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ISO/IEC TS 17021-10:2018

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ISO TS  17021 10 2018

ISO/IEC TS 17021-10:2018 Specifica tecnica ISO 45001

ISO 03 Maggio 2018

ISO/IEC TS 17021-10:2018  Conformity assessment -- Requirements for bodies providing audit and certification of management systems - Part 10: Competence requirements for auditing and certification of occupational health and safety management systems

ISO 03 Maggio 2018

Dopo la pubblicazione del primo standard internazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro viene fornita una specifica tecnica per garantire che l'auditing sia all'altezza.

ISO 45001, Sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro - Requisiti con guida per l'uso, è stato pubblicato nel marzo di quest'anno. Ora, una nuova specifica tecnica complementare - ISO/IEC TS 17021-10 - è stata appena pubblicata, definendo le competenze e le conoscenze richieste di quegli organismi che controllano le organizzazioni che hanno implementato lo standard di salute e sicurezza.

ISO/IEC TS 17021-10, Valutazione di conformità - Requisiti per gli organismi che forniscono audit e certificazione dei sistemi di gestione - Parte 10: Requisiti di competenza per l'audit e la certificazione dei sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro , è intesa a garantire un approccio armonizzato all'accreditamento una certificazione ISO 45001.

Le nuove specifiche tecniche sono rivolte ai revisori, o a chiunque prenda decisioni di certificazione relative alla ISO 45001.

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ISO/IEC TS 17021-10:2018

Conformity assessment -- Requirements for bodies providing audit and certification of management systems - Part 10: Competence requirements for auditing and certification of occupational health and safety management systems

ISO/IEC TS 17021-10:2018 specifies additional competence requirements for personnel involved in the audit and certification process for an occupational health and safety (OH&S) management system and complements the existing requirements of ISO/IEC 17021-1.

Three types of personnel and certification functions are defined:

- auditors;
- personnel reviewing audit reports and making certification decisions;
- other personnel.
...

Fonte ISO

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Il documento rappresenta una utile guida per il datore di lavoro che deve adempiere agli obblighi di tutela nei confronti delle dipendenti in stato di gravidanza ed un valido mezzo di informazione per le lavoratrici che devono conoscere i propri diritti.

Il documento già approvato con DGR 3136 del 20.10.2009 viene riformulato alla luce delle modifiche apportate all’art. 17 del DLgs 151/01 dall’art. 15 del DL 5/2012 convertito in L 35/2012 (Misure di semplificazione in relazione all’astensione anticipata dal lavoro delle lavoratrici in gravidanza – vedi pag 6) ed integrato da elementi utili alla formulazione della segnalazione del datore di lavoro alle DTL.

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Attenzione! Vedi Testo consolidato 2019

...

Update: 22.03.2020

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N ATTIVITÀ CATEGORIA
13   Impianti fissi di distribuzione carburanti per l’autotrazione, la nautica e l’aeronautica;
contenitori – distributori rimovibili di carburanti liquidi
A B C
a) Impianti di distribuzione carburanti liquidi

Contenitori distributori rimovibili e non di carburanti liquidi fino a 9 mc con punto di infiammabilità superiore a 65 °C 

Solo liquidi combustibili

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 16715 | 16 Aprile 2018

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Penale Sent. Sez. 4 Num. 16715 Anno 2018
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 14/11/2017

La Corte di Cassazione, con sentenza 16 aprile 2018, n. 16715 ha stabilito che, in un processo riguardante lavoratori morti per mesotelioma pleurico (patologia asbesto-correlata), sebbene non sia in discussione che l'amianto sia causa di mesotelioma e che esista una correlazione tra entità dell'esposizione e rischio di ammalarsi, il nesso causale va risolto distinguendo il subperiodo in  cui si è determinata l'insorgenza della malattia. Pertanto è necessario al fine di individuare il garante responsabile ex articolo 589, Codice penale, di distinguere non solo l'arco temporale di esposizione, ma i singoli sub-periodi di insorgenza nel caso specifico.

...

Indice della Sentenza

RITENUTO IN FATTO
1. Le imputazioni
2. La sentenza di primo grado
3. La sentenza di secondo grado
4. I fatti accertati dalle sentenze di merito
4.1. Esposizione al benzene
4.2. Esposizione alle fibre di amianto
4.3. Il delitto contro l'incolumità pubblica
5. Il ricorso del P.G
6. I ricorsi degli imputati e del responsabile civile Edison s.p.a
7. Ricorso per Piergiorgio G.PG. a firma degli avv. Alberto Alessandri e Fabio Cagnola
8. Ricorso nell'interesse di Gaetano F.G. a firma dell'avv. Carlo Sassi
9. Ricorso proposto nell'interesse di C.A. e di P.G. Gianni, a firma degli avvocati Sergio Genovesi e Carlo Sassi
10. Ricorso proposto nell'interesse di Francesco Z.F. a firma degli avv. Angelo Giarda e Carlo Sassi
11. Ricorso proposto nell'interesse esclusivo di D.G., a firma degli avv. Carlo Baccaredda Boy e Francesco Centonze
12. Memoria per il Comune di Mantova
13. Memoria per l'Inail
14. Memoria per Versalis s.p.a
15. Memoria per Syndial Attività Diversificate s.p.a
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Indicazioni preliminari all'esame dei ricorsi
2. I ricorsi degli imputati. Le questioni processuali. Motivi XII, XIII, XIV, XV, XVI
2.1. La nullità del decreto di citazione per indeterminatezza della contestazione
2.2. La nullità della contestazione suppletiva
2.3. La violazione di legge ed il vizio della motivazione in relazione al rigetto delle istanze istruttorie
2.4. I vizi concernenti l'escussione del R.
2.5. La nullità dell'ordinanza che dispose la perizia a cura del Prof. B.
3. La spiegazione causale. Motivi I e III
3.1. Il giudice, le parti e il sapere esperto
3.2. La rilevanza causale dell'esposizione all'amianto rispetto ai decessi determinati da mesotelioma pleurico e peritoneale
3.3. La causalità individuale nei casi di mesotelioma. Motivo III
decessi determinati da tumore polmonare. Motivo II
3.5. La causalità individuale nei casi di tumore polmonare: le cause alternative all'esposizione all'asbesto. Motivo IV e V
4. I decessi provocati da leucemia mieloide acuta
4.1. La struttura della presente motivazione
4.2. La spiegazione causale della leucemia mieloide acuta. Motivo VI
4.3. La prova dell'esposizione del Omissis al benzene. Motivo II.1-II.2.2
4.4. La causalità individuale in rapporto alla morte del Omissis....
5. Le posizioni di garanzia. I ricorsi individuali
5.1. Generalità
5.2. I rilievi concernenti le singole posizioni
6. Il ricorso Z.F.
7. La colpa. Motivo VII dei ricorsi congiunti e ricorso Z.F.
8. Le censure concernenti il capo 3. Motivo VIII dei ricorsi congiunti
9. Le censure alle statuizioni concernenti il trattamento Comune di Mantova e Medicina difensiva. Motivo X dei ricorsi congiunti
10. La legittimazione ad agire delle parti civili Syndial s.p.a., Polimeri Europa s.p.a., Regione Lombardia, Provincia di Mantova, Comune di Mantova e Medicina difensiva. Motivo X dei ricorsi congiunti.
11. La condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e la condanna al pagamento delle spese di giudizio. Motivo XI dei ricorsi congiunti e motivo 6 del ricorso individuale Z.F.
12. Il ricorso del P.G
13. Sinossi delle statuizioni
14. Dispositivo

Ritenuto in fatto

1. Le imputazioni
PO.G., C.A., F.G., P.G., Z.F., S.S., P.G., G.PG., M.P., R.R., M.A. e D.G. venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Mantova per rispondere dei delitti di omicidio colposo plurimo aggravato, di lesioni personali colpose e di omessa collocazione di impianti, apparecchi e segnali diretti a prevenire infortuni sul lavoro, aggravato dalla verificazione dell'infortunio, in relazione alla prolungata esposizione professionale dei lavoratori dello stabilimento petrolchimico di Mantova (in proprietà di differenti soggetti giuridici nel corso del periodo considerato dalle contestazioni) a sostanze nocive per l'uomo e alle conseguenze della stessa su taluni degli esposti.
In particolare, le contestazioni mosse agli imputati, alcuni dei quali indicati come amministratori delegati della società proprietaria, altri come direttori dello stabilimento, succedutisi nelle cariche durante l'ampio arco temporale assunto dagli addebiti, sono state distinte in tre capi:
- nel capo 1) sono state descritte le trasgressioni cautelari che, perché determinanti l'esposizione dei lavoratori dello stabilimento a benzene, stirene, acrilonitrile, dicloretano, sono state ritenute causative delle morti dei lavoratori OMISSIS, esitate da patologie a carico del sistema emolinfopoietico (i primi quattro) o del pancreas (i restanti), venendo quindi contestati i delitti di cui agli artt. 81 cpv. e 113 cpv., in relazione all'art. 112 n. 3, 61 n.3, 589 co. 2 e 3 cod. pen., commessi in Mantova dal 1970 al 9.5.1989;
- nel capo 2) sono state descritte le trasgressioni cautelari che, perché determinanti l'esposizione dei lavoratori dello stabilimento a fibre di amianto aerodisperse, sono state ritenute causative delle morti dei lavoratori OMISSIS e delle lesioni personali patite da OMISSIS, nonché delle morti dei lavoratori OMISSIS esitate per i primi otto da mesotelioma pleurico e per gli ultimi tredici da tumore polmonare, venendo quindi contestati i delitti di cui agli artt. 81 cpv. e 113 cpv. in relazione all'art. 112 n. 3, 61 n.3, 589 co. 2 e 3, 590, co. 1, 2, 3, 4 cod. pen., commessi in Mantova dal 1970 al 9.5.1989;
- nel capo 3) sono state descritte le plurime condotte che, concretizzando l'omessa adozione di impianti, apparecchi e cautele destinate a prevenire "le malattie - infortunio professionali" patite dai lavoratori presi in considerazione dai precedenti capi ed altresì l'insorgenza delle patologie negli ulteriori lavoratori indicati in separato elenco (All. D), hanno dato luogo alla contestazione del delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, 112 n. 1 e 3, 437, co. 1 e 2 cod. pen.

[...]

Considerato in diritto

1. Indicazioni preliminari all'esame dei ricorsi
Il particolare contenuto di larga parte dei ricorsi congiunti e di pressoché tutti i ricorsi singoli, ivi compreso quello del P.G., impone di soffermarsi, sia pur brevemente, sui caratteri che necessariamente deve presentare il ricorso di cassazione se vuole sfuggire alla sanzione della inammissibilità. In specie appare opportuno indugiare sul connotato della specificità del motivo, previsto e prescritto dall'art. 581 lett. c) cod. proc. pen., il quale ove assente imPO.G., a norma dell'art. 591 lett. c) cod. proc. pen., l'inammissibilità dello stesso.
In questa sede appare opportuno rammentare che la aspecificità del motivo può risultare per aspetti diversi: perché la censura costituisce mera ripetizione di quella già sottoposta al giudice impugnato, il quale - non essendo la doglianza inammissibile - l'abbia esaminata e quindi abbia ad essa replicato; dovendosi al proposito tener conto che la replica va rintracciata nella complessiva trama motivazionale, non assumendo rilievo la mancata esplicazione della valutazione parcellare di singoli rilievi.
Può, la aspecificità del motivo, esser data dalla mancanza di pertinenza della censura rispetto alla ratio decidendi. Ancora, si coglie l'aspecificità nel motivo quando esso sia privo di riferimenti concreti alla peculiare vicenda oggetto di decisione, e quindi alla scansione argomentativa del provvedimento impugnato.
In tutte queste ipotesi in definitiva l'aspecificità emerge dalla assenza di connessione logica-argomentativa tra la censura e la decisione impugnata.
Una ricognizione della giurisprudenza di legittimità lascia emergere un notevole affinamento della nozione di aspecificità, che andrebbe ripercorsa alla luce della notevole casistica. Ma ciò costituirebbe un fuor d'opera nella presente sede (ove ci si può limitare a rammentare la ricognizione operata da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 268823); nella quale si avverte comunque, a conclusione di queste osservazioni preliminari, la necessità di rappresentare la piena consapevolezza che il diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, garantito delfart. 6, p. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950 (ratificata dall'Italia con la legge n. 848 del 4.8.1955), impone di abbandonare le limitazioni apposte dalla Corte di cassazione al diritto di accesso al sindacato di legittimità che risultino non proporzionate al fine di garantire la certezza del diritto e la buona amministrazione della giustizia (tra le pronunce della Corte edu si veda, tra le altre, Sez. 1, 24 aprile 2008, K. ed altri c. Lussemburgo). Tanto implica - come scandito dalle Sezioni unite civili di questa Corte (sentenza n. 17931 del 2013, CED Cass. n. 627268) - di dover evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi,  consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall'art. 6 p. 1 della Convenzione EDU". Ma non preclude agli Stati aderenti "la facoltà di circoscrivere, per evidenti esigenze di opportunità selettiva, a casistiche tassative, in relazione alle ipotesi ritenute astrattamente meritevoli di essere esaminate ai massimi livelli della giurisdizione, le relative facoltà di impugnazione, con la conseguenza che non si ravvisa contrasto allorquando le disposizioni risultino di chiara evidenza senza lasciare adito a dubbi". Quel principio, peraltro, "costituisce, nei diversi casi in cui le norme si prestino a diverse accezioni ed applicazioni, un canone direttivo nella relativa interpretazione, che deve in siffatti ultimi casi propendere per la tesi meno formalistica e restrittiva".
Come ben colto nella pronuncia dalla quale si sono tratte le citazioni appena fatte (Sez. 2, n. 25741 del 20/03/2015 - dep. 18/06/2015, Calistri, Rv. 264132), il requisito della specificità è imposto dall'art. 581 cod. proc. pen. in termini certamente chiari e non equivocabili; specie se si consideri che esso viene connesso all'esplicitazione delle ragioni di diritto e di fatto sulle quali si fonda.
Orbene, nel caso dei ricorsi che ci si appresta ad esaminare, i profili di aspecificità appena rammentati sono particolarmente frequenti. Nell'insieme - e ferma restando l'esistenza di un nucleo di questioni che sono legittimamente (ri)proposte, perché indirizzate alla interpretazione e alla applicazione della legge o perché prospettate in termini consentiti per il ricorso per cassazione - essi si concretano nella mera veicolazione nel grado successivo delle argomentazioni e dei rilievi critici contenuti negli atti di appello e nelle successive esplicazioni e precisazioni degli stessi. Né l'inserzione nel sovente pletorico periodare di strumentali riferimenti al giudizio della Corte di Appello può fare ombra alla struttura portante dei ricorsi, come meglio si evidenzierà nel prosieguo.
Quanto sin qui esposto non ha la funzione di sostenere un complessivo giudizio di inammissibilità dei ricorsi: si è già accennato ad un nucleo di motivi meritevoli di avere accesso al campo dell'esame nel merito. Piuttosto ha lo scopo di rendere espliciti in via generale i criteri ai quali questa Corte si atterrà per selezionare tra le censure, non di rado affastellate, quelle che potranno essere con breve argomentazione dichiarate inammissibili e quelle che richiederanno una più estesa trattazione.

[...]

P.Q.M.

A)
Annulla la sentenza impugnata, nei confronti di:
M.G. in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
G.PG. in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
M.P., in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
M.A., in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
D.G., in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
C.A., in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
F.G., in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
P.G., in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
Z.F., in relazione ai reati di omicidio colposo in danno di OMISSIS;
rinvia in relazione a tali imputazioni ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia per nuovo esame.
B)
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati limitatamente all'omicidio colposo in danno di OMISSIS, perché il reato è estinto per prescrizione; annulla la medesima sentenza, agli effetti civili, in relazione a tale reato, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.
C)
Annulla agli effetti civili la ridetta sentenza nei confronti di:
M.G., G.PG., C.A. con riferimento all'omicidio colposo in danno di OMISSIS e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia per nuovo esame.
D)
Annulla la sentenza in esame nei confronti dei ricorrenti M.G., G.PG., M.P., D.G., C.A., M.A., F.G. e P.G. in relazione all'omicidio in danno di OMISSIS perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta i ricorsi agli effetti civili. 
Rigetta agli effetti civili i ricorsi di M.G., G.PG., M.P., D.G. C.A., F.G. e P.G. in ordine al reato di omicidio colposo in danno di OMISSIS.
F)
Rigetta nel resto i ricorsi degli imputati e del responsabile civile.
G)
Rigetta il ricorso del Procuratore Generale della Corte di Appello di Brescia.
Condanna in solido gli imputati sub D) ed il responsabile civile al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili Versalis s.p.a. (già Polimeri Europa s.p.a.), Syndial Attività Diversificate s.p.a., Comune di Mantova, Provincia di Mantova, Inail e Medicina Democratica, liquidate in euro 3.000,00 per ciascuna di esse, oltre ad accessori di legge.
Condanna in solido gli imputati sub E) ed il responsabile civile al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili Versalis s.p.a. (già Polimeri Europa s.p.a.), Syndial Attività Diversificate s.p.a., Comune di Mantova, Provincia di Mantova, Inail e Medicina Democratica, liquidate in euro 3.000,00 per ciascuna di esse, oltre ad accessori di legge.
Condanna in solido gli imputati G.PG., M.P., D.G., C.A. e F.G. ed ed il responsabile civile al risarcimento del danni in relazione all'omicidio colposo in danno di Omissis (F) nei confronti delle parti civili Versalis s.p.a. (già Polimeri Europa s.p.a.), Syndial Attività Diversificate s.p.a., Comune di Mantova, Provincia di Mantova, Inail e Medicina Democratica, liquidate in euro 3.000,00 per ciascuna di esse, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 novembre 2017.

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D.M. 16 maggio 1987 n. 246

ID 6039 | | Visite: 14996 | Prevenzione Incendi

D M  16 maggio 1987 n  246

D.M. 16 maggio 1987 n. 246 

Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione 

G.U. n. 148 del 27 giugno 1987

Update 27.10.2021

In allegato DM 16 maggio 1987 testo coordinato VVF Ottobre 2020

Update 05 Febbraio 2019

Pubblicato in GU n.30 del 05-02-2019 il Decreto:

D.M. 25 gennaio 2019 | Norme sicurezza antincendi edifici di civile abitazione

Modifiche ed integrazioni all'allegato del decreto 16 maggio 1987, n. 246 concernente norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione

Testo commentato e coordinato(1) con le modifiche e le integrazioni introdotte dal DM 15/9/2005 in ‘grassetto blu’. In corsivo rosso sono riportati vari chiarimenti e commenti dell’autore, tratti anche da documentazione ministeriale. 

Con l'entrata in vigore il 7 ottobre 2011 del nuovo regolamento di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, gli “edifici civili” (e simili) sono ricompresi al punto 77 dell’allegato I al decreto, con una diversa formulazione rispetto a quanto previsto dal vecchio elenco del D.M. 16/2/1982, ove l'assoggettabilità era legata al parametro di “altezza in gronda”.
Il parametro adottato per determinare l'assoggettabilità degli edifici civili è ora quello della “altezza antincendio”, in linea con la relativa regola tecnica di prevenzione incendi di cui al D.M. 16 maggio 1987 n. 246.
Inoltre con la nuova formulazione l’assoggettabilità è stata estesa agli edifici destinati ad uso civile (non solo civile abitazione). I riferimenti, ove presenti nel testo, al vecchio regolamento (D.P.R. n. 37/98 e D.M. 16 febbraio 1982), devono intendersi aggiornati secondo l’equiparazione con il nuovo regolamento.


Le presenti norme hanno per oggetto i criteri di sicurezza antincendi da applicare agli edifici destinati a civile abitazione, con altezza antincendi uguale o superiore a 12 m. 

Prima dell’entrata in vigore del DPR n. 151/2011, ai fini dell'assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi di cui al punto 94 del DM 16/2/1982, si doveva fare riferimento all'altezza in gronda (“l'altezza massima misurata dal piano esterno accessibile ai mezzi di soccorso dei vigili del fuoco all'intradosso del soffitto del più elevato locale abitabile”) come definita al punto 2.b), penultimo comma, della circolare n. 25 del 2/6/1982, e non all’altezza antincendi (Lettera circolare prot. n. 6140/4122 del 28/3/1987). 

 D.M. 16 maggio 1987 n. 246 
...
1.1 "Altezza ai fini antincendi degli edifici civili": Altezza massima misurata dal livello inferiore dell'apertura più alta dell'ultimo piano abitabile e/o agibile, escluse quelle dei vani tecnici, al livello del piano esterno più basso.

Ing. M. Malizia - VVF

D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151

N. 

ATTIVITÀ 

CATEGORIA 

77 

Edifici destinati ad uso civile(2) 
con altezza antincendio(3) superiore a 24 m

A              

C

fino a 32m

oltre 32 m 
e fino a 54 m

oltre 54 m 

(1) Il testo non ha carattere di ufficialità. I testi ufficiali sono pubblicati nelle Gazzette Ufficiali della R.I. 

(2) Non rientrano nel punto n. 73 del D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 (Edifici e/o complessi edilizi a uso terziario e/o industriale caratterizzati da promiscuità strutturale e/o dei sistemi delle vie di esodo e/o impiantistica con presenza di persone > 300 unità, ovvero di superficie complessiva > 5.000 m2, indipendentemente dal numero di attività costituenti e dalla relativa diversa titolarità) le aree destinate a civile abitazione le quali, anche se parzialmente presenti nell'edificio o complesso di edifici, non concorrono nel computo dei parametri fissati per determinare l'assoggettamento o meno agli obblighi del D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151

(3) Con l'entrata in vigore il 7 ottobre 2011 del nuovo regolamento di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, gli edifici di civile abitazione sono ricompresi al punto 77 dell’allegato I al decreto: Edifici destinati ad uso civile con altezza antincendio superiore a 24 m, che, a differenza di quanto previsto dal vecchio elenco del D.M. 16/2/1982, comprende gli edifici destinati ad uso civile (non solo civile abitazione), avendo come parametro l’altezza antincendio e non l’altezza in gronda.

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Decreto 16 maggio 1987 n. 246 | Consolidato 2019

Cover 246 1987 small

Decreto 16 maggio 1987 n. 246 | Consolidato 2019

Ed. 1.0 Febbraio 2019

Riservato Abbonati: Sicurezza, 2X, 3X, 4X, Full, il Testo Consolidato 2019 del DM 246/1987 pdf in Allegato.

 D.M. 16 maggio 1987 n. 246  Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione (G.U. n. 148 del 27 giugno 1987)

Testo consolidato 2019 tiene conto della modifica di cui al:

D.M. 25 gennaio 2019 | Norme sicurezza antincendi edifici di civile abitazione - Modifiche ed integrazioni all'allegato del decreto 16 maggio 1987, n. 246 concernente norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione (GU n. 30 del 05-02-2019).

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Collegati:

D.D. 19.04.2018 Proroga Organismi abilitati alle verifiche DPR 462/01

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Decreto 28 02 2018

D.D. 19.04.2018 Proroga Organismi abilitati alle verifiche DPR 462/01

Il decreto direttoriale del 19 Aprile 2018 abilita 13 organismi di ispezione ad operare in regime di proroga dal 19 aprile al 31 dicembre 2018.

Art. 1

1. Gli Organismi di ispezione indicati nell’elenco allegato, come parte integrante del presente decreto, sono abilitati ad operare in regime di proroga, dalla data del presente decreto alla data del 31 dicembre 2018.

Art. 2

1. Qualora venisse accertato, anche a seguito di visita di controllo, il mancato possesso o venir meno dei requisiti di imparzialità, di indipendenza e di integrità, si procede, previa contestazione degli addebiti, alla revoca della proroga secondo quanto stabilito dalla Direttiva 11 marzo 2002.

2. In caso di accertata violazione degli altri criteri generali per il funzionamento previsti dalla citata norma tecnica UNI CEI EN ISO-IEC 17020:2012 si procede, previa contestazione degli addebiti, alla sospensione della proroga per un periodo massimo di trenta giorni. In caso di recidiva si procede alla revoca della proroga, secondo quanto stabilito dalla Direttiva 11 marzo 2002.

3. Qualsiasi variazione nello stato di diritto dell’Organismo di Ispezione, rilevante ai fini del presente decreto, è soggetta a tempestiva comunicazione da inoltrare al Ministero dello sviluppo economico – Direzione Generale per il Mercato, la Concorrenza, il Consumatore, la Vigilanza e la Normativa Tecnica - Divisione XIII – Normativa tecnica.

4. Qualsiasi variazione dello stato di fatto dell’Organismo di Ispezione, rilevante ai fini del presente decreto, è soggetta a tempestiva comunicazione da inoltrare ad Accredia.

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Fonte: MISE

Normativa di riferimento:

Cassazione Civile Sent. Sez. L n. 9240 | 13 Aprile 2018

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Sentenze cassazione civile

Infortunio mortale a seguito di caduta dal tetto nella rimozione di amianto

Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 aprile 2018, n. 9240 

Presidente: D'ANTONIO ENRICA
Relatore: BOGHETICH ELENA
Data pubblicazione: 13/04/2018

Ritenuto

che con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata il 4.6.2012, ha confermato la statuizione di primo grado la quale aveva accolto l'azione di regresso proposta dall'Inail, ex artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124 del 1965, nei confronti di G.S. con riguardo all'infortunio mortale occorso al dipendente R.G., rinvenendo un pari concorso di responsabilità tra datore di lavoro e lavoratore;
che avverso detta sentenza il G.S. propone ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria (nonché procura a nuovo difensore, a seguito di decesso del legale originariamente delegato), e l'Inail oppone difese depositando controricorso;

Considerato

che con entrambi i motivi il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, dell'art. 2697 cod.civ., degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. nonché vizio di motivazione (in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto "generiche e contrastanti" le risultanze probatorie testimoniali raccolte (nonostante la loro conferma anche in sede penale, con assoluzione dal reato di cui all'art. 589 cod.pen.), avendo sminuito la deposizione resa dal teste M.R. e, in genere, le dichiarazioni rese dai testimoni citati dal G.S. stesso, e cadendo nella contraddizione di riconoscere, da una parte, estranea all'obbligazione lavorativa la condotta che aveva determinato l'infortunio e irrazionale il comportamento tenuto dal lavoratore ma, dall'altra, riconoscendo, a carico del datore di lavoro, una percentuale di responsabilità nella causazione dell'evento pari al 50%;
[...]
che in ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148/2013, Cass. n. 8008/2014);
che la sentenza si presenta comunque immune da vizi logico-formali, essendosi dato ampiamente ed esaustivamente conto sia della minor attendibilità delle deposizioni rese dai testimoni legati da vincoli familiari sia della deposizione de relato resa dal teste M.R. (sulla irrilevanza delle deposizioni "de relato actoris" e, in genere, sull'attenuata rilevanza di quelle "de relato" in genere, cfr. da ultimo Cass. n. 569 del 2015) sia, infine, della correttezza della ricostruzione (effettuata in primo grado e confermata dalla Corte distrettuale) dell'Infortunio quale esecuzione di un incarico affidato dal datore di lavoro (piuttosto che effettuata per motivi personali dell'infortunato) in considerazione dell'improbabile interesse personale del dipendente infortunato al materiale (di amianto) da rimuovere sul tetto del capannone dal quale è precipitato, dei frequenti rapporti di lavoro che intercorrevano tra il datore di lavoro e la ditta proprietaria del capannone, della circostanza che entrambi (datore di lavoro e dipendente) erano sul tetto del capannone, dell'interessamento al materiale di amianto dichiarato dal datore di lavoro in sede di indagini ispettive (ultime due pagine della sentenza impugnata);
che in conclusione i motivi di ricorso vanno respinti e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ.;



P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso nell'Adunanza camerale del 30 gennaio 2018.

