Slide background




Certificato di operatore aereo antincendio (COAN)

ID 7432 | | Visite: 5183 | Prevenzione Incendi

Regolamento Certificato di operatore aereo antincendio  COAN

Certificato di operatore aereo antincendio (COAN)

Requisiti relativi alle operazioni aeree antincendio nonché ad aspetti relativi alle operazioni specializzate e non commerciali non compresi nel regolamento (UE) 965/2012

L'ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC) nella riunione del consiglio di amministrazione del 17 novembre 2017, come reso noto in un comunicato dello stesso Ente, pubblicato sulla Gazzetta uciale del 20 gennaio 2018, n. 16.

Il nuovo regolamento appprovato da ENAC il 17 novembre 2017, si occupa in particolare di:

- operazioni di volo antincendio ed operazioni specializzate commerciali;
- limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti sui tempi di riposo;
- gestione della navigabilità continua e manutenzione degli aeromobili;
- requisiti di nazionalità ed economico-finanziari per lo svolgimento delle attività;
- certificato di operatore aereo antincendio (COAN), relative modifiche e mantenimento della validità;
- limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti sui tempi di riposo per i membri di equipaggi di condotta impiegati in operazioni specializzate commerciali e antincendio;
- disposizioni in materia di tempi di volo e di servizio per i membri di equipaggio di condotta impiegati in operazioni non commerciali con aeromobili complessi.

Vedi: Decreto del ministero dell'Interno 12 gennaio 2018 sulla riorganizzazione del servizio antincendio boschivo (AIB) del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Certificato di Operatore Aereo Antincendio - Proroga dei termini di applicazione 

ENAC, 30 agosto 2018

Si comunica che è stata approvata una seconda proroga di tre mesi dei termini relativamente all'applicazione del Certificato di Operatore aereo antincendio (COAN), come di seguito specificato.

Tale proroga è stata definita in seguito all'impossibilità di completare tutti i procedimenti di rilascio del suddetto Certificato entro i termini definiti nell'art. 20, comma 2, del Regolamento ENAC "Requisiti relativi alle operazioni aeree antincendio nonché ad aspetti delle operazioni specializzate e non commerciali non compresi nel regolamento (UE) 965/2012" ovverosia entro il 30 maggio 2018

Viene pertanto esteso a dodici mesi il termine attualmente riportato nel Regolamento sopra citato così da permettere agli operatori, attualmente in possesso dei certificati COLA in corso di validità, di continuare ad operare fino al 30 novembre 2018.

La proroga si applica a tutti gli operatori che hanno presentato entro il termine del 30 maggio u.s. la domanda di rilascio "COAN". 

Si conferma inoltre che la proroga dei termini di cui sopra non si applica all'articolo 6 "Limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti dei tempi di riposo" del citato Regolamento che pertanto è pienamente in vigore.


ENAC, 26 luglio 2018

comunica che la dilazione dei termini per l'ottenimento del COAN di cui all'art. 20 comma 2 del pertinente Regolamento ENAC, fino al termine massimo del 30 agosto 2018, per coloro che hanno già presentato domanda e sono titolari di un COLA valido per attività antincendio, non si applica all'articolo 6 "limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti dei tempi di riposo" che pertanto è pienamente in vigore. 


ENAC, 1° giugno 2018

Si comunica che è stata approvata la dilazione dei termini di applicazione del Certificato di Operatore aereo antincendio (COAN), come di seguito specificato, in seguito all'impossibilità di completare tutti i procedimenti di rilascio del suddetto Certificato entro i termini definiti nell'art. 20, comma 2, del pertinente Regolamento ENAC ovverosia entro il 30 maggio 2018.

Al fine di non penalizzare alcun operatore nazionale impegnato in attività o in gare antincendio regionali, e tenuto conto che la sicurezza del volo è comunque garantita dal possesso di un certificato COLA e dal rispetto dei relativi requisiti, si estende, ai sensi della PO GEN 02B, la dilazione dei termini di cui al citato art.20.2., per il periodo proposto che, in relazione all'approssimarsi dell'estate, si ritiene congruo nella misura di 3 mesi.

Viene pertanto esteso da sei a nove mesi il termine attualmente riportato così da permettere agli operatori di elicotteri, attualmente in possesso dei certificati COLA in corso di validità, di continuare ad operare in accordo al Regolamento "Certificato di Operatore di Lavoro Aereo" fino al 30 agosto 2018.

Condizione ulteriore per la validità della proroga è avere presentato la domanda di rilascio COAN entro la data del 30 maggio 2018.

Vedi comunicati ENAC

Collegati

Circolare Inail n. 52 del 21 dicembre 2018

ID 7430 | | Visite: 2687 | News Sicurezza

Circolare Inail n. 52 del 21 dicembre 2018

Articolo 1, comma 246, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, concernente benefici previdenziali per i lavoratori del settore della produzione di materiale rotabile ferroviario.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017, Supplemento ordinario n. 62, è stata pubblicata la legge 27 dicembre 2017, n. 205 “Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” (legge di bilancio 2018). L’articolo 1, comma 246, della suddetta legge, ha modificato la disposizione di cui all’articolo 1, comma 277, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 tale per cui ai lavoratori del settore della produzione di materiale rotabile ferroviario che hanno prestato la loro attività nel sito produttivo, senza essere dotati degli equipaggiamenti di protezione adeguati all'esposizione alle polveri di amianto, durante le operazioni di bonifica dall'amianto poste in essere mediante sostituzione del tetto, sono riconosciuti i benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, per il periodo corrispondente alla medesima bonifica e per dieci anni successivi al termine dei lavori di bonifica, a condizione della continuità del rapporto di lavoro in essere al momento delle suddette operazioni di bonifica.

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 12 maggio 2016 erano state adottate le modalità di attuazione del comma 277 come originariamente disciplinato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 e con circolare Inps 6 aprile 2017, n. 68 era stato definito anche l’iter amministrativo per accedere al beneficio previdenziale di che trattasi. A seguito dell’intervento legislativo di cui alla legge di bilancio 2018, con circolare Inps 14 marzo 2018, n. 46 è stato specificato nuovamente l’iter amministrativo per il riconoscimento del beneficio in argomento e sono state ribadite le codifiche delle attività economiche per l’individuazione dei datori di lavoro operanti nel settore del materiale rotabile ferroviario specificandone gruppo, classe, categorie e sottocategorie. La suddetta circolare precisa altresì che l’Istituto previdenziale effettui un esame preliminare delle istanze e, a conclusione delle verifiche, trasmetta tempestivamente all’Inail la domanda di accesso al beneficio, al fine del rilascio della certificazione tecnica attestante la sussistenza dei requisiti di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 3 della circolare medesima.

Con la presente circolare, acquisito il preventivo parere del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con nota del 17 dicembre 2018, prot. n. 10082, si forniscono in particolare le istruzioni applicative delle disposizioni in oggetto, per quanto attiene all’istruttoria e alla verifica per il rilascio della predetta certificazione tecnica da parte dell’Inail.

Soggetti aventi diritto

Il beneficio previdenziale spetta ai lavoratori del settore della produzione di materiale rotabile ferroviario che abbiano prestato la loro attività nel sito produttivo, senza essere dotati degli equipaggiamenti di protezione adeguati all'esposizione alle polveri di amianto, durante le operazioni di bonifica dall'amianto poste in essere mediante sostituzione del tetto. Con l’entrata in vigore della legge di bilancio 2018, ulteriore condizione per il riconoscimento del beneficio di cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 è la continuità del rapporto di lavoro in essere al momento delle suddette operazioni di bonifica e per dieci anni successivi. È necessario, inoltre, che l’attività svolta dal lavoratore presso il sito produttivo sia assoggettata all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali gestite dall’Inail.

...

Fonte: INAIL

Decreto 16 marzo 2012

ID 7405 | | Visite: 5924 | Prevenzione Incendi

Decreto 16 marzo 2012

Piano straordinario biennale adottato ai sensi dell'articolo 15, commi 7 e 8, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, concernente l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994, che non abbiano completato l'adeguamento alle suddette disposizioni di prevenzione incendi.

GU n. 76 del 30 marzo 2012

Update 31.12.2020

Decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183 (milleproroghe 2021) / Convertito legge 26 febbraio 2021 n. 21

Art. 2 (Proroga di termini in materie di competenza del Ministero dell'interno)

4-octies.

All'articolo 1, comma 1122, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, la lettera i) e' sostituita dalla seguente: "i) le attivita' ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore della regola tecnica di cui al decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 95 del 26 aprile 1994, e in possesso dei requisiti per l'ammissione al piano straordinario di adeguamento antincendio, di cui al decreto del Ministro dell'interno 16 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 30 marzo 2012, completano l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione degli incendi entro il 31 dicembre 2022, previa presentazione al comando provinciale dei vigili del fuoco, entro il 30 giugno 2021, della SCIA parziale, attestante il rispetto di almeno quattro delle seguenti prescrizioni, come disciplinate dalle specifiche regole tecniche:

- resistenza al fuoco delle strutture;
- reazione al fuoco dei materiali;
- compartimentazioni;
- corridoi; scale;
- ascensori e montacarichi;
- impianti idrici antincendio;
- vie di uscita ad uso esclusivo, con esclusione dei punti ove e' prevista la reazione al fuoco dei materiali; vie di uscita ad uso promiscuo, con esclusione dei punti ove e' prevista la reazione al fuoco dei materiali;
- locali adibiti a depositi.

Per le strutture ricettive turistico-alberghiere localizzate nei territori colpiti dagli eccezionali eventi meteorologici che si sono verificati a partire dal 2 ottobre 2018, come individuati dalla deliberazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei ministri l'8 novembre 2018, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 266 del 15 novembre 2018, nonche' nei territori dell'Italia centrale colpiti dagli eventi sismici nel 2016 e nel 2017, individuati dagli allegati 1, 2 e 2-bis al decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, e nei comuni di Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Forio dell'isola di Ischia in ragione degli eventi sismici verificatisi il 21 agosto 2017, il termine per il completamento dell'adeguamento alle disposizioni di prevenzione degli incendi, di cui al primo periodo della presente lettera, e' prorogato al 31 dicembre 2022, previa presentazione della SCIA parziale al comando provinciale dei vigili del fuoco entro il 30 giugno 2021.

Limitatamente ai rifugi alpini, il termine di cui all'articolo 38, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, e' prorogato al 31 dicembre 2021".

