DVR rappresenta che in primo luogo si trattava di attività che faceva carico al datore di lavoro, cui non erano riconducibili le posizioni di garanzia dei ricorrenti e che comunque lo stesso presentava, in termini semplici e precisi il rischio di interferenza tra le lavorazioni.
I ricorrenti indicano altresì le fonti testimoniali in cui si faceva espresso riferimento alla presenza di percorsi pedonali e, sotto diverso profilo, evidenziarselo come nel POS della ditta L. fosse espressamente contemplato il rischio per la sicurezza dei dipendenti L. in relazione all'attività demandata alla TRAILER cui peraltro, quale garante della sicurezza per l'area in cui si svolgeva l'attività di trasporto e immagazzinamento dei prodotti lavorati, per espressa disposizione contrattuale, era demandata la predisposizione di strumenti di protezione.
3.2 Con il secondo motivo di ricorso la difesa dell'imputato F.L.
deduce travisamento della prova in relazione al contenuto e all'esatta portata delle dichiarazioni dell'imputato sulla cui base il giudice distrettuale aveva ravvisato ammissioni di responsabilità, ovvero conferme alla prospettazione accusatoria in punto di ricorrenza della posizione di garanzia, nonché deduce contraddittorietà in ordine alla valutazione del comportamento a questi ascritto di "mancato coordinamento" con l'attività degli altri caporeparto.
3.3 Con una terza articolazione si deduce inosservanza od erronea applicazione della legge penale in relazione all'art.40 cod.pen., dovendosi escludere la ricorrenza di una posizione di garanzia in capo all'imputato P.L., assumendo come la sua veste di ausiliario del datore di lavoro non fosse accompagnata da poteri gestori che ne potessero enucleare una autonoma responsabilità, né come l'infortunio occorso fosse riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di riconoscere o di segnalare. A tale proposito rilevava che lo stesso soggetto rispetto al quale il F.L. aveva svolto una veste ausiliaria, era stato assolto, così da escludere logicamente una possibile responsabilità concorsuale del F.L..
3.4 Con una quarta articolazione si deduce violazione di legge con riguardo agli art.40 e 41 cod.pen. stante l'effetto interruttivo del nesso di causalità del comportamento abnorme del lavoratore persona offesa.
Con una ultima articolazione si deduce violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata circostanza aggravante.
4. La difesa di L.G. articola tre motivi di ricorso.
Con una prima articolazione deduce violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza di una posizione di garanzia in capo al ricorrente. In particolare contestala le conclusioni cui era pervenuto il giudice di ' merito sia in relazione a profili formali, atteso che il L.G. aveva conferito procura institoria al coimputato L.P. in relazione a tutti gli aspetti afferenti alla gestione delle unità produttive in cui la TRAILER era stata chiamata ad operare di talché allo stesso competeva la qualifica di datore di lavoro in relazione agli aspetti organizzativi e tecnici di tale gestione, sia in relazione agli aspetti sostanziali di tale assunzione di responsabilità in quanto l'institore L.P. aveva operato in qualità di responsabile della TRAILER s.p.a. nei rapporti con la L. e con le proprie maestranze, in modo tale da costituire l'effettivo e unico gestore del rischio connesso alle suddette lavorazioni. Ad escludere poi una seppure concorrente posizione di garanzia del rappresentante deponeva la istruttoria dibattimentale da cui era emerso che mai il ricorrente aveva messo piede in cantiere o ivi aveva operato in una prospettiva di gestione o di controllo, né allo stesso poteva essere riconosciuta una residuale posizione di garanzia in una prospettiva di alta vigilanza in quanto gli addebiti allo stesso mosso attenevano a profili eminentemente operativi (conduzione dei carrelli elevatori) rispetto ai quali egli era rimasto totalmente estraneo.
4.1 Con una seconda articolazione assume violazione di legge con riferimento alla valutazione della condotta del lavoratore ai fini della interruzione del rapporto di causalità evidenziando le disposizioni normative del TU sulla sicurezza sul lavoro da cui scaturiscono specifici obblighi di attenzione, autoconservazione, cautela e di prevenzione anche in capo ai lavoratori, chiamati a operare sul luogo di lavoro e richiamando la giurisprudenza del S.C. volta ad attenuare la rilevanza di una concezione iper protettiva in capo al datore di lavoro, chiamato a vigilare e rispondere anche in presenza di gravi errori e disattenzioni del lavoratore.
Assume il ricorrente che nel caso in specie era stato raggiunto e superato il limite della assoluta esorbitanza, imprevedibilità ed eccentricità della condotta del lavoratore, dipendente peraltro della L., chiaramente imprudente e inosservanze di regole e divieti, il quale si era introdotto nel magazzino TVE destinato alla movimentazione dei carichi di vergella di rientro da una sortita all'esterno, distratto da una telefonata personale in cui era impegnato senza curarsi, né avvedersi della presenza di un carrello mobile che, lento pede, stava muovendosi nella sua direzione, omettendo di utilizzare gli spazi pedonali del cui corretto impiego avrebbero dovuto occuparsi i responsabili della L. quale proprietaria dell'area TVE e datrice di lavoro del dipendente che ivi si era avventurato.
4.2 Con una terza articolazione il ricorrente deduce carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al tema della responsabilità per colpa del L.G. in ragione alla visuale del conducente del carrello elevatore.
Assume in particolare la assoluta apoditticità e congetturalità di motivazione ove si rappresentava una limitazione di visibilità determinata da profili strutturali del carrello, ovvero da eventuali ostacoli rappresentati dal materiale trasportato nel carrello, laddove talune emergenze processuali e una consulenza tecnica di parte avevano escluso che la struttura del carrello e l'altezza raggiunta dalle lastre di vergella trasportata potessero rappresentare ostacolo alla visuale del conducente.
4.3 Con una quarta articolazione deduce travisamento della prova e difetto motivazionale con riferimento al contenuto del documento di valutazione dei rischi della ditta L. s.p.a. e del POS della ditta TRAILER s.p.a.
In particolare riporta il contenuto testuale di parti dei suddetti documenti in cui veniva espressamente enucleato e segnalato il rischio di interferenza tra lavoratore a piedi rispetto al transito dei carrelli, con l'ammonimento al rispetto della osservanza della segnaletica e dell'utiIizzo dei passaggi pedonali e con il richiamo ad un obbligo di osservanza di tali prescrizioni da parte dei dipendenti della L., come analogamente nel POS TRAILER vi era uno specifico richiamo ad un obbligo di cautela nelle operazioni di carico e scarico in modo da non pregiudicare la viabilità e ad un obbligo di osservanza di speciale cautela nel transito in corrispondenza dei portoni di ingresso, pure in presenza del divieto per gli altri dipendenti di introdursi nella suddetta area se non per ragioni connesse alla lavorazione. Difetto motivazionale viene inoltre lamentato o laddove il giudice aveva omesso di considerare emergenze documentali e dichiarative a sostegno delle tesi difensive, sottraendosi all'obbligo doverose di trattare puntuamente le stesse.