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Depositi GPL: Quadro normativo Prevenzione Incendi

ID 5985 | | Visite: 104411 | Prevenzione Incendi

Depositi GPL prevenzione incendi

Depositi di GPL: RTV e chiarimenti (cap < 13 m3) e (cap > 13 m3)

ID 5985 | 05.11.2019

RTV Prevenzione Incendi depositi GPL: Testo commentato e coordinato VVF con le le modifiche apportate da:

D.M. 14 Maggio 2004
D.M. 4 marzo 2014
-
 D.M 13 ottobre 1994 (1)
Circolare n. 74 del 20 settembre 1956 (Depositi bombole GPL)

D.M. 14 Maggio 2004
Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l'installazione e l'esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva non superiore a 13 m3
(GU n. 120 del 24 maggio 2004)

D.M 4 marzo 2014
Modifiche ed integrazioni all’allegato al decreto 14 maggio 2004, recante approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva non superiore a 13 m3.
(GU n. 62 del 15 marzo 2014)

D.M 13 ottobre 1994 (1)
Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei depositi di G.P.L. in serbatoi fissi di capacità complessiva superiore a 5 mc e/o in recipienti mobili di capacità complessiva superiore a 5.000 kg.
(GU n. 265 del 12 novembre 1994 - S.O. n. 142)

Circolare n. 74 del 20 settembre 1956
Decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1955, n. 620 Decentramento competenze al rilascio di concessioni per depositi di olii minerali e gas di petrolio liquefatti - Norme di sicurezza. (G.U. 5 agosto 1955, n. 179)

(1) Il presente D.M. 13 ottobre 1994 è stato abrogato (con art. 6 del D.M. 14 maggio 2004) per le parti inerenti i depositi di G.P.L. in serbatoi fissi di capacità complessiva fino a 13 m3 non adibiti ad uso commerciale. Per questi si applica il D.M. 14 maggio 2004 “Regola tecnica di prevenzione incendi per l'installazione e l'esercizio dei depositi di GPL con capacità non superiore a 13 mc”.
________

Con l'entrata in vigore il 7 ottobre 2011 del nuovo regolamento di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, i “depositi di GPL” sono ricompresi al punto 4B dell’allegato I al decreto, come di seguito riportato.

L'’installazione dei serbatoi GPL con capienza inferiore ai 13 mc può essere effettuata come "attività libera" ai sensi dell’art. 6 del DPR 380/2001 e quindi non sono necessari autorizzazioni amministrative. Sono invece applicabili precise disposizioni antincendio dettate dal D.M. 14 Maggio 2004 modificato dal D.M. 4 marzo 2014 e numerosi chiarimenti.

I serbatoi GPL sono installazioni particolarmente pericolose in quanto il gas è portato a pressioni elevate tra 2 e 8 bar tali da mantenerlo allo stato liquido.

Depositi di gas infiammabili in serbatoi fissi

Attività N 4 del D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 depositi di gas infiammabili in serbatoi fissi:

a) gas compressi
b) gas disciolti o liquefatti

N. ATTIVITÀ 

CATEGORIA 




4

Depositi di gas infiammabili in serbatoi fissi: 

B

a) compressi per capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 0,75 m3 

 

fino a 2 m3

oltre i 2 m3

b) disciolti o liquefatti per capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 0,3 m

Depositi di GPL fino a 5 m3

 

Depositi di gas diversi dal GPL fino a 5 m3 

Depositi di GPL da 5 m3 fino a 13 m3 

Depositi di gas diversi dal GPL oltre i 5 m

Depositi di GPL oltre i 13 m3 

1. Per i depositi GPL che rientrano nella categoria, a basso rischio di incendio, non è necessario chiedere il parere preventivo dei vigili del fuoco prima di realizzare i lavori, ma è sufficiente presentare la SCIA per iniziare l'attività.
2. Per i depositi GPL che rientrano nella categoria B, attività a medio rischio di incendio, oltre alla SCIA è necessario chiedere il parere di conformità al Comando presentando il progetto.
3. Per i depositi GPL che rientrano nella categoria C, con oltre 13 m3 di capacità, attività ad elevato rischio di incendio, oltre alla SCIA deve essere rilasciato il certificato prevenzione incendi (CPI), con sopralluogo VVF entro 60 giorni e ad esito positivo rilascio CPI.

Quesiti e Chiarimenti allegati VVF
 relativi a depositi di G.P.L., distanza da confini, distanze di sicurezza, distanza da autorimessa, recinzione, delimitazione della proprietà, idonea protezione del serbatoio interrato di GPL, alberi ad alto fusto o a radici profonde, installazione in cortili, sosta dell'autocisterna, installazione su terreno in pendenza, semplificazione delle procedure, intestazione del Certificato di prevenzione incendi, alimentazione di "multiutenze", ecc.

Distanze

Particolare attenzione è posta alle distanze del serbatoio GPL, come schematizzato:
Distanze depositi serbatoi GPL

Distanze da mantenere da un serbatoio GPL a raso. 

Legenda: 
1 = serbatoio;
2 = confine di proprietà;
3 = linea ferroviaria tramvia;
4 = autobotte;
5 = palazzo uffici;
6 = apertura di fogna o cunicolo chiuso;
7 = intercapedine;
8 = fabbricato industriale;
9 = deposito infiammabile;
10 = luogo di culto;
11 = elettrodotto;
12 = fabbricato con locali anche in parte destinati a esercizio pubblico;
13 = cinema;
14 = albergo;
15 = scuola;
16 = recinzione protettiva

Depositi di bombole GPL

Circolare n. 74 del 20 settembre 1956
D.P.R. 28 giugno 1955, n. 620 - Decentramento competenze al rilascio di concessioni per depositi di oli minerali e gas di petrolio liquefatti - Norme di sicurezza.

Con l'entrata in vigore il 7 ottobre 2011 del nuovo regolamento di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 i depositi e rivendite in “bombole di GPL” sono ricompresi al punto 3b dell’allegato I al decreto, come di seguito riportato.

Depositi bombole GPL

Attività N 3 del D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 depositi di gas infiammabili in serbatoi fissi:

Impianti di riempimento, depositi, rivendite di gas infiammabili in recipienti mobili:

a) compressi con capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 0,75 m3
b) disciolti o liquefatti per quantitativi in massa complessivi superiori o uguali a 75 kg

N. ATTIVITÀ 

CATEGORIA 




3

Impianti di riempimento, depositi, rivendite di gas infiammabili in recipienti mobili:

B

a) compressi con capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 0,75 m3 

 

rivendite, depositi fino a 10 m3

Impianti di riempimento, depositi oltre 10 m3

b) disciolti o liquefatti per quantitativi in massa complessivi superiori o uguali a 75 kg

Depositi di GPL fino a 300 kg

rivendite, depositi di GPL oltre 300 kg e fino a 1.000 kg, depositi di gas infiammabili diversi dal GPL fino a 1.000 kg

Impianti di riempimento, depositi oltre 1.000 kg


Circolare n. 74 del 20 settembre 1956

Il D.M 13 ottobre 1994 ha abrogato le parti prima e quarta dell'allegato 1 alla Circolare n. 74 del 20 settembre 1956 per quello che attiene ai depositi con serbatoio fisso.

Quesiti e Chiarimenti

- Circolare prot. n. 13818 del 21-11-2014 Depositi di GPL fino a 13 m3. Indicazioni applicative del DM 4 marzo 2014 di modifica del DM 14 maggio 2004. 

- Nota DCPREV prot. n. 7995 del 06-06-2013 Attività di rivendita in bombole di G.P.L. presso impianti stradali di distribuzione carburanti - Riscontro.

- Lettera Circolare prot. n. 8660 del 27-06-2012 Attuazione del DPR 1° agosto 2011, n° 151. Depositi di GPL in serbatoi fissi di capacità complessiva non superiore a 5 metri cubi ed attività inerenti il settore del GPL - Indirizzi applicativi e chiarimenti. 

- Nota DCPREV prot. n. 10029 del 22-07-2011 Deposito di gas GPL …, Richiesta di chiarimenti. 

- Nota DCPREV prot. n. 2177 del 17-02-2011. D.M. 13.10.1994. Deposito di GPL. Determinazione della capacità. 

- Nota DCPREV prot. n. 18066 del 17-12-2010. Quesito di prevenzione incendi - D.M. 14 maggio 2004 … Sistemi di protezione dei serbatoi interrati. 

- Circolare prot. n. 15049 del 26-10-2010 Applicazione art. 10, comma 4 del D.Lvo 11 febbraio 1998, n° 32. 

- Nota DCPREV prot. n. 12026 del 05-08-2010. Rimozione di depositi di GPL in serbatoi fissi interrati da parte di ditte terze. - Considerazioni sulla bonifica dei serbatoi rimossi. 

- Nota DCPREV prot. n. 7589 del 06-05-2010. Rimozione di depositi di g.p.l. in serbatoi fissi interrati da parte di ditte terze

- Lettera-Circolare prot. n. P1214/4106 sott. 40/A del 26-09-2008. D.M. 14 maggio 2004 …- Chiarimenti in ordine all'intestazione del certificato di pre-venzione incendi nei casi di alimentazione di "multiutenze".

- Nota prot. n. P685/4106 sott. 40/DI del 11-08-2008. D.M. 14 maggio 2004 e D.P.R. 12 aprile 2006, n. 214 - Serbatoi di gas di petrolio liquefatto (GPL) destinati a multiutenze. Intestazione del certificato di prevenzione in-cendi (C.P.I.). Quesito. 

- Nota prot. n. P1230/4115/3 sott. 1 del 30-01-2008. Prevenzione incendi. ... Rimozione estintori in luoghi non presidiati. 

- Nota prot. n. P235/4106 sott. 40/DI del 23-04-2007. Deposito di gas G.P.L. ad uso civile, in serbatoio fisso interrato da 2,750 mc con rive-stimento epossidico e protezione catodica. 

- Nota prot. n. P480/4106 sott. 40/DI del 06-09-2006. D.M. 14 maggio 2004 Quesito - Installazione di serbatoi di g.p.l. in corrispondenza di terrazzamenti. 

- Lettera circolare prot. n. P572/4106 sott. 55/B del 17-05-2006. Attuazione degli articoli 8 e 13 del D.Lgs n. 128/2006. Chiarimenti sugli aspetti procedurali di prevenzione incendi 

- Nota prot. n. P769-967/4106 sott. 40/DI del 04-08-2005. … Chiarimenti al punto 10, comma 2, dell'Allegato al D.M. 14 maggio 2004: idonea protezione del serbatoio interrato di GPL per la presenza di alberi ad alto fusto. 

- Nota prot. n. P570/4106 sott. 40/DI del 09-06-2005. Quesito in merito all'interpretazione dell'art. 7 comma 1 lett. b) del D.M. 14 maggio 2004 - Depositi g.p.l. 

- Lettera-Circolare prot. n. P1363/4106 sott. 40/A del 24-08-2004. D.M. 14 maggio 2004 …- Chiarimenti al punto 9 “Recinzione” dell’allegato. 

- Nota prot. n. P552/4106 sott. 55 del 14-05-2003. Depositi di g.p.l. in serbatoi fissi di capacità complessiva > 5 mc e/o recipienti mobili di capacità complessiva > 5000 Kg. - D.M. 13 ottobre 1994. 

- Nota prot. n. P502/4106 sott. 55/A del 06-05-2003 D.M. 13 ottobre 1994 – Serbatoio di G.P.L. da 25 mc con scambiatore termico incorporato. 

- Nota prot. n. P981/4106 sott. 40/DI del 05-04-2002. D.M. 31 marzo 1984 - Serbatoio di G.P.L. interrato, ubicato su terrazza prospiciente un fossato aperto per la raccolta di acque meteoriche - Quesito.-

- Nota prot. n. P904/4106 sott. 40/DI del 10-10-2000. DM 31 marzo 1984, distanza da confini.

- Nota prot. n. P429/4106 sott. 40/B del 2-06-2000. Quesito. - Attività 4/b D.M. 16 febbraio 1982. - Sosta dell'autocisterna. 

- Nota prot. n. P1182/4106 sott. 40/DI del 30-09-1999. D.M. 31 marzo 1984 - Richiesta di chiarimenti al punto 2.2 (installazione in cortili) e al punto 2.3 (installazione su terreno in pendenza).

- Nota prot. n. P374/4106 sott. 40/DI del 19-03-1999. Installazione di un serbatoio di G.P.L. di capacità inferiore a 5 m3 in area golenale … - Quesito. 

- Nota prot. n. P11/4106 sott. 40/DI del 01-02-1999. D.M. 31 marzo 1984 - Depositi di GPL di capacità inferiore a 5 m3 intestati a ditte distinte - Richiesta chiarimenti. 

- Nota prot. n. P1178/4106 sott. 40/D del 18-06-1997… Alberi a radici profonde. 
....
segue in allegato

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Circolare INAIL n. 90 del 29 dicembre 2004

ID 5973 | | Visite: 3605 | Documenti Sicurezza Enti

Circolare INAIL n. 90 del 29 dicembre 2004

Nuova disciplina in materia di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto.

Organo: INAIL - DIREZIONE GENERALE - DIREZIONE CENTRALE PRESTAZIONI
Documento: Circolare n. 90 del 29 dicembre 2004.
Oggetto:Nuova disciplina in materia di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto.

Quadro Normativo

Legge 27 marzo 1992, n. 257, articolo 13, comma 8, come modificato dalla legge 4 agosto 1993, n. 271
Decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, articolo 47
Legge 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 3, comma 132
Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, del 27 ottobre 2004, di attuazione dell'art. 47 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326
Nella Gazzetta Ufficiale n. 295 del 17 dicembre 2004 è stato pubblicato il Decreto interministeriale del 27 ottobre 2004, il quale, nel dettare le modalità di attuazione dell'art. 47 della legge n. 326/2003, opera anche un sistematico coordinamento tra lo stesso art. 47 e l'art. 3, comma 132, della legge n. 350/2003 e rappresenta, quindi, il nuovo quadro di riferimento normativo in materia di benefici previdenziali per lavoratori esposti all'amianto.

In particolare, il Decreto:

prevede due diversi regimi - sia sostanziali che procedurali - a seconda che il periodo lavorativo di esposizione all'amianto fosse soggetto o non soggetto all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali gestita dall'INAIL;
stabilisce, per tutti indistintamente i lavoratori, il 2 ottobre 2003 come data ultima di esposizione all'amianto utile per la maturazione del diritto ai benefici previdenziali;
fissa, per tutti indistintamente i lavoratori, il 15 giugno 20051 come data ultima per la presentazione all'INAIL della domanda di rilascio del certificato di esposizione all'amianto2 , pena la decadenza dal diritto ai benefici previdenziali.

1. Lavoratori che sono stati esposti all'amianto per periodi lavorativi soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL

Sulla base dell'art. 1, comma 2, del Decreto interministeriale, ai lavoratori che:

sono stati esposti all'amianto per periodi lavorativi soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL;
hanno già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992, e successive modificazioni;
presentino la domanda di certificazione all'INAIL, se non vi hanno già provveduto, entro il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso e cioè entro il 15 giugno 2005;
si applica la disciplina previgente al 2 ottobre 2003.


Da ciò discende che la maturazione del diritto ai benefici previsti dal previgente regime avviene esclusivamente con l'accertata esposizione ultradecennale all'amianto verificatasi entro il 2 ottobre 2003, a prescindere dal momento di presentazione della domanda all'INAIL - che può anche essere successivo al 2 ottobre 2003 purchè, ovviamente, non successivo al 15 giugno 2005 - e, a maggior ragione, a prescindere dalla data di rilascio del certificato di esposizione.

Pertanto, i lavoratori che hanno presentato, o presenteranno entro il 15 giugno 2005, domanda di certificazione all'INAIL - e ai quali l'INAIL ha certificato o certificherà l'esposizione ultradecennale all'amianto verificatasi entro il 2 ottobre 2003 per periodi lavorativi soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL stesso - continueranno a fruire del coefficiente moltiplicativo di 1,5 del periodo di esposizione, ai fini sia della determinazione delle prestazioni pensionistiche sia della maturazione del diritto di accesso alle medesime.

1.1. Presentazione della domanda.

Ai sensi dell'art. 3, comma 9, del Decreto interministeriale, questi lavoratori sono tenuti a presentare la domanda all'INAIL entro il 15 giugno 2005 soltanto se, alla data di emanazione del Decreto stesso, non vi avevano già provveduto.

Le domande devono essere predisposte secondo lo schema di cui all'allegato n. 1 del Decreto; si ritiene, però, che l'eventuale discordanza dallo schema non possa considerarsi elemento sufficiente per respingere la domanda. Le Sedi, quindi, in caso di domande carenti delle necessarie informazioni, provvederanno a richiederne l'integrazione al lavoratore e, una volta acquisite le notizie mancanti, procederanno ad istruire la pratica.

1.2. Procedure di accertamento e di certificazione dell'esposizione all'amianto.

L'art. 3, comma 9, del Decreto interministeriale stabilisce che per i lavoratori di cui si tratta "continuano a trovare applicazione le procedure di riconoscimento dell'esposizione all'amianto seguite in attuazione della previgente disciplina".

Pertanto, allorché dalla storia lavorativa presente nella domanda avanzata dal lavoratore risulti che tutti i periodi lavorativi con asserita esposizione all'amianto erano soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL, la pratica dovrà essere istruita seguendo le istruzioni in vigore. Al riguardo, si ricorda che la raccolta delle principali disposizioni emanate in materia è stata consegnata agli esperti regionali in occasione del corso tenutosi a Roma il 22 ottobre 2003.

Si richiamano in particolare:

il flusso procedurale definito con le lettere del 23 novembre 1995 e del 2 aprile 1996, riguardanti i lavoratori dipendenti sia da aziende che non hanno pagato il premio supplementare sia da aziende che lo hanno pagato.
Per quanto riguarda questi ultimi, ribadito che l'INAIL può rilasciare attestati di avvenuto pagamento del premio supplementare asbestosi solo se il lavoratore richiedente ha preliminarmente presentato in Sede la dichiarazione dell'azienda sull'avvenuto pagamento, proprio per quel lavoratore, del premio supplementare, si sottolinea l'esigenza di acquisire il parere CON.T.A.R.P. in ogni situazione di incertezza ovvero di rilevate inesattezze o incongruenze nella dichiarazione aziendale;
la procedura speciale definita con la lettera del 16 aprile 1997, e con la nota del Ministero del lavoro del 4 aprile dello stesso anno, per i lavoratori ex dipendenti di imprese cessate o fallite e irreperibili. Va confermato, a tale riguardo, il ruolo prioritario che in questa particolare procedura fu a suo tempo affidato alle Direzioni regionali e provinciali del lavoro dallo stesso Ministero, ruolo che oggi viene ulteriormente rafforzato dall'art. 3, comma 5, del Decreto interministeriale che - relativamente ai soggetti non assicurati INAIL - affida esclusivamente alle Direzioni provinciali del lavoro, previe apposite indagini, il rilascio del curriculum lavorativo del richiedente;
la necessità di attenersi scrupolosamente agli Atti di indirizzo ministeriale, senza possibilità di interpretazioni estensive o analogiche.
Si fa presente infine che i certificati di riconoscimento dell'esposizione all'amianto per la tipologia di lavoratori trattata in questo paragrafo conterranno sia il riferimento legislativo al precedente regime (e cioè all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 e successive modifiche ed integrazioni) sia l'esplicita indicazione che si tratta di periodi lavorativi soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall'INAIL.

Ciò allo scopo di consentire ai competenti Enti Previdenziali ogni decisione sulla ricorrenza del presupposto di legge (e cioè, ripetesi, esposizione ultradecennale all'amianto verificatasi entro il 2 ottobre 2003 in attività lavorativa soggetta all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL) previsto per l'applicazione a questi lavoratori della disciplina dei benefici previdenziali previgente al 2 ottobre 2003.

2. Lavoratori che sono stati esposti all'amianto per periodi lavorativi non soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL

Sulla base del combinato disposto degli articoli 1, comma 1, e 2, commi 1 e 2, del Decreto interministeriale, la nuova disciplina si applica ai lavoratori che, alla data del 2 ottobre 2003:

sono stati esposti all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno, e comunque sulla durata oraria giornaliera prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro;
svolgendo una o più attività lavorative comportanti l'esposizione all'amianto che vengono specificamente elencate nel Decreto;
per periodi lavorativi non inferiori a dieci anni e non soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL.
I benefici previdenziali riconosciuti a questi lavoratori consistono nell'applicazione del coefficiente moltiplicativo di 1,25 del periodo lavorativo non inferiore a dieci anni con esposizione all'amianto, ai fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non già della maturazione del diritto di accesso alle medesime.

Rientrano nell'ambito di applicazione delle nuove disposizioni i lavoratori che hanno svolto attività lavorativa che:

non era, e tuttora non è, soggetta all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ai sensi del D.P.R. n. 1124/1965, come i vigili del fuoco, il personale di volo della navigazione aerea, ecc.
è stata in passato, ed è tuttora, soggetta all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ai sensi del D.P.R. n. 1124/1965 ma presso un Ente assicuratore diverso dall'INAIL, e cioè i marittimi e i dipendenti, civili e militari, dello Stato.
Allorché dalla storia lavorativa presente nella domanda avanzata dal lavoratore risulti che tutti i periodi lavorativi con asserita esposizione all'amianto non erano soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL, la pratica dovrà essere istruita sulla base delle seguenti istruzioni.

Separata trattazione è effettuata per i lavoratori che, come i ferrovieri ed i postali, hanno svolto attività lavorativa "mista", e cioè in parte soggetta, ed in parte non soggetta, all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall'INAIL; per questi lavoratori si fa rinvio al successivo punto 3.

2.1. Presentazione della domanda.

Ai sensi dell'art. 3, comma 2, del Decreto interministeriale, i lavoratori di cui si tratta devono presentare la domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto all'INAIL entro il 15 giugno 2005, a pena di decadenza dal diritto ai benefici3 .

Si richiama l'attenzione, tuttavia, sul fatto che, diversamente dai lavoratori di cui al precedente punto 1., per questi lavoratori sussiste l'obbligo di ripresentare le domande eventualmente già inoltrate prima del 2 ottobre 2003. Pertanto, le richieste presentate fino a tale data non sono valide e non devono essere istruite.
Le domande, inoltre, devono essere predisposte secondo lo schema di cui all'allegato n. 1 del Decreto; si ritiene, però, che l'eventuale discordanza dallo schema non possa considerarsi elemento sufficiente per respingere la domanda. Le Sedi, quindi, in caso di domande carenti delle necessarie informazioni, provvederanno a richiederne l'integrazione al lavoratore e, una volta acquisite le notizie mancanti, procederanno ad istruire la pratica.

2.2. Presentazione del curriculum lavorativo.

Si è già detto, al precedente punto 2, che i lavoratori di cui si tratta, per fruire dei benefici previdenziali, devono - tra le altre condizioni - aver svolto una o più attività lavorative comportanti esposizione all'amianto elencate nell'art. 2, comma 2, del Decreto.

L'attestazione della ricorrenza di questo presupposto è di competenza del datore di lavoro.

Infatti, l'art. 3, comma 3, del Decreto stabilisce che il curriculum lavorativo rilasciato dal datore di lavoro dovrà contenere non solo l'indicazione delle mansioni, reparti e periodi lavorativi del lavoratore richiedente, ma anche l'espressa dichiarazione che il lavoratore è stato adibito, in modo diretto ed abituale, a una o più attività lavorative comportanti l'esposizione all'amianto di cui al predetto art. 2, comma 2.

La presentazione da parte del lavoratore del curriculum, da redigere secondo lo schema di cui all'allegato 2 del Decreto, costituisce la condizione al verificarsi della quale è subordinato l'avvio del procedimento di accertamento e certificazione dell'esposizione da parte dell'INAIL.

Pertanto, la non conformità del curriculum allo schema di cui all'allegato 2 del Decreto comporta la reiezione della domanda senza ulteriore istruttoria. Resta inteso, peraltro, che devono considerasi validi curricula lavorativi contenenti tutte le informazioni previste nello "schema" allegato al Decreto, pure se redatti su modelli formalmente non conformi.

Si richiama l'attenzione sul comma 4 dell'art. 3, che demanda alle Direzioni provinciali del lavoro l'esclusiva competenza in materia di controversie relative al rilascio e al contenuto dei curricula, senza alcun coinvolgimento dell'INAIL.

Si osserva, inoltre, che la normativa non prevede un termine ultimo per la presentazione dei curricula. Nondimeno, è da definire una linea di condotta per le domande che, dopo un ragionevole periodo di tempo, continueranno a restare prive del successivo curriculum. Si fa riserva, al riguardo, di fornire istruzioni allorché si avranno le informazioni necessarie per valutare le dimensioni del fenomeno. Nel frattempo, resta inteso che le domande prive di curricula non dovranno in alcun modo essere istruite.