Update 29 Febbraio 2020:

Legge 28 febbraio 2020 n. 8 (Conversione DL milleproroghe 2020)

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, recante disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonche' di innovazione tecnologica. (GU n. 51 del 29.2.2020 S.O. n. 10) 

Art. 3. Proroga di termini in materie di competenza del Ministero dell’interno
...
5. All’articolo 1, comma 1122, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, la lettera i) è sostituita dalla seguente: « i) le attività ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 95 del 26 aprile 1994, e in possesso dei requisiti per l’ammissione al piano straordinario di adeguamento antincendio, approvato con decreto del Ministro dell’interno 16 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 30 marzo 2012, completano l’adeguamento alle disposizioni di prevenzione degli incendi entro il 31 dicembre 2021, previa presentazione al Comando provinciale dei vigili del fuoco, entro il 30 giugno 2020, della SCIA parziale, attestante il rispetto di almeno quattro delle seguenti prescrizioni, come disciplinate dalle specifiche regole tecniche: 

- resistenza al fuoco delle strutture; 
- reazione al fuoco dei materiali; 
- compartimentazioni; corridoi; 
- scale; ascensori e montacarichi; 
- impianti idrici antincendio; 
- vie d’uscita ad uso esclusivo, con esclusione dei punti ove è prevista la reazione al fuoco dei materiali; 
- vie d’uscita ad uso promiscuo, con esclusione dei punti ove è prevista la reazione al fuoco dei materiali;
- locali adibiti a deposito.

Per le strutture ricettive turistico-alberghiere localizzate nei territori colpiti dagli eccezionali eventi meteorologici che si sono verificati a partire dal 2 ottobre 2018, come individuati dalla deliberazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei ministri l’8 novembre 2018, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 266 del 15 novembre 2018, nonché nei territori colpiti dagli eventi sismici del Centro Italia nel 2016 e 2017, individuati dagli allegati 1, 2 e 2 -bis al decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, e nei comuni di Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Forio dell’isola di Ischia in ragione degli eventi sismici verificatisi il 21 agosto 2017, il termine per il completamento dell’adeguamento alle disposizioni di prevenzione degli incendi, di cui al primo periodo della presente lettera, è prorogato al 30 giugno 2022, previa presentazione della SCIA parziale al Comando provinciale dei vigili del fuoco entro il 31 dicembre 2020. 

Limitatamente ai rifugi alpini, il termine di cui all’articolo 38, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, è prorogato al 31 dicembre 2020».

Collegati

Disabilità e lavoro | INAIL

ID 7401 | | Visite: 4020 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 54803 | 07 Dicembre 2018

ID 7382 | | Visite: 2402 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

 Infortunio con una pressa di stampaggio a caldo

Obbligo di formazione

Penale Sent. Sez. 4 Num. 54803 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 14/09/2018

Ritenuto in fatto

1. La corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale di Lecco, con la quale V.M.M., nella qualità di legale rappresentante della VG V. s.r.l., era stata condannata per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. ai danni del lavoratore dipendente DB.I., posto in essere per colpa consistita In negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 37 d.lgs. 81/08).
2. In particolare, il lavoratore, intento ad operare su una pressa di stampaggio a caldo per la produzione di piccoli pezzi metallici, denominati "gomiti", aveva prelevato un pezzo incandescente dal nastro con le pinze, introducendo la mano sinistra sotto lo stampo e premendo inavvertitamente con il piede il comando a servizio della pressa, permettendo a questa di effettuare un altro ciclo di lavorazione mentre aveva ancora la mano sotto lo stampo, determinando così l'infortunio dal quale erano derivate le lesioni personali, meglio descritte in rubrica.
3. L'imputata ha proposto ricorso con proprio difensore, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli obblighi di formazione del lavoratore e al nesso di causalità.
In particolare, la difesa ha censurato la decisione con riferimento alla valutazione della interferenza della condotta della vittima sul nesso causale, che ha ritenuto abnorme, in considerazione del fatto che il ciclo produttivo prevedeva espressamente che l'operatore non inserisse gli arti nell'area di lavoro, avendo peraltro il DB.I. omesso di utilizzare i dispositivi di sicurezza forniti.
Sotto altro profilo, la parte ha rilevato la difficoltà di comprendere quale fosse il grado di formazione richiesto per impedire la condotta tenuta dal lavoratore o, comunque, per scongiurare la situazione di pericolo insita nell'operare con le mani nell'area di lavoro di una pressa, ciò anche a ritenere che la formazione sul funzionamento del macchinario fosse durata solo poche ore.
Infine, si è rilevato che il DB.I., fin dal suo arrivo in V., era stato sottoposto ad un iter formativo teorico e pratico, con affiancamento da parte di personale esperto ed era stato addetto a cicli di lavoro ridotti al fine di consentirne il graduale inserimento al lavoro.

 Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
2. A fronte delle specifiche doglianze dell'appellante (con cui si proponevano i temi sviluppati in ricorso, vale a dire la sufficienza e adeguatezza della formazione ricevuta dal lavoratore e la condotta abnorme di costui), la corte milanese ha respinto il gravame di merito, focalizzando l'attenzione su alcuni elementi ritenuti di carattere dirimente.
L'istruttoria aveva confermato, infatti, che il lavoratore infortunato - assunto da poco tempo - era stato addetto alla pressa solo qualche giorno prima dell'infortunio; egli aveva affermato di essere uno stampatore, ma non aveva alcuna competenza nello specifico settore, come appurato dai colleghi di lavoro; la formazione impartitagli era stata dunque del tutto insufficiente, perché il corso generale sul funzionamento dei macchinari era durato solo quattro ore ed egli era stato avviato a lavorare da solo sul macchinario in questione dopo appena due giorni, senza una previa verifica pratica e in assenza di un vero e proprio affiancamento e di una concreta supervisione, come pure previsto dall'art. 5.1 della procedura per la formazione del personale in vigore presso l'azienda.
Sul punto, la corte ambrosiana ha stigmatizzato la circostanza che l'obbligo di formazione non si esaurisce nel passaggio di conoscenze teoriche e pratiche al dipendente, dovendo il soggetto obbligato verificare anche che esse siano divenute patrimonio acquisito in concreto, ciò che solo una effettiva prova pratica, sotto la supervisione di un tutor può garantire, rilevando che, nel caso di specie, la completa estraneità del DB.I. a quella specifica attività era constatabile da chiunque e spiegava ampiamente il comportamento scorretto tenuto dal predetto.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
Con esso si introducono i temi, invero tra loro correlati, della adeguatezza della formazione ricevuta dal dipendente e della abnormità della condotta tenuta dal DB.I. nell'occorso.
La corte di merito ha motivato in ordine ad entrambi i profili, fornendo una giustificazione del tutto logica, oltre che coerente con i dati fattuali emersi nell'istruttoria, neppure contestati nella loro storicità, della ritenuta violazione dell'obbligo di formazione e della non abnormità della condotta del lavoratore, proprio alla luce della comprovata inesperienza del DB.I. rispetto all'uso di quello specifico macchinario.
3.1. Quanto al soddisfacimento dell'onere motivazionale da parte della corte territoriale, deve rilevarsi intanto che la motivazione della sentenza impugnata deve essere valutata anche alla luce delle argomentazioni che hanno sostenuto la conforme decisione del tribunale, sia pure attraverso il filtro delle doglianze formulate in appello. Infatti, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, si è precisato che, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relazione; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte [cfr. sez. 6 n. 28411 del 13/11/2012 ud. (dep. 01/07/2013), Rv. 256435].
Nel caso in esame, non soltanto è rinvenibile nel documento impugnato il percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale, attraverso la puntuale esposizione degli elementi fattuali ai quali è stata ancorata la decisione, ma essa è coerente con il costante orientamento di questa corte di legittimità.
3.2. Si è, infatti, più volte affermato che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'Infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi [cfr. sez. 4 n. 39765 del 19/05/2015, Vallarti, Rv. 265178 (nella specie, il lavoratore, che si era trovato nella necessità di sganciare il rimorchio di un autocarro, si procurava la morte rimanendo schiacciato fra le due parti del veicolo mentre stava procedendo ad un incauto riaggancio, non rispettando quelle misure di sicurezza che una specifica formazione gli avrebbe sicuramente fatto conoscere)].
Tale obbligo, peraltro, non è escluso, né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (cfr. sez. 4 n. 22147 dell'01/02/2016, Morini, Rv. 266860), ciò che non è neppure accaduto nel caso all'esame.
Infatti, l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge (cfr. sez. 4 n. 21242 del 12/10/2014, Nogherot, Rv. 259219).
3.3. Per quanto attiene, poi, al presunto comportamento abnorme del lavoratore, costituisce ormai ius recepetum nella giurisprudenza di questa sezione il principio secondo cui, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento "...è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare" (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
4. All'inammissibilità segue, a norma dell'art. 616, cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 14 settembre 2018.

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 54803 Anno 2018.pdf
 
254 kB 9

Gestione dei contatti e della tubercolosi in ambito assistenziale

ID 7379 | | Visite: 2613 | Documenti Sicurezza Enti

Gestione dei contatti e della tubercolosi in ambito assistenziale - Testo Integrale

Aggiornamento delle raccomandazioni per le attività di controllo della tubercolosi

Min Salute 2010

Collegati

Circolare n.15 del 27 giugno 2012

ID 7375 | | Visite: 4094 | Circolari Sicurezza lavoro

Circolare n.15 del 27 giugno 2012

Circolare n.15 del 27 giugno 2012

Dispositivi di protezione Individuale per la protezione delle vie respiratorie da agenti biologici aerodispersi.

Oggetto: Dispositivi di Protezione Individuale per la protezione delle vie respiratorie da agenti biologici aerodispersi.

A seguito di numerosi quesiti concernenti l'uso dei dispositivi di protezione individuale specificati in oggetto. di intesa con la Direzione Generale per il Mercato. la Concorrenza. il Consumatore. la Vigilanza e la Normativa Tecnica del Ministero dello Sviluppo Economico. con la Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute e con l'INAIL si esprimono le valutazioni di seguito esposte.

Si fa riferimento alla pubblicazione di alcuni documenti ex ISPESL. ora INAIL in cui viene  suggerito ruso di facciali filtranti dotati di "cert(fìcazione di Tipo emessa dall'Orgamismo Notificato che attesti la protezione da agenti biologici del gruppo 2 e 3. ai sensi della Direttiva 54/2000/CE, quali dispositivi in grado di garantire la necessaria efiìcacia contro i suddetti agenti, senza che siano menzionati anche i facciali filtranti dichiarati conformi alla nonna europea armonizzata EN 149.

