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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 34734 | 07 Dicembre 2020

ID 12278 | | Visite: 1346 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 07 dicembre 2020, n. 34734

Malore mortale all'interno della cella di surgelazione. Impianto privo di ossimetro e di segnalazione acustica o luminosa e deficienze del DVR sui rischi in Ambiente confinato

Penale Sent. Sez. 4 Num. 34734 Anno 2020Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: NARDIN MAURA
Data Udienza: 24/09/2020

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 13 settembre 2018 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Treviso con cui F.F., nella qualità legale rappresentante della Surgenuin s.n.c., è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589, comma 2A cod. pen., per avere causato, con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all'art. 66 d.lgs. 81/2008, la morte -per insufficienza multiorgano post ipotermia accidentale- di R.B., che, entrato nella cella di surgelazione I.Q.F. n.6 e, in particolare, nell'apertura di ispezione, a seguito di malore, non era in grado di rispondere al collega L.D., il quale, provvedeva a chiudere la porta aperta, ritenendo che la cella fosse vuota, prima di avviare nuovamente l'immissione di azoto.
2. Il fatto per come accertato dalla sentenza di primo grado -e ripreso dalla Corte territoriale- può essere riassunto come segue. L'operaio R.B., cui erano attribuite mansioni generiche, venne rinvenuto alle ore 18,25 del 9 agosto 2012, all'interno della cella di surgelazione IQF, dove si raccoglieva il prodotto in lavorazione, in stato di incoscienza, dai colleghi di lavoro, intenti a cercarlo da circa 20 minuti. Immediatamente soccorso, decedeva il giorno successivo per insufficienza multiorgano post ipotermia accidentale. Nessuno poté osservare la dinamica del sinistro e, tuttavia, nel corso delle ricerche del lavoratore il dipendente L.D., trovata la cella aperta e l'erogatore dell'azoto chiuso, dopo avere chiamato il R.B., non ottenendo risposta, richiuse la porta e riavviò l'azoto. Furono riscontrate dalle indagini dello SPISAL le seguenti carenze: assenza nel DVR della valutazione dei rischi connessi all'uso dell'azoto in ambiente chiuso, con conseguente mancata specifica formazione del personale sul punto; assenza di un sistema di sicurezza -ossimetro- finalizzato alla segnalazione di un livello di ossigeno ed idoneo ad impedire l'apertura della porta in condizioni di rischio od a disattivare il funzionamento degli apparati meccanici in caso di porta aperta; assenza di strumenti di protezione individuale (autorespiratori), per coloro che dovevano accedere alla cella, anche per interventi di soccorso. Le sentenze danno atto che nell'impossibilità di ricostruire le esatte ragioni dell'ingresso di R.B. nella cella, nonché la dinamica della caduta all'interno della vasca, attraverso un foro della misura di cm. 40X40, è stato, nondimeno, appurato che R.B. osservò due delle tre prescrizioni impartite per l'accesso- mantenimento della porta aperta, disattivazione dell'azoto- senza però provvedere a dare avviso ad almeno un collega del suo ingresso nella cella, come previsto. Mentre non è risultato possibile accertare quanto tempo il lavoratore attese dal momento dall'apertura della porta e dello spegnimento dell'azoto, prima di accedere all'interno, essendo stato stabilito, nelle prescrizioni impartite, un intervallo minimo di almeno un minuto. Dunque, il lavoratore, le cui mansioni generiche includevano anche l'accesso alla vasca per effettuare controlli sul prodotto in lavorazione, si introdusse nella cella, ivi perdendo i sensi per l'eccessiva quantità di azoto presente, scivolando attraverso il pertugio nella vasca di lavorazione, dove venne rinvenuto dai colleghi. Sia la sentenza di primo grado che quella di secondo grado escludono l'intenzione suicidiaria del lavoratore, avendo il medesimo spento i macchinari, prima di introdursi nella cella, azione questa incompatibile con una simile volontà. Parimenti hanno ritenuto non incompatibile con la caduta accidentale la ridotta larghezza dell'apertura di ispezione, considerandola sufficiente al passaggio del corpo di un uomo di medie dimensioni, soprattutto se posto di fianco. Le decisioni hanno escluso, altresì, l'abnormità del comportamento del lavoratore, posto che, seppure questi disattese le regole fondamentali prescritte per evitare infortuni all'interno della cella -la cui pericolosità era nota ai lavoratori- il datore di lavoro avrebbe dovuto prevedere che un lavoratore, anche per mera superficialità, ponesse in essere condotte errate. Sicché la mancata adozione di misure preventive efficaci, idonee ad impedire l'accesso alla cella, in presenza di concentrazioni di azoto tossiche per l'uomo, è stata ritenuta condotta colposa causalmente connessa all'evento dannoso.
3. Avverso la sentenza della Corte di appello F.F., a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi.
4. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett. e), il vizio di motivazione, rilevabile dal provvedimento impugnato e dagli atti del procedimento, in ordine alla ritenuta accidentalità della caduta ed alla causa della morte. Osserva che la Corte territoriale nel discostarsi dalla ricostruzione del primo giudice, secondo il quale R.B. sarebbe entrato nella vasca intenzionalmente, ha ritenuto, con argomentazioni del tutto prive di supporto scientifico, ed avulse da accertamenti anche sperimentali, che la caduta e la posizione finale del corpo non fossero incompatibili con un evento accidentale, senza tenere in considerazione la relazione dei funzionari Spisal. Secondo il parere espresso dai tecnici, infatti, nell'impossibilità di ricostruire la dinamica del sinistro, appare 'inverosimile che una persona possa, nella postazione sopra la scala a gradini di ispezione al contenitore, cadere completamente all'interno del contenitore stesso ad esempio a seguito di uno svenimento, di un malore o del semplice scivolamento. Al massimo, infatti, l'operatore potrebbe rimanere incastrato all'interno dell'apertura quadra della tramoggia. A fronte di ciò la decisione della Corte d'appello si limita ad asserire che, contrariamente a quanto affermato nel rapporto Spisal, l'apertura fosse sufficientemente larga da consentire il passaggio della parte inferiore del corpo, dal bacino in giù, di un uomo di medie dimensioni, soprattutto se posto di fianco. E ciò senza basarsi su dati di alcun genere. Assume che, d'altro canto, R.B. fu rinvenuto riverso all'interno della vasca con l'intero corpo e non solo dal bacino in giù, il che dimostra l'inconsistenza dell'apparato argomentativo della sentenza, nella parte in cui riconosce l'assenza di ragioni di un accesso volontario all'interno della vasca, ma poi conclude per una caduta accidentale, incompatibile con la conformazione del luogo. Il che implica quale unica spiegazione plausibile l'accesso volontario all'interno del vascone. Sostiene che solo dalla supposta caduta accidentale, non sorretta da alcuna evidenza processuale, la Corte trae che il lavoratore fosse entrato nella cella quando l'aria era ancora satura di azoto, così perdendo i sensi. La motivazione, pertanto, si dimostra gravemente illogica e del tutto assertiva.
5. Con il secondo motivo lamenta ex art. 606, comma 1" lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione della legge penale in relazione agli artt. 40 e 41, comma 2 cod. pen., nonché il vizio di motivazione rilevabile dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti specificamente indicati nei motivi di gravame. Deduce che la Corte territoriale omette di dar conto delle ragioni per le quali l'adozione del comportamento alternativo lecito -ovverosia l'installazione di dispositivi che non consentissero l'accesso alla cella in presenza di una concentrazione di azoto incompatibile con l'organismo umano- avrebbe consentito di evitare l'evento. Infatti, R.B. disattivò l'azoto prima di entrare nella cella, decidendo volontariamente di accedere alla vasca, utilizzando la scaletta per accedere ad un foro di ispezione largo appena 40 centimetri. Il collega L.D., tuttavia, passando davanti alla cella e vedendo la porta. aperta, ritenendo che dentro non vi fosse nessuno, chiuse la porta e riavviò l'azoto. L'andamento dei fatti, pertanto, dimostra che la morte di R.B. non derivò dalla mancata adozione del dispositivo indicato dalla Corte, ma dal comportamento -pur incolpevole- di un altro lavoratore. La condotta ritenuta 'appropriata' dal giudice del merito, dunque, non sarebbe stata idonea ad evitare l'evento. Aggiunge che la perdita completa dei sensi da parte di R.B., che avrebbe causato la caduta accidentale, è una mera asserzione, non giustificata in alcun modo dal giudice d'appello. Così come del tutto priva di sostegno scientifico è l'affermazione secondo la quale, una volta disattivato l'azoto, senza attendere un tempo sufficiente, il livello di saturazione dell'aria può indurre la perdita di coscienza, anziché provocare solo un vago stordimento. Rileva che per affermare la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta doverosa omessa e l'evento occorre immaginare che cosa sarebbe accaduto se la cella fosse stata dotata del dispositivo indicato dalla Corte come salvifico, e cioè tale da impedire l'accesso del lavoratore alla cella prima che della discesa dell'azoto sotto determinati livelli., In questo caso, se il lavoratore si fosse introdotto nella cella solo dopo il raggiungimento del livello di azoto non nocivo ed avesse, del tutto volontariamente, deciso di accedere all'interno della vasca tramite il foro di ispezione, utilizzando la scaletta per raggiungerlo, la semplice adozione del dispositivo non avrebbe consentito di evitare l'evento, qualora un collega di lavoro, non avvertito della presenza di altro lavoratore all'interno della cella, trovando la porta aperta, l'avesse chiusa ed avesse riavviato l'azoto. Inoltre, l'abnormità del comportamento del lavoratore -che decide, del tutto imprevedibilmente e senza alcuna ragione legata ad esigenze produttive, di introdursi nella cella, senza avvertire nessuno- dimostra la sussistenza del c.d. 'rischio elettivo', avendo R.B. scelto di porsi deliberatamente in pericolo, per motivi diversi da finalità produttive e dal funzionamento del macchinario. Queste, invero, sono le conclusioni risultanti anche dalla lettura del rapporto dei funzionari dello Spisal e dalla relazione INAIL, che danno atto dell'inverosimiglianza della caduta accidentale e completa dalla postazione sopra la scala all'interno del contenitore.
6. Con il terzo motivo, contesta il vizio di motivazione, sotto il profilo dell'omissione, risultante dal provvedimento impugnato, in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio o con rinvio.

[panel]Considerato in diritto

1. Il ricorso va rigettato.
2. I primi due motivi, che vanno trattati insieme in quanto strettamente connessi, non sono fondati.
3. La decisione impugnata, infatti, preliminarmente rinvia alla sentenza di primo grado in ordine alla ricostruzione delle violazioni delle regole prevenzionistiche (come constate dallo Spisal, e consistenti, secondo il primo giudice, nelle deficienze del D.V.R. sui rischi tecnici legati all'uso dell'azoto in 'Ambiente sospetto di inquinamento-Ambiente confinato', sulle dimensioni degli accessi per il recupero delle persone, e sulle caratteristiche tecniche dell'impianto -sprovvisto di documentazione tecnica- e delle procedure di accesso alla cella da parte dei lavoratori; nell'inidoneità della procedura di accesso alla cella essendo stabilito - come indicato nel cartello posto all'esterno- un tempo minimo di attesa dal distacco dell'azoto di un minuto, anziché di tre, come necessario; nell'assenza di un dispositivo di blocco dei macchinari legato all'apertura della porta; nella mancanza di un ossimetro, al fine di conoscere la qualità dell'area all'interno della cella, nell'assenza di dispositivi di autoprotezione per l'accesso, quali gli autorespiratori; nell'assenza di adeguata formazione dei lavoratori).
Indi dato atto della non contestazione delle violazioni da parte dell'imputato, ritiene di escludere l'abnormità del comportamento del lavoratore, posto che dalle testimonianze raccolte in giudizio è emerso che la verifica della lavorazione all'interno della cella fosse pratica comune fra i lavoratori, e che l'ingresso da parte di R.B. - pur gravemente imprudente, per non avere il medesimo avvertito i propri compagni di lavoro, contravvenendo alle istruzioni impartite­ era compatibile con esigenze connesse alla produzione, quali la verifica del prodotto ancora rimanente nella vasca-tramoggia, collocata all'interno della cella. E ciò, tenuto conto che il medesimo aveva eseguito una specifica fase produttiva, e che le sue mansioni generiche, includevano il processo realizzato all'interno della cella di congelamento. Il giudice di seconda cura dà, altresì, atto della correttezza del rilievo difensivo, secondo il quale il corpo, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, era rivolto con il capo verso l'apertura di ispezione della tramoggia, ma rileva che ciò non confuta, in alcun modo, la tesi della caduta accidentale. Secondo la Corte, infatti, è logico pensare che trovandosi il lavoratore sull'ultimo gradino di accesso al vascone, con la linea della cintura più alta della bocca di apertura, posizionato di fianco, a seguito di un malore, sia caduto di testa, trascinando la parte inferiore del corpo e consentendo alle gambe di superare il bordo inferiore del pertugio. Questa dinamica, dunque, smentisce la tesi dell'imputato, secondo cui la posizione del corpo sarebbe incompatibile con la caduta accidentale, rappresentando, invece, la prova dell'ingresso volontario, legato alla realizzazione di comportamenti personali (suicidio o scherzo finito male).
4. La motivazione, che collega l'evento alla caduta accidentale dovuta alla presenza all'interno della cella di un quantità di azoto non compatibile con un accesso sicuro al suo interno, non è persuasivamente contraddetta dalle osservazioni contenute nel ricorso, essendo la perdita di coscienza, effetto tipico dell'alto livello di azoto nell'aria e restando la tesi dell'ingresso volontario, determinato da impulsi anticonservativi, una mera ipotesi non supportata da alcuna evidenza, la cui esclusione viene efficacemente argomentata dalla Corte territoriale. La sentenza osserva, infatti, che l'intenzione suicida mostra segni premonitori o comportamenti esteriori che ne preludono l'attuazione, del tutto assenti, nel caso di specie, non potendo considerarsi tale una frase del tutto equivoca pubblicata su facebook, qualche tempo prima del fatto. Peraltro, il Collegio, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, giustifica, ancora una volta in modo del tutto condivisibile, la compatibilità della caduta accidentale con le ridotte dimensioni dell'apertura del vascone, valutandone la compatibilità con le dimensioni di un uomo medio, posto di fianco. E ciò perché la considerazione dello Spisal -secondo cui l'evento accidentale non avrebbe potuto produrre l'effetto della caduta nella tramoggia, rimanendo, al più, il corpo incastrato nell'apertura- su cui si concentra il ricorrente, viene smentita, sotto il profilo logico -sotteso alla decisione- dalla constatazione per la quale se l'apertura fosse stata effettivamente troppo piccola, non avrebbe consentito neppure l'introduzione volontaria.
5. Fatte queste premesse sulla coerenza della ricostruzione della Corte territoriale, va da sé che la tesi dell'ascrivibilità dell'evento al comportamento del collega di lavoro L.D. -che, rinvenendo la porta della cella aperta, chiamato R.B. senza ricevere risposta, la richiuse e riavviò l'azoto- perde qualsiasi consistenza. Ciò perché, anche se la Corte non affronta direttamente l'argomento, è del tutto implicito che la perdita di coscienza impedisca a chiunque di rispondere, ma, come mette bene in evidenza il primo giudice, se l'impianto fosse stato dotato da un ossimetro e di una segnalazione acustica o luminosa indicante la presenza di una persona al suo interno, l'evento avrebbe potuto essere scongiurato, evitando a terzi di chiudere inconsapevolmente la porta di accesso, nonostante la presenza di una persona all'interno.
6. Le motivazioni dei giudici di merito -che si integrano formando un unico corpo argomentativo- forniscono, dunque, risposte convincenti alle domande proposte dalla difesa dell'imputato.
7. Neppure l'ultimo motivo può trovare accoglimento. Va, preliminarmente osservato che al ricorso in esame non è allegato l'atto di appello, il che impedisce il vaglio della doglianza. Invero, "In tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica" (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018 - dep. 25/02/2019, C, Rv. 275853; Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704). Al di là di siffatta considerazione, nondimeno, vi è che la Corte, che riporta il motivo in modo diverso da quello qui rappresentato, senza fare riferimento alla richiesta di diverso bilanciamento delle circostanze, dà adeguata risposta sull'adeguatezza del trattamento sanzionatorio, sottolineando che il comportamento di R.B. è stato tenuto in considerazione dal primo giudice, nella determinazione concreta del trattamento sanzionatorio, ai fini della valutazione della gravità della colpa e per la concessione delle attenuanti generiche. La condivisione del giudizio del primo giudice, espresso con la valutazione di 'equità' della pena inflitta, esclude il vaglio di questa Corte, anche in relazione alla doglianza in esame, temuto conto dei principi enunciati dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui: "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto. (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
8. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato con condanna del ricorrente alle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite omissis che si liquidano in complessivi euro tremilaseicento, oltre accessori come per legge./panel]

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Omissis che liquida in complessivi euro tremilaseicento oltre accessori come per legge.
Così deciso il 24 settembre 2020

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Misure VVF per il contrasto contagio SARS-CoV-2 luoghi di lavoro

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VVF 27 10 2020

Misure per il contrasto contagio SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro

Ministero dell'interno, Dipartimento VVF

27 ottobre 2020 (aggiornamento)

Misure per il contrasto al rischio da contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro per il personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

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Sommario
1. PREMESSA
2. ELEMENTI RELATIVI ALLA NORMATIVA DI SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO
3. MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER LE STRUTTURE CENTRALI E TERRITORIALI DEL C.N.VV.F.
3.1. Misure organizzative, procedurali, tecniche, compresi i trasporti
3.1.1. Revisione della organizzazione del lavoro e turni
3.1.2. Distanziamento nell’attività lavorativa e nella pausa pranzo
3.1.3. Distanziamento nelle fasi di recupero psico-fisico/dormitori
3.1.4. Effettuazione di attività in presenza: riunioni e corsi di formazione
3.1.5. Gestione entrata/uscita dei lavoratori
3.1.6. Revisione del lay-out e percorsi
3.1.7. Gestione sistemi di ricambio dell’aria
3.1.8. Gestione dei casi sintomatici
3.1.9. Buone pratiche di igiene
3.1.10. Rientro dallo smart working
3.1.11. Buone pratiche per il trasporto con veicoli dell’Amministrazione
3.1.12. Attività svolte all’esterno della sede di servizio
3.1.13. Accesso degli esterni nelle sedi di servizio
3.2. Utilizzo dei dispositivi di prevenzione del contagio
3.2.1. Mascherina di “comunità” o “generica” o “sociale”
3.2.2. Mascherina “DM chirurgica di tipo I, tipo II e tipo IIR”
3.2.3. Maschere respiratorie filtranti FFP
3.2.4. Come indossare e togliere le mascherine
3.2.5. Guanti monouso in diversi materiali plastici sintetici o in lattice
3.2.6. Rischi secondari associati all’utilizzo dei dispositivi di prevenzione del contagio
3.3. Pulizia/igienizzazione luoghi e attrezzature di lavoro e sanificazione straordinaria
3.3.1. Attività di pulizia/igienizzazione
3.3.2. Attività di sanificazione straordinaria
3.4. Quadro sintetico delle misure di prevenzione e protezione
4. INFORMAZIONE E FORMAZIONE
4.1. Generalità sulle attività di informazione e formazione
5. PROCEDURA PER L’INDIVIDUAZIONE DI ULTERIORI MISURE DI CONTENIMENTO AL CONTAGIO DA SARS-COV-2
5.1. Fasi procedura per l’individuazione di ulteriori misure di prevenzione e protezione
5.1.1. Analisi dell’organizzazione del lavoro (ad es. attività in presenza, turnazione e modalità di svolgimento dell’attività)
5.1.2. Individuazione delle attività che possono essere eseguite con lo smart working
5.1.3. Attività che devono essere eseguite in sede ed individuazione dei percorsi interni
5.1.4. Classificazione dei luoghi di lavoro
5.1.5. Classificazione luoghi in base all’affollamento
5.1.6. Analisi del lay-out dei luoghi classificati
5.1.7. Individuazione del personale che opera all’esterno
5.1.8. Individuazione della presenza di utenti esterni e lavoratori in attività in appalto
5.1.9. Analisi dei rischi secondari
5.1.10. Revisione dei piani e delle procedure di emergenza
6. CONCLUSIONI
7. APPENDICE 1 - Studio della modulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nelle sedi VF centrali e territoriali – misure di prevenzione e DPI
8. APPENDICE 2 – Scelta tipologia mascherine e relative certificazioni
8.1. Tipi di mascherine
8.1.1. Mascherine chirurgiche
8.1.2. Maschere respiratorie filtranti
8.1.3. Altri tipi di mascherine
8.1.4. Certificazione mascherine CE
8.1.5. Le altre certificazioni
9. APPENDICE 3 – La protezione individuale delle vie respiratorie nella pandemia da SARS-CoV-2 in Italia
10. BIBLIOGRAFIA
11. VADEMECUM
Allegato - MODULO PER INGRESSO VISITATORI

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Fonte: VVF

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Ministero dell\'interno Dipartimento VVF 27.10.2020
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Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 34245 | 02 Dicembre 2020

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 1 del 02 dicembre 2020 n. 34245

Prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere

Penale Sent. Sez. 1 Num. 34245 Anno 2020
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: SIANI VINCENZO
Data Udienza: 22/09/2020

