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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 31529 | 11 Novembre 2020

ID 12030 | | Visite: 2222 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/12030

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 dell'11 novembre 2020 n. 31529

Infortunio durante la movimentazione di merci con un transpallet elettrico. Responsabilità di committente e appaltatrice

Penale Sent. Sez. 4 Num. 31529 Anno 2020
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: ESPOSITO ALDO
Data Udienza: 30/09/2020

Fatto Diritto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì del 5 luglio 2016, con cui B.I. e D.L. erano stato condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di reclusione ciascuno in relazione al reato di cui agli artt. 113, 590, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., 26, comma 2, lett. a) e 63, comma 1, D.lgs n. 81 del 2008, perché, in cooperazione tra loro, nelle rispettive qualità il B.I. di legale rappresentante e di presidente del consiglio di amministrazione della società "Primo Taddei Cooperativa servizi logistica e movimentazione merci" e il D.L. di procuratore speciale e direttore dello stabilimento ubicato in Forlì, via Don Servadei n. 12, della società "Centrale Adriatica soc. coop.", perché, in violazione dell'art. 26 cit., non cooperavano tra loro per l'attuazione delle misure di prevenzione sul lavoro nel reparto scarico ortofrutta affinché le manovre di movimentazione delle merci venissero effettuate in sicurezza e non in condizione di spazi ristretti all'interno dello stabilimento della società Centrale Adriatica nonché, in violazione dell'art. 63, comma i), AII. IV punti 1.8.1. e 1.8.2. cit., il B.I. lasciava utilizzare a C.L. un transpallet in una zona avente uno spazio ristretto per le manovre e il D.L. per aver dato in uso dei locali in cui gli spazi di manovra erano ristretti; nella specie, il 16 marzo 2012, mentre il C.L., quale socio lavoratore dipendente della società Primo Taddei, si trovava nella zona di scarico merci in arrivo del predetto stabilimento ed era intento a movimentare dei pallets in legno su cui erano accatastate varie casse in plastica ripiene di prodotti ortofrutticoli mediante un transpallet elettrico, durante una manovra a marcia indietro urtava una pila di casse riposte su due pallets sovrapposti (48 casse complessive contenenti kg. 10 cadauna di mele golden suddivise in 24 casse sovrapposte tra di loro a piani di quattro su ogni pallet, per un'altezza complessiva pari a cm. 236) scaricate in precedenza e a seguito di tale urto, al fine di evitare il ribaltamento delle casse che nel frattempo si erano inclinate il C.L. scendeva dal transpallet cercando di reggerle, ma stante il peso elevato (kg. 480 solo la merce contenuta all'interno delle casse, esclusa la tara dei contenitori), non riusciva in tale intento, rimanendo schiacciato dalle stesse, cagionando al C.L. lesioni personali gravi consistite in tetraplegia da frattura lussazione cervicale, con conseguente grado di inabilità del 95%.
1.1. In base alla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, anche in base ad una videoregistrazione, il C.L., dipendente della Primo Taddei, alla guida di un transpallet, stava svolgendo attività di movimentazione e di smistamento merci nel reparto ortofrutta nei magazzini della Centrale Adriatica, società committente dei lavori.
Presso tali magazzini giungono quotidianamente - stivati in appositi pallets - prodotti ortofrutticoli, che ivi erano scaricati, pesati ed etichettati, operazioni per le quali il carrellista scende e sale ripetutamente dal carrello nonché infine stivati per essere successivamente distribuiti presso i vari negozi di rivendita al pubblico.
Il C.L., durante lo scarico della merce, allorché la zona stivaggio di fronte alla buca di scarico del camion era già piena di pallets, aveva collocato una pila di pallets nella zona di manovra adiacente a tale buca; nello scaricare un'altra pila dal camion, in fase di retromarcia, urtava la predetta pila. L'urto determinava il barcollamento dei due pallets sovrapposti del peso di 480 kg. che il lavoratore, scendendo improvvisamente dal mezzo, tentava di bloccare venendone completamente travolto.
Gli ispettori del lavoro intervenuti rilevavano due problematiche causalmente rilevanti nell'infortunio: a) gli spazi di manovra sempre più ristretti a causa del continuo stivaggio; b) il transpallet adoperato per la movimentazione, poiché, in base alle misure col carico a bordo, non potevano ritenersi rispettate le misure di distanza previste nel manuale per evitare urti.
All'esito di tali rilievi, dopo l'infortunio erano effettuate delle disposizioni finalizzate all'evitare di ripetersi di un simile infortunio e, cioè, la modifica degli spazi di manovra presenti nell'area di scarico e la stessa Centrale Adriatica ha redatto indicazioni integrative alla procedura per la circolazione di mezzi e di pedoni, con prescrizioni di divieto della sosta di pallet o di carrelli nella zona di scarico ed obbligo di sgombero di questa zona nonché di prelievo della merce secondo uno schema di movimentazione del transpallet prudenziale, al fine di evitare interferenze con altre operazioni.