In particolare, nel documento ex ISPESL "Criteri procedurali per la scelta e caratterizzazione dei Dispositivi di Protezione Individuale per il rischio biologico in afluazione degli adempimenti del D.Lgs. 81/2008 e smi", relativamente all'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale per la protezione specifica delle vie respiratorie da agenti biologici, quali i facciali filtranti e i filtri da collocare sulle semimaschere e/o sulle maschere a pieno facciale. viene testualmente riportato:

"I DPI per la protezione specifica delle vie respiratorie da agenti biologici, quali facciali filtranti e fìltri da collegare sulle semimaschere o sulle maschere e pieno facciale. sono caratterizzati da una certifìcazione di Tipo emessa dall'Organismo Notifìcato che attesti la marcatura CE come dispositivo cli protezione individuale in III categoria secondo la Direttiva 686/89/CE ettesti la protezione da agenti biologici del gruppo 2 e 3. ai sensi dellla direttiva 54/2000/CE".

Si ritiene utile precisare che la certificazione CE dei dispositivi di protezione individuale deve essere esclusivamente effettuata in conformità a quanto disposto dalla Direttiva 89/686/CEE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 475/92 e successive modifiche e integrazioni e che per questa certificazione possono essere utilizzate le norme armonizzate pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea e riprese in quella italiana in quanto assicurano presunzione di conformità ai requisiti essenziali richiesti dalla direttiva europea.

Occorre quindi evidenziare che l'uso dei dispositivi per la protezione delle vie respiratorie conformi alla norma europea armonizzata EN 149 e certificati CE ai sensi della Direttiva 89/686/CEE, è ritenuto idoneo anche per la protezione da agenti biologici aerodispersi in numerosi documenti sia nazionali (prodotti ad esempio dal Ministero della Salute e dallo stesso ex ISPESL) che internazionali (prodotti ad esempio dall'Organizzazione Mondiale della Sanità WHO e dal NIOSH).

Pertanto, ne deriva che solo i dispositivi di protezione delle vie respiratorie provvisti di  certificazione CE di Tipo secondo la Direttiva 89/686/CEE possono essere liberamentecommercializzati e che sarà compito del fabbricante dei dispositivi di protezione individuale dichiararne la conformità ai requisiti dalrAllegato II della direttiva succitata, dopo che sullo stesso è stato emesso da un Organismo Notificato un attestato di esame del Tipo conseguente a specifiche prove di laboratorio. fermo restando che l'utilizzo della norma europea armonizzata EN 149 assicura presunzione di conformità ai requisiti di cui airAllegato II citato anche per quanto riguarda la protezione da agenti biologici.

Stante quanto sopra esposto, si conclude che risultano idonei per la protezione da agenti biologici sia i dispositivi di protezione delle vie respiratorie provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE, che attesti la protezione da agenti biologici dei gruppi 2 e 3 così come definiti nella Direttiva 2000/54/CE, sia quelli provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE, basata sulla nonna europea armonizzata EN 149.



Collegati

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 54009 | 03 Dicembre 2018

ID 7346 | | Visite: 3608 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio nel reparto di lavorazione olive con un macchinario privo dei requisiti di sicurezza