2.3. Procedura di accertamento e certificazione dell'esposizione all'amianto.

Una volta pervenuto il curriculum lavorativo conforme alle disposizioni, prende avvio la procedura di accertamento tecnico della esposizione all'amianto che è stabilita dagli articoli 2, comma 1, e 3 del Decreto interministeriale.

Si richiama, in particolare, l'attenzione sui seguenti aspetti:

l'adibizione, in modo diretto ed abituale, ad una delle attività elencate dall'art. 2, comma 2, del Decreto interministeriale costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per il riconoscimento dell'esposizione. Tale condizione, come già detto, deve essere attestata dal datore di lavoro nel curriculum, ma può essere oggetto di verifica da parte delle CONTARP nel corso degli accertamenti tecnici;
per fruire dei benefici previsti dalla nuova disciplina è altresì necessario essere stati esposti, per un periodo non inferiore a dieci anni, ad una concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno e, comunque, sulla durata oraria giornaliera prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro;
la durata e l'intensità dell'esposizione sono accertate dalle CONTARP regionali, che, ai sensi dell'art. 3, comma 7, potranno formulare giudizi fondati su ragionevole verosimiglianza, utilizzando non solo le indagini mirate di igiene industriale - laddove esistenti - ma anche i dati della letteratura scientifica, le informazioni ricavabili da situazioni lavorative con caratteristiche analoghe e ogni altra documentazione e conoscenza utile;
ai sensi dell'art. 3, comma 6, il datore di lavoro è tenuto a fornire all'INAIL tutti i documenti e le notizie ritenute utili dall'Istituto stesso. Viene così resa più cogente la partecipazione dei datori di lavoro alla ricostruzione degli elementi di valutazione dell'esposizione;
ai sensi dell'art. 3, comma 5, nel caso di aziende cessate o fallite con datore di lavoro irreperibile, l'incarico di effettuare le indagini e di rilasciare i curricula lavorativi è affidato esclusivamente alle Direzioni provinciali del lavoro. I curricula devono essere comunque conformi allo schema allegato n. 2 al Decreto.
Circa le concrete modalità di effettuazione degli accertamenti tecnici e di elaborazione dei pareri, si ritiene, al momento, di dover confermare le procedure già positivamente seguite in passato per i lavoratori assicurati INAIL.

In particolare, le CONTARP regionali restano titolari dei pareri riguardanti gli ambienti di lavori rientranti nella loro sfera di competenza territoriale, con l'avvertenza che:

per i lavoratori marittimi, la competenza viene individuata con riferimento al territorio ove è situata la sede dell'armatore;
per il personale viaggiante delle ex FF.SS., nonché per il personale di volo (piloti ed assistenti), la competenza viene individuata con riferimento al territorio ove è situata la struttura da cui dipendeva (o dipende) il lavoratore richiedente, come indicata nel curriculum lavorativo.

A supporto dei pareri che saranno resi dalle CONTARP regionali e fermo restando l'autonomo giudizio di queste ultime, si sta esaminando la possibilità di elaborare, a cura di appositi Gruppi di lavoro da costituire presso la CONTARP Centrale, linee guida riguardanti:

il personale delle Compagnie di navigazione;
il personale delle ex FF.SS diverso da quello occupato nelle "Officine di grandi riparazioni" (personale di stazione, personale viaggiante, binaristi, ecc.);
altre categorie di lavoratori che hanno svolto o svolgono attività lavorative con connotati organizzativi e tecnologici sostanzialmente analoghi a livello nazionale (piloti e assistenti di volo, personale della scuola e altri dipendenti dello Stato, vigili del fuoco, ecc.).

Si fa presente, infine, che i certificati di riconoscimento dell'esposizione all'amianto per la tipologia di lavoratori trattata in questo paragrafo conterranno sia il riferimento legislativo al nuovo regime (e cioè all'art. 47 del decreto legge n. 269/2003 convertito, con modifiche, dalla legge n. 326/2003 e relative norme di attuazione) sia l'esplicita indicazione che si tratta di periodi lavorativi non soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall'INAIL.

Ciò allo scopo di consentire ai competenti Enti Previdenziali ogni decisione sulla ricorrenza del presupposto di legge (e cioè, ripetesi, esposizione non inferiore a dieci anni all'amianto verificatasi entro il 2 ottobre 2003 in attività lavorativa non soggetta all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL) previsto per l'applicazione a questi lavoratori della nuova disciplina dei benefici previdenziali in vigore dal 2 ottobre 2003.

3. Lavoratori che sono stati esposti all'amianto per periodi lavorativi "misti", e cioè in parte soggetti e in parte non soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL

Rientrano in questa categoria non solo i ferrovieri (assicurati presso l'INAIL dal 1° gennaio 1996) e i postali (assicurati presso l'INAIL dal 1° gennaio 1999) ma, in generale, tutti i lavoratori che hanno svolto più attività lavorative , alcune soggette ed altre non soggette alla assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL, come, in ipotesi, potrebbe essere accaduto a marittimi o a dipendenti, civili e militari, dello Stato che in passato avessero lavorato nel settore industria o viceversa.

Pertanto, allorché dalla storia lavorativa presente nella domanda avanzata dal lavoratore risulti che i periodi lavorativi con asserita esposizione all'amianto erano in parte soggetti e in parte non soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL, la pratica dovrà essere "sdoppiata" e istruita separatamente, seguendo, per i periodi "INAIL", le procedure descritte ai precedenti punti 1.1. e 1.2. e, per i periodi "non INAIL", le procedure descritte ai precedenti punti 2.1., 2.2. e 2.3.

Il lavoratore, quindi, in caso di riconoscimento dell'esposizione riceverà due (o più) certificati distinti, ciascuno riportante i pertinenti riferimenti legislativi e l'indicazione circa la copertura, o non copertura, dell'assicurazione obbligatoria INAIL.

Spetterà, poi, al competente Ente Previdenziale decidere, in relazione a quanto certificato dall'INAIL, il tipo di disciplina di benefici previdenziali da applicare.

4. Domanda di riconoscimento dei periodi di esposizione all'amianto da parte di lavoratori affetti da malattia professionale da amianto riconosciuta dall'INAIL (art. 13, comma 7, della legge n. 257/1992 e successive modifiche)

Poiché il Decreto interministeriale non detta disposizioni al riguardo, nulla cambia rispetto alle istruzioni impartite in passato sull'argomento.

Pertanto, l'Istituto continuerà a certificare periodi di esposizione all'amianto soltanto a lavoratori la cui malattia professionale è stata riconosciuta dall'Istituto stesso, con l'avvertenza che dovranno essere certificati anche i periodi lavorativi di rischio non soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL se quei periodi sono stati considerati rilevanti ai fini del riconoscimento della tecnopatia da amianto.

Si osserva, inoltre, che per questa tipologia di richieste non è previsto un termine ultimo di presentazione.

5. Prime istruzioni operative.

Il nuovo quadro normativo richiede alcuni interventi di modifica ed implementazione della procedura informatica "NPRA", che si presume di completare entro il prossimo mese di febbraio.

Nel frattempo, si forniscono le seguenti direttive con effetto immediato:
per quanto riguarda i lavoratori assicurati INAIL che hanno presentato domanda dopo il 2 ottobre 2003, e limitatamente ai periodi soggetti all'assicurazione INAIL, devono essere riattivate tutte le funzioni istruttorie e certificative di competenza dell'Istituto che erano state sospese con lettera del 12 gennaio 2004, dando precedenza ai casi con esposizione riconosciuta. A tale riguardo, si fa presente che si sta provvedendo a modificare, in "NPRA", il testo dei certificati con definizione positiva riguardanti questa tipologia di lavoratori;
per quanto riguarda i lavoratori non assicurati INAIL, oppure assicurati INAIL che richiedono il riconoscimento dell'esposizione per periodi non soggetti all'assicurazione INAIL, si deve continuare ad inserire in procedura esclusivamente i dati anagrafici e i dati relativi alla domanda, onde generare il numero del Protocollo Unico Nazionale. Peraltro, qualora dovessero pervenire anche i primi curricula professionali conformi allo schema allegato n. 2 del Decreto interministeriale, gli stessi curricula non dovranno essere al momento inseriti in procedura ma dovranno essere inviati, in copia e corredati dalla documentazione eventualmente prodotta dai lavoratori, alle CONTARP regionali per l'avvio della istruttoria tecnica di loro competenza;
allo scopo di tenere l'evidenza statistica delle categorie di lavoratori che presentano domande all'INAIL, si sta provvedendo ad inserire, in "NPRA", un apposito indicatore che consente di individuare se se si tratta di lavoratori che hanno svolto attività lavorativa soggetta all'assicurazione INAIL, non soggetta all'assicurazione INAIL oppure "mista". Tale indicatore deve essere obbligatoriamente digitato per tutte indistintamente le domande.
Si fa presente, infine, che sono state programmate per i prossimi mesi di gennaio e febbraio videoconferenze e corsi di formazione per affrontare le problematiche poste dalla nuova normativa.

______________________________
1.Il 15 giugno 2005 è il 180° giorno dalla data di pubblicazione del Decreto interministeriale nella Gazzetta Ufficiale.
2.Per data di presentazione della domanda si intende la data di arrivo alla Sede INAIL o la data del timbro postale di invio nel caso di raccomandata (art. 3, comma 2, del Decreto interministeriale)..
3.Vedi note nn. 1 e 2.

Fonte:INAIL

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Decreto 12 marzo 2008

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Decreto 12 marzo 2008

Mnistero del Lavoro e della previdenza sociale 

Modalita' attuative dei commi 20 e 21 dell’articolo 1 della Legge 24 dicembre 2007 n. 247, concernente la certificazione di esposizione all’amianto di lavoratori occupati in aziende interessate agli atti di indirizzo ministeriale.

GU Serie Generale n.110 del 12-05-2008

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Guida per l'installazione degli impianti fotovoltaici - VVF

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Guida per l'installazione degli impianti fotovoltaici

La nuova guida per l'installazione degli impianti fotovoltaici nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi.

In linea l'aggiornamento della guida per l'installazione degli impianti fotovoltaici nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, redatta da un apposito gruppo di lavoro, costituito da esperti del settore elettrico ed approvata recentemente dal C.C.T.S. 

La guida recepisce i contenuti del D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 e tiene conto delle varie problematiche emerse in sede periferica a seguito delle installazioni di impianti fotovoltaici e sostituisce quella emanata con nota prot. n. 5158 del 26 marzo 2010.

VVF 2012

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 2/2018

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 2 del 05 Aprile 2018

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 05 Aprile 2018 (n. 2/2018):

05/04/2018- n. 02/2018 Destinatario: Regione Lazio
Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - risposta al quesito inerente l'interpretazione dell'articolo 39, comma 3, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Oggetto: art. 12, d.gs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - risposta al quesito inerente l'interpretazione dell'articolo 39, comma 3, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

La Regione Lazio, tramite la Direzione Regionale Salute e Politiche Sociali, ha formulato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 39, comma 3, del decreto legislativo n. 81/2008, il quale dispone che: “Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente”.

In particolare l’Ente chiede di conoscere “se tale disposizione è da intendersi rivolta a tutte le strutture del Dipartimento di prevenzione delle aziende sanitarie locali o solo a quelle che svolgono attività ispettiva e se sia applicabile a tutto il personale con qualifica ispettiva afferente all’azienda sanitaria”.*
...

Art. 39. Svolgimento dell'attivita' di medico competente 

[...]3. Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attivita' di vigilanza, non puo' prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attivita' di medico competente.

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Accordo 20 gennaio 2016, rep. atti 5/CU

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Accordo 20 gennaio 2016, rep. atti 5/CU

Accordo, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane, finalizzato alla completa informatizzazione degli adempimenti previsti dall’articolo 9, della legge 27 marzo 1992, n. 257 e dagli articoli 250 e 256, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, concernente le imprese che utilizzano amianto nei processi produttivi o che svolgono attività di smaltimento o di bonifica dell’amianto.

Cassazione Civile Sent. Sez. 3 n. 7940 | 30 Marzo 2018

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Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile Sent. Sez. 3 30 Marzo 2018 n. 7940

Infortunio lavoratore autonomo durante la revisione di un macchinario

Ricorso inammissibile per carenza di procura speciale

Civile Ord. Sez. 3 Num. 7940 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: SCODITTI ENRICO
Data pubblicazione: 30/03/2018

Rilevato che

F.L. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Monza Officine Meccaniche F.lli R. s.r.l. chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 322.783,94. Espose l'attore che, mentre procedeva alla revisione di un macchinario di proprietà della ditta convenuta, affiancato nell'esecuzione del lavoro da un dipendente della convenuta, S.F., quest'ultimo aveva collegato la macchina alla presa di alimentazione elettrica, che si trovava in locale diverso da quello ove si trovava il macchinario, e che in conseguenza della rimessa in funzione della macchina la mano destra del F.L. era rimasta nell'ingranaggio subendo una grave menomazione. Il Tribunale adito dichiarò sia la responsabilità della società convenuta ai sensi dell'art. 2049 cod. civ. che il concorso di colpa dell'attore nella misura del 50%. Avverso detta sentenza proposero appello principale il F.L. ed incidentale la società. Con sentenza di data 20 luglio 2015 la Corte d'appello di Milano accolse l'appello incidentale e rigettò la domanda risarcitoria.

Osservò la corte territoriale che, presupponendo la responsabilità ai sensi dell'art. 2049 la colpa (o il dolo) del commesso autore del fatto dannoso, tale prova, di cui era onerato il danneggiato, mancava in quanto dalla testimonianza del S.F. non erano emersi elementi ammissivi di una sua colpa (aveva anzi costui dichiarato di avere avvisato il F.L. della riattivazione del collegamento elettrico) e, anche a voler prescindere da tale testimonianza in quanto proveniente dall'ipotetico autore materiale dell'illecito, non vi erano prove o indizi che consentissero di ritenere l'incidente come dovuto, in tutto o in parte, ad un errore del dipendente. Aggiunse che la responsabilità del coordinamento fra i due operatori, la cui mancanza era stata rilevata dal Tribunale, spettava interamente al F.L., titolare della prestazione d'opera in piena autonomia, e dunque onerato di organizzarla in base alla propria competenza professionale secondo le specifiche necessità della situazione locale. Concluse nel senso che inconferenti erano le inammissibili (perché nuove e tardive rispetto alla prospettazione introduttiva) allegazioni di profili diversi di responsabilità (diretta) della convenuta, per non avere predisposto una presa di corrente adatta nel locale del macchinario o per non averlo spostato con un muletto (ciò che peraltro il F.L. non aveva richiesto), posto che non era stata neppure indicata una qualche norma anti-infortunistica violata.

Ha proposto ricorso per cassazione F.L. sulla base di quattro motivi. E' stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375, comma 2, cod. proc. civ.

Considerato che

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ.. Osserva il ricorrente che gli obblighi antinfortunistici del datore di lavoro non possono attenuarsi o ritenersi inesistenti per il sol fatto che trattasi di prestazione di lavoratore autonomo dovendosi la tutela della salute considerare clausola del contratto di lavoro parasubordinato.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2049 cod. civ.. Osserva il ricorrente che il danneggiante risponde del danno cagionato ai sensi dell'art. 2049 a prescindere dall'elemento soggettivo del dolo o della colpa a titolo responsabilità oggettiva.

Con il terzo motivo si denuncia violazione del d.lgs. n. 81 del 2008. Osserva il ricorrente che in base all'art. 11 della citata disciplina il ripristino dell'alimentazione di ogni attrezzatura di lavoro deve essere possibile solo in assenza di pericolo per i lavoratori interessati.

Con il quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo. Osserva il ricorrente che l'eventuale colpa del lavoratore non elimina quella del datore di lavoro, che è sempre responsabile dell'Infortunio occorso al lavoratore e che l'evento dannoso si sarebbe potuto evitare qualora il responsabile della società intimata avesse fatto disporre il macchinario mobile nel locale ove era alloggiata la leva dell'alimentazione elettrica o almeno avesse disposto l'intervento di altro operaio.

Il ricorso è inammissibile per carenza di procura speciale ai sensi dell'art. 365 cod. proc. civ.. La procura risulta apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso e contiene espressioni incompatibili con la proposizione del ricorso per cassazione quali il chiamare in causa terzi, riassumere il giudizio e nominare consulenti (Cass. 24 luglio 2017, n. 18257; 21 marzo 2005, n. 6070).

Nulla per le spese in mancanza di partecipazione al giudizio di cassazione della parte intimata.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.



P.Q.M.

Dichiara l'inammissibilità del ricorso.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis, dello stesso articolo 13.

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"Back school - neck school" in ambito lavorativo

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Back school neck school INAIL

Back school - neck school in ambito lavorativo

Posture, movimenti corretti, esercizi in ambito lavorativo per prevenire dolori alla schiena e cervicali

INAIL 2018

Le cause della rachialgia sono numerose, ma le più importanti sono sicuramente dovute ad un uso non corretto della nostra colonna vertebrale e le posture scorrette.

Una postura scorretta infatti comporta un aumento della pressione sui dischi intervertebrali e una loro maggiore usura e dolore.

Il più delle volte il mal di schiena regredisce spontaneamente, poiché spesso le cause non sono gravi, ma la sintomatologia dolorosa è dovuta alle posture scorrette o a eccessivi sforzi.

Per evitare l’instaurarsi di una rachialgia è quindi necessario:

-  mantenere le normali curve fisiologiche della colonna
-  scegliere posizioni e movimenti che provochino minore pressione sui dischi intervertebrali
- muoversi in maniera corretta

...

Fonte: INAIL

Incostituzionale il “Decreto ILVA” del 2015

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Incostituzionale decreto ILVA 2015

Incostituzionale il “Decreto ILVA” del 2015 - Sentenza Corte Costituzionale n. 58 2018

È incostituzionale il “decreto ILVA” del 2015 che consentiva la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 58 depositata il 23 marzo 2018 (relatrice Marta Cartabia) che dichiara illegittimi sia l’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) sia gli articoli 1, comma 2, e 21-octies della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria).

La questione nasce a seguito dell’infortunio mortale subito da un lavoratore dell’ILVA esposto, senza adeguate protezioni, ad attività pericolose nell’area di un altoforno dello stabilimento di Taranto. L’altoforno era stato sequestrato dall’autorità giudiziaria ma, pochi giorni dopo, il legislatore aveva disposto la prosecuzione dell’attività di impresa, alla sola condizione che entro trenta giorni la parte privata colpita dal sequestro approntasse un piano di intervento contenente «misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio», non meglio definite.

La Corte costituzionale ha fatto applicazione degli stessi principi della sentenza n. 85 del 2013 in base ai quali il legislatore, pur in presenza di sequestri dell’autorità giudiziaria, può intervenire per consentire la prosecuzione dell’attività in stabilimenti di interesse strategico nazionale, ma a condizione che vengano tenute in adeguata considerazione, e tra loro bilanciate, sia le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori, sia le esigenze dell’iniziativa economica e della continuità occupazionale. In quell’occasione, la Corte ritenne che tali principi fossero stati rispettati; in questo caso, invece, la Corte ha ritenuto che il legislatore abbia privilegiato unicamente le esigenze dell’iniziativa economica e sacrificato completamente la tutela addirittura della vita, oltre che dell’incolumità e della salute dei lavoratori.

Pertanto, stavolta i giudici costituzionali hanno dichiarato illegittima la norma oggetto del giudizio, oltretutto introdotta e tenuta in vita con un’anomala procedura legislativa: la norma era stata infatti introdotta con un decreto-legge subito dopo il sequestro dell’impianto, poi era stata abrogata apparentemente con la legge di conversione di un altro decreto legge ma, simultaneamente, era stata trasposta in un altro articolo della stessa legge di conversione, con una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti. (fonte: Comunicato Corte Costituzionale del 23 marzo 2018)

______________

Sentenza Corte Costituzionale n. 58 2018

Sentenza 58/2018 (ECLI:IT:COST:2018:58)

Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente: LATTANZI - Redattore: CARTABIA

Camera di Consiglio del 07/02/2018; Decisione del 07/02/2018

Deposito del 23/03/2018; Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate: Art. 3 del decreto-legge 04/07/2015, n. 92.

Massime:

Atti decisi: ord. 67/2017

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto nel procedimento penale a carico di S. R. e altri, con ordinanza del 14 luglio 2015, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 14 luglio 2015 (r. o. n. 67 del 2017), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, 41, secondo comma, e 112 della Costituzione.

1.1.– Il rimettente ha precisato di essere investito della decisione sull’istanza, depositata nella segreteria del Pubblico ministero del medesimo Tribunale e da questi trasmessa all’ufficio del giudice per le indagini preliminari, avanzata dalla difesa di ILVA spa in amministrazione straordinaria (d’ora innanzi: ILVA), affinché venisse data attuazione al citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 in riferimento al sequestro preventivo dell’altoforno denominato “Afo2” presso lo stabilimento di Taranto della società.

1.2.– Si procedeva, infatti, a carico di R. S. e altri dirigenti e tecnici in servizio presso tale stabilimento, in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 437, commi 1 e 2, del codice penale – per avere, in concorso, omesso di predisporre cautele volte a prevenire la proiezione di materiale incandescente e strumentazioni idonee a garantire l’incolumità dei lavoratori, da cui è derivato l’infortunio mortale di un operaio – e agli artt. 113 e 589 cod. pen., per avere determinato la morte del predetto operaio mediante le omissioni di cui sopra.

Nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero ha disposto, con decreto del 18 giugno 2015, il sequestro preventivo d’urgenza, senza facoltà d’uso, del citato altoforno, ravvisando le esigenze cautelari di cui all’art. 321, commi 1 e 2, del codice di procedura penale.

Con ordinanza del 29 giugno 2015, il rimettente ha convalidato il decreto del pubblico ministero e ha disposto il sequestro preventivo dello stesso impianto, senza facoltà d’uso.

È quindi intervenuto l’impugnato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015, la cui rubrica recita: «Misure urgenti per l’esercizio dell’attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario». Il comma 1 prevede che «[a]l fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro […] quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori», specificando che ciò era già previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. Il comma 2 aggiunge che «[t]enuto conto della rilevanza degli interessi in comparazione, nell’ipotesi di cui al comma 1, l’attività d’impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro». Il successivo comma 3 stabilisce poi che «[p]er la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l’impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro», aggiungendo che «[l]’avvenuta predisposizione del piano è comunicata all’autorità giudiziaria procedente». Il comma 4 dispone, inoltre, che «[i]l piano è trasmesso al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell’INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono garantire un costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di sequestro, anche mediante lo svolgimento di ispezioni dirette a verificare l’attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano», ulteriormente precisando che «[l]e amministrazioni provvedono alle attività previste dal presente comma nell’ambito delle competenze istituzionalmente attribuite, con le risorse previste a legislazione vigente». Infine, il comma 5, contiene una disposizione transitoria, in base alla quale «[l]e disposizioni del presente articolo si applicano anche ai provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3 decorrono dalla medesima data».

1.3.– I difensori di ILVA hanno chiesto al pubblico ministero di dare attuazione al citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015, il quale, nella loro interpretazione, dispone una sospensione ex lege dell’esecuzione del vincolo reale, rispetto alla quale il provvedimento dell’autorità giudiziaria competente – individuata nel pubblico ministero in quanto organo che si deve occupare dei profili esecutivi del sequestro preventivo – assumerebbe mero valore dichiarativo.

1.4.– Il pubblico ministero ha trasmesso gli atti per la decisione al giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, esprimendo parere contrario all’accoglimento dell’istanza.

In particolare, la pubblica accusa ha ritenuto che il citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 non potesse caducare il provvedimento di sequestro in atto, in quanto altrimenti si sarebbe realizzata un’ingerenza del potere legislativo nelle prerogative di quello giudiziario. Inoltre, il provvedimento di sequestro di uno degli altoforni non avrebbe compromesso l’intera attività di impresa, con la conseguenza che la disposizione in esame – la quale è dichiaratamente volta allo scopo di garantire la continuità dell’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale – non sarebbe stata applicabile alla specie. L’organo competente a decidere sarebbe stato, dunque, il giudice delle indagini preliminari, quale organo che aveva emesso il provvedimento di sequestro sulla cui «sostanza» la disposizione legislativa avrebbe inciso.

In via subordinata, lo stesso pubblico ministero ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale del citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015.

1.5.– Il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto di essere competente a decidere sull’istanza.

Secondo il rimettente, infatti, la disposizione in esame avrebbe sottoposto il sequestro a una condizione sospensiva negativa di efficacia – realizzata dalla mancata predisposizione, da parte dell’impresa, di un piano di intervento entro trenta giorni dal provvedimento – e a un termine dilatorio eventuale, così da stabilire la durata massima dell’esercizio dell’attività d’impresa per un periodo di dodici mesi in pendenza del vincolo cautelare.

Ricostruita in tal modo la portata della disposizione, il giudice a quo ha ritenuto che essa attenga all’esecutività del titolo, sulla quale è competente a decidere, ai sensi dell’art. 665, comma 1, cod. proc. pen., il giudice che lo ha deliberato.

Secondo il giudice per le indagini preliminari, inoltre, si sarebbe dovuto procedere nelle forme dell’incidente di esecuzione, adottando la procedura semplificata di cui all’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., applicabile analogicamente (e a maggior ragione) ai casi, come quello di specie, in cui occorra decidere sull’efficacia del sequestro, anziché sulla confisca e sulla restituzione delle cose sequestrate.

1.6.– Il rimettente ha poi ritenuto che il citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 sia applicabile alla specie sottoposta al suo giudizio.

Infatti, pur considerando che la lettura proposta dal pubblico ministero «non si presenta affatto peregrina», anche in considerazione di «una tecnica normativa impropria (determinata probabilmente dalla fretta)», ciò nondimeno la disposizione avrebbe dovuto ritenersi applicabile anche ai casi in cui, come nella specie, «le misure cautelari attingano, nel concreto, non l’intero stabilimento, bensì soltanto singoli impianti, e non comportino necessariamente l’interruzione dell’attività d’impresa»: ciò in quanto nei commi 3 e 4 del medesimo art. 3 ci si riferisce rispettivamente all’«impianto oggetto del provvedimento» e ad «aree di produzione oggetto di sequestro». Inoltre, il richiamo alla precedente normativa, riguardante la prosecuzione dell’attività negli impianti dello stabilimento ILVA, renderebbe inequivoca l’applicabilità del citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 anche al sequestro di singoli impianti.