Considerato in diritto

1. I ricorsi degli imputati devono essere rigettati in quanto infondati.
La sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dai ricorrenti imputati, atteso che il giudice di appello, attraverso un articolato iter motivazionale, del tutto Integro sotto il profilo logico giuridico e coerente con gli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni della responsabilità degli imputati, nelle loro rispettive vesti di datore di lavoro della società TRAILER (L.G.) e quali titolari di posizioni di garanzia della società L., F.L. e P.L., a presidio di aree di rischio di specifica competenza (il F.L.), ovvero garante della individuazione, predisposizione ed osservanza delle misure antinfortunistiche volte a presidiare il rischio interferenziale (P.L.).
2. In relazione alla impugnazione proposta dai suddetti dipendenti dì L. (F.L. e P.L.) la circostanza che il giudice di appello abbia esaminato documenti ritenuti non presenti agli atti dal giudice di prima cure (si fa riferimento alla disposizione 08/03 relativa all'accesso ai luoghi di lavoro di concerto tra USL e L.) non preclude il giudizio di inammissibilità dei motivi di ricorso sub. I e II ove propongano una integrale rivisitazione del patrimonio dichiarativo, già esaminato dai giudici di merito, compreso l'esame dell'Imputato F.L. sul contenuto e sui limiti delle proprie competenze. Parimenti inammissibili sono i punti della impugnazione che propongono una diversa lettura a contrasto della conclusione dei giudici sulla "mancanza di percorsi pedonali" e sul "mancato coordinamento con la società Trailer", temi che hanno formato oggetto di valutazioni assolutamente concordanti da parte dei giudici di merito sulla base del patrimonio dichiarativo (compresa la testimonianza G. a sostegno della esecuzione della disposizione di lavoro 08/03).
2.1 Ha invero stabilito il S.C. che nella ipotesi di "doppia conforme", pur quando il giudice della impugnazione abbia preso in considerazione, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, sussiste comunque la preclusione alla deducibilità del vizio di travisamento della prova di cui all'art. 606 comma I lett.e) cod.proc.pen., in relazione a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori suscettibili di autonoma considerazione, comuni al primo e aI secondo grado di giudizio (sez.V, 13.2.2017, Cadore, Rv.269906).
3. D'altro canto il giudice distrettuale ha fornito adeguata, congrua e logica argomentazione delle ragioni per cui ha ritenuto non decisiva la valenza probatoria della suddetta disposizione di lavoro e, al contempo, ininfluente la testimonianza G. al fine di ritenere soddisfatta la pretesa di una programmata e coordinata valutazione in concreto del rischio interferenziale da collisione tra carrelli trasportatori e dipendenti.
La Corte di appello ha indicato una serie di elementi di fatto, di contributi dichiarativi, di valutazioni del consulente tecnico da cui inferire che, quantomeno al momento del sinistro, non ricorresse alcuna adeguata partecipazione all'esterno del rischio da prevenire, sia pure astrattamente programmato e genericamente documentato nel DVR e nelle schede allegate in ragione della accertata assenza di informazione ai capo reparto e ai dipendenti L. sui percorsi pedonali da utilizzare nell'area TVE, nella mancanza di passaggi pedonali visibili, nella assenza o non visibilità di cartellonistica verticale o avvisi precauzionali.
3.1 In particolare il giudice distrettuale si è soffermato a valutare la testimonianza del G. rappresentando come la stessa era a fotografare una situazione di fatto non più attuale al momento dell'infortunio, tanto da non potere essere utilizzata per ritenere la permanenza di percorsi pedonali certi e visibili alla data dell'investimento del dipendente R.L..
4. Nella terza articolazione del primo motivo di ricorso la difesa ricorrente lamenta altresì profili di difetto motivazionale della impugnata sentenza nella parte in cui ha ravvisato un deficit dì coordinamento tra le imprese che operavano nel capannone nell'area TVE all'interno della quale, essendo suddivisa in reparti (TVE, Qualità, Magazzino), poteva determinarsi un rischio alla sicurezza dei dipendenti L. per interferenza rispetto alle mansioni del personale TRAILER impegnato in attività di movimentazione magazzino nell'ambito di specifica area ad essa concessa in comodato gratuito, senza peraltro materiale separazione o fisica suddivisione degli spazi di rispettiva spettanza. In particolare il ricorrente assume che alla data dell'Infortunio non esisteva ancora una disposizione normativa (poi introdotta con il D.Lgs.81/2008) che imponesse alle ditte committente e appaltatrice di predisporre un documento unico per la valutazione dei rischi interferenziali, che il POS della società appaltatrice e il DVR della ditta committente L. contemplavano il rischio da investimento nelle aree comuni o interferenti e che comunque nel contratto di appalto la società appaltatrice si era assunta l'obbligo di garantire l'osservanza della disciplina antinfortunistica e di garantire la sicurezza dei lavoratori, anche di altre aziende che dovessero insistere nell'area di competenza TRAILER, qual'era appunto quella in cui si era realizzato il sinistro, assegnata a quest'ultima in comodato gratuito.
4.1 Appare invero infondato l'approccio giuridico al complesso problema del rischio interferenziale laddove, pur mancando all'epoca dei fatti un obbligo specifico di formare un documento unico che garantisse la condivisione normativa tra committente e appaltatore delle misure volte a prevenire e a fronteggiare il rischio derivante dalla coesistenza o dall'alternarsi all'interno di una azienda di lavorazioni in grado di "interferire", certamente esisteva una specifica disciplina (art.7 D.L.vo 1994/626 peraltro oggetto di contestazione al F.L.) che onerava il committente L., e pertanto i dirigenti all'uopo individuati, di promuovere la cooperazione e il coordinamento in un ambito nevralgico e fonte di rischi.
4.2 Prevede l'art.7 I comma del testo citato (vigente alla data dell'infortunio) che il datore dì lavoro in caso di affidamento dei lavori all'interno della azienda, ovvero della unità produttiva a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi ...b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. Trattasi invero di regola generale che vale a rendere edotto l'appaltatore o il lavoratore autonomo, le cui professionalità vengono introdotte nell'azienda ovvero nello stabilimento, di tutti i rischi connessi alle lavorazioni aziendali, regola che certamente non può essere derogata nel contratto di appalto con la previsione di una inversione degli obblighi prevenzionistici in capo all'appaltatore, ovvero attraverso il mero travaso di informazioni, che si assume la ditta appaltatrice sia tenuta a partecipare alle proprie maestranze.
4.3 Che gi obblighi in capo al committente non si esauriscono negli accordi contrattuali assunti con l'appaltatore lo si desume poi dal testo del secondo comma (art.7 comma II D.L.vo 626/94) che impone ai datori di lavoro di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto nonché di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nella esecuzione dell'opera complessiva. Disposizione che rende evidente come l'attività di consultazione, di cooperazione e di coordinamento tra datori di lavoro debba proseguire anche in corso di esecuzione del contratto di durata (appalto o somministrazione) e, sebbene non accompagnata da un documento ufficiale, deve valere a enucleare i rischi interferenziali e ad elaborare strategie comuni per la loro prevenzione. Soprattutto è il committente (nella specie L.) a dovere promuovere la cooperazione e il coordinamento di cui al secondo comma con esclusione dei rischi specifici dell'opera della ditta appaltatrice (art.7 co. III D.L.vo 626/94) e, conseguentemente ad elaborare un DUVRI che tenga conto di tali criticità.
4.4 Il giudice distrettuale pertanto del tutto coerentemente con i dati testimoniali acquisiti e delle generiche, non esaustive e meramente programmatiche indicazioni del DVR della impresa L. (in assenza di DUVRI) che richiamava il rispetto di aspecifiche regole precauzionali peraltro riportate in corsivo nel testo della sentenza, ha correttamente escluso che dalla ditta L. promanasse, come previsto dalla legge, una adeguata programmazione del rischio interferenziale da investimento di pedoni nell'area TVE e una coerente promozione di sinergiche attività preventive (sez.IV, 7.6.2016, PC e altri in proc.Carfi, Rv. 267687).
Tale conclusione risultava inoltre avvalorata dalle numerose emergenze dichiarative e tecniche riportate in sentenza da cui inferire la totale e non contrastata libertà di circolazione di uomini e mezzi nelle aree di manovra dei carrelli in assenza di adeguata segnalazione di passaggi pedonali, di via di fuga, di avvisi di pericolo e di divieti espressi con cartelli o segnali orizzontali. Il primo motivo di ricorso deve pertanto essere disatteso.
5. Il secondo motivo di ricorso, di cui in parte si è già ritenuta la inammissibilità ove assume il travisamento della prova dell'esame dell'imputato F.L. alla luce del più ampio contesto sul quale lo stesso veniva interrogato, pone comunque la preliminare verifica della sussistenza della titolarità della posizione di garanzia dell'imputato, capo reparto TVE, pertanto soggetto preposto ad un determinato settore o attività pure in presenza di figure apicali di maggiore importanza.
5.1 Invero il giudice distrettuale ha riconosciuto l'obbligo in capo al F.L. di presidiare l'area di rischio all'interno della quale si è realizzato il tragico investimento del R.L. sulla base di due considerazioni. In primo luogo sulla base di un elemento di carattere formale in quanto il F.L. era titolare di una delega preposturale del responsabile C. la quale lo investiva tra l'altro di compiti in materia di sicurezza e protezione dell'ambiente, tra cui l'incarico di coordinare, promuovere e garantire la corretta condotta dei capi reparto, capi turno e, indirettamente attraverso questi ultimi dei lavoratori. Il giudice di primo grado, a tale proposito, lo definiva (nella pagina precedente al PQM) il soggetto tenuto al coordinamento delle imprese di cui all'art.7 D.Lvo 626/94 nonché preposto a disciplinare problematiche della rumorosità della illuminazione, nonché della tenuta della segnaletica orizzontale. Il giudice di appello al contempo poneva in rilievo la sua funzione di coordinatore tra capi reparto con funzioni di promozione di incontri e di coordinamento che andavano oltre l'ambito del suo reparto di appartenenza. Al dato formale (contenuto della delega) il giudice distrettuale abbinava il dato derivante dalle funzioni effettivamente svolte nel settore che qui rileva e cioè la prevenzione del rischio di interferenza tra le lavorazioni di L. e quelle di TRAILER avendo egli ammesso che era di sua competenza predisporre e mantenere i percorsi pedonali per i lavoratori all'interno del capannone.
5.1 Non pare invero controvertibile la circostanza, del cui travisamento non è possibile ulteriormente discettare in questa sede in presenza di emergenze del tutto convergenti dei giudici di primo e di secondo grado, che il F.L. costituisse figura di sintesi della verifica della sicurezza nei vari reparti dell'azienda L. e che a tale ruolo era incardinato da un formale atto di delega e dallo svolgimento di funzioni di fatto del tutto corrispondenti a compiti di verifica del rispetto delle norme di sicurezza negli spazi attraversati dai carrelli che trasportavano la vergella. Tale assunto risulta poi ampiamente confermato nella parte di deposizione (i cui stralci sono riportati nei motivi di ricorso) in cui il F.L. è chiamato a individuare la presenza di percorsi pedonali che servivano a lavoratori della L. per spostarsi verso locali (water) comuni attraversando, appunto, l'area in cui erano movimentati i carichi di vergella.
5.2 Le distinzioni operate nei motivi di ricorso sul contenuto di tale deposizione, volte a escludere o a limitare la portata ammissiva delle dichiarazioni del F.L., oltre che inammissibili per le ragioni anzidette in punto di travisamento della prova, si presentano altresì irragionevoli e prive di confronto con il contenuto della sentenza impugnata la quale risulta avere coerentemente individuato il ruolo di garanzia rivestito dall'imputato alla stregua del contenuto delle delega che gli era stata attribuita e dalla funzione di coordinamento tra reparti che gli era stato attribuito anche in materia di sicurezza. Il motivo risulta pertanto infondato.
6. Quanto al ruolo del responsabile per la prevenzione e protezione (P.L.) con particolare riferimento alla prevenzione del rischio interferenziale le censure della difesa risultano parimenti infondate. Invero la giurisprudenza di legittimità ammette la responsabilità anche in capo a detta figura quando si accerti che la mancata adozione di una misura precauzionale da parte del datore di lavoro, rispetto al quale egli svolge un ruolo ausiliario e di consulenza, sia frutto dell'inadempimento colposo rispetto al proprio impegno professionale di supporto nella individuazione e valutazione dei rischi e di promozione di misure preventive e protettive a seguito di tale individuazione. Pur non essendo destinatario di obblighi dal cui inadempimento segue la sanzione penale e sebbene sia chiamato ad un ruolo di mera consulenza, la sua professionalità si inserisce all'interno di una articolata procedura che sfocia nell'assunzione di scelte operative sulla sicurezza demandate al datore di lavoro e conseguentemente le sue omissioni, in specie difetto di promozione, sollecitazione e informazione su concreti elementi concernenti la sicurezza, possono concorrere ai fini della spiegazione causale dell'evento illecito come peraltro è stato riconosciuto in numerose pronunce (sez.IV, 23.11.2012 Lovison, Rv.254094; 21.12.2010, Di Mascio, Rv.249626; 15.7.2010 Scagliarini, Rv.248555). IL RSPP può dunque assumere il ruolo di garante in relazione all'obbligo di svolgere in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico, il compito di informare il datore di lavoro e di orientarlo nelle scelte fondamentali per la sicurezza (sez.U, 24.4.2014, n.38343, Espenhanhn in motivazione).
6.1 In relazione a profili di responsabilità del P.L. la sentenza impugnata ha fornito concisa, ma sufficiente motivazione sul ruolo rivestito dall'imputato, delle palesi carenze di segnalazioni, di preavviso, di informazione sulle criticità delle aree che, pure destinate alla movimentazione dei prodotti di acciaio, erano altresì attraversate dai dipendenti dei reparti L. per le più varie ragioni (accesso alla mensa, ai bagni, all'area esterna). Allo stesso è stata pertanto ascritta una condotta negligente, consistita in un difetto di segnalazione di misure precauzionali, che si è inserita sinergicamente nella determinazione del sinistro in quanto non ha consentito al datore di lavoro di assumere iniziative più confacenti in materia di sicurezza e in particolare a fornire una più adeguata segnalazione delle fonti di pericolo interferenziale e a disincentivare prassi lavorative che aumentavano il rischio di interferenza tra lavorazioni.
6.2 A tale proposito risulta del tutto irrilevante che la figura di garanzia primariamente tenuta ad obblighi cautelari in materia di sicurezza all'interno dell'azienda e che il RSPP avrebbe dovuto coadiuvare in attività informativa e consultiva nella individuazione delle misure di salvaguardia, sia stata assolta dal reato per cui si procede, in quanto tale circostanza non risulta idonea ad elidere il collegamento del P.L. con il reato proprio del datore di lavoro.
Invero S.S. procuratore institore dello stabilimento L. di Piombino al momento del sinistro, è subentrato nella direzione dello stabilimento soltanto alcuni giorni prima dell'infortunio, di talché la esclusione di responsabilità a suo carico non vale a escludere il giudizio di colpevolezza in capo al P.L. le cui mansioni di responsabile per la sicurezza erano a servizio di precedenti figure apicali in epoca di molto precedente al sinistro e comunque tale da consentire un adeguato monitoraggio delle criticità delle operazioni lavorative interferenti e di misurare il grado di sicurezza degli spazi interessati dal trasporto dei prodotti lavorati per i dipendenti L. che ivi si avventuravano.
7. Infondato è anche il motivo di ricorso della difesa L.G. che deduce violazione di legge per essere stato L.G. ritenuto titolare della posizione di garanzia di datore di lavoro, laddove tanto il contenuto delle delega institoria prodotta, sia il concreto atteggiarsi dei rapporti tra TRAILER e L. indicavano nel figlio del ricorrente, L.P. l'effettivo responsabile dell'organizzazione della società appaltatrice, autonomo gestore del rischio connesso alle lavorazioni all'interno dello stabilimento, non residuando al delegante neppure funzioni di alta vigilanza, trattandosi peraltro di profili di rischio interferenziale da movimentazione di materiali di acciaio che attenevano alla fase esecutiva delle lavorazioni.
7.1 La tesi non risulta fondata. Nessun dubbio sussiste sul fatto che L.G. abbia rivestito al momento de fatto la qualifica formale di datore di lavoro in qualità di amministratore delegato della TRAILER. Quanto ai profili formali dell'assunzione della qualifica di datore di lavoro in materia di infortuni sul lavoro gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed Investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110801; SEZ. IV, 16.12.2015, Raccuglia, Rv.265947).
Come peraltro correttamente indicato dal giudice di appello, alla procura institoria prodotta mancano i requisiti essenziali per consentire un trasferimento di una o più funzioni dal soggetto delegante, facendo totalmente difetto l'ambito circoscritto, o ben definito, delle competenze trasferite, risolvendosi al contrario l'atto in un inammissibile trasferimento della qualifica di datore di lavoro.
7.2 Ma anche sotto il profilo sostanziale non può affatto concordarsi, come al contrario sostenuto dal ricorrente, che il materiale istruttorio ha sancito la totale estraneità del ricorrente alla gestione dell'azienda; semmai risulta accertato l'esercizio da parte di L.P. della gestione esecutiva dello stabilimento in cui si è realizzato il sinistro ma, contrariamente a quanto rappresentato nel primo motivo di ricorso, non è affatto vero che il concreto atteggiarsi delle lavorazioni sfuggiva al poteri di indirizzo e di alta vigilanza comunque riconosciuti all'amministratore ricorrente, atteso che il datore di lavoro non può delegare l'attività di valutazione dei rischi, ai sensi dell'art. 17, d.lgs. n. 81 del 2008 (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 50605 del 05/04/2013, Rv. 258125, ove si è chiarito che, in tema di prevenzione degli Infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti; in termini: Sez. 4, Sentenza n. 27420 del 20/05/2008, Rv. 240886). Invero ha logicamente evidenziato il giudice distrettuale che la procura institoria con la quale veniva designato l'institore non conteneva alcuna delega in materia di sicurezza e che pertanto gli obblighi datoriali in ordine alla omessa assunzione nel POS di misure organizzative volte ad evitare il pericolo di interferenza con le lavorazioni infra aziendali era rimasta in capo all'amministratore delegante, così come ad esso facevano carico gli obblighi di cooperazione e di coordinamento riconducibili alla unitaria gestione del rischio interferenziale di cui all'art. 7 D.Lvo 626/94.
Il motivo di ricorso deve pertanto essere disatteso.
8. Comune ad entrambe le difese è poi la censura di violazione di legge per il mancato riconoscimento alla condotta abnorme della persona offesa, che si ritiene del tutto esorbitante dal concreto svolgersi delle lavorazione in cui era impegnato, se non addirittura eccentrica rispetto ad essa atteso che il dipendente della ditta L. era verosimilmente impegnato in incombenti privati del tutto estranei all'ambito lavorativo. Anche tale censura si presenta infondata in quanto, pure a volere riconoscere la concorrente colpa, sostanzialmente per distrazione, del dipendente impegnato a transitare nell'area di movimentazione della vergella, la condotta da questi realizzata non può ritenersi estranea all'area di rischio definita dalla lavorazione, atteso che detto attraversamento non costituiva affatto un evento insolito o eccezionale, in quanto pure previsto in specifiche regolamentazioni (si pensi ai percorsi previsti per raggiungere il locale bagno), ma al contrario si inseriva in una prassi aziendale invalsa e sostanzialmente non contrastata e che il dipendente R.L. aveva compiuto l'attraversamento dell'area destinata al trasporto del prodotto per una episodica, e non interdetta, esigenza personale (comunicazione telefonica all'esterno del rumoroso ambiente di lavoro).
8.1 Depone poi per la esclusione della interruzione del rapporto di causalità in presenza della imprudente condotta del lavoratore la giurisprudenza che limita la responsabilità del lavoratore nella causazione dell'infortunio quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (sez.IV, 17.1.2017, Meda, Rv.269255; 10.10.2013, Rovaldi, 259313; 2.5.2012 Goracci n.22044 non massimata; 7.2.2012, Pugliese, Rv.252373; 15.4.2010 n. 21511, Di Vita, n.m.). Le disposizioni di sicurezza perseguono infatti il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro impedire l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori (sez.IV, 13.11.2011 Galante, n.m.; sez.F. 12.8.2010, Mazzei Rv.247996). Il motivo di ricorso va pertanto rigettato.
9. Assolutamente infondato si presenta altresì il secondo motivo di ricorso del ricorrente L. atteso che il giudice ha correttamente rappresentato le modalità del sinistro, procedendo ad una ricostruzione da cui ha enucleato addebiti di responsabilità per le modalità attuative del movimento dei carrelli, in ragione delle caratteristiche strutturali e funzionali del trasporto, idonee a creare turbativa alla visibilità anteriore del conducente in ragione dell'ingombro (in altezza e in lunghezza) del prodotto lavorato e per la esigenza, peraltro espressamente manifestata nel manuale di istruzioni del mezzo, di procedere, per quanto possibile in retromarcia. A sostegno del proprio assunto il giudice distrettuale ha richiamato la testimonianza del teste di PG B., valutandola idonea a vincere le contrarie deduzioni difensive e ha valorizzato alcune considerazioni di ordine logico (assenza di tracce di frenata, sormontamento del corpo della persona offesa, assenza di ostacoli visivi con esclusione di quelli costituiti dalla struttura del mezzo) che deponevano a favore della inferenza che il conducente del carrello non era stato nella condizione di percepire dinanzi a sé il profilarsi della persona offesa, pur in costanza di una andatura assolutamente contenuta (15 Km/h) e di un percorso rettilineo, riconducendo tale difetto di percezione ad una limitazione del campo visivo in ragione dell'ostruzione costituita dall'ingombro del carico.
9.1 Sul punto va evidenziato che, in relazione all'onere motivazionale imposto al giudice di legittimità a fronte di deduzioni difensive non esaminate dal giudice di appello, non è censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (sez.II, 10.12.2013, Cento e altri, Rv.259643). Orbene nel caso in esame il giudice territoriale è pervenuto ad una ricostruzione del sinistro, peraltro orientata dalla consulenza tecnica dell'accusa, assolutamente coerente con le risultanze processuali, sia di carattere oggettivo (caratteristiche dell'urto, comportamenti tenuti dal conducente e dalla persona offesa), sia di rilievo tecnico (sulle dotazioni di carico del mezzo, sull'altezza da terra, sull'angolo visivo consentito dalla struttura del mezzo e del carico), sia di rilievo funzionale (le migliori condizioni di guida del carrello erano assicurate da una movimentazione a retromarcia ovvero da una marcia assistita), tali da giustificare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata.
10. Il quarto motivo di ricorso della difesa L.G. introduce il tema del travisamento della prova e del vizio motivazionale con riferimento all'esame e alla valutazione dei documenti sulla valutazione dei rischi e sul POS delle aziende coinvolte nella organizzazione delle lavorazioni all'interno dell'opificio, così da determinare una distorta evidenza probatoria sulla responsabilità del L.G..
Invero al L.G. viene contestato di avere omesso di dare disposizioni nonché di fare rispettare le regole di circolazione durante l'uso dei carrelli elevatori e di non avere adottato misure organizzative atte ad evitare che i lavoratori a piedi si trovassero nella zona di attività dei carrelli.
Il primo rimprovero attiene appunto alla carente organizzazione della TRAILER nello stabilire le regole di circolazione dei carrelli, mentre l'altro rimprovero riguarda gli obblighi di cooperazione e di coordinamento in ipotesi di lavorazioni interferenti, atteso che la circolazione dei carrelli elevatori poteva interferire con il transito dei dipendenti della L. nell'area TVE e in particolare nell'area di movimentazione e di immagazzinamento dei prodotti lavorati.
10.1 Sotto un primo profilo deve rimarcarsi come molto sottile sia nella specie lo spazio riservato al vizio di travisamento della prova, atteso che l'unico elemento nuovo esaminato dal giudice di appello, a fronte di un esito processuale di doppia conforme, è rappresentata dalla disposizione di lavoro 08/03 che il giudice di primo grado riteneva non essere presente agli atti, ferma restando la conforme valutazione di inadeguatezza della segnalazione di percorsi pedonali, della assenza di idonea cartellonistica e di genericità del documento di valutazione dei rischi e del POS di TRAILER contenente un mero invito alla cautela in prossimità di punti sensibili dell'area di transito dei carrelli. 
10.2 Orbene il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione in ipotesi di doppia conforme sia in ipotesi in cui entrambi i giudici siano incorsi in travisamento della prova, sia nella ipotesi In cui il giudice di appello, per rispondere alle censure della difesa, abbia richiamato elementi probatori non esaminati dal primo giudice (nel caso in specie alcune schede allegate al DVR e la disposizione di lavoro 08/2002 L.-Asl) ma in questo ultimo caso la preclusione opera comunque rispetto a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori comuni e suscettibili di autonoma valutazione (sez.V, 13.2.2017, Cadore, Rv. 269906), mentre in relazione alla ipotesi di duplice travisamento, lo stesso deve emergere in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le parti (sez.II, 9.1.2018, L. e altro, Rv.272018).
Secondo poi i principi generali enucleati dal S.C. l'elemento probatorio travisato deve connotarsi per la sua decisività e cioè per il fatto che, se considerato o escluso, il giudice sarebbe pervenuto ad una diversa soluzione del problema logico giuridico posto al suo esame.
10.3 Invero nella specie non si rinviene alcun travisamento delle risultanze istruttorie laddove, ferma restando la logicità e la coerenza del tessuto logico giuridico della sentenza di secondo grado In relazione agli argomenti di prova e alle risultanze istruttorie esaminati da entrambi i giudici di merito, la corte distrettuale non ha travisato il contenuto della disposizione di lavoro 08/03, ma ne ha fornito ampia e corretta allegazione, in uno alla testimonianza G., per concludere che la stessa, pure allegata al DVR, quantomeno a partire dall'anno 2005 non aveva trovato corretta attuazione sul luogo di lavoro, evidenziando le ragioni poste a fondamento delle conclusioni assunte (assenza di segnalazioni orizzontali o verticali, mancata predisposizione o manutenzione dei percorsi pedonali, mancata informazione ai capi reparto e ai dipendenti L. delle regole da rispettare nell'attraversare l'area di manovra dei carrelli, mancata disincentivazione di prassi contrarie al contenuto delle regole fissate).
10.4 Neppure le argomentazioni utilizzate dal giudice distrettuale possono ritenersi contraddittorie o illogiche in relazione alla posizione del L.G. laddove allo stesso sono stati riconosciuti addebiti di colpa che prescindono da profili di completezza del DVR della azienda L. ma che, al contrario, attengono a difetti organizzativi (come evidenziato nel motivo precedente) nella movimentazione dei carichi, in ragione delle caratteristiche dei mezzi impiegati, della disciplina di guida, della visibilità ambientale. Di talché neppure l'eventuale riconoscimento del vizio concernente la corretta valutazione di criteri di completezza e adeguatezza del DVR L. risulterebbe decisivo per escludere profili di colpa in capo al L.G. nella organizzazione delle lavorazioni TRAILER e nella adozione di corrette informazioni dei carrellisti.
10.5 Peraltro infondato è anche il rilievo che attiene all'assolvimento degli obblighi precauzionali nella predisposizione del POS, atteso che alle generiche raccomandazioni di prudenza e di attenzione in corrispondenza di punti sensibili di transito dei carrelli pure riportate nel piano, non aveva fatto seguito alcuna concreta attività di cooperazione e di coordinamento con gli organi di L. (pure imposte dall'art. 7 comma II D.Lgs.525/94), nè era stata attuata alcuna concreta iniziativa diretta a imporre il rispetto della disciplina sui percorsi di attraversamento pedonale indicati nel DVR L. e nelle schede allegate (come peraltro stabilito nel contratto di appalto inter partes), di fatto manifestando totale acquiescenza alla libera e promiscua circolazione di carrelli e uomini nell'area di interferenza e conseguentemente all'innesco della situazione da cui ha tratto origine l'infortunio. Il ricorso va pertanto integralmente disatteso.
11. Infondato è infine il motivo di ricorso proposta dalla difesa dei ricorrenti F.L. e P.L. con riferimento al trattamento sanzionatorio per difetto di motivazione in punto di mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e per omessa considerazione dell'intervenuto integrale risarcimento del danno.
In primo luogo va evidenziato che il giudice di primo grado aveva applicato agli imputati la pena di anni due di reclusione e cioè il minimo previsto per la ipotesi aggravata di cui all'art.589 cod.pen. e che, proprio in ragione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche giustificato dall'intervenuto risarcimento del danno, la pena è stata dal giudice di appello simmetricamente ridimensionata al minimo edittale previsto per la ipotesi base di omicidio colposo (sei mesi di reclusione).
Sul punto la Corte di legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (così sez. 4, n. 21294, Serratore, rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852 dell'8.5.2013, Taurasi e altro, rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, rv. 255153), potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua”, "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così sez. 2, n. 36245 del 26.6.2009, Denaro, rv. 245596). Né maggiore sforzo motivazionale era imposto per giustificare la scelta di operare il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza, pur avendo il giudice richiamato specifici elementi dell'art.133 cod.pen. (gravità del fatto e molteplici profili di colpa), atteso che allorquando il giudice determina la pena sopra il minimo edittale, il diniego della prevalenza delle attenuanti generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della pena e non può quindi dare luogo né a violazione di legge, né al corrispondente difetto di motivazione (sez.III, 17.12.1999 n.4956, Della Vecchia, Rv.216587; sez III, 18.7.2014, Cavicchi, Rv.260627). Anche tale motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.
12. In conclusione entrambi i ricorsi vanno rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11.12.2018

