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Confindustria - Nota di Aggiornamento settembre 2021: Estensione green pass

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Nota confindustria settembre 2021

Confindustria - Nota di Aggiornamento settembre 2021: Estensione green pass

L’estensione del Green pass al lavoro privato Commento al decreto-legge 127/2021

Abstract

Il decreto-legge 127/2021 estende l’obbligo del green pass al mondo del lavoro, come richiesto da Confindustria quale presupposto fondamentale della tutela della salute pubblica e della ripresa economica.

La nota si sofferma sugli aspetti maggiormente rilevanti per il settore privato e cerca di dare prime indicazioni operative, tenuto conto della imminente entrata in vigore dell’obbligo (15 ottobre 2021) e del carattere decisivo del possesso del green pass nella tutela della salute.

Lo svolgimento dell’attività in sicurezza presuppone anche l’organizzazione di un sistema di controllo efficace del possesso della certificazione verde.

A questo fine, appare essenziale anche una forte ed ulteriore azione di sensibilizzazione da parte dell’impresa verso i lavoratori sui possibili risvolti negativi della mancata attivazione di quei comportamenti (vaccinazione, in primo luogo) che, assicurando la tutela della salute pubblica, danno diritto al documento.

Sommario
Abstract
Premessa
L’obbligo del green pass: i soggetti destinatari
Le esenzioni
Il coordinamento con le altre norme (Dl 44/2021 e 52/2021, come modificati dal Dl 122/2021)
Le verifiche
Le sanzioni
Le modalità del controllo (approfondimento)
Alcune considerazioni in materia di protezione dei dati personali
L’attività di sensibilizzazione

Premessa
Il Dl 21 settembre 2021, n. 127, intervenendo sul Dl 52/2021, estende ulteriormente l’ambito di applicazione dell’obbligo di certificazione verde COVID-19, c.d. green pass, al mondo del lavoro pubblico e privato. Le nuove disposizioni devono essere coordinate con il recente Dl 122/2021, che già coinvolgeva (es. per gli appalti negli istituti di istruzione, nelle Università, nelle strutture residenziali, sociosanitarie e socioassistenziali) l’attività lavorativa.

Dato il particolare interesse per l’estensione dell’obbligo di green pass ai lavoratori del settore privato, si commenta prevalentemente l’art. 3 del Dl 127/2021, che ha introdotto l’art. 9-septies nel Dl 52/2021, con riferimenti alla disciplina per il pubblico impiego laddove rilevanti (nuovo art. 9-quinquies del Dl 52/2021).
Confindustria, con lo stesso spirito che ha animato la condivisione dei Protocolli di sicurezza anti COVID-19 e di vaccinazione, aveva chiesto con forza al Governo di prevedere l’utilizzo del green pass per l’accesso nei luoghi di lavoro quale misura di tutela della salute pubblica essenziale per la ripresa economica.

Ora la disposizione è stata emanata a tutela di cittadini, datori di lavoro e lavoratori: si deve, quindi, passare ad una fase attuativa, fondata sullo sforzo di tutti (in primis, datori di lavoro e lavoratori), soprattutto nelle attività di sensibilizzazione e controllo, che ne garantisca la piena efficacia.

Tale nota costituisce un primo commento al Dl 127/2021 e vuole costituire una guida alla lettura di questa importante fase che vede, ancora una volta, imprese e lavoratori uniti nel garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Ulteriori chiarimenti a quesiti, modifiche o
integrazioni potranno intervenire successivamente, anche alla luce di interventi e interpretazioni ministeriali e governativi.

Alla presente nota di commento, seguiranno delle linee guida, che saranno diffuse al Sistema successivamente alla emanazione di quelle previste per il pubblico impiego, al fine di acquisire eventuali elementi che dovessero risultare utili anche nel settore privato.

Confindustria sta, inoltre, organizzando un webinar, per offrire al Sistema un momento di confronto sugli aspetti regolatori ed applicativi e sulle questioni fin qui riscontrate.

L’obbligo del green pass: i soggetti destinatari

L’art. 3 del Dl 127/2021 inserisce l’art. 9-septies nel Dl 52/2021, che disciplina l’impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nel settore privato.

Per effetto di tale disposizione, dal 15 ottobre al 31 dicembre, termine dello stato di emergenza, sono obbligati, per accedere al luogo nel quale svolgono l’attività lavorativa, ad avere ed esibire il green pass:

- tutti i lavoratori del settore privato;
- i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di lavoro afferenti al settore privato, anche sulla base di contratti esterni, ivi compresi i lavoratori autonomi ed i collaboratori non dipendenti.

Sul piano sostanziale, non ha senso escludere i lavoratori impiegati con contratti differenti da quello di lavoro subordinato, in quanto essi introducono il medesimo rischio e ne sono assoggettati al pari dei lavoratori dipendenti, per cui il riferimento al controllo da parte del proprio datore di lavoro è solamente eventuale (ossia quando vi sia un datore di lavoro), restando comunque dovuto quello del datore di lavoro “ospitante” presso il quale l’attività è eseguita.

