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Risoluzione del Parlamento europeo 20 ottobre 2021 - 2019/2182 (INL)

ID 14833 | | Visite: 1227 | News Sicurezza

Risoluzione del Parlamento europeo 20 ottobre 2021

Risoluzione del Parlamento europeo 20 ottobre 2021 - 2019/2182 (INL)

Raccomandazioni alla Commissione sulla protezione dei lavoratori dall'amianto

Contenuti:

Strategia europea per la rimozione dell’amianto: ESRAA
Una direttiva quadro europea per le strategie nazionali di rimozione dell’amianto
Aggiornamento della direttiva 2009/148/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro
Riconoscimento e indennizzo delle malattie correlate all’amianto
Verifica della presenza di amianto prima di lavori di ristrutturazione energetica e della vendita o locazione di un immobile
L’Unione come leader mondiale nella lotta contro l’amianto
Aspetti finanziari
ALLEGATO I ALLA RISOLUZIONE: RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI IL CONTENUTO DELLA PROPOSTA RICHIESTA - Una direttiva quadro europea per le strategie nazionali di rimozione dell’amianto
ALLEGATO II ALLA RISOLUZIONE: RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI IL CONTENUTO DELLA PROPOSTA RICHIESTA - Aggiornamento della direttiva 2009/148/CE
ALLEGATO III ALLA RISOLUZIONE: RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI IL CONTENUTO DELLA PROPOSTA RICHIESTA - Riconoscimento e indennizzo delle malattie legate all’amianto
ALLEGATO IV ALLA RISOLUZIONE: RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI IL CONTENUTO DELLA PROPOSTA RICHIESTA - Aggiornamento della direttiva 2010/31/UE – Controllo della presenza di amianto prima dei lavori di ristrutturazione energetica
ALLEGATO V ALLA RISOLUZIONE: RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI IL CONTENUTO DELLA PROPOSTA RICHIESTA - Controllo della presenza di amianto negli edifici destinati alla vendita o alla locazione

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Fonte: Parlamento Europeo

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UNI 11711:2018 | Igienista industriale

ID 9060 | | Visite: 14919 | Documenti Riservati Sicurezza

UNI 11711 2018

UNI 11711:2018 | Igienista industriale

ID 9060 | 09.09.2019 

Il documento allegato analizza, in riferimento alla norma UNI 11711:2018, i requisiti relativi all'attività professionale dell'igienista industriale.

La norma è applicabile come regola dell’arte/buona tecnica, per i requisiti e competenze del “personale qualificato”, in riferimento al D.Lgs. 81/08, Titolo VIII - Agenti Fisici Articolo 181 c.2, ai fini della valutazione dei rischi.

Le valutazioni rischio RUMORE / VIBRAZIONI / EMC / ROA / CHIMICO / AMIANTO / BIOLOGICO del D.Lgs. 81/2008, devono essere svolte da "personale qualificato", i cui requisiti e competenze sono indicati nella norma UNI 11711 "Igienista industriale" (ai sensi dell'EQF).

UNI 11711 - Igienista industriale - Persona che individua, valuta e verifica ai fini della prevenzione e dell'idonea gestione, i fattori di rischio di natura chimica, fisica e biologica negli ambienti di lavoro e di vita che possono alterare lo stato di salute e di benessere dei lavoratori e della popolazione limitrofa al luogo in esame, nel rispetto dei canoni di etica professionale.

Nota
Il termine igienista industriale è sinonimo del termine igienista occupazionale.

D.Lgs. 81/2008
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Titolo VIII AGENTI FISICI

Capo I Disposizioni generali
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Art. 181. Valutazione dei rischi

1. Nell'ambito della valutazione di cui all'articolo 28, il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.

2. La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici è programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell'ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi è aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero, quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione. I dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del rischio.

3. Il datore di lavoro nella valutazione dei rischi precisa quali misure di prevenzione e protezione devono essere adottate. La valutazione dei rischi è riportata sul documento di valutazione di cui all'articolo 28, essa può includere una giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e l'entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata.

La norma UNI 11711:2018 definisce i requisiti relativi all'attività professionale dell'igienista industriale, ossia colui che si assume la responsabilità di individuare, valutare e controllare, ai fini della prevenzione e della eventuale bonifica, dei fattori ambientali di natura chimica, fisica e biologica derivanti dall'attività industriale, presenti all'interno e all'esterno degli ambienti di lavoro che possono alterare lo stato di salute e di benessere dei lavoratori e della popolazione, nel rispetto dei canoni di etica professionale.

Detti requisiti sono specificati, a partire dai compiti e attività specifiche identificati, in termini di conoscenza, abilità e competenza in conformità al Quadro europeo delle qualifiche (European Qualifications Framework - EQF) e sono espressi in maniera tale da agevolare i processi di valutazione e convalida dei risultati dell'apprendimento.

Data entrata in vigore: 10 maggio 2018

Excursus

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Livelli EQF d'interesse UNI 11711

EQF: European Qualification Framework

La Raccomandazione 2008/C 111-1 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione Europea del 23 aprile 2008 ha istituito l'European Qualification Framework (EQF), con l'obiettivo “di istituire un quadro di riferimento comune che funga da dispositivo di traduzione tra i diversi sistemi delle qualifiche e i rispettivi livelli, sia per l'istruzione generale e superiore sia per l'istruzione e la formazione professionale”.

Questo è il quadro sinottico di referenziazione delle qualificazioni pubbliche nazionali ai livelli del Quadro europeo delle qualificazioni per l'apprendimento permanente come risulta dall'allegato B all'Accordo CSR n. 252 del 20 Dicembre 2012.

Vedi Quadro EQF

Quadro sinottico

I livelli EQF d'interesse della UNI 11711 sono il livello 5, 6 e 7.

Schematizzando:

Esperienza maturata

Fig. 1 - Livelli 5, 6, 7 d’interesse UNI 11711 (Esperienza maturata)

4. Compiti e attività specifiche della figura professionale

Compiti e attività specifiche della figura professionale

Ai fini della definizione dei compiti e delle attività specifiche della figura professionale, si opera in via preliminare una distinzione in due profili specialistici:

- igienista industriale specializzato nel campo degli agenti chimici e biologici;

- igienista industriale specializzato nel campo degli agenti fisici; a loro volta articolati in tre livelli:

- base (comune ai due profili),
- esperto
- senior.

Per sintesi:

sintesi

Il presente grafico sintetizza i livelli delle figure professionali con i Prospetti “Compiti e attività” a seguire.

livelli igienista industriale

Fig. 2 - Livelli Igienista industriale Esperto agenti chimici / biologici / fisici e Prospetti di Compiti e attività

Prospetto 1 - Compiti e attività dell’igienista industriale base
Prospetto 2 - Compiti e attività dell’igienista industriale esperto specializzato nel campo degli agenti chimici e biologici
Prospetto 3 - Compiti e attività dell’igienista industriale esperto specializzato nel campo degli agenti fisici
Prospetto 4 - Compiti e attività dell’igienista industriale senior specializzato nel campo degli agenti chimici e biologici
Prospetto 5 - Compiti e attività dell’igienista industriale senior specializzato nel campo degli agenti fisici

...

Prospetto 1 Compiti e attività dell’igienista industriale base (IICB-B - IIF-B)

Prospetto1

[...]

6.3 Mantenimento delle competenze

Il mantenimento, l'aggiornamento e l'evoluzione delle competenze per l'igienista industriale devono essere attuati attraverso l'aggiornamento professionale continuo e l'esercizio dell'attività professionale in tema di igiene industriale.

Il mantenimento, l'aggiornamento e l'evoluzione delle competenze per l'igienista industriale devono essere verificati con periodicità almeno triennale con riferimento alla specializzazione e al livello conseguito.

L'aggiornamento professionale deve prevedere un minimo di 24 ore nel triennio tra formazione/addestramento e seminari/workshop accreditati, preferibilmente distribuite nei tre anni.

I criteri per la verifica del mantenimento delle competenze, con riferimento al triennio oggetto di valutazione, devono prendere in considerazione:

- attività professionale effettuata in tema di igiene industriale;
- frequenza di eventi formativi in tema di igiene industriale;
- eventuali docenze e/o pubblicazioni scientifiche aventi per oggetto le conoscenze, abilità e competenze riportate ai punti precedenti;
- eventuali feedback sull'attività svolta;
- eventuale attestazione relativa agli standard qualitativi e di qualificazione professionale per gli igienisti industriali rilasciata da associazioni professionali riconosciute dalla legislazione vigente.

...

segue in allegato

Fonti
UNI 11711:2018

Certifico Srl - IT | Rev. 0.0 2019 
©Copia autorizzata Abbonati

Collegati

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Allegato riservato UNI 11711_2018 Igienistra industriale Rev.0.0 2019.pdf
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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 37802 | 21 Ottobre 2021

ID 14806 | | Visite: 1287 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 21 ottobre 2021 n. 37802

Infortunio durante la pulizia del macchinario per l'etichettatura dei formaggi. L'obbligo di sicurezza concerne non soltanto i costruttori di macchine ma anche i datori di lavoro acquirenti

Penale Sent. Sez. 4 Num. 37802 Anno 2021

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 06/10/2021

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ha rideterminato la pena sospesa in mesi 3 di reclusione e concesso il beneficio della non menzione, confermando la condanna di A.G., in qualità di committente e comodante del macchinario da cui è derivato il sinistro, e F.M., in qualità di datore di lavoro, per il reato di cui agli artt. 113 e 590 cod.pen. (per avere cagionato lesioni alla lavoratrice M.B., le cui dita ed il cui avambraccio venivano afferrati, con conseguente frattura scomposta, dal rullo del macchinario destinato all'etichettatura dei formaggi, mentre la stessa effettuava le operazioni di pulizia e inseriva la carta assorbente, con colpa consistita per il primo nella mancata inclusione dei rischi connessi al macchinario nel documento di valutazione rischi di cui all'art. 28, comma 2, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e nella concessione in comodato di un macchinario non conforme alla disciplina anti­infortunistica in violazione dell'art. 23, comma 1, citato d.lgs. n. 81 del 2008 ed il secondo nella omessa formazione specifica della lavoratrice in ordine all'uso ed alla pulizia del macchinario in esame e nella tolleranza della prassi rischiosa instauratasi in azienda, in data 4 settembre 2012).
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, A.G. e F.M..
3. A.G. ha dedotto: 1) l'erronea applicazione dell'art. 26, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008, in quanto il documento di valutazione rischi che il committente è tenuto a redigere concerne solo i rischi interferenziali, tra cui non può essere ricompreso quello derivante dalle eventuali carenze del macchinario concesso in comodato all'appaltatore e ricompreso, quindi, nella disponibilità esclusiva e nell'organizzazione di quest'ultimo; 2) il vizio di motivazione in ordine al nesso eziologico tra una carenza meramente documentale ed il sinistro; 3) l'intervenuta prescrizione già al momento della sentenza di appello.
4. F.M. ha dedotto: 1) il travisamento della prova in ordine alla deposizione della teste DL., non essendosi tenuto conto che, in considerazione dell'intervallo temporale tra i fatti e la deposizione, il ricordo dei testi è sollecitato dalle domande ed essendosi valutati solo stralci delle sue dichiarazioni, così pervenendo ad un infondato giudizio di inattendibilità; 2) il° vizio di motivazione in ordine alla mancata contestazione, da parte della propria difesa, della difformità del macchinario alla disciplina legale (affermata a p. 12 della sentenza impugnata), che, al contrario, è stata chiaramente formulata nell'atto di appello (p. 19); 3) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla disciplina applicabile alle macchine alimentari, le quali, in base ai RES del 1996 e del 2010, non possono avere parti inamovibili che ne impediscano la facile pulizia - disposizione che sul punto deroga la normativa generale, in base alla quale le parti mobili dei macchinari devono avere protezioni tali da impedire il contatto dell'operatore con esse; 4) la violazione dell'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 17 del 2010, che stabilisce la presunzione di conformità alla disciplina ivi prevista delle macchine provviste della marcatura Ce e accompagnate dalla dichiarazione di conformità Ce, presunzione ritenuta inapplicabile in considerazione della costruzione del macchinario nella vigenza della precedente normativa; 5) la mancanza ed illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui afferma l'inapplicabilità del principio dell'affidamento incolpevole del datore di lavoro nel rispetto delle prescrizione anti-infortunistiche da parte del costruttore, tenuto conto della mancata verificazione di altri incidenti, della dichiarazione di conformità Ce, della specializzazione del costruttore e del committente; 6) il vizio motivazionale nella parte in cui si afferma il mancato adempimento, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di formazione della dipendente, che, al contrario, risulta aver ricevuto la stessa formazione "sul campo" impartita agli altri lavoratori, oltre al manuale informativo, a prescindere dall'irrilevanza causale di tale asserita violazione; 7) la lacunosità e contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui si afferma che il datore di lavoro non abbia assolto al suo compito di impedire la formazione di prassi rischiose, senza tenere conto della completa ignoranza, da parte di F.M., delle modalità, usualmente adottate, per la pulizia della macchina in esame, come emerso dall'istruttoria.
5. La Procura Generale ha concluso per l'inammissibilità di entrambi i ricorsi.

Considerato in diritto

1.I ricorsi sono inammissibili.
2. Il ricorso di A.G. è aspecifico, confrontandosi solo con una parte delle argomentazioni della sentenza impugnata, ma ignorando del tutto il passaggio decisivo, in cui, a p. 15, si legge che l'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008 stabilisce il divieto di concessione di attrezzature di lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza e, conseguentemente, si perviene all'affermazione della responsabilità del ricorrente per avere contribuito a cagionare le lesioni della lavoratrice concedendo in comodato alla appaltatrice datrice di lavoro proprio il macchinario non conforme alla normativa anti-infortunistica, in quanto dotato di parti mobili non segregate, implicanti il rischio - verificatosi nel sinistro in esame - di trascinamento e schiacciamento di parti del corpo dei dipendenti.
Invero le due censure formulate concernono l'erronea applicazione dell'art. 26, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 e l'assenza del nesso di causalità tra l'incompletezza del documento di valutazione rischi in esame e l'infortunio, ma non aggrediscono quella parte della motivazione della sentenza impugnata relativa alla ulteriore condotta contestata al ricorrente, di per sé decisiva. Va, pertanto, ribadito che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448).
In ordine alla prescrizione, eccepita con l'ultima doglianza, deve sottolinearsi che la sentenza di appello è intervenuta in data 26 novembre 2019, con deposito della motivazione in data 24 febbraio 2020, sicché sicuramente in data anteriore alla prescrizione maturata il 4 marzo 2020, visto che il reato risale al 4 settembre 2012 e che non risultano periodi di sospensione anteriori al termine del giudizio di secondo grado. Da tale premessa deriva che, come già chiarito dalle Sezioni Unite, l'inammissibilità del ricorso per cassazione-- anche laddove dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi - non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., quali la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
3. Parimenti è inammissibile il ricorso di F.M..
Difatti, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l'aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
Più precisamente sono meramente ripetitivi delle doglianze d'appello, respinte dal giudice di secondo grado, con argomentazioni esaustive, coerenti e non manifestamente illogiche, i motivi dal terzo all'ultimo. Rispetto agli stessi il giudice di appello ha correttamente osservato:
in ordine alla terza censura, avente ad oggetto l'inapplicabilità al macchinario in esame, in quanto alimentare, dei RES del 1996 e del 2010, che la necessità di pulire facilmente ogni parte di un macchinario alimentare, pure prescritta dalla disciplina vigente, non è incompatibile e non esclude, pertanto, che le loro parti mobili debbano essere opportunamente segregate per evitare pericoli per i lavoratori ("la parte in movimento di un macchinario, di qualsiasi tipo ed a qualsiasi funzione destinato, deve essere dotata di carter di protezione per evitare contatti pericolosi con la persona del lavoratore quando la macchina è in movimento; il carter di protezione, nelle macchine alimentari, dovrà essere facilmente amovibile per consentire la pulizia");
in ordine alla quarta censura, avente ad oggetto la presunzione di conformità di cui all'art. 1, d.lgs. n. 17 del 2010, che si tratta di una presunzione che non esonera il datore di lavoro da responsabilità laddove il macchinario presenti, comunque, pericoli riconoscibili con l'ordinaria diligenza e che, nel caso di specie, la stessa dichiarazione di conformità Ce faceva salvi i rischi residui con riferimento al d.p.r. 459 del 1996;
in ordine alla quinta censura, avente ad oggetto il proprio affidamento incolpevole nel rispetto delle prescrizione anti-infortunistiche da parte del costruttore, tenuto conto della mancata verificazione di altri incidenti, della dichiarazione di conformità Ce, della specializzazione del costruttore e del committente, che il datore di lavoro deve eliminare le fonti di pericolo per i propri dipendenti, come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'obbligo di provvedere ai dispositivi antinfortunistici concerne non soltanto i costruttori di macchine, ma altresì gli acquirenti che le mettono a disposizione dei loro dipendenti (così, tra le tante, Sez. 4, n. 2630 del 23/11/2006, dep. 2007, Mogliani, Rv. 236121, che ha precisato che anche questi sono tenuti a verificare che le macchine siano prive di rischio per l'incolumità dei lavoratori e la colpa degli uni non elimina quella degli altri. Ciò in quanto è onere dell'imprenditore adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia per garantire la sicurezza dei lavoratori; v. pure Sez. 4, n. 14413 del 24/01/2012,Cova, Rv. 253300 che ha precisato che la colpa del noleggiatore, per la difformità ai requisiti prescritti del macchinario noleggiato, non esclude quella eventualmente concorrente del datore di lavoro che di tale macchinario abbia fatto uso);
in ordine alla sesta censura, avente ad oggetto l'obbligo di formazione della dipendente, che il manuale d'uso ricevuto dalla dipendente era del tutto generico, privo di ogni indicazione relativa al macchinario in esame, sicché la formazione impartita non ha coperto i rischi specifici connessi alle concrete prestazioni svolte; in ordine alla settima censura, avente ad oggetto la propria incolpevole ignoranza della prassi pericolosa formatasi, che è mancato il controllo doveroso sull'attività del preposto, omissione sufficiente ai fini della responsabilità del datore di lavoro, conformemente alla giurisprudenza consolidata di legittimità, secondo cui, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, ove si verifichi un incidente in conseguenza di una tale prassi instauratasi con il consenso del preposto, l'ignoranza del datore di lavoro non vale ad escluderne la colpa, integrando essa stessa la colpa per l'omessa vigilanza sul comportamento del preposto (Sez. 4, n. 20092 del 19/01/2021, Zanetti, Rv. 281174).
Per quanto concerne la prima censura, con cui si è asserito il travisamento della prova in ordine alla deposizione della teste DL., è sufficiente ricordare che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", soltanto nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155). Ne deriva che non ricorrendo tali situazioni, il motivo è inammissibile. A ciò si aggiunga che, comunque, il ricorrente si limita a contestare la ricostruzione dei fatti e la valutazione di attendibilità operata dai giudici di merito e non deduce un vero e proprio travisamento della prova.
Infine, la seconda doglianza, avente ad oggetto la inesatta interpretazione della posizione assunta in sede di appello in ordine alla conformazione del macchinario, è manifestamente infondata, atteso che, da un lato, la Corte territoriale ha semplicemente inteso chiarire che l'imputato contestava l'applicabilità di una disciplina al macchinario e non il dato ontologico della conformazione del macchinario e che, dall'altro lato, si tratterebbe di circostanza irrilevante ed inidonea ad incidere sul contenuto della decisione.
4. In conclusione, i ricorsi sono inammissibili ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, al versamento della sanzione pecuniaria, che si reputa equo liquidare in euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 6 ottobre 2021.

UNI CEI TR 11798:2020 | Esempio classificazione ATEX distribuzione GAS naturale

ID 12658 | | Visite: 11904 | Documenti Riservati Sicurezza

UNI CEI TR 11798 2020 Esempio classificazione ATEX distribuzione GAS natuale

UNI CEI TR 11798:2020 | Esempio classificazione ATEX distribuzione GAS naturale

ID 12658 | 27.01.2021 / Documento di esempio

Il rapporto tecnico UNI CEI 11798:2020 fornisce degli esempi di classificazione dei luoghi con pericolo di esplosione specifici per i settori di trasporto e distribuzione del gas naturale, secondo i principi stabiliti dalla CEI EN 60079-10-1:2016-11.

Descrive inoltre il metodo di classificazione utilizzato, i dati comuni a tutti gli esempi (per esempio caratteristica delle sostanze), i criteri di scelta dei fori di guasto per determinare le portate di emissione in occasione di funzionamento anomalo o guasto nonché le formule di calcolo non ricavabili dalla CEI EN 60079-10-1:2016-11.

Le reti e gli impianti presi in considerazione sono riferiti a pressione nominale da 250 bar a 0,04 bar.

La classificazione dei luoghi con pericolo d’esplosione può riguardare:

- opere esistenti;
- ampliamenti o trasformazioni di opere esistenti;
- opere di nuova realizzazione.

Il Decreto Legislativo 81/08, obbliga il Datore di Lavoro alla valutazione dei rischi, compresi i rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive. Nella valutazione del rischio il Datore di Lavoro deve divedere in zone le aree in cui si possono formare atmosfere esplosive.

UNI CEI 11798:2020 “Infrastrutture del gas - Esempi applicativi per la classificazione dei luoghi con pericolo di esplosione per la presenza di gas in applicazione della CEI EN 60079-10-1:2016-11”

Data entrata in vigore: 19 novembre 2020

CEI EN 60079-10-1:2016-11 “Atmosfere esplosive Parte 10-1: Classificazione dei luoghi - Atmosfere esplosive per la presenza di gas”

Data di entrata in vigore: 01 novembre 2016

Titolo XI - Protezione da atmosfere esplosive

Capo I Disposizioni generali

Articolo 287 - Campo di applicazione

1. Il presente Titolo prescrive le misure per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti al rischio di atmosfere esplosive come definite all’articolo 288.
2. Il presente Titolo si applica anche nei lavori in sotterraneo ove è presente un’area con atmosfere esplosive, oppure è prevedibile, sulla base di indagini geologiche, che tale area si possa formare nell’ambiente.
3. Il presente Titolo non si applica:

a) alle aree utilizzate direttamente per le cure mediche dei pazienti, nel corso di esse;
b) all’uso di apparecchi a gas di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1996, n. 661(N);
c) alla produzione, alla manipolazione, all’uso, allo stoccaggio ed al trasporto di esplosivi o di sostanze chimicamente instabili;
d) alle industrie estrattive a cui si applica il decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624(N);
e) all’impiego di mezzi di trasporto terrestre, marittimo, fluviale e aereo per i quali si applicano le pertinenti disposizioni di accordi internazionali tra i quali il Regolamento per il trasporto delle sostanze pericolose sul Reno (ADNR), l’Accordo Europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne (ADN), l’Organizzazione per l’Aviazione civile internazionale (ICAO), l’Organizzazione marittima internazionale (IMO), nonché la normativa comunitaria che incorpora i predetti accordi. Il presente Titolo si applica invece ai veicoli destinati ad essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva.

Capo II - Obblighi del datore di lavoro

Articolo 289 - Prevenzione e protezione contro le esplosioni

1. Ai fini della prevenzione e della protezione contro le esplosioni, sulla base della valutazione dei rischi e dei principi generali di tutela di cui all’articolo 15, il datore di lavoro adotta le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura dell’attività; in particolare il datore di lavoro previene la formazione di atmosfere esplosive.
2. Se la natura dell’attività non consente di prevenire la formazione di atmosfere esplosive, il datore di lavoro deve:

a) evitare l’accensione di atmosfere esplosive;
b) attenuare gli effetti pregiudizievoli di un’esplosione in modo da garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.

3. Se necessario, le misure di cui ai commi 1 e 2 sono combinate e integrate con altre contro la propagazione delle esplosioni e sono riesaminate periodicamente e, in ogni caso, ogniqualvolta si verifichino cambiamenti rilevanti.

Articolo 290 - Valutazione dei rischi di esplosione

1. Nell’assolvere gli obblighi stabiliti dall’articolo 17, comma 1, il datore di lavoro valuta i rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive, tenendo conto almeno dei seguenti elementi:

a) probabilità e durata della presenza di atmosfere esplosive;
b) probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche elettrostatiche, siano presenti e divengano attive ed efficaci;
c) caratteristiche dell’impianto, sostanze utilizzate, processi e loro possibili interazioni;
d) entità degli effetti prevedibili.

2. I rischi di esplosione sono valutati complessivamente.
3. Nella valutazione dei rischi di esplosione vanno presi in considerazione i luoghi che sono o possono essere in collegamento, tramite aperture, con quelli in cui possono formarsi atmosfere esplosive.

Articolo 293 - Aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive

1. Il datore di lavoro ripartisce in zone, a norma dell’ALLEGATO XLIX, le aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive.
2. Il datore di lavoro assicura che per le aree di cui al comma 1 siano applicate le prescrizioni minime di cui all’ALLEGATO L.
3. Se necessario, le aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive in quantità tali da mettere in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori sono segnalate nei punti di accesso a norma dell’ALLEGATO LI e provviste di allarmi ottico/acustici che segnalino l’avvio e la fermata dell’impianto, sia durante il normale ciclo sia nell’eventualità di un’emergenza in atto.

Allegato XLIX

Ripartizione delle aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive osservazione preliminare

Il sistema di classificazione che segue si applica alle aree in cui vengono adottati provvedimenti di protezione in applicazione degli articoli 258, 259, 262, 263.

1. Aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive

Un’area in cui può formarsi un’atmosfera esplosiva in quantità tali da richiedere particolari provvedimenti di protezione per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori interessati è considerata area esposta a rischio di esplosione ai sensi del presente titolo.
Un’area in cui non è da prevedere il formarsi di un’atmosfera esplosiva in quantità tali da richiedere particolari provvedimenti di protezione è da considerare area non esposta a rischio di esplosione ai sensi del presente titolo.
Le sostanze infiammabili e combustibili sono da considerare come sostanze che possono formare un’atmosfera esplosiva a meno che l’esame delle loro caratteristiche non abbia evidenziato che esse, in miscela con l’aria, non sono in grado di propagare autonomamente un’esplosione.

2. Classificazione delle aree a rischio di esplosione

Le aree a rischio di esplosione sono ripartite in zone in base alla frequenza e alla durata della presenza di atmosfere esplosive.

Il livello dei provvedimenti da adottare in conformità dell’ALLEGATO L, parte A, è determinato da tale classificazione.

Zona 0
Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un’atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia.

Zona 1
Area in cui la formazione di un’atmosfera esplosiva, consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapori o nebbia, è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività.

Zona 2
Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un’atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.

Zona 20
Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria.

Zona 21
Area in cui la formazione di un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria, è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività.

Zona 22
Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.

Note:
1. Strati, depositi o cumuli di polvere combustibile sono considerati come qualsiasi altra fonte che possa formare un’atmosfera esplosiva.
2. Per “normali attività” si intende la situazione in cui gli impianti sono utilizzati entro i parametri progettuali.
3. Per la classificazione delle aree o dei luoghi si può fare riferimento alle norme tecniche armonizzate relative ai settori specifici, tra le quali:
- EN 60079-10 (CEI 31-30) “Classificazione dei luoghi pericolosi” e successive modificazioni.
- EN 61241-10 (CEI 31-66) “Classificazione delle aree dove sono o possono essere presenti polveri combustibili” e successive modificazioni.
e le relative guide:
- CEI 31-35 e CEI 31-56 “
e per l’analisi dei pericoli, valutazione dei rischi e misure di prevenzione e protezione, alla norma:
- EN 1127-1” Atmosfere esplosive. Prevenzione dell’esplosione e protezione contro l’esplosione. Parte 1:Concetti fondamentali e metodologia”.


_________

Esempio 1 - Impianto di controllo della pressione da 75 a 24 bar in cabina compreso nelle condotte di trasporto del gas naturale

Dati generali e descrizione schematica dell’impianto

L’impianto di controllo della pressione del gas naturale oggetto del presente esempio è realizzato in conformità al DM 17 aprile 2008 e prevede la riduzione e la regolazione della pressione da 75 a 24 bar e la misura della portata del gas in transito.

L’impianto è ubicato in parte in spazio aperto privo di ostacoli o limitazioni alla ventilazione naturale (aree esterne) ed in parte in locali chiusi (cabina), come di seguito specificato.

L’impianto è rappresentato schematicamente nella figura seguente ed è costituito da:

a) locale controllo e misura;
b) locale strumentazione;
c) locale caldaia;
d) aree esterne

Esempio B1

1 Giunto isolante monoblocco
2 Valvola di intercettazione
3 Filtro
4 Valvola di spurgo filtri
5 Terminale di spurgo filtri
6 Preriscaldatore (scambiatore di calore)
7 Regolatore di pressione di emergenza con blocco (monitor)
8 Regolatore di pressione di esercizio (riduttore)
9 Contatore
10 Valvola di scarico PSV1
11 Valvola di sfioro PSV2
12 Valvola di sfioro PSV3
13 Scarico convogliato delle valvole PSV1 e PSV2
14 Scarico convogliato della valvola PSV3
15 Caldaia per produzione acqua calda di preriscaldo
A Ingresso
B Uscita
C Ambiente chiuso
_________ Parte di impianto a 75 bar (sezione a 75 bar)
_________Parte di impianto a 24 bar (sezione a 24 bar)
_________ Parte di impianto a 20 mbar (sezione a 20 mbar)
_________ Circuito acqua calda di preriscaldo

Fig. 1 - Schema semplificato di un generico impianto di controllo della pressione e misura del gas naturale

Per la classificazione delle aree, oltre a quanto previsto nella Parte Generale, si assumono le condizioni di seguito riportate:

- non è previsto l’impianto di odorizzazione perché il gas non è immediatamente impiegato per uso domestico e similare;
- gli sfiati di gas previsti nel funzionamento normale o in situazioni di aumento eccessivo della pressione regolata (es. intervento del dispositivo di scarico all’atmosfera), sono tutti convogliati all’esterno dei locali;
- le guarnizioni delle flange di accoppiamento dell’impianto di controllo sono di tipo spirometallico o metalloplastiche;
- gli spurghi dei filtri vengono eseguiti solo con valvole manuali in occasione degli interventi periodici di sorveglianza; le impurità raccolte vengono rimosse dall’impianto e smaltite secondo la regolamentazione vigente;
- l’impianto non è ordinariamente soggetto a vibrazioni e corrosioni.

_________

SR03 Sfiato del dispositivo di scarico all’atmosfera dell’impianto PSV1 (vedi n. 10 sullo schema)

Emissioni continue

Tutte le emissioni continue dai terminali di sfiato delle valvole sono considerate rappresentate dall’emissione dal dispositivo di scarico PSV1 con pressione di esercizio di 24 bar in quanto le altre valvole di sfiato del preriscaldo sono di diametro inferiore ed intervengono ad una pressione massima di 3 bar.

Le tenute delle valvole di sicurezza e i dispositivi di scarico all’atmosfera possono essere classificate con riferimento alla CEI EN 60534-4, che alla tabella 3 ne definisce le classi di tenuta.

Le valvole di sfiato del preriscaldo (PSV 2 e PSV3) sono con sede a tenuta morbida (classe VI), mentre il dispositivo di scarico PSV1 è con sede a tenuta metallica (classe IV).

In accordo alla normativa sopra riportata, la valvola PSV1 può avere un trafilamento strutturale pari a 0,01% della capacità di sfioro.

Tabella 9

Tab. 9 - Caratteristiche della SR03 con grado continuo

Portata di emissione Wg della SR03 di grado continuo

Per determinare la portata di emissione Wg, è necessario stabilire il regime di efflusso dell’emissione, verificando che la pressione del gas all’interno del sistema di contenimento sia superiore o meno a quella indicata nella Formula [B.2] della CEI EN 60079-10-1:2016-11.

F1

ossia

F2

Risultando verificata la condizione di cui sopra, l’efflusso avviene in regime sonico e, pertanto, la portata di emissione Wg si determina applicando la formula [B.4] della CEI EN 60079-10-1:2016-11.

F3

___________

Valutazione del grado di diluizione della SR03 di primo grado

Il grado di diluizione può essere considerato ALTO in quanto il volume infiammabile è inferiore a 0,1 m3 come rilevato sulla figura C.1 della CEI EN 60079-10-1:2016-11, sotto riportata.

Figura B6

Legenda

X Caratteristica di emissione Wg/(ρg x k x LFL) (m3/s)
Y Velocità dell’aria di ventilazione Uw (m/s)
A Diluizione alta
B Diluizione media
C Diluizione bassa

Fig. 6 - Grado di diluizione della SR03 di primo grado

...

Segue in allegato (Documento di esempio)

Fonti
CEI EN 60079-10-1:2016-11
UNI CEI TR 11798:2020

Certifico Srl - IT | Rev. 0.0 2021
©Copia autorizzata Abbonati

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Rev. Data Oggetto Autore
0.0 27.01.2021 --- Certifico Srl

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Consiglio di Stato Sezione Terza 20 ottobre 2021 n. 7045

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Consiglio di Stato Sezione Terza 20 ottobre 2021 n  7045

CS Sez. Terza 20 ottobre 2021 n. 7045 / Legittimità della vaccinazione obbligatoria ex art. 4 del d.l. n. 44/2021

La vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 risponde ad una chiara finalità di tutela non solo del personale sanitario sui luoghi di lavoro, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza.

Read & Download - In calce all'articolo testo sentenza Consiglio di Stato Sezione Terza 20 ottobre 2021 n. 7045

Sentenza

ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a. sul ricorso numero di registro generale 8340 del 2021, proposto da -OMISSIS- tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato DG, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, ***;

contro

-OMISSIS-, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato EC e dall’Avvocato VC, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
-OMISSIS-, in persona del Direttore Generale pro tempore, e -OMISSIS-, in persona del Direttore Generale pro tempore, entrambe rappresentate e difese dall’Avvocato GB e dall’Avvocato AM, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato AM in Roma, ***;
-OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, sez. I, resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a. tra le parti, che ha dichiarato inammissibile il ricorso collettivo e cumulativo proposto dagli odierni appellanti contro gli atti con i quali le Aziende Sanitarie friulane, oggi appellate, hanno inteso dare applicazione nei loro confronti dell’obbligo vaccinale previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, conv. con mod. in l. n. 76 del 2021.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio -OMISSIS-, dell’-OMISSIS- e -OMISSIS-
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2021 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per gli odierni appellanti l’Avvocato DG, per -OMISSIS-l’Avvocato EC e per le appellate -OMISSIS- e -OMISSIS- l’Avvocato GB;
sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