Fatto e diritto

1. Il Tribunale di Cassino, con la sentenza in epigrafe, resa il 19 settembre 2018, ha giudicato A.DC. dichiarandolo responsabile: del reato di cui all'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 2006 perché, in qualità di titolare dell'attività commerciale "Hotel Serapo di DC.S. & C. Sas", sito alla via OMISSIS, ometteva di dotare la struttura di adeguata segnalazione certificata antincendio (SCIA) e risultava carente delle misure per l'ammissione al piano programmato per l'attività alberghiera (capo A); del reato di cui all'art. 46, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008 perché, nella qualità indicata al capo A), ometteva di adottare misure atte a prevenire gli incendi e a tutelare l'incolumità delle persone, essendo la struttura alberghiera priva di compartimentazioni, variazione e distribuzione d'uso di alcuni locali ed altro (capo B); del reato di cui all'art. 63, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008, perché nella qualità indicata al capo A), ometteva di dotare la struttura alberghiera di impianti di protezione dagli incendi completi, quali idranti e impianti di rilevazione (capo C); fatti accertati in Gaeta, il 30 ottobre 2013. Per l'effetto, avvinti i reati in continuazione, negate le circostanze attenuanti di cui all'art. 62-bis cod. pen., ha condannato A.DC. alla pena di euro 1.600,00 di ammenda e al pagamento delle spese processuali, con la sospensione condizionale della pena.
1.1. Il procedimento era originato da un'ispezione effettuata il 30 ottobre 2013 presso l'Hotel Serapo, gestito dalla società suddetta di cui l'imputato era legale rappresentante, finalizzata alla verifica delle ragioni dell'incompletezza e dell'inidoneità della documentazione prodotta dalla società quando, il 31 ottobre 2012, aveva chiesto l'ammissione al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi del d.m. 16 marzo 2012.
La responsabilità di A.DC. è stata accertata sulla base dei documenti prodotti e dalle dichiarazioni dei testimoni S.G. e F.M., indicati rispettivamente dal P.m. e dalla difesa.
1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di A.DC., chiedendone l'annullamento sulla scorta di tre motivi.
1.2.1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità dell'imputato.
Con riferimento al reato sub A), si denuncia l'errata applicazione della normativa UNI 9597 del 2013, anziché della normativa vigente al momento della realizzazione dell'adeguamento, ossia della UNI 9597 del 2010: la struttura alberghiera in questione, ha dedotto la difesa, aveva ottenuto il parere di adeguamento alle misure di prevenzione incendi in data 31/08/2000 e, successivamente, la società che la gestiva aveva iniziato i lavori relativi all'impianto di rilevazione dei fumi, come risulta dalla dichiarazione di conformità rilasciata dalla ditta installatrice; l'intervento di adeguamento era, quindi, avvenuto in conformità alla normativa vigente all'epoca, ossia la UNI 9795 del 2010; invece, i Vigili del Fuoco avrebbero verificato, erroneamente, l'ammissibilità al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi, confrontando gli adeguamenti del sistema di rilevazione dei fumi rispetto alla normativa UNI 9795 del 2013; poi, la mancata ammissione della struttura al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi non aveva consentito il completamento delle misure antincendio, propedeutico alla presentazione della segnalazione certificata di inizio attività ai fini della sicurezza antincendio.
Con riguardo al reato di cui al capo B), si evidenzia come la richiesta di accesso al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi di cui al d.m. del 16 marzo 2012 sia di gran lunga antecedente rispetto all'ispezione del 30 novembre 2013.
Con riferimento al reato sub C), la difesa, dopo aver sostenuto che si tratta in realtà di addebito assorbito, ex art. 15 cod. pen., dal reato contestato di cui al capo B), afferma che il completamento dell'impianto di rilevazione dei fumi è avvenuto nell'anno 2000 e che anche l'impianto idrico antincendio è stato adeguato nel 2006, come da dichiarazione di conformità della ditta istallatrice.
1.2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell'art . 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento al dolo ritenuto alla base delle condotte contravvenzionali e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: il Tribunale non avrebbe minimamente argomentato in ordine all'individuazione del dolo ritenuto quale elemento soggettivo dei reati, senza esporre, di conseguenza, le ragioni del superamento della mera colpa; poi, in relazione alle circostanze attenuanti generiche, gli elementi emergenti dagli atti processuali e i modesti precedenti di natura contravvenzionale avrebbero dovuto indurre al loro riconoscimento.
1.2.3. In subordine, si è prospettata l'estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, trattandosi di contravvenzioni commesse il 30 ottobre 2013.
1.3. Nel corso della discussione, il Procuratore generale ha chiesto annullarsi senza rinvio della sentenza essendosi i reati estinti per prescrizione.
2. L'impugnazione è inammissibile, i motivi che la connotano risultando in parte orientati alla rivisitazione del fatto o in parte manifestatamente infondati.
2.1. Il Tribunale ha, con motivazione congrua e coerente, accertato lo stato di fatto posto alla base dei corollari logico-giuridici dallo stesso desunti. In particolare, S.G., in servizio presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Latina, ha riferito che, all'esito dell'ispezione, erano state riscontrate varie difformità rispetto al progetto approvato nel 2000 dal suddetto Comando Provinciale, in specie violazioni strutturali: la struttura risultava carente delle misure per l'ammissione al piano programmato per l'attività alberghiera, in quanto A.DC. non aveva provveduto a dotarsi dell'adeguata segnalazione certificata antincendio (SCIA) e delle misure atte a prevenire gli incendi, né a tutelare l'incolumità delle persone con sistemi di rilevazione di fumi, compartimentazioni e idranti, assenti in tutte le aree dell'albergo. Quanto a F.M., architetto, teste indicato dalla difesa, egli ha riferito che la struttura alberghiera era, invece, dotata dei requisiti di ammissione al piano programmatico avendo nel 2000 conseguito il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, avendo iniziato a partire dal 2006 i lavori di adeguamento alle norme di prevenzione antincendio e nel 2017 conseguito il certificato di prevenzione incendi con decorrenza dal 18 novembre 2014, e ha osservato che i Vigili del Fuoco avrebbero fatto riferimento alla normativa UNI 9795 del 201.3 non considerando l'epoca di realizzazione dell'impianto.
Analizzati questi elementi, ma anche la nota del 12 novembre 2013 del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Latina, da cui risultava che "lo stato dei luoghi è difforme rispetto al progetto approvato con nota n. 6979 del 4 settembre 2000", il giudice di merito ha tratto il convincimento, oltre ogni ragionevole dubbio, del fatto - dirimente - che la struttura all'atto dell'ispezione non era adeguata, non solo alle norme UNI 9795 del 2013, ma neppure alle disposizioni antincendio previste dalle normative previgenti, con la conseguenza della ritenuta integrazione delle fattispecie contravvenzionali contestate.
2.2. Alla stregua di queste chiare conclusioni si profilano la genericità e la manifesta infondatezza delle censure insita nel primo motivo.
2.2.1. Quella, riferita al reato sub A), si basa sulla deduzione secondo cui gli operanti avrebbero errato nell'adottare quale metro di valutazione la normativa UNI in vigore nel 2013 (al momento dell'ispezione) anziché di quella in vigore nel 2010 (al momento della realizzazione dell'adeguamento): e, però, così argomentando, il ricorrente ha omesso di confrontarsi con la motivazione nella parte in cui si evidenzia che la struttura era risultata non adeguata, non solo alle norme UNI in vigore nel 2013, ma anche alle disposizioni di prevenzione degli incendi previste dalle normative precedenti, essendo conseguente che il Tribunale non ha fondato la responsabilità sul solo mancato rispetto della normativa del 2013, ma anche sul mancato rispetto della normativa in vigore precedentemente, lo stato dei luoghi non essendo risultato conforme nemmeno al progetto approvato il 4 settembre 2000.
2.2.2. In ordine alla censura svolta, sempre nel primo motivo, con riferimento al reato di cui al capo B), al di là della - non deducibile in questa sede - questione di merito ad essa sottesa, la medesima risulta aspecifica, non chiara e, comunque, adeguatamente contrastata dall'accertamento sopra richiamato: invero, l'affermazione secondo cui la richiesta di accesso al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione degli incendi di cui al d.m. del 30 novembre 2012 fosse di gran lunga antecedente rispetto alla data dell'ispezione non elide la constatazione che - in fatto - al momento dell'ispezione, al di là del parere favorevole risalente al 31 agosto 2000, la struttura alberghiera era risultata priva delle opere inerenti alle misure per prevenire gli incendi e tutelare l'incolumità delle persone che vi accedevano, quali la compartimentazione e la variazione di distribuzione d'uso afferenti ad alcuni locali, con violazione dell'art. 46, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008.
2.2.3. Quanto alla censura, pure introdotta nell'ambito del primo motivo, volta a contestare la sussistenza del reato sub C), è, all'evidenza, insussistente la violazione dell'art. 15 cod. pen. adombrata dal ricorrente sull'assunto che l'infrazione di cui all'art. 63, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008 sia assorbita da quella sub B) di cui all'art. 46, comma 2, d.lgs. cit.: il rapporto di specialità tra le disposizioni viene solo prospettato e certo non corroborato dal riferimento al fatto che era avvenuto il completamento dell'impianto di rilevazione dei fumi nel 2000, al pari dell'impianto idrico antincendio nel 2006.
Non si rileva, per vero, il rapporto di genere a specie fra i suindicati precetti, perché l'art. 46 cit., nell'ambito della disciplina della gestione delle emergenze di impresa, tutela l'interesse allo specifico ambito dell'adeguata prevenzione degli incendi, mentre l'art. 63 cit., con riferimento alla disciplina inerente ai luoghi di lavoro, attiene alla complessiva tutela dell'interesse al rispetto dei requisiti di salute e di sicurezza proprio all'interno degli ambienti di lavoro. In corrispondenza di ciò, le condotte oggetto di contestazione e poi di accertamento - con rispettivo riferimento alle due imputazioni - nemmeno coincidono: nel reato sub B) si è presa in esame l'omessa adozione di misure di prevenzione antincendio strutturali, quali le compartimentazioni e la variazione di distribuzione d'uso di alcuni locali; nel reato sub C) si è considerata l'omessa dotazione della struttura alberghiera di tutti gli impianti antincendio regolamentari al fine di rendere sicuro il lavoro nel suo ambito, in particolare gli idranti e gli impianti di rilevazione.
Né può dubitarsi della qualificazione di luogo di lavoro annessa alla complessiva struttura considerata dal giudice del merito, dovendo ribadirsi che, nella nozione di luogo di lavoro, rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa (Sez. F, n. 45316 del 27/08/2019, Giorni, Rv. 277292 - 01).
2.3. Generico è senza dubbio il secondo motivo.
2.3.1. Il Tribunale ha spiegato specificamente la ragione per la quale ha ritenuto che le contravvenzioni accertate sono state commesse dall'imputato con condotta sorretta, non semplicemente da colpa, bensì da dolo, risultando A.DC., in relazione fra l'altro al notevole tempo in cui si sono perpetuate le relative azioni, essersi occupato personalmente delle misure per l'adeguamento della struttura, in particolare di quelle antincendio, per cui l'avere obliterato i precetti in materia di sicurezza strutturale, tutela del lavoro e prevenzione degli incendi è stato ritenuto, in· modo congruo, l'esito di una sua attività consapevole e volontaria.
Certo, le contravvenzioni sono punibili anche a titolo di colpa, ai sensi dell'art. 42, ultimo comma, cod. pen., ma è del pari acclarato che il Tribunale ha scrutinato il tema e ha considerato sussistente il dolo in modo motivato, facendone peraltro scaturire l'ulteriore (e non scontata) conseguenza della sussistenza dell'unitarietà del disegno criminoso, così ponendo i tre reati in continuazione fra loro (obiettivo raggiunto in favor dell'imputato, atteso che soltanto i reati dolosi possono concepire la suddetta unitarietà del disegno criminoso: Sez. 1, n. 435 del 10/07/2018, dep. 2019, Rho, Rv. 274663 - 01).
2.3.2. Eguale aspecificità attinge la censura, sempre inserita nel secondo motivo, inerente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non apparendo argomento idoneo a contrastare la sufficiente motivazione resa dal Tribunale l'affermazione del ricorrente relativa al grado modesto della gravità dei suoi precedenti, che egli indica come contravvenzionali, ma "salvo errore", al pari della segnalazione dell'apporto fornito durante il procedimento dal proprio consulente tecnico, che è inidonea a confutare la rilevata assenza di elementi legittimanti il riconoscimento delle suddette attenuanti: il tutto, senza che il ricorrente abbia considerato il principio di diritto, da riaffermarsi, secondo cui, in materia di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., reputati preponderanti ai fini del riconoscimento o dell'esclusione delle stessa (Sez. 1, n.26754 del 06/07/2020, Verde, n. m.; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01).
2.4. Manifestamente infondata è infine la questione di prescrizione del reato. Il termine prescrizionale massimo per le contravvenzioni, qui ritenute, è (ex art. 161 cod. pen.) di anni cinque, sicché - fissata la data dei commessi reati al 30 ottobre 2013 - detto termine si è consunto non prima del 30 ottobre 2018, ossia dopo l'emissione della sentenza impugnata e la maturazione del termine prescrizionale in tempo successivo alla sentenza impugnata non rileva quando, come nel caso in esame, le restanti doglianze siano inammissibili, in quanto la rilevata inammissibilità non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463); né potrebbe ritenersi che l'unico motivo, ammissibile e fondato, sia proprio quello relativo alla maturazione del termine prescrizionale, in quanto deve ribadirsi che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata, pur se prima della sua presentazione, che sia privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto esso viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell'art. 581, lett. e), cod. proc. pen. ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell'art. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
2.5. Consegue l'inammissibilità del mezzo che determina, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), di una somma alla cassa delle ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si stima equo fissare in euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22 settembre 2020

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Calendario VVF 2021

ID 12196 | | Visite: 3747 | News Prevenzioni Incendi

Calendario VVF 2021

Calendario VVF 2021

Min Interno, 30 Novembre 2020

I protagonisti del Calendario istituzionale dei Vigili del fuoco 2021 sono i giocattoli e, di riflesso, i bambini che proprio nei "pompieri" trovano i loro eroi, forse perché - come sottolinea il Capo del Corpo Nazionale, Fabio Dattilo, «usano camion appariscenti, grandi gru e autoscale con luci e colori o magari perché sono “eroi” che arrivano sempre al momento giusto per salvare la gente». È la chiave di lettura  di questo Calendario 2021 che ha nell’Unicef un partner d’eccezione, in una rinnovata sinergia con il Corpo nazionale.

«Le immagini proposte - commenta il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese - ci aiutano a ripercorrere la storia dei “Pompieri”, così densa di mutamenti e di innovazioni nel corso del tempo, ma sempre ricca di valori, di professionalità e competenze. Guardare al passato, ad un pezzo della loro Storia, ci invita a non vedere solo gli oggetti, ma il valore che essi racchiudono. È importante mantenere vivi in qualunque forma i cimeli che hanno caratterizzato il loro tempo, ieri come oggi, ed apprezzare l’impegno costantemente profuso sempre con lo stesso ardore, coraggio e competenza per garantire la sicurezza e servire il Paese».

La realizzazione grafica dell’opera è stata affidata alle abili mani degli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, che hanno operato sotto la regia dei professori Giovanni Turria e Stefano Marotta, delle giovani grafiche Elsa Zaupa, Andrea Bazzanella e Marta Modini e della fotografa Claudia Rossini.

Diretta web alle ore 17 dall'Istituto superiore antincendi, a Roma, per la presentazione del calendario 2021 con il ministro Lamorgese, il capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa civile, Laura Lega, e il capo del Corpo nazionale Fabio Dattilo. Presenti il sottosegretario all’Interno con delega ai Vigili del fuoco Carlo Sibilia, lo speciale partner Unicef Italia con il direttore generale Paolo Rozera e l’ambasciatore Andrea Lo Cicero e coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera.

Min Interno

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Nota INL prot.3395 del 23.10.2020

ID 12168 | | Visite: 4710 | Circolari Sicurezza lavoro

Nota INL prot.3395 del 23.10.2020

Oggetto: Decreto n. 94 del 7 agosto 2020 in materia di abilitazione alla conduzione di generatori di vapore.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 242 del 30 settembre 2020, è stato pubblicato il Decreto n. 94 del 7 agosto 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (r. 000094.07-08-2020) in materia di abilitazione alla conduzione di generatori di vapore e di acqua surriscaldata alimentati a fuoco diretto o a fuoco indiretto con rischio di surriscaldamento, non esonerati dalla conduzione abilitata.

Il DM è stato emanato in attuazione di quanto previsto dall’articolo 73-bis, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008.
Le disposizioni contenute nel nuovo Decreto entrano in vigore decorsi dodici mesi dalla data di pubblicazione in G.U. (30 settembre 2021), ad eccezione di quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 3, che disciplina modalità e requisiti per il rilascio dei patentini di abilitazione.

Ai sensi del citato comma 4, il patentino di abilitazione ha validità fino al compimento del settantesimo anno di età. Tale disposizione trova applicazione anche in relazione ai patentini già rilasciati alla data di pubblicazione del Decreto.

Tali patentini si intendono, conseguentemente rinnovati automaticamente fino al compimento dei 70 anni, in luogo della precedente procedura di rinnovo quinquennale.
In base all’art. 11, co. 5 del DM in oggetto, dal 30 settembre 2021 viene abrogato il DM del 1 marzo 1974.

Le sessioni di esame che saranno pubblicate prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto resteranno disciplinate dal DM del 1 marzo 1974 (art. 11, comma 1).
Tra le principali novità introdotte dal decreto in oggetto vi è quella, prevista dall’art. 1, co. 2, del DM, dell’obbligo dell’idoneità alla mansione specifica ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 81/2008. Salvi i casi particolari che richiedono una frequenza diversa stabilita dal medico competente, il conduttore di generatore di vapore deve infatti sottoporsi a visita medica di controllo ogni cinque anni, che sono ridotti a due anni per i soggetti che abbiano compiuto il sessantesimo anno di età.

Il comma 4 del medesimo art. 1, prevede inoltre che l’utilizzatore può richiedere l’esonero dalla conduzione abilitata per i generatori di vapore di cui all’allegato III e secondo le modalità previste nel medesimo allegato.

Deve evidenziarsi quanto previsto dall’art. 4 in merito ai corsi di formazione teorico-pratica necessari per l’ammissione all’esame di abilitazione di cui all’art. 8, i cui contenuti e modalità di svolgimento sono indicati nell’allegato II.

Gli esami per il conseguimento dell’abilitazione alla conduzione di generatori di vapore, disciplinati al Capo III del DM, sono svolti nei mesi e nelle sedi indicati nell’allegato I.

IL DIRETTORE CENTRALE - Orazio Parisi

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Allegato riservato Lettera circolare INL prot 3395 del 23.10.2020.pdf
 
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Misure di sicurezza agenti infettivi del gruppo 3 attività sanitarie

ID 12151 | | Visite: 1709 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Misure attivit  sanitarie

Misure di sicurezza per gli agenti infettivi del gruppo 3 nelle attività sanitarie

Fact sheet INAIL - 2020

Il fact sheet si propone quale documento di indirizzo tecnico-scientifico nel merito della gestione della sicurezza per gli agenti infettivi del gruppo 3 nelle attività sanitarie, in relazione agli adempimenti della vigente legislazione di igiene e sicurezza in ambiente di lavoro, i.e. d.lgs. 81/2008 e s.m.i., con particolare riferimento alla caratterizzazione tecnica di realizzazione delle misure di sicurezza, considerando l'attuale offerta di innovazione tecnologica.

Fonte: INAIL

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Misure Covid Luoghi di lavoro personale CNVVF

ID 12119 | | Visite: 2278 | Documenti Sicurezza VVF

Misure Covid luoghi di lavoro VVF

Misure Covid Luoghi di lavoro VVF

VVF, Presentazione 2020

Misure per il contrasto al rischio da contagio da sarscov-2 nei luoghi di lavoro per il personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
______

Il CNVVF attua il contrasto al rischio di contagio da SARSCOV-2:

- per gli interventi di soccorso pubblico
- nei luoghi di lavoro per il personale del Corpo
..

Titolo X del D.Lgs. 81/08 “Il rischio biologico in ambiente di lavoro si identifica con la determinazione del rischio di esposizione ad agenti biologici e con la conseguente strategia di prevenzione che richiede specifiche misure di protezione.”:

- In generale il COVID-19, per gli ambiti lavorativi, deve essere valutato come rischio biologico “generico” di natura esogena.
- Il datore di lavoro/dirigente, mediante il Servizio di Prevenzione e Protezione, in collaborazione con il Medico Competente, deve applicare le procedure di prevenzione del rischio biologico e ne dovrà lasciare traccia nel DVR 

- Sono richieste misure di prevenzione, tra cui il sistematico utilizzo di adeguati DPI.
...
segue in allegato

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VVF 2020
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ISS | sistema di valutazione del rischio: come e perché funziona

ID 12129 | | Visite: 2655 | News Sicurezza

ISS Sistema di valutazione del rischio

ISS, il sistema di valutazione del rischio, ecco come e perché funziona 

ID 12129 | 23.11.2020 / Doc. completo in allegato

ISS, 17 novembre 2020 

Quali sono i dati utilizzati per calcolare il rischio?

Per l'elaborazione sono stati scelti 21 indicatori, di cui 16 sono ‘obbligatori’ mentre 5 opzionali, che permettono di valutare tre aspetti di interesse per la valutazione del rischio: probabilità di diffusione dell'epidemia, impatto sui sistemi sanitari e resilienza territoriale. Il loro elenco completo è disponibile nel DM Salute 30 aprile 2020.

Perché si usano tutti questi indicatori?

Si è scelto di utilizzare più indicatori da più flussi informativi perché, soprattutto nelle emergenze, è più alto il rischio che i dati risentano del sovraccarico dei sistemi sanitari e abbiano quindi una completezza e tempestività non ottimale. In epidemiologia, si considera maggiore la solidità di un’analisi quando più fonti di informazione confermano una stessa tendenza (ad esempio la tendenza ad un aumento dei casi).

Come vengono raccolti ed elaborati i dati?

I dati vengono inviati dagli enti territoriali alle Regioni, che a loro volta li trasmettono al Ministero della Salute e all'Iss. Sulla base di questi vengono applicati degli algoritmi che, combinati, permettono di valutare settimanalmente il rischio per ogni Regione.