Per quanto riguarda la somministrazione, posto che il possesso del green pass è un requisito di legge, si ritiene che sia onere del somministratore assicurarsi, per poter adempiere al proprio obbligo contrattuale verso l’utilizzatore, che il lavoratore sarà sempre in possesso dei requisiti per l’esecuzione della prestazione lavorativa. L’eventuale impossibilità di assicurarsi la prestazione del lavoratore da parte dell’utilizzatore potrà, quindi, essere fonte di responsabilità contrattuale per l’agenzia di somministrazione. Onere dell’utilizzatore sarà, invece, quello di verificare il possesso e l’esibizione del green pass da parte del lavoratore.

Le esenzioni

L’obbligo di essere in possesso ed esibire il green pass non si applica ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute (v. approfondimento successivo).

Il coordinamento con le altre norme (Dl 44/2021 e 52/2021, come modificati dal Dl 122/2021).

Sul piano del coordinamento con le misure vigenti, la nuova norma fa salve le disposizioni relative all’accesso, per motivi di lavoro:

- alle istituzioni scolastiche, educative, di formazione ed universitarie (art. 9-ter, 9-ter.1 e 9-ter.2 del Dl 52/2021): obbligo di green pass fino al 31 dicembre 2021;
- alle strutture residenziali, sociosanitarie e socioassistenziali (art. 4-bis del Dl 44/2021): obbligo di vaccinazione dal 10 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021;
- per i dipendenti privati che esercitano le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, co. 2 della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali (art. 4 del Dl 44/2021): obbligo di vaccinazione fino al 31 dicembre 2021.

Questo comporta che il datore di lavoro, secondo le norme oggi in vigore, debba verificare l’assolvimento dell’obbligo vaccinale da parte dei propri lavoratori nelle ipotesi in cui il lavoratore dipenda da struttura sanitaria (in genere) ovvero vi si debba recare per svolgere la propria prestazione lavorativa¹. Si ricorda che, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socioassistenziali e sociosanitarie, le modalità di controllo dell’assolvimento dell’obbligo vaccinale verranno definite con un apposito DPCM.

Le verifiche

L’obbligo di verifica del possesso di green pass è posto in capo al datore di lavoro dei dipendenti ed anche al datore di lavoro dei soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di cui al comma 1, anche sulla base di contratti esterni ed ai soggetti da questo formalmente individuati (comma 5) (v. sopra).

Quanto alle modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, esse devono essere definite entro il 15 ottobre (quindi, prima dell’entrata in vigore della disposizione) dal datore di lavoro: la norma non fa alcun riferimento ad obblighi di informazione, comunicazione e, men che meno, di condivisione sindacale e prescinde totalmente dal Protocollo di sicurezza anti-COVID19 e dal Comitato previsto dall’art. 13 del Protocollo 14 marzo 2020.

Questo, ovviamente, non preclude la possibilità che le modalità organizzative vengano inserite nel Protocollo aziendale (ricordando, tuttavia, che si tratta di prescrizioni cogenti sulle quali non appare consentita alcuna valutazione).

In merito alle modalità delle verifiche², esse potranno essere svolte (v. approfondimento successivo):

- “anche a campione”;
- prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro: quindi potranno essere anche successivi all’ingresso e nel corso dell’attività lavorativa;
- individuando con apposito atto formale i soggetti incaricati delle verifiche.

Per la verifica del certificato, si seguono esclusivamente le modalità indicate dal DPCM del 17 giugno 2021. In particolare, la verifica de green pass può essere effettuata mediante la scansione del c.d. QR code apposto sullo stesso, utilizzando esclusivamente la App “VerificaC19”. Le attività di verifica devono limitarsi al controllo dell’autenticità, validità e integrità della certificazione e non possono comportare, in alcun caso, la raccolta dei dati dell'intestatario. Pertanto, non è consentito accedere alle informazioni in merito ai presupposti - vaccino, guarigione dal COVID-19 o tampone - che hanno determinato il rilascio della certificazione, né alla relativa scadenza e non è consentito richiedere copia delle certificazioni da controllare ovvero controllate.

Per le certificazioni di esenzione si fa riferimento alla circolare 4 agosto del 2021 del Ministero della salute. Tale certificazione contiene: i) i dati identificativi del soggetto interessato (nome, cognome, data di nascita); ii) la dicitura: “soggetto esente alla vaccinazione anti SARS-CoV-2. Certificazione valida per consentire l’accesso ai servizi e attività di cui al comma 1, art. 3 del decreto-legge 23 luglio 2021, n 105”; iii) la data di fine di validità della certificazione; iv) i dati relativi al Servizio vaccinale della Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Regionale; v) il timbro e la firma del medico certificatore (anche digitale); vi) il numero di iscrizione all’ordine o il codice fiscale del medico certificatore. Nelle more dell'adozione di un apposito DPCM volto a individuare le specifiche per trattare e verificare in modalità digitale le certificazioni di esenzione, possono essere utilizzate le certificazioni rilasciate in formato cartaceo.