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 12869 Anno 2019.pdf
 
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Dichiarazione di rispondenza DM 37/2008

ID 4774 | | Visite: 179506 | Documenti Riservati Sicurezza

Dichiarazione di rispondenza DM 37/2008

ID 4774 | Update news 26.12.2023 / Allegati Modello DIRI-GAS DOC VVF e Linee guida Struttura e Modelli - OD ING VE e Modello DICO-Simil.

Il 
DM 37/2008 ha introdotto la "Dichiarazione di rispondenza dell'impianto" ma non è indicato un Modello, possono essere prese a riferimento le circolari VVF, che riportano specifici modelli.

La dichiarazione di rispondenza è stata introdotta dal DM 37/2008 quale documento sostitutivo della dichiarazione di conformità prevista dalla legge 46/90 e regolamentata dal DPR 447/91.

Lo scopo è stato quello di sanare dal punto di vista documentale gli impianti sprovvisti di conformità tra la data dell’entrata in vigore del DPR 447/91 ed il 27 marzo 2008 (entrata in vigore del DM 37/08).

Gli impianti per i quali si intende rilasciare la dichiarazione di rispondenza devono essere realizzati secondo la regola dell’arte.

Dichiarazione di rispondenza e regola dell’arte

Sono conformi alla regola dell’arte gli impianti che rispettano, al momento della loro messa in servizio:

- la legislazione vigente
- la normativa tecnica di settore
- le regole di “perizia” (il cui impiego si impone sempre in rapporto a ciascun impianto le cui particolarità devono sempre essere valutate dal professionista con attenzione al singolo caso)

Verifica dei componenti/impianto

Impianti potenzialmente interessati Di.Ri:

IMPIANTI DI RISCALDAMENTO (TERMICO / CALDAIA)
IMPIANTI ELETTRICI
IMPIANTI RADIOTELEVISIVO
IMPIANTI IDRAULICI
IMPIANTI IDRICI ANTINCENDIO
IMPIANTI PER LA DISTRIBUZIONE E L’UTILIZZAZIONE DEL GAS, COMPRESE LE OPERE DI EVACUAZIONE DEI PRODOTTI DELLA COMBUSTIONE E VENTILAZIONE ED AREAZIONE DEI LOCALI.