Il sistema costruito per la valutazione del rischio

Il sistema non è troppo complesso?

Il sistema è necessariamente complesso per tenere conto di tutti gli aspetti legati all'epidemia e alla risposta dei sistemi sanitari. La presenza di diversi indicatori permette inoltre di limitare gli effetti negativi del sovraccarico dei sistemi sulla completezza dei dati disponibili.

I dati su cui vengono fatte le stime sono vecchi?

No, si realizzano infatti ogni settimana analisi sui dati consolidati della settimana precedente tranne per alcuni dati, ad esempio i tassi di occupazione dei posti letto, per cui è disponibile un numero affidabile più aggiornato. Considerando che i tempi di incubazione di SARS-CoV-2 variano dai 5 ai 14 giorni, questa frequenza di aggiornamento è sufficiente a valutare l’andamento dell’epidemia: attraverso una analisi di tendenza (trend) ci permette di capire «dove stiamo andando». Inoltre l’uso di indicatori prospettici come Rt, le proiezioni a 30 giorni dei tassi di ospedalizzazione e la valorizzazione dei dati su nuovi focolai che colpiscono popolazioni fragili (che più probabilmente dopo qualche settimana avranno bisogno di assistenza ospedaliera) ci permettono con gli stessi dati di «guardare avanti».

Perch  si usano tutti questi indicatori

Perché i dati utilizzati sono i più aggiornati possibili?

L'acquisizione dei dati epidemiologici sulle infezioni è affetta da una serie di ritardi, alcuni dei quali non comprimibili: in particolare, il tempo tra l'evento infettivo e lo sviluppo dei sintomi (tempo di incubazione), quello tra i sintomi e l'esecuzione del tampone, quello tra l'esecuzione del tampone e la conferma di positività, e quello tra la conferma di positività e l'inserimento nel sistema di sorveglianza integrata ISS. Il ritardo complessivo tra infezioni e loro rilevamento nel sistema di sorveglianza è valutato e aggiornato settimanalmente analizzando la stabilità del numero di casi (sintomatici o ospedalizzati) riportato a ciascuna data. Su queste valutazioni si basa la scelta della data più recente alla quale si possono considerare sufficientemente stabili le varie stime di Rt.

Si noti che i possibili rallentamenti nell’effettuazione e analisi dei tamponi, conseguenti all’aumentata incidenza di infezione, impattano allo stesso modo tanto i conteggi aggregati di nuovi positivi riportati quotidianamente dal Dipartimento della Protezione Civile quanto i dati contenuti nel sistema di sorveglianza integrata.

Uno dei dati che viene citato più spesso è il rapporto tra positivi e testati. È affidabile, visto che ogni regione decide se inserire solo i positivi per tampone molecolare o anche quelli ottenuti con altri metodi di analisi?

Al momento la definizione internazionale di caso prevede che si possa confermare una infezione da virus SARS-CoV-2 solo con test molecolari. Per questo la definizione al momento univoca prevede l’uso di questa definizione in base a quanto recepito con circolari del Ministero della Salute. Il Ministero della salute coordina ogni giorno la raccolta del dato dalle Regioni e Provincie Autonome relativo ai tamponi effettuati e, assicurata l’affidabilità del dato, provvede a trasmetterlo per la pubblicazione sul sito della protezione civile.

Rt   affidabile

R0, Rt: cosa sono, come si calcolano?

Il numero di riproduzione di una malattia infettiva (R0) è il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto ad inizio epidemia, in una fase in cui normalmente non sono effettuati specifici interventi (farmacologici e no) per il controllo del fenomeno infettivo. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata. Tale valore R0 è funzione della probabilità che una persona infetta trasmetta il virus con un contatto, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell'infettività. La definizione del numero di riproduzione netto (Rt) è equivalente a quella di R0, con la differenza che Rt viene calcolato nel corso del tempo. Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

Perché calcolare l’Rt sui soli casi sintomatici o ospedalizzati lo rende affidabile anche quando i sistemi di contact tracing sono in difficoltà?

Il metodo statistico di calcolo di Rt è robusto se viene calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo.

Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti, e il numero di questo tipo di pazienti è quindi strettamente legato alla trasmissibilità del virus.

Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening e contact-tracing da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare nelle diverse fasi epidemiche. Ad esempio, tali capacità aumentano tipicamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Come conseguenza, in questo contesto, un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici nel tempo non dipende direttamente dalla trasmissibilità del virus. Per questi motivi, le stime di R0 ed Rt che forniamo non tengono conto delle infezioni asintomatiche.

Si è scelto, pertanto, di stimare la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle diverse regioni italiane fin da febbraio 2020 a partire dalla curva dei casi sintomatici giornalieri, in quanto meno influenzato dal cambiamento che si è verificato in Italia nelle politiche di accertamento diagnostico su soggetti asintomatici, e sui casi con storia di ospedalizzazione sulla base dei quali vengono realizzate le proiezioni dei tassi di occupazione dei posti letto nei successivi 30 giorni.

Le terapie intensive

Perché si rende pubblico il dato dell'occupazione delle terapie intensive e delle aree mediche complessiva, ma non quante persone entrano o escono ogni giorno?

SARS-CoV-2 è un virus che provoca una malattia che può prolungarsi per diverse settimane determinando tempi di ospedalizzazione sia in area medica che in terapia intensiva protratti. Per questo motivo, un aumento non controllato nei nuovi casi di infezione provoca non solo un aumento nel numero dei nuovi accessi a tali servizi ma anche la progressiva saturazione degli stessi. Pertanto, il tasso di occupazione sui posti letto già attivati rappresenta un indicatore utile per identificare quando la disponibilità di posti letto non occupati da pazienti COVID-19 rischia di non essere più sufficiente a garantire l’assistenza alla popolazione per questa ed altre patologie.

Database

Perché non tutti i dati disponibili sono pubblicati in un database interrogabile?

Non tutti i dati sono pubblici e disaggregati per garantire il rispetto delle norme che nel nostro Paese tutelano la privacy e delle ordinanze che disciplinano la sorveglianza epidemiologica. Stiamo lavorando di concerto con le autorità competenti allo sviluppo di ulteriori format di accesso ai dati nel rispetto della normativa.

Fonte: ISS

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Rielaborato Certifico S.r.l. Rev. 00 2020
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Esecuzione dei test diagnostici Pediatri e Medici di Medicina Generale

ID 12120 | | Visite: 2440 | News Sicurezza

Esecuzione test diagnostici pediatri medici generci

Esecuzione dei test diagnostici nello studio dei Pediatri di Libera Scelta e dei Medici di Medicina Generale

Nota tecnica ad interim 8.11.2020

...

Il rapido peggioramento della situazione epidemiologica a livello nazionale e i segnali di criticità dei servizi territoriali di numerose Regioni/Province Autonome (PA) rendono necessaria l’implementazione della rete territoriale di sorveglianza e diagnostica per COVID-19 al fine di ridurre e contenere la diffusione di SARS-CoV-2.

A tale scopo occorre che anche i Medici di Medicina Generale (MMG) e i Pediatri di Libera Scelta (PLS) siano attivamente coinvolti nel percorso diagnostico dell’infezione da SARS-CoV-2 per una migliore e rapida gestione dei pazienti COVID-19 nei limiti di quanto definito dall’ACN.

Questa guida fornisce gli elementi essenziali per lo svolgimento in sicurezza dei test rapidi antigenici che verranno effettuati presso gli studi medici o presso le strutture individuate come idonee in collaborazione con le locali Autorità sanitarie e civili.

Analogamente ai test molecolari, i saggi antigenici sono di tipo diretto, ossia valutano direttamente la presenza del virus nel campione clinico. Il campione biologico per entrambi i saggi è il tampone ororinofaringeo, ma sono in via di sviluppo anche prototipi che utilizzano la saliva. A differenza dei test molecolari, però, i test antigenici rilevano la presenza del virus non tramite il suo acido nucleico (RNA) ma tramite le sue proteine (antigeni).

Questi test contengono come substrato anticorpi specifici in grado di legarsi agli antigeni virali di SARS-CoV-2 e il risultato della reazione antigene-anticorpo può essere direttamente visibile a occhio nudo o letto mediante una semplice apparecchiatura al “point of care”. Per tali caratteristiche questo tipo di test diagnostico può essere eseguito in uno studio medico o in aree dedicate senza la necessità di essere effettuato in un laboratorio.

Il tampone deve essere processato nel più breve tempo possibile, generalmente entro un’ora dal prelievo. Operativamente, il campione viene immerso in un reagente in grado di attivare l’antigene virale, al fine di renderlo disponibile per la reazione antigene-anticorpo. Qualche goccia della soluzione ottenuta viene introdotta su un dispositivo “lateral flow” (simile ad un test di gravidanza), nel quale sono immobilizzati gli anticorpi diretti verso gli antigeni virali e quindi in grado di catturare i virioni o componenti proteiche di SARS-CoV-2. Viene poi applicata una seconda miscela rivelatrice, che legherà il complesso antigeneanticorpo, contenente altri anticorpi coniugati con enzimi la cui reazione cromatografica (ad esempio con perossidasi o fosfatasi) è rilevabile ad occhio nudo, o con fluorofori la cui emissione deve essere rilevata tramite uno specifico strumento analizzatore di fluorescenza compatto e trasportabile. Complessivamente il risultato del test antigenico rapido si ottiene in 15-30 minuti.

Il test può risultare negativo se la concentrazione degli antigeni è inferiore al limite di rilevamento del test, o risultare falsamente positivo per problemi di specificità, e per tale motivo, il test antigenico rapido positivo necessita di conferma mediante test molecolare ad eccezione di alcuni contesti.

La presenza del virus rilevata tramite le sue proteine. Il documento affronta diversi temi, dalle misure generali di prevenzione e controllo dell’infezione (igiene delle mani, pulizia e disinfezione degli strumenti e degli ambienti, gestione dei rifiuti e organizzazione delle modalità di accesso) alla spiegazione delle procedure per l’esecuzione dei test rapidi antigenici che, analogamente a quelli molecolari, valutano direttamente la presenza del virus nel campione clinico. A differenza dei test molecolari, i test antigenici rilevano la presenza del virus non tramite il suo acido nucleico (RNA) ma attraverso le sue proteine (antigeni), con il risultato che può essere direttamente visibile a occhio nudo o letto mediante uno strumento analizzatore compatto e trasportabile.

Il risultato disponibile in 15-30 minuti. Per l’esecuzione del test occorre attenersi alle istruzioni del produttore, sia per le modalità di prelievo che per le modalità di processamento del campione, con particolare attenzione al rispetto della tempistica tra il momento del prelievo e la lettura del risultato e al confronto con la banda di controllo. Processando il tampone nel più breve tempo possibile, generalmente entro un’ora dal prelievo, sarà possibile ottenere il risultato in 15-30 minuti. Proprio per tali caratteristiche questo tipo di test può essere eseguito in uno studio medico o in aree dedicate, senza la necessità di essere effettuato in un laboratorio.

Necessarie modalità organizzative flessibili. Per effettuare i test è necessario che lo studio medico disponga, al suo interno o nelle sue pertinenze, di un locale dedicato a tale attività, con modalità organizzative flessibili che tengano conto della necessità di avere percorsi separati, strutturalmente o funzionalmente, per l’accesso dei pazienti da testare, e quindi potenzialmente infetti. Bisogna quindi disporre in modo ottimale i percorsi di entrata e di uscita, di sala d’aspetto e di sala visite dedicate, oppure, in alternativa, differenziare gli orari di ricevimento degli assistiti in base al quadro anamnestico e sintomatologico, rilevato anche sulla base del triage telefonico. I test rapidi, inoltre, possono essere programmati verso il termine dell’attività lavorativa ordinaria dello studio medico, in modo da evitare qualsiasi possibilità di incrocio tra un paziente e l’altro, prevedendo tempi adeguati per la sanificazione delle aree frequentate dai pazienti e utilizzate per l’esecuzione dei test.

I dpi per la protezione del medico e del personale di studio. I dispositivi di protezione individuale che devono essere utilizzati dal medico e dal personale di studio comprendono un camice monouso idrorepellente, calzari, guanti, schermo facciale (se non disponibile, occhiali protettivi) e respiratore facciale (FFP2/FFP3). Oltre a utilizzare i dpi adeguati, è inoltre necessario effettuare sempre l’igiene delle mani. I guanti vanno sostituiti dopo ogni paziente e tutti i dpi non riutilizzabili devono essere smaltiti in un contenitore per rifiuti appropriato, effettuando l’igiene delle mani prima di indossarli e dopo averli rimossi. Il respiratore facciale deve coprire bene il naso, la bocca e il mento e va sostituito immediatamente se danneggiato, contaminato o umido.

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Indice
1. Introduzione
2. Test rapidi antigenici
3. Requisiti per l’effettuazione dei test negli studi medici
4. Misure generali per la prevenzione e il controllo dell’infezione da SARS-CoV-2 nel setting operativo
4.1. Igiene delle mani
4.2. Pulizia e disinfezione degli strumenti
4.3. Organizzazione generale delle modalità di accesso allo studio medico
4.4. Indicazioni per la pulizia e disinfezione (sanificazione) degli ambienti
4.5. Gestione dei rifiuti
5. Procedure per l’esecuzione dei test diagnostici
5.1. Misure organizzative e di prevenzione per l’esecuzione in sicurezza dei tamponi
5.2. Raccomandazioni per gli studi dei pediatri di famiglia
5.3. Dispositivi di protezione individuale per il medico e il personale di studio
5.4. Indicazioni operative per l’esecuzione del test
6. Gestione dei pazienti in relazione al risultato del test
7. Attività di formazione

Fonte: INAIL

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Circolare MLPS 19 novembre 2020 n. 17

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Circolare MLPS 19 11 2020

Circolare MLPS 19 novembre 2020 n. 17 

Oggetto: Circolare in tema di tutele del lavoro dei ciclo-fattorini delle piattaforme digitali ai sensi degli articoli 2 e 47-bis e seguenti, del decreto legislativo n. 81/2015.

1. L'attività lavorativa dei ciclo-fattorini delle piattaforme digitali trova la propria disciplina nel corpo del d.lgs. n. 81/2015, come modificato e integrato dalla legge 2 novembre 2019, n. 128, di conversione del decreto-legge n. 101 dello stesso anno. Questa disciplina, in anticipo su altri Paesi dove pure il fenomeno è maggiormente diffuso e radicato, si pone nell'ottica di una iniziativa comune da parte dell'unione Europea volta a dare una risposta coordinata alle sfide giuridiche poste dai continui cambiamenti tecnologici nel mercato del lavoro, tant'è che la Commissione ha nei propri piani di lavoro per il 2021 un'iniziativa per «improving the working conditions of platform workers».
La legge n. 128/2019 attribuisce ai c.d. riders tutele differenziate a seconda che loro attività sia riconducibile alla nozione generale di etero-organizzazione di cui all'articolo 2 del d.lgs. n. 81/2015 ovvero a quella dettata dall'art. 47-bis dello stesso decreto con specifico riferimento ai ciclo-fattorini autonomi; fatta salva, naturalmente, ricorrendone i presupposti secondo i generali criteri di accertamento, l'applicabilità della fattispecie di cui all'articolo 2094 c.c.
Preme al riguardo preliminarmente osservare che, sia la definizione di ciclo-fattorino, sia quella di piattaforma digitale, sono contenute nell'articolo 47-b/s del d.lgs. n. 81/2015, la disposizione di apertura del nuovo Capo V-bis del decreto, aggiunto dalla legge n. 128/2019 e dedicato, in via generale, alla tutela del lavoro tramite piattaforme.
In virtù della loro configurazione, entrambe le nozioni - quella di ciclo-fattorino e quella di piattaforma digitale - sono peraltro dotate di una valenza generale, riferibile sia alla ipotesi in cui l'attività lavorativa risulti inquadrabile nella previsione dell'articolo 2, sia a quella in cui la stessa sia riconducibile alla previsione dell'articolo 47-bis. Ciò è desumile dalla formulazione in termini essenzialmente descrittivo-fenomenici delle due nozioni, giacché esse si limitano a descrivere - conformemente alla rubrica del Capo V-bis - taluni tratti identificativi di carattere generale, normalmente ricorrenti nel modus operandi della piattaforma e connotanti l'attività materiale del ciclo-fattorino, i quali appaiono suscettibili di operare a prescindere dalla tipologia negoziale in rilievo, come si evince anche dall'articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, così come modificato dalla legge n. 128/2019.
Ciò chiarito, si rende opportuno delineare succintamente i contorni di questa disciplina e, segnatamente, l'ambito applicativo delle due previsioni di riferimento, osservando in premessa che quello dell'articolo 47-bis, in forza dell'espressa clausola di salvezza di quanto disposto dall'articolo 2, comma 1, è disegnato come residuale in rapporto a tale ultima previsione, e che questa, quindi, costituisce l'ipotesi attrattiva prevalente di disciplina dell'attività dei riders.

2. Nel caso in cui i riders, per le concrete modalità operative osservate, lavorino in via continuativa e con attività prevalentemente (e non più esclusivamente) personale, secondo modalità esecutive definite dal committente attraverso la piattaforma, sarà applicabile la previsione dell'articolo 2; ciò, a prescindere dal fatto che l'etero-organizzazione si eserciti «anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro», come invece esigeva la vecchia formulazione, ora soppressa.
In tal caso, ricorrendo gli estremi costitutivi della fattispecie, la norma garantisce l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato (come confermato dalla sentenza n. 1663 del 2020 della Corte di Cassazione), salvo che esistano accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.
Nelle ipotesi in cui, invece, i riders lavorino in mancanza delle condizioni di subordinazione e dei requisiti previsti dall'articolo 2, si applicherà il Capo V-bis. Ciò accade, in particolare, qualora essi svolgano una prestazione di carattere occasionale, ossia priva del carattere della continuità richiesto dall'articolo 2 come necessario requisito per integrare la fattispecie dei rapporti di collaborazione organizzati dal committente.
Il requisito della continuità in discorso si determina caso per caso, tanto con riferimento alla reiterazione della prestazione, quanto con riferimento alla durata del rapporto; pur dinanzi all'occasionalità della prestazione, rileva altresì l'interesse del committente al ripetersi della prestazione lavorativa e della disponibilità del collaboratore ad eseguirla, all'interno di un arco di tempo apprezzabile.
A questi «lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui... attraverso piattaforme anche digitali», la legge garantisce nel Capo V-bis del d.lgs. n. 81/2015, un corredo rilevante di diritti, che costituiscono peraltro livelli minimi di tutela. Si tratta di diritti che vanno quindi riconosciuti anche (ed anzi proprio) in mancanza di un rapporto di collaborazione etero-organizzata, ed anche in mancanza di un rapporto di collaborazione coordinata, per il solo fatto dello svolgimento della prestazione a carattere autonomo.
Per ciò che attiene al compenso, l'articolo 47-quater, primo comma, demanda ai contratti collettivi la facoltà di definire criteri di determinazione del compenso complessivo, che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell'organizzazione del committente. Il secondo comma stabilisce, poi, che in mancanza della stipula di tali contratti, i riders non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e ai medesimi lavoratori deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Si prevede inoltre, al terzo comma, che, in ogni caso, ai medesimi lavoratori deve essere garantita un'indennità integrativa non inferiore al 10 per cento, per il lavoro svolto di notte, durante le festività o in condizioni meteorologiche sfavorevoli, determinata dai contratti di cui al comma 1, o, in difetto, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Al riguardo, deve ritenersi che all'interno della delega alla contrattazione prevista nel primo comma non rientri la facoltà di fissare il compenso del rider autonomo facendo esclusivo riferimento al sistema del cottimo (c.d. "puro" o "integrale"). Ciò, in quanto la legge autorizza il contratto collettivo a fissare criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano, soltanto, conto delle modalità di svolgimento della prestazione, oltre che dell'organizzazione della piattaforma committente (c.d. cottimo misto); non autorizza, invece, il contratto collettivo a determinare il compenso in questione facendo esclusivo riferimento alle consegne effettuate da ogni singolo rider (senza il rispetto di alcun altro criterio). Tale forma di compenso deve ritenersi perciò sempre vietata, alla stregua di una tutela minima inderogabile fissata dalla legge.
Nella stessa coerente accezione deve essere quindi inteso il secondo comma dell'articolo 47-quater, il quale, in mancanza di accordo collettivo, vieta nella sostanza qualsiasi forma di compenso in base alle consegne effettuate (e dunque anche quello determinato attraverso il cottimo misto consentito dal primo comma in presenza di contrattazione).