Le sanzioni
I commi da 6 a 10 del nuovo art. 9-septies del Dl 52/2021 regolano il regime sanzionatorio, che può essere così schematizzato.

Norma violata

Violazione

Controllo

Sanzione

Sanzioni disciplinari o licenziamento

Durata

Art. 9septies comma 6

Comunicazione (deve ritenersi: prima dell’accesso) di non essere in possesso della certificazione verde COVID- 19

Datore di lavoro o

suo formale delegato

Assenza ingiustificata

Sospensione della

retribuzione e di ogni altro

compenso o

emolumento,

comunque denominato

Escluso

Fino alla

presentazione della certificazione verde COVID-19 e,

comunque, non oltre il 31 dicembre 2021

Art. 9septies comma 6

Mancato possesso della certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro

 

Datore di lavoro o suo formale delegato

 

Assenza ingiustificata

Sospensione (non facoltativa) dalla prestazione lavorativa

Sospensione della retribuzione e di ogni altro compenso o emolumento, comunque denominato

 Escluso  

Fino alla presentazione della certificazione verde COVID-19 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021

Art.

9septies, comma 7

 

Imprese con meno di 15 "dipendenti" (non si parla di lavoratori, quindi il riferimento è al rapporto di lavoro subordinato): mancata presentazione del certificato per 5 giorni

 

Datore di lavoro o suo formale delegato

 

Assenza ingiustificata per i primi cinque giorni

Sospensione facoltativa per ulteriori dieci giorni, rinnovabili per una volta

  Per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni

Art. 9septies comma 8

Accesso di lavoratori nei luoghi di lavoro in violazione dell’obbligo di possesso prestazione di green pass

Datore di lavoro o suo formale delegato

Sanzione amministrativa da 600 a 1.500 euro (articolo 4, commi 1, 3, 5 e 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35)

In caso di reiterata violazione, la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima. Irrogata dal Prefetto su segnalazione (trasmissione degli atti relativi alla violazione) da parte dei soggetti incaricati dell’accertamento

Restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di settore.  

Art. 9septies comma 4

Mancato controllo da

parte del datore di lavoro (comma 4)

   

Sanzione amministrativa da 400 a 1.000 euro (articolo 4, commi 1, 3, 5 e 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35)

In caso di reiterata violazione, la sanzione amministrativa è raddoppiata e

quella accessoria è

applicata nella

misura massima.

Irrogata dal Prefetto su segnalazione (trasmissione degli atti relativi alla violazione) da parte dei soggetti incaricati dell’accertamento

   
 Art. 9 septies comma 5  

Mancata adozione delle misure organizzative di cui al comma 5 nel termine previsto (15 ottobre 2021)

   

Sanzione amministrativa da 400 a 1.000 euro (articolo 4, commi 1, 3, 5 e 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35)

In caso di reiterata

violazione, la sanzione amministrativa è raddoppiata e

quella accessoria è

applicata nella

misura massima.

Irrogata dal Prefetto su segnalazione (trasmissione degli atti relativi alla violazione) da parte dei soggetti incaricati dell’accertamento

   

L’apparato sanzionatorio, così schematizzato, suscita alcuni dubbi interpretativi ed applicativi sui quali appare opportuno soffermarsi.