1.7.– Considerata perciò la rilevanza – e pur nella consapevolezza che, nelle more della decisione della Corte costituzionale, sarebbero stati adottati probabili interventi emendativi della disciplina censurata – il giudice a quo ha ritenuto suo dovere investire il giudice delle leggi dei dubbi, non manifestamente infondati, di legittimità costituzionale del citato art. 3, del quale egli avrebbe dovuto fare applicazione «qui e ora» per decidere sull’istanza difensiva sopra descritta.

Il rimettente, infatti, ritiene che la disposizione censurata presenti profonde differenze rispetto alla precedente disciplina di cui agli artt. 1 e 3 del d.l. n. 207 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 231 del 2012, considerata non affetta da illegittimità costituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 85 del 2013, per la presenza di «specifici contrappesi normativi», mancanti nella specie ora in esame, e costituiti dalla subordinazione della prosecuzione dell’attività d’impresa all’osservanza dell’autorizzazione integrata ambientale e dalla predisposizione di una precisa procedura di monitoraggio.

Sarebbe perciò assente nella disciplina in esame un ragionevole punto di bilanciamento tra i diversi interessi costituzionali coinvolti e da ciò conseguirebbe l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 3.

1.8.– In particolare, secondo il giudice a quo, sarebbe violato l’art. 2 Cost., in quanto la norma impugnata, consentendo l’esercizio dell’attività d’impresa, pur in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana (come attestato dalla tragica vicenda dell’operaio deceduto), comprometterebbe diritti fondamentali della persona definiti «inviolabili» dalla Carta costituzionale.

1.9.– Il rimettente ritiene che non sia stato rispettato neanche l’art. 3 Cost., in quanto la disposizione in giudizio riserva alle imprese di interesse strategico nazionale un ingiustificato privilegio nell’adeguamento agli standard di sicurezza rispetto agli altri operatori economici, finendo altresì per esporre i lavoratori di tali aziende a fattori di rischio più elevato, così violando, sotto entrambi i profili, il principio costituzionale di eguaglianza.

1.10.– Il giudice a quo ravvisa, poi, una violazione degli artt. 4 e 35, primo comma, Cost., in quanto il diritto al lavoro presuppone condizioni di sicurezza nell’esecuzione della prestazione, che la normativa censurata compromette.

1.11.– Sarebbe inciso anche l’art. 32, primo comma, Cost., in quanto la disciplina in esame mette in pericolo la stessa vita e incolumità individuale del cittadino-lavoratore, compromettendone il diritto alla salute nella sua forma estrema, senza operare alcun ragionevole bilanciamento con altri diritti.

1.12.– Il rimettente ritiene inoltre violato l’art. 41, secondo comma, Cost., in quanto la prosecuzione dell’attività in un impianto pericoloso e mortale, in presenza di un progetto unilateralmente predisposto dall’azienda interessata e non sindacabile o controllabile da altri, non rispetta il principio costituzionale che esige che l’attività economica privata si svolga in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

1.13.– Infine, il giudice a quo ritiene pregiudicato il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., che deve ritenersi operante non solo nel potere-dovere di repressione dei reati, ma anche in quello di prevenzione dei medesimi, che si esplica anche nell’adozione di misure cautelari reali di carattere preventivo. La disciplina censurata, in assenza di qualsiasi punto di equilibrio, comprometterebbe irragionevolmente, e perciò illegittimamente, tale «potestà costituzionale», consentendo il perpetuarsi di una situazione penalmente rilevante quanto meno ai sensi dell’art. 437 cod. pen. e, in caso di incidenti, degli artt. 589 e 590 cod. pen.

1.14.– Manifestamente infondato viene invece considerato il dubbio di legittimità costituzionale dedotto dal pubblico ministero per violazione dell’art. 3 in relazione all’art. 77, secondo comma, Cost.: il rimettente, infatti, ritiene sussistenti nella specie le ragioni che devono sostenere la decretazione d’urgenza.

2.– Nelle more della scadenza del termine per la conversione del d.l. n. 92 del 2015, l’art. 1, comma 2, della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria) ha abrogato il censurato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015, prevedendo, peraltro, che restino validi gli atti e i provvedimenti adottati e che siano fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base della disposizione abrogata. Il testo della disposizione abrogata è stato riprodotto, tuttavia, nell’art. 21-octies della medesima legge n. 132 del 2015.

3.– Con atto depositato il 6 giugno 2017 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

Ad avviso dell’Avvocatura generale l’abrogazione della disposizione censurata determinerebbe l’inammissibilità delle questioni per «sopravvenuta carenza di interesse».

Nel merito si evidenzia come il nuovo art. 21-octies della legge n. 132 del 2015 consenta la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo massimo di 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro e a condizione che entro trenta giorni sia predisposto un piano contenente misure aggiuntive, anche di natura provvisoria, per la tutela della sicurezza dei lavoratori sull’impianto oggetto di cautela reale. Il suddetto piano deve essere comunicato all’autorità giudiziaria e al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici dell’ASL e dell’INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e di controllo.

La difesa erariale osserva, sulla base di quanto si evince dalla relazione di accompagnamento alla legge di conversione del d.l. n. 83 del 2015, che la disciplina di cui all’art. 21-octies si pone in linea di continuità con l’art. 1, comma 4, del d.l. n. 207 del 2012, ed è volta a salvaguardare i livelli di occupazione compatibilmente con la tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori. La disposizione censurata, pertanto, godrebbe della medesima copertura costituzionale già riconosciuta alla precedente disciplina dalla sentenza n. 85 del 2013 della Corte costituzionale.

Ne deriverebbe, in conclusione, la non fondatezza delle questioni sollevate.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 14 luglio 2015 (r. o. n. 67 del 2017), trasmessa a questa Corte con le formalità richieste il successivo 7 febbraio 2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale).

L’art. 3 impugnato prevede, al comma 1, che: «[a]l fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro, come già previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori»; al comma 2 che: «[t]enuto conto della rilevanza degli interessi in comparazione, nell’ipotesi di cui al comma 1, l’attività d’impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro»; al comma 3 che: «[p]er la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l’impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro. L’avvenuta predisposizione del piano è comunicata all’autorità giudiziaria procedente»; al comma 4 che: «[i]l piano è trasmesso al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell’INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono garantire un costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di sequestro, anche mediante lo svolgimento di ispezioni dirette a verificare l’attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano. Le amministrazioni provvedono alle attività previste dal presente comma nell'ambito delle competenze istituzionalmente attribuite, con le risorse previste a legislazione vigente»; al comma 5 che: «[l]e disposizioni del presente articolo si applicano anche ai provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3 decorrono dalla medesima data».

Il giudice a quo ritiene che la diposizione impugnata violi una pluralità di parametri costituzionali e, segnatamente, gli artt. 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, 41, secondo comma, e 112 della Costituzione.

Più precisamente, l’art. 2 Cost. sarebbe violato in quanto la norma impugnata consentirebbe l’esercizio dell’attività d’impresa pur in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana, e così comprometterebbe diritti fondamentali della persona definiti «inviolabili» dalla stessa Carta costituzionale.

Non sarebbe rispettato il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto il legislatore riserverebbe alle imprese di interesse strategico nazionale un ingiustificato privilegio nell’adeguamento agli standard di sicurezza rispetto agli altri operatori economici, esponendo altresì i lavoratori di tali aziende a fattori di rischio più elevato.

Sarebbero violati anche gli artt. 4 e 35, primo comma, Cost., in quanto il diritto al lavoro presuppone condizioni di sicurezza nell’esecuzione della prestazione, che la normativa censurata non assicurerebbe.

Anche l’art. 32, primo comma, Cost., sarebbe inciso, in quanto la disciplina in esame metterebbe in pericolo la vita e l’incolumità individuale del cittadino-lavoratore, senza operare alcun ragionevole bilanciamento con altri diritti coinvolti.

Ancora, la prosecuzione dell’attività d’impresa in un impianto che espone i lavoratori a pericolo di vita, consentita dalla disposizione impugnata alla sola condizione che l’azienda predisponga un progetto per la messa in sicurezza delle aree interessate, non rispetterebbe il principio costituzionale di cui all’art. 41 Cost., che esige che l’attività economica privata si svolga in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Infine, la prosecuzione dell’attività di impresa determinerebbe il perpetuarsi di una situazione penalmente rilevante – quanto meno ai sensi dell’art. 437 del codice penale e, in caso di incidenti, degli artt. 589 e 590 cod. pen. – compromettendo così il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., che deve ritenersi operante non solo nel potere-dovere di repressione dei reati, ma anche in quello di prevenzione dei medesimi, quale si esplica nell’adozione di misure cautelari reali di carattere preventivo.

2.– In via preliminare occorre osservare che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio e ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate per «sopravvenuta carenza di interesse», determinata dall’abrogazione della disposizione censurata.

2.1.– Per valutare l’eccezione di inammissibilità occorre ricostruire l’anomalo intreccio di interventi normativi che ha interessato la disposizione oggetto del presente giudizio.

A tal proposito si deve in primo luogo osservare che, prima della scadenza del termine per la conversione del decreto-legge n. 92 del 2015, contenente la disposizione in esame, è sopraggiunta la legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), che è legge di conversione di altro decreto-legge: con una prima disposizione (art. 1, comma 2), essa ha abrogato il censurato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 e contestualmente previsto una clausola di salvezza per gli effetti giuridici nel frattempo prodottisi; nello stesso tempo, con l’art. 21-octies, ha reintrodotto la previsione abrogata, nella sua letterale identità.

Dunque, la legge n. 132 del 2015 ha formalmente abrogato e simultaneamente salvaguardato e riprodotto il precetto normativo contenuto nell’impugnato art. 3 del decreto-legge n. 92 del 2015.

La norma introdotta dalla disposizione impugnata ha, pertanto, continuato ininterrottamente a esplicare effetti nell’ordinamento, dalla entrata in vigore del decreto-legge impugnato fino ad oggi, assicurando una copertura legislativa al protrarsi dell’attività d’impresa nello stabilimento ILVA di Taranto, compresa quella dell’altoforno, nonostante l’intervenuto sequestro.

2.2.– Non è, quindi, fondata l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato per sopravvenuta carenza di interesse, dato che la norma oggetto del presente giudizio è rimasta nell’ordinamento senza variazioni di contenuto e senza soluzione di continuità, pur sotto la specie di diversi precetti legislativi concatenati fra loro.

Questa Corte ha già affermato che «la norma contenuta in un atto avente forza di legge vigente al momento in cui l’esistenza della norma stessa è rilevante ai fini di una utile investitura della Corte, ma non più in vigore nel momento in cui essa rende la sua pronunzia, continua ad essere oggetto dello scrutinio alla Corte stessa demandato quando quella medesima norma permanga tuttora nell’ordinamento – con riferimento allo stesso spazio temporale rilevante per il giudizio – perché riprodotta nella sua espressione testuale o comunque nella sua identità precettiva essenziale, da altra disposizione successiva» (sentenza n. 84 del 1996). In tale occasione, la Corte ha inteso sottolineare «la funzione servente e strumentale della disposizione rispetto alla norma», specificando che «è la immutata persistenza di quest’ultima nell’ordinamento ad assicurare la perdurante ammissibilità del giudizio di costituzionalità» (sentenza n. 84 del 1996).

Nel caso ora in esame, la tecnica normativa – a seguito della quale, dopo che è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, è stata solo apparentemente abrogata la disposizione contenente la norma in giudizio (la quale, infatti, ricompariva in un’altra disposizione del medesimo atto legislativo) e sono stati fatti salvi gli effetti pregressi prima ancora che scadesse il termine per la conversione del decreto-legge originario che la conteneva – reca pregiudizio alla chiarezza delle leggi e alla intelligibilità dell’ordinamento, in conseguenza dell’uso del tutto anomalo della legge di conversione. Ai fini della valutazione sull’ammissibilità della questione sollevata deve osservarsi che l’effetto finale è stato quello di assicurare, pur nel succedersi delle disposizioni, una piena continuità normativa della disciplina oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale. Pertanto, in una tale evenienza, il susseguirsi delle disposizioni non fa venir meno la perdurante rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata e non ne pregiudica l’esame nel merito da parte di questa Corte. Diversamente, si consentirebbe al legislatore di dilazionare, ostacolare o addirittura impedire il giudizio di questa Corte, in contrasto con il principio di economia dei giudizi (sent. 84 del 1996) e a scapito della pienezza, tempestività ed effettività del sindacato di costituzionalità delle leggi, compromettendo in modo inaccettabile la tutela di diritti fondamentali, specie se connessi, come nel caso in esame, alla tutela della vita.

2.3.– Posto che, come affermato dalla medesima sentenza n. 84 del 1996 (e da ultimo ribadito dalla sentenza n. 44 del 2018), la Corte costituzionale «giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni», occorre ora chiarire quali siano le disposizioni sulle quali si riverberano gli esiti del sindacato di costituzionalità, alla luce della particolare sequenza di interventi legislativi che hanno riguardato la norma in giudizio.

Sotto questo profilo, il caso odierno si differenzia da quello giudicato con la citata sentenza n. 84 del 1996. Allora la Corte ritenne che la questione potesse essere «trasferita», seppure «in senso figurato», sulla disposizione che veicolava gli effetti della norma nell’ordinamento al momento del giudizio. All’epoca si trattava di un caso di reiterazione di decreti-legge dopo la scadenza del termine per la conversione, con salvezza degli effetti pregressi, secondo una prassi che sarebbe stata di lì a poco censurata dalla Corte stessa con sentenza n. 360 del 1996. Pertanto, con la sentenza n. 84 del 1996, la Corte si pronunciò sulla disposizione che sanava gli effetti del decreto-legge non convertito.

Nel caso che questa Corte è chiamata oggi a giudicare, invece, la disposizione originaria è stata solo apparentemente abrogata prima della scadenza del termine di conversione, con una disposizione che contemporaneamente faceva altresì salvi gli effetti giuridici nel frattempo prodottisi e, dunque, prima che l’originario decreto-legge impugnato decadesse con effetti retroattivi divenendo inapplicabile nel giudizio a quo. Inoltre, diversamente da altri casi, la norma in apparenza abrogata, in realtà, è stata nel contempo trasfusa in altra disposizione di quella medesima legge che ne disponeva l’abrogazione. L’iter seguito dal legislatore è dunque tortuoso e del tutto anomalo: non si tratta, infatti, né di una semplice mancata conversione, né di una reale abrogazione e neppure di una abrogazione con successiva diversa regolamentazione. Nella specie, sotto l’apparenza di una abrogazione, la successione di disposizioni legislative dissimula (attraverso un uso improprio della legge di conversione) una effettiva continuità di contenuti normativi che, traendo origine dalla disposizione iniziale “abrogata”, permangono grazie alla sanatoria e si protraggono nel tempo in virtù dell’articolo che li riproduce. In tale quadro normativo, la norma oggetto del giudizio vive nell’ordinamento in forza di una inscindibile combinazione di disposizioni strettamente interconnesse tra loro. Pertanto, il giudizio di costituzionalità non potrà che investire tutte le disposizioni considerate in combinazione tra loro: vale a dire l’art. 3 del decreto-legge n. 92 del 2015 e gli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge n. 132 del 2015.

3.– Nel merito la questione è fondata.

3.1.– La disposizione impugnata prevede che «l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro […] quando lo stesso di riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori» (art. 3, comma 1). Essa è stata adottata al dichiarato fine di «garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia» (art. 3, comma 1) e intende porsi in linea di continuità con la precedente normativa in materia di esercizio dell’attività di impresa in stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, contenuta nel decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. Tale normativa, esplicitamente richiamata nell’incipit della disposizione in esame, è stata oggetto della decisione di questa Corte n. 85 del 2013 ed è alla luce dei principi ivi stabiliti che la odierna questione di legittimità costituzionale deve essere esaminata.

In tale pronuncia questa Corte ha affermato che «è considerata lecita la continuazione dell’attività produttiva di aziende sottoposte a sequestro, a condizione che vengano osservate […] le regole che limitano, circoscrivono e indirizzano la prosecuzione dell’attività stessa» secondo un percorso di risanamento – delineato nella specie dalla nuova autorizzazione integrata ambientale – ispirato al bilanciamento tra tutti i beni e i diritti costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla salute, il diritto all’ambiente salubre e il diritto al lavoro.

Non può infatti ritenersi astrattamente precluso al legislatore di intervenire per salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’economia nazionale e per garantire i correlati livelli di occupazione, prevedendo che sequestri preventivi disposti dall’autorità giudiziaria nel corso di processi penali non impediscano la prosecuzione dell’attività d’impresa; ma ciò può farsi solo attraverso un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco.

Per essere tale, il bilanciamento deve essere condotto senza consentire «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (sent. n. 85 del 2013). Il bilanciamento deve, perciò, rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati (sentenze n. 63 del 2016 e n. 264 del 2012).

Nel caso allora in giudizio, questa Corte, con la citata sentenza n. 85 del 2013, rigettò la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che il legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento predisponendo la disciplina di cui al citato art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 207 del 2012. In quella ipotesi, infatti, la prosecuzione dell’attività d’impresa era condizionata all’osservanza di specifici limiti, disposti in provvedimenti amministrativi relativi all’autorizzazione integrata ambientale, e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controllo e sanzionatoria.

3.2.– Nel caso oggi portato all’esame di questa Corte, invece, il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita.

Infatti, nella normativa in giudizio, la prosecuzione dell’attività d’impresa è subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un “piano” ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.

Il legislatore concede un termine di trenta giorni per la predisposizione del piano, il quale peraltro può anche essere provvisorio: dunque, manca del tutto la richiesta di misure immediate e tempestive atte a rimuovere prontamente la situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori. Tale mancanza è tanto più grave in considerazione del fatto che durante la pendenza del termine è espressamente consentita la prosecuzione dell’attività d’impresa “senza soluzione di continuità”, sicché anche gli impianti sottoposti a sequestro preventivo possono continuare ad operare senza modifiche in attesa della predisposizione del piano e, quindi, senza che neppure il piano sia adottato. L’unico limite temporale effettivo è posto al comma 2, che stabilisce che l’attività di impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a dodici mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro.

Quanto al contenuto, il piano deve recare «misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio», non meglio definite, neppure attraverso un rinvio, che pure sarebbe stato possibile, alla legislazione in materia di sicurezza sul lavoro. Il mancato riferimento a specifiche disposizioni delle leggi in materia di sicurezza sul lavoro o ad altri modelli organizzativi e di prevenzione lascia sfornito l’ordinamento di qualsiasi concreta ed effettiva possibilità di reazione per le violazioni che si dovessero perpetrare durante la prosecuzione dell’attività.

Nella formazione del piano non è prevista alcuna partecipazione di autorità pubbliche, le quali devono essere informate solo successivamente. Tale comunicazione assume la forma di una mera comunicazione-notizia, per quanto riguarda l’autorità giudiziaria procedente (art. 3, comma 3) e si traduce nell’attribuzione di un generico potere di monitoraggio e ispezione per quanto riguarda INAIL, ASL e Vigili del Fuoco; tale potere, peraltro, si limita alla verifica della corrispondenza tra le misure aggiuntive indicate nel piano e quelle in concreto attuate dall’impresa, così da renderne ambigua e indeterminata l’effettiva possibilità di incidenza (art. 3, comma 4).

3.3.– Considerate queste caratteristiche della norma censurata, appare chiaro che, a differenza di quanto avvenuto nel 2012, il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.).

Il sacrificio di tali fondamentali valori tutelati dalla Costituzione porta a ritenere che la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona.

In proposito questa Corte ha del resto già avuto occasione di affermare che l’art. 41 Cost. deve essere interpretato nel senso che esso «limita espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la “sicurezza” del lavoratore» (sentenza n. 405 del 1999). Così come è costante la giurisprudenza costituzionale nel ribadire che anche le norme costituzionali di cui agli artt. 32 e 41 Cost. impongono ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori (sentenza n. 399 del 1996).

4.– Considerato assorbito ogni ulteriore profilo e chiarite quali siano le disposizioni sulle quali si riverberano gli esiti del sindacato di costituzionalità per le ragioni esposte al precedente punto 2.3, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge n. 92 del 2015 e degli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge n. 132 del 2015.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) e degli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2018.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA

Fonte: Corte Costituzionale

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Green jobs: impatto sulla salute e sicurezza dei lavoratori

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 Green Jobs

Green jobs: impatto sulla salute e sicurezza dei lavoratori

INAIL, 3 maggio 2018

Il presente factsheet affronta l’aspetto emergente della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori impiegati in settori strategici per la green economy, quali ad esempio quello delle energie rinnovabili, caratterizzati da processi produttivi e prodotti più sostenibili.

L’innovatività delle tecnologie e dei materiali utilizzati e dei processi produttivi adottati nella eco-industria possono, infatti, determinare l’emersione di nuovi profili di rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori, che per essere affrontati in modo adeguato richiedono l’adozione di misure mirate partendo dalla costruzione di un quadro conoscitivo approfondito ed esaustivo dei rischi lavoro-correlati riferibili ai cosiddetti “lavori verdi”.

...

Il cambiamento climatico sta seriamente compromettendo la futura sostenibilità ambientale ed economica a livello globale, comportando, allo stesso tempo, variazioni nel mercato del lavoro.

Il ricorso ai cosiddetti green jobs o ‘lavori verdi’, ovvero tutti quei lavori ‘che contribuiscono in maniera incisiva a preservare o restaurare la qualità ambientale’, rappresenta una strategia fondamentale per superare la crisi economica ed ecologica.

La Strategia UE 2020 punta, infatti, a fare del binomio sostenibilità-occupazione la carta vincente dell’economia europea del prossimo decennio, prevedendo importanti obiettivi in materia di clima ed energia: riduzione del 20% delle emissioni di gas a effetto serra, aumento fino al 20% del risparmio energetico e aumento del 20% del consumo di energia da fonti rinnovabili.

Mentre, a livello globale, sono stati realizzati numerosi studi che hanno preso in considerazione vari aspetti della tematica dei green jobs (es. definizione, quantificazione, impatto economico ed occupazionale) persiste, invece, una certa ambiguità riguardo l’impatto di tale tipologia di lavori sulle condizioni e standard lavorativi.

Fonte: INAIL

MOVARISCH - Valutazione Rischio Chimico 2018

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Movarisch 2018

MOVARISCH - Valutazione Rischio Chimico 2018

Modello di valutazione del rischio da agenti chimici pericolosi per la salute ad uso delle piccole e medie imprese - Titolo IX Capo I - D.Lgs. 81/08

Il Modello di Valutazione del Rischio Chimico denominato con un semplice acronimo "MoVaRisCh" è stato approvato dai gruppi tecnici delle Regioni Emilia-Romagna,Toscana e Lombardia in applicazione alle Linee Guida del Titolo VII-bis D.Lgs. 626/94, ora Titolo IX Capo I Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (D.Lgs. 81/08), proposte dal Coordinamento Tecnico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome.

E' una modalità di analisi che attraverso un percorso informatico semplice consente di effettuare la valutazione del rischio chimico per la salute dei lavoratori secondo quanto previsto dall'articolo 223 del D.Lgs. 81/08.

Nel modello è infatti prevista l'identificazione e il peso da assegnare ai parametri indicati dall'articolo di legge, e dai quali non è possibile prescindere, per effettuare la valutazione del rischio chimico per la salute da parte delle imprese Artigiane, Industriali, del Commercio e dei Servizi.

Il modello, che va inteso come un percorso di "facilitazione", rende possibile classificare ogni lavoratore esposto ad agenti chimici pericolosi in rischio irrilevante per la salute o non irrilevante per la salute in considerazione agli adempimenti del Titolo IX Capo I D.Lgs .81/08 per quanto riguarda il rischio chimico per la salute dei lavoratori.

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Movarish 2018 dell'11 Gennaio 2018
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PAF: Valutazione rischio vascolare vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio

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Nuovi criteri valutazione rischio vascolare vibrazioni meccaniche

PAF: Valutazione rischio vascolare vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio standard ISO/TR 18570:2017

Nuovi criteri per la valutazione del rischio vascolare derivante da esposizione a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio secondo lo standard ISO/TR 18570:2017

Portale Agenti Fisici, 23 Aprile 2018

Il Report 1/18 descrive in maniera sintetica il metodo supplementare di valutazione del rischio vascolare associato all’esposizione a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio contenuto nel nuovo ISO/TR 18570:2017.

Viene presentato un esempio applicativo nel caso di motoseghe e decespugliatori, da cui emerge la necessità di adottare specifiche misure di prevenzione in relazione all'insorgenza di possibili patologie vascolari, anche nei casi in cui si riscontrino valori di esposizione a vibrazioni inferiori ai livelli di azione prescritti dalla vigente normativa.

Rapporto 1/18

Nuovi criteri per la valutazione del rischio vascolare associato ad esposizione a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio: ISO/TR 18570:2017

Questo documento descrive in maniera sintetica il metodo supplementare di valutazione del rischio vascolare associato all’esposizione a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio contenuto nel nuovo ISO/TR 18570:2017.

Viene presentato un esempio applicativo nel caso di motoseghe e decespugliatori, da cui emerge la necessità di adottare specifiche misure prevenzione in relazione all'insorgenza di possibili patologie vascolari, anche nei casi in cui si riscontrino valori di esposizione a vibrazioni inferiori ai livelli di azione prescritti dalla vigente normativa. 

Recenti evidenze epidemiologiche, e studi biomeccanici, hanno mostrato che l'utilizzo della curva di pesatura riportata nella UNI EN ISO 5349 parte 1 per particolari tipi di esposizione (frequenze comprese nell’intervallo 20 Hz -400 Hz) può portare ad una sottostima o sovrastima del rischio vascolare per l’insorgenza dei sintomi del fenomeno di Raynaud (dito bianco)[1,2].

Per tale motivo è stato pubblicato recentemente lo standard ISO/TR 18570:2017 che presenta una nuova curva di ponderazione, denominata Wp e un nuovo parametro, Ep,d (m/s1,5), per la valutazione del rischio da usare come indice supplementare e non sostitutivo rispetto a quelli descritti nella ISO 5349 parte 1.