3. I contratti collettivi abilitati a dettare una disciplina prevalente rispetto a quella legale sono, tanto nell'articolo 2, quanto nell'articolo 47-quater, quelli stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Come si legge nella sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2015 (in materia di retribuzione per i soci lavoratori di cooperative), attraverso tale tecnica il legislatore si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative. Tale tecnica è estesa e adattata a quelle peculiari figure di lavoro autonomo oggetto della disciplina, in particolare, del Capo V-bis.
Secondo la lettera della legge (confermata da una sperimentata giurisprudenza della Corte di Cassazione: v. le sentenze nn. 4951 e 5189 del 2019), deve trattarsi, dunque, per un verso di una pluralità di agenti sindacali, e non di un singolo agente, giacché entrambe le norme parlano al plurale di organizzazioni sindacali (con previsione che nell'articolo 47-b/s è rafforzata dall'uso dell'articolo determinativo). E, per altro verso, è necessario che le stesse organizzazioni possiedano il requisito della maggiore rappresentatività comparativa da individuarsi sulla base degli indici comunemente impiegati in giurisprudenza (quali, ad esempio, la consistenza numerica del sindacato, una significativa presenza territoriale sul piano nazionale, la partecipazione ad azioni di autotutela, alla formazione e stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, l'intervento nelle controversie individuali, plurime e collettive); da utilizzarsi ai fini di una valutazione, appunto in chiave comparativa, per la selezione di quelle più rappresentative.
Va ricordato in proposito che l'art. 47-octies stabilisce che i rappresentanti designati dalle medesime organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sono chiamati a far parte dell'Osservatorio permanente, la cui istituzione è prevista dalla norma presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il compito di assicurare il monitoraggio e la valutazione indipendente delle disposizioni del Capo V-bis, di verificarne gli effetti, e di proporre eventuali revisioni in base all'evoluzione del mercato del lavoro e della dinamica sociale.
Deve inoltre ritenersi che il criterio della maggiore rappresentatività comparata necessariamente si determini avuto riguardo alle parti firmatarie del contratto collettivo nazionale del più ampio settore, al cui interno, in ragione di particolari esigenze produttive ed organizzative, si avverte la necessità di prevedere discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo dei lavoratori in oggetto.
Il contratto collettivo nazionale concluso in assenza dei criteri indicati, perché sottoscritto da organizzazioni sindacali di non accertata maggiore rappresentatività comparativa nell'ambito categoriale di riferimento o da un'unica organizzazione sindacale, non è idoneo a derogare alla disciplina di legge, onde non produce l'effetto di sostituzione di tale disciplina minima di tutela con quella pattizia nei confronti dei lavoratori cui intende applicarsi, anche se iscritti all'organizzazione stipulante.
Stante la inidoneità del contratto a produrre un tale effetto disabilitante delle tutele legali, risulterà pienamente applicabile - a seconda dei casi - la previsione dell'articolo 2, primo comma, o quella dell'articolo 47-quater, secondo comma, onde il lavoratore avrà il diritto, tutelabile anche con lo strumento della diffida accertativa ex articolo 12 del decreto legislativo n. 124/2004, all'eventuale differenza tra gli importi, relativi al trattamento economico, discendenti dall'applicazione della disciplina legale e quelli contrattualmente previsti ed effettivamente corrisposti.

4. Il Capo V-bis riconosce inoltre ai riders autonomi il diritto di ottenere la stipula di un contratto formale, posto che le condizioni contrattuali devono essere provate per iscritto ( in conformità di quanto stabilito dalla direttiva UE 2019/1152); ed inoltre il diritto di ricevere ogni informazione utile sulle condizioni applicabili al contratto «per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti e della loro sicurezza» (art. 47-fer), con facoltà di rivolgersi alla direzione territoriale del lavoro affinché intimi al committente di fornire le informazioni entro il termine di quindici giorni. L'effettività del diritto all'informazione è garantita, in caso di violazione, attraverso l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 4 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, ed inoltre dal diritto ad un'indennità risarcitoria.
La legge (art. 47-quinquies) riconosce, poi, l'applicazione ai riders autonomi della disciplina antidiscriminatoria stabilita per i lavoratori subordinati, in quanto compatibile con la natura del rapporto, ivi compreso l'accesso alla piattaforma. Il richiamo deve essere inteso alla disciplina a tutela della libertà e dignità del lavoratore, individuata dalla prima parte dello Statuto dei lavoratori (ivi compreso l'art. 4) ed a tutti i fattori di discriminazione previsti dall'ordinamento (sesso, razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, politiche, sindacali, disabilità, età, orientamento sessuale, ecc.).
Inoltre, allo scopo di evitare che venga sanzionata nei fatti la libertà di disconnessione e di non accettare le chiamate, inducendo il lavoratore ad orari di lavoro gravosi a discapito
della salute e della sicurezza, la norma riconosce un'importante tutela (azionabile in giudizio) dal momento che vieta l'esclusione dalla piattaforma o le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione.
L'articolo 47-sex/es prevede che i dati personali dei lavoratori che svolgono la loro attività attraverso le piattaforme digitali, siano trattati in conformità alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679, del 27 aprile 2016, e al codice della privacy di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Infine, l'articolo 47-sepf/es prevede la copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Pertanto, la piattaforma è tenuta a tutti gli adempimenti del datore di lavoro previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/1965. Ed inoltre è tenuta ad assicurare il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sempre a propria cura e spese.

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Fonte: MLPS

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Nota Ministero Istruzione 18.11.2020 Dirigenti scolastici - fragilità

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Nota 18 11 2020 Dirigenti scolastici  fragilit

Dirigenti scolastici in condizione di fragilità – Indicazioni

Nota Ministero dell'Istruzione 18 novembre 2020 - AOODGPER 36611

Oggetto: Dirigenti scolastici in condizione di fragilità - Indicazioni.

A seguito delle numerose richieste, si forniscono delucidazioni in riferimento agli specifici adempimenti di competenza dei direttori generali e dei dirigenti titolari degli Uffici scolastici regionali, in ordine alle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19.

Le citate competenze sono rinvenibili sia nella circolare interministeriale del Ministero della Salute e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 4 settembre 2020, n. 13, che ha fornito chiarimenti con riguardo ai lavoratori fragili, nonché nella Nota del Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione 11 settembre 2020, n. 1585.

Quest’ultima, nella parte introduttiva, riporta le indicazioni operative in materia di lavoratori “fragili”, che devono ritenersi generalmente applicabili anche al personale dirigente scolastico, seppur con riferimento allo specifico profilo professionale.

Al riguardo il Direttore generale o dirigente titolare dell’USR, su istanza dell’interessato, segue l’iter già indicato nelle note sopra richiamate ed invia il dirigente scolastico alla visita del medico competente.

A seguito del riconoscimento della fragilità e sulla base del referto, avuto anche riguardo alle condizioni di lavoro, il direttore dell’USR, tenuto conto anche dell’eventuale organizzazione, nell’istituto di titolarità, dell’attività didattica secondo le modalità della DDI, può ammettere il dirigente scolastico a prestare la propria attività in modalità agile fino al termine indicato nella certificazione medica. Le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa sono definite in modo autonomo dal dirigente scolastico e prevedono che gli interessati continuino ad assicurare il pieno funzionamento dell’istituzione scolastica, applicando le indicazioni di sicurezza nel rispetto di quanto previsto dal referto medico.

E’ pertanto opportuno che il dirigente, qualora residente in altra regione, anche se in lavoro agile, adotti ogni modalità organizzativa atta a garantire il corretto funzionamento dell’istituzione scolastica cui è preposto. La particolare situazione delle istituzioni scolastiche e la continua evoluzione delle condizioni in cui esse si trovano ad operare richiedono infatti, come comprovato da quanto verificatosi in questi mesi, una capacità di intervento ed un’attenzione gestionale che deve comunque essere assicurata in caso di necessità.

Si ricorda infine agli Uffici dell’amministrazione territoriale l’esigenza di procedere ad un attento monitoraggio delle situazioni e ad una continua interlocuzione con i dirigenti scolastici al fine di prevenire o risolvere ogni criticità.

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Fonte: MIUR

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Dati INAIL Ottobre 2020 | La sanità in Italia e in Europa

ID 12082 | | Visite: 1427 | News Sicurezza

Dati INAIL Ottobre 2020

Dati INAIL Ottobre 2020 | La sanità in Italia e in Europa

La sanità in Italia e in Europa - Radiografia degli infortuni nella sanità - Le aggressioni sul lavoro nella sanità e assistenza sociale - Chemioterapici antiblastici e rischi per gli operatori sanitari addetti alla loro manipolazione - Principi di sanificazione nelle strutture sanitarie

Il numero di Dati Inail, Ottobre 2020 curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, è dedicato alla sanità e assistenza sociale, il settore di attività che svolge un ruolo strategico nella gestione dell’attuale emergenza epidemiologica e ne sta subendo più di tutti la pressione, come confermano i dati provvisori relativi all’andamento infortunistico nei primi nove mesi del 2020. Tra gennaio e settembre, infatti, il numero degli infortuni sul lavoro denunciati in questo comparto – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, strutture residenziali per anziani e disabili – è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2019 e i casi mortali riferiti ai soli eventi in occasione di lavoro sono addirittura decuplicati, come conseguenza dell’elevato rischio di contagio da Covid-19.

Tra il personale sanitario quasi un infortunio su 10 è per aggressione.

Nel quinquennio 2015-2019, a fronte di un’incidenza complessiva degli infortuni da violenza e aggressione pari al 3% dei casi accertati positivamente e in occasione di lavoro nella gestione Industria e servizi, nella sanità questa quota si triplica raggiungendo il 9%, ovvero quasi un infortunio su 10. Il 41% dei casi è concentrato nell’assistenza sanitaria (ospedali, case di cura, studi medici), il 31% nei servizi di assistenza sociale residenziale (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza) e il 28% nell’assistenza sociale non residenziale.

Il numero degli infermieri per mille abitanti è inferiore alla media Ue.

Dati Inail si sofferma anche sui risultati dello studio sul profilo sanitario dei Paesi membri predisposto lo scorso anno dalla Commissione europea, da cui emerge che la quota di prodotto interno lordo destinata alla spesa sanitaria in Italia nel 2017 era pari all’8,8%, rispetto alla media Ue del 9,8%. Nel nostro Paese i medici sono quattro ogni mille abitanti, rispetto ai 3,6 della media europea, mentre per gli infermieri si registra la situazione opposta: 5,8 per mille abitanti in Italia, 8,5 in Ue. I dipendenti a tempo indeterminato del nostro Servizio sanitario nazionale sono più di 648mila, pari al 20,1% del complesso degli oltre 3,2 milioni della Pubblica amministrazione. Oltre a infermieri (267,5mila) e medici (111,7mila), operano in questo settore assistenti sociosanitari (57,8mila), addetti alla riabilitazione (19,7mila), ausiliari (14,2mila) e altri. Più della metà (57,6%) del complesso dei dipendenti supera i 50 anni (63,9% degli uomini e 54,5% delle donne), mentre per i medici l’età è ancora più elevata (la metà ha un’età superiore ai 55 anni).

Due focus su principi di sanificazione e chemioterapici antiblastici.

Altri due approfondimenti contenuti nell’ultimo numero sono dedicati ai principi di sanificazione nelle strutture sanitarie, con particolare attenzione agli ambienti ospedalieri che ospitano pazienti affetti da Covid-19, che devono essere puliti e disinfettati da personale formato e munito di adeguati dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale, e ai rischi per gli operatori sanitari addetti alla manipolazione dei chemioterapici antiblastici, che oltre ad agire sulle cellule tumorali possono avere effetti avversi sia per i pazienti che per gli utilizzatori professionali. In ambito ospedaliero, in particolare, l’esposizione può avvenire prevalentemente per via inalatoria o cutanea, durante la preparazione, la somministrazione e lo smaltimento dei rifiuti. Di qui la necessità di preparare, somministrare e smaltire i chemioterapici antiblastici utilizzando Dpi monouso (guanti in lattice o gomma sintetica, camice di tipo chirurgico in tessuto non tessuto, cuffia per capelli, mascherina filtrante, occhiali o visiera) all’interno di ambienti che rispondono a specifici requisiti igienici.

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Fonte: INAIL

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Nota VVF 6 novembre 2020 prot. n. 14791

ID 12041 | | Visite: 3620 | News Prevenzioni Incendi

Nota VVF 6 novembre 2020 prot  n  14791

Nota VVF 6 novembre 2020 prot. n. 14791

ID 12041 | 16.11.2020

Nota VVF 6 novembre 2020 prot. n. 14791 - D.M. 13.10.1994 - Allegato tecnico - Punto 13.11 - Sorveglianza dei depositi ed attività primarie. Quesito

OGGETTO: D.M. 13.10.1994 - Allegato tecnico - Punto 13.11 - Sorveglianza dei depositi ed attività primarie. Quesito.

Si riscontra la nota prot. n. xxx del xx.xx.xxxx di pari oggetto rappresentando che, per i depositi di GPL, l'attività di sorveglianza, così come definita nel D.M. 13.10.1994, può ritenersi sostitutiva dell'attività di custodia nelle ore silenti, qualora siano comunque assicurate tutte le funzioni previste nella pianificazione di emergenza, in genere garantite dalla prevalente presenza di personale addetto all'impianto e previa valutazione dell'Autorità competente.

Riguardo al quesito relativo all'attestazione del rinnovo periodico della conformità antincendio, come anche esplicitalo nella lettera circolare prot. DCPREV n. 15438 del 15.10.2019 “Chiarimenti applicativi dell'allegato L al D.Lgs. 105/2015 - procedure semplificate di prevenzione incendi per gli stabilimenti di soglia superiore”, è necessario distinguere le attività dell'allegato I al DPR 151/11 che costituiscono impianto o deposito, ai sensi del D.Lgs. 105/15, da quelle che non costituiscono impianto o deposito. La definizione di impianto o deposito è riportata all'art. 3 del D.Lgs. 105/15.

Premesso quanto sopra, se un'attività è ricompresa tra quelle di cui all'art. 3 del D.Lgs. 105/15, per l'attestazione di rinnovo periodico si seguono le procedure di cui al punto 4.1 dell'allegato L; diversamente, se ciò non accade, quelle di cui al punto 4.2 del medesimo allegato.

Nella fattispecie segnalata che fa riferimento ad un gruppo elettrogeno, se lo stesso risulta necessario per il funzionamento dell'impianto così come definito alla lettera h) dell'art. 3 del D.Lgs. 105/15 sarà ricompreso tra le attività che costituiscono impianto o deposito e pertanto l'attestazione di rinnovo periodico avverrà secondo le modalità di cui al punto 4.1 dell'allegato L. Diversamente, come è stato già evidenziato in precedenza, per l'attestazione di rinnovo periodico si dovrà fare ricorso alle modalità di cui al punto 4.2.

Richiesta della Società

XXXXX ha ricevuto da parte di alcune aziende associate alcuni quesiti relativi alla corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni relative al punto 13.11 dell'allegato al DM 13.10.94 in merito alla tematica della sorveglianza dei depositi.

In particolare, il punto 13.11.1 indica la necessità della “custodia” del deposito per uno stoccaggio superiore a 50 ton mentre il punto 13.11.2 indica la necessità della “sorveglianza” da parte di guardie particolari giurate o, in alternativa, della previsione di ispezioni periodiche ed installazione di dispositivi di allarme in grado di allertare le guardie particolari giurate, quando la capacità di stoccaggio del deposito superi le 200 ton.

I quesiti che sono emersi attengono alle fattispecie in cui lo stabilimento abbia adottato un modello organizzativo - peraltro già in essere da tempo e convalidato fin qui dalle diverse amministrazioni competenti - che prevede la “custodia” del deposito da parte di personale dipendente mentre l'attività di “sorveglianza” è demandata ad Istituti Privati di Vigilanza.

La “custodia” del deposito è garantita nelle sole ore di servizio attivo con il fine di adeguatamente controllare e disciplinare gli accessi e le uscite dal deposito del personale dipendente e non, con e senza automezzi.

La “sorveglianza” del deposito è invece assicurata nelle ore “silenti” mediante apposito contratto con Istituto Privato di Vigilanza al quale è demandata l'esecuzione di Ispezioni Periodiche in sito e la vigilanza dello stesso mediante sistema di TVCC le cui immagini sono immesse in rete.

L'Istituto di Vigilanza, inoltre, è destinatario di allerta telefonica generata dai sistemi di allarme associati agli impianti antintrusione e di rivelazione eventi incidentali (fughe gas e incendi) che, peraltro, attivano anche le figure professionali responsabili dell'esercizio del deposito.

Di recente, invece, nell'ambito delle verifiche ispettive svolte nell'ambito di applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 105/2015, è stata prescritta la continuità della “custodia” anche nelle ore silenti il che - a nostro avviso - non solo non corrisponde allo spirito delle disposizioni, ma non trova adeguata giustificazione atteso che gli impianti sono fermi e messi in sicurezza e che non vi è alcuna necessità di esercitare le attività proprie della “custodia” così come descritte in precedenza.

Dall'altra parte, invece, alcune interpretazioni della custodia, laddove sia presente una abitazione del custode ubicata nell'area in cui è situato il deposito, giungono fino a prescrivere il registro delle presenze perfino in tale edificio.

La mancata chiarezza sul tema sta creando difficoltà operative per le aziende del settore e, con riferimento a quanto sopra, Vi saremmo grati se poteste confermare la correttezza dell'interpretazione delle disposizioni sopra citate nel senso che l'attività di custodia - per i depositi di capacità superiore a 200 ton - non debba essere mantenuta anche nelle ore silenti.

Inoltre, sempre nell'ambito dell'applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 105/15 - con particolare riferimento a quanto contenuto nell'allegato L - ci sono state evidenziate da parte delle Imprese associate alcune difficoltà nell'individuazione delle attività considerate come impianto o deposito (cosiddette primarie), per le quali l'obbligo di presentazione dell'attestato di rinnovo periodico viene assolto con la presentazione del Rapporto di Sicurezza. In particolare il gruppo elettrogeno a servizio dell'impianto in alcune situazioni è stato escluso dal procedimento amministrativo relativo alla presentazione/revisione del Rapporto di Sicurezza. A tal riguardo, ritenendo che il gruppo elettrogeno dovrebbe essere considerato dalla prevenzione incendi tra le attività primarie del deposito e quindi soggetto alle stesse modalità di rinnovo previste per le altre attività del deposito, Vi saremmo grati se poteste fornire un parere sulla tematica al fine di consentire alle aziende di procedere in modo univoco.

Da ultimo, desideriamo segnalarVi che - anche dalle ultime verifiche svolte in attuazione delle previsioni di cui al D.Lgs. 105/15 - sono emerse alcune disomogeneità nelle valutazioni a fronte di una ampia ed ormai consolidata standardizzazione dei depositi di GPL.

A tal riguardo, nel lasciare alla Vostra esperienza e sensibilità le modalità per giungere ad una auspicata omogeneizzazione nell'ambito dell'esercizio delle funzioni attribuite ai sensi dell'art. 6 del D.Lgs. 105/15, confermiamo la più ampia disponibilità della nostra Associazione anche per eventuali contributi di formazione aventi un focus specifico sulle attività del GPL.

Nel ringraziare anticipatamente per l'attenzione che vorrete porre alla presente, si resta a disposizione per ogni necessità di approfondimento ed in attesa di un cortese riscontro.

[...]

Fonte: VVF

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Allegato riservato Nota VVF 6 novembre 2020 prot. n. 14791.pdf
 
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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 31529 | 11 Novembre 2020

ID 12030 | | Visite: 1931 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 dell'11 novembre 2020 n. 31529

Infortunio durante la movimentazione di merci con un transpallet elettrico. Responsabilità di committente e appaltatrice

Penale Sent. Sez. 4 Num. 31529 Anno 2020
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: ESPOSITO ALDO
Data Udienza: 30/09/2020