1. Gli odierni appellanti sono costituiti, in parte, da esercenti professioni sanitarie e, in parte, da operatori di interesse sanitario nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, non ancora sottoposti alla vaccinazione obbligatoria contro il virus Sars-CoV-2 prevista dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, conv. con mod. in l. n. 76 del 2021.
1.1. Essi contestano nel presente giudizio gli atti con i quali le Aziende Sanitarie friulane hanno inteso dare applicazione, nei loro confronti, dell’obbligo vaccinale c.d. selettivo previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario.
2. Per comprendere a fondo il tema di causa, occorre ricordare che il citato art. 4, nel comma 1, dispone che, in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’art. 1, comma 457, della l. n. 178 del 2020 – e, cioè, il Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale – e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 43 del 2006, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.
2.1. La vaccinazione costituisce espressamente, ai sensi del citato comma 1, «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati» ed è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle Regioni, dalle Province Autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano.
2.2. L’unica esenzione dall’obbligo vaccinale, con differimento o, addirittura, omissione del trattamento sanitario in prevenzione, è doverosamente prevista, nel comma 2, per il solo caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale.
2.3. L’art. 4 prevede un complesso procedimento per l’accertamento e l’esecuzione dell’obbligo vaccinale, disciplinato analiticamente dai commi 3, 4 e 5.
2.4. Secondo quanto prevede il comma 3, entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla Regione o alla Provincia autonoma in cui ha sede.
2.5. Entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali trasmettono l’elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla Regione o alla Provincia autonoma nel cui territorio operano i medesimi dipendenti.
2.6. Ancora, e successivamente, entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le Regioni e le Province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificano lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi e, quando dai sistemi informativi vaccinali a disposizione della Regione e della Provincia autonoma non risulta l’effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, la Regione o la Provincia autonoma, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, segnala immediatamente all’Azienda sanitaria locale – di qui in avanti, per brevità, anche solo l’A.S.L. – di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati.
2.7. Ricevuta la segnalazione di cui al comma 4, l’A.S.L. di residenza invita l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione o l’omissione o il differimento della stessa, ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1.
2.8. In caso di mancata presentazione della documentazione prevista dalla legge, l’A.S.L., successivamente alla scadenza del predetto termine di cinque giorni, senza ritardo, invita formalmente l’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere all’obbligo di cui al comma 1 oppure, in caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l’A.S.L. invita l’interessato a trasmettere immediatamente, e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento all’obbligo vaccinale.
3. Gravi ed incisive sono le conseguenze dell’inadempimento ingiustificato all’obbligo vaccinale perché, come prevede espressamente l’art. 4, comma 6, del d.l. n. 44 del 2021, decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale di cui al comma 5, l’A.S.L. competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza.
3.1. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’A.S.L. determina «la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2», come espressamente stabilisce ancora il comma 6 dell’art. 4.
3.2. La sospensione di cui al comma 6 è comunicata immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza e, ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio.
3.3. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, stabilisce infine il comma 8, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 – e, cioè, «fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021» – non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.
4. La legittimità di questa disciplina, che introduce tale obbligo vaccinale per le professioni sanitaria e conferisce alle AA.SS.LL. un potere, vincolato a rigorosi requisiti, volto ad accertare l’adempimento di tale obbligo, con incisive – per quanto temporanee – conseguenze sanzionatorie sul rapporto lavorativo in caso di ingiustificato inadempimento, è stata contestata dagli odierni appellanti nel presente giudizio avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), in quanto da essi ritenuta incompatibile con il diritto convenzionale, con quello eurounitario e con diversi parametri costituzionali
4.1. Essi hanno chiesto dunque al Tribunale, proponendo diverse censure che di seguito saranno esaminate, di disapplicare la normativa sospettata di illegittimità o, comunque, di sollevare questione di compatibilità del diritto nazionale con quello europeo avanti alla Corte di Giustizia UE o questione di costituzionalità avanti alla Corte costituzionale al fine, evidentemente, di ottenere l’annullamento, previa sospensione in via cautelare, degli atti con i quali le Aziende sanitarie friulane hanno inteso dare attuazione, nei loro confronti, all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, conv. con mod. in l. n. 76 del 2021.
4.2. Nel primo grado del giudizio si sono costituite -OMISSIS-, deducendo l’inammissibilità del ricorso o, comunque, l’infondatezza di questo.
4.3. Nella camera di consiglio dell’8 settembre 2021, fissata per l’esame dell’istanza cautelare proposta dai ricorrenti, il Tribunale ha dato avviso alle parti della propria intenzione di trattenere la causa in decisione per una sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e ha indicato a tal fine una possibile ragione di inammissibilità del ricorso, costituita dalla carenza dei presupposti per la proposizione di una impugnazione collettiva e cumulativa.
4.4. I ricorrenti hanno rinunciato alla loro istanza cautelare, insistendo per il rinvio della causa al merito già richiesto due giorni prima con apposita istanza, ma il Tribunale, all’esito di un’ampia discussione, documentata, come si vedrà, anche dal verbale dell’udienza camerale, ha trattenuto la causa in decisione in forma semplificata.
4.5. Con la sentenza n. 263 del 10 settembre 2021, resa appunto in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso per la ritenuta carenza dei presupposti per la proposizione di una impugnazione collettiva e cumulativa.
4.6. Il primo giudice, dopo avere valutato la rinuncia dei ricorrenti all’istanza cautelare come irrilevante e, comunque, non ostativa alla definizione del giudizio ai sensi dell’art. 60 c.p.a. con sentenza in forma semplificata, ha invero ritenuto che il ricorso di primo grado violerebbe i principî che presiedono alla proposizione del ricorso collettivo e cumulativo.
4.7. Quanto al primo profilo, inerente alla collettività del ricorso, il Tribunale ha infatti rammentato che il cumulo soggettivo può essere ammesso solo ove sussistano congiuntamente i requisiti dell’identità delle situazioni sostanziali e processuali dei ricorrenti – e, cioè, che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi – e, in negativo, dell’assenza di un conflitto di interesse.
4.8. Quanto al secondo profilo, inerente alla cumulatività del ricorso, il Tribunale ha ricordato ancora che il ricorso deve avere ad oggetto un solo provvedimento e che il cumulo oggettivo è consentito solo qualora tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale e funzionale, tale da giustificare la proposizione di un unico ricorso, al fine di riscontrare una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa unica ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all’interno della medesima azione amministrativa.
4.9. I requisiti per la proposizione del ricorso collettivo e cumulativo difetterebbero invece, nel caso di specie, perché non vi sarebbe omogeneità né, sul piano soggettivo, nelle qualifiche professionali dei ricorrenti – essendo alcuni di essi medici, altri farmacisti, altri dipendenti di Aziende sanitarie o di strutture private – né, ancor meno, nella natura degli atti impugnati, alcuni dei quali meramente endoprocedimentali – come, ad esempio, per gli inviti a produrre la documentazione sanitaria di cui al citato art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021 – o comunque non conclusivi dell’iter amministrativo configurato dal legislatore per accertare l’inadempimento dell’obbligo vaccinale.
5. Soltanto l’atto conclusivo del procedimento previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 avrebbe insomma, ad avviso del primo giudice, natura provvedimentale e radicherebbe l’interesse a ricorrente, non già gli atti pregressi e prodromici della sequenza procedimentale, privi di immediata valenza lesiva.
5.1. Il Tribunale ha in conclusione dichiarato inammissibile il ricorso, per le ragioni esposte, e ha condannato i ricorrenti, invero numerosi, a rifondere le spese del giudizio nei confronti delle tre Aziende sanitarie costituitesi in resistenza.
6. Avverso questa sentenza gli interessati hanno proposto appello avanti a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità del giudizio per cinque motivi che di seguito saranno esaminati e riproponendo, altresì, le dieci censure di illegittimità dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 articolate in primo grado e non esaminate nel merito dal Tribunale, e hanno chiesto, più in particolare:
- in via principale, di accogliere il ricorso e, per l’effetto, di annullare la sentenza impugnata e, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., di rimettere la causa al primo giudice, anche al fine di proporre motivi aggiunti, dal primo giudice, a loro dire, illegittimamente impediti, oppure di riformare la sentenza impugnata, nel merito, e accogliere il ricorso di primo grado;
- in via subordinata, di rimettere, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., all’Adunanza plenaria l’esame della questione, anche in considerazione dei principî generali che essa involge, se l’art. 60 c.p.a. consenta al giudice di pronunciare in forma semplificata anche laddove sia intervenuta una espressa dichiarazione di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare da parte dei ricorrenti;
- in via di estremo subordine, accogliere il quinto motivo di appello e, per l’effetto, di compensare le spese del giudizio di primo grado.
6.1. Gli appellanti hanno altresì richiesto, insieme all’annullamento o alla riforma della sentenza impugnata con il conseguente risarcimento dei danni, anche la sospensione della sua esecutività ai sensi dell’art. 98 c.p.a.
6.2. Si sono costituite le appellate, -OMISSIS-, chiedendo la reiezione del gravame e, dunque, la conferma della dichiarata inammissibilità del ricorso proposto in prime cure o comunque, nel merito, deducendone l’infondatezza, anche in punto di domanda risarcitoria formulata consequenzialmente dagli appellanti.
6.3. Nella camera di consiglio del 14 ottobre 2021, fissata avanti a questo Consiglio di Stato per l’esame dell’istanza cautelare proposta dagli appellanti, il loro difensore, l’Avvocato DG, ha dichiarato di rinunciare all’istanza cautelare, al fine di richiedere una sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., in ordine alla definizione del giudizio in forma semplificata decisa per parte sua dal parte del primo giudice nonostante la rinuncia all’istanza cautelare, proposta in primo grado, e la volontà, a suo dire palesata dal difensore dei ricorrenti presente nell’udienza camerale tenutasi avanti al Tribunale, l’Avvocato MM, di proporre motivi aggiunti.
6.4. Questo Collegio si è riservato di decidere con sentenza in forma semplificata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 60 c.p.a., anche e proprio su richiesta dello stesso difensore degli appellanti, e udita la discussione dei difensori presenti, come da verbale, ha trattenuto la controversia in decisione.
7. L’appello è in parte fondato per le ragioni che si esporranno, in quanto il ricorso di primo grado, proposto dagli odierni appellanti, era ed è ammissibile nel caso di specie, ma deve, ad avviso di questo Consiglio, essere respinto nel merito.
7.1. Il Collegio ritiene anzitutto doveroso soffermarsi, per l’importanza preliminare della questione in rito sollevata dagli appellanti e ribadita oralmente dal loro difensore, l’Avvocato DG, nel corso della camera di consiglio del 14 ottobre 2021, sulla ratio dell’art. 60 c.p.a. e, più in generale, della sentenza in forma semplificata nel codice del processo amministrativo.
7.2. L’art. 60 c.p.a. prevede che, «in sede di decisione della domanda cautelare», purché siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il Collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con una sentenza in forma semplificata – modulo decisorio il cui schema generale è fissato dall’art. 74 c.p.a. – «salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di giurisdizione, ovvero regolamento di giurisdizione».
7.3. La sentenza in forma semplificata non costituisce per il giudice un metodo alternativo o, peggio ancora, spicciativo o frettoloso di risolvere la controversia, ma rappresenta, anche in sede cautelare, un modo ordinario di definizione del giudizio – previsto espressamente, infatti, quale regola in alcuni riti speciali: ad esempio quello dell’ottemperanza (art. 114, comma 3, c.p.a.), quello sul silenzio (art. 117, comma 2, c.p.a.), quello dei contratti pubblici (art. 120, comma 6, c.p.a., addirittura in deroga ai limiti di cui al primo periodo dell’art. 74 c.p.a.) – e, dunque, un modulo decisorio più rapido e semplificato adoperabile tutte le volte in cui il giudice ritenga di potersi pronunciare sulla controversia, senza ulteriori approfondimenti istruttori o adempimenti processuali, in quanto di pronta soluzione.
7.4. In via generale, l’art. 74 c.p.a. richiede, nel rito ordinario, che il giudice decida la causa in forma semplificata nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza o la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso e, allorché adotta lo schema della sentenza in forma semplificata, la motivazione di questa può – non necessariamente deve - «consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme».
7.5. Lo schema della sentenza in forma semplificata è adottabile in via generale dal giudice collegiale, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., anche in sede cautelare all’esito dell’apposita camera di consiglio, sempre dopo avere sentito le parti e, dunque, nel doveroso rispetto del contraddittorio, quando ritenga completi sia il contraddittorio tra le parti che l’istruttoria della causa.
7.6. Questo Consiglio di Stato ha già chiarito che la sentenza semplificata ha una ratio, insieme, acceleratoria del giudizio e semplificatoria della motivazione, consentendo la rapida definizione, in sintonia con il generale principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), di quelle controversie che non presentano profili di complessità, in fatto e in diritto, tali da richiedere una motivazione articolata, bastando uno schema argomentativo snello che si limiti ad indicare le poche essenziali questioni della controversia e cioè, come prevede in via generale l’art. 74 c.p.a., un sintetico riferimento al punto di fatto e di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme.
7.7. Tanto, del resto, in armonia e in ossequio al più generale obbligo, che grava sul giudice, di “concisione” dei motivi, in fatto e in diritto, della decisione, anche con rinvio ai precedenti ai quali intende conformarsi, previsto dall’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a. e in conformità al fondamentale principio di sinteticità, affermato dall’art. 3, comma 2, c.p.a., che non concerne solo gli atti di parte, ma anzitutto quelli del giudice, a cominciare dalla sentenza.
8. Ciò premesso, questo stesso Consiglio ha pure precisato che non può costituire motivo di appello la scelta del giudice di primo grado di pronunciare con uno od un altro dei tipi di sentenza previsti dall’ordinamento processuale e, quindi, anche con sentenza in forma semplificata, potendo solo essere censurata la motivazione che sorregge la pronuncia, quanto a congruità e correttezza.
8.1. Se una sentenza è resa in forma semplificata, con tale forma decisoria supponendosi una più stringata motivazione in relazione all’esame e decisioni assunte sui motivi di ricorso, ciò rileva non sul piano formale, poiché è irrilevante la qualificazione testuale dell’atto del giudice, bensì sul piano sostanziale e cioè, afferma la giurisprudenza di questo Consiglio, in ordine alla concreta sussistenza dei presupposti, quali la completezza di istruttoria e di contradditorio nonché l’adeguatezza della motivazione.
8.2. Ciò che comporta la proposizione, in sede d’impugnazione, di un motivo che tocchi il merito della decisione assunta dal primo giudice e non già di una censura meramente formale (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 7 febbraio 2018, n. 728; Cons. St., sez. IV, 20 novembre 2012, n. 5879).
8.3. La parte può tuttavia dolersi – ed è questo il caso dei primi due motivi di appello – che il giudice, nel decidere con sentenza in forma semplificata, abbia violato, se così può dirsi, per eccessiva sollecitudine il diritto di difesa o il contraddittorio tra le parti, aventi invece interesse a prendervi parte in modo attivo, ad impugnare altri atti o ad allegare o provare i fatti rilevanti prima della sua conclusione.
8.4. Una simile censura, come ora si vedrà, non può tuttavia muovere dall’erroneo assunto e non condivisibile assunto secondo cui il principio dispositivo, che vige con alcuni temperamenti anche nel giudizio amministrativo, conferisca alla parte un potere di impulso o di veto immotivato e incondizionato sul regolare e, ove possibile, sollecito andamento del processo che è, sì, tutela giurisdizionale di una situazione giuridica lesa, ma anche esercizio di una funzione pubblica, quella del ius dicere, che obbedisce a precise regole e a valori di rilievo costituzionale, i quali presidiano beni che non sono o, almeno, non sono del tutto nella disponibilità della parte.
8.5. Per questo il processo amministrativo è un processo di parte, ma non un processo delle parti.
8.6. È tenendo a mente queste brevi, sintetiche, preliminari considerazioni che può muoversi ora all’esame dei primi due motivi di appello, relativi proprio alla presunta assenza dei presupposti per pronunciare una sentenza in forma semplificata di cui all’art. 60 c.p.a., denunciata dagli odierni appellanti che, per la dedotta violazione del loro diritto di difesa, chiedono a questo Consiglio di rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a.
9. Con un primo motivo (pp. 33-39 del ricorso), anzitutto, gli odierni appellanti lamentano che il Tribunale avrebbe erroneamente trattenuto la causa in decisione, per la sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., nonostante essi avessero formulato un’espressa rinuncia alla domanda cautelare.
9.1. La rinuncia a detta domanda, secondo questa tesi, precluderebbe al giudice di trattenere la causa in decisione per emettere una sentenza in forma semplificata in quanto il giudice non avrebbe più il potere di decidere la causa anche nel merito una volta che i ricorrenti abbiano rinunciato alla proposizione della domanda cautelare, presupposto indispensabile affinché si attivi il potere/dovere di decidere in capo al giudice.
9.2. L’art. 60 c.p.a., questo è in nuce il ragionamento degli appellanti (v. pp. 33-34 del ricorso), prevede infatti espressamente che, «in sede di decisione della domanda cautelare», il Collegio possa decidere, ricorrendone gli altri presupposti, ma se vi è stata rinuncia alla domanda cautelare nessun potere decisorio spetta al giudice su una domanda ormai rinunciata.
9.3. La riprova di tanto si rinverrebbe anche nell’art. 71, comma 5, c.p.a., a mente del quale il termine per la notifica del decreto di fissazione dell’udienza di merito è ridotto a quarantacinque giorni, su accordo delle parti, se l’udienza di merito è fissata a seguito della rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare.
9.4. La disposizione attribuirebbe autonomo rilievo alla rinuncia della parte ricorrente alla definizione dell’istanza cautelare, sicché la rinuncia espressa dei ricorrenti alla definizione autonoma dell’istanza cautelare e, quindi, ad una pronuncia giurisdizionale priverebbe il giudice del potere di rendere tale pronuncia.
9.5. Un simile argomento prova tuttavia troppo perché la rinuncia alla domanda cautelare esonera il giudice dall’obbligo di pronunciarsi su questa, ma non gli sottrae la facoltà di pronunciare con sentenza in forma semplificata sull’intera controversia, se le parti non oppongano validi motivi a questa soluzione, legati alla volontà di proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione.
9.6. Nel caso di specie risulta dal verbale di udienza, il quale fa piena prova fino a querela di falso delle dichiarazioni effettuate, che il difensore dei ricorrenti abbia solo chiesto di rinviare la causa al merito, senza ulteriore motivazione, e di rinunciare comunque alla domanda cautelare, ma questo non preclude al giudice di potere definire la causa immediatamente, sussistendone gli altri presupposti di cui all’art. 60 c.p.a. (rispetto dei venti giorni dall’ultima notifica, completezza del contraddittorio e dell’istruttoria).
9.7. Gli appellanti richiamano a sostegno della loro tesi la sentenza di questo Consiglio, sez. IV, 5 giugno 2012, n. 3317, secondo cui la rinuncia alla domanda cautelare farebbe venire meno il presupposto per la decisione della domanda cautelare, unica sedes materiae individuata dal legislatore, ma sé questa un’unica, isolata, e ormai risalente pronuncia, che si fonda sul significato meramente letterale dell’espressione «in sede di discussione della domanda cautelare».
9.8. Si tratta, tuttavia, di un indirizzo ermeneutico superato dalla più recente e ormai consolidata giurisprudenza della giurisprudenza amministrativa – v., per tutte, Cons. St., sez. V, 28 luglio 2015, n. 3718, richiamata pure dalla sentenza impugnata – secondo cui sussistono i presupposti per la definizione del giudizio con sentenza ai sensi dell’art. 60 c.p.a., benché il difensore dell’appellante abbia dichiarato in camera di consiglio di rinunciare all’istanza cautelare, peraltro dopo essere stata avvisata di tale possibilità, in quanto le uniche cause ostative a tale definizione sono quelle, non sussistenti nel caso di specie, enunciate dalla disposizione del codice del processo appena citata e, cioè, il difetto del contraddittorio e la non completezza dell’istruttoria, che spetta al Collegio decidente apprezzare, nonché la dichiarazione della parte circa la volontà di «proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione».
9.9. Questo orientamento risponde al più generale principio secondo cui l’opportunità di una decisione nel merito della causa è rimessa dal legislatore al prudente apprezzamento del giudice e non già alla volontà delle parti, che possono, sì, rinunciare alla domanda cautelare, ma non già disporre come vogliono – in ragione di un malinteso senso del c.d. principio dispositivo – del funzionale e sollecito andamento del giudizio, informato ai valori del giusto processo e della ragionevole durata di questo (art. 111 Cost.).
10. Questo Consiglio ha in più occasioni affermato che il rito previsto dall’art. 60 c.p.a. non ha natura consensuale (Cons. St., sez. V, 15 gennaio 2018, n. 178) e che nemmeno la mancata comparizione delle parti costituite all’udienza cautelare può impedire al Collegio di trattenere la causa in decisione per emettere sentenza in forma semplificata (Cons. St., sez. III, 7 luglio 2014, n. 3453).
10.1. L’espressione «in sede di decisione della domanda cautelare», contenuta nell’art. 60 c.p.a., sta solo a significare che il Collegio chiamato a decidere la domanda cautelare, in sede di camera di consiglio fissata per la discussione orale e dopo aver sentito ovviamente le parti sul punto, può decidere immediatamente e interamente nel merito la causa, se ve ne sono i presupposti, e non già che gli sia consentito farlo solo unitamente alla domanda cautelare, che dunque può essere oggetto di rinuncia dalla parte ricorrente senza che ciò precluda al giudice l’esame contestuale del merito.
10.2. Non depone in senso contrario la previsione dell’art. 71, comma 5, c.p.a., il quale stabilisce che il termine di sessanta giorni per la comunicazione del decreto che fissa l’udienza di discussione di merito può essere ridotto a quarantacinque giorni, su accordo delle parti, se l’udienza di merito è fissata «in seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare», perché la disposizione non implica che in seguito alla rinuncia il giudice debba necessariamente fissare l’udienza di merito senza poter trattenere la causa immediatamente in decisione per il merito, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ma solo che il termine per la comunicazione di tale fissazione sia ridotto, su accordo delle parti, a quarantacinque giorni.
10.3. Dall’art. 71, comma 5, c.p.a. non può trarsi paradossalmente in via interpretativa, contro la ratio acceleratoria di tutte le previsioni del codice di rito, alcun divieto di sentenza in forma semplificata in seguito alla rinuncia alla domanda cautelare.
10.4. Anzi la ratio acceleratoria sottesa alla previsione dell’art. 71, comma 5, c.p.a. è ancor meglio soddisfatta dalla contestuale decisione della causa alla camera di consiglio fissata per la decisione della domanda cautelare, se le parti – come è stato nel caso presente – nulla abbiano da osservare e/o da opporre circa la sollecita definizione della causa, evitando finanche l’abbreviazione consensuale del termine a quarantacinque giorni e comunque l’ulteriore rinvio della causa all’udienza pubblica di merito.
10.5. Nello stesso senso deve essere letta la previsione dell’art. 71-bis, comma 2, c.p.a., secondo cui a seguito dell’istanza di prelievo, con cui la parte segnala l’urgenza del ricorso, il giudice, anche in questo caso accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite le parti costituite sul punto, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata.
10.6. Lo schema della sentenza semplificata – che, come si è premesso, ha valenza generale e non costituisce certo una deroga al principio dispositivo o una scorciatoia al pieno e satisfattivo contraddittorio tra le parti – è qui impiegato dal legislatore al di fuori del giudizio cautelare, come del resto accade anche nell’ipotesi dell’art. 74 c.p.a., in quanto l’art. 71-bis c.p.a. concerne l’ipotesi di definizione del merito, in seguito ad istanza di prelievo, mediante il rito camerale e secondo presupposto identici a quelli alla trattazione della domanda cautelare (pure esaminata in camera di consiglio).
10.7. Proprio questa previsione dell’art. 71-bis c.p.a. dimostra anzi, e contrario, che la definizione della causa nel merito con lo schema della sentenza in forma semplificata – qui secondo un modello ricalcato appieno e finalmente sulla falsariga dell’art. 60 c.p.a. – costituisce un potere immanente al sistema, riconosciuto al giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti.
10.8. Né è da attribuirsi eccessiva importanza o comunque valenza differenziale, come pretendono gli appellanti, all’espressione «in sede di decisione della domanda cautelare», usata dall’art. 60 c.p.a., rispetto a quella «in camera di consiglio», impiegata dall’art. 71-bis c.p.a., per trarne la conclusione che nella prima ipotesi sia necessaria, come prius logico-giuridico, la decisione sulla domanda cautelare, posto che la prima disposizione si riferisce e dà risalto, evidentemente, al momento in cui il Collegio è chiamato a decidere sulla domanda cautelare, senza fare riferimento al rito camerale, riferimento pleonastico poiché i giudizi cautelari, per disposizione generale (art. 55, comma 1, e art. 87, comma 2, lett. a), c.p.a.), si trattano in camera di consiglio, mentre la disposizione dell’art. 71-bis c.p.a. estende il rito camerale, in seguito ad istanza di prelievo, anche alla trattazione del merito, che normalmente si celebra in udienza pubblica, fermo restando che, anche nell’ipotesi di cui all’art. 71-bis c.p.a., l’erronea fissazione dell’udienza pubblica per la decisione in forma semplificata non costituirebbe motivo di nullità della decisione per il principio generale codificato dall’art. 87, comma 4, c.p.a.
10.9. Il principio dispositivo del processo e il potere di rinuncia alla domanda cautelare non possono dunque essere legittimamente invocati dalla parte per impedire al giudice l’esercizio del potere/dovere di definire il giudizio in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., laddove ve ne siano tutti i presupposti di legge, con inutile dilatazione dei tempi in un giudizio che, al contrario, potrebbe essere definito con una pronuncia immediata, contenente una sintetica motivazione.
10.10. E del resto, si deve qui osservare, la pure costante giurisprudenza di questo Consiglio afferma che è persino inammissibile la censura con la quale si denuncia la carenza dei presupposti per la definizione del giudizio di primo grado con sentenza in forma semplificata, all’esito della camera di consiglio fissata dal Tribunale per la trattazione dell’incidente cautelare, se le parti, espressamente informate dell’intenzione del Collegio giudicante di definire immediatamente nel merito la causa, nulla hanno obiettato (v., sul punto, Cons. St., sez. II, 3 giugno 2020, n. 3843), come nel caso presente, ove non risulta dal verbale di causa che il difensore degli appellanti si sia opposto alla definizione della causa in forma semplificata o abbia evidenziato la necessità di proporre motivi aggiunti.
10.11. Di qui, conclusivamente, la reiezione del primo motivo in esame, che non può trovare accoglimento nemmeno laddove invoca la rimessione della questione all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., non essendovene, ad avviso di questo Collegio, i presupposti nemmeno ai sensi del comma 2 di tale disposizione, se è vero che il precedente invocato dagli appellanti è risalente nel tempo e, come detto, isolato, mentre la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, per tutte le ragioni sistematiche sin qui sinteticamente esposte, è consolidata nell’affermare il principio secondo cui il rito di cui all’art. 60 c.p.a. non ha natura consensuale e che la rinuncia alla domanda cautelare, seppure legittima espressione del potere della parte di rinunciare a questa in base al c.d. principio dispositivo, non preclude al Collegio giudicante, se ne ve sono i presupposti di legge, il potere di decidere immediatamente la causa con sentenza in forma semplificata.
11. Con il secondo motivo (pp. 39-40 del ricorso), ancora, gli odierni appellanti deducono la violazione degli artt. 1, 2 e 60 c.p.a., dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. sotto diverso profilo, in quanto sostengono che l’Avvocato MM, nel corso dell’udienza camerale celebrata avanti al Tribunale, avrebbe dichiarato di voler proporre motivi aggiunti, circostanza, questa, preclusiva alla definizione della causa con sentenza in forma semplificata in base alla previsione, essa sì espressa e chiara, dell’art. 60 c.p.a.
11.1. Senonché, deducono ancora gli appellanti, la dichiarazione dell’Avvocato MM non risulterebbe dal verbale di udienza, che essi si riservano di impugnare eventualmente, ove occorra, anche con querela di falso, mentre in realtà la dichiarazione di voler proporre motivi aggiunti sarebbe stata fatta anche perché lo stesso Avvocato, su specifica domanda del relatore, aveva fatto presente che lo stato del procedimento di cui all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 era diverso per i vari ricorrenti, per quanto tutti sottoposti all’obbligo vaccinale, avendo «alcuni ricorrenti […] ricevuto solo la prima raccomandata, quella relativa all’invito a produrre la documentazione relativa all’effettuazione della vaccinazione, altri anche la seconda e la terza, rispettivamente l’invito formale a sottoporsi alla vaccinazione e l’accertamento dell’elusione dell’obbligo vaccinale» e, proprio per questo, l’Avvocato M avrebbe dichiarato – ciò che, tuttavia, non sarebbe stato verbalizzato – di voler proporre motivi aggiunti contro gli atti adottati a completamento e a definizione della sequenza procedimentale delineata dal più volte citato art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, intesi ad acclarare l’accertamento dell’elusione dell’obbligo vaccinale da parte (di alcuni) dei ricorrenti.
11.2. Peraltro, deducono ancora gli appellanti (p. 40 del ricorso), l’intenzione di proporre motivi aggiunti di ricorso avverso i successivi o adottandi atti di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale avrebbe giustificato, altresì, la rinuncia alla domanda cautelare, che sarebbe stata riproposta in sede di ricorso per motivi aggiunti, stante il grave pregiudizio derivante dagli atti di accertamento di inadempimento di detto obbligo per gli appellanti, costretti alla sospensione dell’attività professionale e di ogni conseguente compenso.
11.3. Il motivo, tuttavia, è anche esso infondato perché nel verbale dell’udienza camerale dell’8 settembre 2021, tenutasi avanti al Tribunale, non vi è traccia di una siffatta volontà di proporre motivi aggiunti, anche a fronte del rilievo officioso, da parte del Collegio giudicante, di una circostanza – quella, cioè, relativa al diverso stato del procedimento per i diversi ricorrenti – che sarebbe stata ed è poi stata ritenuta, da quel Collegio, motivo di inammissibilità del ricorso cumulativo proposto in prime cure.
11.4. Dalla lettura di tale verbale che, come ogni atto pubblico, fa piena prova, fino a querela di falso (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2005, n. 3125) – allo stato nemmeno promosso ma solo, e in forma eventuale, preannunciata dal difensore – delle dichiarazioni effettuate dalle parti, risulta che «il Collegio si riserva di decidere anche con sentenza in forma semplificata ed evidenzia come il Collegio ha preso atto che il 6 settembre, nonostante l’avviso della fissazione dell’odierna camera di consiglio fosse stato consegnato ancora il 23 luglio, la difesa di parte ricorrente ha depositato richiesta di rinvio della sospensiva al merito, dimostrando di non conoscere che in questo Tribunale, ogniqualvolta ne ricorrano i presupposti, si è soliti definire i ricorsi con sentenza breve ex art. 60 cpa» e, ancora, che «il Collegio preliminarmente eccepisce, ai sensi dell’art. 73, comma 3 c.p.a., la possibile inammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo, date le diverse posizioni soggettive dei ricorrenti e gli atti impugnati che provengono da Amministrazioni diverse» e, infine, che «l’avvocato M insiste per il rinvio al merito e in subordine per la rinuncia alla sospensiva e, in replica all’eccezione del Collegio, sottolinea che le posizioni giuridiche sono le medesime e infatti le Aziende hanno emesso provvedimenti identici».
11.5. Non emerge da nessuna dichiarazione riportata nel verbale che l’Avvocato MM abbia richiesto un termine per la proposizione dei motivi aggiunti, non potendo ciò desumersi dal mero riferimento al rinvio al merito (non giustificato da alcuna motivazione), né che comunque si sia opposto alla definizione della causa in forma semplificata, preannunciata dal Collegio nonostante la rinuncia alla domanda cautelare formalizzata dagli appellanti il 6 settembre 2021, per qualche plausibile ragione, pur avendo espressamente egli controdedotto rispetto al rilievo officioso del Collegio – doverosamente sottoposto al contraddittorio tra le parti ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. – in ordine alla eventuale inammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo.
11.6. Non possono certo costituire prove della dichiarata e qui riaffermata volontà di proporre motivi aggiunti, non risultante dal verbale che solo farebbe piena prova di tale affermata volontà, né la missiva inviata dall’Avvocato MM all’Avvocato DG il 13 ottobre 2021, prodotta sub doc. 2 nel presente giudizio d’appello tra i documenti depositati lo stesso 13 ottobre 2021, missiva nella quale l’Avvocato MM dichiara di avere significato «all’Ecc.mo Collegio che i ricorrenti, nelle more, avevano ricevuto ulteriore [sic] provvedimenti da parte delle Aziende Sanitarie Friulane, per i quali sarebbe stato comunque necessario disporre rinvio per la proposizione di atto di motivi aggiunti, come peraltro già significato nell’istanza depositata in giudizio in data 6 settembre 2021», né tantomeno la stessa istanza di rinvio al merito depositata il 6 settembre 2021, pure prodotta sub doc. 3 dagli appellanti nei citati documenti depositati il 13 ottobre 2021, posto che, a p. 7 di tale istanza, il difensore degli appellanti ha solo rappresentato che «i diritti e gli interessi fatti valere dai ricorrenti, possono, allo stato, essere adeguatamente tutelati mediante la sollecita fissazione dell’udienza di merito del ricorso, con riserva di agire nuovamente in sede cautelare, anche monocratica, ove le Aziende Sanitarie resistenti dovessero procedere nell’iter», delineato dal più volte citato art. 4 per l’accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, instandosi affinché il Collegio di prime cure disponesse, senza la preventiva discussione, il rinvio dell’udienza di discussione dell’istanza cautelare all’udienza di merito, della quale si è chiesto «compatibilmente con le esigenze dell’Ufficio, la celere fissazione, anche per proporre motivi aggiunti avverso gli atti di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale che, medio tempore, dovessero essere adottati dalle Aziende Sanitarie resistenti».
11.7. Non la prima, si noti, perché è una mera dichiarazione di parte, che non trova alcuna conferma nemmeno implicita nel verbale dell’udienza camerale, e nemmeno la seconda, perché anche se l’istanza di rinvio al merito depositata il 6 settembre 2021 contiene o, meglio, preannuncia tale volontà di proporre motivi aggiunti in primo grado, peraltro in forma ipotetica e dubitativa perché nessun ulteriore atto di accertamento risultava essere stato ancora compiuto dalle Aziende Sanitarie friulane in quel momento, nondimeno la (confermata) fissazione dell’udienza camerale per la discussione dell’istanza cautelare, che non era stata oggetto di rinuncia nella predetta istanza (appunto, e solo, di abbinamento dell’istanza cautelare all’udienza di merito, salva la proposizione di eventuali istanze cautelari al sopravvenire di eventuali atti lesivi), e la volontà del Collegio, espressamente dichiarata a verbale, di procedere ad una sentenza in forma semplificata, peraltro su questioni – in parte – rilevate anche d’ufficio, imponeva alla parte rinunciante di dichiarare o, comunque, rinnovare espressamente la propria volontà di proporre motivi aggiunti, ciò che, peraltro, sarebbe stato difficilmente plausibile, in quel momento, per l’assenza di ulteriori atti da impugnare, poi sopravvenuti, come dimostrano i doc. 13 depositati il 13 ottobre 2021 dagli odierni appellanti.
11.8. Ne segue che non vi è stata alcuna violazione dell’art. 60 c.p.a., da parte del Collegio di prime cure, e d’altro canto la mancata proposizione, ad oggi, di una querela di falso del verbale, che ha efficacia pienprobante in ordine all’assenza di qualsiasi intenzione, dichiarata dal difensore dei ricorrenti, di proporre motivi aggiunti pur a fronte della prospettata possibilità, da parte del Collegio, di decidere la causa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., induce a ritenere che non vi siano ragioni per sospendere questo giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.a., per una meramente lamentata, e nemmeno contestata nelle dovute forme giudiziali, falsità del più volte menzionato verbale.
11.9. Al riguardo basti qui solo ricordare che l’art. 77, comma 1, c.p.a. impone a chi deduce la falsità di un documento l’obbligo di provare che sia stata già proposta querela di falso o di domandare almeno la fissazione di un termine entro cui possa proporla innanzi al tribunale ordinario competente, ma nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie ove, come si è accennato, gli appellanti non hanno né proposto la querela né chiesto al Collegio un termine per proporla, riservandosi genericamente ogni iniziativa giudiziale a tutela dei loro diritti.
12. Di qui la reiezione anche del secondo motivo di appello a fronte della consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, per la quale tale dichiarazione di proporre motivi aggiunti deve essere esternata o comunque ribadita in udienza espressamente dalla parte interessata, come del resto prevede espressamente, e senza dare in questo caso adito ad alcuna ambiguità interpretativa, l’art. 60 c.p.a., posto che la parte, se non si è opposta alla decisione in forma semplificata, non può poi dolersi in appello della violazione del diritto di difesa o della lesione al principio del contraddittorio.
13. Con il terzo motivo (pp. 41-45 del ricorso) gli odierni appellanti censurano la sentenza impugnata per avere posto a fondamento della propria decisione, con cui, come si è visto, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo, sia per ragioni di ordine soggettivo che oggettivo, una questione rilevata d’ufficio che, a loro dire, non sarebbe stata mai sollevata od eccepita da alcuna delle parti resistenti e, in particolare, nelle difese delle Aziende Sanitarie friulane, costituitesi in primo grado, come ha invece ritenuto la sentenza impugnata.
13.1. Gli appellanti insistono nel sostenere l’evidente differenza tra le eccezioni formulate dalle amministrazioni resistenti, relative alla pretesa diversità delle posizioni soggettive dei ricorrenti e alla provenienza degli atti impugnati da amministrazioni diverse, e la questione rilevata invece d’ufficio dal Collegio giudicante, concernente l’asserito diverso momento dell’iter accertativo previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021.
13.2. Nonostante la specifica richiesta dell’Avvocato MM, che aveva comunque richiesto un termine per controdedurre, come si legge nel verbale dell’udienza camerale alle ore 10.11 («l’udienza viene sospesa per permettere al Collegio di ritirarsi in camera di consiglio» e, ancora, «alle ore 10.13, alla riapertura dell’udienza, il Collegio informa che l’eccezione di inammissibilità, sollevata ex art. 73, corrisponde sostanzialmente a quanto era stato già eccepito dall’avvocato B nella memoria del 3 settembre, nonché anche dalle altre parti, incluso l’avvocato C in quella del primo settembre e quindi, parte ricorrente, aveva tutto il tempo per replicare e alla luce di un tanto il Collegio non ritiene di accogliere la richiesta di rinvio e ricorda che la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire l’ininfluenza della rinuncia all’istanza cautelare rispetto alla possibilità del giudice di fare sentenza breve»), il Collegio ha comunque deciso di trattenere la causa per la decisione in forma semplificata.
13.3. E ciò, deducono gli appellanti, in modo erroneo perché il Collegio giudicante avrebbe dovuto concedere un termine per la corretta instaurazione del contraddittorio sulla questione sollevata d’ufficio, autorizzando le parti al deposito di scritti difensivi in proposito.
13.4. Il motivo è inammissibile, per difetto di interesse, e comunque infondato anche nel merito.
13.5. Ammesso e non concesso, infatti, che la questione del non consentito cumulo oggettivo delle azioni in un unico giudizio, per il diverso stato del procedimento in corso per ciascuno degli interessati, sia stata rilevata dal Collegio ex officio per la prima volta nell’udienza camerale, come sostengono gli appellanti, la declaratoria di inammissibilità si fonda, come si è detto, anche su una ratio decidendi autonoma da tale questione, e in sé sufficiente a sorreggere la statuizione di inammissibilità e, cioè, l’inammissibilità del ricorso collettivo anche e anzitutto per le differenti posizioni soggettive dei ricorrenti, appartenenti a categorie professionali diverse, sicché il motivo è inammissibile per difetto di interesse e la statuizione del primo giudice, in parte qua rispettosa del contradddittorio, rimarrebbe intangibile in quanto sorretta da una autonoma, incontestata ratio decidendi, quella relativa all’inammissibilità del cumulo soggettivo sotteso al ricorso collettivo, da sola sufficiente a sorreggere la pronuncia di inammissibilità impugnata (v., per questo principio, Cons. St., sez. IV, 12 novembre 2019, n. 7771).
13.6. Ma, anche nel merito, la censura è infondata perché, anche ammesso, si ripete, che la questione sia stata rilevata per la prima volta dal Collegio solo in sede di udienza camerale, mentre in realtà essa era stata eccepita in primo grado dall’Azienda Sanitaria del Friuli Occidentale nella memoria depositata il 1° settembre 2021 (v., in particolare, pp. 7-8, sul difetto di interesse ad agire per alcuni dei ricorrenti stante la natura endoprocedimentale degli atti impugnati), il giudice l’ha indicata in udienza, dandone atto a verbale, come prescrive l’art. 73, comma 3, c.p.a., senza alcun obbligo di assegnare un termine alle parti, come a torto sostengono gli appellanti, poiché l’assegnazione del termine a difesa è obbligatoria, per il giudice, solo quando il rilievo officioso della questione sia successivo al passaggio in decisione della causa, in modo di dare modo alle parti di interloquire almeno per iscritto sulla questione, senza alcuna decisione “a sorpresa”, che eluderebbe o tradirebbe il contraddittorio, qui invece pienamente rispettato, perché, come visto, l’Avvocato MM ha potuto interloquire correttamente in sede orale sul rilievo della questione.
13.7. In tal senso è anche la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo cui costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l’art. 73, comma 3, c.p.a., l’essere stata posta a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d’ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l’assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo (Cons. St., sez. V, 2 gennaio 2019, n. 11).
13.8. Ne deriva l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza anche di questo terzo motivo di appello.
14. Con il quarto motivo gli odierni appellanti (pp. 45-54 del ricorso) lamentano l’erroneità della sentenza impugnata nell’avere dichiarato inammissibile il ricorso per la sostanziale eterogeneità delle loro posizioni, sia sul piano soggettivo, essendo alcuni di essi medici, altri infermieri, altri operatori sanitari o dipendenti di strutture sanitarie private, sia sul piano oggettivo, in quanto gli atti impugnati da ciascuno di essi si troverebbero in una diversa fase procedimentale.
14.1. Essi sostengono, al contrario, che la pronuncia di inammissibilità sarebbe erronea perché ricorrerebbero nel caso di specie tutti i presupposti per la proposizione del ricorso collettivo e cumulativo e, dunque, del simultaneus processus, in quanto:
a) tutti i ricorrenti versano nella medesima situazione processuale, essendo tutti, indistintamente, destinatari dell’obbligo imposto dalla legge e, conseguentemente, dei provvedimenti amministrativi che attuano la previsione legislativa, impugnati con il ricorso di primo grado;
b) tutti i ricorrenti si trovano anche nella medesima situazione processuale, essendo gli atti rivolti nei loro confronti già dotati di una autonoma lesività, a prescindere dalla loro natura di invito a dichiarare la propria situazione vaccinale, di invito formale alla vaccinazione o di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale.
14.2. Gli appellanti osservano in tale prospettiva che tutti questi atti costituirebbero piena attuazione del disposto dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, che si strutturerebbe, a loro dire, alla stregua di una legge-provvedimento, in quanto impositivo di un obbligo ad una determinata platea di soggetti, senza lasciare alla pubblica amministrazione alcuna discrezionalità, ma gravandola di una attività in tutto e per tutto vincolata alla legge stessa, frutto di un bilanciamento di interessi operato in sede legislativa e non di un procedimento amministrativo.
14.3. La stessa ricezione dell’invito a vaccinarsi, posto a monte della sequenza procedimentale tratteggiata dall’art. 4, determina per i ricorrenti l’obbligo a sottoporsi alla vaccinazione, sicché detta ricezione inciderebbe, in peius, sulla loro sfera giuridica, che ovviamente prima della nuova previsione legislativa non conosceva un siffatto obbligo.
14.4. Sarebbe perciò irrilevante lo stato dell’iter procedimentale in cui si trova la situazione propria e specifica di ciascuno degli odierni appellanti, se tutti i provvedimenti attuativi della previsione legislativa, dal primo all’ultimo, sono in realtà dotati di autonoma e immediata lesività.
14.5. Sussisterebbero insomma tutti i presupposti del cumulo soggettivo e oggettivo, posto che i ricorrenti sono tutti destinatari del precetto legislativo, che reca l’obbligo vaccinale, e tutti i provvedimenti costituiscono espressione del medesimo potere, che solo relativamente all’aspetto organizzativo è rimesso alle Aziende Sanitarie, ma in realtà è esercitato a monte dal legislatore.
15. Il motivo, per le ragioni che seguono, è fondato.
15.1. La giurisprudenza amministrativa afferma, con orientamento unanime, il principio consolidato per il quale la proposizione del ricorso collettivo da parte di più soggetti rappresenta invero una deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione, con la conseguenza che la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di stringenti requisiti, sia “di segno negativo” che “di segno positivo” (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6174, Cons. St., sez. VI, Cons. St., sez. IV, 16 maggio 2018, n. 2910, Cons. St., sez.V, 27 luglio 2017 n. 3725, Cons. St., sez. VI, 14 giugno 2017, n. 2921).
15.2. Costituisce ius receptum la massima per cui nel processo amministrativo il ricorso giurisdizionale collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel solo caso in cui sussistano, cumulativamente, i requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali – ossia, alla condizione che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi – e l’assenza di un conflitto di interessi tra le parti.
15.3. Quanto all’ammissibilità del ricorso cumulativo contro più atti, poi, la regola altrettanto generale e tendenziale dell’impugnabilità, con un ricorso, di un solo provvedimento può essere derogata nelle sole ipotesi in cui la cognizione, nel medesimo giudizio, della legittimità di più provvedimenti sia imposta dall’esigenza di concentrare in un’unica delibazione l’apprezzamento della correttezza dell’azione amministrativa oggetto del gravame, quando questa viene censurata nella sua complessità funzionale e, soprattutto, per profili che ne inficiano in radice la regolarità e che interessano trasversalmente le diverse, ma connesse, sequenze di atti (Cons. St., sez. V, 22 gennaio 2020, n. 526).
15.4. È perciò necessario ai fini dell’ammissibilità del ricorso cumulativo avverso distinti provvedimenti, come pure ha ben ricordato la sentenza impugnata, che gli stessi siano riferibili al medesimo procedimento amministrativo, seppur inteso nella sua più ampia latitudine semantica, e che con il gravame vengano dedotti vizi che colpiscano, nelle medesima misura, i diversi atti impugnati, di modo che la cognizione delle censure dedotte a fondamento del ricorso interessi allo stesso modo il complesso dell’attività provvedimentale contestata dal ricorrente, e che non residui, quindi, alcun margine di differenza nell’apprezzamento della legittimità dei singoli provvedimenti congiuntamente gravati.
15.5. Segue da ciò che, a titolo esemplificativo, nelle ipotesi in cui siano impugnate le diverse aggiudicazioni di distinti lotti di una procedura selettiva originata da un unico bando, l’ammissibilità del ricorso cumulativo resta subordinata all’articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni.
15.6. In questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che, tuttavia, risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta (Cons. St., sez. V, 13 giugno 2016 n. 2543).
15.7. Ancor più di recente si è rilevato che il ricorso cumulativo è ammissibile a condizione che ricorrano congiuntamente i requisiti della identità di situazioni sostanziali e processuali, che le domande siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che identiche siano altresì le censure, di talché anche nel caso di una gara unitaria suddivisa in più lotti ciò potrà ammettersi solo laddove vi sia articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni (Cons. St., sez. V, 17 giugno 2019, n. 4096).
16. I principi rassegnati dalla costante giurisprudenza amministrativa – v. di recente, inter multas, anche Cons. St., sez. III, 18 maggio 2021, n. 3847 – sono in stretta dipendenza con quanto affermato dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 5 del 27 aprile 2015, in cui si è avuto modo di stabilire i rigidi confini in cui si può essere proposto un ricorso cumulativo e, cioè, che la regola generale del processo amministrativo risiede nel principio secondo cui il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i motivi siano correlati strettamente a quest'ultimo, con la sola eccezione di atti contestualmente impugnati e a condizione, in questo caso, che sussista una connessione procedimentale o funzionale da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo o, addirittura, l’abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato.
17. La proposizione di un ricorso cumulativo o collettivo al di fuori dei casi in cui ciò è consentito rende il ricorso inammissibile, in quanto l’ammissibilità del ricorso è una condizione di decidibilità nel merito – lo si ricava a contrario dall’art. 35, comma 1, lett. b) e c), c.p.a. – secondo cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile o improcedibile, a seconda dei casi, quando sussistono o sopravvengono altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito.
18. Tale evenienza rientra, dunque, nell’ambito delle condizioni dell’azione e, cioè, dei requisiti necessari affinché la domanda proposta al giudice possa essere decisa nel merito e non dei presupposti processuali, essendo il processo ritualmente instaurato e potendo proseguire fino alla decisione (per l’elencazione degli uni e degli altri v., comunque, Cons. St., Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5);
18.1. I limiti alla proposizione dei ricorsi collettivi, come del resto, analogamente, dei ricorsi cumulativi, per la costante giurisprudenza amministrativa si giustificano:
a) per l’esigenza che il processo amministrativo abbia per oggetto specifiche questioni riguardanti i singoli ricorrenti, mirando a statuizioni che specificamente determinino l’assetto dei rapporti tra essi e la pubblica amministrazione intimata in giudizio;
b) per l’esigenza di consentire l’effettività della difesa della amministrazione intimata, che nei termini di legge deve poter apprestare le proprie difese con riferimento ai singoli casi, e non alla complessiva legittimità degli atti – dal contenuto eterogeneo – di un procedimento amministrativo coinvolgente più soggetti;
c) per l’esigenza di organizzare i ruoli di udienza ed i carichi di lavoro dei singoli magistrati, difficilmente gestibili qualora debbano essere esaminati ricorsi riguardanti più ricorrenti che prospettano censure non omogenee avverso atti dal contenuto eterogeneo.
19. Se ora si tengono a mente e si applicano tutte queste coordinate interpretative in sintesi qui ricordate al caso di specie, risulta chiaro che, pur non condividendosi la tesi sostenuta dagli appellanti secondo cui l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 sarebbe una legge-provvedimento (di cui non ha invece i requisiti poiché, a tacer d’altro, non eleva a livello legislativo una disciplina già oggetto di un atto amministrativo: v., sulle leggi-provvedimento, Corte cost., 23 giugno 2020, n. 116), nel caso di specie sussistono tutti i presupposti per l’ammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo, in quanto:
a) sul piano soggettivo, i ricorrenti si trovano tutti nella medesima posizione, indistintamente, poiché essi sono tutti destinatari del precetto legislativo, nonostante la diversa categoria professionale alla quale eventualmente appartengano, che li obbliga alla vaccinazione contro il virus Sars-CoV-2;
b) sul piano oggettivo, i ricorrenti impugnano i diversi atti della sequenza procedimentale non per vizi propri e specifici di questi, che introdurrebbe in questa sede una inammissibile – essa sì – differenziazione delle censure dovuta alla singolarità di ogni singola vicenda concreta, ma perché espressivi, tutti, di un potere che essi contestano in radice sulla base di motivi identici e comuni a tutte le posizioni, siccome diretti, come in seguito si vedrà meglio esaminando queste censure nel merito, a fare emergere il contrasto dell’obbligo vaccinale, in radice, con molteplici disposizioni del diritto europeo, convenzionale ed interno.
19.1. È dunque irrilevante ai fini di questo specifico e certo particolare giudizio, avuto riguardo al petitum e alla causa petendi dell’azione proposta tesa unicamente a contestare in radice la legittimità dell’obbligo vaccinale introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, sia la specifica qualifica professionale degli appellanti, purché ovviamente rientrante – ma ciò è incontestato fra le parti – tra quelle assoggettate all’obbligo di legge, sia lo stato, iniziale, avanzato o conclusivo, del procedimento avviato dalle Aziende Sanitarie per l’accertamento dell’obbligo vaccinale e l’irrogazione delle eventuali sanzioni in caso di inadempimento.
19.2. Tutti gli atti della sequenza procedimentale introdotta e disciplinata dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, a fronte di un potere vincolato, per l’amministrazione, ai presupposti determinati dalla legge e vincolante per i destinatari, sono egualmente lesivi per la sfera giuridica dei ricorrenti che, si badi, non lamentano soltanto una violazione del loro diritto al lavoro e alla retribuzione (art. 36 Cost.), ma una violazione diretta, e radicale, anche del loro fondamentale diritto ad autodeterminarsi (artt. 2 e 32 Cost.), diritto che, evidentemente, è leso da tutto il procedimento inteso ad accertare l’inadempimento a tale obbligo, dal principio alla fine, in quanto ogni atto di questo procedimento, indipendentemente dalla maggiore e crescente incisività dei suoi effetti via via che il procedimento avanza, invade la sfera giuridica dei destinatari e l’ambito di autonomia decisionale e, per così dire, dell’habeas corpus che essi reclamano.
19.3. Se ben si riflette, ad essere contestata complessivamente contestata nel presente giudizio è l’intera azione amministrativa posta in essere dalle Aziende Sanitarie in attuazione del potere vincolato loro conferito dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per l’accertamento dell’obbligo vaccinale, di cui si lamenta la sostanziale ingiustizia per il contrasto con superiori disposizioni e valori di rilievo europeo e nazionale, non i singoli effetti individuali né i singoli segmenti procedimentali di questa.
19.4. Un diverso ragionamento che inclinasse alla differenziazione interna a questo interesse, qui – seppure per l’eccezionalità della vicenda – unitario e inscindibile, condurrebbe, del resto, alla inutile frammentazione e, per dir così, alla ingiusta polverizzazione della domanda, comune e omogenea a tutti i ricorrenti.
19.5. Questa domanda ha certo ad oggetto una complessa e multiforme, ma anche compatta e coordinata e, in fin dei conti, unitaria azione amministrativa, che pure incide e inciderà, questo è vero, in misura diversa all’esito del procedimento e a seconda dei casi sulla sfera giuridica di molti soggetti.
19.6. Proprio per la sostanziale unitarietà, sul piano funzionale e in questa fase, l’esercizio del potere qui contestato, da parte delle Aziende appellate, può essere riguardato come unitario ed omogeneo, come unitarie ed omogenee a tutti i ricorrenti sono le censure che essi muovono agli atti espressivi di questo potere.
19.7. A fronte di questa vicenda, così correttamente intesa sul piano sostanziale e inquadrata in senso funzionale, al di là di meri schemi formali e atomistici, l’inammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo produrrebbe solo decine, se non centinaia, di cause e di processi pendenti avanti al Tribunale – come avanti a molti Tribunali amministrativi regionali in tutta Italia – chiamato, al pari di tanti Tribunali, a decidere cause-fotocopia, in quanto in esse ogni singolo ricorrente propone, e sarebbe costretto a proporre, le stesse identiche censure di legittimità in radice contro l’introduzione dell’obbligo vaccinale, censure che invece potrebbero essere delibate e sono state, in effetti, proposte in un unico giudizio, anche in attuazione, merita qui solo aggiungere, dei principi di concentrazione e di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).
20. La giurisprudenza amministrativa più recente viene orientandosi verso una concezione non formalistica delle condizioni per proporre il ricorso collettivo e cumulativo, visione che, pur continuando doverosamente a considerare la proposizione di questo ricorso, come detto, un’eccezione ai principî di cui si è detto, secondo cui ogni distinto provvedimento si impugna con un distinto ricorso, tiene presente e pone in primario risalto, nel valutare l’ammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo, il bene della vita, oggetto del ricorso, e in rapporto a questo l’interesse azionato dai ricorrenti che, nel caso di specie, è la contestazione della legittimità, in sé, dell’obbligo vaccinale, con diverse questioni di compatibilità con il diritto eurounitario e di costituzionalità.
20.1. I distinti atti e provvedimenti impugnati nel presente giudizio si riferiscono tutti a procedimenti, paralleli ma collegati, intesi a far rispettare, nella unitarietà dell’azione amministrativa coordinata e finalizzata in tale direzione doverosa per l’amministrazione, l’obbligo vaccinale da parte delle Aziende Sanitarie; i profili di illegittimità dedotti sono i medesimi per tutti i ricorrenti, indistintamente; non vi è alcun conflitto di interesse, nemmeno adombrato dalle amministrazioni resistenti, nelle posizioni dei singoli ricorrenti.
20.2. Sono così rispettate sostanzialmente tutte le condizioni (Cons. St., sez. III, 1° giugno 2020, n. 3449) al ricorrere delle quali è possibile ammettere, e doveva essere ammesso dal primo giudice, il ricorso collettivo e cumulativo, la cui trattazione in un simultaneus processus, avuto riguardo alla specificità e, si aggiunga, la delicatezza del presente giudizio, non solo è legittima, ma più che mai opportuna, senza inutile proliferazione di identici innumerevoli giudizi, identici, che ingolferebbero soltanto i ruoli dei diversi Tribunali amministrativi in tutta Italia, in assenza di specifiche contestazioni rivolte contro il singolo atto per vizi proprî – e non derivati – dell’atto stesso.
20.3. Ne segue che il quarto motivo di appello in esame deve essere accolto, con la conseguente ammissibilità, erroneamente negata dalla sentenza impugnata, del ricorso proposto dagli odierni appellanti.
21. Questi hanno riproposto – pp. 61-80 del ricorso, in particolare – tutte le dieci censure articolate nel ricorso di primo grado che, quindi, devono ora essere esaminate nel merito da parte di questo Consiglio, in sede di appello, in seguito alla riforma della sentenza che ha erroneamente dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, secondo le regole del codice del processo amministrativo e i principî sull’effetto devolutivo dell’appello sanciti dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (v., ad esempio, Cons. St., Ad. plen., 28 settembre 2018, n. 15).
21.1. Diviene così improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il quinto motivo di appello (pp. 54-56 del ricorso), che contesta la statuizione relativa alla spese del giudizio al cui pagamento i ricorrenti sono stati condannati in solido a favore delle Aziende costituitesi, in quanto la riforma della sentenza impugnata, con la necessità di esaminare nel merito le censure sollevate in primo grado, rende necessario rivedere integralmente il regolamento di dette spese all’esito del giudizio, una volta valutata la soccombenza sostanziale e apprezzate, avuto riguardo ai motivi del decidere, le eventuali ragioni per disporre la compensazione delle spese inerenti al doppio grado del giudizio.
22. È appena il caso di ricordare, prima di esaminare nel merito queste censure, che il Collegio, anche in questa sede di pronuncia in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., è pienamente investito dell’intera cognizione delle censure sollevate in primo grado, in questa sede – come detto – riproposte dagli odierni appellanti, non essendo limitata la sua cognizione, per il pieno effetto devolutivo dell’appello, alle sole questioni relative agli eventuali errores in procedendo della sentenza impugnata, che per errore abbia pronunciato l’inammissibilità dell’originario ricorso, ma investendo pienamente anche il merito delle censure.
22.1. A questa piena cognizione, pur relativa – nel presente giudizio – a questioni molto delicate e complesse, non osta appunto la forma della decisione in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a. che, come si è avuto modo di chiarire, non costituisce nel vigente ordinamento processuale un modulo sommario o affrettato di decisione, ma uno strumento generale di risoluzione della controversia, un modulo decisorio di estesa applicazione vincolato dal codice di rito a determinati presupposti, che si incentra sulla essenzialità della motivazione, definita sintetica.
22.2. Ed è qui appena il caso di ricordare, per l’importanza del principio, che l’essenza della sinteticità, prescritta dal codice di rito, non risiede nel numero delle pagine o delle righe in ogni pagina, ma nella proporzione tra la molteplicità e la complessità delle questioni dibattute e l’ampiezza dell’atto che le veicola, in quanto la sinteticità è «un concetto di relazione, che esprime una corretta proporzione tra due grandezze, la mole, da un lato, delle questioni da esaminare e, dall’altro, la consistenza dell’atto - ricorso, memoria o, infine, sentenza - chiamato ad esaminarle» (Cons. St., sez. III, 12 giugno 2015, n. 2900) ed è, si deve qui aggiungere, sul piano processuale un bene-mezzo, un valore strumentale rispetto al fine ultimo, e al valore superiore, della chiarezza e della intelligibilità della decisione nel suo percorso motivazionale.
23. Tutto ciò premesso, nel riproporre in questo grado di appello le censure già articolate avanti al Tribunale, gli odierni appellanti fanno precedere ad esse un’ampia premessa di ordine tecnico-scientifico (pp. 57-61 del ricorso) nella quale sostengono che il breve tempo di cui si sono potute giovare le case farmaceutiche per gli studi, la predisposizione e la sperimentazione delle soluzioni vaccinali per prevenire il virus Sars-CoV-2 non ha consentito di raggiungere quelle condizioni di sicurezza e di efficacia dei vaccini, che devono precedere e assistere ogni prestazione sanitaria imposta ai sensi dell’art. 32, comma secondo, Cost.
23.1. Le stesse case farmaceutiche produttrici dei vaccini, essi deducono, riconoscono infatti, da un lato, che non sono ancora note le potenzialità dei vaccini, quanto alla capacità di impedire la trasmissione del virus, la capacità di impedire la contrazione della malattia e la durata dell’efficacia preventiva, mentre, dall’altro lato, esse stesse ammettono che non sono ancora note le conseguenze, soprattutto a lungo termine, derivanti dalla somministrazione dei vaccini, come emerge dagli ampi stralci delle note informative, riportate nel ricorso, che, sostengono ancora gli appellanti, i pazienti sarebbero costretti ad accettare mediante la sottoscrizione del modulo di consenso informato.
23.2. Anche le Autorità preposte alla valutazione e all’approvazione dei farmaci, in sede europea e nazionale, al pari dei produttori dei vaccini, non sarebbero ancora in grado di stabilire quali siano l’effettiva efficacia e sicurezza dei vaccini medesimi.
23.3. Ciononostante, il legislatore avrebbe inteso prevedere un singolare obbligo vaccinale in danno degli operatori sanitari, costretti a sottoporsi ad uno dei quattro vaccini autorizzati in Italia senza avere la certezza della loro efficacia e sicurezza.
23.4. L’assoluta carenza di certezza in ordine alle garanzie di efficacia e sicurezza delle soluzioni vaccinali sarebbe dimostrata dal fatto che la loro immissione in commercio è stata autorizzata dall’EMA mediante il rilascio di autorizzazioni condizionate che, adottate in esito a procedere ben più snelle rispetto a quelle ordinarie, impongono di continuare il monitoraggio e gli studi in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini medesimi e necessitano di essere rinnovate periodicamente, proprio in ragione dei risultati che emergeranno dagli studi in fieri.
24. La tesi degli appellanti si fonda su due presupposti, il primo di ordine scientifico e il secondo di ordine giuridico, entrambi fallaci, che non possono essere condivisi dal Collegio.
25. Passando all’esame del primo, relativo alla presunta mancanza di efficacia o sicurezza nei vaccini, occorre ricordare qui in sintesi, stante la complessità del quadro regolatorio che disciplina a livello accentrato la materia, che la commercializzazione del vaccino, secondo la vigente normativa dell’Unione europea, passa attraverso una raccomandazione da parte della competente Agenzia europea per i medicinali (EMA), che valuta la sicurezza, l’efficacia e la qualità del vaccino, sulla cui base la Commissione europea può procedere ad autorizzare la commercializzazione nel mercato dell’Unione, dopo avere consultato gli Stati membri che debbono esprimersi favorevolmente a maggioranza qualificata.
25.1. La normativa dell’Unione – in particolare l’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione – prevede uno strumento normativo specifico per consentire la rapida messa a disposizione di medicinali, da utilizzare in situazioni di emergenza, poiché in tali situazioni la procedura di “immissione in commercio condizionata” (CMA, Conditional marketing authorisation) è specificamente concepita al fine di consentire una autorizzazione il più rapidamente possibile, non appena siano disponibili dati sufficienti, pur fornendo un solido quadro per la sicurezza, le garanzie e i controlli post-autorizzazione.
25.2. In questa procedura, occorre qui aggiungere compiendo uno sforzo di sintesi, chiarificazione e semplificazione da parte di questo Collegio attesa la natura densamente tecnica della materia, si ha una parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione clinica, che nella procedura ordinaria sono sequenziali, che prende il nome di “partial overlap” e che prevede l’avvio della fase successiva a poca distanza dall’avvio della fase precedente.
25.3. La leggera sfasatura nell’avvio delle fasi di sperimentazione riduce i rischi connessi ad una sovrapposizione delle fasi e accelera i normali tempi di svolgimento delle sperimentazioni, anche se fornisce dati meno completi rispetto alla procedura ordinaria di autorizzazione.
25.4. E tuttavia, si badi, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata non è una scorciatoia incerta e pericolosa escogitata ad hoc per fronteggiare irrazionalmente una emergenza sanitaria come quella attuale, ma una procedura di carattere generale, idonea ad essere applicata – e concretamente applicata negli anni passati, anche recenti, soprattutto in campo oncologico – anche al di fuori della situazione pandemica, a fronte di necessità contingenti (non a caso la lotta contro i tumori ne è il terreno elettivo), e costituisce una sottocategoria del procedimento inteso ad autorizzare l’immissione in commercio ordinaria perché viene rilasciata sulla base di dati che sono, sì, meno completi rispetto a quelli ordinari – cfr. 4° Considerando del Reg. CE 507/2006 – ma è appunto presidiata da particolari garanzie e condizionata a specifici obblighi in capo al richiedente.
25.5. Una volta adempiuti gli obblighi prescritti e forniti i dati mancanti, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata viene infatti convertita – ciò che diverse volte si è verificato in passato – in un’autorizzazione non condizionata.
25.6. Il bilanciamento, rispetto alla maggior completezza dei dati ottenuti nella procedura ordinaria di autorizzazione, è imposto e assicurato, nella previsione dell’art. 4 del Reg. (CE) n. 507/2006, da quattro rigorosi requisiti:
a) che il rapporto rischio/beneficio del medicinale risulti positivo;
b) che sia probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi;
c) che il medicinale risponda a specifiche esigenze mediche insoddisfatte;
d) che i benefici per la salute pubblica derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari.
26. Per quanto riguarda i vaccini contro la diffusione del virus Sars-CoV-2, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata segue, a giudizio della Commissione, un quadro solido e controllato e fornisce valide garanzie di un elevato livello di protezione dei cittadini nel corso della campagna vaccinale, costituendo una componente essenziale della strategia dell’Unione in materia di vaccini, garanzie che distinguono nettamente questa ipotesi dalla c.d. “autorizzazione all’uso d’emergenza”, istituto diverso che, in alcuni Paesi (come gli Stati Uniti e l’Inghilterra) non autorizza un vaccino, ma l’uso temporaneo, per ragioni di emergenza, di un vaccino non autorizzato.
26.1. Tutti gli Stati membri dell’Unione hanno formalmente sottoscritto la strategia sui vaccini proposta dalla Commissione e hanno convenuto sulla necessità di applicare la procedura di autorizzazione all’immissione in commercio condizionata attraverso l’EMA per i vaccini contro il Sars-CoV-2.
26.2. I quattro prodotti ad oggi utilizzati nella campagna vaccinale sono stati dunque regolarmente autorizzati dalla Commissione, previa raccomandazione dell’EMA, attraverso la procedura di autorizzazione condizionata (c.d. CMA, Conditional marketing authorisation), di cui si è accennato in sintesi, disciplinata dall’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione.
26.3. Si tratta di un’autorizzazione che può essere rilasciata anche in assenza di dati clinici completi, come si è detto, «a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari».
26.4. Il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sui profili di sicurezza del farmaco (nel sito dell’ISS, che richiama a sua volta quello dell’EMA, si ricorda «una autorizzazione condizionata garantisce che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi criteri Ue di sicurezza, efficacia e qualità, e che sia prodotto e controllato in stabilimenti approvati e certificati in linea con gli standard farmaceutici compatibili con una commercializzazione su larga scala») né comporta che la stessa debba essere considerata un minus dal punto di vista del valore giuridico, ma impone unicamente al titolare di «completare gli studi in corso o a condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischio/beneficio è favorevole».
26.5. La CMA è, peraltro, uno strumento collaudato e utilizzato già diverse volte prima dell’emergenza pandemica, come attesta il report disponibile sul sito istituzionale dell’EMA, relativo ai primi dieci anni di utilizzo della procedura, se si tiene presente che nel periodo di riferimento analizzato dal report – tra il 2006 e il 2016 – sono state concesse ben 30 autorizzazioni in forma condizionata, specialmente in ambito oncologico, nessuna delle quali successivamente ritirata per motivi di sicurezza, in quanto undici sono state convertite in autorizzazioni ordinarie, due ritirate per ragioni commerciali e le restanti diciassette sono rimaste ancora ad oggi autorizzazioni condizionate, essendo in corso il completamento dei dati.