La curva Wp è stata definita sulla base delle evidenze degli studi sperimentali ed epidemiologici pubblicati, e rappresenta il migliore strumento attualmente disponibile per valutare il rischio vascolare derivate dall’esposizione a vibrazioni del sistema mano -braccio.

Rapporto 2/18

Comparazione tra metodi di valutazione del rischio da esposizione a vibrazione descritti nelle norme ISO 5349 e ISO/TR 18570:2017

Caso Studio: Pulimentatura metalli

...

Fonte: PAF

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Edifici civili: raccolta di quesiti e chiarimenti VFF

ID 6040 | | Visite: 9646 | Prevenzione Incendi

Edifici civili: raccolta di quesiti e chiarimenti

Ing. M. Malizia - VVF

Quesiti di prevenzione incendi relativi ad assoggettabilità, altezza in gronda, altezza antincendi, accostamento autoscala VV.F., condutture principali dei gas, impianti di produzione di calore, norme transitorie, interventi di recupero dei sottotetti, larghezza minima delle scale, installa-zione ascensori in edifici esistenti, edifici di civile abitazione con presenza di attività lavorative, sistema di apertura dei portoni condominiali, passaggio dal N.O.P. al C.P.I., ecc.

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I segnali UNI e UNI EN ISO per gli ambienti confinati

ID 4383 | | Visite: 22770 | Documenti Riservati Sicurezza

I nuovi segnali UNI e UNI EN ISO sugli ambienti confinati

Update 20 Luglio 2017

Oltre al segnale UNI 7545-32-10 sugli ambienti confinatipubblicato da UNI l'emendamento A7 della EN ISO 7010:2017, che introduce tra l'altro, a livello internazionale il segnale per gli Ambienti confinati W041, in allegato la scheda dettaglio.

____

I riferimenti normativi e tecnici nazionali per gli ambienti confinati sono:

D.Lgs. 81/2008 Art. 66

D.P.R. 177/2011
Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

- INAIL: Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi dell’Art. 3 Comma 3 del D.P.R. 177/2011

In relazione all'uso della segnaletica di sicurezza di cui all'Allegato D.Lgs n. 81/2008 e s.m.i, che non è aggiornata e armonizzata rispetto alla segnaletica EN ISO 7010 si è espresso il MLPS con la:

Circolare n. 30 del 16.07.2013
Segnaletica di sicurezza - D.Lgs n. 81/2008 e s.m.mi. allegato XXV - Prescrizioni generali. Uso e rispondenza dei pittogrammi con la Norma UNI EN ISO 7010:2012 - Chiarimenti.

La segnalazione degli ambienti confinati può essere effettuata con i segnali grafici di UNI (solo UNI) e ISO (UNI EN ISO 7010:2017) di cui sotto.

UNI 7545-32:2016
Segni grafici per segnali di pericolo - Parte 32: Ambienti confinati

EN ISO 7010:2017

- ISO 7010:2011 Amd 7 (15.10.2016)
- UNI EN ISO 7010:2017 + Amd 7 (20.07.2017)


Safety sign W041: Warning; Asphyxiating atmosphere

Hazard
Asphyxiation due to exposure to asphyxiating atmosphere

Human behaviour that is intended to be caused after understanding the safety sign’s meaning
Taking care to avoid exposure to asphyxiating atmosphere

Related referents
---

Additional information
Test data obtained according to ISO 9186-1:2014 are not available.
Consequently, a supplementary text sign shall be used to increase comprehension except when the safety sign is supplemented by manuals, instructions or training.

UNI
http://store.uni.com/magento-1.4.0.1/index.php/en-iso-7010-2012-a7-2017.html

ISO
http://store.uni.com/magento-1.4.0.1/index.php/iso-7010-2011-amd-7-2016.html 

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Allegato riservato ISO 7010 Amd 7 2016 W041.zip
Scheda Segnale W041
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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 17404 | 18 Aprile 2018

ID 6002 | | Visite: 2950 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Macchinario non conforme ai requisiti di sicurezza

Infortunio con una rulliera in acciaio per la movimentazione di bancali

Penale Sent. Sez. 4 Num. 17404 18 Aprile  2018

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 20/03/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Bologna, in data 24 febbraio 2017, ha confermato la sentenza con la quale, in data 16 giugno 2014, il Tribunale di Ravenna in composizione monocratica aveva condannato G.B. alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di lesioni colpose, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del dipendente F.M., contestato come commesso in Cotignola il 16 settembre 2009.
L'addebito mosso al G.B., nella sua qualità di presidente del Consiglio d'amministrazione e legale rappresentante della Vulcanflex s.p.a., si riferisce all'avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario non conforme ai requisiti di sicurezza di cui all'art. 70 del d.Lgs. n. 81/2008 e, segnatamente, una rulliera in acciaio per la movimentazione di bancali carichi di bobine. Nella specie il F.M., durante le operazioni di movimentazione, nel sollevare un bancale per posizionarlo sulla rulliera, perdeva l'equilibrio e, per arrestare la caduta, si appoggiava con la mano sinistra sul nastro trasportatore; conseguentemente, si procurava un trauma da schiacciamento della mano, con le conseguenze lesive di cui in rubrica.
La Corte di merito, disattendendo le lagnanze dell'Imputato appellante e premettendo che il G.B. non risultava avere conferito specifica delega a terzi in materia di sicurezza dei dipendenti, ha constatato l'irregolarità del macchinario (in quanto non conforme alla normativa antinfortunistica), ed ha negato qualsiasi valenza interruttiva del comportamento del lavoratore.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il G.B., per il tramite dei suoi difensori di fiducia. Il ricorso consta di tre motivi, in larga parte ripropositivi di questioni già sottoposte alla Corte di merito con l'atto d'appello.
2.1. Con il primo motivo l'esponente denuncia violazione di norme processuali in riferimento alla mancata trascrizione della deposizione dell'ing. A.; contesta in particolare l'assunto sostenuto dalla Corte territoriale, in base al quale non potrebbe parlarsi di nullità qualora la deposizione non trascritta non sia stata posta a base delle motivazioni della condanna. Tale assunto, secondo il ricorrente, integra una lesione del diritto di difesa, soprattutto se si considera che l'ing. A. ricopriva l'importante ruolo di RSPP all'interno della società.
2.2. Con il secondo motivo di doglianza l'esponente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'esclusione dell'abnormità del comportamento del lavoratore, che secondo il ricorrente é stata negata in contrasto con la giurisprudenza di legittimità: la condotta tenuta dal F.M., invece, fu eccentrica rispetto al rischio governato dal G.B. nella sua qualità, di tal che essa esulava dalla sua prevedibilità; ciò anche perché l'infortunio non poteva verificarsi se non ponendo la mano all'altezza del rullino, mentre quando il bancale vi passava sopra esso si arrestava.
2.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla riferibilità soggettiva all'imputato della condotta omissiva a lui ascritta e in specie del dovere di intervenire per eliminare le criticità rilevate sul macchinario: al riguardo l'esponente evoca una particolare procedura (la QSA.II09.02) in base alla quale la responsabilità in tema di manutenzione degli impianti era demandata a un gruppo composto dal Responsabile di progetto per la direzione impianti, dal Responsabile di processo per la direzione tecnica, dal RSPP; mentre, nel caso di interventi che richiedessero una spesa inferiore a € 8.000,00, l'intervento manutentivo doveva essere autorizzato dall'ufficio tecnico. Perciò l'imputato non ricopriva alcuna posizione di garanzia, non avendo obblighi di intervenire in materia di manutenzione.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso é infondato.
Come correttamente osservato dalla Corte territoriale, la mancanza di trascrizione delle dichiarazioni testimoniali rese dall'ing. A. non integra alcuna nullità, atteso che la motivazione della sentenza di condanna non si é fondata sul contenuto di dette dichiarazioni; perciò non sussiste nella specie alcuna lesione del diritto di difesa e di assistenza tecnica dell'Imputato, in funzione del quale é assicurata la possibilità di controllare, mediante la verbalizzazione, il contenuto delle prove assunte in dibattimento. La giurisprudenza richiamata dalla Corte di merito (Sez. 3, Sentenza n. 42505 del 11/11/2010, Biava, Rv. 249153; Sez. 3, Sentenza n. 37463 del 26/06/2008, Rossi, Rv. 241095) depone chiaramente in tal senso, ravvisando un'ipotesi di nullità di ordine generale laddove gli atti non documentati riguardino prove poste a fondamento della decisione, o nel caso di totale assenza di documentazione degli atti dibattimentali di raccolta della prova. Del resto, tale assunto é in linea con il fondamentale principio di tassatività delle nullità (art. 177 cod.proc.pen.) e con l'ulteriore principio in base al quale la valutazione delle prove acquisite compete in via esclusiva al giudice, il quale la esercita secondo il principio del libero convincimento e può quindi individuare, all'interno del materiale probatorio raccolto, gli elementi da porre a base della sua decisione e della relativa motivazione, restando ferma la soggezione di quest'ultima al controllo delle parti; all'evidenza tale principio non può estendersi fino al punto di invalidare l'intero giudizio nel caso di mancata documentazione di una singola prova sulla quale non si é fondata la decisione.
2. Il secondo motivo di ricorso é a sua volta infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza.
La condotta tenuta dal F.M., diversamente da quanto asserito dal ricorrente, non risulta caratterizzata dalla c.d. abnormità, ossia da quel comportamento del lavoratore che assume valenza interruttiva del nesso di causalità fra la condotta del garante in tema di sicurezza e l'evento dannoso verificatosi a suo danno: tale condizione, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza apicale della Corte regolatrice, si verifica non perché il comportamento del lavoratore qualificato come abnorme sia "eccezionale", ma perché esso risulta eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, non massimata sul punto).
Invero il ricorrente nega che, nella specie, il rischio concretizzatosi a carico del dipendente fosse governato dal datore di lavoro; ma ciò non risponde a verità, perché nella specie si versa in un'ipotesi disciplinata dall'art. 71, comma 1, d.lgs. n. 81/2008: norma che, come noto, pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di mettere «a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo 70, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate ai lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie».
Orbene, é di tutta evidenza che nel caso di specie il macchinario non rispondeva a tali requisiti: nel percorso argomentativo della sentenza impugnata si fa espresso richiamo al fatto che la rulliera ove avvenne l'infortunio era priva della marcatura CE ed era stata assemblata dalla stessa ditta utilizzatrice, ossia la Vulcanflex; e si evidenzia che, come dichiarato in sede testimoniale dal dott. M. (funzionario del Servizio di Prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'ASL di Ravenna), la macchina presentava, in mezzo ai rulli, un rullino più sottile, con funzioni di sensore di posizione, che non ruotava nello stesso senso degli altri; e che fra tale rullino e il sesto rullo motorizzato rimaneva una "zona di imbocco accessibile e pericolosa, non idonea ai fini della salute e della sicurezza", ove era possibile che i lavoratori finissero accidentalmente con le mani fra i due rulli, con conseguente pericolo di schiacciamento: ossia proprio la tipologia di rischio che si concretizzò in occasione del sinistro occorso al F.M.. Sul punto é sufficiente richiamare la giurisprudenza di legittimità in base alla quale il datore di lavoro é responsabile delle lesioni occorse all'operaio in conseguenza dell'uso del macchinario, il quale, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (Sez. 4, Sentenza n. 22819 del 23/04/2015, Baiguini e altri, Rv. 263498; Sez. 4, Sentenza n. 49670 del 23/10/2014, Fagnani e altro, Rv. 261175).
3. E', infine, infondato anche il terzo motivo di doglianza. E' del tutto inconferente il richiamo alla speciale procedura in tema di manutenzione degli impianti e alle relative competenze, atteso che nel caso di specie non si fa questione di un difetto di manutenzione della rulliera, ma del fatto che, a provocare il sinistro, furono le caratteristiche strutturali e costruttive del macchinario, affatto inidonee ad assicurare lo svolgimento in sicurezza delle operazioni di caricamento dei pancali. Al riguardo non può che riaffermarsi la sussistenza in capo al datore di lavoro della posizione di garanzia relativa ai macchinari messi a disposizione dei lavoratori, e alla riferibilità soggettiva al medesimo dell'evento dannoso che sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, atteso che su di lui grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'Impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259229).
4. A fronte di quanto precede, avuto riguardo alla data di commissione del reato e valutati anche i fatti sospensivi, deve constatarsi che il reato stesso é oggi prescritto.
Ne discende che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, essendo il reato estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato é estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2018.

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Decreto Direttoriale n. 35 del 13/04/2018

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Decreto 35 2018

Gruppo di lavoro rilascio autorizzazioni ponteggi

Decreto Direttoriale n. 35 del 13/04/2018

Aggiornamento della composizione del Gruppo di lavoro per l’esame della documentazione relativa al rilascio delle autorizzazioni di cui all’articolo 131 D.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m.i., costituito con Decreto direttoriale n. 13/2017

...

VISTO l’articolo 131 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, concernente l’autorizzazione da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali alla costruzione ed all’impiego di ponteggi fissi;
VISTO l’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni;
VISTO l’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha disposto la soppressione dell’ISPESL a decorrere dal 31 maggio 2010 e l’attribuzione, con effetto dalla medesima data, delle relative funzioni all’INAIL - Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;
VISTO l’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 riguardante: “Obblighi di pubblicazione concernenti gli atti di carattere normativo e amministrativo generale”;
VISTO il decreto del Direttore Generale della tutela delle condizioni di lavoro e delle relazioni industriali n. 13 del 16 marzo 2017, con il quale è stato ricostituito il Gruppo di lavoro tecnico con funzioni consultive per l’esame della documentazione relativa al rilascio delle autorizzazioni di cui all’articolo 131 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni;
VISTO il d.P.C.M. 1° giugno 2017, con il quale è stato conferito al dott. Romolo de Camillis l'incarico di titolare della Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali, registrato dalla Corte dei conti in data 27 luglio 2017, al n. 1739;
CONSIDERATA la necessità di integrare la composizione del citato Gruppo di lavoro, operando nel contempo anche la sostituzione dell’ing. Aldo Chirianni, rientrato alla propria Amministrazione;
ACQUISITE le dichiarazioni di insussistenza di conflitto di interesse, anche potenziale, rilasciate dai funzionari designati;

DECRETA

1. La composizione del Gruppo di lavoro tecnico con funzioni consultive per l’esame della documentazione relativa al rilascio delle autorizzazioni di cui all’articolo 131 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, costituito con decreto direttoriale n. 13 del 16 marzo 2017, è aggiornata come segue:
- l’Ing. Abdul Ghani Ahmad è designato, in sostituzione dell’ing. Aldo Chirianni, quale componente del Gruppo di lavoro tecnico con funzioni di “coordinatore”, in rappresentanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
- l’ing. Giuseppe Busano, l’ing. Giuseppina Conti e l’ing. Ludovica Massaccesi sono designati quali componenti del Gruppo di lavoro tecnico, in rappresentanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Fonte: MPLS

__________

Dlgs 81/08 Titolo IV - CANTIERI TEMPORANEI O MOBILI

Capo II - Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota

Sezione V - Ponteggi fissi

Art. 131. Dlgs 81/08 Autorizzazione alla costruzione ed all'impiego

1. La costruzione e l'impiego dei ponteggi realizzati con elementi portanti prefabbricati, metallici o non, sono disciplinati dalle norme della presente sezione.

2. Per ciascun tipo di ponteggio, il fabbricante chiede al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali l'autorizzazione alla costruzione ed all'impiego, corredando la domanda di una relazione nella quale devono essere specificati gli elementi di cui all'articolo seguente.

3. Il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in aggiunta all'autorizzazione di cui al comma 2 attesta, a richiesta e a seguito di esame della documentazione tecnica, la rispondenza del ponteggio gia' autorizzato anche alle norme UNI EN 12810 e UNI EN 12811 o per i giunti alla norma UNI EN 74.

4. Possono essere autorizzati alla costruzione ed all'impiego ponteggi aventi interasse qualsiasi tra i montanti della stessa fila a condizione che i risultati adeguatamente verificati delle prove di carico condotte su prototipi significativi degli schemi funzionali garantiscano la sussistenza dei gradi di sicurezza previsti dalle norme di buona tecnica.

5. L'autorizzazione e' soggetta a rinnovo ogni dieci anni per verificare l'adeguatezza del ponteggio all'evoluzione del progresso tecnico.

6. Chiunque intende impiegare ponteggi deve farsi rilasciare dal fabbricante copia della autorizzazione di cui al comma 2 e delle istruzioni e schemi elencati al comma 1, lettere d), e), f) e g) dell'articolo 132.

7. Il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali si avvale anche dell'ISPESL per il controllo delle caratteristiche tecniche dei ponteggi dichiarate dal titolare dell'autorizzazione, attraverso controlli a campione presso le sedi di produzione.


Art. 132. Dlgs 81/08 Relazione tecnica 

1. La relazione di cui all'articolo 131 deve contenere:

a) descrizione degli elementi che costituiscono il ponteggio, loro dimensioni con le tolleranze ammissibili e schema dell'insieme;
b) caratteristiche di resistenza dei materiali impiegati e coefficienti di sicurezza adottati per i singoli materiali;
c) indicazione delle prove di carico, a cui sono stati sottoposti i vari elementi;
d) calcolo del ponteggio secondo varie condizioni di impiego;
e) istruzioni per le prove di carico del ponteggio;
f) istruzioni per il montaggio, impiego e smontaggio del ponteggio;
g) schemi-tipo di ponteggio con l'indicazione dei massimi ammessi di sovraccarico, di altezza dei ponteggi e di larghezza degli impalcati per i quali non sussiste l'obbligo del calcolo per ogni singola applicazione.


Art. 133. Progetto

1. I ponteggi di altezza superiore a 20 metri e quelli per i quali nella relazione di calcolo non sono disponibili le specifiche configurazioni strutturali utilizzate con i relativi schemi di impiego, nonché le altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici o non, oppure di notevole importanza e complessità in rapporto alle loro dimensioni ed ai sovraccarichi, devono essere eretti in base ad un progetto comprendente:

a) calcolo di resistenza e stabilità eseguito secondo le istruzioni approvate nell'autorizzazione ministeriale;
b) disegno esecutivo.

2. Dal progetto, che deve essere firmato da un ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all'esercizio della professione, deve risultare quanto occorre per definire il ponteggio nei riguardi dei carichi, delle sollecitazioni e dell'esecuzione.

3. Copia dell'autorizzazione ministeriale di cui all'articolo 131 e copia del progetto e dei disegni esecutivi devono essere tenute ed esibite, a richiesta degli organi di vigilanza, nei cantieri in cui vengono usati i ponteggi e le opere provvisionali di cui al comma 1.

 
 Art. 134. Documentazione

1. Nei cantieri in cui vengono usati ponteggi deve essere tenuta ed esibita, a richiesta degli organi di vigilanza, copia della documentazione di cui al comma 6 dell'articolo 131 e copia del piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.), in caso di lavori in quota, i cui contenuti sono riportati nell'allegato XXII del presente Titolo.

2. Le eventuali modifiche al ponteggio, che devono essere subito riportate sul disegno, devono restare nell'ambito dello schema-tipo che ha giustificato l'esenzione dall'obbligo del calcolo.

 
Art. 135. Marchio del fabbricante

1. Gli elementi dei ponteggi devono portare impressi, a rilievo o ad incisione, e comunque in modo visibile ed indelebile il marchio del fabbricante.


Art. 136. Montaggio e smontaggio

1. Nei lavori in quota il datore di lavoro provvede a redigere a mezzo di persona competente un piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.), in funzione della complessità del ponteggio scelto, con la valutazione delle condizioni di sicurezza realizzate attraverso l'adozione degli specifici sistemi utilizzati nella particolare realizzazione e in ciascuna fase di lavoro prevista. Tale piano può assumere la forma di un piano di applicazione generalizzata integrato da istruzioni e progetti particolareggiati per gli schemi speciali costituenti il ponteggio, ed è messo a disposizione del preposto addetto alla sorveglianza e dei lavoratori interessati.

2. Nel serraggio di più aste concorrenti in un nodo i giunti devono essere collocati strettamente l'uno vicino all'altro.

3. Per ogni piano di ponte devono essere applicati due correnti, di cui uno può fare parte del parapetto.

4. Il datore di lavoro assicura che:

a) lo scivolamento degli elementi di appoggio di un ponteggio è impedito tramite fissaggio su una superficie di appoggio, o con un dispositivo antiscivolo, oppure con qualsiasi altra soluzione di efficacia equivalente;
b) i piani di posa dei predetti elementi di appoggio hanno una capacità portante sufficiente;
c) il ponteggio è stabile;
d) (lettera soppressa dall'art. 80 del d.lgs. n. 106 del 2009)
e) le dimensioni, la forma e la disposizione degli impalcati di un ponteggio sono idonee alla natura del lavoro da eseguire, adeguate ai carichi da sopportare e tali da consentire un'esecuzione dei lavori e una circolazione sicure;
f) il montaggio degli impalcati dei ponteggi è tale da impedire lo spostamento degli elementi componenti durante l'uso, nonché la presenza di spazi vuoti pericolosi fra gli elementi che costituiscono gli impalcati e i dispositivi verticali di protezione collettiva contro le cadute.

5. Il datore di lavoro provvede ad evidenziare le parti di ponteggio non pronte per l'uso, in particolare durante le operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione, mediante segnaletica di avvertimento di pericolo generico e delimitandole con elementi materiali che impediscono l'accesso alla zona di pericolo, ai sensi del titolo V.

6. Il datore di lavoro assicura che i ponteggi siano montati, smontati o trasformati sotto la diretta sorveglianza di un preposto, a regola d'arte e conformemente al Pi.M.U.S., ad opera di lavoratori che hanno ricevuto una formazione adeguata e mirata alle operazioni previste.

7. La formazione di cui al comma 6 ha carattere teorico-pratico e deve riguardare:

a) la comprensione del piano di montaggio, smontaggio o trasformazione del ponteggio;
b) la sicurezza durante le operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione del ponteggio con riferimento alla legislazione vigente;
c) le misure di prevenzione dei rischi di caduta di persone o di oggetti;
d) le misure di sicurezza in caso di cambiamento delle condizioni meteorologiche pregiudizievoli alla sicurezza del ponteggio;
e) le condizioni di carico ammissibile;
f) qualsiasi altro rischio che le suddette operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione possono comportare.

8. I soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità dei corsi sono riportati nell'allegato XXI.


Art. 137. Manutenzione e revisione

1. Il preposto, ad intervalli periodici o dopo violente perturbazioni atmosferiche o prolungata interruzione di lavoro deve assicurarsi della verticalità dei montanti, del giusto serraggio dei giunti, della efficienza degli ancoraggi e dei controventi, curando l'eventuale sostituzione o il rinforzo di elementi inefficienti.

2. I vari elementi metallici devono essere difesi dagli agenti nocivi esterni con idonei sistemi di protezione.


UNI EN 12810-1:2004
Ponteggi di facciata realizzati con componenti prefabbricati - Parte 1: Specifiche di prodotto
La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12810-1 (edizione dicembre 2003). La norma specifica i requisiti prestazionali e i requisiti generali per la progettazione costruttiva e valutazione per i sistemi di ponteggi di facciata prefabbricati.

UNI EN 12810-2:2004
Ponteggi di facciata realizzati con componenti prefabbricati - Parte 2: Metodi particolari di progettazione strutturale 
La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12810-2 (edizione dicembre 2003). La norma definisce le regole per la progettazione e l analisi strutturale dei sistemi di ponteggi di facciata attraverso calcoli e prove in conformità con la UNI EN 12810-1.

UNI EN 12811-1:2004
Attrezzature provvisionali di lavoro - Parte 1: Ponteggi - Requisiti prestazionali e progettazione generale
La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12811-1 (edizione dicembre 2003). La norma specifica i requisiti prestazionali e i metodi di progettazione strutturale e generale per ponteggi di accesso e di lavoro.

UNI EN 12811-2:2004
Attrezzature provvisionali di lavoro - Parte 2: Informazioni sui materiali 
La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 12811-2 (edizione febbraio 2004). La norma fornisce una guida su dove trovare le informazioni sui materiali usati di solito nei lavori temporanei.

UNI EN 12811-3:2005
Attrezzature provvisionali di lavoro - Parte 3: Prove di carico
La presente norma è la versione ufficiale in lingua inglese e italiana della norma europea EN 12811-3 (edizione novembre 2002). La norma specifica le regole per le prove di carico, la documentazione e la valutazione dei risultati di prova nel campo delle attrezzature di lavoro provvisionali ad azionamento non meccanico

UNI EN 74-1:2007
Giunti, spinotti e basette per l utilizzo in strutture di sostegno per opere permanenti e ponteggi - Parte 1: Giunti per tubi - Requisiti e procedimenti di prova
La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 74-1 (edizione ottobre 2005). La norma specifica per i giunti ortogonali, i giunti girevoli, i giunti a manicotto e i giunti paralleli:- i materiali;- i requisiti di progetto;- le classi di resistenza con differenti parametri strutturali inclusi valori di resistenza e di rigidezza;- i procedimenti di prova;- la verificae fornisce- le raccomandazioni per il controllo durante la produzione.Ai fini delle prove i giunti bullonati sono serrati con un momento torcente di 50 Nm e i giunti a cuneo sono bloccate utilizzando un martello di 500 g fino a rifiuto del cuneo

UNI EN 74-2:2009
Giunti, spinotti e basette per l utilizzo in strutture di sostegno per opere permanenti e ponteggi - Parte 2: Giunti speciali - Requisiti e procedimenti di prova
La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 74-2 (edizione settembre 2008). La norma specifica:- i materiali,- i requisiti di progetto,- i valori specificati di resistenza e di rigidezza che un giunto deve ottenere quando sottoposto a prova,- i procedimenti di prova e verifica,per i seguenti giunti speciali:- mezzi giunti a vite e a cuneo, giunti a manicotto con perni a taglio, giunti di riduzione ortogonali e giunti di riduzione girevoli.Essa fornisce raccomandazioni per il controllo durante la produzione.

UNI EN 74-3:2007
Giunti, spinotti e basette per l utilizzo in strutture di sostegno per opere permanenti e ponteggi - Parte 3: Basette piane e spinotti - Requisiti e procedimenti di prova
La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 74-3 (edizione aprile 2007). La norma specifica per basette piane e sagomate e spinotti sciolti da utilizzare con tubi con diametro di 48,3 mm in ponteggi e strutture di sostegno per opere permanenti:- materiali,- requisiti di progetto,- procedimenti di prova,- verifica.