Fatto Diritto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì del 5 luglio 2016, con cui B.I. e D.L. erano stato condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di reclusione ciascuno in relazione al reato di cui agli artt. 113, 590, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., 26, comma 2, lett. a) e 63, comma 1, D.lgs n. 81 del 2008, perché, in cooperazione tra loro, nelle rispettive qualità il B.I. di legale rappresentante e di presidente del consiglio di amministrazione della società "Primo Taddei Cooperativa servizi logistica e movimentazione merci" e il D.L. di procuratore speciale e direttore dello stabilimento ubicato in Forlì, via Don Servadei n. 12, della società "Centrale Adriatica soc. coop.", perché, in violazione dell'art. 26 cit., non cooperavano tra loro per l'attuazione delle misure di prevenzione sul lavoro nel reparto scarico ortofrutta affinché le manovre di movimentazione delle merci venissero effettuate in sicurezza e non in condizione di spazi ristretti all'interno dello stabilimento della società Centrale Adriatica nonché, in violazione dell'art. 63, comma i), AII. IV punti 1.8.1. e 1.8.2. cit., il B.I. lasciava utilizzare a C.L. un transpallet in una zona avente uno spazio ristretto per le manovre e il D.L. per aver dato in uso dei locali in cui gli spazi di manovra erano ristretti; nella specie, il 16 marzo 2012, mentre il C.L., quale socio lavoratore dipendente della società Primo Taddei, si trovava nella zona di scarico merci in arrivo del predetto stabilimento ed era intento a movimentare dei pallets in legno su cui erano accatastate varie casse in plastica ripiene di prodotti ortofrutticoli mediante un transpallet elettrico, durante una manovra a marcia indietro urtava una pila di casse riposte su due pallets sovrapposti (48 casse complessive contenenti kg. 10 cadauna di mele golden suddivise in 24 casse sovrapposte tra di loro a piani di quattro su ogni pallet, per un'altezza complessiva pari a cm. 236) scaricate in precedenza e a seguito di tale urto, al fine di evitare il ribaltamento delle casse che nel frattempo si erano inclinate il C.L. scendeva dal transpallet cercando di reggerle, ma stante il peso elevato (kg. 480 solo la merce contenuta all'interno delle casse, esclusa la tara dei contenitori), non riusciva in tale intento, rimanendo schiacciato dalle stesse, cagionando al C.L. lesioni personali gravi consistite in tetraplegia da frattura lussazione cervicale, con conseguente grado di inabilità del 95%.
1.1. In base alla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, anche in base ad una videoregistrazione, il C.L., dipendente della Primo Taddei, alla guida di un transpallet, stava svolgendo attività di movimentazione e di smistamento merci nel reparto ortofrutta nei magazzini della Centrale Adriatica, società committente dei lavori.
Presso tali magazzini giungono quotidianamente - stivati in appositi pallets - prodotti ortofrutticoli, che ivi erano scaricati, pesati ed etichettati, operazioni per le quali il carrellista scende e sale ripetutamente dal carrello nonché infine stivati per essere successivamente distribuiti presso i vari negozi di rivendita al pubblico.
Il C.L., durante lo scarico della merce, allorché la zona stivaggio di fronte alla buca di scarico del camion era già piena di pallets, aveva collocato una pila di pallets nella zona di manovra adiacente a tale buca; nello scaricare un'altra pila dal camion, in fase di retromarcia, urtava la predetta pila. L'urto determinava il barcollamento dei due pallets sovrapposti del peso di 480 kg. che il lavoratore, scendendo improvvisamente dal mezzo, tentava di bloccare venendone completamente travolto.
Gli ispettori del lavoro intervenuti rilevavano due problematiche causalmente rilevanti nell'infortunio: a) gli spazi di manovra sempre più ristretti a causa del continuo stivaggio; b) il transpallet adoperato per la movimentazione, poiché, in base alle misure col carico a bordo, non potevano ritenersi rispettate le misure di distanza previste nel manuale per evitare urti.
All'esito di tali rilievi, dopo l'infortunio erano effettuate delle disposizioni finalizzate all'evitare di ripetersi di un simile infortunio e, cioè, la modifica degli spazi di manovra presenti nell'area di scarico e la stessa Centrale Adriatica ha redatto indicazioni integrative alla procedura per la circolazione di mezzi e di pedoni, con prescrizioni di divieto della sosta di pallet o di carrelli nella zona di scarico ed obbligo di sgombero di questa zona nonché di prelievo della merce secondo uno schema di movimentazione del transpallet prudenziale, al fine di evitare interferenze con altre operazioni.
Nell'attività di movimentazione delle merci il rischio di ribaltamento dei pallet di merce era tutt'altro che imprevedibile; inoltre, i lavoratori sentiti quali testi (T., M. e A.) avevano riferito una statistica che va dai tre ai dieci ribaltamenti in un anno e l'A. aveva specificato che 6/7 ribaltamenti su 10 erano determinati da manovre del muletto piuttosto che da vizi dei pallets.
Secondo il teste ispettore Casadio, il rischio di ribaltamento del pallet determinato da manovre del carrello doveva essere considerato anche alla luce delle modalità di svolgimento dell'attività di movimentazione: in particolare, gli spazi ristretti, da un certo orario in poi, determinavano una violazione delle norme dimensionali dei transpallet utilizzati.
Pertanto, la committente e l'appaltatrice non avevano effettuato un'adeguata valutazione preventiva delle modalità delle manovre di carico e scarico e alle dimensioni degli spazi di scarico. Gli imputati non avevano cooperato tra loro nella valutazione del rischio interferenziale nel reparto ortofrutta dell'attività di movimentazione delle merci e, in particolare, il B.I. per aver consentito all'infortunato di lavorare in spazi ristretti e il D.L. per aver dato in uso detti locali.
1.2. La Corte di appello ha condiviso le valutazioni del giudice di primo grado, rilevando che la sentenza aveva dato conto, in modo completo e dettagliato, della ricostruzione del fatto e delle risultanze processuali.
La Corte territoriale ha osservato che non ricorreva un'ipotesi di comportamento anomalo del lavoratore idoneo ad escludere il nesso di causalità.
Il lavoratore frequentemente operava in una situazione di pericolo concreto a causa del continuo stivaggio: il costante arrivo di pallets da scaricare determinava da una certa ora in poi una situazione di spazi ristretti con rischio di urto e l'inidoneità del mezzo usato per il mancato rispetto delle distanze previste nel manuale per evitare urti. Ogni anno, peraltro, come dichiarato dal T., dal M. e dall'A., avvenivano dai tre ai dieci ribaltamenti, la gran parte determinati da manovre del muletto piuttosto che da vizi dei pallet.
Il comportamento del manovratore non poteva qualificarsi come abnorme ed estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuitegli, bensì era funzionale all'esecuzione del suo lavoro (caricare e stivare senza danneggiare alcunchè).
Il lavoratore, dopo aver urtato i pallets a causa degli spazi ristretti - nei quali era divenuto pericoloso operare - e dell'inidoneità del mezzo usato (a causa degli spazi ristretti e del carico a bordo), tentava di evitare il danneggiamento della merce e delle attrezzature, al fine di salvaguardare gli interessi aziendali, preferendo porre a rischio la propria incolumità personale.
Erano prevedibili eventuali urti con pericolo di ribaltamento della merce e il conseguente tentativo del lavoratore di evitare le cadute dei pallets e il danneggiamento della merce. I ribaltamenti, infatti, erano già avvenuti in passato e le condizioni di lavoro erano direttamente percepibili.
La Corte bolognese ha altresì evidenziato che la posizione di committente non esonerava il D.L. dagli obblighi prevenzionali nei luoghi di lavoro, se non quando non potesse più esservi nessuna ingerenza nell'esecuzione dei medesimi (e sempre che non vi sia una concreta ingerenza).
La quantità di pallets da scaricare era decisa in via esclusiva dalla Centrale Adriatica e, pertanto, non solo le condizioni di lavoro non erano gestite dalla sola Coop. Taddei, ma erano determinate dalle esigenze produttive della società committente. Entrambe le società, pertanto, avevano l'obbligo giuridico di verificare e garantire le condizioni di sicurezza necessarie.
Quanto al trattamento sanzionatorio la Corte di merito ha rilevato che l'art. 590 bis cod. pen. vigente al momento della sentenza (oggi art. 590 quater cod. pen.) stabiliva che, con riferimento al reato di cui all'art. 590, comma terzo, ultimo periodo, cod. pen. le circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli artt. 89 e 114 cod. pen. non potevano essere ritenute equivalenti o prevalenti all'aggravante e le dimi­ nuzioni dovevano essere operate sulla quantità di pena determinata in base alle sud­ dette aggravanti. Per tali ragioni correttamente il giudice di primo grado aveva effet­ tuato le riduzioni di pena per le concesse attenuanti sulla pena base determinata ex art. 590, comma terzo, cod. pen..
2. Entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
3. B.I. (due motivi di impugnazione)
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 41, comma secondo, cod. pen..
Si deduce che la responsabilità doveva escludersi versandosi in ipotesi di condotta abnorme del lavoratore.
Nella fattispecie, il lavoratore infortunato, addetto allo scarico e allo stoccaggio di bancali con un transpallet, dopo aver urtato una pila di quelli nel corso di una manovra, inopinatamente scendeva dal mezzo e correva sotto detta pila cercando di reggerla con le mani, rimanendone tragicamente schiacciato.
3.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 590 bis (ora 590 quater) e 590, comma terzo, cod. pen..
Si osserva che il Tribunale di Forlì aveva erroneamente operato le riduzioni di pena per le riconosciute attenuanti, considerando i limiti edittali previsti per le lesioni col­ pose aggravate di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. e non, sulla sanzione prevista per il delitto di lesioni colpose semplici. La Corte di appello ha erroneamente confermato il trattamento sanzionatorio.
In contrario, doveva rilevarsi che il giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen. ed aggravanti riguardava unicamente le ipotesi di lesioni colpose gravi o gravissime arrecate con le più gravi ipotesi di violazione delle norme in materia di circolazione stradale. Tale circostanza era resa ancor più evidente dal disposto del nuovo art. 590 quater cod. pen., disposizione impropriamente citata dalla Corte territoriale, introdotta proprio in tema di omicidio e lesioni stradali, e non applicabile al caso in esame di violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
4. D.L. (quattro motivi di impugnazione)
3.1. Vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della colpa specifica ex art. 26, comma 2, D.lgs n. 81 del 2008.
Si deduce che la Centrale Adriatica soc. coop. aveva stipulato un contratto di appalto di servizi con la società consortile Sincro, avente ad oggetto lo svolgimento delle attività di esecuzione dei servizi logistici presso il magazzino di Forlì.
A sua volta la Sincro aveva affidato lo svolgimento dei servizi alla Primo Taddei soc. coop.; con lo stesso meccanismo alla Primo Taddei erano stati appaltati la gestione dei reparti ortofrutta ed ittico. Per tali ragioni, la Primo Taddei aveva assunto il compimento di un'opera o di un servizio verso corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi propri e con gestione a proprio rischio nonchè la gestione completa della logistica in totale autonomia, in assenza di dipendenti della Centrale Adriatica.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'art. 63, comma 1, D.lgs n. 81 del 2008 e travisamento della prova in relazione alla gestione esclusiva del magazzino.
Si osserva che la Corte di merito ha collegato l'esistenza dell'obbligo giuridico dei datori di lavori di entrambe le società di verificare e di garantire le condizioni di sicurezza necessarie ad una presunta e indimostrata gestione esclusiva in capo alla Centrale adriatica delle condizioni di lavoro, che sarebbero state determinate da esigenze produttive della committente. L'istruttoria dibattimentale, tuttavia, aveva confermato l'esatto contrario e, cioè, la piena autonomia dell'appaltatrice nella gestione dei servizi (vedi testimonianze M. e A.). Inoltre, lo stato dei luoghi non era stato modificato a seguito dell'infortunio (vedi testimonianza M.).
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli art. 40, 41, comma secondo, e 43 cod. pen. per impossibilità di prevedere l'evento lesivo.
Si rileva che l'evento si era verificato a causa della condotta imprevedibile ed eccezionale perpetrata dal C.L., che, con manovra assolutamente imprevedibile, scendeva dal transpallet e si posizionava sotto la pila di casse che stava crollando, cercando in modo insensato di sorreggere kg. 480 di merce precedentemente stivata.
3.4. Violazione di legge con riferimento agli artt. 590 e 590 quater cod. pen..
Si deduce che erroneamente era stata affermata l'esistenza di un limite al potere di bilanciamento delle circostanze, che non è previsto per il reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen., disposizione non rientrante nel catalogo previsto dall'art. 590 quater cod. pen., inserito dall'art. 1, comma 2, I. 23 marzo 2016, n. 41.
4. La sentenza deve essere annullata senza rinvio per estinzione del reato dovuta a prescrizione, maturata nelle more del giudizio di legittimità, tenuto conto della data del fatto (16 marzo 2012), dell'assenza di fattori sospensivi della prescrizione e del titolo di reato, in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 157 e 161 cod. pen..
Il quarto motivo di ricorso è fondato.
Come indicato dai ricorrenti, la quantificazione della pena non è stata effettuata correttamente.
La Corte di appello, infatti, non ha tenuto conto della modifica legislativa di cui all'art. 1, comma 2, I. 23 marzo 2016, n. 41, favorevole all'imputato, in quanto non prevede più il divieto di equivalenza o di prevalenza delle attenuanti sull'aggravante per i reati in materia di infortuni sul lavoro.
Per tale ragione, il giudice avrebbe dovuto effettuare il giudizio di comparazione tra circostanze, stabilendo esplicitamente la prevalenza delle due attenuanti applicate e avrebbe dovuto effettuare la riduzione delle attenuanti, partendo dalla pena base di cui all'art. 590, comma primo, cod. pen. e non da quella prevista per l'ipotesi aggravata dall'art. 590, comma terzo, cod. pen..
Stante la fondatezza di tale doglianza, risulta correttamente instaurato il rapporto processuale, poiché il ricorso non è inammissibile (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
Com'è noto, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
5. Ne discende conclusivamente che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per l'intervenuta prescrizione del reato contestato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 30 settembre 2020.

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 31529 Anno 2020.pdf
 
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ReNaTuNS sorveglianza epidemiologica dei tumori naso-sinusali

ID 12011 | | Visite: 2740 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Renatuns

ReNaTuNS sorveglianza epidemiologica dei tumori naso-sinusali - Manuale operativo

INAIL, 2020

I tumori maligni naso-sinusali (TuNS) sono tumori rari ma con una rilevante frazione di casi in popolazioni lavorative esposte a specifici agenti causali.

In attuazione del d.lgs. 81/2008, presso l’Inail è attivo il Registro Nazionale dei Tumori Naso-Sinusali (ReNaTuNS), per la stima dell’incidenza dei casi di TuNS in Italia e la raccolta di informazioni sulla loro eziologia, con un ruolo centrale delle regioni e province autonome, attraverso i Centri Operativi Regionali (COR), nell’identificazione dei casi e nella definizione delle esposizioni.

L’aggiornamento del precedente manuale operativo per l’implementazione del ReNaTuNS si è reso necessario in quanto una rilevante parte di territorio nazionale a oggi non dispone del registro e la capacità di analisi epidemiologica dei dati aggregati e la dimensione degli approfondimenti di ricerca a partire dai dati nazionali è ancora limitata.

È auspicabile che grazie a questo strumento fondamentale, la ricerca attiva dei casi di TuNS e l’analisi dell’esposizione diventino un’attività sistematica e coordinata, in modo da garantire la prevenzione della malattia, la tutela dei diritti dei soggetti ammalati e dei loro familiari e la corretta gestione delle risorse di sanità pubblica.

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Schede allegate

- Agricoltura e allevamento animale
- Benzinai
- Cantieristica navale
- Esercizio ferroviario
- Galvanica
- Gomma - compresa la gomma termoplastica
- Impiegati
- Industria del vetro
- Parrucchieri - estetiste
- Portuali
- Preparazione e cottura cibi

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Fonte: INAIL

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D.Lgs. 19 agosto 2005 n. 187

ID 12009 | | Visite: 2024 | Decreti Sicurezza lavoro

D.Lgs. 19 agosto 2005 n. 187

Attuazione della direttiva 2002/44/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti da vibrazioni meccaniche», corredato delle relative note.

(GU n.232 del 05-10-2005)

Abrogato daD.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81

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COVID-19 | Documento tecnico scuola e trasporto pubblico locale

ID 12263 | | Visite: 2438 | News Sicurezza

Documento Tecnico sulla gestione del rischio SAR COV 2 trasporto pubblico

COVID-19 | Documento tecnico scuola e trasporto pubblico locale

INAIL, 7 dicembre 2020

Realizzato dall’Inail e dall’Istituto superiore di sanità, è stato condiviso con il Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Coronavirus allo scopo di fornire elementi di riflessione in previsione del riavvio delle attività in presenza per tutti gli studenti di ogni ordine e grado, concentrando l’attenzione sul percorso casa-scuola, sullo studio in condivisione e sugli assembramenti in prossimità degli edifici scolastici.

In previsione della ripresa delle attività in presenza per tutte le scuole di ogni ordine e grado, l’Inail e l’Istituto superiore di sanità hanno elaborato un nuovo documento tecnico che fornisce dati ed elementi utili per la riflessione sulle misure di contrasto alla diffusione del nuovo Coronavirus nelle attività che avvengono al di fuori degli edifici scolastici, con particolare riferimento al trasporto pubblico locale, che può rappresentare una rilevante occasione di contagio per gli studenti e, più in generale, per tutta la popolazione.

Orari differenziati, mezzi aggiuntivi e più personale per i controlli. Nel documento, condiviso con il Comitato tecnico scientifico istituito presso la Protezione civile nella seduta del 4 dicembre, si sottolinea la necessità di creare un sistema di collaborazione diretta tra il mondo della scuola e chi assicura i servizi di mobilità per identificare e attivare misure organizzative specifiche, finalizzate a modulare la domanda, anche attraverso un’idonea differenziazione degli orari di accesso rispetto alle fasce orarie di punta, a rafforzare l’offerta di trasporto pubblico, anche mediante l’impiego di mezzi aggiuntivi di superficie resi disponibili dal privato in maniera mirata rispetto alla mappatura delle criticità emerse per linee, stazioni e orari, a potenziare il personale dedicato alle stazioni di scambio più critiche per afflusso, allo scopo di assicurare maggiore controllo per la prevenzione di assembramenti, e a incentivare la mobilità sostenibile, anche tramite accordi e/o sovvenzioni per l’utenza scolastica.

Importante promuovere la responsabilità individuale e il ricorso a forme alternative di mobilità. Altrettanto importanti sono le iniziative di comunicazione per promuovere la responsabilità individuale degli studenti e di tutti gli utenti dei servizi di trasporto, per la prevenzione di comportamenti che possano aumentare il rischio di contagio attraverso il rispetto delle regole cardine anti-Covid (uso costante e corretto della mascherina, distanziamento, igiene personale) e per favorire forme alternative di mobilità sostenibile, soprattutto nei contesti ad alta urbanizzazione, privilegiando il ricorso al trasporto pubblico da parte di chi ne ha realmente bisogno.

Limitare le iniziative di aggregazione spontanea extrascolastica. Anche i contesti di aggregazione non connessi ai trasporti, pur offrendo meno dati di analisi, meritano approfondimenti e azioni dedicate, soprattutto per il rischio di assembramenti nei luoghi di ritrovo in entrata e in uscita dalla scuola e in occasione di attività di studio in contesto extrascolastico. Le aggregazioni nei pressi della scuola, in entrata e in uscita, seppure minimizzate dalle misure organizzative messe in atto con la diversificazione degli orari, rappresentano un punto di criticità e richiedono l’applicazione di misure di prevenzione. In questi contesti è auspicabile il potenziamento di personale dedicato al controllo dei punti di accesso alle scuole e dei luoghi limitrofi agli istituti scolastici, per limitare le iniziative di aggregazione spontanea degli studenti.

Per lo studio in ambiente domestico valgono le regole per i contatti tra “non congiunti”. Per quanto riguarda le attività di studio in collaborazione, che sono parte del percorso di apprendimento e hanno un intrinseco valore positivo anche per l’interazione e la socialità che si crea tra coetanei, è nella responsabilità individuale degli studenti e dei loro genitori assicurare che, anche in questi momenti di aggregazione che si concretizzano prevalentemente in ambiente domestico, siano attuate le indicazioni e le misure di prevenzione previste per i contatti tra “non congiunti”, come il distanziamento e l’uso della mascherina.

...

Fonte: INAIL

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Nota MLPS n.18860 del 04/12/2020

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Nota MLPS n 18860 del 04 12 2020

Nota MLPS n.18860 del 04/12/2020

Oggetto: Aggiornamento delle tariffe per l’attività di verifica periodica delle attrezzature di lavoro.

Si informa che le tariffe adottate con il decreto interdirettoriale del 23 novembre 2012, per le attività di verifica periodica delle attrezzature di lavoro di cui all’allegato VII al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, sono state aggiornate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del medesimo decreto, sulla base dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati rilevati al mese di novembre 2020, pari a 0,996%.

Le tariffe aggiornate sono riportate nelle tabelle allegate.

[...] Segue in allegato

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Fonte: MLPS

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 28728 | 16 Ottobre 2020

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 16 ottobre 2020 n. 28728

Lavori sul tetto e caduta dall'alto. Mancata verifica dell'idoneità dell'impresa appaltatrice

Penale Sent. Sez. 4 Num. 28728 Anno 2020
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 22/09/2020