Responsabilità del datore di lavoro e del preposto di fatto

Penale Sent. Sez. 4 Num. 54009 Anno 2018

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 25/10/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di L'Aquila, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti, C.P.I. e C.S., con sentenza del 10/10/2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lanciano, emessa in data 9/6/2015, appellata dagli imputati, concessa ad entrambi la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n.6 cod. pen. equivalente alle aggravanti di cui al capo a), ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo a) in mesi 6 di reclusione ciascuno, confermando nel resto.
Il Tribunale di Lanciano, aveva dichiarato gli imputati responsabili dei seguenti reati:
a) del delitto p. e p. dall'art. 590 comma 1, 2 e 3 e 583 comma 1, lettera a) e b) cod. pen., perché:
C.P.I., quale amministratore unico (datore di lavoro) della "C. s.r.l.", sita in OMISSIS,
C.S., quale preposto di riferimento della società suindicata al controllo previsto dall'art. 19 d.lgs. n. 81/2008 (qualità risultante, tra l'altro, dal Documento Unico di valutazione dei rischi della società), consistente in una linea di produzione finalizzata alla lavorazione delle olive:
- consentivano che la lavoratrice M.E.I., addetta al reparto lavorazione olive, specificamente sulla linea di lavorazione denominata "linea 3 e/o VACUUM GV 8017”, consistente in una confezionatrice sottovuoto elettronica diretta a sigillare i diversi contenitori di plastica che scorrono sulla linea, con stampo che si muoveva in alto e in basso con una temperatura di 180°, operasse su detta linea: - in assenza del riparo di protezione per mani e braccia (riparo e relativo dispositivo di protezione, interblocco UNI EN 953), rimosso da diversi giorni essendovi problemi su quella linea di lavorazione e - manualmente, utilizzando i pulsanti che consentivano di compiere le operazioni "passo passo" non con la lavorazione a ciclo continuo in violazione delle norme di comune prudenza:
- dell'art. 71 comma 1 d.lgs. n. 81/2008 (nonché punto 1.3.7 allegato I d.lgs. 17/10, attuazione della direttiva comunitaria sulle macchine) secondo cui il datore di lavoro deve porre a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza previsti dall'art. 70, idonei ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere;
- dell'art. 71 comma 4 lettera a), punti 1 e 2, lgs. n. 81/2008 secondo cui le attrezzature di lavoro devono essere:
1) installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso;
2) oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all'articolo 70 e siano corredate, ove necessario, da apposite istruzioni: d'uso e libretto di manutenzione;
- dell'art. 18 comma 1 lettera j) lgs. n. 81/2008 secondo cui datori di lavoro e i dirigenti devono richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione;
- dell'art. 19 comma 1 lettera a) lgs. n. 81/2008 secondo cui i preposti devono sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti; così permettendo che la lavoratrice ponesse la mano destra in mezzo allo stampo/pompa, mano che veniva schiacciata dallo stampo e costretta, unitamente a parte del braccio, in mezzo allo stampo, venendo liberata dopo circa sette-otto minuti a seguito dell'intervento del tecnico della pompa e così causando alla stessa lesioni personali guarite in 204 giorni, consistite nella "frattura plu- riframmentaria scomposta del metacarpo della mano dx conferita I. c. del 1° spazio interdigitale, ustione cutanea, lesione del tendine adduttore del pollice e del muscolo interasseo, ustioni di 2° grado del terzo distale dell'avambraccio dx (aggravante ex art. 583 comma i n. 1) c.p.), con indebolimento permanente dell'organo della prensione alla mano dx (aggravante ex art. 583 comma 1 n. 2) cod. pen.).
C.P.I., nella qualità suindicata di datore di lavoro:
b) del reato p. e p. degli artt. 71 comma 1, 87, comma 1, lettera b) d.lgs. n. 81/2008 perché, con la condotta descritta al capo a), non poneva a disposizione della lavoratrice indicata al capo a) attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza previsti dall'art. 70, idonei ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere.
e) del reato p. e p. degli artt. 71 comma 1, 87, comma 1, lettera b) d.lgs. n. 81/2008 perché, con la condotta descritta al capo a), non provvedeva a che le attrezzature di lavoro fossero:
1) installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso;
2) oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all'articolo 70 e siano corredate, ove necessario, da apposite istruzioni d'uso e libretto di manutenzione reato p. e p. dagli artt. 18 comma i lettera j), 55 comma 5 lettera c) lgs. n. 81/2008 perché, con la condotta descritta al capo a), non richiedeva alla lavoratrice di cui al capo a) l'osservanza delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e dì uso dei mezzi di protezione.
C.S., nella qualità suindicata di preposto: e) dell'art.19 comma I lettera a), 56 comma 1 lettera a) d.lgs. n. 81/2008, perché, con la condotta di cui al capo a), non sovrintendeva e vigilava sulla osservanza da parte della lavoratrice sub a) del rispetto degli obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul -lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti.
In Lanciano il 26/9/2012.
Entrambi gli imputati venivano condannati: quanto al reato di cui al capo A) alla pena di mesi nove di reclusione ciascuno; quanto ai capi B), C),D) ascritti a C.P.I., riconosciuto il vincolo della continuazione fra gli stessi con riguardo al più grave reato sub B), lo stesso veniva condannato alla pena di euro 4.000,00 di ammenda; quanto al capo E) ascritto a C.S., lo stesso veniva condannato alla pena di € 600,00 di ammenda; con concessione ad entrambi del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna alle condizioni di legge.
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ciascuno con proprio atto, C.P.I. e C.S., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
- C.P.I.
a. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, prova omessa o travisata in relazione al capo A) dell'imputazione.
Il ricorrente si duole che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a ribadire le argomentazioni del Tribunale di Lanciano concordando nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della statuizione di responsabilità, senza farsi carico di motivare adeguatamente e logicamente sui motivi di impugnazione proposti, incorrendo in tal caso nel vizio di motivazione di cui all'art. 606, 1, lett. e), cod. proc. pen. Vengono richiamate sul punto Sez. 4, n. 35319 del 15/9/2008, Sez. 4 n. 15227 del 14/2/2008 e Sez. 6, n.6221 del 20/4/20005.
Il C. richiama, quindi, le censure proposte con l'atto di appello, in particolare sull'asserita abnormità del comportamento tenuto dalla dipendente infortunata, riportando le deposizioni rese dai testi. Tali deposizioni evidenziavano la possibilità di utilizzare la macchina sia in automatico che in manuale e l'avvenuta disposizione di istruzioni per lavorare in sicurezza anche in modalità manuale. La M.E.I., nonostante fosse a conoscenza della procedura idonea a sbloccare la macchina in assoluta sicurezza, non avrebbe attivato la procedura di emergenza, né richiesto l'intervento del manutentore, ma avrebbe inspiegabilmente infilato la mano destra, protetta dal guanto, all'interno della termosaldatrice, contravvenendo alle specifiche direttive impartite che prevedevano la chiamata e l'intervento del manutentore allorquando ci fosse stato un problema al macchinario. Ancora, continua il ricorrente, nei motivi di appello si precisava che tali circostanze erano confermate dalla stessa p.o. M.E.I..
I testi avrebbero confermato anche che le manovre di sicurezza erano ben conosciute dalle lavoratrici.
In relazione alla testimonianza dell'I., sulle cui dichiarazioni sarebbe stata fondata l'affermazione di responsabilità, si rileva in ricorso che, nell'atto di appello, se ne era contestata decisamente la attendibilità a fronte delle notevoli contraddizioni tra quanto dichiarato nel corso delle indagini, e quanto dichiarato in dibattimento, nonché con le dichiarazioni degli altri testi.
Il ricorrente riporta, quindi, testualmente quanto argomentato nei motivi di appello sull'invocata abnormità del comportamento del lavoratore e quanto motivato sul punto dalla corte di appello, definendo tale motivazione apodittica ed autoreferenziale, come affermato nella sentenza sez. 4 n.35319/08.
Vengono, poi richiamati i precedenti sull'interruzione del nesso causale determinato dal comportamento del lavoratore, Sez. 4 n.49821/12 e Sez. 4 25/9/1995, Dal Ponte.
b. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, prova omessa o travisata in relazione ai capi B), C), D) dell'imputazione.
Il ricorrente richiama le argomentazioni di cui al precedente motivo anche in relazione ai capi b), c), d) di imputazione afferenti le ipotesi contravvenzionali contestate che sarebbero state commesse "con la condotta descritta al capo a)".
Anche in relazione a detti capi di imputazione sussisterebbero i già lamentati vizi motivazionali.
La corte di appello avrebbe violato il principio di ragionevolezza della decisione ed il ricorrente chiede, pertanto, l'annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata.
- C.S.
a. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, prova omessa o travisata in relazione al capo A) dell'imputazione. Inosservanza o erronea applicazione di legge, errata qualificazione giuridica, preposto di fatti, del ruolo rivestito dall'imputato.
Il ricorrente articola il motivo in due parti, la prima identica, parola per parola, al primo motivo proposto dal coimputato, la seconda relativa alla ravvisata responsabilità del C.S. sulla scorta della ritenuta veste di preposto di diritto e di fatto.
In relazione alla ritenuta veste di "preposto di diritto", la corte di appello sarebbe incorsa in un evidente e decisivo travisamento della prova, recependo acriticamente la tesi del tribunale, secondo cui tale qualifica sarebbe stata contenuta nel Documento Unico di Valutazione dei Rischi Rev. del 12.10.2011 redatto dalla società. Ma, osserva il ricorrente, proprio l'analisi del Documento Unico di Valutazione dei Rischi citato, e nello specifico della Sezione II, Paragrafo 2.4 dimostrerebbe che C.S. ricopriva la posizione di semplice addetto alla produzione delle olive.
In relazione, poi, alla ritenuta posizione di "preposto di fatto", il ricorrente eccepisce l'errata qualificazione giuridica attribuita dalla sentenza impugnata laddove ha ritenuto provato tale ruolo essendo emerso dall'istruttoria dibattimentale che era il C. ad impartire le direttive agli operai ed a predisporre giornalmente gli ordini di servizio.
Ora ritiene il ricorrente che per sostenere tale attribuzione l'istruttoria avrebbe dovuto dimostrare che il C.S., formalmente assunto con le mansioni di operaio responsabile della produzione e carrellista, sovraintendesse alla complessiva attività lavorativa, sulla scorta delle direttive ricevute, controllando la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un potere di iniziativa in relazione alla funzione svolta. Ma, si rileva che di ciò non vi sarebbe traccia nell'impugnato provvedimento al di là del semplice al fatto che "era il C. ad impartire le direttive agli operai ed a predisporre giornalmente gli ordini di servizio". Ma tanto sarebbe insufficiente al fine dell'attribuzione della qualifica di "preposto di fatto" dal momento che l'attività svolta dallo stesso, rientrava a pieno titolo nelle mansioni che allo stesso incombevano quale "Responsabile di produzione".
b. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, prova omessa o travisata in relazione al capo E) dell'imputazione, inosservanza o erronea applicazione di legge in relazione al capo E) dell'Imputazione.
La sentenza impugnata avrebbe completamente omesso di motivare sulla ritenuta sussistenza del reato contravvenzionale di cui al capo e) con il quale si è contestata la condotta omissiva di cui all'art. 19, comma 1 lett. a) e 56 comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 81/2008.
Sul punto vi sarebbe una mera conferma delle statuizioni di primo grado. 
L'unico riferimento alla posizione rivestita da C.S. all'interno della azienda lo definisce quale incaricato del controllo dei lavoratori sulla sicurezza, operando in tal modo un evidente travisamento della prova.
Il ricorrente richiama le osservazioni già formulate in relazione alla ritenuta posizione di preposto di diritto e riporta i motivi di appello con cui si evidenziava l'assenza di elementi da cui desumere l'obbligo, a carico del C.S., in virtù del ruolo ricoperto nell'organizzazione aziendale, di vigilare sulla corretta osservanza delle misure di sicurezza predisposte dai vertici aziendali e di riferire ad essi sulle carenze delle misure di prevenzione riscontrate.
La corte d'appello, non solo avrebbe reiterato il travisamento della prova operato dal primo giudice ma avrebbe omesso di valutare ulteriori elementi probatori ricavabili sempre dal Documento Unico di Valutazione dei Rischi che, laddove presi in considerazione, sarebbero risultati decisivi al fine della dimostrazione della assenza di responsabilità in capo al prevenuto.
Nel paragrafo 2.2 della Sezione II del D.U..V.R. vi sarebbe l'elenco del personale nel quale si evidenzia che il C.S. ricopre la mansione di Responsabile di produzione - Carrellista.
Nel successivo Paragrafo 2.6 sono indicati gli ambiti di attività e mansioni dei lavoratori e per il ricorrente è indicata la posizione di responsabile, tra le cui mansioni è categoricamente esclusa quella di preposto alla sicurezza.
Infine, nell'organigramma aziendale per la sicurezza vi sarebbero elementi decisivi, omessi completamente dai giudici di merito, tali da escludere qualsivoglia responsabilità del C.S. che nel citato organigramma non riveste alcuna posizione; mentre viene individuato specificamente un Responsabile del Servizio Protezione e Prevenzione, nella persona del Sig. M.V., sul quale certamente ricadevano gli obblighi di garanzia di cui all'art. 19 d.lgs. n. 81/2008.
Chiede, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. I motivi sopra illustrati appaiono tutti manifestamente infondati e, pertanto, i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
2. Entrambi i ricorsi sono manifestamente inammissibile, in quanto i difensori ricorrenti, non senza evocare in larga misura, nell'interesse degli imputati, censure in fatto non proponibili in questa sede, si sono nella sostanza limitati a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che in questa sede non viene in alcun modo sottoposta ad autonoma ed argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Canna- vacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693).
Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
3. Sul primo motivo proposto dal C.P.I., fondato sulla carenza di motivazione della sentenza impugnata che si sarebbe limitata a ribadire quanto affermato dal primo giudice sull'esclusione dei profili di abnormità del comportamento del lavoratore, va ribadita la legittimità della motivazione per relationem. Inoltre, la Corte aquilana ha correttamente utilizzato i principi stabiliti da questa Corte che escludono l'abnormità del comportamento quando il lavoratore compia un'operazione rientrante nelle sue attribuzioni e nemmeno sarebbe configurabile il concorso di colpa quando le disposizioni di sicurezza dettate dal datore di lavoro siano contrarie a ogni regola di prudenza.
La Corte aquilana ha confutato, con argomentazione logica e congrua, le argomentazioni difensive oggi riproposte, volte a contrastare nel merito l'addebito di responsabilità, della possibilità di utilizzare la macchina sia in automatico che in manuale e l'avvenuta disposizione di istruzioni per lavorare in sicurezza anche in modalità manuale.
Ricordano i giudici del gravame del merito che la dinamica dell'infortunio è stata chiaramente ricostruita attraverso l'escussione della parte offesa, del teste I. e del teste di P.G., dichiarazioni attraverso le quali si è potuto compiutamente accertare che, quel giorno, la macchina, completamente automatizzata, era in manutenzione e che era stato rimosso lo sportello anteriore, che garantisce agli addetti di operare in condizioni di sicurezza, determinando la sua apertura il blocco del macchinario.
E' stato anche accertato che, nonostante la macchina non dovesse funzionare, C.S. ha disposto l’avvio della produzione per delle consegne urgenti, chiedendo al manutentore I. di avviare la macchina ed alla lavoratrice M.E.I. di procedere in manuale. E che, a seguito della rimozione del sistema di sicurezza, la lavoratrice, nel rimuovere una vaschetta di olive che si era danneggiata, ha riportato lo schiacciamento della mano tra i due stampi della macchina.
Ebbene, facendo buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, la Corte territoriale ricorda che la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa, in casi come quello che ci occupa, solo in quelle evenienze in cui sia provata l’abnormità della condotta tenuta dal lavoratore, intendendosi per abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, non essendo tale il comportamento del lavoratore che abbia comunque compiuto un'operazione rientrante oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento del lavoro attribuitogli (conferente il richiamo, ex multis, a Sez. 4 n. 23292/2011).
Ricordato anche che è pacifico, come affermato da Sez. 4 n. 36227/2014, che non è mai configurabile il concorso di colpa del lavoratore quando le disposizioni di sicurezza dettate dal datore di lavoro e non rispettate dal dipendente siano di per sé illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza, i giudici del gravame del merito rilevano come, nel caso in esame, la dipendente M.E.I. ha operato sulla macchina, su specifica disposizione dell'azienda, in condizioni di assoluta insicurezza, essendo stati rimossi i sistemi di protezione posti a tutela dell'incolumità degli addetti.
4. Quanto alle specifiche posizioni di garanzia ricoperte dagli odierni ricorrenti, ricordava già il giudice di primo grado che C.P.I. rivestiva all'epoca del fatto la qualifica di amministratore unico della ditta C. s.r.l. e dunque di datore di lavoro della lavoratrice infortunata.
Egli era, dunque, per disposizioni normative di cui al D.Lvo n. 81/2008 il principale garante dell'incolumità fisica dei propri dipendenti, essendogli fatto obbligo di valutare rischi specifici di ogni processo produttivo che si svolgeva all'interno dell'Impresa & di predisporre ogni accorgimento che la tecnica e la conoscenza mettono a sua disposizione al fine di scongiurare il pericolo di lesioni, anche esigendo dai propri dipendenti l'osservanza delle regole - generali e particolari - di diligenza prudenza e perizia nell'esecuzione delle attività loro assegnate in caso di inosservanza.
Nella fattispecie in esame, l'istruttoria dibattimentale ha dato conto che tale imputato ha consentito, essendone a conoscenza, a che la M.E.I. utilizzasse il macchinario Vacuum GV80/7 sulla "Linea 3" nonostante il pericolo derivante, dalla mancanza del dispositivo di protezione di interblocco nello sportello anteriore mobile, che anzi era stato modificato per permettere di continuare la produzione delle olive temporaneamente interrotta. E il lavoro continuava da alcuni giorni, a causa della mancanza del pezzo di ricambio, in assenza di quel dispositivo di sicurezza la cui presenza avrebbe sicuramente scongiurato l'evento dannoso in quanto deputato proprio ad impedire che il lavoratore possa operare con le mani all'interno del vano durante il movimento dello stampo/pressa ad alta temperatura.
E già il giudice di primo grado aveva correttamente evidenziato, richiamando Sez. 4 n. 3787/2015, come, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi, del rispetto dei presidi antinfortunistici, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile. Mentre nel caso in esame non si è trattato di una abnorme condotta posta in atto dal lavoratore di sua esclusiva iniziativa e/o in spregio di specifiche direttive o istruzioni ricevute dal datore di lavoro bensì l'esatto contrario, in quanto alla M.E.I. venne dato l'ordine, in quanto lavoratrice subordinata, di lavorare sulla macchina termosaldatrice della "Linea 3" pur in assenza del principale dispositivo di sicurezza, che anzi era stato appositamente bypassato per continuare la produzione.
Con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto il GM di Lanciano aveva rilevato come a nulla rilevi che alla M.E.I. fossero state indicate, dai titolari dell'azienda e soprattutto dal tecnico I., alcune cautele da adottare per operare sulla macchina pur priva dello sportello di protezione.
Tali indicazioni - era stato ritenuto- dimostrano semmai la totale indifferenza del datore di lavoro C.P.I. e del preposto P.S. per i rischi cui i propri dipendenti venivano esposti, a fronte di mere esigenze produttive tanto che, qualora fosse stata fornita la prova del dolo (diretto o eventuale) con riguardo non solo alla condotta ma anche all'evento lesivo, essi avrebbero dovuto rispondere di lesioni volontarie e non colpose.
Né assume rilievo, ai fini dell'esclusione della responsabilità la circostanza che la lavoratrice avesse di sua iniziativa inserito il braccio all' interno del vano della macchina al fine di rimuovere la vaschetta danneggiata e ripulire il piano di lavoro, in quanto - precisa la M.E.I. - quando ciò era avvenuto in passato c'era pure lo sportello della sicurezza, c'era tutto": il giorno 26.9.2012 invece lo sportello non c'era perché il dispositivo di sicurezza a interblocco era stato manomesso per ordine dei titolari, dunque la macchina poteva funzionare anche a sportello aperto o addirittura, come nell'occorso, priva dello sportello.
Le condotte sopra descritte, cui è seguita la produzione della lesione quale evento non voluto, vengono pertanto attribuite dai giudici di merito a C.P.I. (e si vedrà poi anche al figlio P.S.) in conseguenza non di una mera negligenza o imprudenza bensì - come contestato dal P.M. nel capo d'imputazione della cosciente e volontaria inosservanza delle norme di cui agli arti. 71 comma 10, in relazione all'art. 70, del D.Lvo n. 81/2008, e 71 comma 40 lettera a) punti 1 e 2 stesso decreto, nonché degli artt. 18 comma 1 lettera f) e 19 comma 10 lettera a) stesso Decreto.
In difetto di specifiche deleghe scritte e attesa la dimensione ridotta dell'impresa di cui C.P.I. era amministratore, è stato correttamente ritenuto che non valga ad escludere la sua responsabilità la circostanza che, nell'occorso, la disposizione di assegnare la M.E.I. alla "Linea 3" in manutenzione fosse stata data personalmente dal figlio C.S., ovvero che fosse quest'ultimo ad occuparsi prevalentemente del reparto di lavorazione delle olive, ove era addetta la M.E.I..
Come ricorda il giudice di primo grado, infatti, il teste I. ha riferito che entrambi erano a conoscenza del momentaneo malfunzionamento della macchina in quanto in manutenzione (tanto che nei giorni antecedenti all'infortunio era stato apposto un cartello ben visibile ai dipendenti) ma, ciò nonostante, avevano continuato a farla funzionare per non fermare la produzione.
Resta il rilievo pregnante e assorbente che la macchina è stata mantenuta in funzione nonostante fosse in manutenzione e fosse stato rimosso lo sportello anteriore che garantiva in caso di apertura il blocco del macchinario per consentire la realizzazione di produzioni urgenti.
Coerente appare, pertanto, la conclusione sulla responsabilità del datore di lavoro. 
Infine, non appare meritevole di accoglimento la doglianza in merito alla mancanza di motivazione sulla contraddittorietà delle dichiarazioni deM'I., ben potendo il provvedimento impugnato riportandosi a quanto motivato nel primo provvedimento che nel caso di specie offre un'argomentazione logica e priva di incongruenze sulla ritenuta attendibilità del teste nonostante le differenti dichiarazioni rese agli ispettori dell'ASL.
Perfettamente logica appare infatti l'interpretazione data dello stato di soggezione psicologica in cui si trovava all'epoca il teste essendo, all'epoca, ancora dipendente dell'Imputato, a differenza di quando veniva resa la deposizione in dibattimento dopo aver dato dimissioni volontarie senza che fosse intervenuto un licenziamento tale da poter far presumere l'esistenza di un risentimento nei confronti del C..
4. Parimenti manifestamente infondato appaiono anche i motivi di ricorso relativi alla posizione di C.S..
Anche in relazione alla posizione di quest'ultimo la motivazione dell'impugnato provvedimento si integra con quella resa dal primo giudice in maniera perfettamente logica e congrua.
Come ricordava il giudice di primo grado, dalle dichiarazioni rese concordemente dai testimoni escussi è emerso come egli non solo rivestisse la qualifica formale di preposto ai sensi dell'art. 19 comma 10 lettera a) del Divo n. 81/2008, incaricato di sovraintendere e controllare i lavoratori in tema di sicurezza durante l'esecuzione della prestazione lavorativa: qualifica espressamente attribuita all'imputato nel Documento Unico di Valutazione dei Rischi Rev. 1 del 12.10.2011 (cfr. Sezione II Paragrafo 2.4) redatto dalla società e acquisito agli, atti, la cui inosservanza integra gli estremi dello specifico rato contravvenzionale ascritto a C.S. al capo e) della rubrica per violazione degli artt. 19 citato e 56 comma 10 lettera a) stesso Decreto. Ma soprattutto è emerso come egli svolgesse in azienda le funzioni di "preposto di fatto" presso il reparto di confezionamento delle olive, in quanto - pur in assenza di qualsivoglia delega di funzioni, mai rilasciata in suo favore dal padre - esercitava i poteri direttivi corrispondenti a quelli dell'imprenditore in quello specifico settore della produzione. Era infatti suo compito -ricorda ancora la sentenza di primo grado- predisporre giornalmente l'ordine di servizio che affiggeva in bacheca e impartire agli operai le relative disposizioni operative, commisurate alle esigenze della produzione, oltre che ad occuparsi del controllo della qualità dei prodotti (ciò si rileva dalle testimonianze M.E.I., I. e V.). inoltre, nello specifico, era colui che aveva dato l'ordine al tecnico I. di manomettere la macchina termosaldatrice, alla quale erano stati bypassati i dispostivi di interblocco in modo da permetterne il funzionamento anche con lo sportello di protezione mancante, sulla quale era stata poi chiamata ad operare l'operaia M.E.I. il giorno dell'infortunio proprio da P.S..
Dunque, con motivazione del tutto logica e congrua, i giudici del merito hanno ritenuto sussistente una sua responsabilità diretta per l'evento lesivo, che non si sarebbe verificato qualora tali scellerate disposizioni non fossero state impartite.
Corretta appare la conclusione, con cui il ricorso in concreto non si confronta, che C.S. rivestisse in azienda la qualifica di preposto di fatto e fosse di conseguenza titolare di una propria posizione di garanzia, accanto a quella generale facente capo al padre quale datore di lavoro, a tutela dell'incolumità dei lavoratori, così da essere chiamato anch'egli a rispondere dell'infortunio occorso alla M.E.I. per la violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia: egli godeva di tutti i poteri necessari per impedire l'evento lesivo in concreto verificatosi e ben avrebbe potuto, e anzi dovuto, disporre affinché la macchina termosaldatrice non venisse utilizzata fino alla sua completa riparazione.
Ciò va ribadito in quanto l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto ossia alla sua funzione formale.
Conferente appare il richiamo operato in proposito a Sez. 4 n. 22246/2014 che ha affermato che il preposto di fatto è colui che, senza alcuna preliminare investitura da parte del datore di lavorò, espleta concretamente i poteri tipici del preposto nel senso sopra specificato, assumendo conseguentemente, in ragione del principio di effettività codificato dall'art. 299 del D.Lvo n. 81/2008, la correlata posizione di garanzia.
Essendo peraltro pacifico che la coesistenza di più garanti non vale ad escludere di per sé la responsabilità di uno di essi, avendo questa Corte di legittimità in più occasioni chiarito che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei, titolari ditale posizione (cfr. ex multis la richiamata Sez. 4 n. 18826 del 9/2/2012 in un caso in cui si è ritenuta la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).
Oltre alle dichiarazioni rese dalla parte offesa e dalle altre colleghe di lavoro V. e I., anche il tecnico della prevenzione C. ha riferito di avere avuto modo di verificare, in occasione dei sopralluoghi eseguiti successivamente all'infortunio, come C.S. non fosse addetto a una specifica attività o a una singola macchina come un comune operaio, ma "operava con il padre, girava in azienda sostanzialmente:..", in altre parole svolgeva un'attività di sovrintendenza degli altri lavoratori.
E' risultato chiaramente accertato, infatti, che il C.S., figlio del datore di lavoro, era sostanzialmente lui ad organizzare il lavoro ed impartire gli ordini, seppur formalmente inquadrato come semplice dipendente.
5. Né può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463).
6. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 54009 Anno 2018.pdf
 