Nell'attività di movimentazione delle merci il rischio di ribaltamento dei pallet di merce era tutt'altro che imprevedibile; inoltre, i lavoratori sentiti quali testi (T., M. e A.) avevano riferito una statistica che va dai tre ai dieci ribaltamenti in un anno e l'A. aveva specificato che 6/7 ribaltamenti su 10 erano determinati da manovre del muletto piuttosto che da vizi dei pallets.
Secondo il teste ispettore Casadio, il rischio di ribaltamento del pallet determinato da manovre del carrello doveva essere considerato anche alla luce delle modalità di svolgimento dell'attività di movimentazione: in particolare, gli spazi ristretti, da un certo orario in poi, determinavano una violazione delle norme dimensionali dei transpallet utilizzati.
Pertanto, la committente e l'appaltatrice non avevano effettuato un'adeguata valutazione preventiva delle modalità delle manovre di carico e scarico e alle dimensioni degli spazi di scarico. Gli imputati non avevano cooperato tra loro nella valutazione del rischio interferenziale nel reparto ortofrutta dell'attività di movimentazione delle merci e, in particolare, il B.I. per aver consentito all'infortunato di lavorare in spazi ristretti e il D.L. per aver dato in uso detti locali.
1.2. La Corte di appello ha condiviso le valutazioni del giudice di primo grado, rilevando che la sentenza aveva dato conto, in modo completo e dettagliato, della ricostruzione del fatto e delle risultanze processuali.
La Corte territoriale ha osservato che non ricorreva un'ipotesi di comportamento anomalo del lavoratore idoneo ad escludere il nesso di causalità.
Il lavoratore frequentemente operava in una situazione di pericolo concreto a causa del continuo stivaggio: il costante arrivo di pallets da scaricare determinava da una certa ora in poi una situazione di spazi ristretti con rischio di urto e l'inidoneità del mezzo usato per il mancato rispetto delle distanze previste nel manuale per evitare urti. Ogni anno, peraltro, come dichiarato dal T., dal M. e dall'A., avvenivano dai tre ai dieci ribaltamenti, la gran parte determinati da manovre del muletto piuttosto che da vizi dei pallet.
Il comportamento del manovratore non poteva qualificarsi come abnorme ed estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuitegli, bensì era funzionale all'esecuzione del suo lavoro (caricare e stivare senza danneggiare alcunchè).
Il lavoratore, dopo aver urtato i pallets a causa degli spazi ristretti - nei quali era divenuto pericoloso operare - e dell'inidoneità del mezzo usato (a causa degli spazi ristretti e del carico a bordo), tentava di evitare il danneggiamento della merce e delle attrezzature, al fine di salvaguardare gli interessi aziendali, preferendo porre a rischio la propria incolumità personale.
Erano prevedibili eventuali urti con pericolo di ribaltamento della merce e il conseguente tentativo del lavoratore di evitare le cadute dei pallets e il danneggiamento della merce. I ribaltamenti, infatti, erano già avvenuti in passato e le condizioni di lavoro erano direttamente percepibili.
La Corte bolognese ha altresì evidenziato che la posizione di committente non esonerava il D.L. dagli obblighi prevenzionali nei luoghi di lavoro, se non quando non potesse più esservi nessuna ingerenza nell'esecuzione dei medesimi (e sempre che non vi sia una concreta ingerenza).
La quantità di pallets da scaricare era decisa in via esclusiva dalla Centrale Adriatica e, pertanto, non solo le condizioni di lavoro non erano gestite dalla sola Coop. Taddei, ma erano determinate dalle esigenze produttive della società committente. Entrambe le società, pertanto, avevano l'obbligo giuridico di verificare e garantire le condizioni di sicurezza necessarie.
Quanto al trattamento sanzionatorio la Corte di merito ha rilevato che l'art. 590 bis cod. pen. vigente al momento della sentenza (oggi art. 590 quater cod. pen.) stabiliva che, con riferimento al reato di cui all'art. 590, comma terzo, ultimo periodo, cod. pen. le circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli artt. 89 e 114 cod. pen. non potevano essere ritenute equivalenti o prevalenti all'aggravante e le dimi­ nuzioni dovevano essere operate sulla quantità di pena determinata in base alle sud­ dette aggravanti. Per tali ragioni correttamente il giudice di primo grado aveva effet­ tuato le riduzioni di pena per le concesse attenuanti sulla pena base determinata ex art. 590, comma terzo, cod. pen..
2. Entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
3. B.I. (due motivi di impugnazione)
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 41, comma secondo, cod. pen..
Si deduce che la responsabilità doveva escludersi versandosi in ipotesi di condotta abnorme del lavoratore.
Nella fattispecie, il lavoratore infortunato, addetto allo scarico e allo stoccaggio di bancali con un transpallet, dopo aver urtato una pila di quelli nel corso di una manovra, inopinatamente scendeva dal mezzo e correva sotto detta pila cercando di reggerla con le mani, rimanendone tragicamente schiacciato.
3.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 590 bis (ora 590 quater) e 590, comma terzo, cod. pen..