27. Alla luce di queste necessarie, per quanto essenziali e sintetiche, premesse di carattere regolatorio-tecnico, che non concernono solo la normativa europea ma, per la intrinseca natura tecnica di questa, le stesse procedure di sperimentazione ammesse dalla comunità scientifica in base ai canoni fondamentali della c.d. medicina dell’evidenza (c.d. evidence based), soggette anche esse al controllo del giudice nazionale od europeo, a seconda dell’atto impugnato, nell’esercizio del sindacato sulla c.d. discrezionalità tecnica, si deve recisamente confutare e respingere l’affermazione secondo cui i vaccini contro il Sars-Cov-2 siano “sperimentali” – v., ad esempio, p. 80 del ricorso – come anche quella che mette radicalmente in dubbio la loro efficacia e/o la loro sicurezza, in quanto approvati senza un rigoroso processo di valutazione scientifica e di sperimentazione clinica che ne abbia preceduto l’ammissione.
27.1. Così non è, per tutte le ragioni di ordine scientifico esposte, perché la CMA è una procedura in cui la maggiore rapidità e la parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione – nel gergo medico: fast track/partial overlap – consentono di acquisire dati sufficientemente attendibili, secondo i parametri proprî della medicina dell’evidenza, in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei farmaci, come dimostra proprio l’ampio ricorso a questa stessa procedura – ben 30 volte – nel decennio tra il 2006 e il 2016 con apprezzabili risultati, poi confermati, e l’autorizzazione condizionata si colloca pur sempre a valle delle usuali fasi di sperimentazione clinica che precedono l’ordinaria immissione in commercio di qualsiasi farmaco, senza che per questo ne vengano sminuite la completezza e la qualità dell’iter di ricerca e di sperimentazione.
27.2. La circostanza che i dati acquisiti nella fase di sperimentazione siano parziali e provvisori, come taluno ha rilevato anche sulla base delle condizioni imposte dal Reg. CE 507/2006 della Commissione, in quanto suscettibili di revisione sulla base delle evidenze empiriche via via raccolte – sicché l’autorizzazione è, appunto, condizionata all’acquisizione di più completi dati acquisiti successivamente all’autorizzazione stessa che, non a caso, ha durata solo annuale – nulla toglie al rigore scientifico e all’attendibilità delle sperimentazioni che hanno preceduto l’autorizzazione, pur naturalmente bisognose, poi, di conferma mediante i cc.dd. «comprehensive data post-authorisation».
27.3. L’AIFA, nello studio pubblicato sul proprio sito, ha chiarito che «gli studi che hanno portato alla messa a punto dei vaccini COVID-19 non hanno saltato nessuna delle fasi di verifica dell’efficacia e della sicurezza previste per lo sviluppo di un medicinale, anzi, questi studi hanno visto la partecipazione di un numero assai elevato di volontari, circa dieci volte superiore a quello di studi analoghi a quello di studi analoghi per lo sviluppo di altri vaccini».
27.4. Questi studi si sono avvalsi, peraltro, anche delle ricerche già condotte in passato sulla tecnologia a RNA messaggero (mRNA) e degli studi sui coronavirus umani correlati al Sars-CoV-2, come per esempio quelli che hanno provocato SARS (Severe acute respiratory syndrome) e MERS (Middle East respiratory syndrome)
27.5. Sul piano dell’efficacia, per quanto concerne i vaccini contro il Sars-Cov-2, avuto proprio riguardo ai dati aggiornati e più completi successivi alle autorizzazioni condizionate di essi, si deve osservare, secondo quanto deducono anche le Aziende Sanitarie appellate nelle loro memorie, come emergano significative evidenze dall’ultimo bollettino sull’andamento dell’epidemia emesso dall’ISS, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, istituzionalmente investito – tra le altre – delle funzioni di ricerca e controllo in materia di salute pubblica (art. 1 del relativo Statuto, approvato con D.M. del 24 ottobre 2014).
27.6. Il documento cui si fa riferimento, attraverso l’istruttoria informale eseguita da questo Collegio, è liberamente consultabile online, in quanto pubblico, presso il sito internet dell’ente e considera i dati relativi a tutti i casi di infezione da virus SARS-CoV-2 registrati nel periodo 4 aprile – 31 agosto 2021, confermati tramite positività ai test molecolari e antigenici.
27.7. Esso conclude riconoscendo che «l’efficacia preventiva è dell'89% nei confronti di una diagnosi di COVID-19 a circa sette mesi dopo la seconda dose» e che «per quanto riguarda i ricoveri in ospedale e i ricoveri in TI successivi a diagnosi di COVID-19 si è osservata una efficacia preventiva del 96% e nei confronti dei decessi del 99% a circa sei mesi dalla seconda dose».
27.8. Questo Collegio, con gli ovvi limiti del sindacato che spetta al giudice amministrativo sugli atti adottati dalle autorità e dagli enti sanitari nazionali nell’esercizio della loro discrezionalità tecnica (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 10 dicembre 2020, ord. n. 7097 nonché, più di recente, Cons. St., sez. III, 9 luglio 2021, n. 5212), deve perciò rilevare che, sulla base non solo degli studi – trials – condotti in fase di sperimentazione, ma anche dell’evidenza dei dati ormai imponenti acquisiti successivamente all’avvio della campagna vaccinale ed oggetto di costante aggiornamento e studio in sede di monitoraggio, che – contrariamente a quanto sostengono gli appellanti – la profilassi vaccinale è efficace nell’evitare non solo la malattia, per lo più totalmente o, comunque, nelle sue forme più gravi, ma anche il contagio.
27.9. Sempre nei limiti del sindacato qui consentito sull’attendibilità razionale degli studi e dei dati acquisiti si deve solo qui aggiungere, quanto al dubbio sollevato dagli appellanti in ordine alla capacità di evitare i contagi e, quindi, in termine di prevenzione della trasmissibilità della malattia da parte dei soggetti vaccinati, anche nella più recente ed estremamente contagiosa forma della variante “delta”, che la posizione della comunità scientifica internazionale, alla luce delle ricerche più recenti, è nel senso che la fase di eliminazione virale nasofaringea, nel gruppo dei vaccinati, è tanto breve da apparire quasi impercettibile, con sostanziale esclusione di qualsivoglia patogenicità nei vaccinati.
28. In punto di sicurezza, quanto all’inesistenza, per chi è sottoposto al trattamento, di conseguenze negative le quali vadano oltre la normalità e la tollerabilità, si deve muovere anzitutto dal presupposto scientifico di ordine generale secondo cui il vaccino, come tutti i farmaci, non può essere considerato del tutto esente da rischi.
28.1. Il giudizio in questione deve dunque vertere, propriamente, sui profili di sicurezza dei quattro vaccini contro il Sars-CoV-2 disponibili sul mercato e, correttamente ed esclusivamente, sul favorevole rapporto costi/benefici della loro somministrazione su larga scala.
28.2. Il monitoraggio costante di questi aspetti compete al sistema di farmacovigilanza, cui è preposta l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), che raccoglie e valuta tutte le segnalazioni di eventi avversi.
28.3. Quanto, in particolare, alla farmacovigilanza sui vaccini contro il Sars-CoV-2, l’ultimo rapporto ad oggi disponibile (il nono, pubblicato il 12 ottobre 2021 sul sito dell’AIFA, la quale ha preannunciato che l’aggiornamento del monitoraggio, di qui in avanti, sarà trimestrale), espone i dati aggiornati al 26 settembre 2021 e ricavati dalla somministrazione di 84.010.605 dosi di vaccino in Italia.
28.4. Gli eventi avversi – e, cioè, gli episodi sfavorevoli verificatisi dopo la somministrazione, a prescindere dalla riconducibilità alla stessa dal punto di vista causale – sono stati 101.110, con un tasso di segnalazione – misura del rapporto fra il numero di segnalazioni inserite nel sistema di farmacovigilanza e numero di dosi somministrate – pari a 120 ogni 100.000 dosi.
28.5. Di queste, solo il 14,4% ha avuto riguardo ad eventi gravi, con la precisazione che ricadono in tale categoria, definita in base a criteri standard, conseguenze talvolta non coincidenti con la reale gravità clinica dell’evento, mentre l’85,4% si riferisce a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari.
28.6. Di tutte le segnalazioni gravi (17 ogni 100.000 dosi somministrate) solo il 43% di quelle esaminate finora è risultata correlabile alla vaccinazione.
28.7. Si tratta di dati comparabili a quelli emersi in esito all’attività di farmacovigilanza condotta sugli altri vaccini esistenti (alcuni dei quali già oggetto di somministrazione obbligatoria ai sensi del d.l. n. 73 del 2017), che sono parimenti consultabili sul sito dell’AIFA, nello specifico rapporto pubblicato.
29. Quanto sin qui si è esposto, in estrema sintesi, conferma che le terapie vaccinali regolarmente approvate, nei termini di cui si è detto, e in uso attualmente in Italia, come in Europa e nel resto del mondo (ove, tra l’altro, alcuni vaccini sono stati approvati in via definitiva: negli Stati Uniti la FDA, la Food and drug administration, istituzione che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici, ad esempio, ha approvato in via definitiva il 23 agosto 2021 il vaccino Comirnaty per le persone di età maggiore a 16), presentano per i soggetti ai quali sono inoculate un rapporto rischio/beneficio favorevole che, allo stato delle conoscenze scientifiche, delle sperimentazioni eseguite, degli studi clinici e dei dati disponibili, non è dissimile da quella dei vaccini tradizionali, alcuni delle quali rese obbligatorie, come noto, dal d.l. n. 73 del 2017, sulla cui legittimità costituzionale, come si dirà tra breve, si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018.
29.1. Le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il SARS-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica.
29.2. I dati relativi alla drastica riduzione di contagi, ricoveri e decessi, ad oggi disponibili e resi di pubblico dominio dalle istituzioni e dagli enti sanitari, dimostrano sul piano epidemiologico che la vaccinazione – unitamente alle altre misure di contenimento – si sta dimostrando efficace, su larga scala, nel contenere il contagio e nel ridurre i decessi o i sintomi gravi.
30. Anche l’altro presupposto da cui muovono gli appellanti, quello di ordine schiettamente giuridico, è privo di fondamento.
30.1. Nell’odierna situazione emergenziale, almeno fino al 31 dicembre 2021, le misure per il contenimento del contagio richiedono alle autorità sanitarie un intervento pronto e risoluto, ispirato alla c.d. amministrazione precauzionale, la quale deve necessariamente misurarsi con quello che, in dottrina, è stato definito il c.d. ignoto irriducibile, in quanto ad oggi non si dispone di tutti i dati completi per valutare compiutamente il rapporto rischio/beneficio nel lungo periodo, per ovvi motivi, e questa componente, appunto, di ignoto irriducibile, pur con il massimo – ed encomiabile – sforzo profuso dalla ricerca scientifica, reca con sé l’impossibilità di ricondurre una certa situazione fattuale, interamente, entro una logica di previsione ex ante fondata su elementi di incontrovertibile certezza.
30.2. Per i tempi necessari alla sperimentazione, di fronte all’esigenza immediata di intervento, la scienza ad oggi non è ovviamente in grado di fornire certezze assolute circa la totale assenza di rischi anche a lungo termine connessa all’assunzione dei vaccini, ma il legislatore, in una situazione pandemica che vede il diffondersi di un virus a trasmissione aerea, altamente contagioso e spesso letale per i soggetti più vulnerabili per via di malattie pregresse – si pensi ai pazienti cardiopatici, diabetici od oncologici – e dell’età avanzata, ha il dovere di promuovere e, se necessario, imporre la somministrazione dell’unica terapia – quella profilattica – in grado di prevenire la malattia o, quantomeno, di scongiurarne i sintomi più gravi e di arrestare o limitarne fortemente il contagio.
30.3. L’autorizzazione condizionata dei quattro vaccini, come si è detto, fornisce sufficienti garanzie circa la loro efficacia e sicurezza, sulla base degli studi eseguiti e delle conoscenze acquisite, e si struttura sul modello della c.d. amministrazione precauzionale riflessiva, in quanto caratterizzata dalla flessibilità dell’azione pubblica e dalla capacità di incorporare la mutevole contingenza, nell’ottica di una continua ridefinizione degli obiettivi e di un continuo monitoraggio.
30.4. La riserva di scienza, alla quale il decisore pubblico sia livello normativo che amministrativo deve fare necessario riferimento nell’adottare le misure sanitarie atte a fronteggiare l’emergenza epidemiologica, lascia a questo, per l’inevitabile margine di incertezza che contraddistingue anche il sapere scientifico nella costruzione di verità acquisibili solo nel tempo, a costo di severi studi e di rigorose sperimentazioni e sottoposte al criterio di verificazione-falsificazione, un innegabile spazio di discrezionalità nel bilanciamento tra i valori in gioco, la libera autodeterminazione del singolo, da un lato, e la necessità di preservare la salute pubblica e con essa la salute dei soggetti più vulnerabili, dall’altro, una discrezionalità che deve essere senza dubbio usata in modo ragionevole e proporzionato e, in quanto tale, soggetta nel nostro ordinamento a livello normativo al sindacato di legittimità del giudice delle leggi e a livello amministrativo a quello del giudice amministrativo.
30.5. E tuttavia l’argomento degli appellanti, secondo cui, in assenza di una certezza assoluta offerta dalla scienza circa la sicurezza dei vaccini anche nel lungo periodo il legislatore dovrebbe lasciare sempre e comunque l’individuo libero di scegliere se accettare o meno il trattamento sanitario e, dunque, di ammalarsi e contagiare gli altri, prova troppo ed è errato, già sul piano epistemologico, perché, così ragionando, l’utilizzo obbligato di una nuova terapia, in una fase emergenziale che vede il crescere esponenziale di contagi e morti, dovrebbe attendere irragionevolmente un tempo lunghissimo e, potenzialmente, indefinito per tutte le possibili sperimentazioni cliniche necessarie a scongiurare il rischio, anche remoto (o immaginabile e persino immaginario) di tutti i possibili eventi avversi, tempo nel quale, intanto, la malattia continuerebbe incontrastata a mietere vittime senza alcuna possibilità di una cura che, seppure sulla base di dati non ancora completi, ha mostrato molti più benefici che rischi per la collettività.
30.6. Sarebbe, tuttavia, questa una conseguenza paradossale che, nel rivendicare la sicurezza ad ogni costo, e con ogni mezzo, della cura imposta dal legislatore a beneficio di tutti, ne negherebbe però in radice ogni possibilità, paralizzando l’intervento benefico, per non dire salvifico, della legge o dell’amministrazione sanitaria contro il contagio di moltissime persone, perché, come ha osservato la Corte costituzionale – in riferimento alla normativa che introduceva la vaccinazione obbligatoria contro l’epatite virale di tipo B, impugnata anche per la omessa previsione di accertamenti preventivi idonei quantomeno a ridurre il rischio, pur percentualmente modesto, di lesioni all’integrità psicofisica per le complicanze del vaccino – «la prescrizione indeterminata e generalizzata di tutti gli accertamenti preventivi possibili, per tutte le complicanze ipotizzabili e nei confronti di tutte le persone da assoggettare a tutte le vaccinazioni oggi obbligatorie» renderebbe «di fatto impossibile o estremamente complicata e difficoltosa la concreta realizzabilità dei corrispondenti trattamenti sanitari» (Corte cost., 23 giugno 1994, n. 258).
30.7. In fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario e, per così dire, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata, che però ha seguito – va ribadito – tutte le quattro fasi della sperimentazione richieste dalla procedura di autorizzazione), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco.
30.8. E ciò non perché, come afferma chi enfatizza e assolutizza l’affermazione di un giusto valore concepito però come astratto bene, la persona receda a mezzo rispetto ad un fine o, peggio, ad oggetto di sperimentazione, in contrasto con il fondamentale principio personalista, a fondamento della nostra Costituzione, che vede nella persona sempre un fine e un valore in sé, quale soggetto e giammai oggetto di cura, ma perché si tutelano in questo modo tutti e ciascuno, anzitutto e soprattutto le più vulnerabili ed esposte al rischio di malattia grave e di morte, da un concreto male, nella sua spaventosa e collettiva dinamica di contagio diffuso e letale, in nome dell’altrettanto fondamentale principio di solidarietà, che pure sta a fondamento della nostra Costituzione (art. 2), la quale riconosce libertà, ma nel contempo richiede responsabilità all’individuo.
30.9. E in un ordinamento democratico la legge non è mai diritto dei meno vulnerabili o degli invulnerabili, o di quanti si affermino tali e, dunque, intangibili anche in nome delle più alte idealità etiche o di visioni filosofiche e religiose, ma tutela dei più vulnerabili, dovendosi rammentare che la solidarietà è «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dalla Costituzione» (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75).
31. Il margine di incertezza dovuto al c.d. ignoto irriducibile che la legge deve fronteggiare in un’emergenza pandemica tanto grave, per tutte le ragioni esposte, non può dunque giustificare, né sul piano scientifico né sul piano giuridico, il fenomeno della esitazione vaccinale, ben noto anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio nei medici e nel personale sanitario.
31.1. La vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per il personale medico e, più in generale, di interesse sanitario risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il già richiamato principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il pure richiamato principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza.
31.2. La ratio di questa specifica previsione si rinviene non solo nelle premesse del d.l. n. 44 del 2021, laddove si evidenzia «la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette al contenimento dell’epidemia e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica, con riferimento soprattutto alle categorie più fragili, anche alla luce dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche acquisite per fronteggiare l’epidemia da COVID-19 e degli impegni assunti, anche in sede internazionale, in termini di profilassi e di copertura vaccinale», ma nello stesso testo normativo dell’art. 4, quando nel comma 4 richiama espressamente il «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» o precisa ancora, nel comma 6, che «l’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».
31.3. La previsione interseca non solo il più generale e grave problema della sicurezza nei luoghi di lavoro a tutela dei lavoratori, disciplinata dal d. lgs. n. 81 del 2008, ma anche – e ciò rileva particolarmente in questo giudizio – il principio di sicurezza delle cure, enunciato tra l’altro dalla l. n. 24 del 2017 (c.d. legge Gelli-Bianco), laddove, nell’art. 1, comma 1, afferma solennemente il principio secondo cui la sicurezza delle cure è «parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività».
31.4. La sicurezza delle cure, precisa il comma 2, si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative.
31.5. Aggiunge il comma 3 del richiamato art. 1 che le attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
31.6. Ora proprio in ragione di questo generale principio, che precede l’attuale emergenza epidemiologica ed implica la sicurezza anche di chi cura e del luogo di cura oltre che del come si cura, è lecito attendersi dal paziente bisognoso di cura e assistenza, che si rechi in una struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, ed è doveroso per l’ordinamento pretendere che il personale medico od infermieristico non diventi esso stesso veicolo di contagio, pur sussistendo un rimedio, efficace e sicuro, per prevenire questo rischio connesso all’erogazione della prestazione sanitaria.
31.7. Sarebbe – e in taluni casi verificatisi in Italia a vaccinazione già avviata, purtroppo, è stato – un macabro paradosso quello per i quali pazienti gravemente malati o anziani, ricoverati in strutture ospedaliere o in quelle residenziali, socio-assistenziali o socio-sanitarie (al cui personale lavorativo anche esterno, opportunamente, il recente art. 2, comma 1, del d.l. n. 122 del 10 settembre 2021 ha infatti esteso l’obbligo vaccinale, inserendo nel d.l. n. 44 del 2021 l’art. 4-bis), contraessero il virus, con effetti letali per essi, proprio nella struttura deputata alla loro cura e per causa del personale deputato alla loro cura, refrattario alla vaccinazione.
31.8. Una simile evenienza, che il legislatore ha voluto scongiurare introducendo, come si è detto, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, costituirebbe (ed ha costituito) un grave tradimento di quella «relazione di cura e fiducia tra paziente e medico» e, più in generale, tra paziente e gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria, un ripudio dei valori più essenziali che la medicina deve perseguire e l’ordinamento deve difendere, a cominciare dalla solidarietà, concetto, questo, spesso dimenticato, come taluno ha osservato, in una prospettiva esasperatamente protesa solo a rivendicare diritti incomprimibili.
31.9. Tale relazione di cura e di fiducia, secondo l’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017, è il fulcro della prestazione sanitaria e si fonda sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico, responsabilità non secondaria né trascurabile nella tutela del paziente che viene a contatto con lo stesso medico e il personale sanitario.
32. Nel dovere di cura, che incombe al personale sanitario, rientra anche il dovere di tutelare il paziente, che ha fiducia nella sicurezza non solo della cura, ma anche nella sicurezza – qui da intendersi come non contagiosità o non patogenicità – di chi cura e del luogo in cui si cura, e questo essenziale obbligo di protezione di sé e dell’altro, connesso al dovere di cura e alla relazione di fiducia, non può lasciare il passo, evidentemente, a visioni individualistiche ed egoistiche, non giustificate in nessun modo sul piano scientifico, del singolo medico che, a fronte della minaccia pandemica, rivendichi la propria autonomia decisionale a non curarsi.
33. Questa scelta, che sarebbe in una condizione di normalità sanitaria del tutto legittima perché espressione della libera autodeterminazione e del consenso informato, di cui alla l. n. 219 del 2017, appena richiamato, costituisce nel contesto emergenziale in atto un rischio inaccettabile per l’ordinamento perché mette a repentaglio la salute e la vita stessa di altri – le persone più fragili, anzitutto – che, di fronte all’elevata contagiosità della malattia, potrebbero subirne e ne hanno subito le conseguenze in termini di gravità o addirittura mortalità della malattia.
34. Nel bilanciamento tra i due valori, quello dell’autodeterminazione individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale sanitario, non vi è dunque legittimo spazio né diritto di cittadinanza in questa fase di emergenza contro il virus Sars-CoV-2 per la c.d. esitazione vaccinale.
35. L’obbligatorietà della vaccinazione è una questione più generale che, oltre ad implicare un delicato bilanciamento tra fondamentali valori, quello dell’autodeterminazione e quello della salute quale interesse della collettività anzitutto secondo una declinazione solidaristica, investe lo stesso rapporto tra la scienza e il diritto, come è ovvio che sia, e ancora più al fondo il rapporto tra la conoscenza – e, dunque, l’informazione e il suo contrario, la disinformazione – e la democrazia.
32.3. In un ordinamento democratico, come ha rilevato anche di recente la Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 sulle vaccinazioni obbligatorie (re)introdotte dal d.l. n. 73 del 2017, rientra nella discrezionalità del legislatore prevedere la raccomandazione dei vaccini o l’obbligatorietà di questi e la scelta tra la tecnica della persuasione e, invece, quella dell’obbligo dipende dal grado di efficacia persuasiva con il quale il legislatore, sulla base delle acquisizioni scientifiche più avanzate ed attendibili, riesce a sensibilizzare i cittadini in ordine alla necessità di vaccinarsi per il bene proprio e, insieme, dell’intera società.
32.4. La Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza (v., tra tutte, proprio la sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018, ma anche la sentenza n. 258 del 23 giugno 1994, già richiamata, e la sentenza n. 307 del 22 giugno 1990), ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.
32.5. Tutte queste condizioni, come si dirà meglio nell’esame delle singole questioni di costituzionalità proposte dagli appellanti, sono rispettate dalla vaccinazione obbligatoria ora introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021.
32.6. I valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono certo molteplici e il contemperamento di questi molteplici principî lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo, al fine di raggiungere, mediante la vaccinazione di massa, l’obiettivo della c.d. immunità di gregge.
32.7. Questa discrezionalità, ha chiarito peraltro la Corte, deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 14 dicembre 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così la giurisprudenza costante della stessa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002), secondo quel modello, di cui si è detto, dell’amministrazione precauzionale c.d. riflessiva, dal carattere adattivo e flessibile e in base alla riserva di scienza.
33. La storia delle vaccinazioni obbligatorie in Italia mostra come, per ragioni complesse, il pendolo legislativo abbia oscillato tra la raccomandazione e l’obbligo, anche a fronte del crescente fenomeno della c.d. esitazione vaccinale (vaccine hesitancy), fenomeno manifestatosi fin sin dall’introduzione, nel Settecento, delle prime terapie vaccinali contro il vaiolo ed oggetto di studio, ormai da anni, da parte del gruppo di esperti Sage (Strategic Advisory Group of Experts on Immunization) nominato nel 2012 dall’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità.
33.1. In Italia questo fenomeno, diffuso come nel resto dell’Occidente, ha fatto registrare una forte riduzione delle vaccinazioni obbligatorie e ha aperto così le porte ad estese epidemie di morbillo, facendo precipitare l’Italia nel 2013 ben al di sotto della soglia di sicurezza raccomandata dall’OMS nel 95%, e solo l’intervento del d.l. n. 73 del 2017 ha poi portato ad un aumento della copertura non solo per la vaccinazione anti morbillo-parotite-rosolia, ma anche per i vaccini non obbligatori e per tutti i gruppi di età.
33.2. La trasparenza delle informazioni scientifiche, le campagne di sensibilizzazione, le “spinte gentili” – c.d. nudge – alla vaccinazione, mediante un sistema di incentivi o disincentivi, come mostra il recente indirizzo dell’economia comportamentale, sono tutti elementi di sicuro impatto, e spesso di forte incidenza anche sulle libertà costituzionalmente garantite, che tuttavia concorrono a favorire il consenso informato nei singoli nelle decisioni sanitarie e, insieme, il formarsi di una coscienza collettiva favorevoli alla necessità di vaccinarsi e di una profilassi generalizzata contro malattie altamente contagiose e non di rado mortali, creando nei cittadini fiducia (c.d. confidence) nella sicurezza e nell’efficacia dei vaccini.
33.3. La formazione del consenso informato in ciascuno e l’adesione convinta dei più alla vaccinazione, sulla base delle informazioni rese disponibili dalla comunità scientifica e all’esito di un serena valutazione circa il rapporto tra rischi e benefici della vaccinazione all’interno della comunità e delle istituzioni democratiche, costituiscono certo la soluzione migliore e preferibile per combattere la malattia perché esaltano, da un lato, il ruolo di una scienza non richiusa in sé, nell’idolatria di un elitario scientismo, ma aperta al dibattito civile e partecipe al progresso morale e materiale dell’intera società e, dall’altro, valorizzano il fondamentale ruolo dell’autodeterminazione in sintonia, e non già in conflitto, con il principio di solidarietà.
34. Sotto questo profilo «la luce della trasparenza», tanto nelle acquisizioni scientifiche degli esperti quanto nei processi decisionali del legislatore (o dell’amministrazione), «feconda il seme della conoscenza tra i cittadini», come ha ricordato in via generale la recente pronuncia dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio (Cons. St., Ad. plen., 10 aprile 2020, n. 10), stroncando il diffondersi di pseudoconoscenze o, addirittura, di credenze irrazionali e, perciò, indimostrabili ma al tempo stesso infalsificabili, e contribuisce al rafforzamento, in modo pieno e maturo, dei diritti fondamentali nel loro esercizio ponderato e responsabile.
34.1. Il consenso informato, che ha un’essenziale funzione di sintesi tra l’autodeterminazione e il diritto alla salute (v., in questo senso, Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 438 e Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n.4460, ma si consideri ora anche la già ricordata, e basilare, previsione dell’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017), è e dovrebbe essere la dimensione fisiologica e privilegiata, l’orizzonte normale e consueto entro il quale dovrebbe iscriversi qualsiasi campagna vaccinale, anche quella in corso contro il Sars-CoV-2, e dovrebbe condurre ad un atteggiamento, consapevole e responsabile, di adesione volontaria alla campagna vaccinale a beneficio di tutti e di ciascuno.
34.2. L’elevatissima adesione volontaria alle vaccinazioni in Italia, al di là delle motivazioni dei singoli, lascia intravedere che tra i cittadini questo esercizio ponderato e responsabile della loro autonomia decisionale sulla base del consenso informato, mediante lo strumento della persuasione nelle sue più varie forme, non ha costituito un obiettivo irraggiungibile, ma tangibile, e nondimeno rispetto alle vaccinazioni contro la diffusione del Sars-CoV-2, come per le altre vaccinazioni nel più recente passato, si è registrato quel fenomeno tipico delle contemporanee societés de la défiance, le società del sospetto, in cui i cittadini sembrerebbero o si sentirebbero “condannati”, come taluno ha detto, a “fidarsi della scienza”.
34.3. La c.d. esitazione vaccinale ha un genesi multifattoriale, comprende i più vari atteggiamenti ideologici, culturali, religiosi, filosofici, ma non di rado è il frutto, da un lato, di una irrazionale sfiducia nei confronti della scienza e, più in generale, dei “tecnici”, portatori di un sapere specialistico, avvertiti come titolari di un potere ritenuto inaccessibile e, in quanto tale, elitario ed antidemocratico (“nam et ipsa scientia potestas est”, “sapere è potere”, secondo l’antica massima baconiana), con il rifiuto di un sapere-potere “costituito” e la ricerca di conoscenze altre, alternative, nascoste ai più, e, dall’altro, anche il portato di una visione icasticamente definita “onnivora” dell’autodeterminazione, assoluta e solipstica, insofferente di vincoli ed obblighi che contemplino la visione più vasta dell’intero ordinamento e degli altri individui, secondo, invece, una fondamentale e doverosa declinazione solidaristica.
34.4. Non è possibile indagare e indugiare sulla complessità di questo fenomeno se non per rimarcare, in questa sede e ai fini che qui rilevano, che il superamento dell’esitazione vaccinale proprio in alcuni operatori sanitari, mediante lo strumento della persuasione, avrebbe richiesto tempi, modi e mezzi, di fronte all’emergenza epidemiologica in atto e all’assenza di terapie sicure ed efficacia al di là dei vaccini, che solo l’introduzione di un obbligo vaccinale poteva fronteggiare nelle strutture sanitarie obbligate ad assicurare anche e anzitutto la sicurezza delle cure, tutelando la salute dello stesso personale sanitario, impegnato in prima linea nella lotta contro la nuova malattia, e quella dei pazienti e delle persone più fragili e, in generale, della collettività dalla rapida diffusione del contagio ed evitando quelle situazioni gravi, paradossali e irreversibili, di cui si è detto, nondimeno verificatesi con numerosi contagi e decessi in diverse strutture sanitarie e residenziali proprio per la resistenza immotivata alla vaccinazione da parte del personale sanitario.
34.5. Questo Consiglio di Stato, nel quadro dei valori costituzionali, ha sempre rifiutato una concezione autoritaria e impositiva della cura, calata dall’alto e imposta alla singola persona (v., in questo senso, Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460), e ha sempre rimarcato e difeso la sfera inviolabile della persona nell’autodeterminazione terapeutica, poiché il fine, ma anche il limite di ogni trattamento sanitario, anche obbligatorio, è sempre il «rispetto della persona umana», come prevede il secondo periodo del secondo comma dell’art. 32 Cost., con una previsione di chiusura che illumina il senso del complesso, e complessivo, equilibrio sul quale poggia la salute, quale situazione giuridica soggettiva “ancipite”, bifronte, diritto fondamentale del singolo e, insieme, interesse della collettività.
34.6. Ma dall’altro lato questo Consiglio di Stato ha messo in guardia, nel riconoscere la legittimità, a date condizioni (di cui si è detto), dell’intervento autoritativo nella forma del c.d. biopotere, a tutela della salute pubblica quale interesse della collettività, e con esso le vaccinazioni obbligatorie fra i trattamenti sanitari imposti ai sensi dell’art. 32, comma secondo Cost., da una visione opposta, assolutizzante, unidirezionale e riduttivistica, altrettanto contraria alla Costituzione, del diritto alla salute come appannaggio esclusivo dell’individuo, insensibile al benessere della collettività e al già richiamato principio della solidarietà a tutela dei più fragili (v., in particolare, il parere n. 2065 del 26 settembre 2017 della Commissione speciale di questo Consiglio sulle vaccinazioni introdotte dal d.l. n. 73 del 2017).
35. È nel quadro di queste preliminari, indispensabili, considerazioni di sistema, dunque, che si può passare all’esame delle dieci censure qui riproposte dagli odierni appellanti, censure, come ora si dirà in sintesi, tutte infondate.
36. Con la prima censura (pp. 61-65 del ricorso), anzitutto, gli odierni appellanti lamentano che l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, nel prevedere la vaccinazione obbligatoria con le drastiche conseguenze sanzionatorie ivi configurate nel comma 6, in caso di ingiustificata sottrazione all’obbligo, sull’esercizio della professione e sulla percezione del compenso, violerebbe quanto stabilito dall’art. 3 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, secondo cui «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» e nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità stabilite dalla legge.
36.1. Parimenti sarebbe violato l’art. 52 della Carta che, nel consentire, nel rispetto del principio di proporzionalità, limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, prescrive che tali limitazioni siano previste dalla legge e rispettino, comunque, il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà tutelati dalla Carta e comunque, nel par. 3, prevede che «laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono eguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione».
36.2. La violazione della Carta sarebbe evidente anche sotto tale ultimo profilo perché l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nel sancire il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, vieta ogni ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui, mentre la giurisprudenza della Corte EDU sarebbe costante nell’affermare che la vaccinazione obbligatoria costituisce una intromissione non consentita nella vita familiare e privata.
36.3. Nel caso in esame, l’obbligo vaccinale imposto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 contrasterebbe con il diritto dell’Unione e con quello convenzionale, così come declinato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, imponendo un eccessivo sacrificio con il diritto alla salute del singolo, costretto a subire danni e rischi non predeterminati, addirittura ignoti, e con riferimento a quelli noti sicuramente gravi e irreversibili, tanti da giungere fino alla morte.
36.4. Lo stesso Consiglio d’Europa, con la risoluzione dell’Assemblea parlamentare del 27 gennaio 2021, ha fortemente esortato gli Stati membri e l’Unione europea «to ensure that citizens are informated that the vaccination is not mandatory and that no one is under political, social or other pressure to be vaccinated if they do not wish to do so».
36.5. Gli appellanti chiedono pertanto che il giudice, stante il chiaro contrasto dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 con il diritto dell’Unione nei sensi appena chiariti, disapplichi la normativa nazionale e, con essa, gli illegittimi provvedimenti qui contestati.
36.6 Vi è ragione anzitutto di dubitare che l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione sia applicabile in una materia come questa, inerente all’intervento sanitario delle autorità nazionali e, nello specifico, alle vaccinazioni obbligatorie, che non rientra propriamente ed «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione», come prevede l’art. 51 della Carta stessa nel fissare i limiti della propria applicazione, ma è riservata alla discrezionalità dei singoli Stati seppure nel coordinamento, quanto alla profilassi internazionale (art. 117, comma secondo, lett. q), Cost.), con il diritto e le istituzioni dell’Unione per l’uniforme attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale – v., sul punto, Corte cost., 12 marzo 2021, n. 37 – perché tanto la Corte di Giustizia UE – v., ex plurimis, Corte di Giustizia UE, 5 ottobre 2010, in C-400/10 ed ead., 28 novembre 2019, in C-653/19 – quanto la Corte costituzionale – v., ex plurimis, la sentenza dell’11 marzo 2011, n. 80 – hanno più volte ribadito che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione può essere invocata come parametro di costituzionalità soltanto nel caso in cui la fattispecie, oggetto di legislazione interna, sia disciplinata da una norma del diritto europeo diversa da quelle della Carta e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto.
36.7. Per altro verso la qui invocata disapplicazione della norma nazionale, del resto, si scontrerebbe, nell’ipotesi – quod non est – di antinomia rispetto alla Carta, con la impossibilità, per il giudice nazionale, di disapplicare la normativa nazionale contrastante con la Carta dei diritti fondamentali per il costante l’orientamento della Corte costituzionale, che afferma invece la necessità di rimettere la questione alla stessa Corte nell’ipotesi in cui il contrasto investa il rapporto tra normativa nazionale e la Carta, evitando un controllo di costituzionalità diffuso, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla Carta dei diritti «siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali» (Corte cost., 20 dicembre 2017, n. 269 nonché, più di recente, Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20).
36.7. Anche prescindendo da questi preliminari rilievi variamente evidenziati nelle loro difese dalle Aziende Sanitarie appellate, e venendo al merito della censura, si deve rilevare che la sicurezza e l’efficacia dei vaccini in uso, giova ripeterlo ancora una volta, sono state accertate in sede di autorizzazione condizionata, all’esito di rigorose procedure rispettose di tutti gli standard di ricerca e di sperimentazione condivisi dalla comunità scientifica internazionale, e non vi è ragione alcuna né gli appellanti hanno addotto, con la genericità delle loro deduzioni, validi e documentati argomenti confutativi per ritenere che il sacrificio imposto ad essi, con la vaccinazione obbligatoria, sia eccessivo, sproporzionato, nella doverosa valutazione scientifica del rapporto tra rischi e benefici e, comunque, che questo rischio, per quanto sconti, come si è più volte precisato, un margine di c.d. ignoto irriducibile (insito, nel resto, nell’utilizzo di un qualsivoglia farmaco), non rientri nella media, tollerabile, degli eventi avversi già registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni.
37. È fuor di luogo – al di là della impossibilità, per il giudice nazionale, di disapplicare direttamente una norma nazionale contrastante con la Convenzione – anche il richiamo all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto l’art. 8 della Convenzione, contrariamente a quanto assumono gli appellanti, consente invece l’ingerenza pubblica nella sfera privata e familiare a precise rigorose condizioni, fissate dalla più recente giurisprudenza della Corte EDU intervenuta proprio in materia di vaccinazioni obbligatorie, e che sono ampiamente rispettate, a giudizio del Collegio, nel caso di specie, in quanto essa persegue una finalità di un interesse pubblico, il contenimento del contagio, per la tutela della società democratica, a tutela dei soggetti più fragili, di fronte ad una pandemia di carattere globale e alla minaccia di un virus a trasmissione aerea particolarmente pericoloso per i soggetti più vulnerabili, affetti già da altre malattie o anziani, mediante la somministrazione di un vaccino sulla cui efficacia e sicurezza si registra il general consensus della comunità scientifica.
37.1. A questo riguardo si deve ricordare che proprio la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella recente e significativa sentenza Vavřička e altri c. Repubblica Ceca dell’8 aprile 2021 emessa dalla Grande Camera in ric. n. 47621/13, n. 3867/14, n. 73094/14, n. 19306/15, n. 19298/15 e n. 43883/1, ha ritenuto che le nove vaccinazioni obbligatorie introdotte nella Repubblica Ceca – in quel caso a tutela dei minori– possono costituire, ai sensi dell’art. 8 della CEDU, una legittima interferenza nel diritto al rispetto della vita privata quando vi sia una base legale, uno scopo legittimo ed esse siano necessarie in una società democratica per garantire, tra l’altro, il principio di solidarietà, che consiste nell’esigenza di proteggere tutti i membri della società e, in particolare, quelli che sono più vulnerabili, a tutela dei quali si chiede al resto della popolazione di assumersi un “minimo rischio” sotto forma di vaccinazione (v., in particolare, §§ 279 e 306 della sentenza).
37.2. La Corte afferma che l’ingerenza nella vita privata, che l’obbligo vaccinale sicuramente realizza, può giustificarsi ove – oltre ad essere previsto per legge – persegua un obiettivo legittimo (legitimate aim) ai sensi della Convenzione, senz’altro rinvenibile nella protezione della salute collettiva e in particolare di quella di chi si trovi in stato di particolare vulnerabilità (§ 272).
37.3. Quanto al requisito costituito della necessità della misura in una società democratica (necessity in a democratic society), da valutarsi in concreto accertando l’esistenza di un pressante bisogno sociale (pressing social need), di ragioni rilevanti e sufficienti a supporto della scelta (relevant and sufficient reasons) e del rispetto del principio di proporzionalità (proportionality), la Corte giunge a conclusioni ugualmente positive.
37.4. Il bisogno sociale deriva dalla consapevolezza che la vaccinazione infantile è una misura chiave nelle politiche di salute pubblica (§ 281); la rilevanza e sufficienza delle ragioni è affermata in considerazione della rispondenza della vaccinazione obbligatoria al miglior interesse, nel caso esaminato dalla Corte, dei bambini (§ 288); infine, la proporzionalità, è garantita – oltre che dalle garanzie specifiche del procedimento che presiede alla somministrazione – dalla riconosciuta efficacia e sicurezza dei vaccini, a condizione che ciascuna somministrazione sia preceduta da un’anamnesi individuale e sia previsto un meccanismo compensativo per gli eventuali danni.
37.5. Di particolare rilievo e interesse è il passaggio della sentenza – v., in particolare, § 300 – in cui la Corte giustifica la scelta della Repubblica Ceca di rendere obbligatori taluni vaccini alla luce del general consensus della comunità scientifica sull’efficacia e sicurezza di questi ultimi («the Court refers once again to the general consensus over the vital importance of this means of protecting populations against diseas that may have severe effects on individual health, and that, in the case of serious outbreaks, may cause disruption to society».
37.6. Non corrisponde dunque al vero la tesi, sostenuta dagli appellanti, che il diritto convenzionale ritenga le vaccinazioni obbligatorie una inammissibile intromissione nel diritto al rispetto della sfera privata e familiare, in violazione dell’art. 8 della Convenzione, poiché anche la più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in armonia con l’orientamento assunto, del resto, dalle Corti costituzionali nazionali, ammette la legittimità delle vaccinazioni obbligatorie secondo principî e criterî, non dissimili da quelli seguiti dalla Corte costituzionale italiana nella propria giurisprudenza, che possono trovare applicazione anche alla vaccinazione qui contestata, che soddisfa tutti i requisiti, rigorosi, richiesti dal diritto convenzionale per giustificare l’intromissione pubblica nella sfera privata e familiare.
37.7. Né devono essere enfatizzate le espressioni con cui l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, peraltro con una raccomandazione che non è vincolante sul piano giuridico per gli Stati, ha raccomandato – e non certo imposto – nella risoluzione n. 2361/2021 la non obbligatorietà dei vaccini, perché l’affermazione citata e estrapolata dagli appellanti dal testo della raccomandazione si lega saldamente, invece, proprio alla finalità – punto 7.3 – di assicurare un’alta diffusione del vaccino – «with respect to ensuring high vaccine uptake» – anche adottando – punto 7.3.3 – «effective measures to counter misinformation, disinformation and hesitancy regarding Covid-19 vaccinead e, cioè, misure efficaci a contrastare la cattiva informazione, la disinformazione e l’esitazione vaccinale ed evitare, appunto, quell’atteggiamento di opposizione, presente o latente nelle contemporanee societés de la défiance dell’Occidente, che potrebbe essere aggravato e non certo evitato dall’obbligatorietà della vaccinazione.
37.8. In questa prospettiva, come pure questo Collegio ha già chiarito sopra in conformità all’orientamento della Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018, la raccomandazione, per la sua spinta “gentile”, accompagna e favorisce lo sviluppo dell’autodeterminazione, benché anche questa spinta incida anch’essa in profondità sul processo formativo del volere nel consenso informato, senza la costrizione e l’extrema ratio dell’obbligo, aumenta la fiducia dei cittadini nella scienza e nell’intervento pubblico, ma – come pure ha notato la Corte – in ambito medico dalla raccomandazione all’obbligo il passo è breve, sicché non è precluso perciò al legislatore, per assicurare la maggior copertura vaccinale possibile, in vista della c.d. immunità di gregge, e arginare la diffusione del contagio e l’aumento incontrollabile e irrimediabile di malati e morti, soprattutto tra i soggetti più fragili, ove il convincimento anche insistito e modulato nelle più varie forme non sia sufficiente ad assicurare questa copertura, imporre lo strumento dell’obbligo, se particolari esigenze e particolari contingenze, la cui durata nel tempo deve essere oggetto comunque di monitoraggio costante per adattare la legislazione al divenire degli eventi, rendano inevitabile, e improcrastinabile, il ricorso all’azione autoritativa a fronte di una emergenza epidemiologica in corso e al cospetto di una irrazionale, ingiustificabile, diffusa sfiducia e, dunque, in un contesto di crescente esitazione vaccinale.
37.9. In eguale direzione, si noti, si è mosso lo stesso Comitato Nazionale di Bioetica, nel suo parere, I vaccini Covid-19. Aspetti etici per la ricerca il costo e la distribuzione, allorquando ha raccomandato di rispettare – a p. 13 – il principio che nessuno dovrebbe subire un trattamento sanitario contro la sua volontà, preferendo l’adesione spontanea rispetto all’imposizione autoritativa, ove il diffondersi del senso di responsabilità individuale e le condizioni complessive della diffusione della pandemia lo consentano, ma ha anche soggiunto che, nell’eventualità che perduri la gravità della situazione sanitaria e l’insostenibilità a lungo termine delle limitazioni alle attività sociali ed economiche, «non vada esclusa l’obbligatorietà dei vaccini, soprattutto per gruppi professionali che sono a rischio di infezione e trasmissione di virus; tale obbligo dovrà essere revocato qualora non sussista più un pericolo significativo per la collettività».
38. E proprio ciò il legislatore ha inteso fare, con la previsione dell’obbligo vaccinale introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021.
38.1. Resta tuttavia il dato, incontestabile alla luce del diritto vivente, che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella delle Corti supreme in altri Stati (v., ad esempio, Jacobson v. Mass., 197, U.S. 11, 26), non ha affatto escluso la legittimità delle vaccinazioni obbligatorie a tutela della salute pubblica e, in particolare, dei soggetti più vulnerabili, a cominciare dai minori.
38.2. Nemmeno nella prospettiva e dall’analisi del c.d. costituzionalismo multilivello, fatta valere dagli odierni appellanti con la censura in esame, emerge la contrarietà della misura ai valori generalmente riconosciuti a livello sovranazionale o internazionale, in ambito europeo ed extraeuropeo.
38.3. Quanto in sintesi esposto induce, ovviamente e conclusivamente, alla reiezione sia della seconda censura (pp. 65-66 del ricorso) che della terza censura (p. 66 del ricorso), con le quali gli appellanti, rispettivamente, deducono l’illegittimità derivata di tutti gli atti amministrativi, qui impugnati, che hanno fatto applicazione dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, in ipotesi contrastante con il diritto eurounitario e con quello convenzionale, sia la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE per la questione interpretativa degli artt. 3 della Carta e dell’art. 8 della CEDU, in relazione all’art. 52 della Carta, posto che, a tutto concedere, la questione sarebbe dovuta essere rimessa alla Corte costituzionale per valutare l’esistenza di questo contrasto, con conseguente, se del caso, declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4 del citato d.l. n. 44 del 2021.
39. Con la quarta censura (pp. 66-67 del ricorso), ancora, gli appellanti deducono l’illegittimità, per vizi propri, degli atti impugnati in quanto essi obbligano alla vaccinazione anche coloro che hanno già contratto la malattia e, pertanto, hanno acquisito la c.d. immunità naturale.
39.1. Ciò, si lamenta, in mancanza di qualsivoglia evidenza scientifica che deponga nel senso per cui la contrazione della malattia non rende immuni da una nuova infezione.
39.2. Così non sarebbe, tuttavia, perché lo stesso Ministero della Salute ha previsto, con la circolare del 3 marzo 2021, che i soggetti con pregressa infezione da Sars-CoV-2, decorsa in maniera sintomatica o asintomatica, non possono vaccinarsi prima di tre mesi di distanza dalla documentata infezione.
39.3. La previsione di tale termine, come dimostrerebbe l’esistenza di diversi studi che hanno dimostrato la persistenza di una forte risposta immunitaria a distanza di mesi, sarebbe evidente sintomo di incertezza circa le garanzie di sicurezza che la vaccinazione offre a coloro che già hanno una gran quantità di anticorpi per aver contratto il virus.
39.4. Sarebbe qui evidente l’illegittimità degli atti impugnati laddove, non consentendo di significare all’amministrazione procedente il proprio stato di guarito dal virus, obbligherebbero gli appellanti a sottoporsi ad un trattamento sanitario inutile e, si sostiene, presumibilmente dannoso.
39.5. Nell’ipotesi in cui questo Consiglio non ritenesse che nessuna attività istruttoria sia imposta alla pubblica amministrazione, in ragione del tenore dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, gli appellanti hanno chiesto la sospensione del giudizio e la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sospetta illegittimità della norma nella parte in cui non prevede, tra le ipotesi di differimento o di omissione dell’obbligo vaccinale, la situazione dei soggetti che abbiano già contratto la malattia e, quindi, posseggano la c.d. immunità naturale, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 Cost.
39.6. Difetterebbero infatti, anche in tale caso, entrambi i requisiti di idoneità e necessità della misura che, pertanto, si porrebbe in evidente contrasto con il principio di proporzionalità e paleserebbe, così, la propria irragionevolezza.
39.7. L’interpretazione dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 propugnata dagli appellanti è all’evidenza forzata e irragionevole perché l’ipotesi della persona che abbia già contratto il virus e che sia, quindi, ancora in possesso di una carica anticorpale che sconsiglia nell’immediato la somministrazione del vaccino deve essere ricondotta all’appropriata sedes materiae del comma 2 dell’art. 4 dell’art. [d.l.] n. 44 del 2021, laddove consente che la somministrazione del vaccino sia posticipata, senza essere omessa, sin quando dal test sierologico non sia emerso che il titolo anticorpale si sia ridotto e sia, così, rientrato nei livelli fisiologici che rendono necessaria la somministrazione – monodose – del vaccino.
39.8. Il fatto che l’immunità naturale, la quale non conferisce certo una patente di immunità perenne, abbia una durata limitata e richieda di accertare la presenza di anticorpi ben può e deve essere coordinato insomma, senza seguire interpretazioni che tendano ad aggravare spropositatamente l’entità dell’obbligo vaccinale e, quindi, a patrocinare una lettura invalidante della sua previsione, con la previsione del comma 2, differendo la somministrazione del vaccino, sul piano cronologico, al momento in cui venga meno l’effetto schermante prodotto dalla immunità naturale.
39.9. Ne segue che la censura, seguendo tale interpretazione, costituzionalmente orientata, dell’art. 4, che consente una ragionevole applicazione dell’obbligo vaccinale anche in ipotesi di immunità naturale, debba essere respinta, in quanto la relativa questione si configura, a questa stregua, come manifestamente infondata, tenendo anche presente il dato, non secondario, che lo stesso Ministero della Salute, con l’aggiornamento della circolare del 21 luglio 2021, ha previsto che «è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti Sars-CoV-2/COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da Sars-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione».
40. Per tutte le ragioni sin qui esposte, da richiamarsi qui per intero senza inutili ripetizioni contrarie al principio di sinteticità, deve essere respinta anche la quinta censura, sollevata dagli appellanti (pp. 68-69 del ricorso), con cui si prospetta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, più volte citato, per la dedotta violazione degli artt. 11 e 117, comma secondo, Cost., in relazione agli artt. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, dell’art. 8 della CEDU e del principio di proporzionalità.
40.1. I dedotti profili, per le ragioni ampiamente esposte, sono tutti inconsistenti, anche in relazione al principio di proporzionalità, di cui si dirà meglio in seguito.
41. Con la sesta censura (pp. 69-72), ancora, gli odierni appellanti censurano l’imposizione dell’obbligo vaccinale per il contrasto con l’art. 32 Cost. e con il diritto di autodeterminazione che esso riconosce alla persona.
41.1. Essi sostengono, ancora una volta, che l’imposizione di un determinato trattamento sanitario obbligatorio non può prescindere dalla garanzia delle condizioni di sicurezza ed efficacia del trattamento medesimo, che costituiscono condiciones sine quibus non di una imposizione che, per definizione, non incontra il consenso del destinatario.
41.2. Ma ancora una volta, richiamando qui tutte le motivazioni sopra esposte, le censure degli appellanti muovono da un presupposto scientifico errato, secondo cui le vaccinazioni non sarebbero efficaci e sicure, mentre, come si è visto, esse sono state autorizzate all’esito di procedure rigorose e di sperimentazioni solide e, come dimostrano i dati più recenti e la comparazione delle diverse evidenze della malattia tra soggetti vaccinati e non vaccinati, si stanno dimostrando efficaci sia nel contenimento della malattia, quanto ai sintomi più gravi, che nella diffusione del contagio.
41.3. La tesi degli appellanti pecca di astrattezza perché nessun farmaco, come si è detto, è a rischio zero e i risultati della sperimentazione clinica condotta in tempi rapidi da numerosi ricercatori, con uno sforzo a livello globale senza precedenti, hanno portato alla conclusione, unanimemente condivisa dalla comunità scientifica internazionale, che il rapporto tra rischi e benefici è largamente favorevole per i soggetti che si sottopongono a vaccinazione.
41.4. Ne discende che la vaccinazione rispetta tutti i requisiti fissati dal nostro ordinamento e ribaditi da ultimo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 per configurare un trattamento sanitario obbligatorio legittimo, non ultimo quello, di cui si dirà, relativa alla indennizzabilità dell’eventuale danno conseguente, con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata.
42. Con la settima censura (pp. 72-75 del ricorso), ancora, gli appellanti censurano l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 in rapporto all’art. 3 Cost. sotto i diversi profili della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’uguaglianza.
42.1. Quanto al primo profilo, inerente alla ragionevolezza, essi sostengono che il vaccino non costituirebbe misura idonea allo scopo poiché non vi è certezza che il soggetto vaccinato non sia in grado di trasmettere il virus Sars-CoV-2 e, dunque, non si può ritenere che la sua somministrazione soddisfi il fine pubblico al quale è preordinata.
42.2. Quanto al secondo profilo, inerente alla proporzionalità, gli appellanti lamentano che nel perseguimento dell’interesse generale il legislatore avrebbe dovuto prediligere gli strumenti che comportavano il minor sacrificio per gli interessi contrastanti – ad esempio, misure di distanziamento, utilizzo di guanti e mascherine, disinfettanti e paratie in plexiglass oppure sottoposizione degli operatori sanitari a tamponi molecolari o salivari, in grado si svelare, con elevata probabilità, lo stato di salute di chi vi si sottopone – mentre l’imposizione dell’obbligo avrebbe dovuto costituire, in una logica di equilibrato bilanciamento tra gli opposti valori in gioco, l’extrema ratio.
42.3. Quanto al terzo profilo, inerente al principio di uguaglianza, si deduce la natura discriminatoria della vaccinazione, imposta al solo personale sanitario, senza ragione alcuna, a differenza di tutti gli altri cittadini, in quanto la libertà di autodeterminazione non potrebbe essere sacrificata solo in nome di esigenze di interesse pubblico che, nel caso in esame, stante la mancanza di garanzie in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini, oltre che all’inidoneità di questi ad evitare la trasmissione del virus Sars-CoV-2, evidentemente non sarebbero configurabili.
42.4. Anche queste censure, tuttavia, devono essere respinte perché le relative questioni di costituzionalità sono manifestamente infondate.
42.5. In merito alla dedotta irragionevolezza della disposizione, infatti, si è già ampiamente chiarito che i quattro vaccini sono efficaci e sicuri, allo stato delle conoscenze acquisite e delle sperimentazioni cliniche eseguite (c.d. trials), e rispondono pienamente allo scopo perseguito dal legislatore e, cioè, quello di evitare la diffusione del contagio tra la popolazione, con particolare riferimento, in questo caso, ai pazienti a gli utenti del sistema sanitario, pubblico e privato, tendenzialmente più esposti al rischio di infezione nei luoghi di cura e assistenza, dove sono ospitati numerosi pazienti o transitano numerosi utenti bisognosi di cura, e per definizione più vulnerabili.
42.6. In merito alla dedotta mancanza di proporzione, ancora, occorre rilevare che le evidenze registrate negli ultimi mesi, a vaccinazione avviata, e oggetto di studi – anche osservazionali – dimostrano come solo la vaccinazione stia producendo il risultato di limitare la diffusione del contagio, in generale, e nelle strutture sanitarie, ospedaliere e residenziali, in particolare, impedendo che la trasmissione avvenga proprio nei luoghi di cura, a danno dei soggetti più fragili (malati e anziani), proprio per via del personale medico o infermieristico non vaccinato, in quanto le altre misure, indicate dall’appellante, per quanto utili e raccomandate non sono state decisive nel limitare il contagio, come dimostrano la prima e la seconda ondata della pandemia.
42.7. Quanto alla natura discriminatoria della previsione, infine, il carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria è giustificato non solo dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, relazione che postula, come detto, la sicurezza delle cure, impedendo che, paradossalmente, chi deve curare e assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia.
42.8. Non può essere seguita la tesi degli appellanti, quando invocano la prevalenza del diritto di autodeterminazione, pur fondamentale nel nostro ordinamento, come si è detto, in quanto diretta espressione della dignità della persona, a scapito dell’interesse pubblico alla vaccinazione obbligatoria degli operatori sanitari, poiché quella stesso valore supremo nella gerarchia dei principî costituzionali e, cioè, la dignità della persona (v., sul punto, Corte cost., 7 dicembre 2017, n. 258) – di ogni persona e non di un astratto, intangibile, invulnerabile, inafferrabile soggetto di diritto – esige la protezione della salute di tutti, quale interesse collettivo, conformemente, del resto, al principio universalistico a cui si ispira il Servizio sanitario in Italia (art. 1 della l. n. 833 del 1978), e in particolare la tutela primaria delle persone più vulnerabili, che entrano, lo si ribadisce, in una relazione di cura e di fiducia – art. 2, comma 1, della l. n. 219 del 2017 – con il personale sanitario.
42.9. La logica dei cc.dd. diritti tiranni e, cioè, di diritti che non entrano nel doveroso bilanciamento con eguali diritti, spettanti ad altri, o con diritti diversi, pure tutelati dalla Costituzione, e pretendono di essere soddisfatti sempre e comunque, senza alcun limite, è del resto estranea ad un ordinamento democratico, perché «il concetto di limite è insito nel concetto di diritto» (Corte cost., 14 giugno 1954, n. 1) ed è stata espressamente sempre ripudiata anche dalla Corte costituzionale che, come noto, ha chiarito che tutti i diritti tutelati dalla Costituzione – anche quello all’autodeterminazione – si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri perché, se così non fosse, si verificherebbe «la illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette» (Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85).
43. Occorre qui ancora e di nuovo richiamare il fondamentale valore della solidarietà, cardine, come pure si è detto, del nostro ordinamento costituzionale e, insieme con esso, quei fondamentali obblighi di reciproca assistenza e protezione, per sé e per gli altri, anche essi parimenti posti a fondamento della nostra Costituzione (art. 2 Cost.), obblighi che legano ciascun individuo all’altro, indissolubilmente, in una “social catena” e in quel “patto di solidarietà” tra individuo e collettività che, secondo la stessa Corte costituzionale, sta alla base di ogni vaccinazione, obbligatoria o raccomandata che sia (Corte cost., 23 giugno 2020, n. 118).
43.1. Spetta al decisore pubblico, nell’esercizio del c.d. biopotere, fissare le regole e i limiti entro i quali l’esercizio dell’autodeterminazione da parte di ciascuno, senza divenire un diritto tiranno e indifferente alle sorti dell’altro, si possa accordare con la tutela della salute degli altri secondo una legge universale di libertà, ma questo delicato bilanciamento, per tutte le ragioni sin qui viste, non ha varcato nel caso di specie, ad avviso di questo Consiglio, i limiti della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’eguaglianza, sicché ogni dubbio al riguardo è e deve ritenersi manifestamente infondato anche in rapporto ai valori protetti dall’art. 2 Cost.
44. Con l’ottava censura (pp. 75-78 del ricorso), ancora, gli appellanti denunciano l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, in rapporto agli artt. 2 e 32 Cost., per la mancata previsione dell’indennizzo per il caso in cui, dalla somministrazione, dovesse derivare un pregiudizio grave e/o permanente per l’integrità fisica del soggetto al quale il vaccino è inoculato.
44.1. Le caratteristiche della vaccinazione obbligatoria qui contestata, frutto di una imposizione temporanea – fino al 31 dicembre 2021 – dovuta all’emergenza epidemiologica ad alcune categorie di cittadini, avrebbero imposto la specifica previsione di un indennizzo per il caso di conseguenze lesive e/o permanenti derivanti dalla somministrazione, invece, inammissibilmente non previsto dalla disposizione in esame.
44.2. La questione difetta tuttavia di rilevanza perché nessuno degli odierni appellanti si è sottoposto a vaccinazione, obbligo, del resto, non coercibile fisicamente (come essi riconoscono), e dunque la circostanza che dalla somministrazione di questo possa derivare una conseguenza lesiva è una mera eventualità, priva di qualsivoglia concretezza ed attualità nel presente giudizio.
44.3. La censura è comunque manifestamente infondata perché la vaccinazione in questione rientra, a pieno titolo, tra quelle previste dall’art. 1 della l. n. 210 del 1992, a norma del quale «chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge».
44.4. Non è perciò necessaria un’espressa previsione dell’indennizzo nel testo dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, fermo restando ogni eventuale opportuno intervento integrativo da parte del legislatore nel sapiente esercizio della propria discrezionalità anche in riferimento alle ipotesi di vaccinazioni meramente raccomandate, in quanto l’art. 1 della l. n. 210 del 1992, nella costante interpretazione datane dalla Corte costituzionale (v., da ultimo, Corte cost., 23 giugno 2020, n. 118, si riferisce alle sole vaccinazioni obbligatorie, per legge, come è del resto espressamente, e inequivocabilmente, quella prevista dall’art. 4 del più volte citato d.l. n. 44 del 2021.
44.5. D’altro canto, come ha chiarito la Corte proprio nella sentenza da ultimo citata (ma v. anche Corte cost., 14 dicembre 2017, n. 268), è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano.
44.6. In questa prospettiva la previsione dell’indennizzo completa il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rende più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione.
44.7. La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio, ma riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psicofisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale.
44.8. Per questo, secondo la Corte, la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost., perché sono le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste, oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l’individuo danneggiato sopporti il costo del beneficio anche collettivo (sentenze n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012).
44.9. Nel caso in esame, però, l’obbligo di indennizzo è chiaramente garantito dall’applicazione dell’art. 1 della l. n. 210 del 1992, la cui applicazione diretta è incontestabile anche alla vaccinazione obbligatoria prevista dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021.
45.. La questione sollevata, dunque, è irrilevante e, in ogni caso, manifestamente infondata.
46. Con la nona censura (pp. 78-80 del ricorso), ancora, gli odierni appellanti deducono la violazione degli artt. 9 e 33 Cost., in quanto l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 li obbligherebbe ad accettare la vaccinazione, quando essi potrebbero e vorrebbero prediligere misure alternative idonee al raggiungimento della finalità perseguita, nonostante essi stessi siano tutti soggetti legati all’ambiente sanitario, in grado di manifestare dissensi informati e non meramente aprioristici e preconcetti, pur godendo essi di conoscenze specifiche nel settore.
46.1. Ciò impedirebbe, peraltro, anche il progresso della ricerca scientifica, con violazione dell’art. 9 Cost., che tutela la libertà della ricerca scientifica stessa, in riferimento ad altre possibili soluzioni curative.
46.2. Anche queste questioni di costituzionalità, al pari delle altre, sono manifestamente infondate e vanno respinte.
46.3. Quanto al profilo della dedotta violazione dell’art. 33, comma primo, Cost., secondo cui la scienza è libera, non si vede come l’obbligo vaccinale imposto dal legislatore possa ledere tale valore costituzionale, posto che anzi i vaccini sono stati il frutto di una approfondita e libera ricerca scientifica, peraltro avviata già da anni in riferimento ad altri tipi di virus, e sono stati autorizzati all’esito di una procedura che ha visto il rispetto dei più rigorosi standard scientifici.
46.4. Il legislatore non solo non ha violato la c.d. riserva di scienza, in questa materia (v. proprio la sentenza n. 282 del 20 giugno 2002, già sopra menzionata e citata dagli appellanti), attenendosi ai risultati della miglior scienza ed esperienza disponibili su scala mondiale, in accordo, del resto, a quanto è avvenuto in altri ordinamenti europei ed extraeuropei, ma ha anzi adottato e imposto, almeno al personale sanitario, i risultati incoraggianti di questa ricerca a tutela della salute pubblica.
46.5. Né gli appellanti possono addurre, genericamente, di conoscere più degli altri cittadini possibili – ma qui non indicate – terapie alternative, in ragione delle loro specifiche competenze, posto che, come questo Consiglio di Stato ha chiarito, l’esercizio del diritto all’autodeterminazione, che essi rivendicano, non può «comportare un pericoloso soggettivismo curativo o un relativismo terapeutico nel quale è “cura” tutto ciò che il singolo malato vuole o crede, perché nell’alleanza terapeutica è e resta fondamentale l’insostituibile ruolo del medico nel selezionare e nell’attuare le opzioni curative scientificamente valide e necessarie al caso» (Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460).
46.7. In altri termini è la scienza ad indicare al legislatore, ma anche all’individuo le opzioni terapeutiche valide, che questi può scegliere, e non è certo l’individuo, ancorché dotato di proprie personali competenze e di un sapere asseritamente superiore, a forgiarsi una cura da indicare alla scienza e al legislatore, costruendosi una cura “parallela”, “propria”, “privata”, non controllabile da alcuno e non verificabile in base ad alcun criterio scientifico di validazione.
46.8. La libertà e il progresso della scienza invocati dagli appellanti, pur protetti dalla nostra Costituzione negli artt. 9 e 33, non sono né possono essere anarchici o erratici.
46.9. Quel che è certo, comunque, è che l’imposizione della vaccinazione obbligatoria non limita alcuna libertà né progresso della scienza e nessuna prova di tale limite, con riferimento alla ricerca di una cura contro l’infezione da Sars-CoV-2, è stata offerta dagli odierni appellanti.
47. La censura, quindi, deve essere respinta perché la sottesa questione di costituzionalità è, ancora una volta, manifestamente infondata.
48. Con la decima censura (p. 80 del ricorso), infine, gli odierni appellanti lamentano la violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 36 Cost. perché la conseguenza prevista per l’inadempimento dell’obbligo e, cioè, la sospensione dell’esercizio professionale, autonomo o dipendente, confliggerebbe con la tutela del principio lavoristico, sul quale è fondata la Repubblica (art. 1 Cost.), sopprimendo di fatto l’esercizio del diritto al lavoro e la percezione di un compenso che fornisca al lavoratore e alla sua famiglia le risorse necessarie ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa.
48.1. Non sarebbe possibile correlare un obbligo violativo della libertà di scelta della cura all’impossibilità di esercitare la propria professione, se non violando gli artt. 1, 2 4 e 36 Cost.
48.2. Anche quest’ultima censura è manifestamente infondata e va respinta.
48.3. Correttamente il legislatore infatti, nel comma 1 dell’art. 4, ha stabilito che vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati.
48.4. Questa previsione risponde non solo ad un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, obbligo che, secondo una tesi dottrinaria autorevole, già discenderebbe in questa fase di emergenza – ma il tema è discusso – dall’applicazione combinata della regola generale di cui all’art. 2087 c.c. e dalle disposizioni specifiche del d. lgs. n. 81 del 2008, ma anche, come detto, al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività (art. 32 Cost.).
48.5. Un simile interesse è sicuramente prevalente, nelle attuali condizioni epidemiologiche, sul diritto al lavoro, di cui all’art. 36 Cost., e d’altro canto il legislatore, seguendo un criterio di gradualità, ha stabilito sanzioni proporzionate all’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni perché, come prevede il comma 8, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio.
48.6. La sospensione dell’attività lavorativa e della retribuzione, peraltro temporanee perché possibili solo fino al 31 dicembre 2021, costituiscono l’extrema ratio ed operano solo quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile sicché, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.
48.7. Anche in questo caso il bilanciamento non appare irragionevole, avuto riguardo alla comparazione degli opposti valori, e qui merita solo ricordare che il Conseil constitutionnel in Francia, pronunciandosi con la decisione n. 824 del 5 agosto 2021 su una analoga legge la quale prevede che al lavoratore, che non presenta il passe sanitaire e non scelga di utilizzare ferie e congedi retribuiti, venga comunicata il giorno stesso la sospensione dal lavoro, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità perché il legislatore ha perseguito l’obiettivo, di valore costituzionale, di proteggere la salute, limitando la propagazione dell’epidemia.
48.8. Analoghe considerazioni non possono che valere a fortiori per il personale sanitario in Italia, con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata.
49. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, quanto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellanti, ma questo ricorso, pur ammissibile, deve essere respinto in tutte le sue censure.
50. Le spese del doppio grado del giudizio, sulle quali il Collegio si è riservato di decidere, ai sensi dell’art. 26 c.p.a., all’esito del complesso esame sin qui condotto delle censure proposte in primo grado, possono essere interamente compensate tra le parti per la complessità delle questioni esaminate, che investono il delicato bilanciamento tra valori costituzionali a fronte di una nuova vaccinazione obbligatoria, introdotta dal legislatore dell’emergenza.
50.1. Rimane definitivamente a carico degli appellanti, per la soccombenza sul piano sostanziale, il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto dagli odierni interessati, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e per l’effetto, dichiarato ammissibile il ricorso di primo grado, lo respinge nel merito.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Pone definitivamente a carico dei ricorrenti il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso proposto in primo e in secondo grado.