In relazione all'anno di installazione dell'impianto, è necessario verificare e riportare nella relazione tecnica:

- corretto dimensionamento dei componenti ai fini della sicurezza e della funzionalità dell'impianto;
- corretta installazione in relazione alle modalità installative e la compatibilità con l'ambiente/i luoghi e altri impianti presenti;
- completezza dell'impianto ai fini della sicurezza e della funzionalità.
[...]
segue in allegato

Rilascio della Dichiarazione di rispondenza

Il DM 37/08, all’art. 7 comma 6 e all’art. 8 comma 3, prevede il rispetto di alcune specifiche condizioni per il rilascio della dichiarazione di rispondenza:

1. quando non sia stata prodotta, o non sia reperibile la Dichiarazione di Conformità, quindi nel periodo compreso tra il 13 marzo 1990 (entrata in vigore legge 46/90) ed il 27 marzo 2008 (entrata in vigore DM 37/2008).

2. per l’attivazione di una nuova fornitura di energia elettrica o per una richiesta di aumento di potenza della fornitura di energia elettrica per gli impianti (sprovvisti di Dichiarazione di conformità) realizzati nella fascia temporale compresa tra il 13 marzo 1990 ed il 27 marzo 2008 (art.8 comma 3 DM 37/2008)

 Rilascio DIchiazione Rispondenza

 

Fig. 1 - Periodo rilascio Dichiarazione di Rispondenza Di.Ri.

DM 37/2008

Art. 7. Dichiarazione di conformita'
...

6. Nel caso in cui la dichiarazione di conformita' prevista dal presente articolo, salvo quanto previsto all'articolo 15 (Sanzioni / ndr), non sia stata prodotta o non sia piu' reperibile, tale atto e' sostituito - per gli impianti eseguiti prima dell'entrata in vigore del presente decreto - da una dichiarazione di rispondenza, resa da un professionista iscritto all'albo professionale per le specifiche competenze tecniche richieste, che ha esercitato la professione, per almeno cinque anni, nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione, sotto personale responsabilita', in esito a sopralluogo ed accertamenti, ovvero, per gli impianti non ricadenti nel campo di applicazione dell'articolo 5, comma 2, da un soggetto che ricopre, da almeno 5 anni, il ruolo di responsabile tecnico di un'impresa abilitata di cui all'articolo 3, operante nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione.

Art. 8 Obblighi del committente o del proprietario
...
3. Il committente entro 30 giorni dall’allacciamento di una nuova fornitura di gas, energia elettrica, acqua, negli edifici di qualsiasi destinazione d’uso, consegna al distributore o al venditore copia della dichiarazione di conformita' dell’impianto, resa secondo l’allegato I, esclusi i relativi allegati obbligatori, o copia della dichiarazione di rispondenza prevista dall’articolo 7, comma 6.
La medesima documentazione e' consegnata nel caso di richiesta di aumento di potenza impegnata a seguito di interventi sull’impianto, o di un aumento di potenza che senza interventi sull’impianto determina il raggiungimento dei livelli di potenza impegnata di cui all’articolo 5, comma 2 o comunque, per gli impianti elettrici, la potenza di 6 kw.

Modello per redigere la Dichiarazione di rispondenza

Il DM 37/2008 non prevede un Modello per redigere la Dichiarazione di rispondenza, possono essere prese a riferimento le circolari VVF, che riportano specifici modelli:

Lettera Circolare Prot. n. P515/4101 sott. 72 E.6 del 24/04/2008

Lettera Circolare Prot. n. 0007768 del 25.05.2011

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INAIL | Cantieri post sisma

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INAIL cantieri post sisma

Cantieri post sisma | Raccomandazioni di salute e sicurezza

L’opera, frutto della collaborazione tra istituzioni pubbliche e privati, rappresenta un contributo per tutti coloro che a vario titolo sono chiamati all’individuazione e applicazione di idonee misure di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, in un contesto lavorativo compromesso sotto il profilo prevenzionistico, a causa dei danni prodotti dai sismi che hanno colpito quattro regioni del Centro Italia, a partire dal 2016.

Le raccomandazioni rappresentano un focus sulle attività lavorative nei cantieri conseguiti al sisma, con l’obiettivo di aumentare l’attenzione sugli aspetti di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, già alta nei cantieri in genere, ma che deve essere ancora più alta a causa della precarietà degli immobili e del particolare tessuto urbano e suburbano dei pregevoli centri storici di tante cittadine danneggiate pesantemente dal sisma.

L’idea di elaborare le raccomandazioni contenute in questa opera nasce dalla constatazione che il “cantiere post sisma”, specie in un contesto come quello delle aree colpite dal terremoto del 2016 nel centro Italia, è un luogo a maggior rischio infortunistico per la precarietà dei manufatti su cui si opera e per il particolare contesto ambientale oltre che sociale. In questo luogo di lavoro, alle usuali norme antinfortunistiche, si deve aggiungere l’attenta scelta delle tecniche d’intervento al fine di non indurre sollecitazioni all’edificio tali da comprometterne la sua stabilità locale o globale ovvero si deve tener conto degli effetti collaterali delle tecniche d’intervento in modo da mettere in atto preventivamente accorgimenti provvisionali e misure di protezione tali da scongiurare conseguenti eventi dannosi per i lavoratori. Inoltre, bisogna tener ben presente il contesto ambientale entro cui l’intervento si colloca, allargando l’analisi prevenzionistica a scala maggiore, dal cantiere a quella urbana, se non suburbana. Per questi motivi, oltre alla mera applicazione delle norme antinfortunistiche, servono scelte progettuali e organizzative mirate, in quanto queste assumono un rilievo fondamentale ai fini prevenzionistici. Da esse dipende il livello di sicurezza e salute non solo nel cantiere ma anche nel contesto entro cui il singolo cantiere agisce.

In questa ottica le “raccomandazioni” che qui si forniscono non vogliono aggiungere nulla alle norme esistenti, ma traggono origine da queste per adattarle alla specificità degli interventi e dei luoghi.

Fonte: INAIL 2019

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 11705 | 18 Marzo 2019

ID 8024 | | Visite: 3259 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio con una sega circolare non provvista di coltello divisore e con la cuffia di protezione bloccata

Penale Sent. Sez. 4 Num. 11705 Anno 2019

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 21/12/2018

Ritenuto in fatto 

1. Con sentenza del 27.2.2017 la Corte di appello di Ancona, per quanto qui interessa, ha confermato la declaratoria di responsabilità di S.P. in ordine al reato di lesioni personali colpose cagionate a M.M., derivanti dall'Infortunio sul lavoro avvenuto con le seguenti modalità: il M.M., tramite una sega circolare marca "Officine Polieri", stava eseguendo il taglio di una tavola, spingendola manualmente, sennonché, quasi alla fine del taglio, la sega si inceppava e saltava, facendo perdere al lavoratore il controllo della presa manuale, di talché la mano veniva a contatto diretto con la lama circolare, causando le lesioni in atti refertate.
2. Si contesta all'imputato, quale datore di lavoro, colpa generica e specifica, consistita nella violazione delle norme di cui agli artt. 71, comma 4, lett. a) e b), d.lgs. n. 81/2008, per non aver preso le misure necessarie affinché la sega circolare venisse installata ed usata in conformità alle istruzioni d'uso, e fosse fatta oggetto di idonea manutenzione; nello specifico, la sega non era provvista di coltello divisore e la cuffia di protezione del disco dentato non era montata in maniera tale da garantire la completa protezione contro il contatto anche accidentale delle mani dell'operatore, durante l'operazione di taglio, ed era bloccata; si addebita al prevenuto anche un deficit di formazione del lavoratore.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del S.P., lamentando quanto segue.
3.1. Con i primi due motivi denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in tema di valutazione della prova; erronea interpretazione delle emergenze processuali.
Lamenta che la Corte dorica abbia fondato il suo convincimento sulle sole dichiarazioni rese dall'ispettore C. e dalla persona offesa, omettendo illogicamente di considerare attendibile la testimonianza dell'ing. S. e quella di D.A., capomastro sovraordinato all'infortunato e garante del corretto andamento della lavorazione. Del pari illogica e contraddittoria la ritenuta non conducenza della deposizione del teste B., secondo cui la macchina incriminata, da lui ritirata a posteriori, nel frattempo poteva essere stata dotata dei dispositivi mancanti; sul punto il ricorrente osserva che normalmente il soggetto che intenda dismettere un macchinario restituendolo al fornitore non ha alcun interesse a riparare lo stesso e a porlo in condizioni di perfetto funzionamento.
Rileva che l'ispettore C. è intervenuto sul luogo del sinistro ben dodici giorni dopo l'infortunio ed ha ricostruito lo stesso solamente sulla base delle dichiarazioni resegli dal M.M.. Nel frattempo, la macchina era stata periziata ed esaminata dall'ing. S. (addetto alla sicurezza degli impianti), il quale l'aveva trovata perfettamente funzionante e completa di tutti gli elementi. L'assenza di formalizzazione tramite verbale di tale verifica non giustifica la illogica e fantasiosa conclusione riportata in sentenza secondo cui ciò «vuol dire che tale verifica o non è stata fatta ovvero che è negativa».
Il ricorrente ritiene, dunque, verosimile che la situazione riscontrata dall'ispettore C. non fosse quella presente al momento dell'infortunio: e ciò per via della verifica/collaudo che era stata fatta dall'ing. S. insieme al capo cantiere D.A. sul macchinario per cercare di individuare le cause dell'incidente.
3.2. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge in tema di valutazione della prova e con riferimento all'art. 590, comma 3, cod. pen.
Lamenta che la Corte territoriale abbia escluso che la condotta del lavoratore presentasse i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute. Il M.M. era stato assunto con la qualifica di operaio addetto alla manutenzione degli impianti "in senso ampio", ed aveva ricevuto tutte le informazioni nonché la prescritta formazione ed addestramento per i lavori da eseguire. Secondo la deposizione di D.A., il M.M. avrebbe proceduto al taglio di altre tavole pur senza esserne autorizzato e non in presenza e sotto la vigilanza del capo cantiere. Trattasi di comportamento anomalo avente valore di causa sopravvenuta, da sola sufficiente a cagionare l'evento.
3.3. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge in relazione al disposto degli artt. 82 cod. proc. pen. e 39 cod. proc. civ.
Deduce che la Corte dorica ha erroneamente rigettato la richiesta di revoca della costituzione di parte civile formulata dalla difesa dell'Imputato, in considerazione della sopravvenuta costituzione, da parte del M.M., in un autonomo procedimento civile radicato per ottenere il risarcimento del medesimo danno fatto oggetto della pretesa risarcitoria azionata in sede penale.
3.4. Con il quinto motivo invoca l'applicabilità nel caso di specie dell'art. 131-bis cod. pen., tenuto conto del comportamento positivo e delle iniziative risarcitone assunte dal ricorrente nei confronti della persona offesa.