a) Laddove la norma commina una sanzione amministrativa (che presuppone l’ingresso nel luogo di lavoro), si applica anche la qualificazione della giornata come assenza ingiustificata dalla prestazione lavorativa? Per quanto la norma non sia chiara, prevedendo due diversi regimi sanzionatori, il divieto generale di fare accesso al luogo di lavoro senza green pass valido supera tale perplessità: l’interpretazione sistematica dei commi 6 e 8 porta a ritenere insostenibile una soluzione che legittimi la permanenza in azienda dei lavoratori privi di green pass.
b) La qualificazione come assenza ingiustificata (e non come sospensione, come indicato nelle bozze del provvedimento) impone al lavoratore di presentarsi tutti i giorni in azienda? Sì. Mentre la sospensione legittima una ipotetica posizione di attesa da parte del lavoratore, per qualificare la presentazione senza green pass come assenza ingiustificata il lavoratore deve necessariamente presentarsi in azienda.
c) Il soggetto chiamato a verificare il possesso del green pass deve seguire una procedura di controllo previamente predisposta che consenta di comprovare il mancato possesso del certificato verde: la procedura e la sua formalizzazione ex ante sono necessarie in ogni caso, per le verifiche all’ingresso e per quelle all’interno. Il soggetto chiamato a verificare, soprattutto se dovrà poi effettuare la trasmissione degli atti al Prefetto, dovrà poter predisporre una documentazione probatoria che consenta di dimostrare gli elementi a fondamento della contestazione (es. strumento della verifica, orario, luogo, evidenza della mancanza di green pass nel senso di mancata esibizione, identificazione del lavoratore, eventuali motivazioni evidenziate dal lavoratore, verifica della validità del green pass). Quanto al controllo dell’identità del lavoratore, fermo quanto previsto dall’art. 13, co. 4 del DPCM 17 giugno 2017 e dalla circolare del Ministero dell’interno del 10 agosto 2021, si ritiene che, all’interno del luogo di lavoro, il datore debba e possa (anche per motivi di sicurezza) conoscere pienamente l’identità dei lavoratori e di chiunque sia presente, per cui è sempre legittimato a chiedere, in caso di dubbio, la corrispondenza tra il documento di identità e il dato contenuto nel green pass.
Quanto alla trasmissione degli atti al Prefetto in caso di accesso senza green pass, va evidenziato che il datore di lavoro è il primo ad accertare e contestare (comma 8) e, quindi, deve informare la Prefettura per il seguito sanzionatorio di competenza di quest’ultima. Anche perché la formulazione della norma è in termini generali (“i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni di cui al medesimo comma 9 trasmettono al Prefetto gli atti relativi alla violazione”), che non escludono espressamente il datore di lavoro (anzi è uno degli incaricati dal legislatore di accertare e contestare disciplinarmente nel caso del comma 8). Peraltro, l’indicazione nel comma 10 di chi deve comunicare sembra escludere il riferimento alle norme generali.
d) Per le imprese che occupano meno di 15 dipendenti. In queste aziende, date le ridotte dimensioni e la difficoltà di sostituzione con personale interno, a fronte della mancata presentazione del green pass per cinque giorni consecutivi (nei quali il lavoratore è comunque considerato assente ingiustificato e sospeso senza retribuzione), il datore può assumere in sostituzione del lavoratore assente un'altra risorsa. In questo caso, se dopo il quinto giorno perdura l’inerzia del dipendente quanto alla adozione del green pass, il datore di lavoro, avendo assunto altra persona, può ulteriormente sospendere il dipendente (anche laddove questi avesse recuperato il green pass) per un massimo di ulteriori dieci giorni, rinnovabili una sola volta. Questo meccanismo vale fino al 31 dicembre 2021. La misura sospensiva consente alla piccola impresa di assumere un sostituto e non dover recedere da tale contratto anticipatamente per il rientro del dipendente. Diversamente opinando (es. assenza di sospensione da lavoro e retribuzione) la norma legittimerebbe lo svolgimento di attività lavorativa senza green pass oppure il pagamento di una retribuzione senza la prestazione lavorativa, aspetto, quest’ultimo, che solamente una norma espressa potrebbe disporre, al di là della sua accettabilità sul piano giuridico e contrattuale.

Le modalità del controllo (approfondimento)

In prima battuta ed in vista della elaborazione delle citate linee guida (anche sulla base delle indicazioni eventualmente offerte per il pubblico impiego), si evidenziano alcuni temi da tener presenti nell’elaborare le modalità delle verifiche.

La disposizione, nel prevedere l’obbligo di verifica, rimette al datore di lavoro l’obbligo (sanzionato in via amministrativa) di elaborare, entro il 15 ottobre 2021, le modalità di tale processo.

In secondo luogo, la norma non richiama mai il Protocollo, per cui non sembra che siano richiesti (ma non siano nemmeno preclusi) né la sua modifica, né il coinvolgimento del Comitato da esso previsto.