766 kB 10

Circolare Inail n. 49 del 4 dicembre 2018

ID 7335 | | Visite: 3818 | News Sicurezza

Circolare Inail n  49 4 dicembre 2018

Circolare Inail n. 49 del 4 dicembre 2018

"Registro di esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni” e “Registro di esposizione ad agenti biologici”.

Chiarimenti per il settore della navigazione marittima

[...] si comunica che, a seguito di ulteriori approfondimenti, intervenuti di concerto con le Amministrazioni competenti in materia (Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), nelle more della piena attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, con l’emanazione dei prescritti decreti attuativi, è temporaneamente sospesa l’applicazione delle disposizioni di cui alla sopra citata circolare 15 maggio 2018, n. 22 con riferimento al settore della navigazione marittima.

Fonte: INAIL

______

Articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

]2. Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dei servizi di protezione civile, nonche' nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalita' istituzionali alle attivita' degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle universita', degli istituti di istruzione universitaria, delle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, delle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 1° agosto 1991, n. 266, degli uffici all'estero di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarita' organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attivita' condotte dalla Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, nonche' dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei vigili del fuoco, nonche' dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale, individuate entro e non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale nonche', relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare; analogamente si provvede per quanto riguarda gli archivi, le biblioteche e i musei solo nel caso siano sottoposti a particolari vincoli di tutela dei beni artistici storici e culturali.

Con decreti, da emanare entro cinquantacinque mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede a dettare le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento con la disciplina recata dal presente decreto della normativa relativa alle attivita' lavorative a bordo delle navi, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, in ambito portuale, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, e per il settore delle navi da pesca, di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 298
, e l'armonizzazione delle disposizioni tecniche di cui ai titoli dal II al XII del medesimo decreto con la disciplina in tema di trasporto ferroviario contenuta nella legge 26 aprile 1974, n. 191, e relativi decreti di attuazione.