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione relativamente al reato di cui agli artt. 90, comma 9, lett. a), e 157, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008 (capo b) ed ha, invece, confermato la condanna nei confronti di G.O. per il reato di cui all'art. 590, commi 1 e 2, cod.pen., riducendo la pena, in conseguenza della dichiarata estinzione della contravvenzione, a mesi 7 di reclusione, con sospensione condizionale subordinata al pagamento della provvisionale di euro 120.000,00 a favore delle parti civili (capo a), per avere in data 6 ottobre 2012, nella qualità di committente, cagionato lesioni personali a M.P., caduto dal tetto del capannone di sua proprietà, oggetto di interventi di manutenzione, ove era salito senza alcuna precauzione, con colpa consistente nell'aver commissionato l'incarico di riparazione senza alcuna verifica della idoneità tecnico professionale dell'impresa appaltatrice di J.M., di cui pure è stata accertata la penale responsabilità).
2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l'imputato G.O. che ha dedotto: 1) la mancanza di motivazione in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 165 cod.pen. 1 per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui consente di subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o di provvisionale, in questo modo realizzando una disparità di trattamento tra soggetti che dispongono di somme liquide e soggetti che non ne dispongono;
2) l'erronea applicazione della legge penale, avendo la Corte veneta omesso di valutare che il ricorrente ha controllato l'iscrizione alla Camera di commercio dell'imprenditore incaricato;
3) l'omessa motivazione in ordine alla capacità economica del ricorrente e alla possibilità concreta, da parte sua, di sopportare l'onere del risarcimento del danno, cui è subordinata la provvisionale.
3. Le parti civili hanno depositato in data 1° aprile 2020 memoria in cui hanno chiesto rigettarsi il ricorso e successivamente le loro conclusioni scritte.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non può essere accolto.
2. Il primo ed il terzo motivo, concernenti la subordinazione della sospensione condizionale della pena detentiva al pagamento della provvisionale, possono essere esaminati congiuntamente.
In primo luogo va ricordato che la Corte costituzionale ha già dichiarato non fondata, con la sentenza n. 49 del 1975, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 165 cod.pen., nella parte in cui consente al giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, osservando che la facoltà del giudice di concedere il beneficio de quo subordinatamente all'effettiva riparazione del danno cagionato dal reato non contrasta con l'art. 3 Cost., poiché risponde ad una apprezzabile esigenza di politica legislativa tendente ad eliminare le conseguenze dannose degli illeciti penali ed a garantire che il comportamento del reo, dopo la condanna, si adegui a quel processo di ravvedimento che costituisce lo scopo precipuo dell'istituto stesso della sospensione condizionale della pena. La Consulta ha, peraltro, precisato che l'art. 165 cod.pen. riconosce al giudice il potere di subordinare o meno all'adempimento dell'obbligo di risarcimento la sospensione della pena a seguito della valutazione della capacità patrimoniale e reddituale del condannato, proprio per evitare che si realizzi in concreto n trattamento di sfavore a carico del reo in funzione della sua situazione economica. Da tali premesse deriva che la prima censura è manifestamente infondata.
Va, poi, evidenziato che nella giurisprudenza di legittimità si sono formati difformi orientamenti in ordine alla necessaria valutazione delle capacità economiche dell'imputato. Secondo una prima posizione, in tema di sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il beneficio venga subordinato all'adempimento dell'obbligo risarcitorio, il giudice della cognizione non è tenuto il svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche dell'imputato, atteso che la verifica dell'eventuale Impossibilità di adempiere del condannato rientra nella competenza del giudice dell'esecuzione (Sez. 4, n, 4626 del 08/11/2019 ud.- dep. 04/02/2020, Rv. 278290 - 01; v. anche Sez. 5, n. 15800 del 17/11/2015, dep. 15/04/2016, Rv. 266690 nella cui motivazione la Corte ha chiarito che tale principio è utile al fine di impedire che l'accertamento venga svolto due volte, dal momento che in sede di esecuzione è comunque consentito al reo dimostrare l'eventuale modifica peggiorativa della sua situazione economica). Secondo altra impostazione, invece, il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell'imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse se dagli atti emergano elementi che consentano di dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta ovvero quando tali elementi vengano forniti dalla parte interessata in vista della decisione (tra le tante, Sez. 5, n. 11299 del 09/12/2019 ud.-dep. 03/04/2020, Rv. 278799 - 01, che, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la decisione del giudice di merito che, sen a operare una effettiva verifica della capacità economica del condannato, aveva subordinato al pagamento di una provvisionale la concessione del beneficio della sospensione della pena, nonostante risultasse dagli atti che il destinatario del provvedimento era stato dichiarato fallito in proprio dopo la sentenza di condanna di primo grado P. spogliato dei suoi beni, venduti all'asta). Più recentemente Sez. 5 n. 40041 del 18/06/2019 ud. - dep, 30/09/2019; Rv. 277604 - 01, ha affermato che il giudice che intenda subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno (nella specie, al pagamento della provvisionale stabilita) ha l'obbligo di valutare le reali condizioni economiche del condannato in ogni caso e, ancor di più, quando vi sia un accenno di prova dell'incapacità dì questo di sopportare l'onere del pagamento risarcitorio in motivazione, la Corte ha altresì evidenziato come l'obbligo in questione sia coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e con la funzione rieducativa della pena prevista dall'art, 27 Cost.
Ad ogni modo, nel caso di specie, il giudice di appello ha espressamente valutato, in modo positivo, le condizioni economiche dell'imputato, con una motivazione sufficiente e non illogica, fondata sulla titolarità da parte di G.O. di una quota del capannone oggetto dei lavori, sicché anche la terza censura risulta manifestamente infondata.
3. Non merita accoglimento neppure la seconda doglianza, con cui si denuncia l'erronea applicazione della legge penale, avendo l'imputato, prima di affidare l'incarico, controllato l'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese. In proposito deve osservarsi che, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, è, comunque, obbligato a verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati (Sez. 4, n. 37761 del 20/03/2019 ud. - dep. 12/09/2019, Rv. 277008 - 01). Il rispetto di tale obbligo non può ridursi al controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo, ma esige la verifica, da parte del committente, della struttura organizzativa dell'impresa incaricata e della sua adeguatezza rispetto alla pericolosità dell'opera commissionata - in particolare, in caso di lavori in quota, il committente deve assicurarsi dell'effettiva disponibilità, da parte dell'appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza (v., per tutte, Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016 ud.- dep. 22/08/2016, Rv. 267744 - 01, in materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico­ professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati - fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza). Nel caso in esame, l'art. 90, comma 9, lett. a, del d.lgs. n. 81 del 2008 è stato, pertanto, correttamente applicato dai giudici di merito. Difatti, nella sentenza impugnata si legge che "nella scelta della ditta da incaricare di un lavoro particolarmente pericoloso l'imputato ha individuato un artigiano, privo di specifiche competenze tecniche in ordine al lavoro in concreto da svolgere, relativo alla riparazione di lastre in eternit, dopo averlo incaricato inizialmente della diversa attività di ricerca di una perdita d'acqua nel bagno, a conferma della totale assenza di una valutazione del rischio della specifica attività richiesta e della mancanza dei relativi presidi anti-infortunistici e della mancata valutazione circa la necessità di incaricare del lavoro una ditta specializzata".
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo liquidare in euro duemila, oltre alla refusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, come liquidate in sentenza.
Per completezza deve precisarsi che, secondo l'orientamento prevalente, nel giudizio per cassazione l'imputato non è tenuto al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile, che, dopo avere depositato una memoria, non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza (Sez. 5 n. 29481 del 07/05/2018 ud. - dep. 27/06/2018, Rv. 273332 - 01).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 22 settembre 2020.

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 28728 Anno 2020.pdf
 
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Nota INL prot. n. 1050 del 26 novembre 2020

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Nota INL prot  n  1050 del 26 novembre 2020

Nota INL prot. n. 1050 del 26 novembre 2020

Definizione lavoratore notturno

Oggetto: lavoratore notturno - definizione - chiarimenti

Pervengono allo scrivente Ispettorato richieste di chiarimenti in ordine alla definizione del lavoratore notturno, anche in riferimento all’ambito di intervento riconosciuto in materia alla contrattazione collettiva, sulle quali - acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 12165 del 26 novembre 2020 - si rappresenta quanto segue.

Al riguardo si ritiene anzitutto opportuno ricordare alcune definizioni contenute nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2003, a cominciare da quella di "periodo notturno", ossia il periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino.

Ai fini della individuazione delle sette ore consecutive di lavoro si dovrà fare riferimento, evidentemente, all’orario di lavoro osservato secondo le indicazioni del contratto collettivo e del contratto individuale: il periodo che rileva ai sensi del citato art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2003, infatti, potrà iniziare a decorrere dalle ore 22 (con conclusione alle ore 5) oppure dalle ore 23 (con conclusione alle ore 6) o, infine, dalla mezzanotte (con conclusione alle ore 7).

Il medesimo comma 2, alla lett. e), definisce poi il "lavoratore notturno" come:

1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale;
2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga per almeno tre ore lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.

La lettera e) va quindi intesa nel senso che:

a) è considerato lavoratore notturno colui che è tenuto contrattualmente e quindi stabilmente a svolgere tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero nel periodo notturno (cioè in un arco temporale, come sopra declinato, comprendente l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino);
b) in presenza di regolamentazione della contrattazione collettiva, si considera lavoratore notturno colui il quale svolga, nel periodo notturno, la parte di orario di lavoro individuato dalle disposizioni del contratto collettivo. In tal caso al contratto collettivo è quindi demandata l’individuazione sia del numero delle ore giornaliere di lavoro da effettuarsi durante il periodo notturno (che potrebbe pertanto essere inferiore o superiore alle tre ore stabilite ex lege), sia il numero delle giornate necessarie per rientrare nella categoria di "lavoratore notturno";
c) in assenza di disciplina collettiva, si considera lavoratore notturno colui il quale svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero durante il periodo notturno per almeno ottanta giorni lavorativi all’anno.

Nel caso di cui alla lett. b), laddove la contrattazione si limiti a riproporre il testo della norma di cui al punto 2), senza specificare il numero di ore rilevanti ai fini della qualificazione del lavoratore come "lavoratore notturno", troverà evidentemente applicazione la disciplina normativa (tre ore nel periodo notturno per 80 giorni l’anno). Così come, laddove la contrattazione si limiti ad individuare uno solo dei parametri - giornaliero e annuale - utili alla definizione di "lavoratore notturno", il secondo dovrà essere necessariamente individuato in quello previsto dal legislatore (tre ore giornaliere o ottanta giorni l’anno).

Si ricorda infine che solo ai lavoratori notturni individuati nei termini sopra chiariti trova applicazione il limite massimo giornaliero di otto ore di lavoro di cui all’art. 13, comma 1, e non già a qualsivoglia lavoratore che svolga di notte una parte del suo orario di lavoro (cfr. nota Ministero lavoro prot. n. 388 del 12 aprile 2005).

...

Fonte: INL

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Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/2008 - 11.2020

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Dlgs81 08 2020

Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/2008 - 11.2020

Decreto legislativo 81/2008 in materia salute e sicurezza nei luoghi di lavoro - Ed. 11. 2020 (24 Novembre 2020)

Disponibile il testo coordinato MLPS nell'edizione Novembre 2020. 

Dedica

A Giuseppe Piegari 02/01/1956 - 24/11/2019 Ingegnere Ispettore tecnico del lavoro dirigente dell’Ufficio III della DC Vigilanza dell’INL fra i massimi esperti e punto di riferimento a livello nazionale e internazionale in materia di salute e sicurezza persona umile, gentile, sempre disponibile, dotato di competenza e professionalità impareggiabili.

Download TUS Ed. 11.2020

Novità in questa versione:

Novità in questa versione:

- Inseriti gli interpelli n. 1 del 23/01/2020 e n. 2 del 20/02/2020
- Inserita la lettera circolare prot. 11056 del 31/03/2020 del Ministero della Salute sulla proroga al 31/07/2020 dei termini previsti dall’art. 40, comma 1;
- Inserita la lettera circolare del 29/04/2020 prot. 14915 del Ministero della Salute contente indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività. 
- Modificato l’allegato XXXVIII ai sensi del Decreto Interministeriale del 02.05.2020, pubblicato nel sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 13 maggio 2020;
- Modificati l’art. 242, comma 6, e gli allegati XLII e XLIII, ai sensi del D.Lgs. 1 giugno 2020, n. 44 (pubblicato sulla G.U. 09/06/2020, n. 145, entrato in vigore il 24/06/2020);
- Modificato l’art. 180, comma 3, ai sensi del Decreto Legislativo 31 luglio 2020, n. 101 (pubblicato sul S.O. n. 29, alla G.U. 12/08/2020, n. 201, in vigore dal 27/08/2020);
- Inserito il Decreto 7 agosto 2020 - Abilitazione alla conduzione di generatori di vapore
- Inserita la circolare n. 13 del 04/09/2020, congiunta tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero della Salute riguardante chiarimenti sulla circolare del 29/04/2020 sui lavoratori fragili e Covid-19;
- Sostituito il Decreto Direttoriale n. 57 del 18 settembre 2019 con il Decreto Direttoriale n. 6 del 14 febbraio 2020 - Ventitreesimo elenco dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’art. 71 comma 11;
- Modificato l’allegato XLVI ai sensi del Decreto Legge 7 ottobre 2020, n. 125 (pubblicato in G.U. 07/10/2020, n. 248, in vigore dal 08/10/2020).
- Inserita la lettera circolare dell’INL del 23/10/2020 prot. 3395 riguardo il Decreto n. 94 del 7 agosto 2020 in materia di abilitazione alla conduzione di generatori di vapore.

MLPS - 24 Novembre 2020

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Vademecum Mascherine COVID-19 VVF

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Vademecum Mascherine COVID 19 VVF

Vademecum Mascherine COVID-19 VVF: Guida all'uso

Vademecum VVF Ottobre 2020 dedicato all’utilizzo delle mascherine protettive, utile integrazione alle disposizioni in materia di contrasto e contenimento del contagio da COVID - 19.

La redazione dei “Vademecum della sicurezza sul lavoro del CNVVF”, da parte dell’Ufficio per le politiche di tutela della sicurezza sul lavoro del personale del Corpo, costituisce elemento di spunto, di riflessione e di approfondimento su diverse tematiche in ambito di sicurezza.

Tali “prontuari” rappresentano un valido strumento di informazione, obbligo imprescindibile del datore di lavoro, sono anche un efficace contributo alla diffusione della cultura della sicurezza oltre che un adeguato promemoria per i lavoratori. Con tali finalità si trasmette il Vademecum dedicato all’utilizzo delle mascherine protettive, utile integrazione alle disposizioni in materia di contrasto e contenimento del contagio da COVID - 19, già impartite con precedenti note, raccomandandone la condivisione e la diffusione.

1. L’INFEZIONE DA SARS-COV-2
2. LE MASCHERINE FILTRANTI MONOUSO DEL TIPO FFP1, FFP2, FFP3
3. LE MASCHERINE CHIRURGICHE MONOUSO
4. LE MASCHERINE DI COMUNITÀ (DETTE ANCHE GENERICHE O SOCIALI)
5. MODALITÀ D’USO DELLE MASCHERINE
________

Estratto

1. L’INFEZIONE DA SARS-COV-2

1.1. Modalità di trasmissione e ruolo dei sistemi di protezione delle vie respiratorie

Come mostrato in figura 1, il virus Sars-CoV-2, dalle dimensioni nanometriche ed appartenente alla famiglia dei coronavirus, si trasmette mediante le goccioline (droplets) prevenienti dalle secrezioni di naso e bocca, emanate durante la normale respirazione, quando si parla, e in grandi quantità in caso di tosse e starnuti. In particolare, lo starnuto può spingere queste goccioline ad una distanza di circa 8 metri.

Vademecum Mascherine COVID 19 VVF   Fig  1

Figura 1-Modalità di trasmissione del Sars-Cov-2

La malattia che deriva dall’infezione è stata denominata COVID-19 (dove "CO" sta per corona, "VI" per virus, "D" per disease e "19" indica l'anno in cui si è manifestata) e può presente sintomi quali febbre, tosse secca, mal di gola, difficoltà respiratorie. Tuttavia esistono i casi in cui il coronavirus può essere contratto e diffuso dai cosiddetti “soggetti asintomatici”, senza che vi sia la manifestazione dei suddetti sintomi. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Thorax, da Joon Seo Lim dell'Asan Medical Center di Seul, le persone asintomatiche presentano in naso e torace la stessa quantità di virus di una persona con sintomi, e pertanto questi individui possono avere un ruolo essenziale nella diffusione del virus(1). Per quanto sopra, i sistemi di protezione delle vie respiratorie, indossati sia dai malati di COVID-19 che dai soggetti asintomatici, possono ridurre sensibilmente la diffusione del coronavirus.

1.2. Le principali tipologie di sistemi per la protezione dal Sars-Cov-2

I capitoli successivi descrivono i principali dispositivi di seguito elencati:

- le mascherine respiratorie filtranti del tipo FFP1, FFP2, FFP3;
- le mascherine chirurgiche;
- le mascherine di comunità (dette anche generiche o sociali).

In merito ai respiratori filtranti, tali Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) possono essere sia del tipo monouso che con filtro rimuovibile (ad esempio le mascherine oronasali per gli interventi di soccorso pubblico di cui alla linea guida del 16.10.2020(2). Nel capitolo successivo verranno trattati solo le mascherine monouso.

(1) JOON SEO LIM, “Upper respiratory viral load in asymptomatic individuals and mildly symptomatic patients with SARSCoV-2 infection”, pubblicato in Thorax il 22/09/2020 https://www.pubfacts.com/author/Joon+Seo+Lim
(2) Linea Guida per la gestione del rischio operativo connesso all’emergenza COVID-19, revisione n. 4 del 16 ottobre 2020 (Allegato 2 alla nota prot. n. STAFFCNVVF 8085 del 16.10.2020).

2. LE MASCHERINE FILTRANTI MONOUSO DEL TIPO FFP1, FFP2, FFP3

Sono D.P.I. certificati secondo la norma UNI EN 149:20093 e proteggono da polveri, fumi e nebbie di liquidi (aerosol) inalabili, ma non da vapore e gas. Il sistema di classificazione europeo suddivide le maschere in tre classi con sigla FFP, acronimo di "Filtering Face Piece", ovvero maschera filtrante. Tuttavia, data la difficoltà da parte della Comunità Europea di soddisfare la domanda di mascherine nella corrente emergenza, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del Decreto Legge 17 Marzo n.18,convertito con Legge 24 aprile 2020, n.27(4), sul mercato italiano sono presenti prodotti che rispondono a certificazioni diverse dallo standard europeo (ad es. la norma americana NIOSH 42 CFR 84(5) che certifica con le classi N95, N99, N100 e la norma cinese GB2626-2006(6) che certifica con le classi KN90, KN95, KN100).

Si specifica che, come risulta dai documenti del Ministero della Salute per la protezione degli operatori sanitari durante la cura dei pazienti affetti da COVID-19(7), le mascherine FFP2/FFP3 sono D.P.I. efficaci contro i coronavirus aggregatia droplets ed in particolare le FFP3 sono idonea per la protezione dai virus che viaggiano in aria sotto forma di aerosol. Le mascherine possono essere a forma di conchiglia o pieghevoli e, come riportato in figura 2, possono essere dotate di valvola di espirazione.

Vademecum Mascherine COVID 19 VVF   Fig  2

Figura 2 - Le mascherine filtranti

È importante sottolineare che da tutte le mascherine filtranti con valvola di espirazione si può diffondere il coronavirus e pertanto si forniscono i seguenti avvertimenti:

- Non devono essere indossate dalle persone positive al COVID-19.
- Non devono essere indossate dalla popolazione circolante perché, essendo tutte le persone potenzialmente infette/asintomatiche, si potrebbe diffondere il contagio.
- Non devono essere indossate dalle le Forze dell’Ordine e dai Soccorritori se privi di occhiali e guanti protettivi, perché il contatto ravvicinato tra colleghi consentirebbe il contagio reciproco.
- Non devono essere indossate nei reparti di alimentari o banchi del fresco.
- Non devono essere indossate negli uffici aperti al pubblico, si contaminerebbero uno con l’altro tra colleghi.

(Vedi Es. principio di funzionamento - ndr)

(3) Norma UNI EN 149:2009“Dispositivi di protezione delle vie respiratorie - Semimaschere filtranti antipolvere - Requisiti, prove, marcatura”.
(4) Art. 16, comma 2 del Decreto Legge 17 Marzo n.18, convertito con Legge 24 aprile 2020, n.27: ai fini del comma 1, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, gli individui presenti sull’intero territorio nazionale sono autorizzati all’utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio.
(5) Norma NIOSH-42CFR Part 84 “Respiratory Protective Devices”.
(6) Norma GB 2626-2006 “Respiratory protective equipment – nonpowered airpurifying particle respirator” - Standardization Administration of China (SAC).
(7) Rapporto Istituto Superiore di Sanità COVID-19 n. 2/2020, revisione del 28.03.2020, avente titolo “indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da sars-cov-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da covid-19) nell’attuale scenario emergenziale Sars-Sov-2”
...
segue in allegato

VVF Ottobre 2020

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VVF Ottobre 2020
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Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Ottobre 2020

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Contagi sul lavoro denunciati INAIL Schede regionali 31 Ottobre 2020

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Ottobre 2020

INAIL 23.11.2020

Il nuovo report elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, dopo il rallentamento post lockdown conferma la recrudescenza della "seconda ondata" dei contagi sul lavoro, già rilevata dal monitoraggio precedente al 30 settembre

Dati nazionali - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Abruzzo - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Basilicata - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020
Calabria - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020
Campania - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Emilia Romagna - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Friuli Venezia Giulia - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Lazio - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Liguria - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020
Lombardia - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Marche - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Molise - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Piemonte - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Provincia Autonoma Bolzano - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Provincia Autonoma Trento - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Puglia - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Sardegna - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Sicilia - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020
Toscana - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Umbria - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Valle d'Aosta - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020 
Veneto - Scheda regionale covid 31 Ottobre 2020

ROMA - I contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail alla data dello scorso 31 ottobre sono 66.781, pari al 15,8% del complesso delle denunce pervenute dall’inizio dell’anno e al 9,8% dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data. I casi mortali sono 332, 13 in più rispetto al monitoraggio precedente al 30 settembre (quattro avvenuti a ottobre, i restanti riferiti a mesi precedenti per effetto del consolidamento dei dati) e pari a circa un terzo del totale dei decessi denunciati all’Inail dall’inizio dell’anno, con un’incidenza dello 0,9% rispetto ai casi mortali da Covid-19 comunicati dall’Iss. Come sottolineato dal decimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, l’analisi delle denunce per mese di accadimento rileva che al picco dei contagi dei mesi di marzo e aprile (dove si concentra quasi il 70% dei casi) è seguito un ridimensionamento a maggio e soprattutto nei mesi estivi di giugno-agosto (al di sotto dei mille casi mensili, anche in considerazione delle ferie per molte categorie di lavoratori). A settembre si è però cominciata a registrare una recrudescenza delle denunce, che hanno sfiorato i 1.700 casi, per arrivare al mese di ottobre nel quale la “seconda ondata” dei contagi ha avuto un impatto significativo anche in ambito lavorativo, portando a quota 12mila le nuove denunce di infezione da Covid-19 di origine professionale, cifra peraltro destinata ad aumentare nella prossima rilevazione, per effetto del consolidamento particolarmente influente sull’ultimo mese della serie.

Nella sanità e assistenza sociale il 69,8% delle denunce e il 21,6% dei decessi. Rispetto alle attività produttive coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – con il 69,8% delle denunce e il 21,6% dei casi mortali codificati precede l’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), in cui ricadono l’8,7% delle infezioni denunciate e il 10,2% dei decessi. Gli altri settori più colpiti sono i servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (tra cui gli addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione e il commercio all’ingrosso.

L’incidenza dei settori di attività nelle varie fasi dell’epidemia. Ripartendo l’intero periodo di osservazione in tre intervalli – fase di “lockdown” (fino a maggio compreso), fase “post lockdown” (da giugno ad agosto) e  fase di “seconda ondata” di contagi (settembre-ottobre) – si possono riscontrare significative differenze in termini di incidenza del fenomeno. Per l’insieme dei settori della sanità, assistenza sociale e amministrazione pubblica, in particolare, si osserva una riduzione dell’incidenza delle denunce nella seconda fase e una risalita nella terza. Si è passati, infatti, dall’80,5% dei casi codificati nel primo periodo fino a maggio compreso, al 49,8% del trimestre giugno-agosto, per poi risalire al 74,5% nel bimestre settembre-ottobre. Viceversa in altri settori, con la graduale ripresa delle attività, l’incidenza dei casi di contagio è aumentata nelle prime due fasi e si è ridotta nella terza. È il caso, per esempio, dei servizi di alloggio e ristorazione, passati dal 2,5% del primo periodo, al 6,2% del trimestre successivo e all’1,9% nel bimestre settembre-ottobre, o dei trasporti, passati rispettivamente dall’1,2%, al 5,6% e al 2,2%. Il decremento in termini di incidenza osservato nell’ultimo bimestre in questi settori non deve però trarre in inganno: in ottobre, infatti, il fenomeno è ripreso vigorosamente per numerosità delle denunce in tutti i settori. A diminuire, tuttavia, è la quota di questi casi sul totale, a fronte del più consistente aumento che caratterizza nuovamente la sanità, sia in valore assoluto che relativo. Il commercio si distingue dagli altri settori per una continua crescita nelle tre fasi considerate, dall’1,4% della prima al 3,0% della seconda fino al 3,5% della terza.