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Indicazioni operative rischio agenti fisici ISS/INAIL 2021

ID 14415 | | Visite: 4943 | Documenti Sicurezza Enti

Indicazioni operative rischio agenti fisici ISS INAIL 2021

Indicazioni operative per la prevenzione del rischio da agenti fisici ai sensi del decreto legislativo 81/08 / Ed. Luglio 2021

ID 14415 | 21.07.2021: Approvate le nuove indicazioni operative per la prevenzione del rischio da agenti fisici ISS/INAIL 

In data 21/07/2021 sono state approvate le Indicazioni operative per la prevenzione del rischio da agenti fisici ai sensi del decreto legislativo 81/08 elaborate dal sottogruppo Tematico Agenti Fisici del Gruppo Tecnico Interregionale Prevenzione Igiene e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro in collaborazione con INAIL ed ISS.

Tali indicazioni aggiornano il precedente documento del Coordinamento Interregionale - INAIL - ISS (ultimo aggiornamento 2014) in materia di:

TITOLO VIII CAPO I

- RADIAZIONE SOLARE
- MICROCLIMA
- RUMORE
- VIBRAZIONI

Le indicazioni per la valutazione e prevenzione del rischio derivante da Campi Elettromagnetici (Titolo VIII Capo IV) sono riportate nelle Linee di Indirizzo del Gruppo Tecnico Interregionale Prevenzione Igiene e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro - INAIL - ISS sono state approvate in data 26/06/2019.

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Allegato riservato Indicazioni operative protezione agenti fisici luoghi di lavoro Ed. 2021.pdf
INAIL / ISS - 2021
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Guidelines fire protection in schools

ID 14783 | | Visite: 2067 | Prevenzione Incendi

Fire protection in schools   CFPA Europe

Guidelines fire protection in schools / CFPA Europe September 2021

CFPA-E Guideline No 39:2021 F / September 2021

This Guideline is concerned with fire safety in schools, new and existing. In these activities, there is a great variety in the age of occupants and in their awareness concerning the exact characteristics of the spaces that they occupy.

The guideline contains the fire safety requirements for all kind of schools with more than 30 people, excluding nurseries.

Most European countries have national or local codes concerning the fire safety of schools, but the legislation can be very different between countries.The intention of this Guideline is to provide a common basis for the fire safety of all schools in all European countries, excluding nurseries and schools with smallnumbersof people. Dormitories and student residences are not covered by this Guideline.

This guideline is primarily intended for those responsible for fire safety in schools. It is also addressed to the rescue services, consultants, safety companies and others who, in course of their work, may be able to help to increase the level of fire safety in schools.2ScopeThis guideline addresses the fire safety issues of schools, as indicated in the definitions.

The aim of this guideline is to provide school managers and safety consultantswithsome basic principles indicating the process to improvethe fire safety of schools, new and existing.

Due to the great number of existing schools, the measures contained in this document are easy to implement.

This means that new schools could easily implementahigher level of safety than those indicated in the present guideline.In general, new schools and the new buildings extending existing schools should apply the Guideline entirely.

Existing schools are sometimesinold or historical buildings; in thesecases, it can be difficult to apply some or all of the recommendationsof this Guideline.It may be necessary and appropriate to appoint a qualified fire engineer to carry out a more advanced risk assessment.Schools can vary a great deal in dimensions, number of people, age of students, the ability of students to take care of themselves without help, age of the buildings, etc.

In some cases, schools can include dormitories, kitchens, laboratories, and rooms or buildings where different activities take place.

Therefore, in addition to what is indicated in this guideline, in some cases it maybe necessary or appropriate to appoint a qualified fire engineer to carry out a more advanced risk assessment.

The fire risk assessment must take into account the fire resistance of load-bearing structure and compartmentation, the access routes of emergency vehicles, the conformity of different technical equipment, the maintenance of the whole structure, etc..

This guideline does not apply to:

- Nurseries;
- Schools with less than 30 people presentat one time;
- Training events that occurcompletely outdoors.

The objectives of this Guideline are:

- Reduce the probability of a fire, or even avoid the possibility of a fire;
- Reduce, in case of fire, the consequences of the fire on people and on properties;
- Guarantee the maximum possible safety for people;
-Reduce the intervention by external Fire fighters and assure the maximum possible safety for Fire fighters in case of intervention.
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Via libera del CdM alle modifiche del Decreto legislativo 81/2008

ID 14763 | | Visite: 3422 | News Sicurezza

Tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro modifiche Dlgs 81 2008

Via libera del CdM alle modifiche del Decreto legislativo 81/2008

MLPS, 15.10.2021

Il Consiglio dei Ministri, su iniziativa del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, ha dato il via libera alle modifiche del Decreto legislativo 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

In particolare, ha spiegato il ministro, "le modifiche sono principalmente finalizzate a incentivare e semplificare sia l'attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza su lavoro sia il coordinamento dei soggetti competenti a presidiare il rispetto delle norme prevenzionistiche".

Tra le misure, il coordinamento di INL e Asl dell'attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro svolta a livello provinciale, apportando conseguenti modifiche al DPCM del 21 dicembre 2007.

Inoltre, è stato stabilito che gli introiti derivanti dall'adozione delle sanzioni emanate dal personale dell'Ispettorato in materia prevenzionistica - analogamente a quanto già avviene per le sanzioni adottate dal personale ispettivo delle Asl - vadano a integrare un apposito capitolo dell'INL stesso, finalizzato a finanziare l'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.

In tale ottica, le modifiche del Decreto legislativo 81/2008 includono anche il rafforzamento del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), per il quale si punta a una definitiva messa a regime e a una maggiore condivisione delle informazioni in esso contenute.

Cambiano anche le condizioni necessarie per l'adozione del provvedimento cautelare della sospensione dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni: 10% e non più 20% del personale "in nero" presente sul luogo di lavoro così come l'individuazione degli illeciti in materia di salute e sicurezza da considerarsi gravi. In particolare, per questo tipo di illeciti sui luoghi di lavoro non sarà più richiesta alcuna "recidiva" ai fini della adozione del provvedimento che, pertanto, scatterà subito a fronte di gravi violazioni prevenzionistiche individuate con decreto ministeriale e, nelle more della sua adozione, individuate dalla tabella contenuta nell'Allegato I al D.lgs. n. 81/2008. La nuova disciplina del provvedimento cautelare prevede altresì l'impossibilità, per l'impresa destinataria del provvedimento, di contrattare con la pubblica amministrazione per tutto il periodo di sospensione.

All'estensione delle competenze attribuite all'INL si accompagneranno un rilevante aumento dell'organico - è prevista l'assunzione di 1.024 unità - e un investimento in tecnologie di oltre 3,7 milioni di euro nel biennio 2022/2023 per dotare il nuovo personale ispettivo della strumentazione informatica necessaria a svolgere l'attività di vigilanza.

Previsto anche l'aumento del personale del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro che passerà dalle attuali 570 a 660 unità dal 1° gennaio 2022.

...

Slide illustrative

Obiettivi:

incentivare e semplificare:

- l’attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza su lavoro
- coordinamento dei soggetti competenti a presidiare il rispetto delle norme prevenzionistiche

Come cambia l'INL

- Ampliamento delle competenze ispettive dell’INL Ispettorato Nazionale del Lavoro negli ambiti della salute e sicurezza del lavoro
- Maggior presidio, su tutto il territorio nazionale
- Coordinamento di Asl e INL per l’attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro svolta a livello provinciale

Come cambia il SINP

Rafforzamento del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP): si punta a una definitiva messa a regime e a una maggiore condivisione delle informazioni in esso contenute

Sanzioni

- Gli Introiti derivanti dall’adozione delle sanzioni emanate dal personale dell’Ispettorato in materia di prevenzione andranno a integrare un apposito capitolo dell’INL stesso, per finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro analogamente a ciò che avviene per le sanzioni adottate dal personale ispettivo delle AA.SS. LL.
- Adozione del provvedimento cautelare della sospensione dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni: scatterà in presenza del 10% e non più del 20% del personale “in nero”
- Non sarà più richiesta alcuna “recidiva” ai fini della adozione del provvedimento che, pertanto, sarà subito operativo a fronte di gravi violazioni di prevenzione

INL, Risorse e tecnologie

- Rilevante aumento dell’organico con l’assunzione di 1.024 unità
- Investimento in tecnologie di oltre 3,7 milioni di euro nel biennio 2022/2023
- Aumento del personale del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro che passerà dalle attuali 570 a 660 unità dal 1° gennaio 2022.

Fonte: MLPS

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Convenzione ILO C183 del 30 maggio 2000

ID 14758 | | Visite: 1420 | Convenzioni ILO

Convenzione ILO C183 del 30 maggio 2000

ID 14758 | 16.10.2021

Convenzione ILO C183 Protezione della maternità, 2000.

Ginevra, 30 maggio 2000

La Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del Lavoro, convocata a Ginevra dal Consiglio di amministrazione dell’Ufficio internazionale del Lavoro ed ivi riunitasi il 30 maggio 2000 nella sua ottantottesima sessione; Prendendo nota dell’esigenza di rivedere la Convenzione sulla protezione della maternità, 1952, nonché la Raccomandazione sulla protezione della maternità, 1952, al fine di promuovere maggiormente l’uguaglianza di tutte le donne lavoratrici, nonché la salute e la sicurezza della madre e del bambino, e riconoscere la diversità dello sviluppo economico e sociale dei Membri, nonché la diversità delle imprese e lo sviluppo della protezione della maternità nelle legislazioni e nelle prassi nazionali; Prendendo nota delle disposizioni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione nei confronti delle donne (1979), della Convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti dei bambini (1989), della Dichiarazione e del Programma di azione di Beijing (1995), della Dichiarazione sulla parità di opportunità e di trattamento per le lavoratrici dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (1975), della Dichiarazione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro relativa ai principi e ai diritti fondamentali nel Lavoro ed il suo seguito (1998), nonché delle convenzioni e raccomandazioni internazionali del lavoro volte a garantire la parità di opportunità e di trattamento ai lavoratori ed alle lavoratrici, in modo particolare la Convenzione sui lavoratori aventi responsabilità familiari, 1981; In considerazione della situazione delle donne che lavorano e prendendo atto della necessità di provvedere alla protezione della gravidanza, in quanto responsabilità condivisa dei poteri pubblici e della società; Dopo aver deciso di adottare varie proposte relative alla revisione della convenzione (riveduta) e della Raccomandazione sulla protezione della maternità, 1952, questione che rappresenta il quarto punto all’ordine del giorno della sessione; Dopo aver deciso che tali proposte avranno forma di convenzione internazionale; adotta, oggi quindici giugno duemila, la convenzione seguente che sarà denominata Convenzione sulla protezione della maternità, 2000.

SFERA DI APPLICAZIONE

Articolo 1
Ai fini della presenta convenzione il termine «donna» si applica a qualsiasi persona di sesso femminile senza qualsivoglia discriminazione, ed il termine «bambino» si applica a qualsiasi bambino, senza alcuna discriminazione.

Articolo 2
1. La presente convenzione si applica a tutte le donne lavoratrici dipendenti, comprese le donne impiegate nel quadro di forme atipiche di lavoro dipendente.
2. Tuttavia, un Membro che ratifica la convenzione può, previa consultazione delle organizzazioni rappresentative di datori di lavoro e di lavoratori interessate, escludere totalmente o parzialmente dalla propria sfera di applicazione alcune limitate categorie di lavoratori quando la sua applicazione a queste categorie susciterebbe problemi speciali di particolare importanza.
3. Ogni Membro che si prevale della possibilità prevista al paragrafo precedente deve, nel suo primo rapporto sull’applicazione della Convenzione presentato ai sensi dell’articolo 22 della Costituzione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro, indicare le categorie di lavoratori in tal modo escluse, ed i motivi della loro esclusione. Nei suoi ulteriori rapporti, il Membro deve descrivere le misure adottate al fine di estendere gradualmente le disposizioni della convenzione a queste categorie.

TUTELA DELLA SALUTE

Articolo 3
Ogni Membro deve, previa consultazione delle organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori, adottare i provvedimenti richiesti affinché le donne incinte o che allattano non siano costrette ad effettuare un lavoro determinato dall’autorità competente come pregiudizievole per la loro salute o quella del loro bambino, o valutato come comportante un rischio significativo per la salute della madre o quella del bambino.

CONGEDO PER MATERNITÀ

Articolo 4
1. Dietro presentazione di un certificato medico o di altro attestato appropriato come determinato dalla legislazione e dalla prassi nazionale, indicante la data presunta del suo parto, ogni donna cui si applica la presente convenzione ha diritto ad un congedo per maternità di una durata di almeno quattordici settimane.
2. La durata del congedo di cui sopra deve essere specificata dal Membro in una dichiarazione che accompagna la ratifica della presente convenzione.
3. Ogni Membro può, in seguito, depositare presso il Direttore generale dell’Ufficio internazionale del Lavoro una nuova dichiarazione che prolunga la durata del congedo per maternità.
4. In debita considerazione della protezione della salute della madre e del bambino, il congedo per maternità deve comprendere un periodo di congedo obbligatorio di sei settimane dopo il parto, salvo se diversamente stabilito a livello nazionale dal governo e dalle organizzazioni rappresentative di datori di lavoro e di lavoratori.
5. La durata del congedo di maternità prenatale deve essere prolungata mediante un congedo equivalente al periodo trascorso fra la data presunta e la data effettiva del parto, senza che ciò significhi una durata ridotta di qualsiasi congedo post-natale obbligatorio.

CONGEDO IN CASO DI MALATTIA O DI COMPLICAZIONI

Articolo 5
Dietro presentazione di un certificato medico, deve essere concesso un congedo prima o dopo il periodo di congedo per maternità, in caso di malattia, complicanze o rischio di complicanze risultanti dalla gravidanza o dal parto. La natura e la durata massima di questo congedo possono essere precisate in conformità alla legislazione ed alla prassi nazionali.

PRESTAZIONI

Articolo 6
1. Sono previste in conformità alla legislazione nazionale o in ogni altro modo conforme alla prassi nazionale, prestazioni in denaro per le donne che si assentano dal lavoro in ragione del congedo di cui agli articoli 4 o 5.
2. Le prestazioni in denaro devono essere di livello tale che la donna possa sopperire al proprio mantenimento e a quello del suo bambino, in buone condizioni di salute e secondo un congruo tenore di vita.
3. Quando la legislazione o la prassi nazionale prevedono che le prestazioni in denaro versate a titolo del congedo di cui all’articolo 4, sono determinate in base ai guadagni precedenti, l’ammontare di tali prestazioni non deve essere inferiore a due terzi dei guadagni precedenti della donna o del guadagno adottato come base per il calcolo delle prestazioni.
4. Quando la legislazione o la prassi nazionale prevedono che le prestazioni in denaro versate a titolo del congedo di cui all’articolo 4 sono determinate mediante altri metodi, l’ammontare di tali prestazioni deve essere dello stesso ordine di grandezza di quello risultante in media dall’applicazione del paragrafo precedente.
5. Ogni Membro deve garantire che le condizioni richieste per beneficiare delle prestazioni in denaro possano essere soddisfatte dalla maggior parte delle donne cui la presente convenzione si applica.
6. Quando una donna non soddisfa le condizioni previste dalla legislazione nazionale o previste in qualsiasi altro modo conforme alla prassi nazionale per poter beneficiare delle prestazioni in denaro, essa ha diritto ad adeguate prestazioni finanziate dai fondi dell’assistenza sociale, fatta salva la verifica delle risorse, richiesta per la concessione di queste prestazioni.
7. Devono essere garantite alla madre ed al suo bambino prestazioni mediche in conformità alla legislazione nazionale o in ogni altro modo conforme alla prassi nazionale. Le prestazioni mediche devono includere le cure prenatali, le cure inerenti al parto, le cure postnatali, e, ove necessario, il ricovero.
8. Al fine di tutelare la situazione delle donne sul mercato del lavoro, le prestazioni afferenti al congedo di cui agli articoli 4 e 5 devono essere assicurate mediante un’assicurazione sociale obbligatoria o prelievi su fondi pubblici o secondo modalità determinate dalla legislazione e dalla prassi nazionali. Il datore di lavoro non può essere considerato personalmente responsabile del costo diretto di qualsiasi prestazione finanziaria di questo tipo dovuta ad una donna che è sua dipendente se se non vi ha espressamente consentito, salvo se:
a) ciò era previsto dalla prassi o dalla legislazione in vigore nello Stato membro prima dell’adozione della presente convenzione ad opera della Conferenza internazionale del Lavoro; oppure
b) è stato così deciso a livello nazionale, dal governo e dalle organizzazioni rappresentative di datori di lavoro e di lavoratori.

Articolo 7
1. Sono da considerarsi adempienti alla normativa prevista all’articolo 6, paragrafi 3 e 4, quei paesi ad economia e sistema di sicurezza sociale insufficientemente sviluppati che erogano prestazioni in denaro ad un livello non inferiore a quello previsto dalla legislazione nazionale per il caso di malattia o inabilità temporanea.
2. Ogni Membro che si avvale della possibilità prevista al paragrafo precedente deve esplicitarne i motivi e precisare il tasso al quale le prestazioni in denaro sono versate, nel suo primo rapporto sull’applicazione della convenzione presentato ai sensi dell’articolo 22 della Costituzione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro. Nei suoi ulteriori rapporti, il Membro deve descrivere i provvedimenti adottati in vista d’innalzare progressivamente questo tasso.

TUTELA DEL LAVORO DIPENDENTE E NON DISCRIMINAZIONE

Articolo 8
1. È vietato al datore di lavoro licenziare una donna durante la gravidanza, il congedo di cui agli articoli 4 o 5, o durante un periodo successivo al suo rientro dal congedo, determinato in base alla legislazione nazionale, salvo per motivi che esulano dalla gravidanza, dalla nascita del bambino e dai suoi seguiti, o dall’allattamento. Spetta al datore di lavoro l’onere di provare che i motivi del licenziamento non sono inerenti alla gravidanza, alla nascita del bambino ed ai suoi seguiti, o all’allattamento.
2. Al termine del congedo di maternità, deve essere garantito alla donna che riprende il lavoro di ritrovare lo stesso posto o un posto equivalente retribuito in base allo stesso tasso.

Articolo 9
1. Ogni Membro deve adottare misure atte a garantire che la maternità non sia fonte di discriminazioni in materia d’impiego, compreso l’accesso all’impiego, nonostante l’articolo 2, paragrafo 1.
2. Le misure cui il paragrafo precedente fa riferimento prevedono il divieto di esigere, da una donna che presenta la sua candidatura per un posto di lavoro, che essa si sottoponga ad un test di gravidanza, oppure presenti un certificato attestante o meno lo stato di gravidanza, salvo se la legislazione nazionale lo preveda per lavori che:
a) sono vietati, totalmente o parzialmente, ai sensi della legislazione nazionale, alle donne incinte o a quelle che allattano; oppure
b) comportano un pericolo riconosciuto o significativo per la salute della donna e del bambino.

MADRI CHE ALLATTANO

Articolo 10
1. La donna ha diritto ad una o più pause quotidiane o ad una riduzione giornaliera della durata del lavoro per allattare il suo bambino.
2. Devono essere determinati dalla legislazione e dalla prassi nazionale, il periodo in cui sono consentite le pause per l’allattamento o la riduzione giornaliera dei tempi di lavoro, il numero e la durata di queste pause, come pure le modalità della riduzione giornaliera del tempo di lavoro. Tali pause o la riduzione giornaliera del tempo di lavoro devono essere calcolate in quanto tempo di lavoro e congruamente retribuite.

ESAME PERIODICO

Articolo 11
Ogni Membro deve esaminare periodicamente, in consultazione con le organizzazioni rappresentative di datori di lavoro e di lavoratori, l’opportunità di prolungare la durata del congedo di cui all’articolo 4 e d’incrementare l’ammontare o il tasso delle prestazioni in denaro di cui all’articolo 6.

ATTUAZIONE

Articolo 12
La presente convenzione deve essere attuata con ogni mezzo legislativo, salvo nella misura in cui entrasse in vigore con ogni altro mezzo, come convenzioni collettive, sentenze arbitrari, decisioni giudiziarie o in ogni altro modo conforme alla prassi nazionale.

DISPOSIZIONI FINALI

Articolo 13
La presente Convenzione modifica la convenzione sulla protezione della maternità (riveduta), 1952.

Articolo 14
Le ratifiche formali della presente convenzione saranno comunicate al Direttore generale dell’Ufficio internazionale del Lavoro e da esso registrate.

Articolo 15
1. La presente Convenzione sarà vincolante per i soli Membri dell’Organizzazione internazionale del Lavoro la cui ratifica sarà stata registrata dal Direttore generale dell’Ufficio internazionale del Lavoro.
2. Essa entrerà in vigore dodici mesi dopo che le ratifiche di due Membri saranno state registrate dal Direttore generale.
3. In seguito, questa Convenzione entrerà in vigore per ciascun Membro dodici mesi dopo la data di registrazione della ratifica.

Articolo 16
1. Ogni Membro che ha ratificato la presente Convenzione, può denunciarla allo scadere di un periodo di dieci anni dopo la data di entrata in vigore iniziale della convenzione, mediante un atto comunicato al Direttore generale dell’Ufficio internazionale del Lavoro e da quest’ultimo registrato.
2. Ogni Membro che ha ratificato la presente Convenzione e che nel termine di un anno dopo lo scadere del periodo di dieci anni di cui al paragrafo precedente, non si avvale della facoltà di denuncia prevista dal presente articolo, sarà vincolato per un nuovo periodo di dieci anni ed in seguito potrà denunciare la presente convenzione allo scadere di ciascun periodo di dieci anni alle condizioni previste nel presente articolo.

Articolo 17
1. Il Direttore generale dell’Ufficio internazionale del Lavoro notificherà a tutti i membri dell’Organizzazione internazionale del Lavoro la registrazione di tutte le ratifiche e di tutti gli atti di denuncia comunicati dai membri dell’Organizzazione.
2. Nel notificare ai Membri dell’Organizzazione la registrazione della seconda ratifica che gli sarà stata comunicata, il Direttore generale richiamerà l’attenzione dei Membri dell’Organizzazione sulla data in cui la presente convenzione entrerà in vigore.

Articolo 18
Il Direttore generale dell’Ufficio internazionale del Lavoro comunicherà al Segretario generale delle Nazioni Unite, ai fini della registrazione in conformità all’articolo 102 dello Statuto delle Nazioni Unite, informazioni complete riguardo a tutte le ratifiche ed a tutti gli atti di denuncia registrati in conformità agli articoli precedenti.

Articolo 19
Ogni qualvolta lo riterrà necessario, il Consiglio di amministrazione dell’Ufficio internazionale del Lavoro presenterà alla Conferenza generale un rapporto sull’applicazione della presente convenzione e considererà se sia il caso di iscrivere all’ordine del giorno della Conferenza la questione della sua revisione totale o parziale.

Articolo 20
1. Qualora la Conferenza adotti una nuova convenzione recante revisione totale o parziale della presente convenzione, ed a meno che la nuova convenzione non disponga diversamente:
a) la ratifica ad opera di un Membro della nuova convenzione riveduta comporterebbe di diritto, malgrado l’articolo 16 di cui sopra, un’immediata denuncia della presente convenzione, a condizione che la nuova convenzione riveduta sia entrata in vigore;
b) a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova convenzione riveduta, la presente convenzione cesserebbe di essere aperta alla ratifica dei Membri.
2. La presente convenzione rimarrà in ogni caso in vigore nella sua forma e tenore per i Membri che l’abbiano ratificata e che non ratificheranno la convenzione riveduta.

Articolo 21
Il testo francese e il testo inglese della presente convenzione faranno ugualmente fede.

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Versione non ufficiale
Fonte e Ratifica: ---
Entrata in vigore: 07 Febbraio 2002

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DPCM 12 Ottobre 2021

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DPCM 12 Ottobre 2021 Verifica possesso green pass in ambito lavorativo

DPCM 12 Ottobre 2021 / Verifica green pass in ambito lavorativo in GU

ID 14744 | 13.10.2021 / Pubblicato in GU

Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 giugno 2021, recante «Disposizioni attuative dell'articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, "Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19"».

(GU n.246 del 14.10.2021)

Il decreto interviene per fornire ai datori di lavoro pubblici e privati gli strumenti informatici che consentiranno una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni.

Tali verifiche potranno avvenire attraverso:

- l’integrazione del sistema di lettura e verifica del QR code del certificato verde nei sistemi di controllo agli accessi fisici, inclusi quelli di rilevazione delle presenze, o della temperatura;
- per gli enti pubblici aderenti alla Piattaforma NoiPA, realizzata dal Ministero dell'economia e delle finanze, l’interazione asincrona tra la stessa e la Piattaforma nazionale-DGC;
- per i datori di lavoro con più di 50 dipendenti, sia privati che pubblici non aderenti a NoiPA, l’interazione asincrona tra il Portale istituzionale INPS e la Piattaforma nazionale-DGC;
- per le amministrazioni pubbliche con almeno 1.000 dipendenti, anche con uffici di servizio dislocati in più sedi fisiche, una interoperabilità applicativa, in modalità asincrona, tra i sistemi operativi di gestione del personale e la Piattaforma nazionale-DGC.