...

Collegati:

Decreto 23 novembre 2018 | RTV Attività commerciali P.I.

ID 7329 | | Visite: 15823 | Prevenzione Incendi

Decreto 23 novembre 2018

Decreto 23 novembre 2018  | RTV Attività commerciali P.I.

Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attivita' commerciali, ove sia prevista la vendita e l'esposizione di beni, con superficie lorda superiore a 400 mq, comprensiva di servizi, depositi e spazi comuni coperti, ai sensi dell'articolo 15, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 - modifiche al decreto 3 agosto 2015.

(GU Serie Generale n.281 del 03-12-2018)

Entrata in vigore: 02.01.2019

Update 06 Marzo 2020

Pubblicato il Decreto 14 Febbraio 2020 sostituisce integralemnte il Decreto 23 novembre 2017 e la Sezione V.8 Attività commerciali del Codice
Aggiornamento della sezione V dell'allegato 1 al decreto 3 agosto 2015, concernente l'approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi. (GU Serie Generale n.57 del 06-03-2020).

 

______

Art. 1. Nuove norme tecniche di prevenzione incendi per le attività commerciali

1. Sono approvate le norme tecniche di prevenzione incendi per le attività commerciali di cui all’allegato 1, che costituisce parte integrante del presente decreto.

Art. 2. Campo di applicazione

1. Le norme tecniche di cui all’art. 1 si possono applicare alle attività commerciali, ove sia prevista la vendita e l’esposizione di beni, con superficie lorda superiore a 400 mq comprensiva di servizi, depositi e spazi comuni coperti di cui all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, ivi individuate con il numero 69, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto ovvero per quelle di nuova realizzazione.
2. Le norme tecniche di cui all’art. 1 si possono applicare alle attività di cui al comma 1 in alternativa alle specifiche norme tecniche di prevenzione incendi di cui al decreto del 27 luglio 2010.

Art. 3. Modifiche al decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015

1. All’allegato 1 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, nella sezione V «Regole tecniche verticali », è aggiunto il capitolo «V.8 - Attività commerciali», contenente le norme tecniche di prevenzione incendi per le attività commerciali di cui all’art. 1.
2. All’art. 1, comma 2, del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, dopo la lettera q) , è aggiunta la seguente lettera: « r) decreto del Ministro dell’interno 27 luglio 2010, recante “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle attività commerciali con superficie superiore a 400 mq”».
3. All’art. 2, comma 1, del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, dopo le parole «67, ad esclusione degli asili nido;» è inserito il numero «69;».
...

Vedi Codice di Prevenzione Incendi RTO II

Collegati:

Decreto MIT 22 novembre 2018

ID 7326 | | Visite: 3000 | News Sicurezza

Decreto 22 11 2018

Decreto MIT 22 novembre 2018 

Individuazione del percorso professionale integrativo per i possessori dei titoli nazionali per la navigazione costiera.

(GU Serie Generale n.279 del 30-11-2018)

...

Art. 1. Finalità e campo di applicazione

1. Il presente decreto individua il percorso professionale integrativo per i marittimi in possesso dei titoli per la navigazione nazionale costiera di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 30 novembre 2016 al fine di dare corretta attuazione alla direttiva 2008/106/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, come modificata dalla direttiva 2012/35/ UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012.

2. Il presente decreto si applica ai marittimi in possesso delle abilitazioni di coperta su unità adibite a navigazione costiera di cui all’art. 2, comma 1, del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 6 settembre 2011 convertiti in titoli per la navigazione nazionale costiera ai sensi dell’art. 3, comma 1, del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 30 novembre 2016.

Art. 2. Definizioni

1. Ai fini del presente decreto, si applicano le definizioni del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71.

Art. 3. Percorso professionale integrativo

1. I marittimi in possesso dei titoli per la navigazione nazionale costiera di cui all’art. 1, comma 2, per ottenere il rinnovo degli stessi e conseguire le abilitazioni di cui agli articoli 4, 5, 6 e 7 del presente decreto seguono il percorso professionale integrativo di cui agli articoli seguenti.

_____

Collegati:

Manuale sicurezza e regolarità lavoro cantieri

ID 7319 | | Visite: 3265 | Documenti Sicurezza ASL

Manuale sicurezza e regolarit  del lavoro nei cantieri

Manuale sicurezza e regolarità del lavoro nei cantieri

Le costruzioni sono un settore a rischio di infortuni gravi e mortali e nel Veneto è il secondo settore dopo l’agricoltura per numero totale di morti. Secondo i dati del PREO (Programma Regionale Epidemiologia Occupazionale) contenuti nell’ultimo rapporto sull’andamento degli infortuni mortali sul lavoro in Regione Veneto, nei cantieri sono stati registrati, nel quadriennio in corso, un totale di 158 casi di infortunio mortale di cui 26 (il 16,5%) accaduti nella sola provincia di Verona.

Sul totale degli infortuni mortali del Veneto, 32 (il 20%) si sono verificati nelle costruzioni e di questi ben 15 (il 46,8%) sono dovuti ad una caduta dall’alto, per sfondamento delle coperture, da ponteggi, impalcature o scale portatili, utilizzati in assenza di adeguate misure di prevenzione.

Altrettanto importante è la presenza di lavoro irregolare, di situazioni di elusione contributiva, rapporti di lavoro full-time denunciati come part-time e altrettanto frequente è il ricorso all’impiego di soggetti con partita IVA che mascherano rapporti di lavoro subordinati e non ultimo la presenza di lavoratori in nero che raggiunge diverse centinaia ogni anno.

Situazioni che incidono ad aggravare il fenomeno infortunistico. Ogni anno vengono controllati oltre 1.000 cantieri, quasi 2.000 imprese e lavoratori autonomi, coordinatori per la sicurezza e committenti, da parte degli enti di controllo: ULSS-SPISAL, ITL, INAIL, Polizia Municipale di Verona, INPS. Oltre settecento cantieri e circa 600 imprese sono, inoltre, oggetto di visita da parte dei Tecnici della sicurezza di ESEV-CPT, il Centro paritetico per la Formazione la Sicurezza e i Servizi al lavoro di Verona.

Ancora oggi il 25% dei cantieri controllati presentano situazioni di rischio di infortunio perché mancano le misure di protezione, quelle stesse che danno poi origine ai casi di infortunio che accadono.

In provincia di Verona esiste, da più di un decennio, un coordinamento fra gli Enti e Parti sociali, nato come tavolo in Prefettura sulla spinta delle forze sindacali, confluito poi nel Comitato provinciale di coordinamento dell’ULSS 9 Scaligera, impegnato a coordinare e potenziare le attività di prevenzione, con strategie di vigilanza e promozione della salute rivolte in particolare al settore delle costruzioni.

Un impegno che continua e che lo scorso anno la Prefettura ha voluto rinnovare promuovendo un confronto su argomenti di vivo interesse e che stanno alla base delle situazioni di pericolo di sicurezza e di illegalità del lavoro nei cantieri e che aggravano il fenomeno degli infortuni e di lavoro irregolare e nero, creando un mercato parallelo a svantaggio delle imprese che lavorano nel rispetto della legge.

Gli enti e le associazioni, gli ordini e i collegi professionali si sono trovati intorno ad un tavolo, 3 gruppi con n° 6 partecipanti, hanno discusso e affrontato gli aspetti tecnici, giuridici e la conclusione dei lavori ha prodotto un manuale, suddiviso in tre parti:

1. Sicurezza e salute nei cantieri.
2. Regolarità dei rapporti di lavoro.
3. Committente di opere edili.

Questo lavoro non ha la pretesa di essere esaustivo di tutti i problemi presenti nei cantieri o essere una lista delle misure o delle regole di prevenzione ma cerca di soddisfare e dare delle risposte a quelle che sono le domande che più spesso vengono rivolte e le situazioni critiche che più frequentemente si rilevano nei cantieri, sia sotto il profilo della sicurezza che della regolarità dei rapporti di lavoro. Durante lo sviluppo dei lavori si è creato un collegamento fra i presenti, un confronto, uno scambio di esperienze e di studio che ha dato a questo manuale un valore aggiunto di conoscenza non solo per le imprese, per le figure della prevenzione, quali il coordinatore per la sicurezza e il committente ma anche per gli enti stessi di vigilanza.

AUSL 9 VE
INAIL 2018

Collegati

Lavoratori disabili

ID 7309 | | Visite: 8258 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Disabilit  e lavoro gestione emergenze

Lavoratori disabili

Disabilità e lavoro: la gestione delle emergenze

Parte I
Parte II

Sulla gestione dell’emergenza per i lavoratori disabili, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile del Ministero dell’Interno - a supporto del datore di lavoro e del responsabile del servizio prevenzione e protezione - ha pubblicato un manuale e circolari specifiche che riportano indicazioni operative che tengono conto dei deficit funzionali presenti, favorendo così l’ottimizzazione del processo gestionale attraverso un approccio integrato di soluzioni.

L’obbligo di valutazione dei rischi previsto all’art. 17 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. è ulteriormente rafforzato dall’art. 28 – oggetto della valutazione dei rischi – laddove si prevede che essa deve riguardare “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari…”.

I lavoratori portatori di disabilità ben rientrano nella categoria di coloro che sono esposti a tali rischi particolari e pertanto anche nella gestione delle emergenze si deve tener conto di ciò. In materia, successivamente alla pubblicazione del D.M. 10/03/1998, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile del Ministero dell’Interno ha emanato la Circolare n. 4 del 01/03/2002 che contiene indicazioni risolutive a garanzia della migliore gestione delle emergenze in presenza di lavoratori con disabilità. Altro strumento VVF forma check list è stato pubblicato nel 2006 con la Lettera Circolare prot. n. P880/4122 sott. 54/3C del 18 agosto 2006 “La sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro ove siano presenti persone disabili: strumento di verifica e controllo (check-list)”.

Vedi anche la sezione: Prevenzione Incendi e disabilità

INAIL
________

Garantire la salute e la sicurezza per i lavoratori disabili

Le persone con disabilità dovrebbero godere di un trattamento equo sul lavoro e quindi anche in materia di salute e sicurezza. La salute e la sicurezza non devono diventare una scusa per non assumere o per continuare a non assumere persone disabili. Inoltre, un luogo di lavoro che è accessibile e sicuro per i disabili è a maggior ragione più sicuro e più accessibile per tutti i dipendenti, clienti e visitatori. Le persone con disabilità sono coperte tanto dalla legislazione europea contro la discriminazione quanto da quella concernente la salute e la sicurezza sul lavoro. Tale legislazione, che gli Stati membri recepiscono nella legislazione e negli ordinamenti nazionali, dovrebbe essere applicata per facilitare l’occupazione di persone con disabilità e non per escluderle.