Considerato in diritto

1. I primi due motivi di ricorso sono infondati ed ai limiti della inammissibilità, in quanto in parte contenenti censure in fatto, notoriamente precluse dinanzi alla Corte di cassazione, il cui compito è solo quello di verificare la tenuta logico-giuridica della sentenza oggetto di impugnazione. Sotto questo profilo, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità «deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali» (in tal senso, explurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 1996, Rv. 20327201).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 20794501). La Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 23410901). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 20117701; Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 24418101).
1.1. Nel caso in disamina la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato la conferma dell'affermazione di responsabilità, fondandosi sulle chiare dichiarazioni di un soggetto terzo, l'ispettore Asur C., riscontrate dalle risultanze fotografiche in atti, che hanno fornito dimostrazione della mancanza del coltello divisore, apparato posto dietro al disco dentato ed elemento fondamentale per evitare un rigetto del pezzo in lavorazione; è stato accertato che anche l'altro dispositivo di sicurezza della macchina, la cuffia di protezione, risultava bloccato ad una certa altezza con delle viti, e quindi non svolgeva in maniera congrua la sua funzione protettiva, essendo posizionata con uno spazio alto rispetto allo spessore del taglio degli elementi, tra piano di lavoro e cuffia, al passaggio di una mano.
Sulla scorta di ulteriori considerazioni di ordine logico, la Corte distrettuale ha ritenuto attendibile la deposizione del C., non essendo spiegabile altrimenti come il M.M. potesse amputarsi le dita se i dispositivi di protezione fossero stati in ordine, perché la tavola da tagliare, impuntandosi, non sarebbe saltata in avanti e, comunque, non vi sarebbe stato lo spazio utile al passaggio della mano. La Corte di merito ha, altresì, osservato che il lavoratore non era stato dotato nemmeno di adeguato arnese spingi-pezzi; inoltre, le dichiarazioni del M.M. sulle modalità dell'infortunio sono state reputate lineari e coerenti, e confermative dell'assenza nel macchinario del coltello divisore.
1.2. Si deve ritenere che le deposizioni dei vari testi sono state compiutamente ed attentamente valutate dai giudici di merito. In questa prospettiva, la testimonianza del S. (coordinatore per la sicurezza nel cantiere) è stata ritenuta inattendibile sulla base di un ragionamento congruo e non manifestamente illogico, che muove dal fatto che l'ispettore C. aveva riscontrato l'assenza dei presidi di sicurezza sulla sega a distanza di diversi giorni dall'infortunio; avendo il teste D. riferito che dal momento dell'infortunio nessuno aveva più utilizzato il macchinario in questione, chi mai avrebbe potuto avere interesse a togliere il coltello divisore o a manomettere la cuffia di protezione in occasione dell'ispezione del C.? Semmai vi sarebbe stato l'interesse contrario del datore di lavoro di dotare la sega dei sistemi di protezione. Altrettanto logica la considerazione della Corte di appello in merito alla circostanza che il S. non avesse predisposto alcun verbale di verifica dello stato del macchinario subito dopo, l'infortunio: «Se non ha redatto alcun verbale, vuol dire che tale verifica o non è stata fatta, ovvero che era negativa», stante l'evidente interesse del datore di lavoro di attestare la regolarità del macchinario, se ciò avesse potuto essere effettivamente riscontrato dal coordinatore S.. Anche l'attendibilità del teste D., capomastro sovraordinato e garante del corretto andamento della lavorazione, è stata messa in dubbio dai giudici di merito, secondo considerazioni logiche e, come tali, non sindacabili in questa sede, che muovono dalla particolare posizione di "garante" del D. e dalle contestazioni, rivoltegli nel corso del controesame della parte civile, di non essersi mai reso conto che il coltello divisore fosse presente. Infine, la deposizione del teste B., che in epoca successiva all'infortunio aveva ritirato il macchinario per cui è causa, riscontrandone la piena efficienza e regolarità, è stata ritenuta inconducente dalla Corte territoriale, posto che la macchina incriminata nel frattempo poteva essere stata dotata dei dispositivi mancanti al momento del sinistro. Si tratta, anche in questo caso, di una ponderata valutazione di merito, immune da aporie logiche evidenti e, come tale, insindacabile nella presente sede di legittimità.
In tale motivazione sono esplicitamente disattese le doglianze svolte nei motivi di appello ed in essa non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 21574501; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 19695501).
2. Il terzo motivo è manifestamente infondato e costituisce, nella sostanza, una censura in fatto non consentita, assumendosi che il M.M. fosse stato assunto con la qualifica di operaio addetto alla manutenzione degli impianti "in senso ampio", ed avesse ricevuto tutte le informazioni nonché la prescritta formazione ed addestramento per i lavori da eseguire. Il ricorrente insiste nell'affermare che il lavoratore avrebbe proceduto al taglio di altre tavole pur senza esserne autorizzato e senza la vigilanza del capo cantiere, in ciò integrando un comportamento anomalo avente valore di causa sopravvenuta, da sola sufficiente a cagionare l'evento.
Di contro, la sentenza impugnata ha congruamente e logicamente accertato che il M.M. non era stato affatto informato sulla valutazione dei rischi, e ciò risulta riscontrato dal fatto che nel corso della verifica eseguita dal C. non erano stati rinvenuti i verbali relativi alla formazione specifica riguardante la sega circolare in questione. La Corte territoriale ne ha tratto un corretto ragionamento in punto di diritto, avendo escluso che il comportamento del lavoratore fosse qualificabile come esorbitante o anomalo per il solo fatto di aver provveduto al taglio della tavola senza aver rispettato le disposizioni del capocantiere. In proposito, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del costante principio della Corte regolatrice in materia di prevenzione antinfortunistica, secondo cui, affinché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 26960301), evenienza chiaramente non rinvenibile nel caso di specie.
3. Il quarto motivo difetta del requisito dell'autosufficienza, non avendo il ricorrente allegato al ricorso copia degli atti azionati in sede civile.
In ogni caso, la Corte territoriale ha risposto adeguatamente anche a tale doglianza, rilevando la non coincidenza della causa petendi nei distinti giudizi di merito di che trattasi. In particolare, dalla sentenza impugnata si evince che il S.P. ha promosso un distinto giudizio civile in cui sono ricomprese anche questioni - estranee all'azione civile promossa in sede penale - attinenti all'operatività del rapporto di garanzia con le compagnie assicuratrici.
Sotto questo profilo, trova nel caso applicazione il principio secondo cui la revoca della costituzione di parte civile, prevista per il caso in cui l’azione venga promossa anche davanti al giudice civile, si verifica solo quando sussiste coincidenza fra le due domande, ed è finalizzata ad escludere la duplicazione dei giudizi (Sez. 4, n. 3454 del 19/12/2014 - dep. 2015, Di Stefano e altro, Rv. 26195001). Tale condizione è stata motivatamente esclusa dalla Corte di merito, secondo una ponderata e adeguata valutazione di merito insindacabile in cassazione.
4. Il quinto motivo è inammissibile, posto che la questione concernente l’applicabilità al caso di specie dell’art. 131-bis cod. pen. non risulta avanzata in sede di appello, sicché la stessa non può essere dedotta per la prima volta in Cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di disposizione normativa già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata; né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare sulla relativa causa di esclusione della punibilità.
5. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile M.M. che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 21 dicembre 2018

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Decreto 12 Marzo 2019

ID 8014 | | Visite: 6291 | Prevenzione Incendi

Decreto 12 Marzo 2019

Decreto 12 Marzo 2019

Modifiche ed integrazioni al decreto 24 maggio 2002, recante: «Norme di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione».

(GU Serie Generale n.67 del 20-03-2019)

Entrata in vigore: 19.04.2019

Art. 1  Modifiche alla regola tecnica di prevenzione incendi per gli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione.

1. Alla regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione, allegata al decreto del Ministro dell'interno 24 maggio 2002, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al titolo II, paragrafo 2.7, il punto 2.7.5. - Apparecchi di distribuzione automatici, e' sostituito dal seguente:

«2.7.5. Apparecchi di distribuzione automatici

I distributori per l'erogazione di gas naturale per autotrazione devono essere provvisti di marcatura CE e relativa dichiarazione di conformita' ai sensi del decreto legislativo 19 maggio 2016, n. 85.

Tale marcatura CE deve attestare che il distributore e' costruito in maniera idonea in conformita' all'analisi di rischio effettuata dal fabbricante ai sensi di tutte le direttive comunitarie applicabili.

E' consentita l'erogazione contemporanea di carburanti liquidi e gassosi mediante apparecchi di distribuzione multi prodotto conformi alle disposizioni vigenti applicabili; e' tuttavia vietato rifornire il medesimo veicolo con piu' carburanti contemporaneamente.

Gli apparecchi di distribuzione devono essere dotati di giunto antistrappo sulla manichetta di carico del veicolo.  Il collegamento dell'apparecchio di distribuzione alla linea di adduzione del gas deve essere effettuato tramite una valvola di eccesso di flusso. Prima della pistola di erogazione gas al veicolo deve essere inserita una valvola di non ritorno. L'impianto di scarico in atmosfera deve essere in grado di resistere alle sollecitazioni meccaniche prodotte dal gas effluente alla pressione di esercizio. Il condotto di scarico in atmosfera deve essere convogliato in area sicura e comunque l'estremita' superiore di detto condotto deve essere situata ad una distanza dal piano di calpestio non minore di 2,50 m e protetta da dispositivo taglia fiamma inossidabile.

I distributori devono essere collegati elettricamente a terra secondo quanto prescritto al punto 2.9.

Ogni apparecchio di distribuzione deve fare capo ad un dispositivo di intercettazione posto alla radice dell'apparecchio stesso.

Al fine di impedire l'erogazione a pressione superiore a 220 bar, su ciascun punto di erogazione degli apparecchi di distribuzione deve essere inserito un sistema di controllo automatico della pressione che interagisca con la testata contometrica oppure un sistema di equivalente efficacia e non assoggettabile a manomissione.

Gli apparecchi di distribuzione automatici asserviti ad un dispositivo self-service devono essere dotati di pistola di erogazione conforme a quanto specificato dal regolamento ECE-ONU R110 e adatta all'alloggiamento del connettore di carica di qualsiasi veicolo alimentato a gas naturale, che sia conforme alle norme ISO 15501-1 e ISO 15501-2. La pistola deve garantire l'erogazione solo ad accoppiamento avvenuto ed il suo impiego deve risultare agevole.

Al fine di consentire il rifornimento in modalita' self-service, ciascun apparecchio di distribuzione deve essere asservito ad un pulsante di ritenuta che comanda l'erogazione del gas mediante l'azione manuale sul dispositivo stesso. L'eventuale successiva pressione dello stesso pulsante deve bloccare immediatamente l'erogazione del gas. Il pulsante di ritenuta deve essere posizionato ad adeguata distanza dall'apparecchio di distribuzione in uso, comunque non inferiore alla lunghezza della manichetta di carico del veicolo, e collocato in modo da consentire all'utente una completa visione dell'apparecchio di distribuzione al fine del controllo della regolare erogazione.

Negli impianti self-service presidiati, in zona sicura posta ad adeguata distanza dagli apparecchi di distribuzione, comunque in posizione tale da garantire una completa visione dell'apparecchio stesso, deve essere posizionato un sistema di comunicazione che permetta all'utente di ricevere assistenza da parte del personale addetto e deve essere installato almeno un punto di controllo a distanza dell'apparecchio di distribuzione dal quale il personale addetto possa comandare l'interruzione dell'erogazione.

Negli impianti self-service non presidiati, in zona sicura posta ad adeguata distanza dagli apparecchi di distribuzione, comunque in posizione tale da garantire una completa visione dell'apparecchio stesso, deve essere previsto un sistema di comunicazione remoto, attivabile mediante un apposito pulsante o attraverso la chiamata ad un numero telefonico chiaramente esposto, con un centralino dedicato attivo h24, che consenta all'utente di ricevere assistenza all'operazione di rifornimento nonche' permetta di segnalare un incidente o una situazione di emergenza ricevendo istruzioni sulle operazioni da compiere e sul comportamento da tenere. Il personale in servizio presso il suddetto centralino deve avere conseguito l'attestato di idoneita' tecnica di cui all'art. 3 della legge 28 novembre 1996, n. 609, a seguito della frequenza del corso di tipo C di cui all'allegato IX del decreto del Ministro dell'interno 10 marzo 1998.

Sull'apparecchio di distribuzione automatico asservito ad un dispositivo self-service devono essere previsti dispositivi di segnalazione per il corretto riposizionamento della pistola di erogazione nell'apposito alloggiamento.»;

b) al titolo IV, il paragrafo 4.5. - Segnaletica di sicurezza - e' sostituto dal seguente:

«4.5. Segnaletica di sicurezza.

Devono osservarsi le vigenti disposizioni sulla segnaletica di sicurezza di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Inoltre nell'ambito dell'impianto ed in posizione ben visibile deve essere esposta idonea cartellonistica riproducente uno schema di flusso dell'impianto gas ed una planimetria dell'impianto di distribuzione evidenziando anche i comandi di emergenza. Lo schema di flusso, la planimetria dell'impianto e i comandi di emergenza devono essere visibili anche in caso di carente illuminazione naturale e assenza dell'illuminazione ordinaria, mediante impianti di illuminazioni di sicurezza.

In prossimita' degli apparecchi di distribuzione, idonea cartellonistica deve indicare che:

a) e' vietato accedere al rifornimento ai veicoli che non sono in possesso dei requisiti richiesti per la circolazione, compresi gli aspetti relativi alla omologazione delle bombole installate e alle relative verifiche periodiche;
b) nell'area, nel raggio di 6 metri dal perimetro dell'apparecchio di distribuzione, anche all'interno dell'abitacolo, e' vietato:
b.1) utilizzare apparati non adeguatamente protetti dal rischio d'innesco, ivi compresi i telefoni cellulari;
b.2) fumare, anche con sigaretta elettronica;
b.3) accendere o utilizzare fiamme libere.

Ulteriore cartellonistica deve indicare le istruzioni inerenti:
c) il comportamento da tenere in caso di emergenza;
d) la posizione dei dispositivi di sicurezza;
e) le manovre da eseguire per mettere in sicurezza l'impianto come, ad esempio, l'azionamento dei pulsanti di emergenza e il funzionamento dei presidi antincendio;
f) l'avvertenza che il veicolo puo' essere messo in moto soltanto dopo che la pistola di erogazione sia stata disinserita.»;

[...] segue in allegato

Collegati:

Titolarita’ adempimenti sicurezza antincendio edifici scolastici

ID 7745 | | Visite: 7492 | Documenti Riservati Sicurezza

Titolarit   adempimenti lsicurezza antincendio edifici scolastici

Titolarità’ adempimenti relativi alla sicurezza antincendio negli edifici scolastici

ID 7745 | 08.02.2019

Documento e Note VVF e Avvocatura dello Stato su Titolarità degli obblighi per la sicurezza antincendio negli edifici scolastici, obblighi ripartiti tra Dirigenti scolastici ed Enti proprietari degli edifici.

In materia è intervenuto il parere CS 33778/2010 del 13/12/2010, Sez. VII, dell’Avvocatura Generale dello Stato, ribadito dalla stessa Avvocatura con nota del 15/02/2012 concernente i casi in cui l’edificio scolastico sia di propri età degli Enti Locali e da questi concessi in uso all’Amministrazione scolastica. 

In base a tale recente ricostruzione del quadro normativo, risulterebbe che in materia sussista una separazione di competenze per quanto riguarda gli adempimenti ai fini della sicurezza antincendio.

Da un lato, gli obblighi di cui al D.P.R. n. 151/2011 risulterebbero fare capo al rappresentante protempore dell’Ente Locale proprietario dell’edificio scolastico (Provincia e Comune, gravati dell’obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria, straordinaria e impiantistica degli edifici adibiti a scuola, ai sensi dell’art.3,comma 1, L.23/96).