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Art. 1

1. Al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’art. 1, comma 1, lettera c), dopo le parole «decreto legge 22 aprile 2021, n. 52», sono aggiunte le seguenti: «, o riconosciute come equivalenti»;
b) all’art. 1, comma 1, lettera d), dopo le parole «effettuato da operatori sanitari» sono aggiunte le seguenti: «o da altri soggetti reputati idonei dal Ministero della salute»;
c) all’art. 1, comma 1, lettera e), dopo le parole «effettuato da operatori sanitari» sono aggiunte le seguenti: «o da altri soggetti reputati idonei dal Ministero della salute»;
d) all’art. 1, comma 1, sono aggiunte infine le seguenti lettere:
«cc) “pacchetto di sviluppo per applicazioni”: un insieme di strumenti per lo sviluppo e la documentazione di software (Software Development Kit - SDK);
dd) “libreria software”: un insieme di funzioni e strutture dati predefinite e predisposte per essere utilizzate in un programma software.»;
e) all’art.3, comma 1, sono soppresse le parole «e tre»;
f) all’art.3, comma 3, sono aggiunte infine le seguenti parole: «e) eventuale vaccinazione pregressa.»;
g) all'art. 4, comma 1, le parole: «negli allegati B, E, F e G» sono sostituite dalle seguenti: «negli allegati B, E, F, G e H»;
h) all'art. 4, comma 1, dopo la lettera h) è aggiunta la seguente: «i) specifiche modalità automatizzate di verifica delle certificazioni verdi COVID-19 in ambito lavorativo.»;
i) l’art.5, comma 5, è sostituito dal seguente: «5. Il Sistema TS, secondo le modalità di cui all’Allegato C:
a) verifica i codici fiscali e il numero di dosi ricevuti dal Sistema AVN associati alle somministrazioni di vaccini anti-SARS-CoV-2, notificando alla regione di somministrazione gli eventuali casi di errore che quest’ultima provvederà a rettificare in AVN. In caso di codici fiscali errati o identificativi regionali non rilasciati dal Sistema TS, il Sistema TS acquisisce dalle regioni e province autonome anche i dati anagrafici relativi ai soggetti vaccinati;
b) per i soli dati verificati positivamente, alimenta la Piattaforma nazionale-DGC con i dati di ogni singola somministrazione di cui all’Allegato A, per la generazione della certificazione verde digitale COVID-19 di avvenuta vaccinazione; c) acquisisce tramite apposito modulo online, reso disponibile sul portale nazionale della Piattaforma-DGC, i dati relativi alle vaccinazioni effettuate all’estero dai cittadini italiani e dai loro familiari conviventi nonché dai soggetti iscritti al Servizio sanitario nazionale che richiedono l’emissione della certificazione verde COVID-19 in Italia per avere accesso ai servizi e alle attività individuati dalle disposizioni vigenti;
d) mette a disposizione la possibilità di validare le richieste di cui alla lettera c) ai fini del rilascio della certificazione verde COVID-19, secondo modalità stabilite con circolare congiunta del Ministero della salute e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
e) rende disponibile all’AVN e alle regioni e province autonome l’informazione sulla data di infezione successiva alla vaccinazione, tratta dai certificati di guarigione nonché della pregressa infezione, recuperata dai dati dei certificati di guarigione di cui all’art. 6 del presente decreto;
f) restituisce alle regioni e province autonome l’informazione, resa disponibile dalla PNDGC inerente la generazione o meno del DGC, unitamente ai dati relativi alle somministrazioni, avvenuta guarigione e test, comunicati al Sistema TS ai sensi del presente decreto, al fine di consentire le opportune azioni di correzione dei medesimi dati;
g) rende disponibile al Ministero della Salute la funzione di interrogazione dei dati acquisiti dal Sistema TS ai sensi del presente decreto, comprensivi dell’informazione resa disponibile dalla PN-DGC inerente la generazione o meno del DGC, per le finalità di cui all’art. 12 comma 2 lettera a). Le operazioni di interrogazione sono effettuate previo inserimento, da parte dell’operatore del numero di pubblica utilità del Ministero della salute, del codice fiscale e delle ultime otto cifre della tessera sanitaria dell’interessato e della tipologia e data dell’evento sanitario che ha generato la Certificazione verde COVID-19.»
j) all’art. 6, il comma 1 è sostituito dal seguente: «La piattaforma nazionale-DGC viene alimentata, attraverso l’interconnessione con il Sistema TS, come descritto nell’Allegato C, con i dati relativi alle certificazioni di avvenuta guarigione di cui all’Allegato A, anche con riferimento ai dati dell’eventuale pregressa somministrazione di vaccino disponibili al Sistema TS, al momento dell’emissione degli stessi»;
k) all’art.12, comma 2, lettera a), dopo le parole «informazioni generali» sono aggiunte le seguenti parole: «e assistenza tecnica» e sono soppresse le parole «tramite gli strumenti di cui all’articolo 11, comma 1, lettere b) ed e)»;
l) all’art.12, comma 2, sono soppresse le parole: «b) il call center di Immuni (800.91.24.91), che fornisce apposita assistenza tecnica per l’acquisizione delle certificazioni verdi COVID-19 tramite gli strumenti di cui all’articolo 11, comma 1, lettere a) e c);»;
m) all’art.13, comma 1, sono aggiunte infine le seguenti parole «nonché mediante le ulteriori modalità automatizzate di cui ai successivi commi descritte negli allegati G e H»;
n) all’art.13, comma 2, sono aggiunte infine le seguenti parole: «g) i dirigenti scolastici e i responsabili dei servizi educativi dell'infanzia nonché delle scuole paritarie, delle università e delle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, e loro delegati; h) i datori di lavoro pubblici o privati, e loro delegati, relativamente alla verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 in ambito lavorativo con riferimento al personale e ai soggetti terzi che accedono al luogo di lavoro per ragioni diverse dalla semplice fruizione dei servizi all’utenza e i responsabili della sicurezza delle strutture in cui si svolge l’attività giudiziaria o i loro delegati relativamente ai magistrati.»;
o) l’art. 13, comma 3, è sostituito dal seguente: «3. I soggetti delegati di cui alle lettere c), d), e), f), g) e h) del comma 2 sono incaricati con atto formale recante le necessarie istruzioni sull'esercizio dell'attività di verifica.»;
p) all'art. 13, il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. L'attività di verifica delle certificazioni non comporta, in alcun caso, la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma, salvo quelli strettamente necessari all'applicazione delle misure previste dagli articoli 9- ter ai commi 2 e 5, 9-quinquies, commi 6 e ss., e 9-septies, commi 6 e ss.»;
q) all’articolo 13, dopo il comma 8, sono inseriti i seguenti commi:
«9. Resta fermo quanto previsto dall’art. 3 del decreto legge 8 ottobre 2021, n. 139.
10. Al fine di assicurare il più efficace ed efficiente processo di verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 nell'ambito lavorativo pubblico e privato ai sensi degli articoli 9-quinquies e 9-septies del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, il Ministero della salute rende disponibili ai datori di lavoro specifiche funzionalità, descritte nell'allegato H, che consentono una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni verdi in corso di validità del personale effettivamente in servizio, di cui è previsto l’accesso ai luoghi di lavoro, senza rivelare le ulteriori informazioni conservate, o comunque trattate, nell'ambito della Piattaforma nazionale-DGC, attraverso:
a) l’utilizzo di un pacchetto di sviluppo per applicazioni (Software Development Kit-SDK), rilasciato dal Ministero della Salute con licenza open source, che consente di integrare nei sistemi di controllo degli accessi, inclusi quelli di rilevazione delle presenze, le funzionalità di verifica della Certificazione verde COVID-19, mediante la lettura del QR code;
b) una interazione, in modalità asincrona, tra la Piattaforma NoiPA, realizzata dal Ministero dell'economia e delle finanze per la gestione del personale delle pubbliche amministrazioni, e la PN-DGC per la verifica del possesso delle Certificazioni verdi COVID-19 in corso di validità da parte dei dipendenti pubblici degli enti aderenti a NoiPA;
c) una interazione, in modalità asincrona, tra il Portale istituzionale INPS, e la PN-DGC, per la verifica del possesso delle Certificazioni verdi COVID-19 in corso di validità da parte dei dipendenti dei datori di lavoro, con più di 50 dipendenti, sia privati che pubblici non aderenti a NoiPA;
d) una interoperabilità applicativa, in modalità asincrona, tra i sistemi informativi di gestione del personale delle amministrazioni pubbliche con almeno 1.000 dipendenti, anche con uffici di servizio dislocati in più sedi fisiche, e la PN-DGC, per la verifica del possesso delle Certificazioni verdi COVID-19 in corso di validità da parte dei propri dipendenti.
11. Le funzionalità di verifica del possesso delle Certificazioni verdi COVID-19 di cui alle lettere b) e c) del comma 10, attivate previa richiesta del datore di lavoro, sono rese disponibili al solo personale autorizzato alla verifica per conto del datore di lavoro. La funzionalità di verifica del possesso delle Certificazioni verdi COVID 19 di cui alla lettera d) del comma 10 è attivata previa autorizzazione e accreditamento, sulla base di apposita convenzione con il Ministero della salute.
12. Il pacchetto di sviluppo per applicazioni di cui alla lettera a) del comma 10 può essere utilizzato per la verifica della Certificazione verde COVID-19 anche in ambiti diversi da quello lavorativo e può altresì essere utilizzato come riferimento per la realizzazione di ulteriori librerie software, a condizione che:
a) le suddette librerie e le soluzioni da esse derivate rispondano alle medesime specifiche tecniche e ai requisiti del pacchetto di sviluppo per applicazioni di cui alla lettera a) del comma 10, e successivi aggiornamenti, come indicato sulla piattaforma
utilizzata dal Ministero della Salute per la pubblicazione del codice sorgente;
b) sia preventivamente rilasciato il codice sorgente con licenza open source di dette librerie sulla piattaforma utilizzata dal Ministero della Salute di cui al precedente punto a).
13. Con riguardo all’uso del pacchetto di sviluppo per applicazioni, di cui al comma 10, lettera a), e delle librerie software e delle soluzioni da esse derivate, di cui al comma 12, il trattamento dei dati personali deve essere effettuato limitatamente alle informazioni pertinenti e alle operazioni strettamente necessarie alla verifica della validità delle Certificazioni verdi COVID-19. È fatto esplicito divieto di conservare il codice a barre bidimensionale (QR code) delle Certificazioni verdi COVID-19 sottoposte a verifica, nonché di estrarre, consultare, registrare o comunque trattare per finalità ulteriori rispetto a quelle previste dal presente articolo le informazioni rilevate dalla lettura dei QR code e le informazioni fornite in esito ai controlli. In caso di utilizzo di tale modalità di verifica da parte del datore di lavoro, resta salvo quanto previsto dagli articoli 88 del Regolamento (UE) 2016/679 e 113 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
14. Nelle more del rilascio e dell’eventuale aggiornamento delle certificazioni verdi Covid19 da parte della piattaforma nazionale DGC, i soggetti interessati possono comunque avvalersi dei documenti rilasciati, in formato cartaceo o digitale, dalle strutture sanitarie pubbliche e private, dalle farmacie, dai laboratori di analisi, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta che attestano o refertano una delle condizioni di cui al comma 2, lettere a), b) e c), dell’articolo 9 del decreto-legge n. 52 del 2021, in coerenza con il disposto dell’ultimo periodo del comma 10 del medesimo articolo.
15. Nel caso in cui, all’esito delle verifiche effettuate con le modalità di cui al comma 10, lettere b), c) e d), l’interessato non risulti in possesso di una certificazione verde COVID-19 in corso di validità, lo stesso ha diritto di richiedere che la verifica della propria certificazione verde COVID-19 sia nuovamente effettuata al momento dell’accesso al luogo di lavoro mediante l’applicazione mobile descritta nell’Allegato B, paragrafo 4.»;
r) all’art.15 sono aggiunti i seguenti commi: «7. I soggetti preposti alla verifica di cui agli artt. 9-quinquies e 9-septies del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, sono titolari del trattamento dei dati effettuato con le modalità di cui all’articolo 13, comma 10, lettere b), c) e d), descritte nell'allegato H. Il personale interessato dal processo di verifica è opportunamente
informato dal proprio datore di lavoro sul trattamento dei dati attraverso una specifica informativa, anche mediante comunicazione resa alla generalità del personale, ai sensi degli artt. 13 e 14 del Regolamento (UE) 2016/679.
8. Il Ministero della salute designa il Ministero dell’economia e delle finanze quale responsabile del trattamento dei dati effettuato, ai sensi dell’articolo 13, comma 9, lettera b), tramite la Piattaforma NoiPA per la messa a disposizione delle informazioni relative alle certificazioni verdi COVID-19 del personale dipendente delle amministrazioni aderenti a NoiPA.
9. Il Ministero della salute designa l’Istituto nazionale di previdenza sociale quale responsabile del trattamento dei dati effettuato, ai sensi dell’articolo 13, comma 9, lettera c), tramite il Portale istituzionale INPS per la messa a disposizione delle informazioni relative alle certificazioni verdi COVID-19 del personale dipendente di datori di lavoro pubblici e privati.»;
s) all’articolo 18, comma 1, dopo le parole «Presidenza del Consiglio dei Ministri e» sono aggiunte le seguenti parole: «sul sito del Sistema TS»;
t) all’articolo 19, comma 3, sono soppresse le seguenti parole: «e per il call center di Immuni gestito dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri»;
u) i documenti tecnici A, B, C allegati al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021 sono sostituiti con le versioni allegate al presente decreto ed è aggiunto un ulteriore documento tecnico H, parimenti allegato al presente decreto. 

...

ALLEGATO A

Dati trattati dai sistemi informativi per la generazione delle certificazioni verdi COVID-19 dalla PN-DGC e dati riportati nelle certificazioni verdi COVID-19 generate dalla PN-DGC

Sommario
1. Dati trattati dai sistemi informativi per la generazione delle certificazioni verdi COVID-19 dalla PN-DGC 
1A. Certificazioni verdi COVID-19 di avvenuta vaccinazione emessi dalla PN-DGC (art. 5)
1B. Certificazioni verdi COVID-19 di avvenuta guarigione emessi dalla PN-DGC (art. 6) .
1C. Certificazioni verdi COVID-19 di test antigenico rapido o molecolare con esito negativo emessi dalla PN-DGC (art. 7)
2. Dati riportati nelle certificazioni verdi COVID-19 generate dalla PN-DGC 
2A. Certificazione verde Covid-19 di avvenuta vaccinazione
2B. Certificazione verde Covid-19 di avvenuta guarigione 
2C. Certificazione verde Covid-19 di test antigenico rapido o molecolare con esito negativo

ALLEGATO B

Funzioni e servizi della Piattaforma Nazionale-DGC (PN-DGC)

Sommario
1. Modalità di generazione delle certificazioni verdi COVID-19 
a. Vaccinazione 
b. Guarigione 
c. Test antigenico rapido o molecolare con esito negativo 
2. Modalità di revoca delle certificazioni verdi COVID-19
3. Regole di validazione delle certificazioni verdi COVID-19 
4. Processo di verifica tramite App 
5. Interoperabilità Europea 
6. Recupero AUTHCODE in modalità autonoma 
7. Recupero Certificazione per soggetti privi di Tessera Sanitaria

ALLEGATO C

Documento tecnico Sistema TS: funzionalità di acquisizione dati per le Certificazioni verdi COVID-19. Dati e relativo trattamento

Sommario
1. INTRODUZIONE
2. ACRONIMI E GLOSSARIO
3. DOCUMENTAZIONE CORRELATA
3.1 RIFERIMENTI NORMATIVI
3.2 DOCUMENTAZIONE TECNICA
4. SERVIZI PER LA COMUNICAZIONE DEGLI ESITI DEI TAMPONI ESEGUITI PRESSO STRUTTURE SANITARIE PUBBLICHE
4.1 DESCRIZIONE DEI SERVIZI
4.2 MODALITÀ DI FRUIZIONE
4.3 ACCESSO AI SERVIZI
4.4 TRACCIATI DEI SERVIZI
4.4.1 SERVIZIO DI INVIO ESECUZIONE TEST
4.4.2 SERVIZIO DI ANNULLAMENTO ESECUZIONE TEST
4.4.3 SERVIZIO DI ELENCO TEST EFFETTUATI
4.5 REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI APPLICATIVI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
5. SERVIZI PER LA COMUNICAZIONE DEGLI ESITI DEI TAMPONI E DEI CERTIFICATI DI GUARIGIONE DA PARTE DEI MEDICI
5.1 DESCRIZIONE DEI SERVIZI
5.2 MODALITÀ DI FRUIZIONE
5.3 ACCESSO AI SERVIZI
5.4 TRACCIATI DEI SERVIZI
5.4.1 SERVIZIO DI INVIO ESECUZIONE TEST
5.4.2 SERVIZIO DI ANNULLAMENTO ESECUZIONE TEST
5.4.3 SERVIZIO DI ELENCO TEST EFFETTUATI
5.4.4 SERVIZIO DI INVIO CERTIFICATO DI GUARIGIONE
5.4.5 SERVIZIO DI ANNULLAMENTO CERTIFICATO DI GUARIGIONE
5.4.6 SERVIZIO DI ELENCO CERTIFICATI DI GUARIGIONE INSERITI
5.5 REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI APPLICATIVI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
6. SERVIZI PER LA COMUNICAZIONE DEGLI ESITI DEI TAMPONI DA PARTE DELLE FARMACIE E DELLE STRUTTURE SANITARIE PRIVATE ACCREDITATE
6.1 DESCRIZIONE DEI SERVIZI
6.2 MODALITÀ DI FRUIZIONE
6.3 ACCESSO AI SERVIZI
6.4 TRACCIATI DEI SERVIZI
6.4.1 SERVIZIO DI INVIO ESECUZIONE TEST
6.4.2 SERVIZIO DI ANNULLAMENTO ESECUZIONE TEST
6.4.3 SERVIZIO DI ELENCO TEST EFFETTUATI 2
6.5 REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI APPLICATIVI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
7. SERVIZI PER LA COMUNICAZIONE DEI CERTIFICATI DI GUARIGIONE DA PARTE DEGLI OPERATORI SANITARI DELLE ASL / AZIENDE OSPEDALIERE
7.1 DESCRIZIONE DEI SERVIZI
7.2 MODALITÀ DI FRUIZIONE
7.3 ACCESSO AI SERVIZI
7.4 TRACCIATI DEI SERVIZI
7.4.1 SERVIZIO DI INVIO CERTIFICATO DI GUARIGIONE
7.4.2 SERVIZIO DI ANNULLAMENTO CERTIFICATO DI GUARIGIONE
7.4.3 SERVIZIO DI ELENCO CERTIFICATI DI GUARIGIONE INSERITI
7.5 REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI APPLICATIVI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
8. RECUPERO DATI DI CONTATTO PER LE SOMMINISTRAZIONI
8.1 MODALITÀ DI FRUIZIONE
8.2 ACCESSO AL SERVIZIO
8.3 TRACCIATO
8.4 REGISTRAZIONE DELLE TRASMISSIONI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
9. COMUNICAZIONE DATI INFEZIONE PREGRESSA O SUCCESSIVA VERSO AVN
9.1 MODALITÀ DI FRUIZIONE
9.2 ACCESSO AL SERVIZIO
9.3 TRACCIATO
9.4 REGISTRAZIONE DELLE TRASMISSIONI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
10. SERVIZIO PER IL RECUPERO DEGLI AUTHCODE ASSOCIATI AI DIGITAL GREEN CERTIFICATE DA PARTE DEGLI OPERATORI DELL CALL CENTER DEL MINISTERO DELLA SALUTE
10.1 DESCRIZIONE DEL SERVIZIO
10.2 MODALITÀ DI FRUIZIONE
10.3 ACCESSO E AUTORIZZAZIONE AL SERVIZIO
10.4 TRACCIATO DEL SERVIZIO
10.5 REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI APPLICATIVI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
11. SERVIZIO PER LA VERIFICA DELLO STATO DI EMISSIONE DEL DIGITAL GREEN CERTIFICATE DA PARTE DEGLI OPERATORI DEL MINISTERO DELLA SALUTE
11.1 DESCRIZIONE DEL SERVIZIO
11.2 MODALITÀ DI FRUIZIONE
11.3 ACCESSO E AUTORIZZAZIONE AL SERVIZIO
11.4 TRACCIATO DEL SERVIZIO
11.5 REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI APPLICATIVI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
12 RESTITUZIONE ALLE REGIONI E PROVINCE AUTONOME DEI DATI INVIATI PER IL DGC E IL RELATIVO STATO DI EMISSIONE
12.1 MODALITÀ DI FRUIZIONE
12.2 ACCESSO AL SERVIZIO
12.3 TRACCIATO
12.4 REGISTRAZIONE DELLE TRASMISSIONI E TEMPI DI CONSERVAZIONE
13 SERVIZI PER LA VERIFICA DEI DATI DA PARTE DELLA PN-DGC AI FINI DEL RECUPERO DGC
13.1 DESCRIZIONE DEI SERVIZI
13.2 MODALITÀ DI FRUIZIONE
13.3 ACCESSO AI SERVIZI
13.4 TRACCIATI DEI SERVIZI
13.5 REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI APPLICATIVI E TEMPI DI CONSERVAZIONE

ALLEGATO H

Modalità per il controllo automatizzato del possesso della Certificazione verde COVID-19

SOMMARIO
1. Introduzione
2. Verifica Certificazione verde COVID-19 tramite SDK
2.1 MODALITÀ DI DOWNLOAD DELLA SDK
2.2 MODALITÀ DI UTILIZZO DELLA SDK
3. Verifica Certificazione verde COVID-19 tramite NoiPA.
3.1 DESCRIZIONE DEL FLUSSO TRAMITE NOIPA
3.2 MODALITÀ DI UTILIZZO DA PARTE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
4. Verifica Certificazione verde COVID-19 tramite PORTALE INPS
4.1 SERVIZIO ESPOSTO DALLA PIATTAFORMA DGC
4.2 DESCRIZIONE DEL FLUSSO TRAMITE INPS
4.3 FRUIZIONE DEL SERVIZIO DA PARTE DI INPS
4.4 NUOVO SERVIZIO DI VERIFICA GREENPASS SU INPS
5. Verifica Certificazione verde COVID-19 mediante interoperabilità applicativa

Modifiche del DPCM 12 ottobre 2021 in blu / Testo Consolidato allegato (o al link DPCM 17 giugno 2021)

DPCM 17 Giugno 2021 Consolidato Settembre 2021

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Circolare DCPREV 14804 del 06 ottobre 2021

ID 14742 | | Visite: 7923 | Prevenzione Incendi

Circolare DCPREV 14804 del 06 ottobre 2021

Circolare DCPREV 14804 del 06 ottobre 2021 / Circolare Decreto Controlli PI

Circolare DCPREV 14804 del 06 ottobre 2021 recante "DM 1° settembre 2021 recante Criteri generali per il controllo e la manutenzione degli impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio, ai sensi dell'articolo 46, comma 3, lettera a) punto 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Primi chiarimenti"

...

Ai fini del corretto inquadramento delle attività trattate dalla nuova normativa si chiarisce che, ai sensi dell’art. 8, comma 1 del decreto del ministero dello sviluppo economico del 22 gennaio 2008, n. 37, sono esclusi dall’applicazione del DM 01/09/2021 gli interventi di manutenzione straordinaria relativi agli impianti indicati all’art. 1, comma 2 del predetto decreto 37/2008.

Per disciplinare in modo uniforme l’applicazione dei contenuti dell’allegato suddetto, la Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica, in accordo con i principali rappresentanti di categoria, ha predisposto il presente documento e le tre appendici recanti:

I. Caratteristiche dei docenti e dei centri di formazione
II. Programmi dei corsi di manutenzione sui presidi antincendio
III. Modello per la richiesta di ammissione all’esame di idoneità per il conseguimento della qualifica di manutentore qualificato

Si intendono per presidi antincendio gli “impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio”.

Nell’Appendice I, incentrata sulle caratteristiche dei docenti e dei centri di formazione, sono trattati i seguenti argomenti:

- Requisiti dei docenti
-- Aggiornamento dei docenti
-- Abilitazione dei docenti
- Individuazione dei soggetti formatori
-- Requisiti di natura generale: idoneità dell’area e disponibilità delle attrezzature
-- Formazione a distanza in modalità videoconferenza sincrona
- Elenco delle attrezzature necessarie per i soggetti formatori e le sedi di esame
- Individuazione dei requisiti delle sedi oggetto di esame di qualifica
-- Riconoscimento dei requisiti per le sedi di esame
-- Organizzazione degli esami

[...] Segue in allegato

Fonte: VVF

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Allegato riservato Circolare DCPREV 14804 del 06 ottobre 2021.pdf
 
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Fondo per le vittime dell'amianto 2021

ID 14748 | | Visite: 1863 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Fondo vittime amianto 2021

Fondo per le vittime dell'amianto 2021

Quali sono e come funzionano le prestazioni in favore dei soggetti colpiti da malattia asbesto-correlate e dei loro superstiti

Per le competenze attribuitegli dal legislatore in materia di malattie professionali, l’Inail svolge un ruolo centrale nella lotta all’amianto e, oltre agli indennizzi a favore dei lavoratori che hanno contratto patologie asbesto-correlate e dei loro superstiti, ne gestisce le problematiche negli ambiti della prevenzione, nell’accertamento dell’esposizione qualificata, nel sostegno economico ai piani di smaltimento delle imprese e nel controllo della situazione delle discariche, con politiche strategiche strutturali a breve, medio e lungo termine, che comprendono anche una costante attività di ricerca scientifica.

_______

Indice
Amianto, una questione sempre attuale
Il ruolo dell’Inail
Il Fondo per le vittime dell’amianto
L’estensione ai malati di mesotelioma non professionale
I beneficiari del Fondo
Il Comitato amministratore del Fondo
Il nostro impegno: più conoscenza e prestazioni migliori
Indirizzi e link dei soggetti rappresentati nel Comitato

...

Fonte: INAIL

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La direttiva quadro sulla SSL: Direttiva 89/391/CEE

ID 14725 | | Visite: 11349 | Documenti Riservati Sicurezza

La direttiva quadro sulla SSL   Direttiva 89 391 CEE

La direttiva quadro sulla SSL: Direttiva 89/391/CEE

ID 147125 | 13.10.2021 / Note e testo consolidato in allegato

La direttiva quadro europea 89/391/CEE sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, adottata nel 1989, ha rappresentato una tappa fondamentale nel miglioramento della salute e della sicurezza sul lavoro. Essa garantisce prescrizioni minime in materia di salute e sicurezza in tutta Europa, sebbene gli Stati membri siano autorizzati a mantenere o stabilire misure più severe.

Direttiva 89/391 ("direttiva quadro" sulla SSL)
del 12 giugno 1989 concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (in prosieguo: "direttiva quadro"). (GU L 183 del 29.6.1989)

Nel 1989, alcune disposizioni della direttiva quadro hanno apportato notevoli innovazioni, tra le quali:

- l'espressione "ambiente di lavoro" è stata coniata conformemente alla convenzione n°155/1981 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e indica un approccio moderno che tiene conto della sicurezza tecnica, nonché della prevenzione generale delle malattie;
- la direttiva mira a stabilire un equo livello di salute e sicurezza a vantaggio di tutti i lavoratori (le uniche eccezioni sono costituite da lavoratori domestici e da lavoratori che operano nel servizio pubblico o che prestano servizio militare);
- la direttiva obbliga i datori di lavoro ad adottare adeguate misure preventive per rendere il luogo di lavoro più sano e sicuro;
- la direttiva introduce quale elemento chiave il principio di valutazione dei rischi specificandone gli elementi principali (ad esempio, individuazione dei rischi, partecipazione dei lavoratori, introduzione di misure adeguate aventi come priorità l'eliminazione dei rischi alla fonte, documentazione e rivalutazione periodica dei rischi sul luogo di lavoro);
- il nuovo obbligo di mettere a punto misure preventive sottolinea implicitamente l'importanza di nuove forme di gestione della salute della sicurezza come parte dei processi di gestione generale.

Entro la fine del 1992 la direttiva quadro doveva essere recepita dalla legislazione nazionale. Le ripercussioni della recezione nei sistemi giuridici nazionali variano a seconda degli Stati membri. In alcuni Stati membri la direttiva quadro ha avuto notevoli conseguenze a livello giuridico, a causa dell'inadeguatezza della legislazione nazionale, mentre in altri non è stata avvertita la necessità di introdurre grandi adeguamenti.

Nel 2004 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione, COM(2004) 62, sull'attuazione pratica delle disposizioni delle direttive concernenti la salute e la sicurezza sul lavoro, vale a dire le direttive: 89/391 CEE (direttiva quadro), 89/654 CEE (luoghi di lavoro), 89/655 CEE (attrezzature di lavoro), 89/656 CEE (attrezzature di protezione individuale), 90/269 CEE (movimentazione manuale di carichi) e 90/270 CEE (attrezzature munite di videoterminale). Tale comunicazione metteva in luce come la legislazione europea avesse influito positivamente sulle norme nazionali in materia di sicurezza e salute sul lavoro, un'influenza che si rifletteva tanto nella legislazione attuativa nazionale quanto nell'applicazione pratica nelle industrie e nelle istituzioni del settore pubblico.

In termini generali, la relazione giungeva alla conclusione che la legislazione dell'UE aveva contribuito a infondere una cultura della prevenzione in tutto il territorio dell'Unione europea, nonché a razionalizzare e semplificare i sistemi legislativi nazionali. Nel contempo, tuttavia, la relazione evidenziava varie pecche nell'applicazione della legislazione, che ne determinavano il rallentamento nel pieno raggiungimento del suo potenziale, rilevando anche casi in cui erano state avviate procedure di infrazione.
...
segue in allegato

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Allegato riservato Direttiva quadro SSL Direttiva 89 391 CEE Rev. 00 2021.pdf
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27° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

ID 14740 | | Visite: 2177 | Decreti Sicurezza lavoro

27° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche 

ID 14740 | 13 Ottobre 2021

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto Direttoriale n. 63 del 12 Ottobre 2021

Con il Decreto direttoriale n. 63 del 12 Ottobre 2021, è stato adottato il ventisettesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del d.i. 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Elenco dei soggetti abilitati all’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, di cui all’Allegato VII del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

Il suddetto decreto è composto da quattro articoli:

Articolo 1 (Variazione delle abilitazioni)
Articolo 2 (Cancellazione dall’elenco dei soggetti abilitati)
Articolo 3 (Elenco dei soggetti abilitati)
Articolo 4 (Obblighi dei soggetti abilitati)

Fonte: MPLS

Tutti gli elenchi pubblicati
D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature
Consulta il database dei Soggetti abilitati 

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Slides linee guida funzione pubblica-salute verifica certificazione verde PA

ID 14735 | | Visite: 2114 | News Sicurezza

Slides verifica green pass PA

Slides linee guida funzione pubblica-salute verifica certificazione verde PA

ID 14735 | 12.10.2021 / Slides in allegato

Con il decreto legge 127/2021 l’obbligo di green pass è stato esteso, a decorrere dal 15 ottobre, a tutti i lavoratori pubblici e privati. I ministri per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, e della Salute, Roberto Speranza, ai sensi dell’articolo 1, comma 5, del Dl, hanno messo a punto le linee guida operative per fornire alle amministrazioni pubbliche italiane le indicazioni per un omogeneo svolgimento delle attività di verifica e controllo del possesso del green pass. Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha infine firmato il 12 ottobre il Dpcm per la loro adozione.

In allegato Slide illustrative dei contenuti delle linee guida in materia di condotta delle pubbliche amministrazioni per l’applicazione della disciplina in materia di obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde covid-19 da parte del personale

Indice slides

- Obbligo di green pass: contenuto ed esclusioni
- Modalità e soggetti preposti al controllo
- Controlli manuali, automatizzati e a campione
- Flessibilità degli orari di ingresso e di uscita
- Trasporti

"Con le linee guida sul green pass, adottate oggi dal Presidente Draghi con Dpcm, e con il mio decreto sul rientro in presenza, si completa la cornice per garantire dal 15 ottobre il ritorno della Pubblica amministrazione alla sua piena operatività, a partire dagli sportelli e dal back office. Grazie alle vaccinazioni l’Italia recupera una nuova normalità, fatta di relazione, innovazione ed efficienza dei servizi a cittadini e imprese. Il rinnovo dei contratti, le assunzioni e la definizione dei Piani integrati di attività e organizzazione (Piao) saranno altra linfa per rafforzare la capacità amministrativa e concretizzare il percorso di riforme e di investimenti avviato con il Pnrr”.

È quanto sottolinea il Ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, dopo che il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha firmato il decreto di adozione delle “Linee guida in materia di condotta delle pubbliche amministrazioni per l’applicazione della disciplina in materia di obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde Covid-19 da parte del personale”, su proposta del Ministro Brunetta e del Ministro della Salute, Roberto Speranza.

Le linee guida, previste dal decreto legge 127/2021 e validate dalla Conferenza Unificata del 7 ottobre, chiariscono che l’obbligo di possedere ed esibire il green pass come condizione per il primo accesso al luogo di lavoro riguarderà dal 15 ottobre non soltanto tutti i dipendenti pubblici, con la sola eccezione degli esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica, ma anche tutti coloro che accedono alle strutture pubbliche per svolgere qualsiasi attività, dai corrieri ai baristi degli spacci interni. L’obbligo non si applicherà, invece, agli utenti dei servizi.

Ogni ente sarà autonomo nell’organizzare i controlli. Le amministrazioni potranno avvalersi di diverse nuove funzionalità, così come della app “VerificaC19” già disponibile gratuitamente sulle principali piattaforme.

Sulla base dell’articolo 3 del decreto legge 139/2021 dell’8 ottobre, inoltre, in caso di richiesta da parte del datore di lavoro derivante da specifiche esigenze organizzative, i lavoratori saranno tenuti a comunicare il possesso del green pass con un preavviso necessario a soddisfare la necessità di un’efficace programmazione del lavoro. Se si dovesse prospettare una interruzione di servizio essenziale, il Sindaco o il datore di lavoro per le altre amministrazioni potrà prevedere d’urgenza convenzioni tra enti o ricorrere alla mobilità.

...

Fonte: Dipartimento della funzione pubblica

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Renaloccam. Sistema di monitoraggio delle neoplasie a bassa frazione eziologica

ID 14721 | | Visite: 1897 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Renaloccam 2021

Renaloccam. Il sistema di monitoraggio delle neoplasie a bassa frazione eziologica - Manuale operativo

ID 14721 | 11.10.2021 / In allegato Manuale e schede

INAIL, 2021

“La monografia presenta i risultati dell’attività scientifica frutto dell’Accordo di collaborazione fra Inail e Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica di Firenze finalizzata all’attuazione del sistema di monitoraggio per la sorveglianza epidemiologica dei tumori professionali a bassa frazione eziologica previsto dall’art.244 del d.lgs. 81/2008 e s.m.i. .

Il materiale in esso contenuto rappresenta il testo di riferimento per i Centri Operativi Regionali (COR-TP) e gli operatori dei Servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro (SPSAL) per la raccolta dell’anamnesi e dell’eziologia finalizzata all’identificazione del caso e l’accertamento dell’origine professionale”.

Il d.lgs. 81/2008, in attuazione dell’art. 1 della l. 123/2007, ha riordinato il quadro normativo di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

In particolare per i temi della sorveglianza epidemiologica e della registrazione dei tumori di origine professionale, la norma prevede all’art. 244 l’istituzione di un Registro nazionale dei casi di neoplasia di sospetta origine professionale presso l’Inail, con un ruolo centrale delle Regioni e Province autonome attraverso i Centri operativi regionali (COR) nell’identificazione dei casi e nella definizione delle circostanze di esposizione professionale coinvolte nell’eziologia.

All’Inail sono assegnati i ruoli di destinatario dei flussi e di ente di riferimento per l’intero sistema nazionale.

Il Registro nazionale dei casi di neoplasia di sospetta origine professionale si articola in tre sezioni:

- Registro nazionale dei mesoteliomi (ReNaM);
- Registro nazionale dei tumori nasali e sinusali (ReNaTuNS);
- Registro nazionale delle neoplasie a bassa frazione eziologica (ReNaLOCCAM).

I registri dei tumori professionali ad alta frazione eziologica (ReNaM e ReNaTuNS) hanno iniziato la loro attività già da qualche anno e il flusso per la rilevazione dei dati è ormai consolidato. La ricerca attiva dei tumori professionali a bassa frazione eziologica, invece, presenta difficoltà ad avviarsi a causa della componente eziologica professionale più bassa rispetto ai mesoteliomi e ai tumori naso-sinusali e al gettito complessivo di casi per anno molto rilevante (tumori del polmone, della vescica, della laringe, leucemie e linfomi, oltre ai carcinomi cutanei e ai melanomi) [1,2].

L’obiettivo di questo manuale è standardizzare le procedure del flusso informativo che comprende la raccolta dei dati e la stima dei rischi per sede neoplastica e comparto lavorativo, e l’approfondimento delle occasioni di esposizione. Tale approfondimento, momento fondamentale per la definizione del caso, prevede la scelta di criteri per la selezione dei casi da analizzare, la raccolta di informazioni aggiuntive acquisite mediante apposita intervista, la definizione dell’esposizione per l’accertamento dell’origine professionale.

Questo volume intende rappresentare un testo di riferimento per i Centri operativi regionali (COR-TP) che si accingono ad avviare metodi di ricerca attiva per l’identificazione dei casi di tumore a bassa frazione eziologica utilizzando i risultati prodotti con il metodo noto in letteratura come OCCAM (OCcupational CAncer Monitoring).

Saranno presentati il funzionamento del sistema di monitoraggio dall’acquisizione dei dati, l’analisi dei rischi per sede e comparto fino all’approfondimento dei profili di esposizione.

Verrà reso disponibile agli operatori dei Servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro (SPSAL), che svolgono un ruolo determinante nel quadro della sorveglianza epidemiologica delle neoplasie professionali e lavoro-correlate, del materiale tecnico come questionari per la raccolta dell’anamnesi e dell’eziologia per facilitare la loro attività di recupero attivo dei ‘tumori professionali perduti’.

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Indice

Presentazione
Introduzione
Il sistema di monitoraggio dei rischi oncogeni occupazionali
Il progetto OCCAM
Le fonti di dati
Le schede di dimissione ospedaliera
I registri tumori di popolazione
Gli archivi dei decessi per causa
L’anagrafe sanitaria degli assistiti
Gli archivi contributivi dell’Inps
I limiti delle fonti dati
La selezione dei casi
La selezione dei controlli
L’acquisizione delle storie lavorative e la stima della potenziale esposizione
La base dello studio e la stima del rischio relativo
La trasmissione al COR-TP delle storie lavorative
Indicazioni per gli approfondimenti dei risultati dell’analisi statistica
La preparazione e la gestione dell’intervista
La somministrazione dei questionari
Il questionario generale per il monitoraggio dei tumori
Le schede specifiche per comparto/mansione per l’approfondimento dei profili di esposizione professionale
Criteri per la definizione e la codifica dell’esposizione agli agenti cancerogeni coinvolti
Criteri di definizione dell’esposizione
Conclusioni
Appendici
Appendice I - Protocollo di acquisizione dei dati sanitari e di popolazione secondo il metodo OCCAM
Appendice II - Settori lavorativi classificati in potenzialmente esposti e potenzialmente non esposti secondo il metodo OCCAM
Appendice III - Lettera di invito a partecipare al sistema di monitoraggio dei rischi oncogeni
Appendice IV - Il disagio psicologico nei pazienti oncologici
Appendice V - Questionario generale per il monitoraggio dei tumori professionali
Appendice VI - Questionari di approfondimento dei profili di esposizione professionale per comparto e/o mansione
Appendice VII - Elenco schede per comparto da utilizzare per la definizione del profilo di esposizione
Appendice VIII - Attribuzione dell’esposizione ai principali sospetti agenti causali per sede neoplastica secondo la Iarc (categorie 1 e 2A) e Inail (lista I e II)
Appendice IX - Modello di segnalazione del tumore professionale dal COR-TP all’Inail (Art. 244 del d.lgs. 81/2008)
Appendice X - I Centri operativi regionali (COR-TP) del Registro nazionale dei tumori a più bassa frazione eziologica
Appendice XI - La creatività dei ragazzi e la ricerca scientifica al servizio della prevenzione dei tumori professionali
Allegati
Allegato 1 - Il d.lgs. 81/2008, art. 244
Allegato 2 - Convenzione Inail-Inps 2019 - 2021 per la trasmissione dei dati di cui all’art. 244 del d.lgs. 81/2008 e successive modificazioni e integrazioni
Riferimenti
Bibliografia
Sitografia
Riferimenti normativi

...

In allegato

0. Renaloccam. Il sistema di monitoraggio delle neoplasie a bassa frazione eziologica - Manuale operativo
1. Agricoltura e allevamento animale
2. Benzinai
3. Calzature e relative parti e accessori
4. Cantieristica navale
5. Ceramica
6. Chimica di base
7. Concia
8. Costruzione, riparazione, demolizione di materiale rotabile ferroviario
9. Edilizia
10. Elettricisti
11. Esercizio ferroviario
12. Forestali
13. Galvanica
14. Gomma - compresa la gomma termoplastica
15. Impiegati
16. Industria – questionario professionale generale
17. Industria del vetro
18. Industria tipografica
19. Lavanderia
20.Lavoro in attività sanitarie, infermieri, medici e altri addetti alla sanità
21. Orafi
22. Parrucchieri, estetiste
23. Pelletterie
24. Plastica - compreso il poliuretano – PU
25. Portuali
26. Preparazione e cottura dei cibi
27. Produzione di pasta di cellulosa, carta e cartone
28. Siderurgia - fonderie di prima fusione
29. Siderurgia - fonderie di seconda fusione
30. Tessile
31. Trasporti - compresi i rappresentanti o i viaggiatori di commercio
32. Trattoristi

...

Fonte: INAIL

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Decreto 14 ottobre 2021

ID 14827 | | Visite: 5578 | Prevenzione Incendi

RTV  edifici tutelati

Decreto 14 ottobre 2021 / RTV edifici tutelati

25.10.2021 / Codice di Prevenzione incendi - Nuovo Cap. V.12 - RTV Edifici tutelati

Con il Decreto 14 ottobre 2021, nella sezione V «Regole tecniche verticali» del Codice di Prevenzione Incendi, decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, è aggiunto il capitolo «V.12 - Altre attività in edifici tutelati».

Ministero dell'Interno

Decreto 14 ottobre 2021
Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per gli edifici sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, aperti al pubblico, contenenti una o piu' attivita' ricomprese nell'allegato I al decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, ivi individuate con il numero 72, ad esclusione di musei gallerie, esposizioni, mostre, biblioteche e archivi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.

(GU n.255 del 25.10.2021)

Entrata in vigore: 24.11.2021

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Art. 1. Nuove norme tecniche di prevenzione incendi per edifici sottoposti a tutela

1. Sono approvate le norme tecniche di prevenzione incendi di cui all’allegato 1, che costituisce parte integrante del presente decreto, per gli edifici sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, aperti al pubblico, contenenti una o più attività ricomprese nell’allegato I al decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, ivi individuate con il numero 72, ad esclusione di musei, gallerie, esposizioni, mostre, biblioteche e archivi.

Art. 2. Campo di applicazione

1. Le norme tecniche di cui all’art. 1 si possono applicare agli edifici sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, aperti al pubblico, contenenti una o più attività ricomprese nell’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, ivi individuate con il numero 72, ad esclusione di musei, gallerie, esposizioni, mostre, biblioteche e archivi, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto ovvero a quelle di nuova realizzazione.
2. Le norme tecniche di cui all’art. 1 si possono applicare in combinazione alle pertinenti regole tecniche verticali contenute nella sezione V, allegato 1, del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015.

Art. 3. Modifiche al decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015

1. All’art. 2, comma 1, del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, dopo il numero «72,» la dicitura: «limitatamente agli edifici sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, aperti al pubblico, destinati a contenere musei, gallerie, esposizioni, mostre, biblioteche e archivi;» è soppressa.
2. All’allegato 1 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, nella sezione V «Regole tecniche verticali», è aggiunto il seguente capitolo «V.12 - Altre attività in edifici tutelati», contenente le norme tecniche di prevenzione incendi per gli edifici sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, aperti al pubblico, contenenti una o più attività ricomprese nell’allegato I al decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, ad esclusione di musei, gallerie, esposizioni, mostre, biblioteche e archivi, di cui all’art. 1.

Art. 4. Norme finali

1. Il presente decreto entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

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Nuove misure a tutela del lavoro: Decreto Legge 21 ottobre 2021 n. 146

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Nuove misure a tutela del lavoro Decreto Legge 21 ottobre 2021 n  146

Nuove misure a tutela del lavoro: Decreto Legge 21 ottobre 2021 n. 146

MLPS, 22 ottobre 2021

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 21 ottobre 2021, n. 146 recante "Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili".

Di seguito le principali novità disposte dal provvedimento in materia di lavoro e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato (art. 8)

Intervenendo sull'art. 26 del D.L. n. 18/2020 (convertito con modificazioni in L. n. 27/2020), il nuovo Decreto Legge prevede che:

- fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia e non è computabile ai fini del periodo di comporto (art. 26, comma 1, D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni in L. n. 27/2020);
- dal 31 gennaio 2020 al 31 dicembre 2021 per le tutele disposte dall'art. 26 del D.L. n. 18/2021, i datori di lavoro del settore privato, con obbligo previdenziale presso le Gestioni dell'INPS (eccetto i datori di lavoro domestico), hanno diritto ad un rimborso forfettario per gli oneri sostenuti relativi ai propri lavoratori dipendenti non aventi diritto all'assicurazione economica di malattia presso l'INPS. In particolare, per ciascun anno solare, è riconosciuto il rimborso di euro 600,00 una tantum per ogni singolo lavoratore e solo nei casi in cui la prestazione lavorativa non possa essere svolta in smartworking (art. 26, comma 7 bis, D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni in L. n. 27/2020).

Congedi parentali (art. 9)

- fino al 31 dicembre 2021, il lavoratore dipendente genitore di figlio convivente minore di 14 anni, alternativamente all'altro genitore, può astenersi dal lavoro per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla sospensione dell'attività didattica o educativa in presenza, alla durata dell'infezione da SARS-CoV-2 del figlio, nonché alla durata della quarantena del figlio a seguito di contatto ovunque avvenuto. Il medesimo beneficio è riconosciuto ai genitori con figli con disabilità in situazione di gravità (art. 3, comma 3, L. n. 104/1992), a prescindere dall'età del figlio, per la durata dell'infezione da SARS-CoV-2 del figlio, nonché per la durata della quarantena oppure in caso di sospensione dell'attività didattica o educativa in presenza o in caso di chiusura di centri diurni a carattere assistenziale frequentati dal figlio. Inoltre, tale congedo può essere fruito in forma giornaliera o oraria e, per i periodi di astensione, è riconosciuta in luogo della retribuzione, un'indennità pari al 50% della retribuzione, con copertura della contribuzione figurativa (commi 1 e 2);
- gli eventuali periodi di congedo parentale (di cui agli articoli 32 e 33 del D.Lgs. n. 151/2001), fruiti dai genitori a decorrere dall'inizio dell'anno scolastico 2021/2022 fino alla data di entrata in vigore del Decreto Legge, durante i periodi di sospensione dell'attività didattica o educativa in presenza o di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale, per la durata dell'infezione da SARS-CoV-2 o di quarantena del figlio, possono essere convertiti nel congedo di sopra descritto, con diritto alla relativa indennità, e non sono computati, né indennizzati a titolo di congedo parentale (comma 3);
- in caso di figli di età compresa fra 14 e 16 anni, uno dei genitori, alternativamente all'altro, ha diritto, al ricorrere delle condizioni sopra descritte (comma 1, primo periodo), di astenersi dal lavoro senza corresponsione di retribuzione o indennità, né riconoscimento di contribuzione figurativa, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro (comma 4);
- i genitori lavoratori iscritti in via esclusiva alla Gestione separata (art. 2, comma 26, L. 335/1995) hanno diritto a fruire di uno specifico congedo per i figli conviventi minori di 14 anni, con riconoscimento di un'indennità. La medesima indennità è estesa ai genitori lavoratori autonomi iscritti all'INPS (comma 6).

Trattamenti di integrazione salariale in caso di sospensione o riduzione dell'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica e blocco dei licenziamenti per motivi economici (art. 11)

I datori di lavoro indicati all'art. 8, comma 2, del Decreto Sostegni (D.L. n. 41/2021, convertito con modificazioni in L. n. 69/2021) possono presentare - per i lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del presente Decreto Legge - domanda di Assegno ordinario e di Cassa Integrazione salariale in deroga (di cui agli articoli 19, 21, 22 e 22-quater del D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni in L. n. 27/2020) per una durata massima di 13 settimane nel periodo tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2021, senza versamento di contributo addizionale (comma 1). Il trattamento spetta ai datori a cui sia stato già autorizzato interamente il periodo di 28 settimane di cui all'art. 8, comma 2, del Decreto Sostegni (comma 3);

i datori di lavoro di cui all'art. 50 bis, comma 2, del Decreto Sostegni bis (D.L. n. 73/2021, convertito con modificazioni in L. n. 106/2021) possono presentare - per i lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del presente Decreto Legge - domanda di trattamento ordinario di integrazione salariale (di cui agli artt. 19 e 20 del D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni in L. n. 27/2020) per una durata massima di 9 settimane nel periodo tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2021, senza versamento di contributo addizionale (comma 2). Il trattamento spetta decorso il periodo autorizzato ai sensi dell'art. 50 bis, comma 2, del Decreto Sostegni bis (comma 3);

i Fondi di solidarietà bilaterali alternativi (art. 27 del D.Lgs. n. 148/2015) provvedono ad erogare l'Assegno ordinario secondo le modalità previste dal presente Decreto Legge (comma 6);

ai datori di lavoro sopra menzionati, per la durata della fruizione del trattamento, resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della L. n. 223/1991, nonché - indipendentemente dal numero dei dipendenti – il recesso dal contratto per giustificato motivo oggettivo (art. 3, L. n. 604/1966), con sospensione delle procedure in corso di cui all'art. 7 della L. n. 604/1966. Tali preclusioni e sospensioni non trovano applicazione nelle ipotesi di: licenziamenti per cessazione definitiva dell'attività oppure per cessazione dell'attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività ai sensi dell'art. 2112 del Codice civile; accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo; fallimento (commi 7 e 8).

Integrazione salariale per i lavoratori Alitalia in amministrazione straordinaria (art. 10)

al fine di garantire la continuità del sostegno al reddito, si dispone che il trattamento di integrazione salariale di cui all'art. 7, comma10 ter, del D.L. n. 148/1993 (convertito con modificazioni in L. n. 236/1993) è concesso ai lavoratori dipendenti di Alitalia Sai e Alitalia Cityliner in amministrazione straordinaria per una durata complessiva di 12 mesi (comma 1);

il Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale è incrementato di 212,2 milioni di euro per l'anno 2022 (comma 2).

Infine, si segnalano le disposizioni introdotte dal nuovo Decreto Legge, in modifica del D.Lgs. n. 81/2008, in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 13).

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Fonte: MLPS

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Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede al 30 Settembre 2021

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Scheda Dati denunce INAIL COVID   30 09 2021

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede al 30 Settembre 2021

INAIL, 22 ottobre 2021

Covid-19, nel 2021 in forte calo l’impatto del virus su infortuni sul lavoro e casi mortali

20esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale Inail: tra gennaio e settembre l’incidenza media delle infezioni di origine professionale sul totale delle denunce pervenute all’Istituto è scesa a una su 12. Nel 2020 era il triplo. Dall’inizio della pandemia denunciati 181.636 contagi e 762 decessi.

Se nel 2020 l’incidenza media delle denunce da Covid-19 sul totale di tutti gli infortuni sul lavoro segnalati all’Inail è stata di una ogni quattro, nei primi nove mesi di quest’anno è scesa a una su 12. A rilevarlo è il 20esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale Inail, pubblicato oggi insieme alle nuove schede di approfondimento regionali, che sottolinea come sia calata anche l’incidenza dei decessi provocati dal virus sul totale dei casi mortali, passata da circa una denuncia su tre nel 2020 a una su cinque quest’anno. Il 2021, con 33.610 contagi di origine professionale denunciati, pesa al momento il 18,5% sul totale degli infortuni da Covid-19 pervenuti da inizio pandemia. Rispetto ai primi nove mesi del 2020, in particolare, i casi di contagio rilevati tra gennaio e settembre di quest’anno, benché non consolidati, sono in calo del 40%, quelli mortali del 43,4%.

Rispetto al monitoraggio di fine agosto l’incremento è dello 0,9%. Le infezioni da Covid-19 di origine professionale denunciate all’Istituto dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 30 settembre sono 181.636. Rispetto ai 179.992 casi registrati dal monitoraggio del mese precedente, le denunce in più sono 1.644 (+0,9%), di cui 596 riferite a settembre e 331 ad agosto 2021. Gli altri 717 casi sono per il 57% riferiti agli altri mesi di quest’anno e il restante 43% al 2020. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni e nei mesi precedenti. I decessi sono 762, 15 in più rispetto al monitoraggio mensile di fine agosto, e concentrati soprattutto nel 2020, che raccoglie quasi tre quarti (72,6%) di tutti i casi mortali da contagio segnalati all’Inail alla data dello scorso 30 settembre, con aprile (194 deceduti) e marzo (140) ai primi due posti. Il 2021, con 209 decessi da Covid-19 nei primi nove mesi, pesa invece al momento per il 27,4% sul totale dei casi mortali da nuovo Coronavirus pervenuti all’Istituto da inizio pandemia. A morire sono soprattutto gli uomini (82,9%) e i lavoratori nella fascia di età 50-64 anni (71,8%), con un’età media dei deceduti di 58,5 anni (57 per le donne, 59 per gli uomini).

Più di quattro denunce su 10 nella fascia 50-64 anni. Allargando l’analisi a tutte le infezioni di origine professionale, l’età media dei contagiati scende a 46 anni per entrambi i sessi, con il 42,5% delle denunce nella fascia 50-64 anni, il 36,6% in quella 35-49 anni, il 18,9% tra gli under 35 e il 2% tra gli over 64, e il rapporto tra i generi si inverte. La quota femminile, infatti, è pari al 68,4% e supera quella maschile in tutte le regioni, con le sole eccezioni della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove l’incidenza delle lavoratrici sul complesso dei contagi sul lavoro è, rispettivamente, del 48,5%, 46,0% e 44,3%. L’86,4% delle denunce riguarda lavoratori italiani, percentuale che sale al 90,7% per i casi mortali. Tra gli stranieri, le comunità più colpite sono quella rumena (con il 20,9% dei lavoratori stranieri contagiati), peruviana (12,6%), albanese (8,1%), moldava (4,6%) ed ecuadoriana (4,1%). Per quanto riguarda i casi mortali, invece, con il 15,5% dei decessi occorsi agli stranieri, la comunità peruviana precede quelle albanese (12,7%) e rumena (8,5%).