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Osservatorio Amianto

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Osservatorio amianto
Osservatorio Amianto

Update 25 Settembre 2018

L'Osservatorio amianto, è un pagina del sito, dove è possibile consultare informazioni sull'amianto e il rischio relativo: Documenti, Normativa, News, ecc. La pagina sarà aggiornata periodicamente (Fonti INAIL, altre).

Cosa è, dove e stato utilizzato e in quali lavorazioni, come conoscere i rischi e bonificare il territorio, le armi della ricerca scientifica e il sistema di sorveglianza epidemiologica: una pagina dedicata all'amianto, aggiornata con i dati della VI Relazione annuale 2018.

Pubblicato il VI Rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi

Il VI Rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi 2018 riporta i dati di incidenza e di esposizione ad amianto per i casi di mesotelioma maligno rilevati dalla rete dei Centri Operativi Regionali (Cor).

Sono descritte le misure epidemiologiche di incidenza, età media alla diagnosi, rapporto di genere, distribuzione territoriale per oltre 25.000 casi di mesotelioma con diagnosi dal 1993 al 2015.

I settori di attività economica e le mansioni maggiormente coinvolte nell’esposizione ad amianto sono discussi a partire dai dati epidemiologici ottenuti dalle interviste anamnestiche retrospettive ai soggetti ammalati.

Amianto, il killer silenzioso. Resistenza, flessibilità e versatilità.

Sono queste proprietà ad aver reso l’amianto uno tra i materiali fibrosi più usati nella produzione industriale e civile, nella costruzione degli edifici, nelle coibentazioni di treni, autobus e navi, nelle vernici, negli elettrodomestici, nei rivestimenti delle condutture, nei cassoni dell’acqua. L’utilizzo massiccio, avvenuto in Italia soprattutto tra gli anni ’50 e la fine degli anni ’70, ha trasformato l’esposizione all’amianto in un dramma dalle forti ripercussioni sociali. Malgrado sia stato messo al bando nel 1992 (con la legge 257), studi scientifici ed epidemiologici sostengono che nei prossimi 15 anni assisteremo a un forte incremento delle malattie correlate alla fibra killer, quali l’asbestosi, il tumore della pleura (mesotelioma pleurico) e il carcinoma polmonare.


Mappatura del territorio italiano: da Monfalcone a Siracusa, la geografia del rischio nel nostro Paese.

Sono ben 34mila i siti contaminati da amianto in Italia, una cifra destinata a crescere perché frutto di una mappatura ancora in corso da parte di Inail, ministero dell'Ambiente e Regioni. Le zone con mortalità da amianto più elevata sono quasi tutte costiere, per la presenza di cantieri navali e porti, e sono concentrate a Monfalcone (in provincia di Gorizia) e Trieste nel nord est; a Genova e La Spezia nel nord ovest e Taranto al sud. Fra le altre province interessate da altre lavorazioni figurano, invece, Casale Monferrato (in provincia di Alessandria) sede, per circa 80 anni, della più grande fabbrica di cemento-amianto della Eternit; Bari e Pavia con Fibronit, Bagnoli con Eternit e Italsider, Siracusa (Eternit), Milazzo – ex Sacelit e Pistoia, sede di Breda Costruzioni Ferroviarie, Emarese – miniere da amianto.

Mappatura delle discariche presenti sul territorio nazionale.

I ricercatori del Gruppo amianto e aree ex-estrattive minerarie del DIT – Inail (Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici) da anni affrontano le problematiche legate alla fase di fine ciclo dei rifiuti contenenti amianto (RCA). Le attività di ricerca svolte a livello nazionale e regionale hanno consentito agli esperti di disegnare la mappa delle discariche presenti sul territorio nazionale (in esercizio, sospese e in attesa di autorizzazione, chiuse) e di monitorare i volumi dei rifiuti (smaltiti, residui e futuri). Il lavoro del Gruppo - finalizzato, tra gli altri, a migliorare i livelli di sicurezza tutelando anche gli ambienti di vita - è stato raccolto nel volume “Mappatura delle discariche che accettano in Italia i rifiuti contenenti amianto e loro capacità di smaltimento passate, presenti e future”, disponibile sul sito web Inail.

Classificazione e gestione dei rifiuti contenenti amianto.

A distanza di un anno, i ricercatori dello stesso Gruppo hanno pubblicato il volume “Classificazione e gestione dei rifiuti contenenti amianto – istruzioni operative Inail ai fini della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di vita”, focalizzato sulla classificazione dei rifiuti pericolosi contenenti amianto e sul successivo corretto smaltimento. Di grande interesse, nell’apertura della pubblicazione, l’individuazione dei principali prodotti contenenti amianto, classificati per settore d’impiego e per categorie di riferimento, con evidenza, per ciascuna attività economica, dei più frequenti utilizzi dei prodotti stessi e dei luoghi in cui possono essere rinvenuti.

Gli esperti del DIT - Inail hanno poi identificato ben 100 tipologie di rifiuti gestite durante le operazioni di bonifica e smaltimento, e hanno attribuito loro uno dei codici di classificazione previsti dal Catalogo europeo dei rifiuti – CER (solo 8 codici per l’amianto), individuando anche la tipologia di discarica più idonea. Da un attento esame del Catalogo, sono stati individuati altri 21 codici CER (riferiti a ‘sostanze pericolose’) applicabili ai rifiuti contenenti amianto, confermati anche dai dati forniti dai gestori delle discariche presenti sul territorio nazionale e da alcune società di bonifica.

La corretta attribuzione del codice di riferimento al rifiuto contenente amianto è fondamentale per migliorare la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori addetti (che debbono acquisire maggiore consapevolezza dei rischi durante le attività di bonifica e di gestione dei rifiuti negli impianti di smaltimento definitivo) e la tutela degli ambienti di vita per evitare che smaltimenti impropri o volutamente illegali in siti non idonei possano contaminare il territorio e la popolazione residente.
In conclusione, la pubblicazione riporta una sezione documentale con un compendio dei principali documenti elaborati dal DIT – Inail sulla materia.

Registro nazionale dei mesoteliomi (ReNaM): i risultati del IV Rapporto.

Nel 2011 si sono avute 2.312 denunce di nuovi casi di patologie legate all’amianto rispetto alle 2.326 dell'anno precedente (-0,6%) e alle 2.244 del 2009 e il rapporto tra i casi riconosciuti dall'Inail rispetto a quelli denunciati - nel 2009 e nel 2010 - è stato del 70 per cento circa (nel 2011 è stato del 65%, ma il dato è da ritenersi ancora provvisorio per difetto). I decessi dovuti all'amianto nel 2011 (rilevazione al 30 settembre) sono stati 692, a fronte degli 837 del 2010 e degli 853 nel 2009 (anno in cui si è registrato il picco del quinquennio 2007-2011). In media, l'87% dei casi mortali è stato causato da neoplasie da asbesto.

Sono, invece, 15.845 i mesoteliomi maligni - cioè i tumori dovuti all'esposizione all'amianto - rilevati in Italia tra il 1993 e il 2008. I dati sono frutto del quarto rapporto del ReNaM, presentato nel corso della II Conferenza governativa sulle malattie asbesto-correlate (Venezia, 22-24 novembre 2012).



I casi di mesotelioma attraverso un innovativo lavoro di analisi territoriale.

Per la prima volta la patologia asbesto-correlata è stata interpretata sulla base dei risultati dell’analisi territoriale - incentrata sulle modalità di esposizione all’amianto (e non sui decessi) - svolta dai Centri operativi regionali del ReNaM (Cor) che hanno raccolto le storie occupazionali, residenziali e familiari di 11.852 lavoratori intervistati. Lo studio, effettuato dai Cor con i ricercatori Inail del laboratorio di epidemiologia del Dimelia (dip. di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale), è stato pubblicato di recente sulla rivista scientifica open access BMC Cancer.

Patologie asbesto-correlate: la situazione nei dati della Relazione annuale 2014

Sono 1.736 le malattie professionali riconosciute, di cui 414 con esito mortale. Questi i dati riportati, tra gli altri, dalla Relazione annuale 2014 (presentata a Montecitorio il 9 luglio 2015 da Massimo De Felice, Presidente Inail). La gestione Industria e Servizi conta il maggior numero di casi 1.708 (di cui 408 mortali), a seguire l’Agricoltura (8, di cui 1 mortale) e per conto dello Stato (20, di cui 5 mortali). Tra i lavoratori, i più colpiti sono gli italiani: 1.725 (1.647 maschi e 78 femmine), di cui 411 casi mortali (rispettivamente 391 e 20) e, tra le aree geografiche, il nord. Sul totale dei casi di malattia professionale riconosciuta con esito mortale (1.488), se ne contano 490 per silicosi e asbestosi.



Il ruolo dell'Istituto nella sfida all'amianto.

L’Inail è al fianco delle imprese e dei lavoratori e svolge un ruolo diversificato per contrastare l’esposizione all’amianto tramite le azioni di prevenzione (che passano per la conoscenza dei rischi e gli incentivi), le azioni di bonifica e le prestazioni erogate.

Sul fronte della sicurezza sul lavoro, i Dipartimenti e le Consulenze dell’Istituto portano avanti progetti di ricerca che mirano a individuare i rischi emergenti e le strategie di contrasto e prevenzione; mentre, tramite l’”Operazione incentivi alle imprese” (sistema di finanziamenti per la sicurezza nei luoghi di lavoro che conta anche la voce “bonifica amianto” tra le 11 censite per classificare i progetti presentati), nel 2012 (bando 2011), sono stati ammessi a finanziamento 432 progetti (su un totale di 4.316) per un importo di circa 25 milioni di euro e, nel 2013 (bando 2012), 374 progetti (su un totale di 3690), per un importo di circa 20 milioni di euro.

Sul fronte della tutela dei lavoratori nel 2013, oltre agli indennizzi in rendita, sono state erogate più di 16.400 prestazioni aggiuntive a carico del Fondo per le vittime dell’amianto (istituito nel 2008), destinate ai titolari di rendita per malattia asbesto-correlata. Va ricordato che, se il lavoratore risulta essere affetto da una malattia causata dall’esposizione all’amianto (contratta nell’esercizio e a causa di una lavorazione rischiosa), può presentare denuncia all’Inail per ottenere un indennizzo dei danni (prestazioni economiche, sanitarie e riabilitative). Se, invece, risulta malato di asbestosi, patologia grave e irreversibile dell’apparato respiratorio contratta a causa di una delle lavorazioni tassativamente previste per legge (tabella Allegato 8 del Testo Unico della sicurezza sul lavoro, D.P.R 1124/1965), viene applicata una disciplina speciale che, tra le altre, prevede la possibilità anche di erogare una "rendita di passaggio”, per prevenire l’aggravamento della malattia e incentivare il lavoratore ad abbandonare la lavorazione nociva.

Infine, sotto il profilo previdenziale, la normativa prevede l’applicazione di benefici pensionistici per i lavoratori che, entro il termine del 2 ottobre 2003, siano stati adibiti a lavorazioni con esposizione alle fibre di amianto per più di dieci anni (certificata dall’Inail).



Piano nazionale amianto. Tutela della salute, tutela dell’ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali.

Sono tre le macro aree intorno alle quali ruotano obiettivi e azioni del "Piano nazionale amianto. Linee di intervento per un’azione coordinata delle amministrazioni statali e territoriali” presentato ad aprile 2013 a Casale Monferrato. Strumento organico elaborato dai ministeri della Salute, dell’Ambiente e del Lavoro, il documento è frutto del confronto tra giuristi, scienziati, esperti epidemiologici e clinici aperto dalla II Conferenza governativa sulle malattie asbesto-correlate (Venezia, 22-24 novembre 2012). Gli obiettivi di medio-lungo periodo previsti dal piano abbracciano ambiti e competenze diversificate: dalla sanità all’ambiente, dall’economia alla previdenza. Nel mese di giugno 2014, il Piano è stato oggetto di una mozione unitaria approvata dalla Camera dei deputati finalizzata a impegnare il governo ad approvarlo definitivamente, prevedendo, tra le altre iniziative, gli stanziamenti necessari alla sua completa attuazione.

Archivio News

Bonifica dell’amianto, allo studio del governo un programma di finanziamenti straordinari
13 febbraio 2015
Il provvedimento – contenuto in una bozza del decreto ora al vaglio del ministero dell’Ambiente e presto all’esame dell’esecutivo – consente ai presidenti delle Regioni di contrarre mutui ventennali per sostenere gli interventi. La copertura delle rate di ammortamento, per il triennio 2015-2017, è pari a circa 5 milioni annui

Amianto, terza Consensus Conference: per completare le bonifiche necessari 85 anni
6 febbraio 2015
Il tema dello smaltimento della fibra killer ha avuto un ruolo centrale nei lavori della due giorni dedicata al controllo del mesotelioma maligno della pleura, che ha riunito a Bari i maggiori esperti della patologia insieme a giuristi, giornalisti e rappresentanti di istituzioni e associazioni delle vittime

La Cassazione annulla la sentenza Eternit: Il reato è prescritto
20 novembre 2014
La Suprema Corte ha cancellato il verdetto di colpevolezza nei confronti del magnate elvetico Schmidheiny già dal primo grado di giudizio. Lo sgomento dei familiari delle vittime: “Vergogna, ingiustizia è fatta”. Per il pm Guariniello “non bisogna demordere”. Il presidente del Consiglio Renzi: “Necessario cambiare le regole”

Processo Eternit. Lucibello: Attendiamo le motivazioni della sentenza
20 novembre 2014
Il direttore generale dell’Inail interviene dopo la decisione della Corte di Cassazione di azzerare condanne e risarcimenti: “In caso di ulteriori giudizi, valuteremo cosa fare per tutelare l'Istituto e garantire al meglio le prestazioni”. Intanto il sindaco di Casale Monferrato chiede un incontro col governo: “Continueremo a lottare”

Morti per amianto: in Europa oltre la metà dei casi di tutto il mondo
10 novembre 2014

Ad affermarlo è un recente studio dell’Oms: il 56% dei decessi per mesotelioma e il 41% di quelli per asbestosi – pari, nel complesso, a 7.500 vittime – sono legati al Vecchio Continente: un andamento dovuto al ruolo storico di quest’area geografica quale centro globale di utilizzo della fibra killer

Amianto alla Olivetti, la procura di Ivrea indaga su almeno altre sei morti sospette
1 ottobre 2014

I casi del fascicolo bis si aggiungono ai 15 per i quali la scorsa settimana è stato notificato a 39 persone l’avviso di chiusura delle indagini. Secondo i pm i vertici della storica fabbrica di macchine da scrivere, poi diventata pioniera nell’informatica, sarebbero intervenuti in ritardo per tutelare i lavoratori

Amianto, gli ex vertici dell’Ilva colpevoli di una consapevole e lucida omissione
10 settembre 2014

Depositate le 286 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado con la quale lo scorso maggio 27 manager del polo siderurgico di Taranto sono stati condannati per la morte degli operai affetti da mesotelioma pleurico, contratto a causa dell’esposizione alla fibra killer presente all’interno dello stabilimento

Amianto: rinviati a giudizio sei ex manager di Fiat Auto e Alfa Romeo
24 luglio 2014

Comincerà il prossimo 5 novembre, a Milano, il dibattimento relativo alla morte di 15 lavoratori dello stabilimento di Arese per forme tumorali legate all’esposizione alla fibra killer. Secondo l’accusa gli operai avrebbero respirato fibre della sostanza, negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, senza adeguate misure di sicurezza

Amianto: al via il maxi-processo sul petrolchimico di Ravenna
26 giugno 2014

Alla prima udienza del procedimento l’ammissione di una dozzina di nuove parti civili e l’unificazione di un fascicolo bis relativo alla morte di un lavoratore e alla malattia di altri due. Salgono a 78 le parti offese, tra personale del polo industriale e familiari colpiti dall’esposizione alla fibra killer. Venti dirigenti e manager alla sbarra

Amianto, la Camera vota all’unanimità una mozione per l’attuazione del Piano nazionale
25 giugno 2014
A poco più di un anno dalla presentazione nella città-simbolo di Casale Monferrato, il testo impegna il governo ad approvarlo definitivamente, prevedendo i finanziamenti necessari, e ad assumere iniziative per incrementare le prestazioni a favore delle vittime di patologie asbesto-correlate e dei loro familiari

Amianto: un nuovo libro Inail sullo smaltimento e la mappatura delle discariche
11 dicembre 2013
I ricercatori del Dipartimento installazioni di produzione e insediamenti antropici dell’Istituto (Dipia) hanno realizzato un volume – aggiornato al 30 giugno 2013 – che offre una visione complessiva della situazione sul territorio italiano e un’analisi approfondita delle problematiche nella gestione di questa tipologia di rifiuti

Amianto, l’attività di ricerca Inail per la bonifica dei siti contaminati
24 giugno 2013

Su tutti l’esempio di Casale Monferrato, città simbolo della tragedia che ha colpito migliaia di lavoratori e le loro famiglie. Nella difficile battaglia contro la fibra killer gli esperti dell’Istituto contribuiscono con l’elaborazione di pareri tecnico-scientifici, sopralluoghi sul campo e la redazione di linee guida

Appello Eternit, Schmidheiny condannato a 18 anni per disastro doloso
3 giugno 2013

La sentenza aumenta di due anni la pena inflitta in primo grado al manager svizzero della multinazionale dell’amianto, ritenuto responsabile non solo per le morti e le malattie legate agli stabilimenti di Cavagnolo e Casale, ma anche per i casi di Bagnoli e Rubiera, che nel primo processo erano stati considerati prescritti

Amianto, una strategia nazionale per fronteggiare l’emergenza
8 aprile 201
3
Presentato nella città-simbolo di Casale Monferrato il piano elaborato dai ministeri della Salute, dell’Ambiente e del Lavoro per la lotta alla fibra killer, che a più di vent’anni dalla messa al bando continua a rappresentare una grave minaccia. Balduzzi: “Risposta operativa a una vicenda sulla quale era sceso l’oblio”

L’Europarlamento contro l’amianto: Smaltimento definitivo entro il 2028
14 marzo 2013

Nella sessione plenaria di Strasburgo, approvata a larga maggioranza una risoluzione che propone di adottare una strategia comune per l’eliminazione totale della fibra killer, ancora presente in un gran numero di edifici, macchinari, tubature, treni e navi del continente. Il relatore Stephen Hughes: “È un messaggio forte alla Commissione, che ora deve agire”

Selezione delle news pubblicate dal 2010 al 2012

Assistenza, prevenzione e ricerca: il ruolo dell'Inail nella sfida all'amianto
22 novembre 2012 

Il presidente, Massimo De Felice, in occasione dell'apertura dei lavori della seconda Conferenza governativa di Venezia sulle patologie asbesto-correlate, ha presentato una lettura dell'evoluzione e dello stato del fenomeno, ribadendo la volontà dell'Istituto di svolgere un ruolo importante nella promozione delle strategie di contrasto

Mesoteliomi: in 15 anni quasi 16mila casi. Ma dal 2015 previsto l'assestamento
22 novembre 2012

Presentati a Venezia nella seconda Conferenza governativa sull'amianto e le patologie correlate i dati dell'ultimo Rapporto del ReNaM: dal 2005 al 2008 circa 6mila i soggetti ammalati a causa dell'esposizione all'asbesto. Ma la fase di crescita della patologia si sta attenuando. L'edilizia è il settore più colpito

Inail al processo Eternit: un contributo all'accertamento della verità
23 novembre 2012

Una sentenza di grande rilievo giuridico: alla Conferenza governativa di Venezia l'avvocato generale, Luigi La Peccerella, ha analizzato i punti nodali di un verdetto che ha dato un contributo importante alla cultura della sicurezza sul lavoro e che si è avvalso del patrimonio informativo e dell'esperienza medico-legale dell'Istituto

Amianto. Depositata la sentenza Eternit: "Dolo di elevatissima intensità"
14 maggio 2012
In oltre 700 pagine la motivazione della condanna a 16 anni di carcere per i due ex manager della multinazionale, Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier. Secondo i giudici hanno cercato di nascondere e di minimizzare gli effetti nocivi derivanti dalla lavorazione dell’asbesto “pur di proseguire nella condotta criminosa”

Al via il fondo per le vittime dell'amianto
13 aprile 2011
Entra in vigore oggi il decreto che stabilisce l’organizzazione, il finanziamento e le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva ai lavoratori titolari di rendita a seguito di una patologia asbesto-correlata

Cassazione. Morti per asbestosi: l'azienda è sempre colpevole
5 novembre 2010
Dall’amministratore delegato al cda, al direttore di stabilimento: così la sentenza della Suprema Corte, motivata dal parere unanime della letteratura scientifica secondo cui questa patologia è sempre determinata da condotte omissive sulla sicurezza 

Collegamenti

Pubblicazioni

Normativa e documentazione Normativa europea

Una sintesi della legislazione dell'Unione europea sui rischi legati all'esposizione dei lavoratori all'amianto e le norme di protezione e di prevenzione

Normativa nazionale

Legge 257/1992: Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto
Legge 271/1993: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 169/1993, recante disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto
Legge 24 novembre 2003 n. 326: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 269/2003, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici
Circolare INAIL n. 90 del 29 dicembre 2004: Nuova disciplina in materia di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto
Legge 266/2005: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
Legge 247/2007: Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale
Decreto del ministero del Lavoro e della previdenza sociale del 12 marzo 2008: Modalità attuative dei commi 20 e 21 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, concernente la certificazione di esposizione all'amianto di lavoratori occupati in aziende interessate agli atti di indirizzo ministeriale

Fonte: INAIL

Collegati

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 16092 | 11 Aprile 2018

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Sentenze cassazione penale

Infortunio durante le operazione di scarico di billette di acciaio

Procedura di movimentazione della gru

Penale Sent. Sez. 4 Num. 16092 Anno 2018

Penale Sent. Sez. 4 Num. 16092 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 15/02/2018

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 10.5.2017 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, che ha dichiarato G.G. responsabile in ordine all'infortunio sul lavoro avvenuto nella sede della società Stamperia C.G. e Figli ai danni di C.S., che riportava lesioni personali secondo le seguenti modalità ritenute in sentenza: durante l'operazione di scarico da un camion di billette di acciaio, il G.G., alla guida dell'autogrù deputata al sollevamento del materiale, azionava la gru quando la persona offesa (addetta all'imbragatura del materiale) si trovava ancora sul camion, in palese violazione della procedura operativa che prevedeva l'allontanamento del C.S. prima della movimentazione della gru, ed in tal modo la caviglia del medesimo rimaneva schiacciata fra due fasci di billette (fatto del 29.3.2011).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.G., a mezzo dei propri difensori, lamentando quanto segue.

I) Manifesta illogicità della motivazione della sentenza.

Deduce che erroneamente la Corte di appello, nella procedura di scarico delle sbarre di acciaio, ha escluso l'esistenza di un momento intermedio di pretensionamento delle catene, o meglio di controllo della stabilità e tenuta del carico, durante il quale le billette non vengono sollevate, ma si mettono in tensione solamente le catene, alla presenza dell'autista, verificando che le billette non si stacchino dai ganci. Sul punto ritiene che la sentenza abbia travisato quanto processualmente emerso, disarticolando l'intero ragionamento probatorio e rendendo la motivazione illogica, anche per non aver tenuto conto delle deposizioni testimoniali.
Sostiene che il lavoratore non si faceva male durante la fase di sollevamento delle catene, ma durante l'operazione di aggancio, lasciando per distrazione il piede tra i fasci.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto svolge essenzialmente censure in fatto, pretendendo che la Corte di cassazione rivaluti nel merito la responsabilità del prevenuto, asseritamente insussistente in quanto l'infortunio non sarebbe riconducibile ad una condotta colposa del gruista ma ad una "distrazione" del lavoratore durante l'operazione di scarico delle merci dianzi descritta.

2. Giova qui ribadire che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità «deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali» (in tal senso, ex plurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 1996, Rv. 203272).

Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945). La Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).

3. Nel caso in disamina la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato la conferma dell'affermazione di responsabilità del G.G. in ordine al reato di lesioni colpose cagionate al C.S., fondandosi su un dato su cui entrambi i giudici di merito hanno convenuto (si tratta infatti di una "doppia conforme"): la movimentazione anzitempo della gru da parte del prevenuto, durante una fase in cui il lavoratore non si era ancora allontanato dal carico da movimentare, collocato sul cassone del camion. In sostanza, è stato appurato che l'imputato azionò la gru quando la persona offesa si trovava ancora sul camion all'interno dell'area di manovra, in palese violazione della procedura operativa prevista per le aziende coinvolte, secondo cui l'autista del camion, dopo avere imbracato il materiale da scaricare, doveva allontanarsi dall'area di manovra della gru; ciò che certamente avrebbe impedito il verificarsi dell'evento lesivo in riferimento.

In questa prospettiva, la tesi difensiva in ordine ad una fase intermedia di "pretensionamento" delle catene, estranea alla condotta dell'imputato, durante la quale si sarebbe verificato l'infortunio per una "disattenzione" dell'autista, non è sostenibile in cassazione - che non è giudice del fatto -, posto che la diversa spiegazione, concordemente fornita dai giudici di merito, è comunque logica e plausibile, come tale insindacabile in sede di legittimità.

In tale motivazione sono esplicitamente disattese le doglianze svolte nei motivi di appello ed in essa non si ravvisa alcuna contraddittorietà o manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955).

4. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15 febbraio 2018

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Guida alle prestazioni

ID 5943 | | Visite: 3866 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Guida alle prestazioni INAIL 2018

Guida alle prestazioni assicurative

INAIL Edizione 2018

Questa guida si propone di delineare, nei tratti essenziali, il contesto previdenziale nel quale è inserito l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro - Inail e la più recente evoluzione normativa che ha riguardato l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.

La guida indica le modalità di accesso alle prestazioni assicurative.

A queste ultime sono dedicate specifiche schede illustrative che ne evidenziano le diverse tipologie, economiche, sanitarie e socio-sanitarie.

Le informazioni di carattere personale, riguardanti singoli casi di infortunio o di malattia professionale, vanno richieste alle Sedi operative dell’Istituto; tra queste, competente a trattare il caso è quella nel cui territorio si trova il domicilio del lavoratore interessato.