a) Il controllo a campione.
Per quanto il controllo, secondo la norma, possa essere anche a campione, riteniamo opportuno sollecitare una particolare attenzione a tale eventuale scelta, in quanto questa modalità - per quanto evidentemente semplificativa degli adempimenti - non sembra pienamente coerente con né con l’obbligo generalizzato e sanzionato di possesso del green pass, né con la logica sostanziale e prevenzionale di impedire a chiunque sia privo di certificato di fare ingresso in azienda.
b) Il momento del controllo
Il controllo dovrebbe essere adottato “preferibilmente”, quindi non necessariamente, all’ingresso. Un controllo diffuso all’ingresso risponde sicuramente alle finalità sostanziali, mentre una verifica randomica durante l’attività non consente di assicurare né che in azienda non siano presenti lavoratori senza green pass, né di impedire efficacemente la diffusione del virus.
Il controllo (anche a campione) successivo all’ingresso nel luogo di lavoro rischia anche di generare contenziosi a causa del differente trattamento sanzionatorio, in quanto si potrebbe ritenere che la scelta possa essere discriminatoria: un lavoratore controllato durante il lavoro che non ha il certificato, oltre alla sanzione amministrativa, potrebbe essere licenziato (restano, infatti, in vigore le sanzioni contrattuali), mentre se lo stesso controllo fosse stato adottato all’ingresso vi sarebbe solamente la sospensione dalla retribuzione, con preclusione di ogni sanzione disciplinare, soprattutto di natura estintiva del rapporto di lavoro.
c) Conseguenze operative della mancata presentazione del certificato
Il lavoratore che comunichi di non possedere il green pass o che non possa fare ingresso in azienda per mancanza del certificato viene considerato assente ingiustificato fino alla sua presentazione in azienda con un documento valido. Ciò impone al datore di datore di registrare e gestire l’assenza del lavoratore e il controllo del rientro con green pass valido. Si ritiene che la comunicazione da parte del lavoratore del mancato possesso di green pass debba in ogni caso precedere l’ingresso in azienda (sul punto, v. anche approfondimento successivo), dal momento che, dopo l’ingresso in assenza di certificato, egli è già sanzionabile.
Il fatto che il datore di lavoro sia chiamato, a pena di sanzione amministrativa, a stabilire le modalità del controllo rende dunque necessario organizzare il controllo prevedendone formalmente le procedure e la documentazione per giustificare adeguatamente la comunicazione della violazione al Prefetto. Questo impone di regolare adeguatamente e formalmente la procedura, gli strumenti adottati, i riferimenti all’identità dei soggetti controllati, la formalizzazione del soggetto addetto al controllo (la previsione che debbano sempre in due sembra costituire una tutela per la dimostrazione della correttezza dell’operato di fronte ad eventuali contestazioni), la tracciatura formale della verifica negativa.
d) Casistica
a. Lavoratore che si reca direttamente nel luogo della prestazione di lavoro e non in azienda
Si verifica spesso l’ipotesi del lavoratore che si reca non in azienda ma direttamente nel luogo ove deve rendere la prestazione. In questo caso, il controllo deve essere operato dal titolare della struttura presso la quale egli si reca (art. 9-septies, co. 2) o anche, nell’ipotesi di trasferta mediante mezzi di trasporto pubblico ultraregionale, dal vettore. In questi casi si ritiene che, per effetto del controllo che dà esito negativo, il datore di lavoro debba imporre un obbligo contrattuale di immediata comunicazione. Esso potrebbe, ad esempio, fondarsi sulla previsione di un obbligo contrattuale di comunicazione da parte del committente (es. mancato accesso nel luogo di svolgimento della prestazione) o dello stesso lavoratore (es. mancato accesso al treno) al datore di lavoro del prestatore non ammesso al lavoro ovvero colto senza certificato all’interno del luogo di lavoro. Teoricamente, lo stesso modello potrebbe essere adottato anche per i lavoratori in trasferta all’estero.
b. Il lavoro in turni
Altra ipotesi riguarda il lavoro in turni, anche notturni. In questa situazione, sembra opportuno che il controllo sia affidato al personale della vigilanza (dal momento che, se si esegue attività lavorativa, detto personale debba sempre essere presente in azienda).
c. Individuazione del perimetro aziendale
Altra questione riguarda il concetto di accesso nei luoghi in cui è svolta l’attività lavorativa, ossia se debba intendersi il perimetro aziendale esterno ovvero l’accesso all’interno dei luoghi della produzione. Premesso che si tratta di una valutazione legata all’organizzazione di ciascuna azienda, il rischio viene introdotto nel momento in cui si entra nei luoghi accessibili alla comunità lavorativa. La norma non fa alcun riferimento ai luoghi al chiuso: si pensi, quindi, al cantiere edile ovvero all’azienda che dispone, all’interno del recinto aziendale ma al di fuori del perimetro produttivo, luoghi per il deposito di materiali o ambiti ai quali accedono i fornitori esterni. Ne consegue che sembra opportuno dare una accezione estensiva alla nozione di luogo di lavoro.
d. Sistemi di controllo del green pass collegati/integrati a quelli di rilevazione delle presenze
Come anticipato, alla verifica del green pass si provvede mediante scansione del QR Code e senza raccogliere/registrare alcuna informazione inerente alla certificazione. Sotto il profilo giuridico, un sistema di verifiche dei green pass collegato/integrato con quelli di rilevazione delle presenze deve assicurare la mancata registrazione dei dati della certificazione.
e. Eventuali contenziosi sul titolo che consente il rilascio del green pass per l’accesso al luogo di lavoro