I maggiori aumenti percentuali nelle province di Trapani, Ragusa e Potenza. A livello territoriale il 42,5% delle denunce è concentrato nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 25,2%), seguito dal Nord-Est con il 24,6% (Veneto 10,6%), dal Centro con il 15,3% (Lazio 6,7%), dal Sud con il 12,8% (Campania 5,9%) e dalle Isole con il 4,8% (Sicilia 3,2%). Le province con il maggior numero di contagi sul lavoro dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono Milano (9,6%), Torino (6,9%), Roma (5,3%), Napoli (4,0%), Brescia, Verona e Varese (2,5% ciascuna), Genova (2,4%) e Bologna (2,3%). Prendendo in considerazione solo l’ultimo mese di rilevazione, la provincia che ha registrato il maggior numero di infezioni di origine professionale è quella di Roma, seguita da Milano, Napoli, Palermo, Potenza, Catania, Monza e Brianza, Torino e Savona. Le province che hanno fatto segnare i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di agosto, non per contagi avvenuti nel mese di settembre ma per il consolidamento dei dati in mesi precedenti, sono però quelle di Trapani (+8,6%), Ragusa (+5,5%), Potenza (+4,8%), Agrigento (+4,3%), Siracusa (+4,2%), Vibo Valentia (+3,8%), Bologna e Catania (+3,7% per entrambe).

A Roma e Napoli il primato negativo di casi mortali. Con il 37,0% dei decessi denunciati (prima la Lombardia con il 25,3%), al Nord-Ovest spetta anche il primato negativo per numero dei casi mortali. Seguono il Sud con il 25,7% (Campania 12,9%), il Centro con il 17,9% (Lazio 10,6%), il Nord-Est con il 12,7% (Emilia Romagna 6,4%) e le Isole con il 6,7% (Sicilia 5,6%). Nel confronto con il dato complessivo dei contagi sul lavoro segnalati all’Inail dall’inizio della pandemia, per i casi mortali si osserva una quota più elevata al Sud (25,7% contro il 12,8% riscontrato nelle denunce totali) e un’incidenza inferiore nel Nord-Est (12,7% rispetto al 24,6%). Le province con più decessi sono Roma e Napoli (con il 7,7% ciascuna), Milano (6,7%), Bergamo (6,6%), Brescia e Torino (4,1% ciascuna), Cremona (2,5%), Genova (2,4%), Bari e Caserta (2,2% ciascuna), Palermo e Parma (2,1% ciascuna).

Quasi tutti i contagi nella gestione assicurativa dell’Industria e servizi. Quasi tutti i contagi sul lavoro e la netta maggioranza dei decessi (rispettivamente 96,9% e 88,0%) riguardano l’Industria e servizi, con gli altri casi distribuiti nelle gestioni assicurative per Conto dello Stato (amministrazioni centrali dello Stato, scuole e università statali), Agricoltura e Navigazione. Sono circa tremila, in particolare, le denunce di infezioni di origine professionale di insegnanti, professori e ricercatori di scuole di ogni ordine e grado e di università statali e private, riconducibili sia alla gestione dei dipendenti del Conto dello Stato sia al settore Istruzione della gestione Industria e servizi.

Dopo la sanità e assistenza sociale, trasporti e manifatturiero al secondo e terzo posto per numero di decessi. Tra le attività produttive coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – si conferma al primo posto, con il 65,1% delle denunce e il 22,7% dei decessi codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,2% delle infezioni e il 10,5% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono il noleggio e servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il trasporto e magazzinaggio, il manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), e le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale). Concentrando l’attenzione sui casi mortali denunciati in ciascun settore, spiccano in particolare le percentuali del trasporto e magazzinaggio e del manifatturiero, rispettivamente al secondo e al terzo posto con il 13,1% e l’11,6% dei decessi, e quelle del commercio all’ingrosso e al dettaglio (10,1%) e delle costruzioni (7,0%).

Il trend nei vari settori produttivi. Rispetto al 2020, nei primi nove mesi del 2021 si riscontrano, però, alcune differenze nell’evoluzione dei contagi in vari settori produttivi. La sanità e assistenza sociale è stata caratterizzata da un numero di infortuni da Covid-19 in costante discesa, registrando nel mese di giugno il suo livello minimo, con circa 60 infortuni (erano 400 a giugno 2020), per poi risalire lievemente nei due mesi successivi e rallentare di nuovo a settembre, benché i dati siano ancora provvisori. A partire dallo scorso febbraio l’incidenza della sanità e assistenza sociale sul totale dei casi si è ridotta, ma l’ultimo trimestre mostra segnali di ripresa. Altri comparti produttivi, come il trasporto e magazzinaggio, gli alberghi e ristoranti e il commercio, quest’anno hanno invece registrato incidenze di contagi professionali in crescita rispetto al 2020, con l’eccezione del mese di settembre, che è caratterizzato da un calo.

L’analisi per professione dell’infortunato. Dall’analisi per professione dell’infortunato emerge che oltre un quarto dei decessi (26,3%) riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale. La categoria dei tecnici della salute, in particolare, è quella più colpita dai contagi, con il 37,4% delle denunce complessive, l’82,7% delle quali relative a infermieri, e il 9,8% dei casi mortali codificati (il 67,1% infermieri). Seguono gli operatori socio-sanitari con il 18,2% delle denunce (e il 3,9% dei decessi), i medici con l’8,5% (5,2% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 6,9% (2,5% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (3,3% dei decessi). Tra le altre professioni coinvolte spiccano gli impiegati amministrativi, con il 4,6% delle denunce e il 10,2% dei casi mortali, gli addetti ai servizi di pulizia (2,3% dei contagi e 2,1% dei decessi), i conduttori di veicoli (1,3% dei contagi e 8,0% dei decessi) e gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia (0,9% dei contagi e 2,7% dei decessi).

Da febbraio osservata una flessione significativa del fenomeno. Anche rispetto alla professione dei lavoratori contagiati si osserva in generale un calo significativo delle denunce a partire da febbraio di quest’anno, con incidenze in riduzione per alcune categorie, tra le quali le professioni sanitarie che nell’ultimo trimestre mostrano, però, segnali di ripresa delle infezioni. Altre professioni, con il ritorno alle attività, hanno visto invece aumentare l’incidenza dei casi di contagio rispetto allo scorso anno. È il caso, per esempio, degli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali, degli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta e degli insegnanti di scuola primaria.

Fonte: INAIL

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Circolare DCPREV n. 15472 del 19 Ottobre 2021

ID 14781 | | Visite: 6618 | Prevenzione Incendi

Circolare DCPREV n  15472 del 19 Ottobre 2021

Circolare DCPREV n. 15472 del 19 Ottobre 2021 / Chiarimenti DM 2 settembre 2021

Circolare DCPREV n. 15472 del 19 Ottobre 2021 recante "DM 2 settembre 2021 - Primi chiarimenti"

Oggetto: DM 2 settembre 2021 recante "Criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, ai sensi dell'articolo 46, comma 3, lettera a), punto 4 e lettera b) del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81". Primi chiarimenti

Nella GU n. 237 del 4 ottobre 2021 è stato pubblicato il decreto interministeriale in oggetto. Al riguardo, si chiarisce quanto segue.

Il nuovo provvedimento, attuativo dell'art. 46 comma 3 del d.lgs 81/2008 per lo specifico argomento della gestione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro, si colloca nel quadro normativo in continuità con le recenti regole tecniche di prevenzione incendi e, in particolare, con il capitolo S.5 del DM 3 agosto 2015 e smi (Codice di prevenzione incendi), riferendosi ai due aspetti fondamentali della gestione della sicurezza antincendio in esercizio ed in emergenza. Dalla lettura dell'articolato e degli allegati emergono altri riferimento al Codice di prevenzione incendi, in particolare quello degli "occupanti" anzichè al numero dei lavoratori quale parametro per stabilire l'obbligo di alcuni adempimenti e l'inclusività, con il richiamo ad esplicitare sistematicamente nel piano di emergenza le specifiche indicazioni per le persone con esigenze speciali.

Il provvedimento, che entrerà in vigore un anno dopo la sua pubblicazione, fornisce inoltre le indicazioni relative alla informazione e alla formazione dei lavoratori, alla formazione, all'aggiornamento e alle modalità di designazione degli addetti antincendio, introducendo un'apposita sezione sui requisiti dei docenti per gli addetti alla lotta antincendio e alla gestione delle emergenze. Il decreto si compone dell'articolato e di cinque allegati così suddivisi:

I. Gestione della sicurezza antincendio in esercizio
II. Gestione della sicurezza antincendio in emergenza
III. Corsi di formazione e aggiornamento antincendio per addetti al servizio antincendio
IV. Idoneità tecnica degli addetti al servizio antincendio
V. Corsi di formazione e di aggiornamento dei docenti dei corsi antincendio

Nel rinviare alla lettura del decreto stesso per l'approfondimento di tutti gli argomenti, si ritiene opportuno evidenziarne gli aspetti principali, anche in relazione alle novità introdotte rispetto ala precedente normativa.

[...] Segue in allegato

Fonte: VVF

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Modello PARE: Programma Aziendale di Riduzione dell’Esposizione (PARE) al rumore UNI 11347:2015

ID 14541 | | Visite: 7693 | Documenti Riservati Sicurezza

PARE  Programma Aziendale di Riduzione dell Esposizione al rumore  conforme UNI 11347 2015

Modello PARE: Programma Aziendale di Riduzione dell’Esposizione (PARE) al rumore / Conforme UNI 11347:2015

ID 14541 | 15.09.2021 / Documento e Modello PARE allegato

Il PARE (Programma Aziendale di Riduzione dell’Esposizione al rumore) deve essere elaborato ed adottato da un'azienda per il rischio rumore ai sensi dell'Art. 190 c. 2 dal D.Lgs. 81/2008 nel caso in cui sono superati i valori di azione superiore.

Il PARE riporta gli interventi tecnici e organizzativi che possono essere adottati dall’azienda per ridurre l’esposizione al rischio nelle aziende con rumorosità superiore ai valori previsti dalla legislazione vigente nonché identificare le aree di lavoro a maggior rumorosità al fine della loro delimitazione, segnalazione e restrizione all’accesso. 

La norma UNI 11347:2015 Acustica - Programmi aziendali di riduzione dell'esposizione a rumore nei luoghi di lavoro, è il riferimento di buona tecnica per l'elaborazione del PARE

D.Lgs. 81/2008

Art. 192 - Misure di prevenzione e protezione

1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 182, il datore di lavoro elimina i rischi alla fonte o li riduce al minimo mediante le seguenti misure:

a) adozione di altri metodi di lavoro che implicano una minore esposizione al rumore;
b) scelta di attrezzature di lavoro adeguate, tenuto conto del lavoro da svolgere, che emettano il minor rumore possibile, inclusa l'eventualità di rendere disponibili ai lavoratori attrezzature di lavoro conformi ai requisiti di cui al titolo III, il cui obiettivo o effetto è di limitare l'esposizione al rumore;
c) progettazione della struttura dei luoghi e dei posti di lavoro;
d) adeguata informazione e formazione sull'uso corretto delle attrezzature di lavoro in modo da ridurre al minimo la loro esposizione al rumore;
e) adozione di misure tecniche per il contenimento:
1) del rumore trasmesso per via aerea, quali schermature, involucri o rivestimenti realizzati con materiali fonoassorbenti;
2) del rumore strutturale, quali sistemi di smorzamento o di isolamento;

f) opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro e dei sistemi sul posto di lavoro;
g) riduzione del rumore mediante una migliore organizzazione del lavoro attraverso la limitazione della durata e dell'intensità dell'esposizione e l'adozione di orari di lavoro appropriati, con sufficienti periodi di riposo.

2. Se a seguito della valutazione dei rischi di cui all'articolo 190 risulta che i valori superiori di azione sono superati, il datore di lavoro elabora ed applica un programma di misure tecniche e organizzative volte a ridurre l'esposizione al rumore, considerando in particolare le misure di cui al comma 1.

3. I luoghi di lavoro dove i lavoratori possono essere esposti ad un rumore al di sopra dei valori superiori di azione sono indicati da appositi segnali. Dette aree sono inoltre delimitate e l'accesso alle stesse è limitato, ove ciò sia tecnicamente possibile e giustificato dal rischio di esposizione.

4. Nel caso in cui, data la natura dell'attività, il lavoratore benefici dell'utilizzo di locali di riposo messi a disposizione dal datore di lavoro, il rumore in questi locali è ridotto a un livello compatibile con il loro scopo e le loro condizioni di utilizzo.
...

PARE UNI 11347 2015 Schema 1

(*) LEX = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa e di 135 dB(C) di Lpicco,C.
(**) LEX = 85 dB(A) e ppeak 140 Pa e d 137 dB(C) di Lpicco,C.

Fig. 1 - Schema Valutazione esposizione dei lavoratori al rumore / Valori di azione

Valori limite e di azione

D.Lgs. 81/2008

Art. 189 - Valori limite di esposizione e valori di azione

1. I valori limite di esposizione e i valori di azione, in relazione al livello di esposizione giornaliera al rumore e alla pressione acustica di picco, sono fissati a:

a) valori limite di esposizione rispettivamente LEX = 87 dB(A) e ppeak = 200 Pa (140 dB(C) riferito a 20 \muPa);

b) valori superiori di azione: rispettivamente LEX = 85 dB(A) e ppeak = 140 Pa (137 dB(C) riferito a 20 \muPa);

c) valori inferiori di azione: rispettivamente LEX = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa (135 dB(C) riferito a 20 \muPa).

2. Laddove a causa delle caratteristiche intrinseche dell’attività lavorativa l'esposizione giornaliera al rumore varia significativamente, da una giornata di lavoro all'altra, è possibile sostituire, ai fini dell'applicazione dei valori limite di esposizione e dei valori di azione, il livello di esposizione giornaliera al rumore con il livello di esposizione settimanale a condizione che:

a) il livello di esposizione settimanale al rumore, come dimostrato da un controllo idoneo, non ecceda il valore limite di esposizione di 87 dB(A);

b) siano adottate le adeguate misure per ridurre al minimo i rischi associati a tali attività.

3. Nel caso di variabilità del livello di esposizione settimanale va considerato il livello settimanale massimo ricorrente.

UNI 11347:2015

Acustica - Programmi aziendali di riduzione dell'esposizione a rumore nei luoghi di lavoro

Estratto

UNI 11347:2015
La norma specifica come indicare gli interventi tecnici e organizzativi che vengono adottati dall’azienda per ridurre l’esposizione al rumore nei luoghi di lavoro nonché come identificare le aree di lavoro a maggior rischio al fine della loro delimitazione/segnalazione/restrizione all’accesso, così come richiesto dalla legislazione vigente, attraverso la redazione di un programma aziendale di riduzione dell’esposizione (PARE) al rumore.
 
La legislazione italiana in materia di prevenzione e protezione dai rischi da rumore si basa ormai da alcuni anni sul recepimento della Direttiva 2003/10/CE.
Tra gli adempimenti più significativi presenti nella legislazione vigente (1) vi è indubbiamente quello di aver previsto l’obbligo per le aziende con livelli di esposizione al rumore elevati di elaborare ed applicare un "programma di misure tecniche e organizzative" volte a ridurre l'esposizione al rumore dei lavoratori.
 
Alla luce dell’insieme dei contenuti della legislazione vigente (1), la valutazione del rischio rumore negli ambienti di lavoro è quindi una attività che prevede misurazioni con le seguenti finalità:

a) definire i LAeq per calcolare il valore di esposizione personale LEX ed i valori di Lpicco,C in dB(C) da cui discendono le misure di prevenzione per la salute degli esposti, nonché stabilire se i dispositivi di protezione auricolare in uso danno luogo ad una attenuazione corretta;
 
b) indicare gli interventi tecnici e organizzativi che possono essere adottati dall’azienda per ridurre l’esposizione al rischio nelle aziende con rumorosità superiore ai valori previsti dalla legislazione vigente (2) nonché identificare le aree di lavoro a maggior rumorosità (3) al fine della loro delimitazione, segnalazione e restrizione all’accesso.
 
Mentre la UNI 9432 affronta quanto riportato in a), la presente norma definisce un modello di programmi aziendali di riduzione dell’esposizione a rumore nei luoghi di lavoro evidenziandone contestualmente il livello di dettaglio, allo scopo di fornire uno strumento di orientamento in una realtà che al momento propone le soluzioni più differenziate.
 
1) Alla data di pubblicazione della presente presente norma è in vigore il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 "Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro" così come integrato e modificato dal Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106.
2) Attualmente per livelli maggiori di 85 dB(A) di LEX e 137 dB(C) di L picco,C
3) Attualmente per livelli maggiori di 85 dB(A) di LAeq e di 137 dB(C) di Lpicco,C
Ai fini della presente norma le modalità di riduzione dell’esposizione sono suddivise in due categorie: interventi tecnici ed interventi organizzativi.

Sono esempi di interventi tecnici:
- la separazione delle attività rumorose da quelle non rumorose, come definita nel punto 3.10;
- la riduzione del rumore alla sorgente, mediante sostituzione delle attrezzature di lavoro con altre meno rumorose;
- l’identificazione di soluzioni tecnologiche alternative o migliorative della corrente modalità produttiva che risultino accreditate da rilievi acustici sperimentali nelle condizioni effettive di utilizzo, da norme tecniche o da bibliografia tecnica autorevole;
- la riduzione del rumore alla sorgente mediante regolazione dei parametri o delle modalità di funzionamento delle apparecchiature al fine di minimizzarne il rumore emesso (per esempio, adozione di sistemi per la riduzione al minimo delle altezze di caduta dei pezzi in lavorazione o degli scarti);
- l’adozione di sistemi antivibranti per la riduzione del rumore trasmesso per via solida;
- la riduzione del rumore alla sorgente mediante insonorizzazione (silenziatori, cappottature) delle macchine/apparecchiature rumorose;
- la riduzione del rumore diffuso lontano dalla sorgente tramite schermi acustici, pannelli insonorizzanti, materiali con maggior coefficiente d’assorbimento, modifica del ciclo produttivo aziendale o altri accorgimenti mirati a diminuire il riverbero dell’ambiente;
- la creazione di zone di permanenza dei lavoratori isolate dal rumore (cabine di riposo acustico).

Sono esempi di interventi organizzativi:
- la modifica della distribuzione delle postazioni di lavoro o la ristrutturazione del ciclo produttivo, al fine di evitare la presenza concomitante di più attività rumorose in spazi ristretti;
- la corretta manutenzione per il mantenimento del rumore emesso dalla macchina ai livelli originariamente previsti dal fabbricante;
- l’adozione di procedure per la turnazione del personale addetto alle lavorazioni rumorose, al fine di minimizzare il tempo di esposizione pro-capite;
- l’adozione di apposita segnaletica di sicurezza, perimetrazione e limitazione all’accesso per i non addetti ai lavori nelle aree con livelli superiori a quelli indicati dalla legislazione;
- l’informazione e la formazione dei lavoratori al fine di utilizzare le apparecchiature, i metodi e le procedure di lavoro in modo da rendere minima l’esposizione al rumore.

Mentre per gli interventi tecnici è generalmente necessario affidarsi ad una competenza specifica in acustica e/o sicurezza sul lavoro, per gli interventi organizzativi ciò non è generalmente richiesto.
 
Il PARE
Il PARE deve almeno considerare le azioni per la riduzione dell’esposizione al rumore per tutte quelle situazioni che finiscono col determinare il superamento dei valori previsti dalla legislazione vigente 4).
Per ciascuna situazione ritenuta di interesse il datore di lavoro indica gli interventi tecnici e organizzativi che, tra quelli concretamente attuabili, sono effettivamente realizzati.
L’obiettivo acustico degli interventi deve essere, dove tecnicamente possibile, fissato in accordo con le indicazioni tecniche contenute nelle norme serie UNI EN ISO 11690, considerando:
- l’effettiva disponibilità di attrezzature, macchine e tecnologie alternative;
- i guadagni generalmente ottenibili dal tipo di tecnica di bonifica adottata (vedi norma appendice B).
 
Nell’identificazione delle modalità di riduzione del rischio devono essere considerati innanzitutto gli interventi che riducono il rumore alla sorgente, quindi quelli che lo riducono lungo il percorso di propagazione, infine quelli che agiscono direttamente sul posto di lavoro.
 
La progettazione dell’intervento deve essere tale da evitare ulteriori rischi come quelli per la sicurezza (per esempio, rischio incendio) e per la salute (per esempio, minor ricambio d’aria) verso i lavoratori o problemi igienico-sanitari verso il prodotto (per esempio, nel settore alimentare o farmaceutico) ovvero maggiori rischi verso i recettori esterni.
 
Deve essere curata l’interazione che può esserci tra l’intervento proposto e il processo produttivo dell’azienda e osservate le specifiche procedure di smaltimento all’atto della dismissione dell’intervento.
 
Fermo restando l’obiettivo di ridurre il rumore ai livelli minimi possibili, in conformità con la UNI EN ISO 11690-1 gli obiettivi in termini di LAeq che si consigliano sono:
- per gli ambienti industriali, da 75 dB(A) a 80 dB(A);
- per gli uffici, da 45 dB(A) a 55 dB(A).

Ogni misura di riduzione dell’esposizione a rumore dei lavoratori inserita nel PARE deve essere riportata sotto forma cartacea o su supporto informatico, in maniera chiara e leggibile, con un livello di dettaglio che permetta di identificare con certezza le apparecchiature, gli ambienti ed i lavoratori oggetto dell’intervento.
 
4) Con la legislazione attuale andranno pertanto esaminate le sorgenti, le attività ed i luoghi di lavoro con LAeq maggiore di 85 dB(A) e con Lpicco,C maggiore di 137 dB(C).
 
Partendo dalle risultanze della valutazione del rischio rumore e delle caratteristiche specifiche dell’azienda e dei suoi processi produttivi, il personale qualificato ed il datore di lavoro, ognuno secondo le proprie competenze e responsabilità, effettuano una prima ricerca dei possibili interventi, ne verificano la fattibilità eventualmente integrando leconoscenze già in loro possesso con altri dati o misurazioni, stimano i risultati raggiungibili e scelgono infine gli interventi più idonei.
 
Al di là degli obblighi legislativi nel processo operativo si deve tener conto anche del parere dei responsabili di produzione, della sicurezza e dei lavoratori interessati.
 
In figura 1 è riportato uno schema di flusso che illustra, in forma grafica, il processo operativo appropriato.
 
PARE UNI 11347 2015 Fig  1

Figura 1 - Schema di flusso del processo operativo 

4.3.2 Interventi tecnici
 
Sulla base delle informazioni disponibili, degli input aziendali e dei vincoli presenti, si possono individuare gli interventi attuabili secondo lo schema riportato nel prospetto 1.
 
prospetto 1 Schema di possibili interventi tecnici
...
 
Un primo orientamento sulla tipologia degli interventi tecnici da adottare può essere effettuata sulla base dei contenuti dell’appendice A (Vedi norma).
 
4.3.2.1 Informazioni minime
Prima di procedere con la pianificazione dell’intervento di riduzione dell’esposizione a rumore, devono essere acquisite tutte le informazioni necessarie per scegliere il tipo di intervento da attuare e per valutarne i risultati ottenuti. Tali informazioni relativamente agli interventi di carattere tecnico sono elencate nel prospetto 2.
Queste informazioni possono essere generalmente dedotte dalla lettura della relazione tecnica per la definizione dei livelli di esposizione personale al rumore redatta in conformità alla UNI 9432, dai dati acustici forniti dal fabbricante delle macchine, impianti, attrezzature di lavoro, da ulteriori misurazioni effettuate in maniera specifica, dai risultati delle simulazioni effettuate con specifici software.
 
prospetto 2 Informazioni minime per l’individuazione della tipologia dell’intervento tecnico

PARE UNI 11347 2015 Prospetto 2
...
 
I dati acustici richiesti nel prospetto 2 si devono intendere per macchine già installate.
 
Nel caso di introduzione di una nuova macchina in un ambiente di lavoro o della creazione di un nuovo ambiente di lavoro, qualora sia previsto che la macchina nelle normali condizioni di funzionamento produca nel suo intorno un livello sonoro maggiore di 70 dB(A), devono essere disponibili almeno i seguenti dati rilevati nelle condizioni di effettivo utilizzo della stessa:
- livello sonoro continuo equivalente ponderato A, LAeq,T misurato in postazione operatore e, se disponibili, in più postazioni attorno alla macchina;
- potenza sonora [per livelli di pressione sonora in postazione operatore maggiori di 80 dB(A)] indicando la norma di riferimento e le condizioni operative di prova.

Nota
Le suddette informazioni acustiche sono fornite dal fabbricante per le macchine conformi alla Direttiva 2006/42/CE.
 
4.3.2.2 Stima dei risultati ottenibili
Una stima dei risultati ottenibili dagli interventi di tipo tecnico è riportata nell’appendice B (Vedi norma).
 
4.3.2.3 Rapporto costo-benefici
Ferma restando l’esigenza di ottenere l’obiettivo acustico, quando esiste un ventaglio di soluzioni alternative la scelta della soluzione ottimale può tener conto del rapporto costo/benefici.
Un ordine di grandezza sui rapporti tra i costi delle diverse tipologie di intervento tecnico è presentato nei prospetti dell’appendice B (Vedi norma).
Per calcolare il rapporto costo/benefici, η, in euro al decibel, si applica la formula:
 
PARE UNI 11347 2015 Rapporto Costi benefici
dove:
c è il costo dell’opera (che comprende tutte le voci di spesa, compresa la messa in opera, il collaudo, la manutenzione);
ΔdBi è l’attenuazione in dB che l’intervento assicura ad un gruppo i-esimo di lavoratori;
ni è il numero di lavoratori del gruppo i-esimo;
N è il numero di gruppi di lavoratori che ottengono un beneficio acustico.
 
La soluzione ottimale è quella cui corrisponde il valore minimo di η.
 
4.3.3 Interventi organizzativi
Per l’individuazione e l’adozione di interventi di tipo organizzativo non è generalmente richiesto il possesso di specifiche competenze acustiche. Tuttavia, quando occorre provvedere a misurazioni strumentali (per esempio, per identificare le aree di lavoro a maggior rischio) queste devono essere effettuate da personale qualificato.
 
L’identificazione delle aree nelle quali si verificano i superamenti dei valori previsti dalla legislazione, ove appropriato (per esempio, nel caso di sorgenti fisse), può essere effettuata mediante misurazioni in punti predeterminati secondo un reticolo geometrico con interassi adeguati, indicativamente tra 3 m e 10 m.
I risultati si riportano su mappe di rumore con curve di isolivello che delimitano le aree con LAeq maggiori di 85 dB(A) o Lpicco,C maggiori di 137 dB(C).
Se il superamento dei valori che impongono l’obbligo della segnaletica si verifica solo in prossimità delle macchine e nel caso di sorgenti non fisse si provvede a indicare,
mediante la segnaletica di sicurezza di cui alla UNI 7545-22, le sole macchine.
 
Se il superamento dei valori si verifica invece su aree estese si deve segnalare l’ingresso dell’area (per esempio, mediante il ricorso alla segnaletica di cui alla UNI 7545-22) e a limitare l’accesso al solo personale strettamente necessario ai fini del processo lavorativo.
 
Altro tipico esempio di intervento organizzativo è la turnazione dei lavoratori presso le postazioni rumorose, da effettuarsi diminuendo le ore di esposizione giornaliere pro capite, oppure alternando le giornate di lavoro che espongono maggiormente al rumore.
Per la loro variabilità e difficile catalogazione, l’efficienza e il rapporto costo benefici degli interventi di tipo organizzativo non sono schematizzabili.
Il datore di lavoro, con l’eventuale collaborazione del personale qualificato, è quindi tenuto alla loro valutazione caso per caso.
 
4.4 Formato del PARE e delle schede riassuntive dei singoli interventi
 
4.4.1 Generalità
Il PARE racchiude in un unico documento di sintesi le misure di riduzione dell’esposizione a rumore che il datore di lavoro intende mettere in atto per ridurre al minimo il livello di rischio.

Senza arrivare al dettaglio esecutivo del singolo intervento, il PARE deve individuare con esattezza almeno i macchinari, gli ambienti e/o i lavoratori destinatari dell’intervento, il beneficio atteso, la tempistica di realizzazione e il responsabile aziendale dell’attuazione della misura.

Ogni intervento di riduzione dell’esposizione a rumore deve, per quanto possibile, quantificare i valori attesi per la riduzione della rumorosità della sorgente in termini di livello equivalente (LAeq) o dell’esposizione personale (LEX) dei lavoratori interessati dall’intervento ovvero del Lpicco,C; se l’intervento riguarda le caratteristiche acustiche dell’ambiente di lavoro, devono essere invece quantificati i valori finali dei parametri caratterizzanti l’ambiente, per esempio il tempo di riverberazione.
 
Se vi sono dei parametri di funzionamento delle apparecchiature o dei fattori esterni che possono influenzare il valore di tale riduzione, questi devono essere riportati nella scheda descrittiva dell’intervento.
 
Deve essere specificato il metodo di controllo che permette, una volta attuato l’intervento di riduzione dell’esposizione a rumore, di valutare oggettivamente il raggiungimento degli obiettivi fissati in fase di progetto, sia per quanto riguarda la riduzione dell’esposizione sia per i parametri acustici dell’ambiente di lavoro; pertanto, è opportuno che i descrittori utilizzati siano misurati o valutati secondo la stessa norma tecnica di riferimento sia nella
fase prima sia in quella dopo l’intervento.
 
A completamento della misura di riduzione dell’esposizione a rumore, nella scheda descrittiva deve essere indicato se è necessario prevedere anche un intervento formativo destinato ai lavoratori per illustrare le novità introdotte nelle procedure, nelle apparecchiature, nelle operazioni di manutenzione, nei locali di lavoro ecc.
 
4.4.2 Struttura del PARE
Il PARE deve contenere almeno:
- un’intestazione (punto 4.4.2.1), Questa informazione può essere omesse qualora il PARE sia contenuto nel documento di valutazione dei rischi;
- schede di sintesi delle situazioni a rischio (punto 4.4.2.2);
- un prospetto riassuntivo degli interventi programmati (punto 4.4.2.3);
- una scheda illustrativa dei singoli interventi riportati nel sopracitato prospetto riassuntivo (punto 4.4.2.4).
 
4.4.2.1 Intestazione
L’intestazione deve contenere le seguenti informazioni:
- ragione sociale dell’azienda;
- denominazione ed indirizzo dell’unità produttiva per la quale è stato redatto il PARE;
- un numero di versione progressivo del PARE o del suo aggiornamento;
- data di stesura del PARE o del suo aggiornamento.
 
Nota Qualora il PARE sia gestito come allegato del documento di valutazione dei rischi, le prime due informazioni possono essere omesse in quanto contenute nella parte generale del sopracitato documento.

4.4.2.2 Schede di sintesi delle situazioni a rischio
Le informazioni sulle situazioni espositive e sulle sorgenti che devono essere riportate nelle schede di sintesi delle situazioni a rischio, nella maggior parte dei casi sono reperibili nella relazione tecnica effettuata per il calcolo del livello di esposizione dei lavoratori in conformità alla UNI 9432. Qualora tale relazione tecnica non le espliciti devono essere riportate e allo scopo si propone il formato del prospetto 3.
 
prospetto 3 Esempio di formato delle schede di sintesi delle situazioni a rischio
 
UNI 11347   Elenco mansioni

UNI 11347   Elenco sorgenti
 
4.4.2.3 Prospetto riassuntivo degli interventi programmati
Il prospetto riassuntivo degli interventi programmati deve contenere almeno i seguenti campi:
 
4.4.2.3.1 "progressivo scheda", è un numero o un identificativo alfanumerico che individua univocamente una delle successive schede dei singoli interventi;
4.4.2.3.2 "tipologia intervento", è una descrizione sintetica del tipo di soluzione che si intende implementare (per esempio, sostituzione macchinario rumoroso, trattamento fonoassorbente del soffitto, creazione cabina isolante). Le soluzioni più comuni sono riportate nell’appendice A, ma può essere inserita anche una soluzione non riportata nella presente presente norma;
4.4.2.3.3 "macchina, reparto o mansione", è una descrizione sintetica di chi o cosa è interessato dalla soluzione che si intende implementare (per esempio, nel caso di sostituzione di un macchinario rumoroso viene individuato il macchinario da sostituire; per un trattamento fonoassorbente viene indicato l’ambiente che si intende trattare; per la creazione di una cabina isolante sono descritti i lavoratori o le mansioni che ne fruiranno);
4.4.2.3.4 "descrittore acustico", riporta tramite il valore numerico di un parametro (generalmente: LAeq/ RT/ DL2 / LEX/ Lpicco,C) opportunamente scelto la situazione prima dell’intervento e quella che si prevede di ottenere dopo l’intervento. La scelta del parametro è legata alla soluzione che si intende implementare (per esempio, nel caso di sostituzione macchinario rumoroso, può essere indicata la potenza sonora emessa, o il LAeq in una determinata posizione (generalmente: la posizione operatore); per un trattamento fonoassorbente, può essere indicato il tempo di riverberazione o l’indice DL2
dell’ambiente che verrà trattato; per la creazione di una cabina isolante, può essere indicato il LEX dei lavoratori o delle mansioni che ne fruiranno);
4.4.2.3.5 "data inizio e data fine", indica la data prevista per l’inizio dell’intervento e la data
prevista di completamento dello stesso, ovvero la data in cui sarà possibile verificare il
raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’esposizione;
4.4.2.3.6 "responsabile della procedura", riporta la funzione responsabile, tra quelle presenti nell’organigramma aziendale con relativo nominativo che coordina ed ha la responsabilità di far attuare nei tempi e nei modi previsti l’intervento di riduzione del rumore.

4.4.2.4 Schede illustrative dei singoli interventi

Compito delle schede illustrative dei singoli interventi è quello di descrivere sinteticamente ed univocamente il singolo intervento di riduzione dell’esposizione a rumore.
Accanto alle sintetiche informazioni tecniche sulla natura dell’intervento la scheda ne descrive la procedura di controllo dell’efficienza ed il programma di informazione e formazione dei lavoratori per rendere effettivo il risultato di riduzione dell’esposizione ottenuto.
In particolare, nella sezione delle schede illustrative dei singoli interventi dedicata al programma di informazione/addestramento/formazione dei lavoratori deve essere riportato come procedere, al termine o durante l’intervento, per informare/addestrare/formare i lavoratori interessati sulle novità introdotte, sulle nuove modalità di lavoro e/o di manutenzione, sul corretto utilizzo delle apparecchiature ecc., al fine di mantenere nel tempo l’efficacia dell’intervento. Devono essere quindi individuati i lavoratori, le caratteristiche della informazione/addestramento/formazione (supporti utilizzati, durata, …) e la tempistica di attuazione.
 
Nel prospetto 4 è riportato il formato proposto per raccogliere le informazioni di ogni singolo intervento indicato nel prospetto riassuntivo.
 
prospetto 4 Esempio di formato delle schede illustrative dei singoli interventi
 
UNI 11347   Scheda illustrativa
 
4.4.3 Tempi di attuazione delle misure preventive
Di ogni misura di riduzione del rischio rumore identificata deve essere definita la tempistica di ultimazione.
 
L’indicazione dei tempi di attuazione delle misure di riduzione delle esposizioni a rumore deve basarsi in primo luogo sui tempi tecnici per la disponibilità oggettiva della misura in azienda, ma può essere definita considerando in maniera integrata i seguenti elementi:
- gravità (livello) del rischio presente e numero di esposti;
- complessità della messa in esercizio della misura (opere accessorie, tempi di fermo produzione …) anche in relazione ai piani di lavoro aziendali (per esempio, ferie);
- costo di realizzazione dell’intervento in rapporto al bilancio dell’azienda;
- prescrizioni e/o esigenze autorizzative di autorità esterne.
 
4.5 Gestione dell’attuazione del PARE
La legislazione vigente prevede che per ogni misura identificata si provveda a definire il ruolo dell’organizzazione aziendale che vi deve provvedere; ruoli ai quali devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri.
Nel PARE si deve quindi indicare la funzione aziendale, deputata a garantirne la realizzazione di ciascun intervento con relativi nominativi e procedure.
...
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Circolare n. 46 dell'11 luglio 2000

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Circolare n. 46 dell'11 luglio 2000 

Circolare n. 46 dell'11 luglio 2000 Verifiche di sicurezza dei ponteggi metallici fissi di cui all’art. 30 del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164

Estratto

Si ritiene inoltre opportuno sottolineare che nel ponteggio metallico fisso la sicurezza strutturale, che ha un rilievo essenziale, dipende da numerosi parametri, quali: la frequenza di utilizzo, il numero dei montaggi e smontaggi, il corretto stoccaggio dei componenti, l’ambiente di lavoro, l’utilizzo conforme all’autorizzazione ministeriale e lo stato di conservazione degli elementi costituenti lo stesso.

In relazione a quanto sopra, non essendo possibile stabilire una durata limite di vita del ponteggio, sono state elaborate le seguenti istruzioni, che ribadiscono i controlli minimali, ritenuti necessari, che l’utilizzatore deve eseguire prima del montaggio e durante l’uso del ponteggio, focalizzando, per le diverse tipologie costruttive, gli elementi principali in cui eventuali anomalie riscontrate potrebbero influire sulla stabilità complessiva del sistema o ridurre la sicurezza dei lavoratori.

In particolare, le schede che seguono elencano le verifiche che l’utilizzatore deve comunque eseguire prima di ogni montaggio, rispettivamente per i ponteggi metallici a telai prefabbricati, a montanti e traversi prefabbricati e a tubi giunti. L’ultima parte, infine, elenca le verifiche da effettuarsi durante l’uso delle attrezzature in argomento.

...

1 - VERIFICHE DEGLI ELEMENTI DI PONTEGGIO PRIMA DI OGNI MONTAGGIO

A - PONTEGGI METALLICI A TELAI PREFABBRICATI

Elementi

Tipo di verifica

Modalità di verifica

Misura adottata

 

 

 

 

GENERALE

Controllo esistenza del libretto di cui all’autorizzazione ministeriale, rilasciata dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali

 

 

Visivo

Se non esiste il libretto, il ponteggio non può essere utilizzato. Occorre richiedere il libretto, che deve contenere tutti gli elementi del ponteggio, al fabbricante del ponteggio

Controllo che gli elementi in tubi e giunti, eventualmente utilizzati, siano di tipo autorizzato appartenenti ad unico fabbricante

 

Visivo

Se il controllo è negativo, è necessario utilizzare elementi autorizzati appartenenti ad un unico fabbricante, richiedendone il relativo libretto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TELAIO

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal fabbricante del ponteggio

Controllo verticalità montanti telaio

Visivo, ad esempio con utilizzo filo a piombo

Se la verticalità dei montanti non è soddisfatta occorre scartare l’elemento

Controllo spinotto di collegamento fra montanti

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

Controllo attacchi controventature: perni e/o boccole

 

 

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo, occorre:

·    Scartare l’elemento, o

·    Ripristinare la funzionalità dell’elemento in conformità alle modalità previste dal fabbricante del ponteggio

Controllo orizzontalità traverso

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

CORRENTI E DIAGONALI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

Elementi

Tipo di verifica

Modalità di verifica

Misura adottata

 

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal fabbricante del ponteggio

Controllo linearità dell’elemento

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo stato di conservazione collegamenti al telaio

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IMPALCATI PREFABBRICATI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal fabbricante del ponteggio

Controllo orizzontalità piani di calpestio

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo assenza di deformazioni negli appoggi al traverso

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

Controllo efficienza dei sistemi di collegamento tra: piani di calpestio, testata con ganci di collegamento al traverso ed irrigidimenti (saldatura, rivettatura, bullonatura e cianfrinatura)

Visivo:

·      Integrità del sistema di collegamento per rivettatura, bullonatura e cianfrinatura

·      Assenza, nel sistema di collegamento, di cricche, distacchi ed ossidazioni penetranti per saldatura

 

 

 

Se il controllo è negativo:

·    Scartare l’elemento, o

·    Procedere, a cura del fabbricante del ponteggio, al ripristino dell’efficienza dei sistemi di collegamento

 

 

BASETTE FISSE

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo orizzontalità piatto di base

Visivo, ad esempio con un piano di riscontro

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

 

 

 

BASETTE REGOLABILI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo orizzontalità piatto di base

Visivo, ad esempio con un piano di riscontro

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo verticalità stelo

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

Controllo stato di conservazione della filettatura dello stelo e della ghiera filettata

Visivo e funzionale:

·      Visivo: stato di conservazione della filettatura

·      Funzionale: regolare avvitamento della ghiera

 

Se i controlli, visivo e funzionale, sono negativi occorre scartare l’elemento

 

Se è negativo il solo controllo funzionale occorre ripristinare la funzionalità (pulizia e ingrassaggio). Se ciò non è possibile, scartare l’elemento

N.B.: Per le verifiche relative ad altri elementi di ponteggio (quali ad esempio: fermapiede, trave per passo carraio, mensola, Montante per parapetto di sommità, scala, parasassi), riportati nel libretto di cui all’autorizzazione ministeriale, occorre utilizzare: tipo, modalità di verifica e misure, analoghi a quelli descritti per gli elementi sopraelencati.

B - PONTEGGI METALLICI A MONTANTI E TRAVERSI PREFABBRICATI

Elementi

Tipo di verifica

Modalità di verifica

Misura adottata

 

 

 

GENERALE

Controllo esistenza del libretto di cui all’autorizzazione ministeriale rilasciata dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali

 

Visivo

Se non esiste il libretto, il ponteggio non può essere utilizzato. Occorre richiedere il libretto, che deve contenere tutti gli elementi del ponteggio, al fabbricante del ponteggio

Controllo che gli elementi in tubi e giunti, eventualmente utilizzati, siano di tipo autorizzato appartenenti ad unico fabbricante

 

Visivo

Se il controllo è negativo, è necessario utilizzare elementi autorizzati appartenenti ad un unico fabbricante, richiedendone il relativo libretto

 

 

 

 

 

 

 

 

MONTANTE

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal

fabbricante del ponteggio

Controllo verticalità

Visivo, ad esempio conutilizzo filo a piombo

Se la verticalità del montante non è soddisfatta occorre scartare l’elemento

Controllo spinotto di collegamento fra montanti

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo attacchi elementi :

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

 

 

 

 

TRAVERSO

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme

rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo orizzontalità traverso

Visivo

Se il controllo è negativo scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal

fabbricante del ponteggio

 

Controllo stato di conservazione collegamenti ai montanti

 

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento, o ripristinare la funzionalità

dell’elemento in conformità alle modalità previste dal fabbricante del ponteggio

 

 

 

 

 

 

 

 

CORRENTI E DIAGONALI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme

rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal

fabbricante del ponteggio

Controllo linearità dell’elemento

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

Controllo stato di conservazione collegamenti ai montanti

 

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento, o ripristinare la funzionalità dell’elemento in conformità alle modalità

previste dal fabbricante del ponteggio

IMPALCATI PREFABBRICATI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme

rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

Elementi

Tipo di verifica

Modalità di verifica

Misura adottata

 

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal

fabbricante del ponteggio

 

Controllo orizzontalità piani di calpestio

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo assenza di deformazioni negli appoggi al traverso

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo efficienza dei sistemi di collegamento tra: piani di calpestio, testata con ganci di collegamento al traverso ed irrigidimenti (saldatura, rivettatura, bullonatura e cianfrinatura)

Visivo:

·    Integrità del sistema di collegamento per rivettatura, bullonatura e cianfrinatura

·    Assenza, nel sistema di collegamento, di cricche, distacchi ed ossidazioni penetranti per

saldatura

Se il controllo è negativo:

·    Scartare l’elemento, o

·    Procedere, a cura del fabbricante del ponteggio, al ripristino dell’efficienza dei sistemi di collegamento

 

 

BASETTE FISSE

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo orizzontalità piatto di base

Visivo, ad esempio con un piano di riscontro

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

 

 

 

BASETTE REGOLABILI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo orizzontalità piatto di base

Visivo, ad esempio con un piano di riscontro

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo verticalità stelo

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

Controllo stato di conservazione della filettatura dello stelo e della ghiera filettata

Visivo e funzionale:

·    Visivo: stato di conservazione della filettatura

·    Funzionale: regolare avvitamento della ghiera

 

·    Se i controlli, visivo e funzionale, sono negativi occorre scartare l’elemento

·    Se è negativo il solo controllo funzionale occorre ripristinare la funzionalità (pulizia e ingrassaggio). Se ciò non è possibile, scartare l’elemento

N.B.: Per le verifiche relative ad altri elementi di ponteggio (quali ad esempio: fermapiede, trave per passo carraio, mensola, montante per parapetto di sommità, scala, parasassi), riportati nel libretto di cui all’autorizzazione ministeriale, occorre utilizzare: tipo, modalità di verifica e misure, analoghi a quelli descritti per gli elementi sopraelencati.

C - PONTEGGI METALLICI A TUBI E GIUNTI

Elementi

Tipo di verifica

Modalità di verifica

Misura adottata

 

GENERALE

Controllo esistenza del libretto di cui all’autorizzazione ministeriale rilasciata dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali

 

Visivo

Se non esiste il libretto, il ponteggio non può essere utilizzato. Occorre richiedere il libretto, che deve contenere tutti gli elementi del ponteggio, al fabbricante del ponteggio

 

 

 

 

 

 

 

TUBI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal fabbricante del ponteggio

Controllo verticalità

Visivo, ad esempio con utilizzo filo a piombo

Se la verticalità del tubo non è soddisfatta occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIUNTI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo bulloni completi di dadi

 

Visivo e funzionale:

·    Visivo: stato di conservazione della filettatura

·    Funzionale: regolare avvitamento del dado

·    Se il controllo visivo è negativo occorre: sostituire il bullone e/o il dado con altro fornito dal fabbricante del giunto

·    Se è negativo il solo controllo funzionale occorre ripristinare la funzionalità (pulizia e ingrassaggio). Se ciò non è possibile, sostituire l’elemento con altro fornito dal fabbricante del giunto

Controllo linearità martelletti

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

Controllo perno rotazione giunto girevole

Visivo e funzionale:

·    Visivo: parallelismo dei due nuclei

·    Funzionale: corretta rotazione

 

Se i controlli sono negativi occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IMPALCATI PREFABBRICATI

 

(non strutturali)

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

Controllo stato di conservazione della protezione contro la corrosione

 

 

 

 

Visivo

Se il controllo è negativo, procedere al controllo degli spessori:

·    Se il controllo degli spessori è negativo (tenuto conto delle tolleranze previste dal fabbricante del ponteggio), scartare l’elemento

·    Se il controllo degli spessori è positivo, procedere al ripristino della protezione, in conformità alle modalità previste dal fabbricante del ponteggio

Controllo orizzontalità piani di calpestio

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo assenza di deformazioni negli appoggi al traverso

Visivo e/o funzionale

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

Controllo efficienza dei sistemi di collegamento tra: piani di calpestio, testata con ganci di collegamento al traverso ed irrigidimenti (saldatura, rivettatura, bullonatura e cianfrinatura)

Visivo:

·    Integrità del sistema di collegamento per rivettatura, bullonatura e cianfrinatura

·    Assenza, nel sistema di collegamento, di cricche,

Se il controllo è negativo:

·    Scartare l’elemento, o

·    Procedere, a cura del fabbricante del ponteggio, al ripristino dell’efficienza dei sistemi di collegamento

 

Elementi

Tipo di verifica

Modalità di verifica

Misura adottata

 

 

distacchi ed ossidazioni penetranti per saldatura

 

 

 

BASETTE FISSE

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo orizzontalità piatto di base

Visivo, ad esempio con un piano di riscontro

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

 

 

 

 

BASETTE REGOLABILI

 

Controllo marchio come da libretto

 

Visivo

Se il marchio non è rilevabile, o è difforme rispetto a quello indicato nel libretto, occorre scartare l’elemento

Controllo orizzontalità piatto di base

Visivo, ad esempio con un piano di riscontro

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

Controllo verticalità stelo

Visivo

Se il controllo è negativo occorre scartare l’elemento

 

 

Controllo stato di conservazione della filettatura dello stelo e della ghiera filettata

Visivo e funzionale:

·    Visivo: stato di conservazione della filettatura

·    Funzionale: regolare avvitamento della ghiera

·    Se i controlli, visivo e funzionale, sono negativi occorre scartare l’elemento

·    Se è negativo il solo controllo funzionale occorre ripristinare la funzionalità (pulizia e ingrassaggio). Se ciò non è possibile, scartare l’elemento

N.B.: Per le verifiche relative ad altri elementi di ponteggio (quali ad esempio: fermapiede, trave per passo carraio, mensola, montante per parapetto di sommità, scala, parasassi), riportati nel libretto di cui all’autorizzazione ministeriale, occorre utilizzare: tipo, modalità di verifica e misure, analoghi a quelli descritti per gli elementi sopraelencati.

2 - VERIFICHE DURANTE L’USO DEI PONTEGGI METALLICI FISSI

Controllare che il disegno esecutivo:

- Sia conforme allo schema tipo fornito dal fabbricante del ponteggio;
- Sia firmato dalla persona competente di cui al comma 1 dell’articolo 136 per conformità agli schemi tipo forniti dal fabbricante del ponteggio;
- Sia tenuto in cantiere, a disposizione degli organi di vigilanza, unitamente alla copia del libretto di cui all’autorizzazione ministeriale.

Controllare che per i ponteggi di altezza superiore a 20 metri e per i ponteggi non conformi agli schemi tipo:
- Sia stato redatto un progetto, firmato da un ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all’esercizio della professione;
- Che tale progetto sia tenuto in cantiere a disposizione dell’autorità di vigilanza, unitamente alla copia del libretto di cui all’autorizzazione ministeriale.

Controllare che vi sia la documentazione dell’esecuzione, da parte del preposto, dell’ultima verifica del ponteggio di cui trattasi, al fine di assicurarne l’installazione corretta ed il buon funzionamento.

Controllare che qualora siano montati sul ponteggio tabelloni pubblicitari, graticci, teli o altre schermature sia stato redatto apposito calcolo, eseguito da Ingegnere o da Architetto abilitato a norma di legge all’esercizio della professione, in relazione all’azione del vento presumibile per la zona ove il ponteggio è montato. In tale calcolo deve essere tenuto conto del grado di permeabilità delle strutture servite.

Controllare che sia mantenuto un distacco congruente con il punto 2.1.4.3 dell’ALLEGATO XVIII o l’articolo 138, comma 2, della Sezione V del Titolo IV tra il bordo interno dell’impalcato del ponteggio e l’opera servita.