...

La Costituzione italiana garantisce a tutti i cittadini il diritto alla salute sui luoghi di lavoro. Lo Stato stabilisce l’obbligo per i datori di lavoro di assicurare i lavoratori addetti ad attività pericolose dal rischio di possibili infortuni sul lavoro e di malattie professionali, causate cioè dalla stessa attività lavorativa.

La legge, nell’individuare le attività lavorative rischiose, le suddivide in due grandi gruppi: quelle svolte mediante l’uso di macchine, apparecchi o impianti e altre che sono tassativamente indicate in specifici elenchi. L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro - Inail, è un ente pubblico non economico erogatore di servizi a carattere nazionale, con personalità giuridica e autonomia di gestione. L’Ente eroga prestazioni ai lavoratori che subiscono infortuni sul lavoro o contraggono malattie causate dall’attività lavorativa.

L’Inail, insieme all’Inps, è inserito nel sistema di welfare1 a cui lo Stato delega in via esclusiva gli interventi di assicurazione sociale. Per questo motivo, gli Enti indicati sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’economia e delle finanze. Anche a seguito di recenti innovazioni normative, la tutela ha assunto sempre più le caratteristiche di un sistema ‘globale e integrato’ che va dagli interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro alle prestazioni economiche e sanitarie, alle cure, alla riabilitazione e al reinserimento nella vita sociale e lavorativa. Nell’ambito, poi, di un più ampio sistema di prevenzione l’Istituto collabora con gli enti assicuratori di altri Paesi, europei ed extraeuropei, e coopera con le principali organizzazioni internazionali che si occupano della tutela del lavoro.

Oggetto dell’assicurazione sono l’infortunio sul lavoro e la malattia professionale.

È infortunio sul lavoro l’infortunio che avviene per causa violenta - concentrata nel tempo ed esterna all’organismo del lavoratore - in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o una inabilità permanente al lavoro/un danno biologico permanente o una inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. La malattia professionale si differenzia dall’infortunio per la natura del suo rapporto con il lavoro, in quanto contratta nell’esercizio - protratto nel tempo - e a causa delle lavorazioni esercitate. L’assicurazione contro le malattie professionali opera nei confronti delle stesse persone per le quali è previsto l’obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro.

La tutela e l’automaticità delle prestazioni

L’assicurazione è obbligatoria per tutti i datori di lavoro che occupano lavoratori dipendenti e/o parasubordinati nelle attività individuate dalla legge come rischiose. L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è un’assicurazione sociale con funzione indennitaria: l’indennizzo dovuto dall’Ente assicuratore non può mai superare l’importo del danno sofferto dall’assicurato. Una delle caratteristiche sostanziali che differenziano l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dalle assicurazioni private è l’automaticità delle prestazioni.

Per il principio di automaticità delle prestazioni, infatti, la tutela assicurativa comprende anche i casi in cui il datore di lavoro non abbia regolarmente versato il premio assicurativo. Nel caso dei lavoratori autonomi, che hanno la duplice veste di assicurante e di assicurato, il diritto alle prestazioni resta sospeso - per le sole prestazioni economiche - fino al versamento del premio dovuto.

Il principio di automaticità delle prestazioni non si applica agli infortuni in ambito domestico, per i quali il diritto alla rendita decorre dal giorno successivo alla data del pagamento del premio. L’assicurazione, inoltre, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile conseguente ai danni subiti dai propri dipendenti, salvo i casi in cui abbia commesso reati in violazione delle norme sulla prevenzione.

________

Indice:

Presentazione
Premessa
L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
Oggetto dell’assicurazione
La tutela e l’automaticità delle prestazioni
Evoluzione delle norme di tutela
Le prestazioni
Economiche
Sanitarie e Socio-sanitarie
Integrative
Modalità d’accesso
In caso di infortunio
In caso di malattia professionale
L’accertamento del danno permanente
La revisione del danno permanente
In caso di infortunio
In caso di malattia professionale
Tutela degli infortuni e delle malattie professionali in ambito internazionale
Normativa comunitaria
Normativa extracomunitaria
Schede sintetiche delle prestazioni

Contenzioso

Fonte: INAIL

Collegati:

Deliberazione GR Piemonte 16 marzo 2018 n. 34-6629

ID 5922 | | Visite: 3762 | Documenti Sicurezza Enti

PDL amianto Regione Piemonte 2016 2020

Deliberazione GR Piemonte 16 marzo 2018, n. 34-6629

Deliberazione della Giunta Regionale 16 marzo 2018, n. 34-6629 D.C.R. n. 124-7279 del 1 marzo 2016

Piano Regionale Amianto per gli anni 2016-2020.
Linee di indirizzo e indicazioni operative per la redazione dei Piani di Lavoro di demolizione/rimozione amianto ai sensi dell' art. 256 del D.Lgs. 81/08.
________

Le presenti Linee di indirizzo contengono le indicazioni per la redazione dei Piani di lavoro (PDL) per la rimozione dell’amianto o di materiali contenenti amianto in matrice compatta e friabile, sulla base di quanto stabilito dall’art. 256 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. La scheda relativa all’amianto in matrice compatta riguarda le coperture e le tubazioni in cementoamianto; per quanto riguarda le tubazioni, non sono comprese quelle interrate. Nella scheda relativa all’amianto in matrice friabile non è compresa la bonifica di amianto in matrice minerale, ballast e materiali dispersi nel terreno, nonché di materiali contenenti amianto utilizzati impropriamente (esempio polverino).

La finalità delle Linee di indirizzo è duplice: fornire alle imprese che devono eseguire questa tipologia di lavori indicazioni chiare per la redazione dei Piani di lavoro, omogeneizzare le valutazioni dei Piani che le Strutture S.Pre.S.A.L. delle ASL della Regione Piemonte devono effettuare, nel rispetto della normativa vigente e dell’obiettivo di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori occupati nei lavori di bonifica e la protezione dell’ambiente esterno. Prima di entrare nel merito della valutazione dei Piani di lavoro, sono di seguito riportati alcuni principi generali e richiami alla norma, sempre nell’ottica di uniformare l’attività dei Servizi e agevolare la redazione dei Piani.

Gli aspetti che il PDL deve contenere sono definiti dal comma 4 dell’art. 256 del D.Lgs. 81/08. Il presente documento entra nel merito di questi aspetti, definendo i contenuti minimi, irrinunciabili, del PDL. Il Piano dovrà essere redatto dal Datore di Lavoro della ditta esecutrice dei lavori (DL) secondo il contenuto delle schede allegate, che sostituiscono le disposizioni contenute nelle Circolari n. 151/48 del 08/01/1993 e n. 2794/48/768 del 26/04/1996 della Regione Piemonte. Anche i datori di lavoro che eseguono direttamente i lavori di rimozione, senza ausilio dei propri dipendenti, hanno l’obbligo di redigere il Piano di lavoro. Copia del PDL deve essere inviato dal DL alla Struttura S.Pre.S.A.L. competente per territorio almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori.

Nelle more della predisposizione del sistema di invio telematico il PDL dovrà essere inviato privilegiando il formato digitale. La trasmissione del PDL alla Struttura S.Pre.S.A.L. non comporta per il Datore di lavoro alcun onere economico. Nei casi di rimozione di materiali contenenti amianto per i quali è prevista la certificazione di restituibilità, si dovrà prevedere il pagamento alla predetta Struttura delle tariffe stabilite dalla DGR n. 42-12939 del 5 luglio 2004. Visto che l’art. 256 c. 4 lett. g) del D.Lgs. 81/08 prevede l’obbligo di comunicare all’organo di vigilanza anche la data di inizio dei lavori e la loro durata presumibile, il DL deve indicare nel PDL la data di inizio e il programma dei lavori, con il cronoprogramma dell'effettiva attività di bonifica.

Qualora la data di inizio lavori o il cronoprogramma indicati nel PDL non siano rispettati, deve essere inviata comunicazione alla Struttura S.Pre.S.A.L. almeno 3 giorni lavorativi prima delle modifiche che interverranno. Tutti i Piani di Lavoro che pervengono alle Strutture S.Pre.S.A.L, di norma, devono essere valutati entro 30 giorni dalla data di arrivo. Se entro tale periodo la Struttura non formula motivata richiesta di integrazione o modifica del Piano e non rilascia prescrizione operativa, il DL può eseguire i lavori e le Strutture SPreSAL non devono comunicare l’adeguatezza del PDL. Se, invece, la Struttura formula motivata richiesta di integrazione/modifica del PDL o rilascia prescrizioni operative, il DL non può eseguire i lavori. 

La presentazione da parte del DL delle integrazioni richieste o del PDL modificato, fanno ripartire l’iter di cui sopra e pertanto l’organo di vigilanza avrà nuovamente 30 gg. di tempo per valutare i nuovi documenti ed eventualmente formulare una nuova richiesta di integrazione o modifica del PDL nonché rilasciare prescrizioni operative. Qualora la valutazione dell’organo di vigilanza dia esito positivo prima della nuova scadenza, si procederà ad informare per iscritto il DL della possibilità di iniziare i lavori, con le modalità sopra indicate (comunicazione almeno 3 giorni lavorativi prima dell’inizio dei lavori). L’obbligo del preavviso di 30 giorni prima dell’inizio dei lavori non si applica nei casi di urgenza.

Nel Piano di lavoro, in questo caso, oltre alla data di inizio, deve essere fornita dal DL l’indicazione dell’orario di inizio delle attività. I casi di urgenza sono rappresentati da lavori la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire incidenti imminenti in presenza di materiale pericolante o altri fattori di rischio, per organizzare urgenti misure di salvataggio o per garantire la continuità, in condizioni di emergenza, dell'erogazione di servizi essenziali per la popolazione, quali corrente elettrica, acqua, gas, reti di comunicazione. Al fine di evitare fraintendimenti, la committenza o l’impresa incaricata possono contattare la Struttura S.Pre.S.A.L. territorialmente competente per verificare se sussistano gli effettivi presupposti dell’intervento in urgenza.

REQUISITI DELLE IMPRESE
Come previsto dall’art. 256 c. 1 del D.Lgs. 81/08, i lavori di demolizione o di rimozione dell’amianto possono essere effettuati solo dalle imprese rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 212 commi 5 e 6 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Tutte le imprese, anche quelle individuali, devono quindi essere iscritte all'Albo Gestori Ambientali nella Categoria 10 – bonifica dei beni contenenti amianto (cfr. Deliberazione 30.03.2004 n. 1 del Comitato Nazionale dell’Albo Nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti).

FORMAZIONE DEI LAVORATORI
I lavoratori possono essere adibiti alle attività di bonifica amianto solo se in possesso di specifica abilitazione rilasciata a seguito della frequenza dei corsi di formazione professionale previsti dall’art. 10 c. 2 lett. h) della Legge n. 257/92. La Deliberazione della Giunta Regionale 12 dicembre 2016, n. 13-4341 “DCR n. 124-7279 del 1 marzo 2016. Attuazione del Piano Regionale Amianto per quanto riguarda i programmi formativi e le modalità di svolgimento dei corsi degli operatori che effettuano attività di bonifica, smaltimento dell'amianto, controllo e manutenzione” indica i contenuti della formazione per gli addetti alle attività di rimozione e di smaltimento dell’amianto e per i responsabili tecnici di gestione rimozione bonifica e smaltimento materiali contenenti amianto. Gli oneri per la formazione, l’informazione e l’addestramento dei lavoratori sono a carico del DL.

RESTITUIBILITÀ DELLE AREE BONIFICATE
L’art. 256 c. 4 lett. c) del D.Lgs. 81/08 stabilisce espressamente che il PDL contenga informazioni sulla “verifica dell'assenza di rischi dovuti all'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro, al termine dei lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto”. Tale verifica consiste nel visionare accuratamente l’area di cantiere per accertare l’assenza di residui di materiale contenente amianto. Ferma restando tale verifica, che deve essere condotta in tutti i casi dall’impresa esecutrice dei lavori, si dovrà richiedere alla Struttura S.Pre.S.A.L. la certificazione di restituibilità nei seguenti casi:

- rimozione amianto in matrice compatta in ambienti confinati;
- rimozione amianto in matrice friabile;
- rimozione amianto con tecnica del glove-bag se questa avviene in ambienti confinati

Alla richiesta della certificazione di restituibilità è necessario allegare copia del pagamento della tariffa prevista dalla DGR n. 42-12939 del 5 luglio 2004. La procedura di restituibilità si svolge in due fasi:

1) la Struttura S.Pre.S.A.L. effettua l'ispezione visuale degli ambienti secondo il D.M. 6/9/94; in caso di ispezione visuale con esito negativo saranno formulate prescrizioni operative e concordata una nuova ispezione visuale, da effettuare quando le prescrizioni operative saranno state realizzate;
2) se l’ispezione visuale ha dato esito positivo, saranno effettuati i campionamenti e l’analisi dell’aria con metodologia SEM (microscopia elettronica a scansione), secondo il D.M. 6/9/94.
I costi del campionamento e delle analisi sono a carico del committente.

D.Lgs. 81/2008

Art. 256 (1). Lavori di demolizione o rimozione dell'amianto

1. I lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto possono essere effettuati solo da imprese rispondenti ai requisiti di cui all'articolo 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

2. Il datore di lavoro, prima dell'inizio di lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto o di materiali contenenti amianto da edifici, strutture, apparecchi e impianti, nonché dai mezzi di trasporto, predispone un piano di lavoro.

3. Il piano di cui al comma 2 prevede le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro e la protezione dell'ambiente esterno.

4. Il piano, in particolare, prevede e contiene informazioni sui seguenti punti:

a) rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto prima dell'applicazione delle tecniche di demolizione, a meno che tale rimozione non possa costituire per i lavoratori un rischio maggiore di quello rappresentato dal fatto che l'amianto o i materiali contenenti amianto vengano lasciati sul posto;

b) fornitura ai lavoratori di idonei dispositivi di protezione individuale;

c) verifica dell'assenza di rischi dovuti all'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro, al termine dei lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto;

d) adeguate misure per la protezione e la decontaminazione del personale incaricato dei lavori;

e) adeguate misure per la protezione dei terzi e per la raccolta e lo smaltimento dei materiali;

f) adozione, nel caso in cui sia previsto il superamento dei valori limite di cui all'articolo 254, delle misure di cui all'articolo 255, adattandole alle particolari esigenze del lavoro specifico;

g) natura dei lavori, data di inizio e loro durata presumibile;

h) luogo ove i lavori verranno effettuati;

i) tecniche lavorative adottate per la rimozione dell'amianto;

l) caratteristiche delle attrezzature o dispositivi che si intendono utilizzare per attuare quanto previsto dalle lettere d) ed e).

5. Copia del piano di lavoro è inviata all'organo di vigilanza, almeno 30 giorni prima dell'inizio dei lavori. Se entro il periodo di cui al precedente capoverso l'organo di vigilanza non formula motivata richiesta di integrazione o modifica del piano di lavoro e non rilascia prescrizione operativa, il datore di lavoro può eseguire i lavori. L'obbligo del preavviso di trenta giorni prima dell'inizio dei lavori non si applica nei casi di urgenza. In tale ultima ipotesi, oltre alla data di inizio, deve essere fornita dal datore di lavoro indicazione dell'orario di inizio delle attività.

6. L'invio della documentazione di cui al comma 5 sostituisce gli adempimenti di cui all'articolo 250.

7. Il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori o i loro rappresentanti abbiano accesso alla documentazione di cui al comma 4. 


______

(1) Accordo 20 gennaio 2016, rep. atti 5/CU - Accordo, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane, finalizzato alla completa informatizzazione degli adempimenti previsti dall’articolo 9, della legge 27 marzo 1992, n. 257 e dagli articoli 250 e 256, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, concernente le imprese che utilizzano amianto nei processi produttivi o che svolgono attività di smaltimento o di bonifica dell’amianto.

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 14352 | 28 Marzo 2018

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Sentenze cassazione penale

Delega di funzioni: onere della prova

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 14352 Anno 2018

Penale Sent. Sez. 3 Num. 14352 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GAI EMANUELA
Data Udienza: 10/01/2018

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 13 gennaio 2017, la Corte d'appello di Reggio Calabria, giudicando in sede di rinvio a seguito di sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione n. 33630/2016, in riforma della sentenza del Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria di condanna di B.G.M., previa dichiarazione di non doversi procedere in relazione alle violazioni in materia antinfortunistica di cui ai capi B) e C) perché estinte per prescrizione, ha ridotto la pena inflitta al predetto B.G.M., a mesi otto di reclusione, in relazione al reato di cui agli artt. 113, 40, 589 comma 1 e 2 cod. pen. per avere, in concorso con T.D., quale datore di lavoro responsabile e direttore di cantiere, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazioni delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 13 comma 1, 77 del d.P.R. 164 del 1956, artt. 14 e 77 del d.P.R. 164 del 1956, art. 4 lett. c) e 289 lett. C) del d.P.R. n. 547 del 1955) cagionato la morte del lavoratore B.G. il quale, collocato sul fondo dello scavo in qualità di addetto al controllo delle fasi di scavo per individuare la quota della falda di acqua, in assenza delle prescritte armature di sostegno dello scavo, privo di casco e ogni dispositivo di sicurezza e di adeguata formazione, per un franamento di una porzione di parete dello scavo veniva travolto e decedeva in conseguenza di uno schiacciamento toracico con emorragia addominale. In Bova Marina il 15 gennaio 2004.

2. Nel ripercorrere brevemente la vicenda processuale, deve darsi atto che il Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza in data 29 marzo 2007, all'esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato gli imputati B.G.M. , datore di lavoro responsabile e direttore del cantiere e T.D., direttore di cantiere e preposto, responsabili del reato di omicidio colposo per aver cagionato, con condotte indipendenti e per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia e violazione di legge (vedi supra par.l), la morte del lavoratore B.G. (capo A) e delle contravvenzioni sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all'art. 4 co. 5 punto d) D.Lgs n. 626/94, perché non forniva al lavoratore B.G. i necessari dispositivi di protezione individuali (capo B) e di cui all'art. 4 co. 5 punto e) D.Lgs n. 626/94, perché non prendeva le misure appropriate affinché il lavoratore B.G., che non aveva ricevuto le adeguate istruzioni, non accedesse alla zona dello scavo che lo esponeva ad un rischio grave e specifico e, riconosciute in favore di entrambi le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla aggravante contestata al capo A), unificati sotto il vincolo della continuazione i fatti — reato di cui ai capi B) e C), applicata la diminuente di cui al secondo comma dell'art. 442 cod.proc.pen., condannava B.G.M. alla pena di anni uno di reclusione per il capo A) e di complessivi € 2.500,00 per i reati di cui ai capi B) e C); T.D. alla pena di mesi otto di reclusione, con condanna per entrambi gli imputati al pagamento, In solido, delle spese processuali con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. La Corte d'appello di Reggio Calabria, pronunciandosi sull'appello degli imputati, con sentenza in data 16 giugno 2015, confermava la sentenza del Giudice dell'Udienza preliminare del locale Tribunale.

3. Investita dell'impugnazione del solo imputato B.G.M., la pronuncia di condanna è stata oggetto di annullamento da parte della Corte di cassazione che ne ha censurato l'iter logico argomentativo sull'imputazione soggettiva, avendo la sentenza impugnata fatto confusione sulle diverse figure del delegato e del preposto, con rinvio per un nuovo giudizio al fine di chiarire: "senza equivoci qual era il ruolo ricoperto dal B.G.M. (era anche direttore di cantiere, come si legge in imputazione?) e quali erano i rapporti sul piano organizzativo dell'azienda con il T.D.. Dovrà dare conto se esistesse un formale atto di delega rispondente ai criteri sopra ricordati. Dovrà, soprattutto, chiarire, se il T.D. fosse un delegato ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 o un mero preposto, non dovendosi trascurare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il preposto e il datore di lavoro hanno due posizioni di garanzia distinte e concorrenti. E qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (cfr. ex multis Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850, in una fattispecie in cui questa Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto)".

4. La Corte d'appello di Reggio Calabria, all'esito del giudizio di rinvio, previa declaratoria di estinzione delle contravvenzioni di cui ai capi B) e C) per prescrizione, ha ridotto la pena inflitta al B.G.M. a mesi otto di reclusione, confermando nel resto la sentenza.
In tale ambito, nei limiti del devoluto (cfr par. 3), la corte territoriale, in risposta al quesito oggetto del giudizio di rinvio in merito all'accertamento del ruolo ricoperto dal B.G.M. e dei rapporti, sul piano organizzativo, con il T.D., ha escluso l'esistenza di una delega di funzioni dal datore di lavoro al preposto T.D.. Tale conclusione è stata argomentata muovendo dalle risultanze della consulenza dell'ing. V., le cui conclusioni non sono state messe in dubbio dalla difesa. Ha riportato, la corte territoriale, nella parte motiva della sentenza, il passo della consulenza tecnica in atti (trattasi di giudizio abbreviato) nella quale il consulente dava atto di aver individuato nel B.G.M. il datore di lavoro, e di aver richiesto alla società se esistessero deleghe in capo ai preposti non ottenendo alcuna risposta. Da tale circostanza fattuale non contestata, la Corte d'appello reggina ha tratto la conclusione dell'assenza di delega di funzioni in capo a terzi da parte del B.G.M. e la sua conseguente responsabilità quale datore di lavoro. Ma ancora, la corte territoriale, nel riportare le conclusioni dell'ing. V., ha rilevato che il datore di lavoro aveva omesso di adottare quanto previsto nel piano di sicurezza e quanto previsto nella normativa vigente e, in particolare, quanto previsto al punto P18 del Piano operativo di sicurezza e ha concluso che alcuna delega, ex art. 16 D.lvo del 9 aprile 2008, n. 81, era stata conferita al T.D., che neppure il POS conteneva alcuna delega e che, conclusivamente, il B.G.M., quale datore di lavoro, era responsabile della morte del lavoratore B.G., essendo soggetto dotato del potere di vigilanza e di garanzia, la cui posizione di garanzia si affiancava a quella del preposto, essendo entrambi titolari per intero dell'obbligo di tutela imposto dalla legge per cui l'omessa applicazione delle cautele antinfortunistiche era al medesimo addebitabile al pari dell'omicidio colposo conseguente alla violazione degli obblighi antinfortunistiche.
Ha evidenziato, ancora la Corte d'appello, che il POS, nell'aggiornamento nell'ottobre 2003, conteneva l'indicazione a pagina 4 della ulteriore qualifica del B.G.M. quale direttore di cantiere, sicché aggiungeva alla qualifica di datore di lavoro anche quella di direttore di cantiere. Infine, una notazione: la fotografia della cartellonistica segnaletica dei lavori indicava il solo geom. T.D. quale direttore di cantiere e il geom. B.G.M. quale direttore tecnico di impresa, a sottolineare la particolare competenza tecnica del legale rappresentante dell'impresa, sicché la circostanza che egli non fosse presente sul luogo al momento del fatto non era, secondo i giudici del merito, circostanza idonea e sufficiente ad escludere la sua responsabilità per le scelte adottate in sua assenza dal T.D., in presenza di carenze registrate e ripetute violazioni alle disposizioni in tema di prevenzione degli infortuni sul luoghi di lavoro (non da ultima la circostanza che il lavoratore risultava assunto il giorno dell'incidente a fronte di un testimoniale che indicava la sua presenza anche in epoca precedente).

5. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso per cassazione i difensori di fiducia di B.G.M., e ne hanno chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
Con un unico articolato motivo deducono la nullità della sentenza per mancanza di motivazione ex art 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen.
La Corte d'appello, nel rispondere al quesito della sentenza della Corte di cassazione, avrebbe escluso l'esistenza di una delega di funzioni del datore di lavoro in materia di prevenzione sugli infortuni sul lavoro per mancanza di un documento scritto, ritenendo di affermare, sulla scorta della consulenza dell'ing. V., l'assenza di qualsivoglia delega dal B.G.M. al preposto T.D.. 
Dalla lettura della sentenza non si comprenderebbe la ragione per la quale il giudice dell'impugnazione fosse pervenuto a tale conclusione considerato che, ad oggi, la lettera dell'articolo 16 d.lvo n. 81 del 2008, e l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, non impongono la forma scritta alla delega di funzioni, posto che l'efficacia dell'atto di delega è subordinata unicamente all'esistenza dei requisiti di certezza, precisione, specificità, giusta causa, idoneità e consenso del delegato, a prescindere dalla forma impiegata. A fronte di un quadro giurisprudenziale come quello appena citato, la sentenza avrebbe dovuto offrire una motivazione sulle ragioni per le quali, nel caso concreto, aveva ritenuto di sposare la relazione del consulente del pubblico ministero e partire dal presupposto che la delega di funzioni, per pervenire a giuridica esistenza, dovesse essere sviluppata in un documento scritto.
La sentenza impugnata sarebbe caduta in un ulteriore errore.
Come noto, infatti la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che in tema di individuazione della responsabilità penale nelle strutture complesse, la necessità che la delega di funzioni da parte dei vertici aziendali ai soggetti preposti debba avere forme espresse e chiaro contenuto non comporta la necessità della forma scritta, richiesta nel solo settore pubblico, atteso che solo in campo amministrativo sussiste l'esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi al fine di predicare all'esterno la posizione assunta all'interno della struttura. A nulla rileverebbe, così, la circostanza descritta dal consulente del pubblico ministero della mancata individuazione di una delega scritta e la sentenza che ne recepisce le conclusioni avrebbe offerto una motivazione solo apparentemente esistente, così da integrare il denunciato vizio di cui all'art. 606 lett. e) cod.proc.pen.
Sotto altro profilo la sentenza impugnata non avrebbe stabilito con certezza se il B.G.M. avesse ricoperto la carica di direttore di cantiere, così come indicato nel capo d'imputazione, concludendo, la sentenza, in senso affermativo mediante mero rinvio al POS. In tale ambito la sentenza impugnata avrebbe omesso di tener conto di un elemento significativo, emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale, ovvero che la circostanza che la vittima era stata assunta alle dipendenze dalla ditta la stessa mattina deN'infortunio, sicché non avrebbe potuto, il B.G.M., adempiere agli obblighi di informazione e formazione previsti delle normative antinfortunistiche. Per questi motivi chiedono l'annullamento della sentenza.

6. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è fondato per quanto qui di seguito esposto.