Nell’ultimo bimestre oltre quattro casi su 10 tra i tecnici della salute. L’analisi dei contagi sul lavoro per professione dell’infortunato conferma che la categoria più colpita è quella dei tecnici della salute, con il 39,3% delle infezioni denunciate, circa l’83% delle quali relative a infermieri, e il 10,0% dei casi mortali, seguita dagli operatori socio-sanitari (20,0%), dai medici (10,1%), dagli operatori socio-assistenziali (8,4%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,6%). Le altre categorie professionali più coinvolte sono quelle degli impiegati amministrativi (3,4%), degli addetti ai servizi di pulizia (2,0%), dei dirigenti sanitari (1,1%) e dei conduttori di veicoli (1,0%). L’incidenza dei casi di contagio per le professioni sanitarie si è progressivamente ridotta nelle prime due fasi ed è risalita nella terza. I tecnici della salute, prevalentemente infermieri, sono infatti passati dal 39,6% del primo periodo, fino a maggio compreso, al 23,3% del trimestre giugno-agosto, per poi risalire al 41,1% nell’ultimo bimestre. I medici, scesi dal 10,2% nella fase di “lockdown” al 4,0% in quella “post lockdown”, nella seconda ondata dei contagi fanno registrare un’incidenza dell’11,0%. Altre professioni hanno visto invece aumentare la loro incidenza sul totale dei casi di contagio nelle prime due fasi e registrato una riduzione nella terza, come gli esercenti e addetti nelle attività di ristorazione (passati dallo 0,6% del primo periodo al 3,6% di giugno-agosto e all’1,0% tra settembre e ottobre), gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia (passati dallo 0,6% all’1,2% e poi allo 0,9%) o gli artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari (dallo 0,2% al 6,0% e allo 0,3%).

L’età media dei contagiati è di 47 anni, il 69,7% sono donne. Quasi sette contagiati su 10 (69,7%) sono donne, con un’età media dall’inizio dell’epidemia di 47 anni per entrambi i sessi. Il 43,1% del totale delle denunce riguarda la classe 50-64 anni, seguita dalle fasce 35-49 anni (36,4%), 18-34 anni (18,4%) e over 64 anni (2,1%). I casi mortali, invece, sono concentrati soprattutto tra gli uomini (83,7%) e nelle fasce 50-64 anni (70,8%) e over 64 anni (19,0%), con un’età media dei deceduti di 59 anni. I tecnici della salute hanno un’età media al contagio di 44 anni, inferiore rispetto a quella degli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali (51 anni), del personale non qualificato nei servizi sanitari e di istruzione (50 anni), dei medici e dei conduttori di veicoli (49 anni).

Milano, Napoli e Roma le province più colpite nell’ultimo mese sotto osservazione. L’analisi territoriale evidenzia che più della metà delle denunce presentate all’Istituto (53,1%) ricade nel Nord-Ovest, seguito da Nord-Est (22,3%), Centro (13,2%), Sud (8,3%) e Isole (3,1%). Concentrando l’attenzione sui decessi, la percentuale del Nord-Ovest sale al 55,6%, mentre il Sud, con il 16,6% dei casi mortali denunciati, precede il Nord-Est (13,3%), il Centro (12,7%) e le Isole (1,8%). Con un terzo dei contagi denunciati (33,1%) e il 41,3% dei decessi la Lombardia si conferma la regione più colpita. Le province con il maggior numero di contagi sono Milano (11,3%), Torino (7,7%), Brescia (4,4%), Bergamo (3,8%), Roma (3,5%) e Genova (3,0%). Quella di Milano è anche la provincia che registra il maggior numero di infezioni di origine professionale denunciate nel mese di ottobre, seguita da Napoli e Roma. Le province in cui sono avvenuti più decessi, invece, sono quelle di Bergamo (11,4%), Milano (8,1%), Brescia (7,5%), Napoli (6,3%), Cremona (5,4%) e Roma (4,2%).

Fonte: INAIL

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Livelli diagnostici pratica nazionale di radiologia diagnostica

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Rapporto ISTISAN 20 22

Livelli diagnostici pratica nazionale di radiologia diagnostica 

Rapporto ISTISAN 20/22 - Livelli diagnostici di riferimento per la pratica nazionale di radiologia diagnostica e interventistica e di medicina nucleare diagnostica.

Aggiornamento del Rapporto ISTISAN 17/33.

L’aggiornamento del Rapporto ISTISAN 17/33 è un atto dovuto alla luce della pubblicazione ufficiale del DL.vo 101/2020 in attuazione della Direttiva 2013/59/Euratom, che fornisce indicazioni sulle modalità di individuazione dei Livelli Diagnostici di Riferimento (LDR) nazionali, considerati uno strumento importante per l’ottimizzazione della radioprotezione del paziente e utile per identificare pratiche diagnostiche non accettabili dal punto di vista dell’esposizione del paziente. Il documento è stato redatto da un gruppo di lavoro di esperti di radiologia diagnostica e interventistica e di medicina nucleare diagnostica, coordinati da Istituto Superiore di Sanità e Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro. Oltre all’aggiornamento di LDR per alcune procedure di radiologia interventistica, vengono per la prima volta inclusi gli LDR per la medicina nucleare.

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INDICE
Acronimi
Prefazione
1. Obiettivo
2. Metodo di individuazione degli LDR nazionali
2.1. Radiologia diagnostica e interventistica
2.2. Medicina nucleare diagnostica
2.3. Procedure di interesse per gli LDR
2.3.1. Radiologia diagnostica e interventistica
2.3.2. Medicina nucleare diagnostica
3. Indagini dosimetriche in Italia e in alcuni Paesi europei ed extraeuropei
3.1. Radiologia diagnostica e interventistica
3.1.1. Radiografia e fluoroscopia diagnostica
3.1.2. Tomografia computerizzata
3.1.3. Procedure interventistiche
3.1.4. Radiologia pediatrica
3.2. Medicina nucleare diagnostica
3.2.1. Grandezze dosimetriche per gli LDR
3.2.2. Valori di LDR per l’adulto da indagini nazionali ed europee
3.2.3. Valori di LDR per il paziente pediatrico da indagini nazionali ed europee in medicina nucleare
4. Valori di LDR per la pratica italiana di radiologia diagnostica e interventistica e di medicina nucleare
4.1. Radiologia diagnostica ed interventistica
4.2. Medicina nucleare diagnostica
4.2.1. Valori di LDR per la diagnostica di medicina nucleare dell’adulto
4.2.2. Valori di LDR per la diagnostica di medicina nucleare pediatrica
5. Applicazione degli LDR nella pratica clinica
5.1. Metodo di confronto con i valori di LDR
5.1.1. Dimensione del campione di procedure
5.1.2. Valori multipli di LDR
5.1.3. Frequenza delle valutazioni
5.2. Nota relativa ai valori di LDR proposti in questo documento della raccomandazione numero 135 della ICRP (2017)
5.3. Fattori da considerare in caso di superamento degli LDR
5.4. LDR locali e “Valori tipici”
6. Conclusioni
Bibliografia
APPENDICE A
LDR per la diagnostica per immagini secondo la International Atomic Energy Agency
APPENDICE B
Confronto dei valori degli LDR del presente documento con quelli presenti nel DL.vo 187/2000
Glossario

Fonte: ISS

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 32194 | 17 Novembre 2020

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 17 novembre 2020 n. 32194

Incendio durante la pulizia della spalmatrice con acetone tecnico da parte dell'addetto alle vendite: omessa formazione

Penale Sent. Sez. 4 Num. 32194 Anno 2020
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 27/10/2020

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente M.G., con sentenza del 28/11/2019, confermava la sentenza emessa in data 17/3/2017 dal Tribunale di Pisa, in composizione monocratica, che lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di nove mesi di reclusione per il reato di cui all'art. 590 co. 1 e 3 cod. pen. perché, quale legale rappresentante della S.M.G. Srl con sede in Santa Croce sull'Arno, in qualità di datore di lavoro, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché inosservanza degli artt. 71, comma 7, lett. a) e 221, comma 1, D. Lgs. nr. 81/2008 impiegando R.P. operaio addetto ai controlli di vendita, per la pulizia della macchina rullo denominata "spalmatrice" senza avergli impartito ido­nea formazione, informazione ed addestramento per l'uso specifico del macchinario e non avendo adeguatamente valutato il rischio connesso alle operazioni di pulizia della macchina e previsto procedure di manutenzione e pulizia adeguate e tali da ridurre al minimo il rischio specifico conseguente a tale attività, cagionava lesioni gravi al predetto R.P. che adoperando per la pulizia acetone tecnico, liquido estremamente infiammabile e mantenendo in movimento il rullo spalma­tore, provocando così un incendio che avvolgeva il macchinario e la parte superiore del corpo del R.P., si procurava ustioni di 2° grado nella zona nucale, al volto, al collo e di 3° grado al volto, al gomito ed alla mano destra. In Santa Croce sull'Arno (PI) in data 26/2/2013.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, M.G., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo il ricorrente deduce vizio motivazionale per contraddittorietà, illogicità e mera apparenza della motivazione in ordine alla valutazione della prova, assumendo che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con il proposto motivo di appello circa l'errata valutazione della prova sulla ricostruzione del fatto e delle cause dell'incidente, richiamando la deposizione del teste S., fornitore della macchina spalmatrice. Si riporta il contenuto di tale deposizione, evidenziando che lo stesso teste aveva dichiarato di avere fornito alla ditta e al suo personale le istruzioni per l'uso e la pulizia della macchina, da effettuarsi con un solvente, e aveva precisato come fosse impossibile che la macchina prendesse fuoco senza una scintilla esterna. Si aggiunge che il contenuto della testimonianza sarebbe stata confermata dagli altri testi ascoltati tra cui anche la persona offesa, R.P..
Il ricorrente lamenta che tali dichiarazioni non siano state assolutamente considerate dal giudice di primo grado, che, piuttosto, attribuiva pieno valore probatorio alle dichiarazioni rese dal tecnico della USL, che non aveva conoscenza specifica della macchina e forniva una ricostruzione della dinamica dell'incidente generica e approssimativa.
L'unico dato certo emerso in dibattimento sarebbe il mancato svolgimento di qualsiasi accertamento sulla macchina, non eseguito né da parte dei tecnici USL, che si limitavano ad acquisire il manuale d'uso, né in dibattimento con una consulenza.
La dinamica dell'incidente sarebbe stata ricostruita unicamente sulla base delle dichiarazioni del tecnico USL, L.F., che effettuò il sopralluogo, a distanza di mesi dal fatto, limitandosi ad osservare la macchina e a raccogliere informazioni.
Ci si duole dell'illogicità della motivazione della sentenza impugnata laddove ritiene sufficiente ed esaustiva tale testimonianza.
Si evidenzia che lo stesso tecnico precisava trattarsi di una ricostruzione e che anche il pubblico ministero esprimeva dei dubbi sulla competenza del tecnico come si evincerebbe dalle domande postegli.
Si riportano le dichiarazioni del L.F. per evidenziarne la contraddittorietà, sottolineando la necessità di una competenza chimica al fine di capire se effettivamente era possibile l'innescarsi di un incendio senza alcun influsso esterno.
Ritiene il ricorrente, infatti, che, verosimilmente, l'incendio si sia verificato per l'accensione imprudente di una sigaretta da parte del lavoratore che, come emerso dall'istruttoria, era un fumatore e non indossava i guanti protettivi al momento dell'incidente. Inoltre, si aggiunge, il R.P. in dibattimento contraddiceva le dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni sulla circostanza se stesse fumando al momento dell'incidente.
Nell'evidenziare la presenza di indici della genericità e mancanza di chiarezza della deposizione si sottolinea che il R.P. era portatore di un evidente interesse a non confermare la circostanza, che avrebbe potuto impedirgli di ottenere il risarcimento dall'assicurazione.
Pertanto, conclude il ricorrente non può escludersi l'esistenza di una condotta abnorme da parte del lavoratore.
La motivazione della sentenza impugnata viene definita apparente e contraddittoria perché nega la maggiore attendibilità del teste S. in quanto proprietario della macchina, mentre, in realtà, ritiene il ricorrente, lo stesso S. avrebbe reso dichiarazioni sincere e contrastanti con il proprio interesse, avendo confermato ad essere stato proprio lui ad indicare l'utilizzo del solvente per la pulizia con i rulli in funzione.

Quindi, deduce il M.G., dal momento che la Corte distrettuale ha accolto la tesi del tecnico Usl, individuando nell'utilizzo dell'acetone tecnico la causa dell'incendio, la stessa Corte avrebbe dovuto ritenere le dichiarazioni rese dal S. disinteressate in quanto le stesse facevano emergere un suo eventuale profilo di responsabilità per avere impartito istruzioni errate e pericolose sull'uso della macchina. E allora la deposizione del S. andava ritenuta attendibile e la motivazione resa dai giudici di appello appare priva di contenuto ed illogica.
Inoltre, l'avere ritenuto che il surriscaldamento dovuto al funzionamento dei rulli abbia determinato, in presenza di acetone, l'accensione di una fiamma renderebbe la motivazione viziata, dal momento che partirebbe da un presupposto del tutto indimostrato. Nel dibattimento, infatti, la causa dell'incendio non sarebbe stata dimostrata ma solo ipotizzata dal tecnico dell'USL, assolutamente privo delle necessarie competenze.
Con un secondo motivo si deduce vizio di motivazione in relazione alla valutazione della pena inflitta e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente si duole dell'avvenuto rigetto del motivo di gravame per l'eccessività della pena, sul presupposto della gravità della colpa che, invece, non appare sostenuta da alcun elemento probatorio.
L'utilizzo dell'acetone tecnico per la pulizia del macchinario, secondo la tesi proposta in ricorso, lungi dall'attribuirsi ad un'iniziativa sconsiderata tesa all'abbattimento dei costi, rispondeva alle indicazioni date dal fornitore dello stesso macchinario. Inoltre, lo stesso R.P. dichiarava di aver ricevuto tutto l'abbigliamento di sicurezza, ma non indossava i guanti al momento dell'incidente.
Pertanto, ove il R.P. avesse seguito le indicazioni del datore di lavoro i danni non si sarebbero verificati o comunque sarebbero stati di minore entità.
Il ricorrente chiede, quindi la rideterminazione della pena contenendola nel minimo edittale, con concessione delle circostanze attenuanti generiche e con con­ ferma della sospensione condizionale della pena e di ogni beneficio di legge.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente pronuncia di legge.

Considerato in diritto


1. Ritiene il Collegio che i motivi sopra illustrati siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inam­missibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente mo­ tivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparente­ mente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Carialo e altri, Rv. 260608).

2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte, correttamente osservando che le dichiarazioni del teste S., sull'adeguatezza della tecnica di pulitura del macchinario utilizzata è smentita dal manuale d'uso dello stesso, che prescrive il disinserimento dell'interruttore generale per qualsiasi intervento di pulizia o manutenzione.
Certamente inadeguata e pericolosa era pertanto la prassi di pulizia, insegnata dal S. e tollerata dall'imputato, da effettuarsi con i rulli in movimento. Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia di secondo grado, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

3. Con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto - e che pertanto si sottrae alle proposte censure di legittimità - i giudici fiorentini ritengono di confermare l'affermazione di responsabilità dell'imputato, quale datore di lavoro, in ordine all'infortunio in oggetto per entrambi i profili di colpa con­ testati, essendo in particolare non contestato neppure dalla difesa il fatto che il R.P. fosse un operaio addetto alle vendite, che, come tale, contrariamente a quanto prescritto nel manuale d'uso ('l'uso, la manutenzione e la riparazione della macchina deve essere affidato a personale qualificato'), non aveva avuto alcuna formazione in ordine all'uso della 'spalmatrice', né essendo stato dimostrato ( e neppure dedotto) che l'imputato avesse predisposto procedure di manutenzione e pulizia della macchina, idonee a ridurre rischio di infortuni (evidenziato anche nel manuale d'uso, punto 5m), e in specie di incendio.
E' indubbio l'obbligo di informazione e formazione del lavoratore che andava certamente sensibilizzato dal datore di lavoro sull'esistenza del rischio di incendio collegato all'uso dell'acetone e al mancato arresto del macchinario.
La sentenza impugnata si colloca nell'alveo del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità che individua nell'obbligo di fornire adeguata forma­zione ai lavoratori, uno dei principali gravanti sul datore di lavoro, ed in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro (Sez. 4, n. 41707 del 23 settembre 2004, Bonari, Rv. 230257; Sez. 4, n. 6486 del 3 marzo 1995, Grassi, Rv. 201706). La violazione degli obblighi inerenti la formazione e l'informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l'incolumità dei lavora­ tori permane nel tempo e l'obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta forma­ zione impartita o della cessazione del rapporto (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 26271 del 7/5/2019, Roscio, Rv. 276043)
Il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (cfr. Sez. 4, n. 27787 del 8/5/2019, Rv. 276241 relativa alla confermata responsabilità del datore di lavoro, che aveva colposa­ mente cagionato la morte di un lavoratore impiegato in attività di taglio di piante in assenza di adeguata formazione, nonostante l'inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del lavoratore nel settore di riferimento).
Si afferma pacificamente in giurisprudenza, infatti, che il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079). È infatti tramite l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti (Sez. 4, n. 11112 del 29 novembre 2011, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729). Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, laddove l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento.
Non può infatti venire in soccorso del datore di lavoro - come pretenderebbe il ricorrente - il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi (Sez. 4, n. 39765 del 19 maggio 2015, 11 Vallani, Rv. 265178).
Si è poi ulteriormente specificato che l'obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016, Marini, Rv. 266860). Ciò in quanto l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro (Sez. 4, n. 21242 del 12 febbraio 2014, Nogherot, Rv. 259219).
Ancora, di recente, è stato ribadito che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, e l'adempimento di tali obblighi non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. (Sez. 4, Sentenza n. 49593 del 14/06/2018 Ud. (dep. 30/10/2018) T., Rv. 274042, in un caso in cui la Corte ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per la morte di tre operai in un cantiere autostradale, precipitati nel vuoto da un'altezza di circa 40 metri a seguito dello sganciamento della pedana sulla quale si trovavano, causato dall'errato montaggio del sistema di ancoraggio, effettuato utilizzando, per il serraggio del cono, una vite di dimensioni inferiori, sia per lunghezza sia per diametro, a quelle prescritte, rilevando che, proprio perché tale errore era frutto delle riscontrate suddette omissioni, esso non era idoneo ad escludere il nesso causale tra esse e l'evento).
L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializza­zione delle esperienze e della prassi di lavoro - va ribadito- non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014, Nogherot, Rv. 259219).
Più in generale, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costante­ mente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (così Sez. 4, n. 27787 del 08/05/2019, Rossi, Rv. 276241 in un caso relativo a responsabilità del datore di lavoro, che aveva colposamente cagionato la morte di un lavoratore impiegato in attività di taglio di piante in assenza di adeguata formazione, nonostante l'inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del lavoratore nel settore di riferimento).
In tema di sicurezza sul lavoro, ai sensi dell'art. 73, commi 1 e 2, lett. b), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore dei rischi propri dell'attività cui è preposto e di quelli che possono derivare dall'esecuzione di operazioni da parte di altri, ove interferenti, ed è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori, per ciascuna attrezzatura, ogni informazione e istruzione d'uso necessaria alla salvaguardia dell'incolumità, anche se relative a stru­ menti non usati normalmente (Così Sez. 3, n. 16498 dell'8/11/2018 dep. il 2019, Di Cataldo, Rv. 275560, nella cui motivazione la Corte ha precisato che può essere ritenuta eccezionale o abnorme - e come tale in grado di escludere la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso - solo la condotta del lavoratore che decida di agire impropriamente, pur disponendo delle informazioni necessarie e di adeguate competenze per la valutazione dei rischi cui si espone).

4. Tanto premesso, è evidentemente necessario che tale omessa formazione ed informazione risulti causalmente rilevante per la verificazione dell'evento lesivo, secondo il ben noto paradigma enucleabile dalla sentenza delle SSUU Franzese del 2002.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ormai univoca sul punto, ri­ tiene infatti che, in tema di causalità omissiva, nel reato colposo omissivo impro­ prio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non possa ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma debba essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (ex multis, Sez. Un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222138).
Orbene, già il giudice di primo grado aveva affermato, con una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, che non è stata concretamente attinta da considerazioni critiche già in sede di appello, attraverso una attenta e logica valutazione del materiale probatorio acquisito, la inequivocabile sussistenza del nesso causale fra la mancata informazione e formazione del lavoratore e l'evento occorsogli (cfr. pag. 6 della sentenza di primo grado). Peraltro, sempre il giudice pisano aveva evidenziato come la condotta colposa dell'imputato è stata prevalentemente, ma non solo omissiva. Ciò in quanto ve n'è stata una parte commissiva nella parte in cui ordinava al lavoratore di utilizzare la spalmatrice, avendo il R.P. riferito che le direttive in merito all'attività lavorativa da svolgere le dava proprio il M.G. (così pag. 5 della sentenza di primo grado, che richiama il verbale stenotipico dell'udienza del 26/4/2016, foll. 18 e 19).