Controllare che sia mantenuta l’efficienza dell’elemento parasassi, capace di intercettare la caduta del materiale dall’alto.

Controllare il mantenimento dell’efficienza del serraggio dei giunti, secondo le modalità previste dal fabbricante del ponteggio, riportate nel libretto di cui all’autorizzazione ministeriale.

Controllare il mantenimento dell’efficienza del serraggio dei collegamenti fra gli elementi del ponteggio, secondo le modalità previste dal fabbricante del ponteggio, riportate nel libretto di cui all’autorizzazione ministeriale.

Controllare il mantenimento dell’efficienza degli ancoraggi, secondo le modalità previste dal fabbricante del ponteggio riportate nel libretto di cui all’autorizzazione ministeriale.

Controllare il mantenimento della verticalità dei montanti, ad esempio con l’utilizzo del filo a piombo.

Controllare il mantenimento dell’efficienza delle controventature di pianta e di facciata mediante:

- Controllo visivo della linearità delle aste delle diagonali di facciata e delle diagonali in pianta;

- Controllo visivo dello stato di conservazione dei collegamenti ai montanti delle diagonali di facciata e delle diagonali in pianta;

- Controllo visivo dello stato di conservazione degli elementi di impalcato aventi funzione di controventatura in pianta.

Controllare il mantenimento in opera dei dispositivi di blocco degli elementi di impalcato.

Controllare il mantenimento in opera dei dispositivi di blocco o dei sistemi antisfilamento dei fermapiedi.

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Green Pass - FAQ sui dpcm 12.10.2021 firmati dal Presidente Draghi

ID 14745 | | Visite: 3245 | News Sicurezza

Green Pass   FAQ sui dpcm 12 10 2021 firmati dal Presidente Draghi Rev  1 0 2021

Green Pass - FAQ sui DPCM 12.10.2021 firmati dal Presidente Draghi

ID 14745 | Update 19.10.2021 / In allegato pdf FAQ

Di seguito le risposte alle domande frequenti sui DPCM riguardanti Green Pass e ambito lavorativo firmati dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi.

DPCM 12 Ottobre 2021 / Verifica possesso green pass in ambito lavorativo

DPCM 12 Ottobre / Linee guida svolgimento controlli sul possesso del green pass PA 

Update 1.0 del 19.10.2021:
- Aggiunte FAQ da 12 a 19

...

FAQ DPCM 12 Ottobre 2021

1. Come devono avvenire i controlli sul green pass dei lavoratori nel settore pubblico e in quello privato?

Ogni amministrazione/azienda è autonoma nell’organizzare i controlli, nel rispetto delle normative sulla privacy e delle linee guida emanate con il dPCM 12 ottobre 2021. I datori di lavoro definiscono le modalità operative per l'organizzazione delle verifiche, anche a campione, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell'accesso ai luoghi di lavoro, e individuano con atto formale i soggetti incaricati dell'accertamento delle violazioni degli obblighi di cui ai commi 1 e 2. È opportuno utilizzare modalità di accertamento che non determinino ritardi o code all’ingresso. Nelle pubbliche amministrazioni, laddove l’accertamento non avvenga al momento dell’accesso al luogo di lavoro, esso dovrà avvenire su base giornaliera, prioritariamente nella fascia antimeridiana della giornata lavorativa, potrà essere generalizzato o a campione, purché in misura non inferiore al 20% del personale presente in servizio e con un criterio di rotazione che assicuri, nel tempo, il controllo su tutto il personale dipendente.

Oltre all’app “VerificaC19”, saranno rese disponibili per i datori di lavoro, pubblici e privati, specifiche funzionalità che consentono una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni. Tali verifiche potranno avvenire attraverso:

- l’integrazione del sistema di lettura e verifica del QR code del certificato verde nei sistemi di controllo agli accessi fisici, inclusi quelli di rilevazione delle presenze, o della temperatura;
- per gli enti pubblici aderenti alla Piattaforma NoiPA, realizzata dal Ministero dell'economia e delle finanze, l’interazione asincrona tra la stessa e la Piattaforma nazionale-DGC;
- per i datori di lavoro con più di 50 dipendenti, sia privati che pubblici non aderenti a NoiPA, l’interazione asincrona tra il Portale istituzionale INPS e la Piattaforma nazionale-DGC; per le amministrazioni pubbliche con almeno 1.000 dipendenti, anche - con uffici di servizio dislocati in più sedi fisiche, una interoperabilità applicativa, in modalità asincrona, tra i sistemi informativi di gestione del personale del, e la Piattaforma nazionale-DGC.

2. Come è possibile, per i soggetti che non possono vaccinarsi per comprovati motivi di salute, dimostrare di poter accedere al luogo di lavoro?

I soggetti che, per comprovati motivi di salute, non possono effettuare il vaccino contro il COVID-19, dovranno esibire un certificato contenente l’apposito “QR code” in corso di predisposizione. Nelle more del rilascio del relativo applicativo, il personale esente – previa trasmissione della relativa documentazione sanitaria al medico competente dell’amministrazione di appartenenza – non potrà essere soggetto ad alcun controllo.

3. I soggetti che hanno diritto al green pass ma ne attendono il rilascio o l’aggiornamento come possono dimostrare di poter accedere al luogo di lavoro?

Per i soggetti in attesa di rilascio di valida certificazione verde e che ne abbiano diritto, nelle more del rilascio e dell’eventuale aggiornamento, sarà possibile avvalersi dei documenti rilasciati, in formato cartaceo o digitale, dalle strutture sanitarie pubbliche e private, dalle farmacie, dai laboratori di analisi, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta.

4. Quali provvedimenti deve prendere il datore di lavoro che accerta che il dipendente abbia effettuato l’accesso alla sede di servizio pur essendo sprovvisto di green pass?Quali sanzioni rischia il lavoratore?

Il lavoratore, pubblico o privato, è considerato assente ingiustificato, senza diritto allo stipendio, fino alla presentazione del green pass; nel caso di aziende con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta.

Nel caso in cui il lavoratore acceda al luogo di lavoro senza green pass, il datore di lavoro deve poi effettuare una segnalazione alla Prefettura ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa. Infatti il lavoratore che accede al luogo di lavoro senza green pass è soggetto, con provvedimento del Prefetto, a una sanzione amministrativa che va da 600 a 1.500 euro. Vengono poi applicate anche le sanzioni disciplinari eventualmente previste dai contratti collettivi di settore.

Oltre alla retribuzione, non sarà più versata al lavoratore senza green pass qualsiasi altra componente della retribuzione, anche di natura previdenziale, avente carattere fisso e continuativo, accessorio o indennitario, previsto per la giornata di lavoro non prestata. I giorni di assenza ingiustificata non concorrono alla maturazione delle ferie e comportano la perdita della relativa anzianità di servizio

5. Da chi devono essere effettuati i controlli sul green pass dei lavoratori che arrivano da società di somministrazione? Dalla società di somministrazione o dall’azienda in cui vengono distaccati?

I controlli devono essere effettuati da entrambe, sia dalla società di somministrazione, sia dall’azienda presso la quale il lavoratore svolge la propria prestazione.

6. I protocolli e le linee guida di settore contro il COVID-19, che prevedono regole sulla sanificazione delle sedi aziendali, sull’uso delle mascherine e sui distanziamenti, possono essere superati attraverso l’utilizzo del green pass?

No, l’uso del green pass è una misura ulteriore che non può far ritenere superati i protocolli e le linee guida di settore.

7. I clienti devono verificare il green pass dei tassisti o degli autisti di vetture a noleggio con conducente?

I clienti non sono tenuti a verificare il green pass dei tassisti o dei conducenti di NCC.

8. I parrucchieri, gli estetisti e gli altri operatori del settore dei servizi alla persona devono controllare il green pass dei propri clienti? E i clienti, devono controllare il green pass di tali operatori?

Il titolare dell’attività deve controllare il pass dei propri eventuali dipendenti ma non deve richiederlo ai clienti, né questi ultimi sono tenuti a chiederlo a chi svolge l’attività lavorativa in questione.

9. È necessario verificare il green pass dei lavoratori autonomi che prestano i propri servizi a un’azienda e che per questo devono accedere alle sedi della stessa?

Sì, tutti coloro che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nelle sedi dell’azienda sono soggetti al controllo.

10. È possibile per il datore di lavoro verificare il possesso del green pass con anticipo rispetto al momento previsto per l’accesso in sede da parte del lavoratore?

Sì. Nei casi di specifiche esigenze organizzative, i lavoratori sono tenuti a rendere le comunicazioni relative al mancato possesso del green pass con il preavviso necessario al datore di lavoro per soddisfare tali esigenze.

11. Quali sanzioni rischia il datore di lavoro che non effettua le verifiche previste per legge?

Il datore di lavoro che non controlla il rispetto delle regole sul green pass è punito con una sanzione amministrativa che va da 400 a 1.000 euro.

12. Il green pass rilasciato in seguito all’effettuazione di un tampone deve essere valido per tutta la durata dell’orario lavorativo?

No. Il green pass deve essere valido nel momento in cui il lavoratore effettua il primo accesso quotidiano alla sede di servizio e può scadere durante l’orario di lavoro, senza la necessità di allontanamento del suo possessore.

13. L'obbligo di green pass sussiste anche in capo agli operatori del commercio sulle aree pubbliche la cui "sede lavorativa" è collocata all'aperto?

Sì. L’obbligo di green pass non è collegato al fatto che la sede in cui si presta servizio sia all’aperto o al chiuso.

14. Quali sono i soggetti titolati a controllare le aziende?

Le aziende potranno essere controllate dagli ispettori del lavoro e dalle aziende sanitarie locali, dei quali si avvalgono i prefetti.

15. I lavoratori di aziende straniere che, per motivi di servizio, devono accedere alla sede di aziende o pubbliche amministrazioni italiane, devono dimostrare il possesso del green pass? Nel caso degli autotrasportatori stranieri, se chi deve caricare/scaricare merce è sprovvisto di green pass, è possibile utilizzare il proprio personale per effettuare tali operazioni?

Il possesso del green pass è richiesto anche ai lavoratori stranieri ove debbano svolgere la propria attività lavorativa presso aziende o pubbliche amministrazioni italiane.

È possibile utilizzare il personale dell’azienda italiana per le operazioni di carico/scarico.

16. I contratti temporanei previsti per le aziende fino a 15 dipendenti, che devono assumere lavoratori per sostituire quelli sprovvisti di green pass, sono soggetti alle norme generali per i contratti a termine (quindi anche a quelle sulla contribuzione)?

I contratti di lavoro stipulati per sostituire i lavoratori sprovvisti di green pass sono soggetti alla disciplina generale del contratto a tempo determinato e in particolare a quanto previsto degli artt. 19 ss. del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e successive modifiche ed integrazioni.

17. Se per cinque giorni la badante non fornisce un green pass valido, il datore di lavoro può procedere alla sua sostituzione per 10 giorni, rinnovabili una volta? In caso affermativo, la badante da sostituire è convivente con il datore di lavoro (o con un suo familiare che beneficia della prestazione lavorativa), deve lasciare l’alloggio alla sostituta?

Se la badante non possiede il green pass non potrà accedere al luogo di lavoro. Resta impregiudicato il prevalente diritto della persona assistita di poter fruire senza soluzione di continuità della assistenza necessaria ricorrendo ad altro idoneo lavoratore. Se la badante è convivente con il datore di lavoro dovrà quindi abbandonare l’alloggio.

18. Il contratto collettivo nazionale prevede, per le badanti conviventi, che il datore di lavoro fornisca loro anche il vitto e l’alloggio o, in alternativa, una indennità sostitutiva. In caso di sospensione per mancanza di green pass, si sospendono anche le componenti vitto e alloggio? La badante dovrà quindi lasciare l’alloggio in cui vive abitualmente?

Il vitto e l’alloggio sono prestazioni in natura aventi natura retributiva sicchè, alla luce della disciplina legale e della corrispettività del rapporto di lavoro domestico, è corretta la mancata attribuzione delle stesse in virtù della mancata esecuzione della controprestazione lavorativa.

19. Se la badante convivente, pur in possesso di green pass, risulta positiva, dove deve trascorrere la quarantena?

La normativa vigente prevede il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena. Se la badante è convivente non potrà chiaramente allontanarsi dalla casa nella quale vive.

...

Fonte: Consiglio dei Ministri

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Convenzione ILO C189 del 01 giugno 2011

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Convenzione ILO C189 del 01 giugno 2011

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Convenzione ILO C189 Lavoratori domestici, 2011.

Ginevra, 01 giugno 2011

La Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro Convocata a Ginevra dal Consiglio di amministrazione dell’Ufficio Internazionale del Lavoro ed ivi riunitasi il 1° giugno 2011 per la sua centesima sessione; Consapevole dell’impegno assunto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro di promuovere il lavoro dignitoso per tutti attraverso il raggiungimento degli obiettivi della Dichiarazione dell’ILO relativa ai principi e diritti fondamentali nel lavoro e della Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta; Riconoscendo il contributo significativo dei lavoratori domestici all’economia mondiale, anche tramite l’aumento delle opportunità di occupazione rimunerata per le lavoratrici ed i lavoratori con responsabilità familiari, lo sviluppo dei servizi alla persona a favore degli anziani, dei bambini e dei disabili nonché attraverso consistenti trasferimenti di reddito sia all’interno di un singolo paese che tra paesi diversi; Considerando che il lavoro domestico continua ad essere sottovalutato e invisibile e che tale lavoro viene svolto principalmente da donne e ragazze, di cui molte sono migranti o appartengono alle comunità svantaggiate e sono particolarmente esposte alla discriminazione legata alle condizioni di impiego e di lavoro e alle altre violazioni dei diritti umani; Considerando inoltre che, nei paesi in via di sviluppo dove le opportunità di lavoro formale storicamente sono rare, i lavoratori domestici rappresentano una percentuale significativa della popolazione attiva di tale paesi, rimanendo tra le categorie più marginalizzate; Ricordando che, salvo disposizioni contrarie, le convenzioni e raccomandazioni internazionali del lavoro si applicano a tutti i lavoratori, ivi compresi i lavoratori domestici; Notando che la Convenzione (n. 97) sui lavoratori migranti (riveduta) del 1949, la Convenzione (n. 143) sui lavoratori migranti (disposizioni complementari) del 1975, la Convenzione (n. 156) sui lavoratori con responsibilità familiari del 1981, la Convenzione (n. 181) sulle agenzie private per l’impiego del 1997, la Raccomandazione (n. 198) sulla relazione di lavoro del 2006, sono particolarmente rilevanti per i lavoratori domestici, così come il Quadro multilaterale dell’ILO sulle migrazioni per lavoro: Principi e linee guida non vincolanti per un approccio alle migrazioni per lavoro basato sui diritti (2006); Riconoscendo che le condizioni particolari nelle quali viene svolto il lavoro domestico rendono auspicabile di completare le norme di portata generale con norme specifiche per i lavoratori domestici in modo da permettere loro di godere pienamente dei loro diritti; Ricordando altri strumenti internazionali rilevanti quali la Dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata, e in particolare il suo Protocollo addizionale volto a prevenire, reprimere e punire la tratta delle persone, in particolare delle donne e dei bambini, nonché il suo Protocollo contro la tratta illecita di migranti per terra, aria e mare, la Convenzione relativa ai diritti del bambino e la  Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie; Avendo deciso di adottare diverse proposte relative al lavoro dignitoso per i lavoratori domestici, questione che costituisce il quarto punto all’ordine del giorno della sessione; Avendo deciso che tali proposte avranno forma di convenzione internazionale, adotta, oggi sedici giugno duemilaundici, la seguente convenzione che verrà denominata Convenzione sulle lavoratrici e i lavoratori domestici del 2011.

Articolo 1
Ai fini della presente Convenzione:
a) l’espressione “lavoro domestico” significa il lavoro svolto in o per una o più famiglie;
b) l’espressione “lavoratore domestico” significa ogni persona che svolge un lavoro domestico nel quadro di una relazione di lavoro;
c) una persona che svolga un lavoro domestico in maniera occasionale o sporadica, senza farne la propria professione, non è da considerarsi lavoratore domestico.

Articolo 2
1. La convenzione si applica a tutti i lavoratori domestici.
2. Un Membro che ratifichi la presente Convenzione può, previa consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative e, ove esistano, con le organizzazioni rappresentative dei lavoratori domestici e con quelle dei datori di lavoro domestico, escludere totalmente o parzialmente dal suo campo di applicazione:
a) alcune categorie di lavoratori che beneficiano, ad altro titolo, di una protezione almeno equivalente;
b) alcune categorie limitate di lavoratori relativamente ai quali si pongono problemi particolari di significativa importanza.
3. Ogni Membro che si avvalga della possibilità offerta al paragrafo precedente deve, nel suo primo rapporto sull’applicazione della convenzione in virtù dell’articolo 22 della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, indicare tutte le categorie particolari di lavoratori escluse, precisando le ragioni di tale esclusione e, nei rapporti successivi, specificare tutte le misure che avrà adottato per estendere l’applicazione della convenzione ai lavoratori in questione.

Articolo 3
1. Ogni Membro deve adottare misure volte a assicurare in modo efficace la promozione e la protezione dei diritti umani di tutti i lavoratori domestici come previsto dalla presente Convenzione.
2. Ogni Membro deve adottare, nei confronti dei lavoratori domestici, le misure previste dalla presente Convenzione per rispettare, promuovere e realizzare i principi e i diritti fondamentali nel lavoro, in particolare:
a) la libertà di associazione e l’effettivo riconoscimento del diritto di contrattazione collettiva;
b) l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio;
c) l’effettiva abolizione del lavoro minorile;
d) l’eliminazione della discriminazione in materia di impiego e di professione.
3. Ogniqualvolta adottino misure volte ad assicurare che i lavoratori domestici e i datori di lavoro domestico godano della libertà sindacale e del riconoscimento effettivo del diritto di contrattazione collettiva, i Membri devono proteggere il diritto dei lavoratori domestici e dei datori di lavoro domestico a costituire le proprie organizzazioni, federazioni e confederazioni e, a patto di rispettarne gli statuti, di aderire alle organizzazioni, federazioni e confederazioni di loro scelta.

Articolo 4
1. Ogni Membro deve fissare una età minima per i lavoratori domestici, compatibilmente con le disposizioni della convenzione (n. 138) sull’età minima del 1973, e della convenzione (n. 182) sulle forme peggiori di lavoro minorile del 1999. L’età minima non deve essere inferiore a quella prevista dalla legislazione nazionale applicabile all’insieme dei lavoratori.
2. Ogni Membro deve adottare misure volte ad assicurare che il lavoro svolto da lavoratori domestici di età inferiore ai 18 anni e superiore all’età minima di accesso al lavoro non li privi della scolarità obbligatoria o comprometta le loro possibilità di proseguire gli studi o di seguire una formazione professionale.

Articolo 5
Ogni Membro deve adottare misure volte ad assicurare che i lavoratori domestici beneficino di una effettiva protezione contro ogni forma di abuso, di molestia e di violenza.

Articolo 6
Ogni Membro deve adottare misure volte ad assicurare che i lavoratori domestici, così come l’insieme dei lavoratori, godano di condizioni di occupazione eque nonché di condizioni di lavoro dignitose e, ove i lavoratori siano alloggiati presso le famiglie, di condizioni di vita dignitose che rispettino la loro vita privata.

Articolo 7
Ogni Membro deve adottare misure volte a assicurare che i lavoratori domestici siano informati delle loro condizioni di occupazione in maniera appropriata, verificabile e facilmente comprensibile, preferibilmente, ove possibile, per mezzo di un contratto scritto in conformità alla legislazione nazionale o alle convenzioni collettive, in particolare per quanto riguarda:
a) il nome e l’indirizzo del datore di lavoro domestico;
b) l’indirizzo del o dei luoghi di lavoro abituali;
c) la data di inizio del rapporto di lavoro e, se il contratto è a tempo determinato, la durata;
d) il tipo di lavoro da svolgere;
e) la remunerazione, il suo modo di calcolo e la periodicità dei pagamenti;
f) l’orario normale di lavoro;
g) il congedo annuale pagato e i periodi di riposo quotidiano e settimanale;
h) il vitto e l’alloggio, se del caso;
i) il periodo di prova, se del caso;
j) le condizioni di rimpatrio, se del caso;
k) le condizioni relative alla cessazione della relazione di lavoro, ivi compreso ogni preavviso da rispettare da parte del datore di lavoro o del lavoratore.

Articolo 8
1. La legislazione nazionale deve prevedere che i lavoratori domestici migranti reclutati in un paese per svolgere un lavoro domestico in un altro paese debbano ricevere per iscritto una offerta di lavoro o un contratto di lavoro valido nel paese nel quale il lavoro verrà svolto, e che espliciti le condizioni di occupazione di cui all’articolo 7, prima di varcare le frontiere nazionali per svolgere il lavoro domestico al quale si applica l’offerta o il contratto.
2. Il paragrafo precedente non si applica ai lavoratori che godono della libertà di circolazione per accedere ad un posto di lavoro in virtù di accordi bilaterali, regionali o multilaterali o nel quadro di zone di integrazione economica regionale.
3. I Membri devono adottare misure per cooperare fra di loro in modo da assicurare l’applicazione effettiva delle disposizioni della presente Convenzione ai lavoratori domestici migranti.
4. Ogni Membro deve, attraverso la legislazione o altre misure, determinare le condizioni in virtù delle quali i lavoratori domestici migranti hanno diritto al rimpatrio dopo la scadenza o la rescissione del contratto di lavoro per il quale sono stati reclutati.

Articolo 9
Ogni Membro deve adottare misure volte ad assicurare che i lavoratori domestici:
a) siano liberi di raggiungere un accordo con il loro datore di lavoro o potenziale datore di lavoro sull’essere alloggiato o meno presso la famiglia;
b) che sono alloggiati presso la famiglia non siano obbligati a rimanere presso la famiglia o insieme a membri della famiglia durante i periodi di riposo quotidiano o settimanale o di congedo annuale;
c) abbiano il diritto di rimanere in possesso dei propri documenti di viaggio e d’identità.

Articolo 10
1. Ogni Membro deve adottare misure volte ad assicurare l’uguaglianza di trattamento tra i lavoratori domestici e l’insieme dei lavoratori per quanto riguarda l’orario normale di lavoro, il compenso delle ore di lavoro straordinario, i periodi di riposo quotidiano e settimanale e i congedi annuali pagati, in conformità alla legislazione nazionale o alle convenzioni collettive, tenuto conto delle particolari caratteristiche del lavoro domestico.
2. Il riposo settimanale deve essere di almeno 24 ore consecutive.
3. I periodi durante i quali i lavoratori domestici non possono disporre liberamente del loro tempo e rimangono reperibili per eventuali bisogni della famiglia devono essere considerati come tempo di lavoro nella misura determinata dalla legislazione nazionale, dalle convenzioni collettive o da ogni altro mezzo compatibile con la prassi nazionale.

Articolo 11
Ogni Membro deve adottare misure volte ad assicurare che i lavoratori domestici beneficino del sistema di salario minimo, ove tale sistema esista, e che la remunerazione venga fissata senza discriminazione fondata sul sesso.

Articolo 12
1. I lavoratori domestici devono essere pagati direttamente in contanti, ad intervalli regolari e almeno una volta al mese. Salvo disposizioni della legislazione nazionale o delle convenzioni collettive sul modo di pagamento, il pagamento può essere effettuato tramite bonifico bancario, assegno bancario o postale, ordine di pagamento o altro mezzo legale di pagamento monetario, con l’assenso dei lavoratori in questione.
2. La legislazione nazionale, le convenzioni collettive o le sentenze arbitrali possono prevedere il pagamento di una percentuale limitata della remunerazione dei lavoratori domestici sotto forma di pagamenti in natura che non siano meno favorevoli di quelli generalmente applicabili alle altre categorie di lavoratori, a condizioni che vengano adottate misure volte ad assicurare che tali pagamenti in natura vengano accettati dal lavoratore, riguardino l’uso e l’interesse personale del lavoratore, e che il valore monetario a loro attribuito sia giusto e ragionevole.

Articolo 13
1. Ogni lavoratore domestico ha diritto ad un ambiente di lavoro sicuro e salubre. Ogni Membro deve adottare, in conformità alla legislazione e alla prassi nazionale, tenendo debito conto delle caratteristiche particolari del lavoro domestico, delle misure effettive per garantire la sicurezza e la salute sul lavoro dei lavoratori domestici.
2. Le misure di cui al paragrafo precedente possono essere applicate progressivamente in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative e, ove esistano, con le organizzazioni rappresentative dei lavoratori domestici e con quelle dei datori di lavoro domestico.

Articolo 14
1. Ogni Membro deve adottare misure appropriate, in conformità alla legislazione nazionale e tenendo debito conto delle caratteristiche particolari del lavoro domestico, per assicurare che i lavoratori domestici godano di condizioni non meno favorevoli di quelle applicabili all’insieme dei lavoratori in materia di sicurezza sociale, ivi compreso per quanto riguarda la maternità.
2. Le misure di cui al paragrafo precedente possono essere applicate progressivamente in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative e, ove esistano, con le organizzazioni rappresentative dei lavoratori domestici e con quelle dei datori di lavoro domestico.

Articolo 15
1. Al fine di assicurare che i lavoratori domestici, ivi compresi i lavoratori domestici migranti, reclutati o collocati tramite agenzie private per l’impiego, vengano effettivamente protetti contro pratiche abusive, ogni Membro deve:
a) determinare le condizioni di esercizio delle attività delle agenzie private per l’impiego quando reclutano o collocano lavoratori domestici, in conformità alla legislazione nazionale;
b) assicurare che esistano meccanismi e procedure appropriate ai fini di istruire le denunce ed esaminare i presunti abusi e pratiche fraudolente relative alle attività delle agenzie private per l’impiego in relazione con lavoratori domestici;
c) adottare tutte le misure necessarie ed appropriate, nei limiti della giurisdizione e, se del caso, in collaborazione con altri Membri, per assicurare che i lavoratori domestici reclutati o collocati sul proprio territorio tramite agenzie private per l’impiego beneficino di una adeguata protezione, e per impedire che vengano commessi abusi nei loro confronti. Tali misure devono includere leggi o regolamenti che specifichino gli obblighi rispettivi dell’agenzia per l’impiego privata e della famiglia nei confronti del lavoratore domestico e che prevedano delle sanzioni, ivi compresa l’interdizione delle agenzie private per l’impiego che si rendessero colpevoli di abusi o pratiche fraudolente;
d) considerare di siglare, ogniqualvolta i lavoratori domestici vengano reclutati in un paese per lavorare in un altro, accordi bilaterali, regionali o multilaterali volti a prevenire gli abusi e le pratiche fraudolente in materia di reclutamento, collocamento ed impiego;
e) adottare misure volte ad assicurare che gli onorari fatturati dalle agenzie private per l’impiego non vengano dedotti dalla remunerazione dei lavoratori domestici.
2. Per dare effetto ad ognuna delle disposizioni del presente articolo, ogni Membro deve consultare le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative e, ove esistano, le organizzazioni rappresentative dei lavoratori domestici e quelle rappresentative dei datori di lavoro domestico.

Articolo 16
Ogni Membro deve adottare misure volte ad assicurare che, in conformità alla legislazione e alla prassi nazionale, tutti i lavoratori domestici, personalmente o tramite un rappresentante, abbiano accesso effettivo ai tribunali e ad altri meccanismi di risoluzione delle vertenze, a delle condizioni che non siano meno favorevoli di quelle previste per l’insieme dei lavoratori.

Articolo 17
1. Ogni Membro deve stabilire meccanismi di denuncia e mezzi accessibili ed efficaci per assicurare il rispetto della legislazione nazionale sulla protezione dei lavoratori domestici;
2. Ogni Membro deve stabilire e attuare misure ispettive, attuative e sanzionatorie, tenendo debito conto delle caratteristiche particolari del lavoro domestico, in conformità alla legislazione nazionale.
3. Per quanto compatibile con la legislazione nazionale, queste misure devono prevedere le condizioni in presenza delle quali può essere autorizzato l’accesso al domicilio familiare, tenendo debito conto del rispetto della vita privata.

Articolo 18
Ogni Membro deve attuare le disposizioni della presente Convenzione, in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative, attraverso la legislazione nonché tramite contratti collettivi o misure supplementari conformi alla prassi nazionale, adattando o estendendo le misure esistenti ai lavoratori domestici, o elaborando misure specifiche rivolte a loro, se del caso.

Articolo 19
La presente Convenzione non pregiudica disposizioni più favorevoli applicabili ai lavoratori domestici in virtù di altre convenzioni internazionali del lavoro.

Articolo 20
Le ratifiche formali della presente Convenzione saranno comunicate al Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro e da esso registrate.

Articolo 21
1. La presente Convenzione sarà vincolante per i soli Membri dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro la cui ratifica sarà stata registrata dal Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro.
2. Essa entrerà in vigore dodici mesi dopo che le ratifiche di due Membri saranno state registrate dal Direttore Generale.
3. In seguito, questa convenzione entrerà in vigore per ciascun Membro dodici mesi dopo la data di registrazione della ratifica.

Articolo 22
1. Ogni Membro che ha ratificato la presente Convenzione può denunciarla allo scadere di un periodo di dieci anni dopo la data di entrata in vigore iniziale della Convenzione, mediante un atto comunicato al Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro e da quest’ultimo registrato. La denuncia avrà effetto un anno dopo la data di registrazione.
2. Ogni Membro che ha ratificato la presente Convenzione e che, nel termine di un anno dopo lo scadere del periodo di dieci anni di cui al paragrafo precedente, non si avvale della facoltà di denuncia prevista dal presente articolo sarà vincolato per un nuovo periodo di dieci anni ed in seguito potrà denunciare la presente Convenzione allo scadere di ciascun periodo di dieci anni alle condizioni previste nel presente articolo.

Articolo 23
1. Il Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro notificherà a tutti i Membri dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro la registrazione di tutte le ratifiche e di tutti gli atti di denuncia comunicati dai membri dell’Organizzazione.
2. Nel notificare ai Membri dell’Organizzazione la registrazione della seconda ratifica che gli sarà stata comunicata, il Direttore Generale richiamerà l’attenzione dei Membri dell’Organizzazione sulla data in cui la presente Convenzione entrerà in vigore.

Articolo 24
Il Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro comunicherà al Segretario Generale delle Nazioni Unite, ai fini della registrazione in conformità all’articolo 102 dello Statuto delle Nazioni Unite, informazioni complete riguardo a tutte le ratifiche ed a tutti gli atti di denuncia registrati in conformità agli articoli precedenti.

Articolo 25
Ogniqualvolta lo riterrà necessario, il Consiglio di amministrazione dell’Ufficio Internazionale del Lavoro presenterà alla Conferenza generale un rapporto sull’applicazione della presente Convenzione e considererà se sia il caso di iscrivere all’ordine del giorno della Conferenza la questione della sua revisione totale o parziale.

Articolo 26
1. Qualora la Conferenza adotti una nuova convenzione recante revisione totale o parziale della presente Convenzione, ed a meno che la nuova convenzione non disponga diversamente:
a) la ratifica ad opera di un Membro della nuova convenzione riveduta comporterebbe di diritto, malgrado l’articolo 22 di cui sopra, un’immediata denuncia della presente Convenzione, a condizione che la nuova convenzione riveduta sia entrata in vigore;
b) a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova convenzione riveduta, la presente Convenzione cesserebbe di essere aperta alla ratifica dei Membri.
2. La presente Convenzione rimarrà in ogni caso in vigore nella sua forma e tenore per i Membri che l’abbiano ratificata e che non ratificheranno la convenzione riveduta.

Articolo 27
Il testo francese e il testo inglese della presente Convenzione faranno ugualmente fede.

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Versione non ufficiale
Fonte e Ratifica: ---
Entrata in vigore: 05 Settembre 2013

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Convenzione ILO C182 del 01 giugno 1999

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Convenzione ILO C182 del 01 giugno 1999

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Convenzione ILO C182 Forme peggiori di lavoro minorile, 1999.

Ginevra, 01 giugno 1999

La Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, Convocata a Ginevra dal Consiglio di amministrazione dell’Ufficio Internazionale del Lavoro e ivi riunita il 1º giugno 1999 per l’ottantasettesima sessione, Considerata la necessità di adottare nuovi strumenti miranti alla proibizione e all’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile come priorità assoluta dell’azione nazionale e internazionale, ivi incluse la cooperazione e l’assistenza internazionali, allo scopo di completare la Convenzione e la Raccomandazione sull’età minima per l’ammissione al lavoro, del 1973, che rimangono gli strumenti fondamentali per quanto riguarda il lavoro minorile, Considerato che l’effettiva eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile richiede un’azione onnicomprensiva e immediata, che tenga conto dell’importanza dell’istruzione di base gratuita e della necessità di sottrarre a tutte queste forme di lavoro i minori in questione e di provvedere alla loro riabilitazione e al loro reinserimento sociale, prendendo anche in considerazione i bisogni delle famiglie, Richiamando la Risoluzione relativa all’eliminazione del lavoro minorile adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro durante la sua 83a sessione, nel 1996, Riconoscendo che la povertà è una rilevante concausa del lavoro minorile e che la soluzione a lungo termine va cercata in una crescita economica sostenuta che conduca al progresso sociale ed in particolare l’alleviamento della povertà e l’istruzione universale, Richiamando la Convenzione sui diritti dell’infanzia, adottata dall’Assemblea generale della Nazioni Unite il 20 novembre 1989, Richiamando la Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sui principi e diritti fondamentali sul lavoro ed il suo follow-up, adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro riunitasi per la sua 86a sessione nel 1998, Ricordando che alcune delle forme peggiori di lavoro minorile sono trattate in altri strumenti internazionali, in particolare nella Convenzione sul lavoro forzato, del 1930, e nella Convenzione aggiuntiva delle Nazioni Unite sull’abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle pratiche analoghe alla schiavitù, del 1956, Avendo deciso di adottare varie proposte riguardanti il lavoro minorile, questione che costituisce il quarto punto dell’ordine del giorno della sessione, Avendo deciso che tali proposte assumano la forma di una convenzione internazionale, adotta, oggi diciassette giugno millenovecentonovantanove, la convenzione qui appresso, denominata Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile, 1999.

Articolo 1
Ogni Membro che ratifichi la presente Convenzione deve prendere misure immediate ed efficaci atte a garantire la proibizione e l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile, con procedura d’urgenza.

Articolo 2
Ai fini della presente Convenzione, il termine «minore» si riferisce a tutte le persone di età inferiore ai 18 anni.

Articolo 3
Ai fini della presente Convenzione, l’espressione «forme peggiori di lavoro minorile» include:
a) tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, quali la vendita o la tratta di minori, la servitù per debiti e l’asservimento, il lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento forzato o obbligatorio di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati;
b) l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore a fini di prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici;
c) l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore ai fini di attività illecite, quali, in particolare, quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti, così come sono definiti dai trattati internazionali pertinenti;
d) qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore.

Articolo 4
1. I tipi di lavoro cui si fa riferimento nell’articolo 3 d) saranno determinati dalla legislazione nazionale o dall’autorità competente, previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate e tenuto conto delle relative norme internazionali, in particolare dei paragrafi 3 e 4 della Raccomandazione sulle forme peggiori di lavoro minorile del 1999.
2. L’autorità competente, previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate, deve localizzare l’esistenza dei tipi di lavoro così determinati.
3. La lista dei tipi di lavoro determinati secondo il paragrafo 1 di questo articolo deve essere periodicamente esaminata e ove necessario riveduta, in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate.

Articolo 5
Ogni Membro deve, previa consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, istituire o designare i meccanismi idonei per monitorare l’applicazione dei provvedimenti attuativi della presente Convenzione.

Articolo 6
1. Ogni Membro deve definire ed attuare programmi d’azione volti ad eliminare prioritariamente le forme peggiori di lavoro minorile.
2. Tali programmi d’azione devono essere definiti ed attuati in consultazione con le istituzioni pubbliche competenti e le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, tenendo conto, all’occorrenza, delle opinioni di altri gruppi interessati.

Articolo 7
1. Ogni Membro deve prendere tutti i provvedimenti necessari a garantire l’effettiva messa in opera ed applicazione delle disposizioni attuative della presente Convenzione, anche istituendo e applicando sanzioni penali e, all’occorrenza, altre sanzioni.
2. Ogni Membro, tenuto conto dell’importanza dell’educazione per l’eliminazione del lavoro minorile, deve adottare provvedimenti efficaci, con scadenze definite al fine di:
a) impedire che i minori siano coinvolti nelle forme peggiori di lavoro;
b) fornire l’assistenza diretta necessaria ed appropriata per sottrarli alle forme peggiori di lavoro minorile e garantire la loro riabilitazione e il loro reinserimento sociale;
c) garantire l’accesso all’istruzione di base gratuita e, ove sia possibile e opportuno, alla formazione professionale, a tutti i minori che sono stati sottratti alle forme peggiori di lavoro;
d) individuare i minori esposti a rischi particolari ed entrare in contatto diretto con loro;
e) tenere conto della situazione particolare delle bambine e delle adolescenti.
3. Ogni Membro deve designare l’autorità competente preposta all’applicazione delle disposizioni attuative della presente Convenzione.

Articolo 8
I Membri devono prendere le opportune iniziative per fornire reciproca assistenza nell’attuazione delle disposizioni della presente Convenzione, attraverso il rafforzamento della cooperazione e/o dell’assistenza internazionale, che prevedano anche misure di sostegno allo sviluppo economico e sociale, programmi per l’eliminazione della povertà e l’istruzione universale.

Articolo 9
Le ratifiche formali della presente Convenzione devono essere comunicate al Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro per essere registrate.

Articolo 10
1. La presente Convenzione vincola soltanto quei Membri dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro la cui ratifica sia stata registrata dal Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro.
2. Essa entrerà in vigore 12 mesi dopo la data in cui la ratifica di due Membri sarà stata registrata dal Direttore Generale.
3. In seguito, la presente Convenzione entrerà in vigore per ogni Membro 12 mesi dopo la data in cui la ratifica sia stata registrata.

Articolo 11
1. Ogni Membro che abbia ratificato la presente Convenzione può denunciarla alla scadenza di un periodo di dieci anni a partire dalla data in cui la Convenzione è entrata inizialmente in vigore, per mezzo di una notifica indirizzata al Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, affinché sia da lui registrata. La denuncia entrerà in vigore un anno dopo la sua registrazione.
2. Ogni Membro che abbia ratificato la presente Convenzione e che, nell’anno successivo alla scadenza del periodo di dieci anni indicato nel paragrafo precedente, non eserciti il diritto di denuncia previsto dal presente articolo, sarà vincolato per un altro periodo di dieci anni e, in seguito, potrà denunciare la presente Convenzione alla scadenza di ogni periodo di dieci anni secondo i termini previsti da questo articolo.

Articolo 12
1. Il Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro notificherà a tutti i Membri dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro la registrazione di tutte le ratifiche e di tutti gli atti di denuncia che gli saranno stati comunicati dai Membri dell’Organizzazione.
2. Nel notificare ai Membri dell’Organizzazione la registrazione della seconda ratifica, il Direttore Generale richiamerà l’attenzione dei Membri dell’Organizzazione sulla data dell’entrata in vigore della Convenzione.

Articolo 13
Il Direttore Generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro comunicherà al Segretario Generale delle Nazioni Unite, ai fini della registrazione in conformità all’articolo 102 della Carta delle Nazioni Unite, tutti i particolari delle ratifiche e degli atti di denuncia registrati dal Direttore Generale in conformità alle disposizioni degli articoli precedenti.

Articolo 14
Ogni volta che lo riterrà necessario, il Consiglio d’amministrazione dell’Ufficio Internazionale del Lavoro presenterà alla Conferenza Generale un rapporto sull’applicazione della presente Convenzione ed esaminerà l’opportunità di mettere all’ordine del giorno della Conferenza la questione della sua revisione totale o parziale.

Articolo 15
1. Nel caso in cui la Conferenza adottasse una nuova Convenzione per una revisione totale o parziale della presente e, a meno che la nuova Convenzione non preveda altrimenti:
a) la ratifica da parte di un Membro della nuova Convenzione di revisione implicherà ipso jure l’immediata denuncia della presente Convenzione, nonostante le disposizioni dell’articolo 11 di cui sopra, se e quando la nuova Convenzione di revisione sarà entrata in vigore;
b) a partire dalla data in cui la nuova Convenzione di revisione entrerà in vigore, la presente Convenzione non sarà più aperta alla ratifica da parte dei Membri.
2. La presente Convenzione rimarrà comunque in vigore nella sua forma e nel suo contenuto attuali per quei Membri che l’hanno ratificata ma che non hanno ratificato la Convenzione di revisione.

Articolo 16
Il testo francese e il testo inglese della presente convenzione faranno ugualmente fede.

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Fonte e Ratifica: Legge 25 Maggio 2000 n. 148
Entrata in vigore: 19 Novembre 2000

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DPCM 12 Ottobre 2021 - Linee guida controlli green pass PA

ID 14694 | | Visite: 18612 | News Sicurezza

Linee guida svolgimento controlli sul possesso del green pass PA

DPCM 12 Ottobre 2021 Linee guida controlli sul possesso del green pass PA / in GU

ID 14694 | Update 14.10.2021 - Pubblicato in GU

Linee guida in materia di condotta delle pubbliche amministrazioni per l’applicazione della disciplina in materia di obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde covid-19 da parte del personale

(GU n.246 del 14.10.2021)

In allegato:
- DPCM pubblicato in GU GU n.246 del 14.10.2021
- DPCM contenente linee guida possesso e di esibizione della certificazione verde covid-19 PA firmato Presidente Draghi (12.10.2021)
- Scheda DM rientro (07.10.2021)

- Scheda Linee guida green pass (07.10.2021)
- Personale PA Linee guida  funzione pubblica-salute per la verifica  del possesso della certificazione verde (07.10.2021) 
- Bozza DPCM Linee guida svolgimento controlli sul possesso del green pass PA - (06.10.2021)

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Estratto DPCM - Allegato I

Linee guida in materia di condotta delle pubbliche amministrazioni per l’applicazione della disciplina in materia di obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde covid-19 da parte del personale

Premessa

L’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, attraverso l’introduzione dell’articolo 9-quinquies nel decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, ha esteso a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi incluso il personale delle amministrazioni di cui all’articolo 3, al personale delle Autorità amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale per la società e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, della Banca d’Italia, nonché degli enti pubblici economici e degli organi di rilievo costituzionale, l’obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19 (c.d. green pass) di cui all'articolo 9, comma 2, del predetto decreto, quale condizione per il primo accesso al luogo di lavoro.

Tale obbligo è escluso per i soli soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.

Si evidenzia che il possesso della certificazione verde non fa comunque venir meno gli obblighi di isolamento e di comunicazione che incombono al soggetto che dovesse contrarre il Covid-19 o trovarsi in quarantena. In tal caso, pertanto, il soggetto affetto da Covid-19 dovrà immediatamente porre in essere tutte le misure già previste per tali circostanze, a partire dagli obblighi informativi, e la certificazione verde eventualmente già acquisita – a prescindere dall’evento che l’ha generata – anche se non ancora revocata, non autorizza in alcun modo l’accesso o la permanenza nei luoghi di lavoro.

Resta inoltre fermo, per il personale dipendente – ancorché munito di green pass, il rispetto di tutte le istruzioni fornite dal datore di lavoro per la riduzione del rischio di contagio, come, ad esempio, il divieto di recarsi sul luogo di lavoro in presenza di sintomi riconducibili alla malattia.

1.1 Contenuto dell’obbligo

Al di fuori dell’esclusione prevista per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale, l’accesso del lavoratore presso il luogo di lavoro non è dunque consentito in alcun modo e per alcun motivo a meno che lo stesso non sia in possesso della predetta certificazione (acquisita o perché ci si è sottoposti al vaccino da almeno 14 giorni, o perché si è risultati negativi al tampone o perché il soggetto è guarito dal Covid negli ultimi sei mesi) e in grado di esibirla in formato cartaceo o digitale. Peraltro, il possesso del green pass non è, a legislazione vigente, oggetto di autocertificazione.
Tenuto conto della funzione di prevenzione alla quale la misura è preordinata, non sono consentite deroghe a tale obbligo.
Pertanto, non è consentito in alcun modo, in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione.
Il possesso della certificazione verde e la sua esibizione sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell’accesso al luogo di lavoro. Il lavoratore che dichiari il possesso della predetta certificazione, ma non sia in grado di esibirla, deve essere considerato assente ingiustificato e non può in alcun modo essere adibito a modalità di lavoro agile.
È pertanto un preciso dovere di ciascun dipendente ottemperare a tale obbligo a prescindere dalle modalità di controllo adottate dalla propria amministrazione.
Tale obbligo, peraltro, è esteso anche ad ogni soggetto - che non sia un semplice utente dei servizi resi dall’amministrazione - che accede alla struttura per lo svolgimento di qualsiasi attività diversa dalla fruizione dei servizi erogati dall’amministrazione.
Pertanto, per accedere all’amministrazione, oltre al personale dipendente della pubblica amministrazione, qualunque altro soggetto dovrà essere munito di “green pass” - ivi inclusi i visitatori e le autorità politiche o i componenti delle giunte e delle assemblee delle autonomie locali e regionali - che ivi si rechi per lo svolgimento di una attività propria o per conto del proprio datore di lavoro.
A titolo esemplificativo, ma non esaustivo, sono dunque soggetti all’obbligo di green pass anche i dipendenti delle imprese che hanno in appalto i servizi di pulizia o quelli di ristorazione, il personale dipendente delle imprese di manutenzione che, anche saltuariamente, accedono alle infrastrutture, il personale addetto alla manutenzione e al rifornimento dei distributori automatici di generi di consumo (caffè e merendine), quello chiamato anche occasionalmente per attività straordinarie, i consulenti e collaboratori, nonché i prestatori e i frequentatori di corsi di formazione, come pure i corrieri che recapitano posta d’ufficio o privata, destinata ai dipendenti che dovessero farsela recapitare in ufficio (ad esempio anche i corrieri privati dovranno essere provvisti di green pass ove accedano alla struttura).
In questi casi la verifica del green pass potrà avvenire anche manualmente attraverso l’utilizzo dell’app “VerificaC19”, già disponibile negli store, ovvero attraverso l’integrazione dei sistemi informatici utilizzati per il termoscanner o per la rilevazione automatica delle presenze, (badge).
In sintesi, l’unica categoria di soggetti esclusa dall’obbligo di esibire il green pass per accedere agli uffici pubblici è quella degli utenti, ovvero di coloro i quali si recano in un ufficio pubblico per l’erogazione del servizio che l’amministrazione è tenuta a prestare. I visitatori che dovessero accedere a qualunque altro titolo (ad esempio per lo svolgimento di una riunione o di un incontro, congresso o altro) dovranno, invece, essere muniti della certificazione verde ed esibirla su richiesta.
Nelle more del rilascio e dell’eventuale aggiornamento delle certificazioni verdi Covid-19 da parte della piattaforma nazionale DGC, i soggetti interessati possono comunque avvalersi dei documenti rilasciati, in formato cartaceo o digitale, dalle strutture sanitarie pubbliche e private, dalle farmacie, dai laboratori di analisi, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta che attestano o refertano una delle condizioni di cui al comma 2, lettere a), b) e c), dell’art. 9 del decreto-legge n. 52 del 2021, in coerenza con il disposto dell’ultimo periodo del comma 10 del medesimo articolo.
In relazione ai servizi forniti a favore dell’utenza, il datore di lavoro deve predisporre tutte le misure di contenimento stabilite dalle competenti autorità sanitarie e dagli eventuali protocolli d’intesa stipulati con le organizzazioni sindacali e ciò al fine di evitare che la circostanza che agli uffici acceda utenza non tenuta a esibire o a possedere il green pass possa comportare rischi di contagio.