2. La sentenza impugnata poggia su una ratio decidendi adeguatamente motivata e corretta in diritto.
Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, a partire da S.U. 14 ottobre 1992 n. 9874, Giuliani Rv. 191185, l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'Igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale). Sotto altro profilo, la più recente giurisprudenza di legittimità, come ricordato dal ricorrente, ritiene che in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa, fermo restando, comunque, l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (cfr. S.U., n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261108; Sez. 4, n. 4350 del 16/12/2015, Raccuglia, Rv 265947; Sez. 4, n. 39158 del 18/01/2013, Zugno, Rv. 256878) e, quanto alla forma della stessa, all'esito di una elaborazione giurisprudenziale formatasi nel corso degli anni, l'efficacia devolutiva della delega di funzioni è subordinata all’esistenza di un atto traslativo dei compiti connessi alla posizione di garanzia del titolare, che sia connotato dai requisiti della chiarezza e della certezza, I quali possono sussistere a prescindere dalla forma Impiegata, non essendo richiesta per la sua validità la forma scritta né "ad substantiam" né "ad probationem" ( Sez. 3, n. 3107 del 02/10/2013, Caruso, Rv 259091; Sez. 4, n. 2592 del 28/09/2006, Di Lorenzo, Rv. 235564; Sez. 4, n. 36774 del 30/06/2004, Capaldo, Rv. 229694, Sez, 4, n. 22345 del 21/05/2003, Ribaldi ed altri, nella quale espressamente si ritiene necessario "che sia rigorosamente provata l'esistenza di una delega espressamente e formalmente conferita", dove il secondo avverbio viene riferito ad una delega in forma scritta, però, "ad probationem", ed ancora sulla necessità di un atto "espresso, inequívoco e certo", Sez. 3, 18 giugno 2003 n. 26189, Piombini; Sez. 4, 1 luglio 2003 n. 27939, Benedetti; Sez. 3, 26 maggio 2003 n. 22931, Conci). 

3. La sentenza impugnata ha ritenuto che non vi fosse una delega di funzioni al preposto e ciò sulla scorta dell'accertamento compiuto dal consulente del P.M. che, non avendo trovato alcuno scritto contenente una delega di funzioni, aveva chiesto espressamente dell'esistenza dell'atto alla società di cui l'imputato è legale rappresentante, non ottenendo da questi alcuna risposta, circostanza fattuale non contestata dalla difesa, sulla scorta della quale, in ragione di un corretto sillogismo, immune da profili di illogicità, ha ritenuto l'assenza di delega di funzioni da parte del B.G.M. in capo al preposto T.D..
In altri termini, la corte territoriale ha tratto il convincimento dell'assenza di conferimento di una delega di funzioni in materia di prevenzioni di infortuni sul lavoro al preposto, dal mancato rinvenimento di un atto scritto di delega e dall'assenza di risposta da parte del datore di lavoro circa l'esistenza di un conferimento di delega di funzioni a prescindere dalla forma dello stesso. La circostanza che all'espressa richiesta avanzata dal consulente del P.M., il datore di lavoro alcun riscontro alla stessa avesse offerto, è stata ritenuta prova dell'inesistenza di un conferimento di una delega di funzioni tout court.
Sul punto il ricorrente cade in un equivoco: la Corte d'appello non ha escluso l'esistenza di una delega di funzioni per l'assenza di un atto di delega avente forma scritta e, dunque, non ha ritenuto la necessità che delega di funzioni debba essere conferita con la forma scritta e provata con la medesima forma, ma ha escluso il conferimento di una delega di funzioni perché non provata in alcun modo e, dunque, non esistente.
Di fronte all'esplicita richiesta avanzata dal consulente del P.M. rivolta al datore di lavoro, questi, che non contesta di aver ricevuto la richiesta, nulla ha osservato e dedotto; non ha neppure asserito, a sua discolpa, di aver delegato terzi, circostanza questa che, se provata, avrebbe comportato, poi, il vaglio sui requisiti per esonerare dalla responsabilità il delegante come individuati dalla giurisprudenza di legittimità.
A tal ultimo proposito, va ricordato che i nodi problematici che riguardano l'onere della prova della delega ed i requisiti di forma sono stati risolti nella giurisprudenza di legittimità e, quanto al primo profilo, dai principi generali secondo cui la prova del fatto costituente reato deve essere fornita dalla pubblica accusa, mentre la delega di funzioni, trattandosi di una causa di esclusione di responsabilità, deve essere dimostrata da chi l'allega (Sez. 4, n. 39158 del 18/01/2013, Zugno, Rv. 256878; Sez. 3, n. 19642 del 06/03/2003, Rossetto, Rv. 224848; Sez. 4, n. 37470 del 02/10/2003, Rv. 226228). Quanto al secondo profilo inerente ai requisiti della delega, secondo la prevalente giurisprudenza, richiamata al par. 2, la stessa deve riguardare un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa, fermo restando, comunque, l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.

4. Nel caso in scrutinio, l'imputato non ha dimostrato in alcun modo di aver conferito una delega di funzioni al preposto. E' mancata la prova della delega di funzioni sia essa mediante produzione di documento scritto, sia provata aliunde, sicché correttamente la Corte d'appello ha ritenuto che essa non fosse mai stata conferita dal B.G.M. al preposto. Il riferimento alla giurisprudenza in tema di forma della delega di funzioni, richiamate nel ricorso dalla difesa dell'imputato, e le conclusioni che ne trae non sono pertinenti e non colgono il fulcro della corretta decisione dei giudici del merito secondo cui alcuna delega di funzioni venne conferita dal datore di lavoro al preposto.

5. Né è pertinente il richiamo alla forma scritta necessaria nel settore pubblico. La necessità di delega scritta è richiesta, come affermato da Sez. 3, n. 39268 del 13/07/2004, Beltrami, Rv. 230088, solo in campo amministrativo, in presenza di datore di lavoro ente pubblico, poiché sussiste l’esigenza di una formalizzazione dei rapporti giuridici all'esterno, situazione tutt'affatto diversa da quella in esame in cui se è ben vero che erano svolti lavori affidati con contratto di appalto per conto dell'ANAS, il datore di lavoro era una impresa privata, sicché il richiamo giurisprudenziale è inconferente.

6. Conclusivamente deve essere affermato il principio di diritto secondo cui è onere di colui il quale invoca la delega di funzioni, la prova rigorosa della sua esistenza a prescindere da un atto formale scritto di delega.

7. Quanto al secondo profilo la sentenza impugnata è immune da censura di difetto di motivazione sotto il profilo della prova della carica di direttore di cantiere, risultando questo dal documento POS e anche dal cartellone esposto. Infine, priva di pregio l'ulteriore deduzione secondo cui la circostanza che il lavoratore era stato assunto la mattina dell'infortunio mortale (pur in presenza di dati testimoniali che indicavano una presenza anche nei giorni precedenti) non avrebbe consentito all'adempimento degli obblighi di informazione e formazioni, derivanti dalla normativa antinfortunistica, al contrario tale circostanza, lungi dall'escludere la responsabilità in capo al ricorrente, a ben vedere, ne aggravavano la posizione dimostrando, prima di tutto, l'inosservanza delle prescrizioni che impongono al datore di lavoro di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni.

8. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 10/01/2018

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Allegato riservato Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 14352 anno 2018.pdf
 
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Decreto 21 marzo 2018

ID 5883 | | Visite: 24771 | Prevenzione Incendi

Decreto 21 marzo 2018

Decreto 21 marzo 2018 Indicazioni programmatiche normativa antincendio edifici e locali adibiti a scuole

Update 22.09.2018

La Legge 21 settembre 2018, n. 108 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91 (Milleproroghe 2018) ha prorogato il termine per l'adegramento programmatico di asili e scuole al 31 dicembre 2018.

Legge 21 settembre 2018 n. 108 

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative.
(GU Serie Generale n.220 del 21-09-2018)

Art. 4 c. 2 (Proroga di termini in materia di istruzione, università e ricerca) 

(Decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, come modificato dalla presente Legge 21 settembre 2018 n. 108)

1. (Omissis). 
2. Il termine di adeguamento alla normativa antincendio per gli edifici scolastici ed i locali adibiti a scuola, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non si sia ancora provveduto al predetto adeguamento è stabilito al 31 dicembre 2018

2 -bis. Il termine per l’adeguamento alla normativa antincendio per gli edifici ed i locali adibiti ad asilo nido, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non si sia ancora provveduto all’adeguamento antincendio indicato dall’articolo 6, comma 1, lettera a) , del decreto del Ministro dell’interno 16 luglio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2014, è stabilito, in relazione agli adempimenti richiesti dalla citata lettera a), al 31 dicembre 2018. Restano fermi i termini indicati per gli adempimenti di cui alle lettere b) e c) dello stesso articolo 6, comma 1.

Vedi le nuove Tabelle di raccordo RT - Livelli livelli di priorità programmatica

Update 02.04.2018

Ministero dell'Interno

Applicazione della normativa antincendio agli edifici e ai locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado, nonché agli edifici e ai locali adibiti ad asili nido

Indicazioni programmatiche prioritarie per gli edifici scolastici e i locali adibiti a scuola

Con il DM 21 Marzo 2018 sono stabilite le "Indicazioni programmatiche prioritarie" per l'adeguamento di prevenzione incendi degli edifici scolastici e i locali adibiti a scuola e ai locali adibiti ad asili nido, livelli di priorità indicati con le lettere a/b/c e posti in relazione ai punti delle rispettive regole tecniche.

Tabelle di raccordo RT - Livelli livelli di priorità programmatica - Preview

Dettaglio punti RT Scuole e asili nido livelli di priorità D.M. 21/2018 - Preview

Disponibile per Abbonati:

1. Tabelle di raccordo adeguamento programmatico prevenzione incendi Scuole e Asilo nido, che illustrano quali sono gli aspetti della normativa antincendio per edifici e i locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado, nonché per gli edifici e i locali adibiti ad asili nido, oggetto di programmazione prioritaria, di cui al D.M. 21 marzo 2018 (GU n.74 del 29-03-2018).

2. Dettaglio singoli punti RT Scuole e asili nido e livelli di priorità individuati dal D.M. 21 marzo 2018.

Il D.M. in parola è stato pubblicato in quanto si è reso necessario definire indicazioni programmatiche prioritarie ai fini dell’adeguamento delle predette strutture alla normativa di sicurezza antincendio, visto che, alla data del 31 dicembre 2017 è scaduto il termine di adeguamento alla normativa antincendio, più volte prorogato:

- degli edifici e dei locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado di decreto del Ministro dell’interno 26 agosto 1992;

- degli edifici e locali adibiti ad asili nido, relativamente alle prescrizioni indicate all’art. 6, comma 1, lettera a), del decreto del Ministro dell’interno 16 luglio 2014 (già soggetta a piano proroga scadenze come "nuova attività" di cui al D.P.R. 151/2011).

Nelle tabelle allegate all'articolo, i punti dei requisiti dei 2 decreti in relazione ai livelli prioritari di adeguamento previsti dal DM 21 marzo 2018.

Adeguamento PI scuole asili tabelle livelli priorit  programmatica

Le scuole e gli asili sono compresi nell'attività 67 del D.P.R: 151/2011 (Scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie con oltre 100 persone presenti; Asili nido con oltre 30 persone presenti) con le categorie A/B/C:

 N.B. : Gli asili nido on oltre 30 persone presenti sono stati ricompresi nell'attività 67 del D.P.R. 151/2011 (già 85 del DM 16.02.1982) come "nuova attività", e come tale soggetta a proroga adeguamento):

PI scuole asili Adeguamento Programmatico prioritario 00


Nelle tabelle allegate all'articolo, i punti dei requisiti dei 2 decreti in relazione ai livelli prioritari di adeguamento previsti dal DM 21 marzo 2018:

tabella 1

Segue....

...

Decreto 21 marzo 2018

Preso atto che alla data del 31 dicembre 2017 è scaduto il termine di adeguamento alla normativa antincendio, più volte prorogato, degli edifici e dei locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado;

Preso atto che alla stessa data del 31 dicembre 2017 è, altresì, scaduto il termine di adeguamento degli edifici e locali adibiti ad asili nido, relativamente alle prescrizioni indicate all’art. 6, comma 1, lettera a), del decreto del Ministro dell’interno 16 luglio 2014;

Considerata la necessità di definire, in materia, indicazioni programmatiche prioritarie ai fini dell’adeguamento delle predette strutture alla normativa di sicurezza antincendio;

Decreta:

Art. 1. Finalità

1. Ai fini indicati nelle premesse, per l’adeguamento alla normativa antincendio degli edifici e dei locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado, nonché degli edifici e dei locali adibiti ad asili nido, sono definite le indicazioni programmatiche prioritarie previste dal presente decreto.

Art. 2. Indicazioni programmatiche prioritarie per gli edifici scolastici e i locali adibiti a scuola    Scuole  

1. Fatti salvi gli obblighi stabiliti dalla vigente legislazione in materia di prevenzione incendi ed in particolare dagli articoli 3 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, e ferma restando l’integrale osservanza del decreto del Ministro dell’interno 26 agosto 1992, le attività di adeguamento degli edifici e dei locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado, potranno essere realizzate secondo le seguenti indicazioni, attuative del citato decreto ministeriale, che fissano livelli di priorità programmatica:

livello di priorità a): disposizioni di cui ai punti 7.1, limitatamente al secondo comma, lettere a) e b) ; 8; 9.2; 10; 12;
livello di priorità b): disposizioni di cui ai punti 6.1; 6.2; 6.4; 6.6, limitatamente al punto 6.6.1; 9.3;
livello di priorità c): restanti disposizioni del citato decreto ministeriale.

2. Le attività di adeguamento di cui al presente decreto potranno essere effettuate, in alternativa, con l’osservanza delle norme tecniche di cui al decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 così come integrato dal decreto del Ministro dell’interno 7 agosto 2017. In tal caso le attività di adeguamento potranno essere articolate secondo modalità attuative che tengano conto delle indicazioni di cui al comma 1.

Art. 3. Indicazioni programmatiche prioritarie per gli edifici ed i locali adibiti ad asili nido   Asili Nido  

1. Fatti salvi gli obblighi stabiliti dalla vigente legislazione in materia di prevenzione incendi ed in particolare dagli articoli 3 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, e ferma restando l’integrale osservanza delle misure di sicurezza antincendio di cui all’art. 6, lettera a), del decreto del Ministro dell’interno 16 luglio 2014, le attività di adeguamento degli edifici e dei locali adibiti ad asili nido, potranno essere realizzate secondo le seguenti indicazioni, attuative del predetto art. 6, lettera a), che fissano livelli di priorità programmatica:

livello di priorità a): disposizioni di cui al punto 13.5, limitatamente ai punti 6.3, limitatamente al comma 1, lettere a) e b) , 6.4, 7.2, 9, limitatamente all’allarme acustico, 10, 11, 12 del citato decreto del Ministro dell’interno 16 luglio 2014;
livello di priorità b): disposizioni di cui ai punti 13.5, limitatamente ai punti 6.1, 6.2, 6.3 limitatamente al comma 1, lettera c) del decreto del Ministro dell’interno 16 luglio 2014;
livello di priorità c): restanti disposizioni di cui all’art. 6, lettera a) del citato decreto.

Art. 4. Sicurezza sui luoghi di lavoro

1. Restano ferme le disposizioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

DM 6 luglio 2014: Scadenze temporali PI asili nidi
...
Art. 6. Disposizioni transitorie e finali 

1. Fatti salvi gli obblighi stabiliti dalla vigente legislazione tecnica in materia di sicurezza e di prevenzione incendi, gli asili nido esistenti di cui all’art. 4, comma 3, sono adeguati ai requisiti di sicurezza antincendio previsti ai seguenti punti della regola tecnica allegata al presente decreto entro i termini temporali di seguito indicati: 

a) entro il termine previsto dall’art. 11, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151 e successive modificazioni, per i seguenti punti del Titolo III: 13.1; 13.2; 13.3; 13.4 e 13.5, limitatamente ai punti 3.5, 6, 7.2, 9, 10, 11, 12; 

b) entro due anni dal termine previsto alla lettera a) per il punto 13.5 del Titolo III, limitatamente ai punti 3.3, 7.3 e 8;    7 ottobre 2019 

c) entro 5 anni dal termine previsto alla lettera a) per i restanti punti del 13.5 del Titolo III. 2. Il progetto di cui all’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, deve indicare le opere di adeguamento ai requisiti di sicurezza di cui alle lettere a) , b) e c) del comma 1.  7 ottobre 2022 

3. Al termine degli adeguamenti previsti al comma 1 e, comunque alla scadenza dei rispettivi termini previsti, deve essere presentata la segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151.
 

GU n.74 del 29-03-2018

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Decreto Interministeriale 06 marzo 2013

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Formatore sicurezza Decreto 6 marzo 2013

Formatori sicurezza: Decreto Interministeriale 06 marzo 2013

ID 5876 | Update News: 07.09.2022

Documenti, Interpelli, sintesi e precisazioni della qualificazione sulla figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro

Il Decreto Interministeriale del 06 marzo 2013 detta i criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro individuati dalla Commissione consuntiva permanente per la salute e sicurezza su lavoro ai sensi dell'art. 6, comma 8, lett. m-bis) del D.Lgs 81/08 e s.m.i.

(GU n. 65 del 18 marzo 2013)

Vedi Documento 2022

I criteri della figura del formatore, introdotti dal decreto interministeriale del 6/03/2013, non costituiscono una novità assoluta in tema di formazione relativamente alla salute e alla sicurezza sul lavoro, in quanto ad indicare per la prima volta i requisiti minimi per la figura del docente è stato l’Accordo Stato-Regioni del 2006 (prima dell'emanazione del decreto interministeriale del 6/03/2013) con riferimento ai percorsi formativi previsti in funzione dello svolgimento del ruolo di RSPP/ASPP.

Conseguentemente nell'Accordo Conferenza Stato-Regioni n. 128/CSR del 7 luglio 2016 relativo sempre ai percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, nell’indicazione dei Requisti del Docente sono espressamente riportati i requisiti previsti dal decreto interministeriale del 6/03/2013.

Accordo Conferenza Stato-Regioni  n. 128/CSR del 7 luglio 2016
...
3. REQUISITI DEl DOCENTI

I corsi devono essere tenuti da docenti in possesso dei requisiti previsti dal Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministro della Salute del 6 marzo 2013, emanato in attuazione dell'articolo 6, comma 8, lettera m-bis), del d.lgs. n. 81/2008

D.Lgs 81/08 e s.m.i.

Art. 6. Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul Lavoro

8. La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha il compito di:
...
m-bis) elaborare criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, anche tenendo conto delle peculiarità dei settori di riferimento;

 
Sintesi

Il decreto 6 marzo 2013, entrato in vigore il 18 marzo 2014 definisce i criteri di qualificazione della figura di formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, dei quali deve essere in possesso il docente dei corsi di formazione per datori di lavoro che intendano svolgere i compiti dei servizio di prevenzione e protezione nonché per lavoratori, dirigenti e preposti.

Tale decreto, oltre ad individuare i requisiti che tali formatori dovevano avere alla data di entrata in vigore dello stesso, riepilogata nell’allegata tabella, stabiliva la periodicità dell’aggiornamento.

La materia della sicurezza, infatti, prevede crediti formativi da acquisire nel corso di specifici archi temporali, per tutti gli attori della sicurezza, compresi ovviamente gli stessi formatori, per i quali tale periodicità è a carattere triennale.

Rispetto alle modalità con cui svolgere l’aggiornamento, per i “docenti-formatori” vi sono tre interpelli:

Interpello n. 21/2014 del 6 ottobre 2014;
Art. 12, D.lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni – risposta al quesito relativo ai criteri di qualificazione del docente formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Interpello n. 2/2015 del 24 giugno 2015.
Art. 12, D.lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni – risposta al quesito relativo ai criteri di qualificazione del docente formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Interpello n. 9/2015 del 2 novembre 2015
Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - risposta al quesito relativo il decreto interministeriale 6 marzo 2013

Prerequisito

Istruzione: Diploma di scuola secondaria di secondo grado

Il prerequisito non è richiesto per i datori di lavoro che effettuano formazione ai propri lavoratori.

REQUISITI DEL DOCENTE FORMATORE ALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DEL D.I. 2013

 

CONOSCENZA /FORMAZIONE

ESPERIENZA LAVORATIVA

CAPACITÀ DIDATTICA

1  

Precedente esperienza come docente esterno,
per almeno 90 ore negli ultimi tre anni, nell'area
tematica oggetto della docenza

Precedente esperienza come docente esterno, per
almeno 90 ore negli ultimi tre anni, nell’area
tematica oggetto della docenza

---

2

Laurea
(vecchio ordinamento, triennale, specialistica o magistrale)
coerente con le materie oggetto della docenza, ovvero corsi
post-laurea (dottorato di ricerca, perfezionamento, master, specializzazione, ecc.) nel campo della salute e sicurezza
sul lavoro

---

Percorso formativo in didattica, con esame finale, della durata minima di 24 ore (ad esempio, corso di formazione-formatori), o
abilitazione all’insegnamento, o
conseguimento (presso Università od Organismi accreditati) di un diploma triennale in Scienza della Comunicazione o di un Master in Comunicazione

ovvero, in alternativa, (*)

precedente esperienza come
docente, per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni, in materia di salute e sicurezza sul lavoro

Ovveroin alternativa, (*)

precedente esperienza come
docente, per almeno 40 ore negli ultimi tre anni, in qualsiasi materia

Ovvero, in alternativa, (*)

corso/i formativo/i in affiancamento a docente, in
qualsiasi materia, per almeno 48 ore negli ultimi 3 anni

 

 

 

3

Attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento,
a corso/i di formazione della durata di almeno 64 ore in
materia di salute e sicurezza sul lavoro (organizzato/i da
soggetti abilitati ad erogare la formazione per RSPP/ASPP
ai sensi dell’art. 32, comma 4, del Decreto Legislativo n. 81/2008)

Esperienza lavorativa o professionale di almeno dodici mesi, coerente con l’area tematica oggetto della
docenza

4

Attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento,
a corso/i di formazione della durata di almeno 40 ore in
materia  di salute e sicurezza sul lavoro (organizzato/i
degli stessi soggetti di cui al criterio 3)

Esperienza lavorativa o professionale di almeno
diciotto mesi, coerente con l’area tematica oggetto
della docenza

5

---

Esperienza lavorativa o professionale almeno triennale
nel campo della salute e sicurezza sul lavoro, coerente
con l’area tematica oggetto della docenza

6

---

Esperienza di almeno sei mesi nel ruolo di RSPP, o di almeno dodici mesi nel ruolo di
ASPP  (solo per docenze nell’ambito
del macro-settore ATECO di riferimento)

Aggiornamento

Ai fini dell'aggiornamento professionale, il formatore-docente è tenuto con cadenza triennale, alternativamente:

- alla frequenza, per almeno 24 ore complessive nell'area tematica di competenza, di seminari, convegni specialistici, corsi di aggiornamento, organizzati dai soggetti di cui all'articolo 32, comma 4, del d.Lgs n. 81/2008 s.m.i.. Di queste 24 ore almeno 8 ore devono essere relative a corsi di aggiornamento;

- ad effettuare un numero minimo di 24 ore di attività di docenza nell'area tematica di competenza.

Il triennio decorre, per i formatori docenti già qualificati alla data di entrata in vigore del D.M. 2013, dal 18 marzo 2014; per tutti gli altri, il triennio decorre dalla data di effettivo conseguimento della qualificazione (prima data decorre: 18 marzo 2017)

D. Lgs. 81/2008
...
Art. 32 Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni

1. Le capacità ed i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.

2. Per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti di cui al comma 1, è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore nonché di un attestato di frequenza, con verifica dell'apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.
Per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di cui al precedente periodo, è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell'apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato di cui all'articolo 28, comma 1, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali. I corsi di cui ai periodi precedenti devono rispettare in ogni caso quanto previsto dall'accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 febbraio 2006, e successive modificazioni.
3. Possono altresì svolgere le funzioni di responsabile o addetto coloro che, pur non essendo in possesso del titolo di studio di cui al comma 2, dimostrino di aver svolto una delle funzioni richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003 previo svolgimento dei corsi secondo quanto previsto dall'accordo di cui al comma 2.
4 I corsi di formazione di cui al comma 2 sono organizzati dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, dalle università, dall'ISPESL, dall'INAIL, o dall'IPSEMA per la parte di relativa competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco dall'amministrazione della Difesa, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione e dalle altre Scuole superiori delle singole amministrazioni, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o dagli organismi paritetici, nonché dai soggetti di cui al punto 4 dell'accordo di cui al comma 2 nel rispetto dei limiti e delle specifiche modalità ivi previste. Ulteriori soggetti formatori possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
...

(*) Interpello 9/2015 - Precisazioni sul termine "alternativamente"

Il decreto 6 marzo 2013 “stabilisce l'obbligo di aggiornamento professionale, con cadenza triennale, per il formatore-docente”.

E il triennio “decorre:
- dalla data di applicazione (12 mesi dopo la pubblicazione su G.U.) per chi è già qualificato a tale data; (18 marzo 2014)
- dalla data di effettivo conseguimento della qualificazione per gli altri”.
 
In particolare, come abbiamo già visto, la Commissione ricorda che “l'obbligo di aggiornamento si articola in due diverse modalità, il formatore-docente é tenuto alternativamente:
- alla frequenza, per almeno 24 ore complessive nell'area tematica di competenza, di seminari, convegni specialistici, corsi di aggiornamento, organizzati dai soggetti di cui all'articolo 32, comma 4, del d.lgs n. 81/2008 s. m. i. Di queste 24 ore almeno 8 ore devono essere relative a corsi di aggiornamento;
- ad effettuare un numero minimo di 24 ore di attività di docenza nell 'area tematica di competenza”.
 
Con il termine "alternativamente" – indica la Commissione Interpelli – “il legislatore ha inteso dare la possibilità al formatore-docente di scegliere liberamente la tipologia di aggiornamento più confacente alla sua figura e non ha, viceversa, inteso che le due modalità vadano alternate nei consecutivi trienni ovvero per tre anni solo docenza e per i tre anni successivi solo corsi di aggiornamento e convegni”. 
 
 
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