Si osserva che il Tribunale di Forlì aveva erroneamente operato le riduzioni di pena per le riconosciute attenuanti, considerando i limiti edittali previsti per le lesioni col­ pose aggravate di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. e non, sulla sanzione prevista per il delitto di lesioni colpose semplici. La Corte di appello ha erroneamente confermato il trattamento sanzionatorio.
In contrario, doveva rilevarsi che il giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen. ed aggravanti riguardava unicamente le ipotesi di lesioni colpose gravi o gravissime arrecate con le più gravi ipotesi di violazione delle norme in materia di circolazione stradale. Tale circostanza era resa ancor più evidente dal disposto del nuovo art. 590 quater cod. pen., disposizione impropriamente citata dalla Corte territoriale, introdotta proprio in tema di omicidio e lesioni stradali, e non applicabile al caso in esame di violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
4. D.L. (quattro motivi di impugnazione)
3.1. Vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della colpa specifica ex art. 26, comma 2, D.lgs n. 81 del 2008.
Si deduce che la Centrale Adriatica soc. coop. aveva stipulato un contratto di appalto di servizi con la società consortile Sincro, avente ad oggetto lo svolgimento delle attività di esecuzione dei servizi logistici presso il magazzino di Forlì.
A sua volta la Sincro aveva affidato lo svolgimento dei servizi alla Primo Taddei soc. coop.; con lo stesso meccanismo alla Primo Taddei erano stati appaltati la gestione dei reparti ortofrutta ed ittico. Per tali ragioni, la Primo Taddei aveva assunto il compimento di un'opera o di un servizio verso corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi propri e con gestione a proprio rischio nonchè la gestione completa della logistica in totale autonomia, in assenza di dipendenti della Centrale Adriatica.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'art. 63, comma 1, D.lgs n. 81 del 2008 e travisamento della prova in relazione alla gestione esclusiva del magazzino.
Si osserva che la Corte di merito ha collegato l'esistenza dell'obbligo giuridico dei datori di lavori di entrambe le società di verificare e di garantire le condizioni di sicurezza necessarie ad una presunta e indimostrata gestione esclusiva in capo alla Centrale adriatica delle condizioni di lavoro, che sarebbero state determinate da esigenze produttive della committente. L'istruttoria dibattimentale, tuttavia, aveva confermato l'esatto contrario e, cioè, la piena autonomia dell'appaltatrice nella gestione dei servizi (vedi testimonianze M. e A.). Inoltre, lo stato dei luoghi non era stato modificato a seguito dell'infortunio (vedi testimonianza M.).
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli art. 40, 41, comma secondo, e 43 cod. pen. per impossibilità di prevedere l'evento lesivo.
Si rileva che l'evento si era verificato a causa della condotta imprevedibile ed eccezionale perpetrata dal C.L., che, con manovra assolutamente imprevedibile, scendeva dal transpallet e si posizionava sotto la pila di casse che stava crollando, cercando in modo insensato di sorreggere kg. 480 di merce precedentemente stivata.
3.4. Violazione di legge con riferimento agli artt. 590 e 590 quater cod. pen..
Si deduce che erroneamente era stata affermata l'esistenza di un limite al potere di bilanciamento delle circostanze, che non è previsto per il reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen., disposizione non rientrante nel catalogo previsto dall'art. 590 quater cod. pen., inserito dall'art. 1, comma 2, I. 23 marzo 2016, n. 41.
4. La sentenza deve essere annullata senza rinvio per estinzione del reato dovuta a prescrizione, maturata nelle more del giudizio di legittimità, tenuto conto della data del fatto (16 marzo 2012), dell'assenza di fattori sospensivi della prescrizione e del titolo di reato, in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 157 e 161 cod. pen..
Il quarto motivo di ricorso è fondato.
Come indicato dai ricorrenti, la quantificazione della pena non è stata effettuata correttamente.
La Corte di appello, infatti, non ha tenuto conto della modifica legislativa di cui all'art. 1, comma 2, I. 23 marzo 2016, n. 41, favorevole all'imputato, in quanto non prevede più il divieto di equivalenza o di prevalenza delle attenuanti sull'aggravante per i reati in materia di infortuni sul lavoro.
Per tale ragione, il giudice avrebbe dovuto effettuare il giudizio di comparazione tra circostanze, stabilendo esplicitamente la prevalenza delle due attenuanti applicate e avrebbe dovuto effettuare la riduzione delle attenuanti, partendo dalla pena base di cui all'art. 590, comma primo, cod. pen. e non da quella prevista per l'ipotesi aggravata dall'art. 590, comma terzo, cod. pen..
Stante la fondatezza di tale doglianza, risulta correttamente instaurato il rapporto processuale, poiché il ricorso non è inammissibile (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
Com'è noto, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
5. Ne discende conclusivamente che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per l'intervenuta prescrizione del reato contestato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 30 settembre 2020.

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Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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