Quanto ai documenti che legittimano l’accesso, al momento attuale essi possono essere solamente due: il green pass (emesso per una delle tre causali note, vaccinazione, guarigione e tampone negativo) o il certificato di esenzione (regolato dalla circolare 4 agosto 2021 del Ministero della salute).
In particolare, a supporto dell’eventuale adozione di tamponi in situazioni di emergenza al fine di consentire l’accesso al luogo di lavoro, si evidenzia che il tampone che legittima il rilascio del green pass è (Dl 52/2021, art. 9, co. 1, lett. d) il “test antigenico rapido: test basato sull'individuazione di proteine virali (antigeni) mediante immunodosaggio a flusso laterale, riconosciuto dall'autorità sanitaria ed effettuato da operatori sanitari o da altri soggetti reputati idonei dal Ministero della salute”.
La legge 16 settembre 2021, n. 126, nel convertire, con modificazioni, il Dl 105/2021, ha introdotto l’ulteriore modalità di esecuzione del tampone molecolare “su campione salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero della salute, con esito negativo al virus SARS-CoV-2”.
Inoltre, si ricorda che la certificazione verde COVID-19 rilasciata sulla base del tampone ex art. 9, co. 2, lett. c) del Dl 52/2021, ha una validità di quarantotto ore dall'esecuzione del test ed è prodotta, su richiesta dell'interessato, in formato cartaceo o digitale, dalle strutture sanitarie pubbliche, da quelle private autorizzate o accreditate e dalle farmacie che svolgono i test, ovvero dai medici di medicina generale o pediatri di libera scelta.
Si ricorda, da ultimo, che la legge 16 settembre 2021, n. 126, nel convertire, con modificazioni, il Dl 105/2021, ha, tra l’altro, esteso la durata del green pass “vaccinale” a 12 mesi.
f. L’onere economico del tampone
La norma, prevedendo il divieto di accesso nel luogo di lavoro senza green pass valido, pone evidentemente a carico del soggetto obbligato l’onere economico della esecuzione del tampone, posto quale requisito di legge per l’accesso al lavoro.
Assumerlo a carico dell’azienda, al di là dell’onere, sarebbe incongruente con la scelta della vaccinazione quale strumento di precauzione e di natura sociale.
A questo proposito, si ricorda che la più recente giurisprudenza ha precisato che, nell’ottica del legislatore la presentazione del test in sostituzione del certificato comprovante l’avvenuta gratuita vaccinazione costituisce una facoltà rispettosa del diritto del ricorrente a non sottoporsi a vaccinazione ed è stata prevista nell’esclusivo interesse di quest’ultimo, e, conseguentemente, ad una sommaria delibazione, non appare irrazionale che il costo del tampone venga a gravare sul soggetto che voglia beneficiare di tale alternativa³.
g. Il green pass è obbligatorio anche per prestazioni lavorative brevi? Sì. La norma non consente distinzioni, né quanto alla durata della prestazione, né per quanto riguarda il fatto che il luogo è frequentato da persone senza green pass. Quindi, qualsiasi lavoratore si rechi in luoghi presso i quali eseguire la prestazione lavorativa, deve essere controllato tanto dal datore di lavoro titolare del rapporto di lavoro, quanto del datore di lavoro titolare del luogo nel quale viene svolta la prestazione, benché di breve durata. Si faccia il caso del trasportatore che si reca in un supermercato per il deposito della merce, dove gli utenti evidentemente non sono obbligati ad avere il green pass. Ovviamente il trasportatore deve possedere un green pass, che deve essere stato controllato dal datore di lavoro titolare del rapporto di lavoro e dal titolare dell’esercizio presso il quale verrà svolta l’attività di consegna.
h. L’obbligo di possesso del green pass vale anche per i lavoratori stranieri che, ai fini dell’accesso in Italia, non sono tenuti al possesso del green pass? Sì, in quanto la norma dispone, senza eccezioni, l’obbligo del possesso del green pass. Si consiglia, quindi, di informare il mittente del nuovo requisito legale posto dal Dl 127/2021.
i. Il possesso del green pass è necessario solamente per lo svolgimento di attività lavorativa e non per altri motivi. Quindi, nel caso di accesso di personale per motivi diversi dal lavoro, non è richiesto alcun documento.
j. Modalità del controllo a campione. La norma consente di svolgere verifiche secondo le modalità ritenute più opportune da parte del datore di lavoro. Quindi, i controlli potranno anche essere svolti a campione (in alternativa al controllo assiduo e di massa), come anche sommarsi: tuttavia, in presenza del primo, condurre all’interno il controllo a campione non sembra aver senso. La sanzione dipende, quindi, da quando viene esercitato il controllo: prima dell’accesso (assenza ingiustificata senza sanzioni disciplinari e licenziamento) e dopo l’accesso (sanzione amministrativa e disciplinare).
k. Formazione e green pass. L’attività formativa è svolta in orario di lavoro, per cui sembra difficile ritenere che il lavoratore che partecipa ad un corso di formazione non debba avere il green pass e questo non debba essere controllato (dal datore di lavoro, se il lavoratore fa accesso in azienda) ovvero dal titolare della struttura presso la quale si svolge il corso (con comunicazione dal datore di lavoro dell’eventuale carenza del green pass). Per i seminari, laddove non si tengano in azienda, se esso costituisce parte della giornata lavorativa, può valere lo stesso principio della formazione; non così se la partecipazione al seminario non costituisce orario di lavoro ovvero la formazione è a distanza ed il lavoratore non fa accesso ad alcun luogo di lavoro restando presso il proprio domicilio.
l. Attività associative e, in senso ampio, lavorative. Se l’attività viene esercitata in orario di lavoro (es. rappresentante sindacale, lavoratore), deve ritenersi che, trattandosi di attività lavorativa, sia richiesto il controllo del possesso del green pass.