EU OSHA

Collegati

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 51457 | 14 Novembre 2018

ID 7281 | | Visite: 2389 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Lavori di demolizione dell'amianto in difetto di iscrizione all'albo degli smaltitori

Penale Sent. Sez. 3 Num. 51457 Anno 2018

Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ZUNICA FABIO
Data Udienza: 18/06/2018

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 19 febbraio 2016, il Tribunale di Firenze condannava A.P. alla pena di € 3.000 di ammenda, siccome colpevole della contravvenzione di cui agli art. 256 comma 1 e 262 comma 2 sub a) del d. Lgs. n. 81/2008, per aver eseguito, presso il condominio in Firenze di OMISSIS, quale titolare della ditta Leo Ambiente, lavori di demolizione o rimozione dell'amianto, in difetto dell'apposita iscrizione all'albo degli smaltitori, fatto accertato in Firenze il 2 dicembre 2011.
2. Avverso la sentenza del Tribunale fiorentino, A.P., tramite il difensore, ha proposto appello, poi convertito dalla Corte territoriale in ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa invoca l'assoluzione dell'imputato dal reato ascrittogli, quantomeno ai sensi dell'art. 530 c.p.p., osservando che l'impresa di A.P., a seguito della stipula di contratto di appalto con la Ediltermo s.n.c., aveva eseguito soltanto dei lavori preparatori, per i quali non sarebbe stata necessaria l'iscrizione all'albo degli smaltitori, mentre i lavori di rimozione sarebbero stati eseguiti da altra impresa, che l'istruttoria non aveva accertato quale fosse, non potendo l'identificazione di tale impresa con la Leo Ambiente ricavarsi dall'emissione di una semplice fattura di acconto; in ogni caso, aggiunge la difesa, a prescindere dalla mancata iscrizione della Leo Ambiente nell'albo degli smaltitori, A.P. possedeva le specifiche competenze tecniche, essendo stato socio della Ecocoperture Edili, che operava nel campo dello smaltimento dell'amianto, tanto è vero che i lavori sono stati svolti correttamente, sicché sussisteva almeno la buona fede dell'imputato, non potendo la mancanza dei requisiti soggettivi richiesti dalla norma intendersi in modo solo formalistico.
Con il secondo motivo, la difesa invoca l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen., evidenziando che la ditta del ricorrente si era limitata all'esecuzione di lavori esclusivamente preparatori e che A.P. aveva creduto erroneamente che fosse sufficiente a tal fine l'essere socio di una società iscritta all'albo, effettuando i lavori in modo corretto, venendo in rilievo comunque violazioni meramente formali.
Con il terzo motivo, infine, viene sollecitata la determinazione della pena nel minimo edittale (ovvero € 2.740 di ammenda) e la concessione delle attenuanti generiche e dei benefici di legge, stante la modestia del fatto.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che il giudizio sulla colpevolezza dell'imputato non presta il fianco alle censure difensive.
Il Tribunale infatti, ha innanzitutto ricostruito la vicenda oggetto di giudizio in maniera puntuale, richiamando i documenti acquisiti (tra cui la fattura n. 5 del 21 novembre 2011 avente come causale l'acconto per i lavori di rimozione e bonifica di copertura in eternit) e la deposizione del teste F.C., funzionario dell'Asl 10 di Firenze, da cui era emerso che la ditta Leo Ambiente, di cui A.P. era titolare, aveva eseguito presso il condominio di via dell'Omissis, ai numeri civici 135-9 e 10, come rivelato anche dalla fattura dì acconto acquisita al fascicolo processuale, lavori di demolizione e rimozione dell'amianto, pur senza essere iscritta nell'albo degli smaltitori, non essendo peraltro tale impresa iscritta nemmeno alla Camera di commercio.
Nel corso delle indagini, invero, A.P. produceva soltanto documentazione attestante l'iscrizione all'albo di altra ditta, la Ecocoperture edili di C.A., di cui assumeva di essere socio; ditta che, secondo quanto accertato dal funzionario dell'Asl di Firenze, aveva presentato un'istanza di rinnovo dell'autorizzazione allo smaltimento, che però non era stata ancora rilasciata.
Alla stregua di tale ricostruzione fattuale, invero non contestata, correttamente è stata ritenuta la configurabilità della fattispecie oggetto di imputazione, risultando generiche e meramente assertive le doglianze difensive sul punto.
Non risulta infatti chiaro in cosa siano consistiti i "lavori preparatori" che la ditta dell'imputato si sarebbe limitata a eseguire, dovendosi precisare, per il resto,che a essere contestata non è la correttezza o meno dei lavori, ma la diversa circostanza che le operazioni di smaltimento dell'amianto sono state eseguite da ditta non autorizzata, risultando del tutto ininfluente, nella prospettiva dell'elemento soggettivo, qualificabile anche in termini di colpa, il fatto che il ricorrente sia stato socio di altra ditta, estranea ai fatti, che operava nel settore dello smaltimento, senza peraltro aver conseguito il rinnovo dell'autorizzazione.
Il giudizio sulla sussistenza del reato dal punto di vista oggettivo e soggettivo, in quanto saldamente ancorato alle risultanze istruttorie e sorretto da considerazioni coerenti e logiche, risulta dunque senz'altro immune da censure.
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ed invero il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. è stato giustificato dal Tribunale sia in ragione degli interessi tutelati dalle norme violate, che attengono alla sicurezza del lavoro, sia alla luce del comportamento tenuto dal ricorrente, sottrattosi ripetutamente, sin dall'avvio del procedimento in sede amministrativa, alle conseguenze della sua condotta, pretendendo di dimostrarne la legittimità mediante l'iscrizione di altra società. Orbene, a fronte di un apparato argomentativo razionale, le censure difensive sono destinate a rimanere sullo sfondo, prospettando alternativi criteri di valutazione del fatto che tuttavia non smentiscono le considerazioni del Tribunale, di per sé idonee a giustificare, soprattutto attraverso il riferimento al comportamento tenuto dall'imputato, la non operatività dell'istituto invocato.
3. Venendo infine al terzo motivo di ricorso, deve parimenti escludersi che, anche rispetto al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede, dovendosi innanzitutto rilevare che, venendo in rilievo un reato punito con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, il Tribunale ha optato per quest'ultima, applicando peraltro la pena pecuniaria in misura molto più vicina al minimo che al massimo edittale.
Il diniego delle attenuanti generiche e dei benefici di legge è stato poi motivato, oltre che con l'assenza di elementi suscettibili di positiva considerazione, anche con il richiamo alla personalità dell'imputato, il quale annovera a suo carico altre due condanne, una delle quali per fatti analoghi a quelli di causa, avendo peraltro già fruito in passato della sospensione condizionale della pena.
Le argomentazioni del Tribunale, in quanto prive di elementi di illogicità, resistono dunque alle censure difensive, prospettate peraltro in termini generici.
4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/06/2018

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Penale Sent. Sez. 3 Num. 51457 Anno 2018.pdf
 
185 kB 4

Documento Valutazione Rischio Atmosfere Esplosive: Modello conforme a CEI 31-35

ID 891 | | Visite: 36027 | Documenti Riservati Sicurezza



ATEX: Documento di Zonizzazione e Valutazione Rischio Atmosfere Esplosive 

ID 891 | 25.11.2016

Decreto Legislativo 9 Aprile 2008, n. 81 Titolo XI - Protezione da Atmosfere Esplosive

Relazione tecnica di classificazione dei luoghi con pericolo d’esplosione per la presenza di gas, vapori o nebbie infiammabili 

La presente Relazione di Valutazione del Rischio Atmosfere Esplosive è strutturata in accordo con la Guida CEI 31-35 Appendice GD che fornisce un esempio di Relazione tecnica e di Planimetria di classificazione dei luoghi con pericolo d’esplosione per la presenza di gas, vapori o nebbie infiammabili.

EN 60079-10-1 Atmosfere esplosive - Parte 10-1: Classificazione dei luoghi. Atmosfere esplosive per la presenza di gas

Guida CEI 31-35 2012 Atmosfere esplosive
Guida alla classificazione dei luoghi con pericolo di esplosione per la presenza di gas in applicazione Norma CEI EN 60079-10-1

I contenuti della presente Relazione non devono essere applicati in modo acritico, ma correlati alla situazione reale che si presenta caso per caso.

La stesura della relazione conforme alla Guida CEI 31-35 è Stato di Buona Tecnica per il rispetto di quanto previsto sulla Valutazione dei Rischi in applicazione del Testo Unico Sicurezza D. Lgs. 81/2008 - Titolo XI Protezione Atmosfere Esplosive.

Attenzione!

Abrogata la Guida CEI 31-35:2012 e Variante V1:2014 in data 14 ottobre 2018

La Guida CEI 31-35 è abrogata dal 14 ottobre 2018 in quanto la Norma di riferimento CEI EN 60079-10-1:2010-01 (CEI 31-87) è superata da edizione successiva.

Verificare su nuova Guida quando pubblicata

Vedi

Formato doc 
Elaborato Certifico Sr.l. sulla Guida CEI 31-35 Appendice GD

Anno 2014

Maggiori Info e acquisto Documento

Documento compreso nel Servizio di Abbonamento Sicurezza

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato CEI Linea guida ATEX 60079-10-1-2 Appendice GD.pdf
CEI 31-35 - Appendice GD
127 kB 1143
Allegato riservato Documento Valutazione Rischio ATEX 2014 - Guida CEI 31-35.zip
Guida CEI 31-35 Appendice GD
629 kB 742

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 56952 | 18 Dicembre 2018

ID 7428 | | Visite: 2920 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Esalazioni di acido solfidrico all'interno della cisterna di raccolta acqua piovana

Morte di due lavoratori - Carenze organizzative e mancanza di formazione

Penale Sent. Sez. 4 Num. 56952 Anno 2018
Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 23/10/2018