Dall’altro, il dirigente scolastico (titolare dell’attività scolastica con riferimento al concreto esercizio dell’attività medesima) sarebbe il destinatario degli obblighi di cui al D.Lgs. n.81/2008, in quanto titolare della qualifica di datore di lavoro. Su questi graverebbe solo l’obbligo di segnalare per iscritto al Sindaco/Presidente della Provincia la necessità di provvedere agli adempimenti di cui al D.P.R. n.151/2011, se già non adempiuti.

Per converso, i Dirigenti Scolastici sono comunque titolari di un generico dovere di sorveglianza sulla sicurezza nell’ambiente scolastico (tra le tante cfr. Cassazione, Sez. III, 28 agosto 1995 n.9047) e dunque devono segnalare all’Ente Locale competente l’eventuale mancanza della certificazione antincendio (cfr anche l’art.5, DM 29 settembre 1998, n. 382).

Titolarit   sicurezza antincendio edifici scolastici
Fig. - Flusso obblighi Sicurezza/Prevenzione incendi Scuole

...
Nella nota di chiarimento dell’Avvocatura viene ribadito “che in presenza di una situazione di pericolo l’attività scolastica non puo’ che essere sospesa, anche a prescindere dal provvedimento del Sindaco riguardante la chiusura o meno dell’immobile”.
...

Nota del Ministero dell’Interno Prot. n. 0009060 del 25/06/2013

Alle direzioni Regionali e Interregionali dei Vigili del Fuoco Loro Sedi E,
p.c. Ai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco Loro Sedi

OGGETTO: Titolarità degli adempimenti relativi alla sicurezza antincendio negli edifici scolastici.

Pervengono a questa Direzione Centrale comunicazioni dalle strutture periferiche relative alla non uniforme applicazione sul territorio dei procedimenti di prevenzione incendi di cui al D.P.R. n. 151/2011, con particolare riferimento alle scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie con oltre 100 persone presenti, di cui al n. 67 dell'allegato I dello stesso decreto.

A tal proposito si rammenta che in materia è intervenuto il parere CS 33778/2010 del 13/12/2010, Sez. VII, dell'Avvocatura Generale dello Stato, ribadito dalla stessa Avvocatura con nota del 15/02/2012, concernente i casi in cui l'edificio scolastico sia di proprietà degli Enti locali e da questi concessi in uso all'Amministrazione scolastica.

In base a tale recente ricostruzione del quadro normativo, risulterebbe che in materia sussista una separazione di competenze per quanto riguarda gli adempimenti ai fini della sicurezza antincendio. Da un lato, gli obblighi di cui al D.P.R. n. 151/2011 risulterebbero fare capo al rappresentante pro-tempore dell'Ente locale proprietario dell'edificio scolastico. Dall'altro, il dirigente scolastico sarebbe il destinatario degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 81/2008, in quanto titolare della qualifica di datore di lavoro. Su questi graverebbe solo l'obbligo di segnalare per iscritto al Sindaco/Presidente della Provincia la necessità di provvedere agli adempimenti di cui al D.P.R. n. 151/2011, se già non adempiuti. Tutto quanto sopra espresso, pertanto, al fine della corretta predisposizione degli atti di competenza, si invitano codesti Uffici a verificare se siano state date al riguardo direttive uniformi da parte delle Procure Generali della Repubblica.

...
segue

Allegati

- Parere CS 33778/2010 del 13/12/2010, Sez. VII, dell’Avvocatura Generale dello Stato
- Nota del 15/02/2012 dell’Avvocatura Generale dello Stato
- Nota DCPREV prot. 9060 del 25.06.2013 del Ministero degli Interni - Dipartimento VVF

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 10841 | 12 Marzo 2019

ID 7977 | | Visite: 2583 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 12 marzo 2019 n. 10841

Vendita di una macchina rulliera non sicura e infortunio del lavoratore

Penale Sent. Sez. 4 Num. 10841 Anno 2019
Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 12/12/2018

Ritenuto in diritto

1. Con sentenza del 28.6.2018 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena e confermato nel resto la dichiarazione di responsabilità di A.B. per il reato di lesioni personali colpose in danno di DG.A., aggravato dalla violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Secondo la contestazione, il A.B., quale legale rappresentante della ditta OMC S.r.l., aveva venduto allo scatolificio MF una macchina rulliera non rispondente alle disposizioni di legge in materia di sicurezza sul lavoro, in quanto priva di protezioni che impedissero l'inserimento delle mani dal lato interno della rulliera nei punti costituiti dalle catene e dalle relative ruote dentate. In conseguenza di ciò, il dipendente della ditta MF, DG.A., riportava lesioni personali gravi alla mano destra, venuta a contatto con la catena e la ruota dentata di uno dei rulli del macchinario durante una fase di lavoro (fatto del 14.6.2011).
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il A.B., lamentando quanto segue.
I) Inosservanza di norme processuali in relazione agli artt. 178 e 495 cod. proc. pen.: violazione del diritto di difesa e nullità delle sentenze di merito.
Deduce che il Tribunale, all'udienza del 7.4.2017, escussi i testi di accusa, aveva inopinatamente revocato i testimoni indicati dalla difesa, in precedenza già ammessi dal giudice. Nonostante l'opposizione della difesa, il Tribunale aveva dichiarato chiusa l'istruttoria, e poi solo in sentenza aveva accennato alla superfluità delle prove indicate dalla difesa. La Corte di appello ha disatteso lo specifico motivo di gravame, riconducendo l'operato del primo giudice ad un asserito corretto esercizio del proprio potere officioso di governo sullo svolgimento dell'istruttoria.
Secondo il ricorrente, invece, l'ordinanza di revoca dei testimoni ammessi è stata resa senza adeguata motivazione, rinvenendosene gli argomenti solo nella successiva sede motivazionale della sentenza di condanna, in violazione dell'art. 495 cod. proc. pen. e del diritto della difesa di difendersi provando, avente rilievo costituzionale e sovranazionale ex art. 6, comma 3, lett. d) CEDU.
II) Mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e mancata assunzione di prova decisiva.
Deduce che nessun accenno i giudici di merito hanno riservato alla rilevanza dei due testi indicati dalla difesa (Ciucci e Pagni), che avrebbero potuto riferire in ordine al profilo della progettazione e costruzione della rulliera in questione, risalente al 2002, nonché in ordine alle modalità e caratteristiche che connotavano il macchinario allorché fu montato presso il cliente.
III) Vizio di motivazione e inosservanza della regola di giudizio di cui all'art. 533 cod. proc. pen.
Denuncia l'inconsistenza e manifesta illogicità della motivazione, sulla base della documentazione acquisita, costituita solo da tre pagine del manuale d'uso e manutenzione del macchinario e da una tavola grafica della rulliera raffigurata solo in prospettiva ortogonale e laterale, unitamente all'attestazione CE. Nessuna considerazione viene riservata alle osservazioni svolte nei motivi di appello circa l'esistenza, anche in quelle poche pagine, di chiari riferimenti all'apposizione sulla macchina di presidi di sicurezza. Anche dalla tavola grafica non può trarsi alcuna notizia circa la struttura sottostante della rulliera. La deposizione dell'ufficiale di PG C. risulta travisata, visto che il medesimo non ha accertato alcunché sulle condizioni originali della macchina e ha fornito una semplice opinione in ordine all'assenza di protezioni prima dell'infortunio. Nessun peso è poi stato dato al considerevole lasso di tempo trascorso tra la fornitura del macchinario e l'epoca dell'infortunio, e sulla carenza di manutenzione dello stesso.
IV) Violazione di legge e vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio.
Lamenta che la determinazione della pena in misura sensibilmente superiore al minimo edittale è stata motivata in termini apodittici e apparenti, senza alcuna considerazione in ordine alle invocate attenuanti generiche, tenuto anche conto del consistente lasso di tempo trascorso tra la condotta ascrivibile all'imputato e l'infortunio.
V) Vizio di motivazione in punto di conferma delle statuizioni civili (provvisionale).
Lamenta l'eccessiva quantificazione della provvisionale, non parametrata rispetto alle modeste risorse economiche dell'imputato, che non esercita più alcuna attività imprenditoriale.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va, quindi, rigettato.
2. Il primo motivo non considera l'insegnamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui la dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale, ove la parte vi assiste e non abbia eccepito il mancato esame di un testimone, comporta la revoca implicita dell'ammissione di tale deposizione ed eventuali nullità concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 3, n. 29649 del 27/03/2018, Bulletti, Rv. 27359001).
Nel caso che occupa non risulta né viene dedotto che la difesa del ricorrente abbia eccepito l'eventuale nullità davanti al Tribunale, quantomeno in sede di conclusioni, quindi la questione è ormai sanata ex art. 182 cod. proc. pen.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Al riguardo occorre muovere dal costante principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 27357701).
Nella specie il ricorrente non ha dimostrato la sussistenza di lacune motivazionali decisive che sarebbero state evitate se si fosse provveduto all'assunzione dei suoi testi, limitandosi ad indicare le circostanze su cui gli stessi avrebbero riferito, senza spiegarne l'incidenza sul costrutto motivazionale della sentenza impugnata.
4. Il terzo motivo svolge essenzialmente censure in fatto, in quanto pretende di ottenere una rivalutazione del compendio probatorio, e quindi una rilettura dei fatti, inammissibile in cassazione. Si tratta, inoltre, di censura che non rispetta il requisito della autosufficienza del ricorso, con riferimento alla documentazione ivi citata o alla richiamata deposizione dell'ufficiale di polizia giudiziaria C..
Ciò a fronte di una sentenza che ha adeguatamente ed esaurientemente accertato che il macchinario risultava fin dalla sua costruzione sprovvisto di quelle protezioni doverose - che vennero aggiunte solo successivamente all'infortunio dal datore di lavoro - che, qualora tempestivamente installate, avrebbero certamente impedito l'evento lesivo, a prescindere dallo stato di manutenzione del macchinario.
5. Parimenti infondato il quarto motivo sul trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale, per quanto succintamente, ha adeguatamente motivato sui criteri di determinazione della pena, avendo allo scopo richiamato il grado della colpa e il precedente specifico a carico dell'imputato, anche a giustificazione del diniego di applicazione delle attenuanti generiche. Si tratta, in ogni caso, di pena che non supera la media edittale, per cui nel caso trova applicazione il costante principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 27124301).
6. Il quinto motivo è inammissibile, sulla scorta del costante orientamento della Corte regolatrice secondo cui il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva, liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 26153601).
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 dicembre 2018

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Allegato riservato Cassazione Penale Sez. 4 del 12 marzo 2019 n. 10841.pdf
 
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Approvazione modifiche D.M. 03.08.2015 | Eliminazione doppio binario

ID 7971 | | Visite: 11442 | Prevenzione Incendi

Decreto modifica 3 agosto 2015

Approvazione modifiche D.M. 03.08.2015 | Eliminazione doppio binario

Update 08 maggio 2019

 
Oggetto: pubblicazione del DM 12 aprile 2019: modifiche al Codice di prevenzione incendi (DM 03/08/2015) con eliminazione del doppio binario per le ex attività non normate. 
 
Come preannunciato con la circolare CNI n.361/XIX Sess./2019 del 13/03/2019 (Attività del CCTS: approvazione modifiche al DM 03/08/2015 con eliminazione del doppio binario per le ex attività non normate), nella G.U del 23 aprile 2019 è stato pubblicato il DM 12 aprile 2019 sulle "Modifiche al decreto 3 agosto 2015, recante l'approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139", che vi alleghiamo in copia.

Si tratta del decreto di modifica al Codice di prevenzione incendi (DM 03/08/2015) che sancisce, in parte, l'eliminazione del cosiddetto "doppio binario". Infatti per n. 41 attività soggette (ex non normate) contenute nell'Allegato 1 del DPR 151/2011, la Regola Tecnica Orizzontale (RTO) del Codice diventerà l'unico riferimento progettuale.

La modifica non riguarda le RTV (uffici, autorimesse, scuole, alberghi, attività commerciali) per le quali l'uso del Codice resterà un'opzione volontaria, in alternativa alle vecchie regole tecniche prescrittive.

L'obbligo riguarderà sia le attività di nuova realizzazione che le modifiche (anche parziali) alle attività esistenti a condizione che le misure di sicurezza antincendio presenti nella parte di attività non interessata dall'intervento siano compatibili con i lavori da realizzare.
Rispetto al testo del decreto approvato in CCTS, il DM 12 aprile 2019 presenta alcune varianti, tra cui di rilievo:

- l'attività 72 (edifici sottoposti a tutela, aperti al pubblico) non rientra nel campo di applicazione del Codice;
- art. 2 comma 5: il Codice può essere riferimento progettuale per le attività che non rientrano nei limiti di assoggettabilità dell'Allegato 1 del DPR 151/2011 o per attività non elencate nell'Allegato 1.
Nella tabella allegata si sintetizzano le modalità di utilizzo del Codice, per le attività rientranti nel suo campo di applicazione. 