Alcune considerazioni in materia di protezione dei dati personali

Le attività di verifica del green pass o della certificazione di esenzione comportano un trattamento di dati personali, che deve svolgersi ai sensi della normativa privacy e secondo le modalità di cui al DPCM 17 giugno 2021. Come evidenziato dal Garante privacy, il trattamento funzionale alla verifica del green pass non necessita di alcuna autorizzazione da parte della stessa Autorità; inoltre, se condotto conformemente alla disciplina su richiamata e nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali (e in primo luogo del principio di minimizzazione) non può ... comportare l’integrazione degli estremi di alcun illecito, né tantomeno l’irrogazione delle sanzioni da parte del Garante⁴.
In sede di verifica della certificazione (green pass o di esenzione), le informazioni oggetto di trattamento sono:
1. le generalità del lavoratore, nonché la validità, l’integrità e l’autenticità del certificato verde ovvero le predette informazioni in merito allo stato di soggetto esente da vaccinazione anti COVID-19;
2. le generalità del lavoratore e il mancato possesso di un green pass.

Il trattamento si concretizza nella consultazione/presa visione delle citate informazioni (analoga alla presa visione della temperatura) e non è consentita, in alcun caso, la raccolta dei dati dell'intestatario della certificazione in qualunque forma⁵.

Pertanto, ai fini dell’organizzazione dei controlli, non è possibile acquisire dal lavoratore, né preventivamente, né ex post, la certificazione in corso di validità ovvero dichiarazioni in ordine alla tipologia e alla scadenza della stessa. Sulla questione, si è di recente espresso anche il Garante privacy che, con riferimento all’utilizzo del green pass nelle palestre, ha evidenziato come l’acquisizione di copia della certificazione verde e la registrazione della relativa scadenza, sebbene volte ad agevolare lo svolgimento dei controlli, frustr[ino] gli obiettivi di bilanciamento tra privacy, tutela della salute e riapertura del Paese che si sono perseguiti con il Green Pass giacché mett[ono] in circolazione una quantità di dati personali superiori a quelli necessari e, soprattutto, ne determina[no] la raccolta e la moltiplicazione in una serie di banche dati diversamente sicure. Inoltre, nel suo utilizzo normale e legale il Green Pass è neutro rispetto alle circostanze che ne hanno determinato l’emissione. Pertanto, sebbene finalizzata ad agevolare i controlli - sia per gestori, che per i clienti - la condotta viola la normativa di riferimento⁶.

Tuttavia, in un’ottica organizzativa, non solo delle verifiche dei green pass, ma più in generale dell’attività di impresa (es. gestione turni, trasferte, sostituzioni) e, comunque, nell’ambito delle procedure che il datore di lavoro dovrà definire per disciplinare le modalità di svolgimento dei controlli, sembrerebbe consentito al datore di lavoro di richiedere al lavoratore di comunicare preventivamente, con riferimento a uno specifico periodo di interesse (es. settimana/mensilità presa in considerazione per l’organizzazione ordinaria dei turni ovvero di una specifica trasferta), se non sarà in possesso della certificazione richiesta per l’accesso ai luoghi di lavoro.

Tale richiesta sembrerebbe compatibile con l’impianto della nuova norma che, infatti, al comma 6 prevede tra i presupposti per l’assenza ingiustificata la comunicazione da parte del lavoratore di non essere in possesso di un green pass (ovvero di una certificazione di esenzione). È ragionevole ritenere che tale comunicazione del lavoratore sia preliminare rispetto al momento di accesso ai luoghi di lavoro (il citato comma 6, ai fini dell’assenza ingiustificata, contempla anche e in via alternativa il caso del lavoratore sprovvisto di green pass al momento dell’accesso al luogo di lavoro) e che, pertanto non sia precluso al datore di lavoro di prevederla espressamente nella procedura sullo svolgimento dei controlli come una fase specifica della stessa e riferirla a un determinato periodo di interesse da individuarsi in relazione alle caratteristiche organizzative dell’impresa (es. settimana/mensilità presa in considerazione per l’organizzazione ordinaria dei turni ovvero di una specifica trasferta).