1.2 Modalità e soggetti preposti al controllo

L’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 individua nel datore di lavoro il soggetto preposto al controllo. Per datore di lavoro deve intendersi il dirigente apicale di ciascuna amministrazione o soggetto equivalente, a seconda del relativo ordinamento.
In relazione alla dimensione delle strutture e della presenza di una o più sedi decentrati, il dirigente apicale può delegare la predetta funzione - con atto scritto - a specifico personale, preferibilmente con qualifica dirigenziale, ove presenti.
Nell’esercizio del potere di controllo il dirigente apicale (che a titolo esemplificativo può identificarsi nel Segretario generale di un ministero o nel segretario comunale) impartisce le modalità attuative secondo le quali i soggetti dallo stesso incaricati provvedono a effettuare materialmente le attività di controllo (siano esse costantemente attive o a campione).
L’accertamento può essere svolto all’accesso della struttura, a campione o a tappeto, con o senza l’ausilio di sistemi automatici: il personale preposto al controllo vieterà al lavoratore senza green pass valido o che si rifiuti di esibirlo l’accesso alla struttura, invitandolo ad allontanarsi.
Il preposto al controllo comunica con immediatezza all’ufficio competente il nominativo del personale al quale non è stato consentito l’accesso.
Nel caso in cui tale accertamento non sia effettuato all’ingresso e si accerti, successivamente, che l’ingresso al luogo di lavoro è avvenuto senza il possesso della certificazione verde Covid-19, il personale dovrà essere allontanato dalla sede di servizio, sanzionato ai sensi dell’articolo 9-quinquies, comma 8, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, e sarà considerato assente ingiustificato fino alla esibizione della certificazione verde, includendo nel periodo di assenza anche le eventuali giornate festive o non lavorative.
La medesima sanzione si applica anche nel caso di rifiuto di esibizione della citata certificazione.
In caso di accesso alle sedi in assenza di certificazione verde Covid-19, restano ferme le conseguenze disciplinari previste dagli ordinamenti di appartenenza del personale.
Laddove l’accertamento del possesso della certificazione verde non avvenga all’atto dell’accesso al luogo di lavoro, con le direttive di cui sopra il dirigente apicale/datore di lavoro o soggetto da questi delegato, deve disporre che ciascun dirigente responsabile di dipartimento/ufficio/servizio proceda, con cadenza giornaliera, a verificare il possesso del green pass del proprio personale (ad esempio attraverso l’app VerificaC19) in misura percentuale non inferiore al 20 per cento di quello presente in servizio, assicurando che tale controllo, se a campione, sia effettuato, nel tempo, in maniera omogenea con un criterio di rotazione, su tutto il personale dipendente e, prioritariamente nella fascia antimeridiana della giornata lavorativa.
Il controllo sul possesso delle certificazioni verdi COVID-19 è effettuato con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021, adottato ai sensi dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge n. 52 del 2021, così come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 settembre 2021 e successive modifiche e integrazioni.
Per le sedi lavorative dove il controllo avviene all’ingresso, rimane in facoltà del datore di lavoro di effettuare ulteriori controlli a campione anche con cadenza non giornaliera.
In osservanza della disciplina sul trattamento dei dati personali non è comunque consentita la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma, salvo quelli strettamente necessari all'applicazione delle misure previste dagli articoli 9-ter ai commi 2 e 5, 9-quinquies, commi 6 e ss., e 9-septies, commi 6 e ss.
Qualora all’atto delle modalità di accertamento sopra descritte il lavoratore risulti non essere in possesso della certificazione verde Covid-19:
a) in caso di accertamento svolto all’accesso della struttura, a campione o a tappeto, con o senza l’ausilio di sistemi automatici: il personale preposto al controllo vieterà al lavoratore senza green pass valido l’accesso alla struttura, invitandolo ad allontanarsi.
Il preposto al controllo comunica con immediatezza, all’ufficio competente il nominativo del personale al quale non è stato consentito l’accesso; ciascun giorno di mancato servizio, fino alla esibizione della certificazione verde, è considerato assenza ingiustificata, includendo nel periodo di assenza anche le eventuali giornate festive o non lavorative.
In caso di controlli esclusivamente automatici, per l’eventualità di una mancata identificazione del soggetto sprovvisto di green pass, gli uffici competenti a rilevare le presenze del personale (ad esempio l’ufficio del personale o altra unità preposta a tale rilevamento), in base alle presenze in servizio della giornata, verificano le assenze dal servizio non dovute ad altro motivo legittimo tempestivamente comunicato nel rispetto dei termini fissati dalla contrattazione collettiva, e provvedono a comunicare all’interessato, anche con semplice mail, l’assenza ingiustificata rilevata, per poi procedere all’applicazione della disciplina ordinaria prevista per tale ipotesi.
b) nel caso in cui l’accertamento sia svolto dopo l’accesso alla sede, a tappeto o a campione: il dirigente che ha svolto l’accertamento, se del caso attraverso il responsabile della struttura di appartenenza, dovrà intimare al lavoratore sprovvisto di certificazione valida, al momento del primo accesso al luogo di lavoro, di lasciare immediatamente il posto di lavoro e comunicare ai competenti uffici l’inizio dell’assenza ingiustificata che perdurerà fino alla esibizione della certificazione verde, includendo nel periodo di assenza anche le eventuali giornate festive o non lavorative. In questo caso, inoltre, dopo aver accertato l’accesso nella sede di lavoro senza certificazione, il dirigente competente sarà tenuto ad avviare anche la procedura sanzionatoria di cui all’articolo 9-quinquies del decreto-legge n. 52 del 2021 (che sarà irrogata dal Prefetto competente per territorio).
Non è consentito, in alcun modo, che il lavoratore permanga nella struttura, anche a fini diversi, o che il medesimo sia adibito a lavoro agile in sostituzione della prestazione non eseguibile in presenza, ferma rimanendo la possibilità, per le giornate diverse da quella interessata, di fruire degli istituti contrattuali di assenza che prevedono comunque la corresponsione della retribuzione (malattia, visita medica, legge 104, congedo parentale...).
Come previsto dall’articolo 3, del decreto-legge 8 ottobre 2021, n. 139, in caso di richiesta da parte del datore di lavoro, derivante da specifiche esigenze organizzative volte a garantire l'efficace programmazione del lavoro, i lavoratori sono tenuti a rendere le comunicazioni di cui al comma 6, dell'articolo 9-quinquies e al comma 6 dell'articolo 9-septies, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, con un preavviso necessario a soddisfare le predette esigenze organizzative.
Tale ipotesi, tuttavia, non fa venire meno l’obbligo di effettuare i controlli all’accesso o quelli a campione, tenuto conto che, in ogni caso, il possesso del green pass non è, a legislazione vigente, oggetto di autocertificazione.
Nel caso in cui dalle predette comunicazioni si dovesse rilevare una interruzione di servizio essenziale, il Sindaco o il datore di lavoro per le altre amministrazioni, potrà attivare, in via d’urgenza, convezioni tra enti senza particolari formalità. Ai medesimi fini può essere adottata ogni misura di riorganizzazione interna, quale mobilità tra uffici o aree diverse, idonea a fronteggiare l'eventuale impossibilità di poter impiegare personale sprovvisto di green pass
Per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale il controllo sarà effettuato mediante lettura del QRCODE in corso di predisposizione. Nelle more del rilascio del relativo applicativo, tale personale - previa trasmissione della relativa documentazione sanitaria al medico competente dell’amministrazione di appartenenza - non potrà essere soggetto ad alcun controllo. Resta fermo che il Medico competente - ove autorizzato dal dipendente - può informare il personale deputato ai controlli sulla circostanza che tali soggetti debbano essere esonerati dalle verifiche.
Tale fattispecie non rientra nelle sopra richiamate comunicazioni di cui al comma 6 del citato articolo 9-quinquies del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52.
Nel caso in cui in sede di verifica all’accesso venga accertata la mancanza del green pass da parte di un soggetto di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato anche sulla base di contratti esterni), fermo restando l’allontanamento immediato, dovrà essere data tempestiva comunicazione al datore di lavoro dello stesso (ove esistente) per gli adempimenti di competenza.
Analoga procedura dovrà essere seguita anche nei casi in cui la verifica della mancanza del green pass riguardi personale in somministrazione. In tali casi sebbene il personale somministrato svolga la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, l’assenza dovuta al mancato possesso o alla mancata esibizione del green pass dovrà comunque essere segnalata immediatamente all’Agenzia di somministrazione.

1.3 Modalità di applicazione

Le conseguenze di cui all’art. 9-quinquies del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 sono previste nei seguenti casi:
a) mancato accesso al luogo di lavoro dovuto all’accertamento del mancato possesso da parte del lavoratore della certificazione verde Covid-19 o alla mancata esibizione della stessa: in questo caso, il soggetto preposto al controllo comunica con immediatezza, all’ufficio competente il nominativo del personale al quale non è stato consentito l’accesso. In ogni caso, ciascun giorno di mancato servizio, fino alla esibizione della certificazione verde, è considerato assenza ingiustificata. Resta fermo che ciascuna amministrazione procederà all’applicazione della misura nelle forme e attraverso l’adozione degli atti previsti dal proprio ordinamento;
b) accesso sul luogo di lavoro senza il possesso della certificazione verde covid-19: in questo caso, il dirigente - o il personale da questo delegato - che ha proceduto all’accertamento, dopo aver intimato al lavoratore sprovvisto di certificazione valida di lasciare immediatamente il posto di lavoro, comunica agli uffici competenti l’assenza ingiustificata. Nel contempo, ferme rimanendo le conseguenze di ordine disciplinare, gli uffici individuati dal datore di lavoro comunicano la violazione di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, al Prefetto competente per territorio per l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 19 del 2020.
Il quadro sanzionatorio sopra delineato non esclude, ovviamente, le responsabilità penale per i casi di alterazione o falsificazione della certificazione verde Covid-19 o di utilizzo della certificazione altrui.

1.4 Trattamento economico

In relazione alle giornate di assenza ingiustificata, al lavoratore non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati, intendendosi qualsiasi componente della retribuzione (anche di natura previdenziale) avente carattere fisso e continuativo, accessorio o indennitario comunque denominato, previsto per la giornata di lavoro non prestata. I giorni di assenza ingiustificata non concorrono alla maturazione di ferie e comportano la corrispondente perdita di anzianità di servizio.

1.5 Controlli manuali, automatizzati e a campione

Al fine di verificare il possesso della certificazione verde Covid-19, le amministrazioni dovranno, prioritariamente, svolgere il relativo controllo all’accesso. Tuttavia, quando le esigenze organizzative non consentano di svolgere tale modalità di verifica, sono comunque tenute a svolgere controlli anche a campione nella sede di lavoro, relativamente ai soggetti presenti o di cui è previsto l’accesso ai luoghi di lavoro. Si suggerisce, tuttavia, di predisporre l’attivazione di più di una delle modalità indicate e ciò al fine di poter sopperire all’eventuale possibile malfunzionamento di uno dei sistemi.
Qualora l’amministrazione non abbia terminato l’eventuale aggiornamento/adeguamento dei software relativi ai controlli automatici all’accesso e al fine di prevenire il verificarsi di assembramenti ai punti di ingresso alle sedi di servizio, è in ogni caso possibile, per assicurare comunque l’effettività del controllo, lo svolgimento di controlli a campione anche all’accesso attraverso l’applicazione denominata “VerificaC19” già disponibile gratuitamente sugli store.
Fermo restando che ciascuna amministrazione organizza tali controlli nell’ambito della propria autonomia organizzativa, è auspicabile che vengano utilizzate modalità di accertamento che non determinino ritardo o code durante le procedure di ingresso, soprattutto per le amministrazioni con un numero più elevato di dipendenti, e che, ovviamente, siano compatibili con la disciplina in materia di protezione dei dati personali.
Di seguito si indicano le specifiche funzionalità, che saranno compiutamente definite nell’emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi ai sensi dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, per la verifica automatizzata dei green pass, che verranno gradualmente rese disponibili:
- per tutte le amministrazioni, un pacchetto di sviluppo per applicazioni (Software Development Kit-SDK), rilasciato dal Ministero della Salute con licenza open source, che consente di integrare nei sistemi informativi di controllo accessi fisici dell’amministrazione, nei sistemi di controllo della temperatura o in soluzioni tipo totem, le funzionalità di verifica della Certificazione verde COVID-19, mediante la lettura del QR code; rimane fermo in ogni caso il divieto di memorizzare o utilizzare per finalità ulteriori le informazioni rilevate dalla lettura dei QR-code e le informazioni fornite in esito ai controlli.
- per le tutte amministrazioni che utilizzano la piattaforma NoiPA, una interazione in modalità asincrona tra la Piattaforma NoiPA, realizzata dal Ministero dell'economia e delle finanze per la gestione del personale delle pubbliche amministrazioni, e la Piattaforma nazionale-DGC per la verifica delle Certificazioni verdi COVID-19, che sarà resa disponibile a titolo non oneroso nel portale NoiPA.
- per tutte le amministrazioni con più di 50 dipendenti, con priorità per quelle che non utilizzano la piattaforma di NoiPA, un nuovo servizio pubblicato sul Portale istituzionale INPS, che come intermediario interroga la PN-DGC, che consente la verifica asincrona del green pass con riferimento all’elenco di codici fiscali di propri dipendenti, noti all’Istituto al momento della richiesta;
- per tutte le amministrazioni con almeno 1000 dipendenti, dotate di sistemi informativi di gestione del personale, anche con uffici di servizio dislocati in più sedi fisiche, una interoperabilità applicativa con la Piattaforma nazionale-DGC, previa autorizzazione e accreditamento.
Per tutte le amministrazioni resta comunque possibile utilizzare, preferibilmente per i controlli a campione o comunque per le amministrazioni più piccole, anche come soluzione alternativa nel caso di un malfunzionamento di una delle soluzioni di verifica automatizzata, anche a richiesta del lavoratore, l’applicazione denominata “VerificaC19” già disponibile gratuitamente sulle principali piattaforme per la distribuzione delle applicazioni sui dispositivi mobile.

1.6 Possibili misure in materia flessibilità degli orari di ingresso e di uscita

L’entrata in vigore dell’obbligo di possedere ed esibire il green pass per accedere alla sede di servizio da parte dei pubblici dipendenti coincide con la cessazione del lavoro agile come una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa nella pubblica amministrazione. Conseguentemente, il massiccio ricorso al lavoro agile emergenziale, così come si è sviluppato nel corso della pandemia, è destinato a finire il 15 ottobre 2021.
A decorrere dalla predetta data si verificherà, pertanto, il rientro in ufficio di tutto il personale delle pubbliche amministrazioni. Questa circostanza, come stabilito dalle misure adottate con il decreto 8 ottobre 2021 del Ministro per la pubblica amministrazione, esige uno sforzo organizzativo da parte di ogni singola amministrazione, volto a realizzare un ordinato e coordinato rientro in presenza dei dipendenti pubblici in una adeguata cornice di sicurezza sanitaria e finalizzata, in ogni caso, all’erogazione dei servizi agli utenti.
In tale quadro, ciascuna amministrazione, anche al fine di non concentrare un numero eccessivo di personale ai punti di accesso e di verifica del possesso del green pass, dovrà provvedere ad ampliare le fasce di ingresso e di uscita dalle sedi di lavoro del personale alle proprie dipendenze, al fine di consentire il raggiungimento delle sedi di lavoro stesse e l’inizio dell’attività lavorativa in un ampio arco temporale.
In questa prospettiva, e nell’ottica di agevolare gli spostamenti casa - lavoro del personale dipendente, anche con modalità sostenibili, i mobility manager aziendali delle pubbliche amministrazioni, nominati ai sensi del decreto interministeriale 12 maggio 2021, dovranno elaborare i piani degli spostamenti casa - lavoro (PSCL) di propria competenza tenendo conto delle disposizioni relative all’ampliamento delle fasce di ingresso e uscita dalle sedi di lavoro sopra richiamate.
I Comuni, tramite i propri mobility manager d’area di cui al predetto decreto interministeriale, dovranno svolgere un’azione di raccordo costante e continuativo con i mobility manager aziendali, non solo per le finalità dettate dall’articolo 6 del decreto interministeriale 12 maggio 2021, ma anche per la verifica complessiva e coordinata dell’implementazione dei PSCL e l’identificazione e la promozione di azioni di miglioramento complessivo dell’offerta di mobilità sul territorio di riferimento alla luce delle nuove fasce di ingresso e uscita dalle sedi di lavoro.
Infine, anche sulla base delle informazioni acquisite nelle fasi di programmazione e di verifica dell’implementazione dei PSCL, le Regioni e gli enti locali competenti ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, dovranno emanare apposite disposizioni finalizzate ad adeguare tempestivamente i piani di trasporto pubblico locale alle nuove fasce di flessibilità delle pubbliche amministrazioni.

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Update 11.10.2021

La Conferenza Unificata ha dato il 07 ottobre 2021 parere favorevole al decreto del ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, sulle modalità organizzative per il rientro in presenza di tutti i lavoratori pubblici e alle linee guida Funzione pubblica-Salute sui meccanismi di controllo e verifica del green pass nelle amministrazioni.

“Con il via libera di Regioni, Province e Comuni al decreto e alle linee guida - afferma il ministro Brunetta - superiamo un’altra tappa importante per assicurare all’Italia una Pubblica amministrazione efficiente, pienamente operativa, capace di sostenere al massimo cittadini e imprese durante questa straordinaria fase di ripresa. Dal 15 ottobre, grazie alle vaccinazioni e al green pass, tutti i dipendenti pubblici rientreranno a lavorare in presenza, in attesa dei rinnovi contrattuali e dell’adozione dei Piani integrati di attività e organizzazione (Piao), con i quali le amministrazioni potranno garantire uno smart working strutturato, che tuteli le esigenze dei lavoratori e i diritti e la soddisfazione degli utenti.

Il ritorno negli uffici sarà ordinato e in sicurezza. Ringrazio i colleghi del Governo, le Regioni, le Province e i Comuni per il clima proficuo di collaborazione. Ringrazio il Comitato tecnico-scientifico per il confronto e il supporto. Avanti verso una nuova normalità, fatta di efficienza della macchina amministrativa, valorizzazione del capitale umano, crescita e benessere. L’Italia può fare tesoro di questi drammatici mesi di pandemia e guardare al futuro con fiducia”.

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06.10.2021

Linee guida in materia di condotta delle pubbliche amministrazioni per l’applicazione della disciplina in materia di obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde covid-19 da parte del personale

In allegato:

- Bozza DPCM Linee guida svolgimento controlli sul possesso del green pass PA - (06.10.2021 h. 14.30)

Estratto Bozza del 06.10.2021

In relazione alle giornate di assenza ingiustificata, si legge infatti nel testo del provvedimento, «al lavoratore non è dovuto alcun compenso né di carattere fisso e continuativo, né di carattere accessorio o indennitario». Le giornate di assenza ingiustificate, L’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, attraverso l’introduzione dell’articolo 9-quinquies nel decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, ha esteso a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi incluso il personale delle amministrazioni di cui all’articolo 3, al personale delle Autorità amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale per la società e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, della Banca d’Italia, nonché degli enti pubblici economici e degli organi di rilievo costituzionale, l’obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19 (c.d. green pass) di cui all'articolo 9, comma 2, del predetto decreto, quale condizione per l’accesso al luogo di lavoro e, conseguentemente, per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Tale obbligo è escluso per i soli soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.

Si evidenzia che il possesso della certificazione verde non fa comunque venir meno gli obblighi di comunicazione che incombono al soggetto che dovesse contrarre il Covid-19. In tal caso, pertanto, il soggetto affetto da Covid-19 dovrà immediatamente porre in essere tutte le misure già previste per tali circostanze, a partire dagli obblighi informativi, e la certificazione verde eventualmente già acquisita – a prescindere da quale ne sia l’origine – non autorizza in alcun modo l’accesso o la permanenza nei luoghi di lavoro.

1.1 Contenuto dell’obbligo

Al di fuori dell’esclusione prevista per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale, l’accesso del lavoratore presso la sede di servizio non è dunque consentito in alcun modo e per alcun motivo a meno che lo stesso non sia in possesso della predetta certificazione (acquisita o perché ci si è sottoposti al vaccino, o perché ci si è sottoposti al tampone o perché il soggetto è stato affetto dal Covid) e in grado di esibirla. Peraltro, il possesso del green pass non è, a legislazione vigente, oggetto di autocertificazione.

Tenuto conto della funzione di prevenzione alla quale la misura è preordinata, non sono consentite deroghe a tale obbligo.

Pertanto, non è consentito in alcun modo, in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione.

Il possesso della certificazione verde e la sua esibizione sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell’accesso alla sede di servizio ovvero essere comunque presenti in un momento successivo nei casi di controllo a campione. Il lavoratore che dichiari il possesso della predetta certificazione, ma non sia in grado di esibirla, deve essere considerato assente ingiustificato e non può in alcun modo essere adibito a modalità di lavoro agile.

È pertanto un preciso dovere di ciascun dipendente ottemperare a tale obbligo a prescindere dalle modalità di controllo adottate dalla propria amministrazione.

Tale obbligo, peraltro, è esteso anche ad ogni soggetto – che non sia un semplice utente dei servizi resi dall’amministrazione - che accede alla struttura per lo svolgimento di qualsiasi attività diversa dalla fruizione dei servizi erogati dall’amministrazione.

Pertanto, per accedere all’amministrazione, oltre al personale dipendente della pubblica amministrazione, qualunque altro soggetto dovrà essere munito di “green pass”, – ivi inclusi i visitatori e le autorità politiche o i componenti delle giunte e delle assemblee delle autonomie locali e regionali - che ivi si rechi per lo svolgimento di una attività propria o per conto del proprio datore di lavoro. 

A titolo esemplificativo, ma non esaustivo, sono dunque soggetti all’obbligo di green pass anche i dipendenti delle imprese che hanno in appalto i servizi di pulizia o quelli di ristorazione, il personale dipendente delle imprese di manutenzione che, anche saltuariamente, accedono alle infrastrutture, il personale addetto alla manutenzione e al rifornimento dei distributori automatici di generi di consumo (caffè e merendine), quello chiamato anche occasionalmente per attività straordinarie, nonché consulenti e collaboratori, nonché i prestatori e i frequentatori di corsi di formazione.

In questi casi la rilevazione del green pass potrà avvenire anche manualmente attraverso l’utilizzo dell’app “VerificaC19”, già disponibile negli store, ovvero attraverso l’integrazione dei sistemi informatici utilizzati per il termoscanner, badge.

In sintesi, l’unica categoria di soggetti esclusa dall’obbligo di esibire il green pass per accedere agli uffici pubblici è quella degli utenti, ovvero di coloro i quali si recano in un ufficio pubblico per l’erogazione del servizio che l’amministrazione è tenuta a prestare. I visitatori che dovessero accedere a qualunque altro titolo (ad esempio per lo svolgimento di una riunione o di un incontro, congresso o altro) dovranno, invece, essere muniti della certificazione verde ed esibirla.

In relazione ai servizi forniti a favore dell’utenza, il datore di lavoro deve predisporre tutte le misure di contenimento stabilite dalle competenti autorità sanitarie e dagli eventuali protocolli d’intesa stipulati con le organizzazioni sindacali e ciò al fine di evitare che la circostanza che agli uffici acceda utenza non tenuta a esibire o a possedere il green pass possa comportare rischi di contagio.

1.2 Modalità e soggetti preposti al controllo

L’articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 127 del 2021 individua nel datore di lavoro il soggetto preposto al controllo. Per datore di lavoro deve intendersi il dirigente amministrativo apicale di ciascuna amministrazione o soggetto equivalente, a seconda del relativo ordinamento.

Tuttavia, in relazione alla dimensione delle strutture e della presenza di una o più sedi decentrati, il dirigente apicale può delegare la predetta funzione – con atto scritto - a specifico personale, preferibilmente con qualifica dirigenziale, ove presenti.

Nell’esercizio del potere di controllo il dirigente apicale (che a titolo esemplificativo può indentificarsi nel Segretario generale di un ministero o nel segretario comunale) impartisce le modalità attuative secondo le quali i soggetti dallo stesso delegati provvedono a effettuare materialmente le attività di controllo (siano esse costantemente attive o a campione).

Laddove il controllo all’atto dell’accesso al luogo di lavoro sia effettuato attraverso strumentazione esclusivamente automatizzata (ad esempio mediante i dispositivi utilizzati per il termoscanner, badge, ecc.) la stessa dovrà consentire l’immediata identificazione per la comunicazione a gli uffici competenti a rilevare la presenza o l’assenza dal servizio (ad esempio l’ufficio del personale o altra unità preposta a tale rilevamento), verificato che l’assenza dal servizio non sia dovuta ad altro motivo legittimo, provvederanno a comunicare all’interessato l’assenza ingiustificata rilevata.

Nel caso in cui tale accertamento non sia effettuato all’ingresso e si accerti, successivamente, che l’ingresso al luogo di lavoro è avvenuto senza il possesso della certificazione verde Covid19, il personale dovrà essere allontanato dalla sede di servizio, sanzionato ai sensi dell’articolo 9- quinquies, comma 8, del decreto-legge n. 52 del 2021, e sarà considerato assente ingiustificato fino alla esibizione della certificazione verde.

La medesima sanzione si applica anche nel caso di rifiuto di esibizione della citata certificazione.

In caso di accesso alle sedi in assenza di certificazione verde Covid-19, restano ferme le conseguenze disciplinari previste dagli ordinamenti di appartenenza del personale.

Laddove, invece, l’accertamento del possesso della certificazione verde non avvenga all’atto dell’accesso al luogo di lavoro, con le direttive di cui sopra il dirigente apicale/datore di lavoro o soggetto da questi delegato, deve disporre che ciascun dirigente responsabile di dipartimento/ufficio/servizio proceda, a campione, almeno con cadenza giornaliera, a verificare il possesso del green pass del proprio personale (ad esempio attraverso l’app VerificaC19) in misura percentuale non inferiore al 30 per cento di quello presente in servizio, assicurando che tale controllo sia effettuato, nel tempo, in maniera omogenea con un criterio di rotazione, su tutto il personale dipendente e, prioritariamente nella fascia antimeridiana della giornata lavorativa.

Il controllo sul possesso delle certificazioni verdi COVID-19 è effettuato con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021, adottato ai sensi dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, così come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 settembre 2021 e successive modifiche e integrazioni. 

In ossequio alla disciplina sul trattamento dei dati personali non è comunque consentita la raccolta dei dati relativi alle certificazioni esibite dai lavoratori né la conservazione della loro copia. Qualora all’atto delle modalità di accertamento sopra descritte il lavoratore risulti non essere in possesso della certificazione verde Covid-19:
a) in caso di accertamento svolto all’accesso della struttura senza l’ausilio di sistemi automatici: il personale preposto al controllo vieterà al lavoratore l’accesso alla struttura, invitandolo ad allontanarsi;
b) nel caso in cui l’accertamento sia svolto a campione: il dirigente che ha svolto l’accertamento dovrà intimare al lavoratore sprovvisto di certificazione di lasciare immediatamente il posto di lavoro e comunicare ai competenti uffici l’inizio dell’assenza ingiustificata che perdurerà fino alla esibizione della certificazione verde. In questo caso, inoltre, dopo aver accertato l’accesso nella sede di lavoro senza certificazione, il dirigente competente sarà tenuto ad avviare anche la procedura sanzionatoria di cui all’articolo 9-quinquies del decreto-legge n. 52 del 2021 (che sarà irrogata dal Prefetto competente per territorio).

Non è consentito, in alcun modo, che il lavoratore permanga nella struttura, anche a fini diversi, o che il medesimo sia adibito a lavoro agile in sostituzione della prestazione non eseguibile in presenza.

Nell’ambito delle misure organizzative proprie di ciascuna amministrazione che necessitano di consuete attività di pianificazione con riferimento ad uno specifico periodo di interesse, non è escluso, per il datore di lavoro, ricevere le volontarie comunicazioni di cui al comma 6 dell’articolo 9-quinquies del decreto-legge n. 52 del 2021.

Tale eventualità, tuttavia, non fa venir meno l’obbligo di effettuare i controlli all’accesso o quelli a campione, tenuto conto che, in ogni caso, il possesso del green pass non è, a legislazione vigente, oggetto di autocertificazione.

Per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale il controllo sarà effettuato mediante lettura del QRCODE in corso di predisposizione. Nelle more del rilascio del relativo applicativo, tale personale – previa trasmissione della relativa documentazione sanitaria al medico competente dell’amministrazione di appartenenza – non potrà essere soggetto ad alcun controllo.

1.3 Modalità di applicazione delle sanzioni

Le sanzioni previste dall’art. 9-quinquies del decreto-legge n. 52 del 2021 sono previste nei seguenti casi:
a) mancato accesso al luogo di lavoro dovuto al preventivo accertamento del mancato possesso da parte del lavoratore della certificazione verde Covid-19: in questo caso, come sopra evidenziato, se il controllo avviene mediante sistemi automatici di lettura della certificazione, l’assenza dal servizio sarà considerata ingiustificata dopo che l’ufficio competente, verificato che l’assenza dal servizio non sia dovuta ad altro motivo legittimo, provvederà a comunicare all’interessato (anche con una semplice email) l’assenza ingiustificata rilevata. Laddove il controllo all’accesso, in mancanza di sistemi di rilevamento automatico, sia effettuato da personale a tal scopo delegato dal datore di lavoro, il soggetto preposto al controllo comunica con immediatezza, all’ufficio competente (cui afferisce il soggetto), il nominativo del personale al quale non è stato consentito l’accesso. In ogni caso, ciascun giorno di mancato servizio è considerato assenza ingiustificata e a questa consegue la mancata retribuzione (anche a fini previdenziali).
b) accesso sul luogo di lavoro senza il possesso della certificazione verde covid-19: in questo caso, il dirigente – o il personale da questi delegato - che ha proceduto all’accertamento, dopo aver intimato al lavoratore sprovvisto di certificazione di lasciare immediatamente il posto di lavoro, comunica agli uffici competenti l’assenza ingiustificata. Nel contempo, gli uffici individuati dal datore di lavoro comunicano la violazione di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, al Prefetto competente per territorio per l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 19 del 2020.
Il quadro sanzionatorio sopra delineato non esclude, ovviamente, le responsabilità penale per i casi di alterazione o falsificazione della certificazione verde Covid-19 o di utilizzo della certificazione altrui. 

1.4 Trattamento economico

In relazione alle giornate di assenza ingiustificata, al lavoratore non è dovuto alcun compenso né di carattere fisso e continuativo, né di carattere accessorio o indennitario. Le giornate di assenza ingiustificate sono considerate servizio non utile a tutti gli effetti (previdenziale, di anzianità di servizio o per la maturazione di classi o scatti economici, o per l’avanzamento).

1.5 Controlli all’accesso e a campione

Al fine di verificare il possesso della certificazione verde Covid-19, le amministrazioni dovranno, prioritariamente, svolgere il relativo controllo all’accesso. Tuttavia, quando le esigenze organizzative non consentano di svolgere tale modalità di verifica, sono comunque tenute a svolgere controlli a campione. Si suggerisce, tuttavia, di predisporre l’attivazione di più di una delle modalità indicate e ciò al fine di poter sopperire all’eventuale possibile malfunzionamento di uno dei sistemi.

Tuttavia, nelle more dell’eventuale aggiornamento/adeguamento dei software relativi ai controlli automatici all’accesso e al fine di prevenire il verificarsi di assembramenti ai punti di ingresso alle sedi di servizio, in sede di prima applicazione è in ogni caso preferibile, per assicurare comunque l’effettività del controllo, lo svolgimento di controlli a campione attraverso l’applicazione denominata “VerificaC19” già disponibile gratuitamente sugli store.

Fermo restando che ciascuna amministrazione organizza tali controlli nell’ambito della propria autonomia organizzativa, è auspicabile che vengano utilizzate modalità di accertamento che non determinino ritardo o code durante le procedure di ingresso, soprattutto per le amministrazioni con un numero più elevato di dipendenti, e che, ovviamente, siano compatibili con la disciplina in materia di protezione dei dati personali.

A tale scopo, si indicano, quali possibili metodi di verifica che verranno gradualmente resi disponibili, i seguenti:

- per le amministrazioni che usufruiscono della piattaforma di NoiPA sarà possibile usufruire di un nuovo servizio di interrogazione a beneficio delle amministrazioni, disponibile nel portale NoiPA. Tale servizio consentirà al datore di lavoro o ai soggetti da questo formalmente incaricati dell’accertamento, previo accesso in modalità sicura, di visualizzare nella pagina web la validità della Certificazione verde - Covid19 in base ad un elenco selezionabile dei dipendenti del proprio Ufficio; il nuovo servizio è abilitato su richiesta per i dirigenti che avranno visibilità sul personale allocato negli uffici di servizio censiti in NoiPA o per aggregazioni di questi ultimi. (Indicazioni tecniche in allegato 1- in corso di predisposizione)
- per le amministrazioni che non usufruiscono della piattaforma di NoiPA, la verifica del possesso della certificazione verde può essere effettuata mediante un’interazione con il Portale della Piattaforma Nazionale – DGC, sul sito www.dgc.gov.it. In questo caso il datore di lavoro o i soggetti da questo formalmente incaricati dell’accertamento, previo acceso al portale attraverso una identità digitale (SPID o CIE), inviano alla Piattaforma Nazionale DGC un file contenente l’elenco dei codici fiscali del personale su cui si vuole attivare il processo di verifica del possesso della certificazione verde in corso di validità; (indicazioni tecniche in allegato 2- in corso di predisposizione)
- per tutte le amministrazioni resta comunque possibile utilizzare, preferibilmente per i controlli a campione o comunque per le amministrazioni più piccole, anche come “applicativo di salvataggio” nel caso di un malfunzionamento della modalità scelta come principale, l’applicazione denominata “VerificaC19” già disponibile gratuitamente sugli store.

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Testo coordinato VVF del DM 10 marzo 1998 - Ottobre 2021

ID 14724 | | Visite: 6067 | Prevenzione Incendi

Testo coordinato DM 10 marzo 1998   Ottobre 2021

Testo coordinato VVF del DM 10 marzo 1998 - Ottobre 2021

ID 14724 | 11.10.2021 / In allegato Testo coordinato

Testo coordinato del DM 10 marzo 1998 Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro.

La prevenzione incendi applicata alle attività con presenza di lavoratori implica dei risvolti penali; tale aspetto fu già messo in evidenza con l’allora vigente DPR 547/55 che è stato in parte modificato dal D. Lgs 626/94 a sua volta sostituito dal D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico sulla sicurezza).

Tali decreto si occupa della sicurezza e della salute del lavoratore sul posto di lavoro sotto tutti gli aspetti. Per quanto riguarda la parte legata alla sicurezza contro gli incendi è stato emanato il DM 10/03/98, come previsto dall’art. 13 del D. Lgs 626/94, ripreso dal D. Lgs 81/08.

Con l’entrata in vigore del D. Lgs. 81/08 sono stati abrogati il DPR 27/04/55, n° 547, il D. Lgs. 19/09/94, n° 626 ed il D. Lgs. 14/08/96, n° 493.

È opportuno ricordare che il DM 10 marzo 1998, seppur legato al D. Lgs 626/94, rimane punto di riferimento per le attività soggette al controllo di prevenzione incendi per quelle attività prive di norma specifica.

È importate notare che l’elenco allegato al DPR 151/2011 sostituisce il DPR 689/59 richiamato dal D. Lgs 81/08 (p. 4.4.2 dell’allegato IV), in merito alle attività con obbligo preventivo di richiesta di parere i conformità e di sopralluogo per le quali, l’omissione di tali richieste, comporta una sanzione penale.

Con la pubblicazione del DM 01/09/2021 si è completato l’aspetto relativo al controllo e manutenzione delle attrezzature, degli impianti e dei sistemi di sicurezza antincendio.

Con la pubblicazione del DM 02/09/2021 si è completato l’aspetto relativo alla gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza ed alle caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio; esso comprende anche i corsi di formazione per gli addetti antincendio e per i formatori.

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Testo coordinato DM 10/03/98 - Ottobre 2021

INDICE
Stato normativo
DM 10 marzo 1998
Allegato I - Linee guida per la valutazione dei rischi di incendio nei luoghi di lavoro
Allegato II - Misure intese a ridurre la probabilità di insorgenza degli incendi
Allegato III - Misure relative alle vie di uscita in caso di incendio
Allegato IV - Misure per la rivelazione e l’allarme in caso di incendio
Allegato V - Attrezzature ed impianti di estinzione degli incendi
Allegato VI - Controlli e manutenzione sulle misure di protezione antincendio
Allegato VII - Informazione e formazione antincendio
Allegato VIII - Pianificazione delle procedure da attuare in caso di incendio
Allegato IX - Contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti alla prevenzione incendi, lotta
antincendio e gestione delle emergenze, in relazione al livello di rischio dell’attività
Allegato X - Luoghi di lavoro ove si svolgono attività previste dall’art. 6, comma 3
Note al DM 10/03/1998
DM 01 settembre 2021
DM 02 settembre 2021
Allegato I - Gestione della sicurezza antincendio in esercizio
Allegato II - Gestione della sicurezza antincendio in emergenza
Allegato III - Corsi di formazione e aggiornamento antincendio per addetti al servizio antincendio
Allegato IV - Idoneità tecnica degli addetti al servizio antincendio
Allegato V - Corsi di formazione e di aggiornamento dei docenti dei corsi antincendio
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Decreto 2 settembre 2021

Decreto 2 settembre 2021 - Decreto GSA / Gestione Sicurezza Antincendio luoghi di lavoro

Criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, ai sensi dell'articolo 46, comma 3, lettera a), punto 4 e lettera b) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

(GU n.237 del 04.10.2021)

Entrata in vigore: 04.10.2022

Dal 04.10.2022 sono abrogati l’art. 3, comma 1, lettera f) e gli articoli 5, 6 e 7 del decreto del Ministro dell’interno 10 marzo 1998.

Fonte: VVF

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Decreto 28 settembre 2021

ID 14746 | | Visite: 3217 | Prevenzione Incendi

Decreto 28 settembre 2021

Decreto 28 settembre 2021

Ministero dell'Interno

Modalita' di separazione delle funzioni di formazione, svolte dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, da quelle di attestazione di idoneita', a norma dell'articolo 26-bis, comma 5, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.

(GU n.245 del 13.10.2021)

Entrata in vigore: 12.11.2021

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Art. 1. Espletamento della funzione di accertamento di idoneità tecnica

1. Su istanza del datore di lavoro, il Comando dei vigili del fuoco, di seguito denominato «Comando», competente sul territorio ove ha sede l’attività lavorativa, rilascia, previo superamento di prova tecnica, l’attestato di idoneità di cui all’art. 3, comma 3, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 512, ai lavoratori designati dal datore di lavoro ai sensi dell’art. 18, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
2. Ai fini dell’ammissione alla prova tecnica, il Comando verifica che i lavoratori siano in possesso dell’attestato di frequenza al corso di formazione specifica e all’aggiornamento periodico di cui all’art. 37, comma 9 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, rilasciato da strutture centrali o territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di seguito denominato «Corpo nazionale», oppure da soggetti, pubblici o privati, aventi i requisiti individuati dai decreti emanati ai sensi dell’art. 46, comma 3 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
3. La commissione incaricata dell’accertamento dell’idoneità tecnica è nominata con provvedimento del Direttore regionale dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, di seguito denominato «Direttore regionale», della regione ove ha sede il Comando di cui al comma 1; è presieduta da un dirigente superiore o da un primo dirigente del ruolo dei dirigenti che espletano funzioni operative e composta da due componenti, uno dei quali appartenente al ruolo dei direttivi che espletano funzioni operative o al ruolo dei direttivi aggiunti o al ruolo dei direttivi speciali che espletano funzioni operative o al ruolo degli ispettori antincendi e l’altro al ruolo dei capi squadra e dei capi reparto, e da un segretario appartenente ai ruoli tecnicoprofessionali del Corpo nazionale. In caso di indisponibilità del personale dirigente, le funzioni di presidente possono essere attribuite ad un direttore vicedirigente del ruolo dei direttivi che espletano funzioni operative.
Con il medesimo provvedimento per ciascun componente può essere nominato un membro supplente, per le ipotesi di assenza o impedimento del componente effettivo.
4. Fatte salve le esigenze specificate all’art. 2, i componenti effettivi e i relativi supplenti sono individuati tra il personale in servizio presso il Comando di cui al comma 1, ove è istituita la commissione.

Art. 2. Modalità per la separazione delle funzioni di formazione da quelle di attestazione di idoneità e principio di rotazione degli incarichi.

1. I componenti della commissione di cui all’art. 1, effettivi e supplenti, sono individuati dal Direttore regionale tra il personale che non ha partecipato ad alcuna fase didattica di formazione e di aggiornamento dei lavoratori che sosterranno la prova tecnica. Qualora, nel rispetto di tale condizione, non sia disponibile personale in servizio nell’ambito del Comando di cui all’art. 1, comma 1, il Direttore regionale nomina la commissione ricorrendo a personale in servizio presso la Direzione regionale o gli altri comandi della regione.
2. Ai fini del perfezionamento dell’incarico ricevuto, i membri della commissione, effettivi e supplenti, presa visione delle generalità del datore di lavoro e dei lavoratori da sottoporre all’accertamento dell’idoneità tecnica, rilasciano una dichiarazione di assenza di cause di incompatibilità con riguardo alla condizione di cui al comma 1, nonché di ogni altra potenziale situazione di conflitto di interesse che ne possa inficiare l’imparzialità di valutazione.
3. Nell’individuazione del presidente, dei componenti e del segretario della commissione viene assicurato il rispetto del principio di rotazione degli incarichi.

Art. 3. Disposizioni finali

1. Il presente decreto entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

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Decreto 08 Ottobre 2021

ID 14732 | | Visite: 5981 | News Sicurezza

Decreto 08 Ottobre 2021   Rientro in presenza PA

Decreto 08 Ottobre 2021 - Rientro in presenza PA

ID 14732 | 13.10.2021 / Pubblicato in GU

Modalita' organizzative per il rientro in presenza dei lavoratori delle pubbliche amministrazioni.

(GU n.245 del 13.10.2021)

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12.10.2021

Il decreto del Ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, con le indicazioni per il rientro in presenza dei dipendenti pubblici dal 15 ottobre, è stato inviato al Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, al Presidente dell’Anci, Antonio Decaro, e al Presidente dell’Upi, Michele De Pascale. Nelle prossime ore il testo - che ha ricevuto il 7 ottobre il via libera della Conferenza Unificata e il 5 ottobre, per gli aspetti legati alla sicurezza sanitaria, quello del Comitato tecnico-scientifico - sarà trasmesso a tutte le amministrazioni pubbliche. 
 
Nella lettera a Regioni, Anci e Upi, il Ministro Brunetta ha informato dei servizi di supporto alle amministrazioni attivati dal Dipartimento della Funzione pubblica, in collaborazione con Formez PA, per garantire la corretta e omogenea attuazione delle disposizioni sul rientro dei dipendenti:
 
- l’helpdesk Linea Amica Digitale (www.lineaamica.gov.it), dove saranno pubblicate apposite Faq;
- una casella email dedicata (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. ) per raccogliere segnalazioni e richieste di chiarimenti da parte delle amministrazioni;
 - un numero verde dedicato (800 254 009), gestito da Formez PA, che sarà attivo da mercoledì 13 ottobre. 
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RIENTRO IN PRESENZA
 
Con il decreto del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, del 23 settembre 2021, il lavoro agile ha cessato di essere una delle modalità ordinarie di svolgimento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
 
Il decreto del Ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, disciplina ora il rientro al lavoro in presenza per tutti i dipendenti della Pubblica amministrazione a partire dal prossimo 15 ottobre. Sul decreto, per gli aspetti di sicurezza sanitaria, il Comitato tecnico-scientifico ha dato parere favorevole nella seduta del 5 ottobre.
 
Ogni amministrazione adotterà le misure organizzative necessarie all’attuazione delle misure previste dal Dm entro i successivi 15 giorni, assicurando da subito la presenza in servizio del personale preposto alle attività di sportello e di ricevimento degli utenti (front office) e dei settori preposti all’erogazione di servizi all’utenza (back office), anche attraverso la flessibilità degli orari di sportello e di ricevimento dell’utenza.
 
Per evitare di concentrare l’accesso al luogo di lavoro nella stessa fascia oraria e per garantire la più ampia utilizzazione degli sportelli al pubblico (front office), sarà consentita la massima flessibilità degli orari di ingresso e di uscita e di apertura al pubblico degli sportelli, anche in deroga alle modalità previste dai contratti collettivi e nel rispetto del sistema di partecipazione sindacale.
 
CONTRATTI, PIAO E LAVORO AGILE
 
Nelle more della definizione degli istituti del rapporto di lavoro connessi al lavoro agile da parte della contrattazione collettiva e della definizione delle modalità e degli obiettivi del lavoro agile nell’ambito del Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) che ogni amministrazione dovrà adottare entro il 31 gennaio 2022 (la struttura del Piao sarà presentata a breve in Conferenza Unificata), si torna al regime pre-pandemia, ma l’accesso allo smart working potrà essere autorizzato, ove consentito a legislazione vigente, soltanto nel rispetto delle seguenti condizioni:
 
- assicurazione della piena erogazione dei servizi resi agli utenti;
- un’adeguata rotazione del personale autorizzato alla prestazione di lavoro agile, assicurando comunque la prevalenza, per ciascun lavoratore, del lavoro in presenza;
- una piattaforma digitale o un cloud o comunque strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni trattati durante lo svolgimento del lavoro agile;
- un piano di smaltimento del lavoro arretrato, se accumulato;
- la fornitura di idonea dotazione tecnologica al lavoratore;
- il prevalente svolgimento in presenza della prestazione lavorativa dei soggetti titolari di funzioni di coordinamento e controllo, dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti;
- la rotazione del personale in presenza ove richiesto dalle misure di carattere sanitario;
- l’accordo individuale ai sensi della “legge Madia” n. 81/2017, che definisca almeno gli specifici obiettivi della prestazione resa in lavoro agile, le modalità e i tempi di esecuzione della prestazione e della disconnessione del lavoratore, nonché eventuali fasce di contattabilità e le modalità e i criteri della misurazione della stessa prestazione.
 
Sono fatti salvi gli accordi individuali per il lavoro agile stipulati pre-pandemia secondo la legge n. 81/2017 che rispettino le condizioni sopra esposte o che vi si adeguino.
 
LINEE GUIDA
 
Sarà avviato rapidamente un confronto con le organizzazioni sindacali per l’adozione di linee guida sui punti sopra esposti.
 
MOBILITÀ DEL PERSONALE
 
I mobility manager aziendali delle Pa dovranno elaborare piani di mobilità per evitare sovraffollamenti sui mezzi pubblici e agevolare gli spostamenti casa-lavoro del personale dipendente.
 
Gli enti locali, tramite i propri mobility manager d’area, svolgono un’azione di raccordo costante con i mobility manager aziendali anche per la verifica complessiva dell’implementazione dei piani degli spostamenti casa-lavoro e l’identificazione e promozione di azioni di miglioramento complessivo dell’offerta di mobilità sul territorio di riferimento alla luce delle nuove fasce di ingresso e di uscita dalle sedi di lavoro.
 
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Lavoro, Garante privacy: via libera a nuove modalità di verifica del green pass

ID 14739 | | Visite: 2190 | News Sicurezza

GPDP via libera a nuove modalit  di verifica del green pass

Lavoro, Garante privacy: via libera a nuove modalità di verifica del green pass

Comunicato GPDP, 12 ottobre 2021

Il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso, in via d’urgenza, parere favorevole sullo schema di Dpcm che introduce nuove modalità di verifica del green pass in ambito lavorativo pubblico e privato.

Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare di concerto con il Ministro della salute, il Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale e il Ministro dell’economia e delle finanze, tiene conto delle interlocuzioni con l’Ufficio del Garante al fine di assicurare, nel rispetto della libertà di scelta in ambito vaccinale, sia il corretto adempimento degli obblighi di verifica da parte dei datori di lavoro pubblici e privati, sia il rispetto della disciplina di protezione dei dati personali e della disciplina di settore, europea e nazionale, in materia di certificazioni verdi, analogamente a quanto già previsto per le verifiche del Green pass per il personale scolastico.

Parere sullo schema di decreto “Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021, recante «Disposizioni attuative dell'articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, "Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19"»

Lo schema sottoposto all’Autorità prevede, in particolare, che l’attività di verifica del possesso delle certificazioni verde Covid-19 possa essere effettuato anche attraverso modalità alternative all’app VerificaC19, quali l’impiego di un pacchetto di sviluppo per applicazioni (SDK), rilasciato dal Ministero con licenza open source, da integrare nei sistemi di controllo degli accessi ovvero, per i datori di lavoro pubblici e privati, mediante l’utilizzo di una specifica funzionalità della Piattaforma NoiPA o del Portale istituzionale INPS.

Infine è previsto, solo le p.a. con più di mille dipendenti, un servizio di interoperabilità applicativa con la Piattaforma nazionale-DGC.

L’attività di verifica non dovrà comportare la raccolta di dati dell’interessato in qualunque forma, ad eccezione di quelli strettamente necessari, in ambito lavorativo, all’applicazione delle misure derivanti dal mancato possesso della certificazione. Il sistema utilizzato per la verifica del green pass non dovrà conservare il QR code delle certificazioni verdi sottoposte a verifica, né estrarre, consultare registrare o comunque trattare per altre finalità le informazioni rilevate.

Per quanto riguarda la verifica mediante la Piattaforma NoiPa (per le Pa aderenti), il Portale dell’Inps (per i datori di lavoro con più di 50 dipendenti non aderenti a NoiPa) o mediante interoperabilità applicativa, la Piattaforma nazionale- DGC consentirà di visualizzare la sola informazione del possesso o meno di un green pass valido. Potranno essere sottoposti al controllo solo i lavoratori effettivamente in servizio per i quali è previsto l’accesso al luogo di lavoro, escludendo i dipendenti assenti per ferie, malattie, permessi o che svolgono la prestazione lavorativa in modalità agile.

I dipendenti dovranno essere opportunamente informati dal proprio datore di lavoro sul trattamento dei dati attraverso una specifica informativa.

Per quanto riguarda le funzionalità disponibili sulla piattaforma NoiPa e sul Portale Inps dovranno essere adottate misure tecniche e organizzative per garantire un livello di sicurezza adeguato ai rischi presentati dai trattamenti. La verifica mediante interoperabilità applicativa sarà invece resa disponibile ai datori di lavori mediante un’apposita convenzione con il Ministero della salute.

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Fonte: GPDP

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Comunicazione COM(2004) 62

ID 14727 | | Visite: 1596 | Legislazione Sicurezza UE

Comunicazione COM(2004) 62

Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni  sull’attuazione pratica delle disposizioni delle direttive concernenti la salute e la sicurezza sul lavoro 89/391 (direttiva quadro), 89/654 (luoghi di lavoro), 89/655 (attrezzature di lavoro), 89/656 (attrezzature di protezione individuale), 90/269 (movimentazione manuale di carichi) e 90/270 (attrezzature munite di videoterminale)

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Direttiva n. 90/394/CEE

ID 14718 | | Visite: 1228 | Legislazione Sicurezza UE

Direttiva n. 90/394/CEE

Direttiva n. 90/394/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro (sesta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE

(GU n. L 196 del 26 luglio 1990)

Abrogata da: Direttiva 2004/37/CE

Recepita da: Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626

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Lug 02, 2024 80

Report ISTAT Le molestie e le vittime (2022-2023)

Report ISTAT Le molestie e le vittime e contesto - Anno 2022-2023 ID 22159 | 02.07.2024 / In allegato Nel 2022-2023 si stima che il 13,5% delle donne di 15-70 anni, che lavorano o hanno lavorato, abbia subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell’intera vita (soprattutto le più… Leggi tutto
Giu 30, 2024 108

Decreto 18 giugno 2024

Decreto 18 giugno 2024 ID 22148 | 30.06.2024 Decreto 18 giugno 2024 Procedure per il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dei corsi di addestramento per il personale marittimo. (GU n.151 del 29.06.2024) ... Art. 1. Finalità e ambito di applicazione 1. Il presente decreto disciplina i… Leggi tutto
Piano Triennale della Formazione INL
Giu 27, 2024 108

Piano Triennale della Formazione INL | 2024-2025-2026

Piano Triennale della Formazione INL | 2024-2025-2026 ID 22132 | 27.06.2024 / In allegato Il presente Piano Triennale della Formazione (PTF) 2024-2026 costituisce il principale strumento di pianificazione, programmazione e governo della formazione del personale nel quale vengono rappresentate le… Leggi tutto
Giu 26, 2024 140

Decreto n. 43 del 21 giugno 2024

Decreto n. 43 del 21 giugno 2024 / Componenti task force “Lavoro sommerso” ID 22125 | 26.06.2024 / In allegato Con Decreto n. 43 del 21 giugno 2024, il Direttore generale INL Paolo Pennesi ha provveduto alla nomina dei componenti della Task force "Lavoro sommerso", istituita con il D.M. 50/2024.… Leggi tutto

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