Il DM 12 aprile 2019 entrerà in vigore il 20 ottobre 2019.

Update 23 aprile 2019

Pubblicato in GU n.95 del 23 aprile 2019 il Decreto 12 aprile 2019 "Modifiche al decreto 3 agosto 2015, recante l'approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139"

Entrata in vigore: 20.10.2019

Update 13 marzo 2019

13/03/2019 Circolare - XIX Sessione n. 361 CNI

Attività del CCTS: Approvazione modifiche al D.M. 03.08.2015 con eliminazione del doppio binario per le ex attivita' non normate

Il decreto di modifica del DM 3 agosto 2015 è stato elaborato come primo passaggio di un processo volto a rendere ii Codice, in futuro,  lo strumento di riferimento per la prevenzione incendi.

Con il decreto vengono introdotti due elementi:

- l'ampliamento del campo di applicazione (vengono inserite alcune nuove attività dell'allegato I del DPR 151/2011);

- l'obbligatorietà dell'utilizzo del Codice per la progettazione delle attività tradizionalmente "non normate", in sostituzione dei "criteri tecnici di prevenzione incendi"

L'ampliamento del campo di applicazione

Il campo di applicazione del DM 3 agosto 2015 e s.m.i. viene ampliato con l'introduzione di alcune attività (da 19 a 26, 69, 72 e 73) dell'allegato I al DPR 151/2011.

Si sottolineano in particolare:

- l'introduzione dell'attività 69: l'emanazione della RTVS ha fornito le  disposizioni  per  i locali adibiti ad esposizione e vendita, limitando a questi l'applicazione del Codice. L'introduzione dell'attività 69 nel campo di applicazione indica l'applicabilità del Codice (RTO) alle esposizioni fieristiche, prima escluse

- l'introduzione dell'attività 72, legata all'emananda RTV edifici destinati a musei, gallerie, biblioteche ecc.;

- l'introduzione dell'attività 73.

L'obbligatorietà dell'utilizzo del Codice per la progettazione delle attività tradizionalmente "non normate", in sostituzione dei "criteri tecnici di prevenzione incendi"

Il decreto di modifica interviene sulla modalità di applicazione del codice, prima facoltativa, rendendolo cogente in alcune situazioni:

a) Il Codice si applica obbligatoriamente a tutte le attività incluse nel campo di applicazione e non dotate di RTV "di nuova realizzazione";

b) Il Codice si applica agli interventi di modifica di attività esistenti, a condizione che le misure di sicurezza antincendio esistenti nella parte di attività non interessata dall'intervento siano compatibili con gli interventi da realizzare;

c) Per gli interventi di modifica non rientranti nel caso b), rimane la possibilità di continuare ad applicare i criteri generali di prevenzione incendi, fatta salva la possibilità di applicare ii codice all'intera attività;

d)  Il Codice può essere di riferimento per le attività non soggette (sia per quelle al di sotto delle soglie dell'allegato I, sia per quelle non ricadenti nell'allegato I);

e)  Per le attività dotate di RTV rimane la possibilità di scegliere tra la regola tecnica tradizionale e il Codice.

Le modalità di applicazione indicate vengono sintetizzate nella tabella seguente.

Tipologia di attività

Progettazione di nuove attività

Progettazione di modifiche/ampliamenti di attività esistenti

 

 

 

Attività soggette

Senza RTV

Solo Codice

- Codice

- Se il Codice non è compatibile con l'esistente, allora regole tradizionali oppure applicazione del codice all'intera attività

 

Con RTV

Si può scegliere tra:

- Codice

- Regole tradizionali

Attività non soggette

Il Codice può essere applicato come riferimento con esonero dall'applicazione delle regale tradizionali.

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Fonte: CNI

Collegati:

Cassazione Penale Sent. Sez. 5 n. 38425 | 22 Novembre 2006

ID 7964 | | Visite: 2363 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale, Sez. 5, 22 novembre 2006, n. 38425

Schegge e mancanza di occhiali protettivi: requisiti della delega di funzioni

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Genova confermava la sentenza di primo grado con la quale De.Fr.Ma. era stato condannato alla pena di euro 300.00 di multa, per il reato di lesioni colpose gravi, previa concessione delle attenuanti generiche nonché dell'attenuante del risarcimento del danno prevalenti sulle aggravanti contestate.

Trattavasi di un infortunio sul lavoro occorso in data 14 giugno 1999 in un'autocarrozzeria al lavoratore dipendente Pe.Vi., che mentre era intento ad operazioni di carteggiatura con l'apposita macchina ad aria compressa su di un'autovettura, veniva colpito all'occhio destro da schegge e polvere di stucco metallico, che gli provocavano una malattia superiore ai 90 gg.

Il De.Fr. era stato chiamato a risponderne quale titolare dell'autocarrozzeria, essendosi ravvisati a suo carico profili di colpa, sia generica, sub specie dell'imprudenza e negligenza, sia specifica, fondata, quest'ultima, sulla inosservanza del disposto dell'art. 382 dpr 547/55 avendo lo stesso omesso di dotare il dipendente di occhiali protettivi.

Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione De.Fr.Ma., articolando i seguenti motivi.

Con il primo motivo, deduce l'assenza di motivazione in ordine al rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prospettata sub specie di omessa valutazione di una richiesta di escussione, nella qualità di teste, del capo-officina, che, secondo l'assunto difensivo, avrebbe dovuto verificare, pur in assenza di una delega formale, l'ottemperanza dei dipendenti alla normativa antinfortunistica.

Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell'art. 521 c.p.p., sul rilievo che la Corte di Appello avrebbe evidenziato un profilo di colpa diverso da quello individuato in sede di originaria contestazione (il datore di lavoro non prescriveva l'adozione di occhiali e non ne controllava l'uso, mentre nel capo di imputazione era stato contestato di avere omesso di dotare il dipendente di occhiali protettivi), così violando il principio di necessaria correlazione tra la sentenza e la contestazione. Tale violazione, si sostiene, avrebbe impedito una difesa adeguata.

Con il terzo motivo, si duole della omessa motivazione in merito alla determinazione della pena, superiore al limite edittale, nonostante l'integrale risarcimento del danno da parte del prevenuto.

Con il quarto motivo, lamenta il vizio di motivazione con riferimento al giudizio di equivalenza riguardo alle aggravanti contestate, sul rilievo che la Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare sul punto la sentenza di primo grado.

Tutti i motivi sono infondati e non meritano accoglimento.

Infondato è il primo motivo, che si risolve in una censura sulla valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione coerente e logica.

In primo luogo, sulla lamentata mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il ricorrente dimentica le caratteristiche della rinnovazione del giudizio in appello.

In vero, secondo assunto pacifico, poiché il giudizio d'appello, costituisce un procedimento critico che ha per oggetto la sentenza impugnata, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, rispetto all'abbandono del principio di oralità del secondo grado, nel quale vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l'art. 603, comma 1, c.p.p. non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza che, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione (sulla quale nei limiti della illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità) può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere decidere allo stato degli atti (di recente, Cass., Sez. IV, 28 ottobre 2005, Conti).

La Corte di appello si è posta in linea con il principio sopra enunciato ed ha in effetti logicamente argomentato sul rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale attraverso l'assunzione della prova testimoniale del capo officina, richiamando i principi generali in tema di responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., in assenza di delega, nella fattispecie rimasta indimostrata.

Il ricorrente non contesta, infatti, le modalità dell'incidente, ma la riferibilità a sé stessa nella qualità di datore di lavoro, della violazione contestata, eccependo di aver conferito di fatto una delega al capo officina al fine di verificare l'ottemperanza dei dipendenti alla normativa anti-infortunistica.

La Corte di merito, in proposito, ha ritenuto insussistente una delega ed ha correttamente dedotto che sotto tale profilo il De.Fr. non potesse essere esonerato da responsabilità.

La decisione è, sotto questo profilo, perfettamente rispettosa del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro. Tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (di recente, in termini, v. Cass., Sez. IV, 12 gennaio 2005, Cuccu; nonché Cass., Sez. IV, 1° aprile 2004, Rinaudo ed altro).

Questa conclusione, del resto, è coerente con il ruolo del datore di lavoro e con le responsabilità che da questo al medesimo derivano (ruolo e responsabilità tenuti ben presenti nella decisione gravata, attraverso soprattutto l'esatto richiamo al disposto dell'art. 2087 c.c.).

Come è noto, infatti, è il datore di lavoro il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica. Ciò dovendosi desumere non solo dagli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro (cfr., in particolare, l' art. 4 dpr 27 aprile 1955 n. 547 nonché l' art. 4 d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626), ma anche, più in generale, dalla "norma di chiusura" stabilita nell'art. 2087 c.c., che integra la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi tout court garante dell'incolumità del lavoratore (sul ruolo di "norma di chiusura" dell'art. 2087 c.c., cfr. Cass., Sez. IV, 122 gennaio 2005, Cuccu e Cass., Sez. IV, 4 novembre 2003, Forti).

Può così in effetti affermarsi che il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all'art. 2087 c.c., è il "garante" dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 comma 2 c.p. (non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo).

Quanto al secondo motivo, non può sostenersi, con la difesa, che la Corte, evidenziando che il datore di lavoro non controllasse l'uso degli occhiali e non l'omessa dotazione degli stessi, sarebbe incorsa nella violazione del principio di necessaria correlazione tra la sentenza e la contestazione.

Tale censura non tiene conto, innanzitutto, che l'eventuale esistenza di occhiali protettivi non esclude la contravvenzione di cui all'art. 382 del dpr n. 547 del 1955 se il datore di lavoro non provi di aver richiesto ai lavoratori addetti l'uso dei mezzi di protezione posti a loro disposizione (v. in tal senso, Cass., Sez. Ill, 11 novembre 1985, Carabelli).

Non è inutile ricordare, inoltre, che, per assunto pacifico, il principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto la possibilità di effettiva difesa. Tale principio non è invece violato quando nei fatti, contestati e ritenuti, si possa agevolmente individuare un nucleo comune e, in particolare, quando essi si trovano in "rapporto di continenza" (cfr., tra le tante, Cass., Sez. VI, 29 aprile 2003, Carboni).

ll principio di correlazione tra imputazione e sentenza va apprezzato infatti non in senso formalistico, ma piuttosto con riferimento alla finalità di garanzia che è diretto a soddisfare: con la conseguenza che non qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria appare atta a violare il suddetto principio, mentre ciò deve ritenersi solo nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi e precluda, in concreto, la possibilità di difesa da parte dell'imputato (cfr. Cass., Sez. IV, 17 maggio 2005, Da Canal ed altro).

Lesione della possibilità di difendersi che nella specie deve escludersi, non potendosi revocare in dubbio che la condotta contestata al De.Fr. sin dal principio era la violazione di tutte le cautele che debbono essere adottate (in particolare la prescrizione e l'uso degli occhiali) al fine di salvaguardare l'incolumità del lavoratore esposto al pericolo di offesa degli occhi per proiezioni di schegge o di altri materiali comunque dannosi (v. art. 382 dpr 547/55).

Le censure proposte con il terzo ed il quarto motivo non possono parimenti essere accolte perché vorrebbero che in questa sede si procedesse ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali i giudici di merito hanno esercitato il potere discrezionale loro concesso dall'ordinamento ai fini della determinazione della pena.

ll ricorrente non considera che, ai fini della determinazione della pena, il potere discrezionale del giudice di merito, correlato all'apprezzamento degli elementi indicati nell'art. 133 c.p., è incensurabile se supportato da coerente e congrua motivazione.

Quanto detto vale, a fortori, anche per il giudice d'appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante, non è tenuto ad un'analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti e della determinazione della pena, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. IV, 21 giugno 2005, Lantani ed altro).

A ciò dovendosi aggiungere, con specifico riguardo al contenuto dell'obbligo di motivazione, che questo si attenua nel caso in cui il giudice ritenga di applicare la pena in misura prossima o vicina al minimo edittale (come nella specie), tanto più se si consideri che l'applicazione del minimo edittale non è correlata ad un diritto assoluto dell'imputato (in tal senso, cfr. Cass., Sez. IV, 12 luglio 2005, Bianchi ed altro).

Analoghe considerazioni valgono per il giudizio di comparazione tra le circostanze (art. 69 c.p.), la cui finalità è quella di apprezzare la personalità del colpevole e la vera entità del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto.

Nella fattispecie, il giudice di appello ha correttamente fatto rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado, che aveva fondato il giudizio di equivalenza tra le circostanze sul fatto e sul comportamento processuale dell'imputato.

Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Allegato riservato Cassazione Penale Sez. 5 22 novembre 2006 n. 38425.pdf
 
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Calcolo Dispositivi di Protezione per saldature - Applicativo PAF

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 Calcolo Dispositivi di Protezione per saldature PAF

Calcolo Dispositivi di Protezione per saldature

Calcolo dei Dispositivi di Protezione per saldature in funzione della distanza e dei parametri di saldatura definiti nella norma UNI EN 169.