Ovviamente tale comunicazione non esonera il datore di lavoro dal controllare i lavoratori che accedono ai luoghi di lavoro, né tantomeno pregiudica il lavoratore che l’ha effettuata dal presentare in qualsiasi momento la certificazione necessaria.

Analogamente, potrebbe considerarsi consentito al datore di lavoro di chiedere ai lavoratori di comunicare preventivamente, sempre con riferimento a uno specifico periodo di interesse, se saranno in possesso di un di un green pass (ovvero di una certificazione di esenzione) da controllare all’occorrenza. Tale comunicazione, da disciplinarsi nella procedura sullo svolgimento dei controlli, comporterebbe per il datore di lavoro un trattamento di dati non sensibili (possesso di una certificazione valida, senza indicazione della scadenza, né dei presupposti che ne avranno determinato il rilascio), che potrebbe basarsi ex art. 6, par. 1, lett. f) del Regolamento n. 679/2016 (GDPR) sul legittimo interesse del datore di lavoro di organizzare l’attività d’impresa (fermo il diritto dell’interessato di opporsi a tale trattamento).

Anche in tal caso, resterebbe comunque fermo l’obbligo del datore di lavoro di effettuare i controlli delle certificazioni prodotte dai lavoratori, nonché la possibilità del lavoratore di comunicare il mancato possesso del green pass ovvero di non esibirlo al momento dell’accesso al luogo di lavoro. Per quanto riguarda la richiesta del possesso del green pass ai fini dell’assunzione (es. in edilizia vengono stipulati contratti di lavoro riferiti allo specifico appalto; il datore di lavoro che occupa meno di 15 dipendenti può assumere in sostituzione del lavoratore senza green pass), si ritiene che - trattandosi di un requisito di legge per l’accesso nel luogo di lavoro - il datore di lavoro potrebbe in astratto condizionare l’assunzione al possesso del certificato.

Tuttavia, anche in questo caso, valgono le considerazioni sopra svolte e, al contempo, si pongono le limitazioni inerenti alla privacy già evidenziate.

L’attività di sensibilizzazione

Il mancato possesso del green pass valido o la mancata verifica importano, ora, sanzioni gravi per il lavoratore e per l’impresa.

Inoltre, i limiti inerenti alla privacy ricadono sulla gestione della forzata assenza del lavoratore mediante sostituzioni con lavoratori in possesso di valido green pass.

Tale circostanza può incidere sulla sicurezza (es. assenza di lavoratori componenti di nuclei di emergenza), sulle responsabilità contrattuali (es. mancato rispetto dei termini di un appalto), sugli oneri a carico del datore di lavoro (es. sostituzione del lavoratore assente), sulle conseguenze a carico del lavoratore (es. licenziamento per chi è colto all’interno del luogo di lavoro privo del certificato), sulla complessiva organizzazione del datore di lavoro (es. organizzazione di trasferte all’estero e pianificazione di attività a medio-lungo termine).

A fronte di tali rilevanti criticità, sembra opportuno che l’azienda, nell’adottare le modalità per la verifica del possesso del green pass, attui, ancora una volta, una intensa campagna di sensibilizzazione, evidenziando come il mancato possesso del certificato valido rischi di incidere sulla vita aziendale, oltre che sulla posizione dei singoli lavoratori.

È evidente che ogni comportamento che dovesse recare danno all’impresa, incidendo negativamente sull’organizzazione o sulla possibilità per l’azienda di far fronte ai propri obblighi contrattuali, legittima in ogni caso la reazione aziendale sul piano della richiesta del risarcimento dei danni.

Si pensi alle seguenti evenienze, alle conseguenze della sospensione ed alla impossibilità di gestire adeguatamente l’attività imprenditoriale:
- lavoratore adibito a mansioni per la tutela della sicurezza (es. nucleo antincendio, impianti a rischio di incidente rilevante, nucleo per la gestione dell’emergenza);
- lavoratore specializzato impegnato in appalti/commesse/ordini per le quali è essenziale la sua specializzazione/presenza (magari con attività legata al possesso di permesso, autorizzazione, licenza, etc.);
- lavoratore impegnato in trasferta che non può partire;
- lavoratore da assumere/assunto in edilizia per lo specifico appalto;
- a causa dell’impossibilità di conoscere la durata della validità del certificato, impossibilità per l’impresa di programmare lavori, sostituzioni, trasferte;
- difficoltà di organizzare l’attività con personale sostitutivo (es. contratti a termine, somministrazione);
- lavoratori adibiti a servizi pubblici essenziali (rapporto con la normativa speciale);
- ritardo nell’adempimento verso il committente (con risarcimento danni per ritardo o per effetti indiretti - blocco o ritardi altre attività);
- programmazione di lavori a lungo termine (organizzazione lavori in Paesi lontani) o interventi d’emergenza.

[...] Segue in allegato

Fonte: Confindustria

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