5. Va qui ricordato, quanto ai lavoratori, come costituisca ius receptum che anche un'eventuale colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comporta­ mento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del la­ voratore (cfr. ex multis: Sez. 4, n. 16397 del 5 marzo 2015, Guida, Rv. 263386 che ha escluso l'abnormità della condotta del lavoratore, il quale, impegnato nell'installazione di un ascensore, era caduto mettendo il piede in fallo, così battendo la testa e decedendo, dopo essersi sganciato dall'imbracatura di sicurezza per meglio eseguire i lavori di sua competenza, atteso che le modalità esecutive da lui adottate rientravano nel novero delle violazioni comportamentali che i lavoratori perpetrano quanto ritengono di aver acquisito competenza ed abilità nelle proprie mansioni; Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere; Sez. 4, n. 23292 del 28/4/2011, Milio ed altri, Rv. 250710 che ha precisato essere abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli).

6. Correttamente, nel caso che ci occupa, è stata ritenuta non configurabile una condotta abnorme del lavoratore non essendo emerso alcun elemento di prova in tal senso.
Con motivazione priva di aporie logiche i giudici del gravame del merito osservano che non vi è alcun elemento oggettivo che la dimostri, né lo stesso difensore ha individuato in cosa essa possa aver consistito, limitandosi a fare osservazioni suggestive (come la teste N.) sul fatto. che il R.P. potesse in quel momento operare fumando. Si tratta però - come viene rilevato in sentenza- di un'affermazione indimostrata e anche inverosimile, atteso che le manovre da compiere, rapidamente, per eliminare la cera dai rulli appaiono poco compatibili con un con­ temporaneo fumo di sigaretta. Del resto le dichiarazioni palesemente false rese dalla N. in ordine al fatto che la macchina non funzionasse e che la persona offesa non vi lavorasse, minano ogni credibilità anche delle indicazioni suggestive offerte dalla teste (che non era presente comunque al momento dell'infortunio, né poco prima) in ordine alla circostanza che R.P. stesse fumando (anche credendo alla N., comunque, il fatto che egli tenesse sigarette in tasca non significa affatto che egli fumasse mentre lavorava, tantomeno che lo facesse al momento del sinistro).
L'affermazione difensiva, secondo la quale la pulitura con acetone non aumenta la velocità dell'operazione è infine ritenuta dai giudici fiorentini palesemente smentita dal fatto che l'acetone è un solvente, e come tale rende più facile l'eliminazione della cera, così come ha spiegato anche il teste di P.G., che ha anche aggiunto che se , invece, si usa acqua calda, invece di quella sostanza infiammabile, occorre più tempo.
Ebbene, va ricordato che ....il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Costante giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bot­ tiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).

Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la respon­ sabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perché il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
Di rilievo anche il recente dictum di Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. il 2019, Musso, Rv. 275017 che ribadisce che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).

7. Manifestamente infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
La Corte distrettuale ha giustificato il rigetto dello specifico motivo di appello, ritenendo congrua la pena irrogata alla luce della gravità della responsabilità, non solo per aver tollerato una prassi lavorativa pericolosa e in considerazione dell'assoluta assenza di procedure operative di lavoro, ma anche per aver destinato un lavoratore addetto a tutt'altre mansioni e non formato all'uso di una macchina destinata a 'personale qualificato'. E' stato considerato inoltre il comportamento processuale, caratterizzato dall'avere introdotto nel processo false affermazioni mediante la testimonianza della moglie N., in relazione alla quale venivano tra­ smessi gli atti alla Procura della Repubblica per falsa testimonianza e calunnia.
E' stato infine logicamente rilevato come il fatto che l'imputato avesse poi dotato il lavoratore di guanti da lavoro , che questi non aveva indosso al momento dell'infortunio, non ha modificato significativamente gli esiti dannosi del fatto, at­ teso che il R.P. ha riportato ustioni soprattutto alla testa , nonché alle braccia, oltre che alle mani".

8. Né può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463).

9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 27 ottobre 2020

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Maschera con valvola di espirazione: principio di funzionamento

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Maschera con valvola di espirazione

Maschera con valvola di espirazione principio di funzionamento

ID 12090 | 19.11.2020 / Documento completo in allegato

Le maschere facciali con valvola di espirazione offrono una efficace protezione delle vie respiratorie filtrando polveri/particolato/altro proveniente dall’esterno della maschera stessa durante la fase di inspirazione.

Queste tipologie di maschere, grazie alla presenza di una valvola che si apre durante la fase di espirazione e si chiude durante l’inspirazione, possono essere indossate continuativamente per diverse ore grazie al confort termico che riescono a garantire.

Tuttavia, come chiarito nel Vademecum mascherine COVID-19 VVF, sono sconsigliate ai fini della gestione dell’emergenza sanitaria da COVID-19. La valvola di espirazione può aiutare la diffusione del virus soprattutto in soggetti asintomatici che non hanno coscienza di essere contagiosi per gli altri.

Nel vademecum, si forniscono, pertanto, i seguenti accorgimenti:

- Non devono essere indossate dalle persone positive al COVID-19.
- Non devono essere indossate dalla popolazione circolante perché, essendo tutte le persone potenzialmente infette/asintomatiche, si potrebbe diffondere il contagio.
- Non devono essere indossate dalle le Forze dell’Ordine e dai Soccorritori se privi di occhiali e guanti protettivi, perché il contatto ravvicinato tra colleghi consentirebbe il contagio reciproco.
- Non devono essere indossate nei reparti di alimentari o banchi del fresco.
- Non devono essere indossate negli uffici aperti al pubblico, si contaminerebbero uno con l’altro tra colleghi.

Principio di funzionamento

Il principio di funzionamento della maschera con valvola di espirazione è molto semplice (vedi Figura 1):

a) la valvola si chiude durante l’inspirazione impedendo l’accesso alle sostanze pericolose;
b) la valvola si apre durante l’espirazione facendo uscire calore ed umidità.

3

Figura 1 – Principio di funzionamento (estratto manuale 3M - 9001V)

...

segue in allegato

Fonti
3M Company

Certifico Srl - IT | Rev. 0.0 2020
©Copia autorizzata Abbonati

Matrice Revisioni

Rev. Data Oggetto Autore
0.0 19.11.2020 --- Certifico Srl

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Campagna europea 2020-2022: Gestione dei DMS sul lavoro

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Campagna 2020 2022 DMS

Campagna europea 2020-2022: Gestione dei disturbi muscolo-scheletrici sul lavoro

Eu-Osha 2020 2022

La campagna intende promuovere la prevenzione dei disturbi muscoloscheletrici (Dms) nei luoghi di lavoro e promuovere una cultura della prevenzione di tali rischi per eliminarli o, qualora ciò non sia possibile, gestirli efficacemente

La campagna “Ambienti di lavoro sani e sicuri. Alleggeriamo il carico!” - che si svilupperà per la prima volta su base triennale - intende promuovere la prevenzione dei disturbi muscoloscheletrici (Dms) nei luoghi di lavoro attraverso i seguenti obiettivi strategici:

1. Sensibilizzare sull'importanza e rilevanza della prevenzione dei Dms, fornendo fatti e cifre su esposizione / impatto.
2. Promuovere la valutazione del rischio e una gestione proattiva, fornendo accesso a risorse: ad es. buone pratiche, liste di controllo, strumenti, guide e materiale audiovisivo.
3. Dare evidenza di quanto il problema sia generale per tutti e per tutti i settori: uomini e donne, giovani e anziani, lavori manuali e di ufficio.
4. Migliorare le conoscenze sui rischi emergenti in relazione ai Dms.
5. Migliorare la consapevolezza e la conoscenza sull'importanza del reinserimento / corretta gestione della permanenza nei luoghi di lavoro di lavoratori con Dms cronici, fornendo fatti/cifre ed esperienze concrete.
6. Mobilitare e stimolare un'efficace collaborazione tra le diverse parti interessate, facilitando lo scambio di informazioni, conoscenza e buone pratiche.
Come per le precedenti edizioni, è una campagna decentralizzata, coordinata dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) ma gestita a livello nazionale dagli Stati Membri, attraverso i rispettivi Focal Point, con il supporto delle proprie reti.

L’Inail rappresenta il Focal Point nazionale, in cooperazione con un network nazionale.

Per la campagna sono state realizzate e messe a disposizione sul sito di Eu-Osha risorse informative tese a favorire una maggiore sensibilizzazione e una migliore comprensione riguardo al tema dei disturbi muscoloscheletrici.

...

Fonte: INAIL

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Linee guida Attività Economiche Produttive e Ricreative Covid-19: tutte le revisioni

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Linee guida Attivit  Economiche Produttive e Ricreative Covid 19   Tutte le revisioni

Linee guida Attività Economiche Produttive e Ricreative Covid-19: tutte le revisioni

ID 11749 | 11.10.2020 / Scheda in allegato

La timeline delle revisioni delle Linee guida Attività Economiche Produttive e Ricreative Covid-19. Disponibile la Tavola di concordanza tra le linee guida Agosto 2020 / Ottobre 2020.

Linee guida Attività Economiche Produttive e Ricreative Covid-19, elaborate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, contengono indirizzi operativi specifici validi per i singoli settori di attività, finalizzati a fornire uno strumento sintetico e immediato di applicazione delle misure di prevenzione e contenimento di carattere generale, per sostenere un modello di ripresa delle attività economiche e produttive compatibile con la tutela della salute di utenti e lavoratori.

Le Linee guida sono inserite nei DPCM emanati per misure Covid-19, la timeline delle revisioni:

Data Rev. Link Documento Cod.
15.05.2020 Rev. 1.0 Linee guida Attività Economiche Produttive ---
22.05.2020 Rev. 2.0 Linee guida Attività Economiche Produttive 20/92/CR01/COV19
25.05.2020 Rev. 3.0 Linee guida Attività Economiche Produttive 20/94/CR01/COV19
09.06.2020 Rev. 4.0 Linee guida Attività Economiche Produttive 20/83/CR01/COV19
11.06.2020 Rev. 5.0 Linee guida Attività Economiche Produttive 20/95/CR1/COV19
09.07.2020 Rev. 6.0  Linee guida Attività Economiche Produttive 20/127/CR7ter-a/COV19
06.08.2020 Rev. 7.0 Linee guida Attività Economiche Produttive 20/151/CR10a/COV19
09.10.2020 Rev. 8.0 Linee guida Attività Economiche Produttive 20/178/CR05a/COV19

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Nota VVF 5 novembre 2020 prot. n. 14766

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Nota VVF 5 novembre 2020 prot  n  14766

Nota VVF 5 novembre 2020 prot. n. 14766

Valutazione della formazione di atmosfere potenzialmente esplosive per impianti di produzione del calore ricadenti nel campo di applicazione del DM 08/11/2019 - Quesiti

OGGETTO: Valutazione della formazione di atmosfere potenzialmente esplosive per impianti di produzione del calore ricadenti nel campo di applicazione del DM 08/11/2019. Quesiti.

Con riferimento ai quesiti pervenuti con le note a margine indicate e relativi alla valutazione della formazione di atmosfere potenzialmente esplosive per impianti di produzione di calore alimentati da combustibili gassosi e ricadenti quindi nel campo di applicazione del decreto 8 novembre 2019 si forniscono le seguenti indicazioni.

Si premette che la procedura di valutazione di cui al titolo XI del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., non si applica all'uso di “apparecchi” a gas di cui al D.P.R. 15/11/1996, n. 661 così come modificato dal D.P.R. 06/08/2019, n. 121 che ne ha riferito il campo di applicazione a quello previsto dall'art. 1 del Reg. (UE) n. 2016/426.

Il decreto 8 novembre 2019 stabilisce invece, puntualmente, le situazioni in cui è necessario effettuare la valutazione del rischio di formazione di atmosfere potenzialmente esplosive (punto 2.2.1 e 2.2.2, secondo la indicazione del punto 8.1.6).

Pertanto, si concorda con il parere di codesta Direzione regionale che, indipendentemente dal luogo di installazione, gli obblighi relativi alla valutazione delle miscele esplosive non derivino dall'applicazione del D.Lgs. 81/08 ma unicamente dalle previsioni normative dello stesso D.M. 08/11/2019.

Pertanto ai fini del procedimento dì prevenzione incendi per le attività 74 del D.P.R. n. 151 del 01/08/2011, la relazione tecnica di cui all'allegato I al D.M. 07/08/2012, dovrà a dimostrare l'osservanza delle specifiche disposizioni tecniche riportate nel D.M. 08/11/2019.

Parere della Direzione Regionale

Si trasmette il quesito proposto dal Comando VVF di XXXX relativo all'argomento in oggetto.

Per l'espressione del parere richiesto si ritiene opportuno richiamare l'art. 2 del DM 08/11/2019:
“Ai fini della prevenzione degli incendi ed allo scopo di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia delle persone, alla tutela dei beni, alla sicurezza dei soccorritori, contro i rischi di incendio ed esplosione, gli impianti di cui all'articolo precedente devono essere realizzati in modo da evitare, nel caso di fuoriuscite accidentali di combustibile gassoso, accumuli pericolosi del combustibile medesimo nei luoghi di installazione e nei locali direttamente comunicanti con essi...”.
Ciò consente, a parere di questa Direzione, di poter affermare che gli impianti realizzati nel pieno rispetto delle suddette disposizioni - dove per impianto deve intendersi il complesso dell'impianto interno, degli apparecchi e degli eventuali accessori destinati alla produzione di calore - non comportino in caso di rilascio accidentale di gas la formazione di atmosfere comprese nel campo di infiammabilità.

Nell'ambito dello stesso decreto sono stabilite le situazioni in cui è necessario effettuare la valutazione del rischio di formazione di atmosfere potenzialmente esplosive (punto 2.2.1 e 2.2.2, secondo le indicazione del punto 8.1.6). Pertanto, indipendentemente dal luogo di installazione, si ritiene che gli obblighi relativi alla valutazione delle miscele esplosive non derivino dall'applicazione del D.Lgs. 81/08 ma dalle previsioni normative dello stesso DM 08/11/2019.
Si resta in attesa delle determinazioni di codesta Direzione Centrale.

Parere del Comando

Nei recenti aggiornamenti del d.lgs. n. 139 del 8 marzo 2006 è stato introdotto tra le competenze e attività del C.N.V.V.F anche lo studio, la ricerca e l'analisi per la valutazione delle esplosioni, peculiarità ripresa anche dal DM 08/11/2019, che espone nel proprio “Allegato 2” un elenco non esaustivo delle specifiche tecniche adottate dagli enti di normazione (UNI, CEI EN), caratterizzanti le configurazioni più usuali e significative, costituenti regola dell'arte.
In particolare nel DM 08/11/2019, la valutazione della formazione di atmosfere potenzialmente esplosive è limitata ai «generatori di aria calda, i moduli a tubi radianti e i nastri radianti “(par. 2.2.1)», alle «condotte aerotermiche” (par. 2.3.1)» ed infine agli «apparecchi di riscaldamento di tipo A realizzati con diffusori radianti ad incandescenza” (par. 8.1.6)» solo nel caso in cui detti impianti attraversino locali in cui le lavorazioni o le concentrazioni dei materiali in deposito negli ambienti da riscaldare comportino la formazione di gas, vapori e/o polveri suscettibili di dare luogo ad incendi e/o esplosioni, intendendo pertanto tali impianti come potenziali fonti di “ignizione” e non come “sorgenti di emissione” di un atmosfera esplosiva.

Premesso quanto sopra e in virtù del complesso impianto normativo afferente alla prevenzione della formazione delle esplosioni, si pongono i seguenti quesiti tecnici:

1. nei “luoghi di lavoro” (art. 62 del d.lgs. 09/04/2008 n. 81 e s.m.i.), la procedura di valutazione di cui al titolo XI del decreto richiamato, non si applica all'uso di “apparecchi” a gas di cui al D.P.R. 15/11/1996, n. 661 (abrogato dal D.P.R. 06/08/2019, n. 121): in particolare la specifica definizione di “apparecchio” viene fornita all'art. 2 del Reg. (UE) n. 2016/426. Stante a quanto sopra rappresentato si chiede di conoscere se la procedura di cui al titolo XI del D.Lgs. 81/08 deve essere applicata all'“impianto interno” (come definito dal DM 08/11/2019) a prescindere dall'ubicazione dello stesso (all'aperto o al chiuso);
2. i locali o le aree destinati ad accogliere esclusivamente impianti per la produzione di calore, come definiti nella sezione 1 del DM 08/11/2019 (ad esempio locali centrali termiche installati in ambiti commerciali, industriali, ospedalieri, attività ricettive, ecc.), il cui accesso è limitato ad un ristretto numero di figure esterne (manutentori, controllori, responsabili impianto, installatori, ecc.) possono essere definiti “luoghi di lavoro”? per tali locali o aree devono essere attivate le procedure di cui al titolo XI in argomento?
3. i locali o le aree destinati ad accogliere esclusivamente a impianti per la produzione di calore, come definiti nella sezione 1 del DM 08/11/2019, installati in ambito civile (ad esempio locale centrale termica a servizio di un edificio a destinazione civile) sono definibili quali “luoghi di lavoro”? per tali locali o aree devono essere attivate le procedure di cui al titolo XI in argomento? In caso affermativo quale figura ricopre il ruolo di responsabilità apicale in caso di omissioni?
4. qualora occorra procedere alla ripartizione delle aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive di cui all'allegato XLIX del D.Lgs. 81/08 il legislatore rimanda alle rispettive norme tecniche armonizzate tra le quali la CEI EN 60079-10-1:2016 (al pari di quanto riportato nell'allegato II del DM 08/11/2019). Di contro i contenuti della stessa norma CEI non si applicano (secondo il paragrafo 1 lettera e.) alle applicazioni impiantistiche installate in ambiti “commerciali” e “industriali” dove il gas combustibile è utilizzato solo a “bassa pressione”. Nel caso necessiti di una ripartizione delle aree in argomento (ad esempio per ambiti diversi da commerciali e industriali), quali sono le norme tecniche armonizzate di riferimento?
5. ai fini della prevenzione della formazione di atmosfere esplosive, i tecnici incaricati all'espletamento delle attività di prevenzione incendi per le attività nr. 74 del D.P.R. n. 151 del 01/08/2011, nel redigere la relazione tecnica di cui all'allegato I al D.M. 07/08/2012, devono limitarsi a dimostrare l'osservanza delle specifiche disposizioni tecniche del DM 08/11/2019, oppure devono disaminare anche preventivamente le prescrizioni derivate dalle norme di legge (titolo XI del d.lgs. 09/04/2008 n. 81 e s.m.i. se trattasi di luogo di lavoro) e dalle norme tecniche applicabili?

[...]

Fonte: VVF

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Assogastecnici: RdS "Raccomandazioni di sicurezza"

ID 12026 | | Visite: 3582 | Documenti Riservati Sicurezza

RdS

Assogastecnici: RdS "Raccomandazioni di sicurezza" / Procedure

ID 12026 | 12.11.2020

Raccolta RdS "Raccomandazioni di sicurezza" Assogastecnici.

Assogastecnici è l'Associazione delle aziende che operano nel campo della produzione e distribuzione dei gas tecnici, speciali e medicinali.

L'attività di Assogastecnici è da sempre orientata alla produzione di Linee Guida, Procedure di Sicurezza, Informazioni tecniche e documentazioni varie per contribuire ad una sempre più attenta politica di salvaguardia di Salute, Sicurezza e Ambiente.

Le RdS "Raccomandazioni di sicurezza" evidenziano i rischi e le precauzioni da adottare nei più frequenti episodi incidentali e situazioni di pericolo.

Raccolta aggiornata Luglio 2020

RdS 01 2020 Pericoli Caduta Materiale durante il Trasporto
RdS 02 2019 Cold Box ASU
RdS 01 2019 Riscaldamento bombole
RdS 03 2018 Cucina molecolare
RdS 02 2018 Gestione bombole acetilene
RdS 01 2018 Sgancio semirimorchio
RsS 02 2017 Sversamento serbatoi
RdS 01 2017 Autorespiratori
RdS 04 2016 Lavori elettrici
RdS 03 2016 Sovraccarico Quadri Elettrici
RdS 02 2016 Raccordi Eiga
RdS 01 2016 Conduzione carrelli elevatori
RdS 04 2015 Corrosione interna bombole CO2
RdS 03 2015 Caduta bombole
RdS 02 2015 Scoppi linee ossigeno
RdS 01 2015 Strappo flessibili riempimento

...

Fonte: Assogastecnici Federchimica
 
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Assogastecnici 2020
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Allegato riservato RdS 02 2019 Cold box asu.pdf
Assogastecnici 2019
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Allegato riservato RdS 01 2019 Riscaldamento bombole.pdf
Assogastecnici 2019
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Allegato riservato RdS 03 2018 Cucina molecolare.pdf
Assogastecnici 2018
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Allegato riservato RdS 02 2018 Gestione bombole acetilene.pdf
Assogastecnici 2018
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Allegato riservato RdS 01 2018 Sgancio semirimorchio.pdf
Assogastecnici 2018
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Allegato riservato RdS 02 2017 Sversamento serbatoi.pdf
Assogastecnici 2017
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Allegato riservato RdS 01 2017 Autorespiratori.pdf
Assogastecnici 2017
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Allegato riservato RdS 04 2016 Lavori elettrici.pdf
Assogastecnici 2016
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Allegato riservato RdS 03 2016 Sovraccarico quadri elettrici.pdf
Assogastecnici 2016
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Allegato riservato RdS 02 2016 Raccordi EIGA.pdf
Assogastecnici 2016
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Allegato riservato RdS 01 2016 Conduzione carrelli elevatori.pdf
Assogastecnici 2016
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Allegato riservato RdS 04 2015 Corrosione interna bombole CO2.pdf
Assogastecnici 2015
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Allegato riservato RdS 03 2015 Caduta bombole.pdf
Assogastecnici 2015
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Allegato riservato RdS 02 2015 Scoppi linee ossigeno.pdf
Assogastecnici 2015
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D.Lgs. 2 febbraio 2002 n. 25

ID 12008 | | Visite: 3604 | Decreti Sicurezza lavoro

D.Lgs. 2 febbraio 2002 n. 25

Attuazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro.

(GU n. 57 del 08-03-2002)

In allegato:
- Testo nativo
- Testo consolidato 2020

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