Portale Agenti Fisici PAF 2018

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Il seguente foglio di calcolo è di ausilio per la scelta dei DPI per operatori  che a qualsiasi titolo si trovino ad operare nei pressi di una postazione di saldatura, e che, pur non essendo direttamente addetti alle operazioni di saldatura, siano soggetti al rischio di superamento dei limiti di esposizione a radiazioni ottiche per occhi e cute: ciò ad esempio può avvenire nelle situazioni in cui non sia possibile schermare in maniera adeguata le postazioni di saldatura, o qualora il lavoratore abbia comunque necessità di stazionare in prossimità dell'area di saldatura, all'interno di un'area schermata.

Le grandezze rilevanti in questo tipo di esposizione sono:

- l'irradianza efficace UV(S), organi bersaglio camera anteriore dell' occhio e cute
- l'irradianza nella regione UVA, organo bersaglio occhi
- l'irradianza ponderata con la curva B ( danno da luce blu), organo bersaglio retina

Dato il tipico spettro di emissione della saldatura ad arco (centrato solitamente nelle bande visibile e UV) si ipotizza che il danno termico retinico sia trascurabile una volta evitato quello fotochimico (da luce blu), quindi la relativa grandezza LR non è presa in considerazione ai fini del calcolo.

Ai fini delle valutazioni inerenti il rischio da luce blu, viene considerata l'irradianza totale a cui è esposto l'occhio, nell'ipotesi di sorgente puntiforme; questo è vero se l'angolo sotteso dalla sorgente è minore di 11mrad. Se si considera un arco elettrico da saldatura con una lunghezza di pochi millimetri ed uno spessore di frazioni di millimetro, questa ipotesi è verificata già ad 1 metro di distanza; a maggior ragione l'ipotesi sarà verificata per gli operatori non direttamente coinvolti nel processo di saldatura che si può supporre stazionino a distanze maggiori di 1 metro dalla postazione di saldatura.

Nella prima parte del calcolatore vengono immessi la tipologia di saldatura come definita dalla UNI EN 169 e la corrente di saldatura impostata dall’operatore.

Viene inoltre richiesta la distanza per la quale si vuole eseguire il calcolo (distanza dalla sorgente di saldatura ove si trovano gli operatori da proteggere).

Seguono due riquadri nei quali tramite i relativi menù a tendina si scelgono le graduazioni per i DPI rispettivamente per saldatura (UNI EN 169) e per ultravioletti (UNI EN 170). I primi saranno da impiegare nel caso si voglia scegliere un DPI per un lavoratore coinvolto comunque nell'operazione di saldatura, il secondo menu (UNI EN 170)  invece consente la scelta di occhiali di protezione per un operatore che non sia addetto alla saldatura.

In ciascun riquadro ad ogni scelta di graduazione vengono mostrati i corrispondenti valori di trasmissione usati ai fini del calcolo: t-313, t-365, tV, e tA. Tali valori si possono ritrovare anche nelle tabelle di sistema mostrate in fondo al calcolatore. Questi valori (ricavati dalle norme), sono utilizzati per stimare la trasmissione dei DPI oculari nelle regioni UV (UVC+UVB+UVA), UVA e visibile (per la luce blu), e da queste le attenuazioni delle tre irradianze considerate ( UV(S), UVA, Blu).

Procedendo nella colonna “non attenuati”per ogni irradianza sono dati:
- il valore di esposizione dell'operatore calcolato alla distanza scelta: considerando la sorgente puntiforme, questo valore viene stimato utilizzando la legge 1/d2: ad un raddoppio della distanza, il valore della grandezza diventa ¼ della precedente
- la percentuale dell'esposizione (calcolata al punto precedente) rispetto al valore limite. Nel caso di UV(S) e UVA essendo il limite dato in termini di dose sulle 8 ore,il valore limite in termini di irradianza  è stato determinato  assumendo un'esposizione continuativa di 8 ore.
- il tempo di esposizione massimo tale da non avere superamento del Valore Limite Esposizione ( VLE ) fino ad esposizioni di 8 ore: qualora il risultato fornisca  tempi massimi  di esposizione maggiori di 8 ore  il risultato fornito è:  > 8 ore

Nelle colonne successive sono calcolate le stesse grandezze, con i valori di irradianza opportunamente attenuati utilizzando i  fattori di attenuazione associati alla graduazione scelta per il DPI e dettati dallo specifico standard costruttivo (UNI EN 169 ovvero UNI EN 170). Sulla base di tali valori di attenuazione il programma di calcolo fornisce la stima della percentuale di esposizione oculare rispetto ai VLE ed i tempi  massimi di esposizione a DPI indossato.

Si osservi che i tempi di esposizione da considerare per il superamento del valore limite per  il rischio  da luce blu lsi  riferiscono al tempo di  fissazione effettiva della sorgente da parte dell'operatore, mentre per i danni da UV(S) e UVA il tempo di esposizione si riferisce al tempo in cui la sorgente è nel campo visivo, anche se non c'è necessità di fissazione diretta da parte dell'operatore.

Pertanto  i valori massimi  dei  tempi di esposizione a luce blu forniti dal presente calcolatore sono da intendersi per fissazione diretta della sorgente: abitualmente  questa  rientra nel  compito visivo solo per operatori direttamente  addetti alla saldatura.

A tale riguardo è opportuno ricordare che sia l'ICNIRP che il D.Lgvo 81/2008 considerano sicura -in condizioni di non fissazione- una sorgente che induca il superamento del valore limite di esposizione per un tempo di esposizione maggiore di 100 secondi.

Il programma notifica sempre  la necessità di proteggere la cute (aree fotoesposte) se il valore limite per esposizione ad ultravioletti UV(S) è superato.

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Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici

ID 7956 | | Visite: 6477 | Documenti Sicurezza ASL

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici 

Lo scopo del presente elaborato è quello di fornire: informazioni finalizzate all’uso in sicurezza degli accessori magnetici e indicazioni per eseguire una valutazione del rischio anche sulla scorta di numerosi esempi riportati.

- scopo
- tipologie
- normative di riferimento
- principali rischi
- misure di sicurezza
- valutazione del rischio
- procedure di sicurezza
- informazione, formazione e addestramento specifico
- ispezioni e controlli di manutenzione

Tipologie

- Sollevatori a Magneti permanenti
: Sfruttano l’energia magnetica intrinseca dei magneti permanenti incorporati e sono attivati tramite una leva, che fa ruotare un gruppo di magneti in modo che il flusso magnetico passi attraverso il carico (fase di lavoro) oppure si chiuda all’interno del magnete stesso (fase di rilascio) . Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi fino a una portata massima di 3 .000 kg, e sono prevalentemente usati per lavori di stoccaggio, trasporto e carico macchine utensili. Possono lavorare su materiali “freddi” (T≤70 °C). SONO INTRINSECAMENTE SICURI.

- Sollevatori Elettropermanenti: Utilizzano l’energia magnetica intrinseca dei magneti permanenti incorporati, ma il comando di magnetizzazione o smagnetizzazione viene fatto impulsivamente (qualche secondo max) per mezzo di una bobina, che inverte la polarità di un gruppo di magneti, facendo in modo che il flusso magnetico passi attraverso il carico (fase di lavoro), oppure si chiuda all’interno del magnete stesso (fase di rilascio). Cessato l’impulso di corrente il sollevatore risulta completamente indipendente da qualsiasi fonte di energia esterna, rimanendo nel suo stato ON o OFF. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi compatti (Billette , bramme , lamiere singole, tondi, coils laminati a freddo, ecc .), con portate anche oltre 45 t. Possono essere installati in gruppi su bilancini, per poter sollevare anche carichi flessibili . Possono lavorare su materiali caldi con temperature fino a 500 ° C. SONO INTRINSECAMENTE SICURI.

- Sollevatori Elettropermanenti a batteria: Simili ai precedenti, ma con alimentazione tramite una batteria a bordo del magnete. Sul magnete vi è un indicatore del livello di carica della batteria: sotto un livello minimo, il lavoro deve essere interrotto e la batteria va ricaricata. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi fino a una portata massima di 4 .000 kg e sono prevalentemente usati per lavori di stoccaggio, trasporto e carico macchine utensili. Possono lavorare su materiali “freddi” (T≤70 °C) . SONO INTRINSECAMENTE SICURI.

- Sollevatori Elettromagnetici: sfruttano l’energia elettrica della rete, per l’alimentazione delle bobine incorporate nell’elettromagnete stesso, che generano il campo magnetico necessario . La forza di tenuta può essere influenzata da problemi alla rete (interruzioni o fluttuazioni) oppure a guasti alle bobine o al sistema di alimentazione. Per questo motivo devono essere provvisti di batterie di emergenza, che garantiscano la tenuta del carico per il tempo necessario al ripristino della rete. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di qualunque tipo di carico, anche sfusi (rottami) o in fasci con portate anche oltre 45 t. Possono essere installati in gruppi su bilancini, per poter sollevare anche carichi flessibili. Possono lavorare su materiali caldi fino alla temperatura di 650 ° C.

- Sollevatori Elettromagnetici a batteria: simili ai precedenti, ma con alimentazione tramite una batteria a bordo magnete. Sul magnete vi è un indicatore del livello di carica della batteria: sotto un livello minimo, il lavoro deve essere interrotto e la batteria va ricaricata. La forza di tenuta può essere influenzata da problemi alla batteria, guasti alla bobina o al sistema di alimentazione. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi fino a una portata massima di 4 .000 kg e sono prevalentemente usati per lavori di stoccaggio, trasporto e carico macchine utensili.

Normativa di riferimento:

UNI EN 13155:2009 - Apparecchi di sollevamento - Sicurezza - Attrezzature amovibili di presa del carico;
ASME B30.20, “Below-the-Hook Lifting Devices”

Buone prassi

- Guidance on the safe use of magnetic lifting devices - Health and Safety Executive: la guida “fornisce consigli su come ridurre il rischio connesso all'uso degli accessori di sollevamento magnetici”;

- Berufsgenossenschaft Handel und Warenlogistik (BGHW). Utilizzo di magneti di sollevamento nel commercio di acciai - la guida “fornisce suggerimenti all’uso in sicurezza di sistemi magnetici nell’ambito del commercio e la distribuzione di acciaio”;

- schede per i controlli INAIL: il documento riporta “indicazioni per garantire gli interventi di controllo, per assicurare la permanenza nel tempo dei requisiti di sicurezza, ove la documentazione del fabbricante a corredo dell’ apparecchio di sollevamento ovvero dell’accessorio di sollevamento utilizzato risulti non disponibile. Laddove, infatti, il manuale del fabbricante risulti disponibile o comunque reperibile, le indicazioni in esso contenute costituiscono il riferimento per il datore di lavoro”.

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ATS Brianza

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Occupational safety and health in the wind energy sector

ID 7949 | | Visite: 2882 | Documenti Sicurezza UE

Occupational safety and health in the wind energy sector

Occupational safety and health in the wind energy sector

European Risk Observatory Report 

Wind turbine standards need to address design requirements as well as cover associated components, systems and technologies that have an impact on the reliable functioning of wind turbines. Despite the increasing amount of wind-related experience, there has been little or nothing in the way of published OSH guidelines or standards. ISO 9001, ISO 14001 and OHSAS 18001 provide general guidance with regard to quality management, OSH and environmental management, but there are currently very few standards that specifically address the unique needs of the wind energy industry.

One of these existing standards is the IEC 61400 series, which gives a set of design requirements that aims to ensure that wind turbines are appropriately engineered against damage from hazards within their planned lifetime. It provides the requirements for all aspects of the design, build and operation of an offshore wind farm. This series covers topics such as: 

- IEC 61400-1: Wind turbines — Design requirements  IEC 61400-2: Wind turbines — Design requirements for small wind turbines  IE
- C 61400-3: Wind turbines — Design requirements for offshore wind turbines 
- IEC 61400-3-2: Wind turbines — Design requirements for floating offshore wind turbines 
- IEC 61400-4: Wind turbines — Design requirements for wind turbine gears 
- IEC 61400-5: Wind turbines — Design requirements for wind turbine rotor blades 
- IEC 61400-11: Wind turbines — Acoustic noise measurement techniques 
- IEC 61400-12: Wind turbines — Wind turbine power performance testing 
- IEC 61400-13: Wind turbines — Measurement of mechanical loads 
- IEC 61400-14: Wind turbines — Declaration of apparent sound power level and tonality values 
- IEC 61400-21: Wind turbines — Measurement and assessment of power quality characteristics of grid connected wind turbines 
- IEC 61400-22: Wind turbines — Conformity testing and certification 
- IEC 61400-23: Wind turbines — Full-scale structural testing of rotor blades 
- IEC 61400-24: Wind turbines — Lightning protection 
- IEC 61400-25: Wind turbines — Communication protocol 
- IEC 61400-27: Wind turbines — Electrical simulation models for wind power generation

One important legislative development in the wind energy industry is the planned update to the European wind turbine standard EN 50308 (Wind turbines — safety requirements for design, operation and maintenance). This revision is still on-going but it is expected that, for the first time, it will take proper account of offshore facilities and cover everything from turbine erection, access hatch sizes and machinery guards to emergency escape lift requirements and lighting. The need to perform risk assessments will also become more explicit. The clarification or introduction of these new turbines pecific safety measures will assist in ensuring that safety is considered from the start of the turbines’ life cycle.
[...]

EU OSHA 2013

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