Fatto 

1. Con sentenza del 10.10.2017 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza emessa dal GUP di Bari in sede di giudizio abbreviato, per quanto qui interessa, ha assolto M.R. dal reato di omicidio colposo in danno dei lavoratori G.P. e B.A., per non aver commesso il fatto; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di D.T. in ordine alle contravvenzioni a lui contestate perché estinte per prescrizione, rideterminando la pena nei suoi confronti in mesi 10 e giorni 20 di reclusione; per il resto, ha confermato la declaratoria di penale responsabilità del D.T. in ordine al predetto reato di omicidio colposo.
1.1. I due lavoratori deceduti erano dipendenti del D.T., titolare dell'omonima ditta che nell'occorso agiva quale subappaltatrice della S.p.a. Italiana Costruzioni, che aveva in appalto lavori per conto della committente S.p.a. Casa Olearia Italiana per la manutenzione, fra le altre cose, di cisterne e vasche per la raccolta di acque meteoriche. Nell'ambito di tale rapporto, che durava da diversi anni, i due lavoratori avevano ricevuto disposizioni da O.D., cognato dell'amministratore unico della ditta Casa Olearia Italiana S.p.a., L.M., di eseguire lavori per rendere nuovamente fungibile una cisterna per la raccolta delle acque piovane sita presso la sede della ditta stessa. Qualche giorno dopo, il 18.8.2006, il G.P. e l'B.A. si recavano, di propria iniziativa, presso tale ditta per portare a compimento l'operazione richiesta, senza che nessuno li vedesse o ne fosse a conoscenza; si addentravano nella cisterna e, a causa delle esalazioni di acido solfidrico, perdevano la vita per anossia cerebrale.
1.2. La Corte di appello, riconosciuta l'assoluta imprudenza nell'occorso delle due vittime, non avendo costoro adottato le opportune cautele, munendosi di adeguati dispositivi di protezione (imbracatura, mascherine e bombole d'ossigeno), pur rinvenute nel luogo del sinistro, ha escluso che tale comportamento dei due dipendenti assumesse valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, trattandosi di operazione rientrante a pieno titolo nelle loro mansioni, e quindi non anomala né esorbitante o imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere.
1.3. Pertanto, conformemente con quanto stabilito dal primo giudice, ha ritenuto il D.T. responsabile dell'evento mortale, poiché costui, in qualità di datore di lavoro, «aveva l'obbligo di vigilare sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza e sulla conformità della condotta dei dipendenti alle regole di cautela»’, ha aggiunto che la mancata conoscenza, da parte del D.T., di tale intervento non ne escludeva la responsabilità, in quanto ciò era indicativo di una notevole disorganizzazione nella gestione dell'attività lavorativa, in buona parte affidata al G.P., che normalmente comunicava con i L.M. per conto del D.T..
1.4. La Corte di merito ha invece ribaltato in assoluzione il giudizio di condanna del primo giudice nei confronti di M.R., designato quale RSPP dalla Casa Olearia S.p.a. Al riguardo ha ritenuto che al prevenuto non fosse addebitabile alcuna violazione degli obblighi su di lui incombenti di analisi dei rischi delle attività aziendali e di compiuta informativa dei medesimi nei confronti del datore di lavoro e dei lavoratori, con particolare riguardo ai rischi connessi ai lavori svolti in vasche e cisterne.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, la parte civile M.A. e altri nonché l'imputato D.T..
3. Il ricorso del Procuratore generale impugna la pronuncia assolutoria nei confronti di M.R., lamentando vizio di motivazione.
Deduce che la Corte di appello ha assolto il M.R. inopinatamente e senza motivazioni idonee a giustificare la riforma della sentenza di condanna di primo grado, senza delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e omettendo di confutare in modo specifico e compiuto i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza. Nel caso di specie, invece, il giudice di appello si sarebbe limitato ad una affermazione "fideistica" sull'avere il M.R. posto in essere quanto a lui richiesto in tema di prevenzione e protezione.
4. Il ricorso della parte civile M.A. e altri, condividendo le censure del Procuratore generale, lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata, ritenendo che la stessa non consenta di individuare i passaggi logico-giuridici attraverso i quali la Corte di merito abbia ritenuto accertati i presupposti di fatto sui quali si basa l'assoluzione dell'imputato M.R., quando le emergenze probatorie conducono gli esiti del giudizio in senso diametralmente opposto.
Assume che non corrisponde al vero che il M.R. abbia predisposto un articolato piano di prevenzione rispetto agli operai della ditta D.T. che operavano in regime di appalto nella stabilimento della ditta appaltante. I due lavoratori deceduti erano operai edili non specializzati privi di apposite conoscenze e qualifiche. Denuncia la colposa disorganizzazione del M.R. che non aveva predisposto un adeguato servizio di vigilanza ed informazione presso la ditta nel periodo feriale. Nessuno si era preso cura di attenzionare gli operai dei rischi insiti nel calarsi nel tombino. 
Lamenta, inoltre, che la natura simmetrica del processo penale impone al giudice di secondo grado che desideri procedere al ribaltamento della decisione assunta dal giudice di primo grado, sulla base di una opposta valutazione delle prove dichiarative, di procedere alla rinnovazione di tali prove, rinnovazione che nel caso in disamina non risulta effettuata.
5. Il ricorso dell'imputato D.T. lamenta quanto segue.
5.1. Con il primo motivo, denuncia vizio di motivazione in relazione alla mancata quantificazione/valutazione del concorso di colpa delle vittime nel verificarsi dell'incidente sul lavoro, pur incontrovertibilmente riconosciuto in sentenza, anche a fini di mera quantificazione della pena ai sensi dell'art. 114 cod. pen.
5.2. Con il secondo motivo, denuncia contraddittorietà della motivazione nella valutazione della responsabilità del ricorrente rispetto a quella del coimputato M.R..
Osserva che la sentenza ha stabilito che al M.R., quale RSPP della ditta Casa Olearia, non è addebitabile la mancata analisi del rischio connesso alla lavorazione e la carente informativa dei lavoratori stessi rispetto al medesimo. Pertanto nel caso di specie era stata effettuata adeguata analisi del rischio connesso alla manutenzione delle vasche ed erogata adeguata informativa ai lavoratori stessi del rischio in questione. La Corte territoriale ha parimenti accertato che il D.T. non era stato avvertito né del lavoro da eseguire, né della decisione dei due operai di portarsi sul cantiere per eseguire il lavoro, visto che quel giorno era prevista una diversa attività (scarico di una nave nel porto di Monopoli), poi annullata. Anche per il D.T. il cantiere di Casa Olearia era chiuso per ferie. Pertanto l'affermazione di penale responsabilità del D.T. risulta in contraddizione logica con l'affermazione secondo cui il M.R. aveva approntato idonea "procedura operativa per la pulizia di serbatoi e vasche fuori terra e interrate".
Deduce la illogicità dell'affermazione di responsabilità del D.T. per colpa in materia di sicurezza sul lavoro con riferimento ad un compito dallo stesso non organizzato, non demandato a chicchessia e di cui non era addirittura a conoscenza.
Contesta, inoltre, l'argomentazione della Corte barese secondo cui la responsabilità del ricorrente si fonderebbe anche sulla «notevole disorganizzazione nella gestione dell'attività lavorativa, la quale era affidata in buona parte al G.P.» il quale «addirittura, si occupava della formazione dei lavoratori della ditta in ordine ai rischi lavorativi». In proposito osserva che la legge impone soltanto un obbligo di erogazione della formazione utile alla sicurezza dei propri dipendenti, mentre non regolamenta le specifiche modalità di somministrazione di tale attività formativa.
5.3. Con il terzo motivo, denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 589 cod. pen. e all'art. 28 d.lgs. n. 81/2008.
Deduce che la Corte di appello, per giustificare il suo immotivato approdo colpevolista, muove sull'aspetto dell'obbligo di informazione nei confronti dei lavoratori in una critica tanto generica, quanto imperscrutabile alle modalità di somministrazione di tale obbligo, di cui però (contraddittoriamente ed illogicamente) dà in concreto atto del relativo adempimento da parte del datore di lavoro. In punto di diritto osserva, però, che il legislatore ha preferito non codificare le forme di somministrazione delle informazioni obbligatorie da parte del datore di lavoro ai suoi dipendenti: l'importante, secondo l'art. 36 d.lgs. n. 81/2008, è che il contenuto dell'informazione sia "facilmente comprensibile per i lavoratori" e raggiunga lo scopo di "consentire loro di acquisire le relative conoscenze". La sentenza impugnata non ha accertato l'inadeguatezza della formazione dei lavoratori deceduti; al contrario, mandando assolto il M.R., ha statuito esattamente l'opposto. Del resto, solo il lavoratore che conosce i pericoli cui è esposto, può correttamente prendersi cura di sé medesimo e dei compagni, come previsto dall'art. 20 del Testo Unico. Né può richiedersi al datore di lavoro un obbligo di controllo "fino alla pedanteria" di quello che fa il lavoratore, soprattutto se, come nel caso, il ricorrente non era stato nemmeno informato della lavorazione. L'obbligo di informazione, formazione ed addestramento va evaso proprio perché del lavoratore bisognerà, poi, potersi fidare. Quanto più il lavoratore sarà messo in grado di gestire autonomamente il rischio, tanto più il datore di lavoro vedrà limitata la propria responsabilità. Nel caso in disamina, il rischio affrontato era ben noto ai lavoratori, i quali erano consapevoli delle misure di sicurezza da adottare attraverso strumenti idonei messi a disposizione dei lavoratori (ma colpevolmente non utilizzati dagli stessi).
Il vizio di fondo della sentenza impugnata, sulla scorta di quanto precede, è quello di non avere valorizzato la condotta imprudente degli operai deceduti quale causa sopravvenuta sufficiente di per sé sola a determinare il tragico evento, avendo la stessa innescato un rischio nuovo ed incommensurabile.
Ritiene, in ogni caso, che non possa individuarsi alcuna colpa nella condotta del datore di lavoro, il quale non ha commesso alcuna azione o omissione violativa di regole cautelari, eziologicamente ricollegabile all'evento mortale.
5.4. Con il quarto motivo, denuncia la carenza di motivazione in ordine all'accertamento del nesso causale tra omissione ed evento, con particolare riguardo al giudizio di prevedibilità in concreto dell'incidente mortale da parte del datore di lavoro. 
6. Sono state depositate note difensive da parte del difensore di M.R., con le quali, nel ritenere accertata, sulla base della ricostruzione dei fatti, l'interruzione del nesso di causalità fra le condotte contestate e l'evento, riscontra l'aspecificità e manifesta infondatezza dei ricorsi proposti dal Procuratore generale territoriale e dalle parti civili, di cui invoca l'inammissibilità.

Diritto

1. I ricorsi del Procuratore generale e della parti civili sono infondati e vanno, quindi, rigettati.
1.1. Si tratta di ricorsi i cui motivi sono ai limiti della inammissibilità, in quanto prospettano, in prevalenza, generiche censure di merito, essendo accomunati dal fatto che essi contestano a vario titolo la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale in relazione alla posizione di responsabilità del M.R. con riferimento all'incidente mortale in disamina.
Giova qui ribadire che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità «deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali» (in tal senso, ex plurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945). La Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica deM'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).
1.2. Nel caso in disamina, con specifico riferimento alla posizione del M.R., la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato in ordine alla esclusione di responsabilità del medesimo, accertando che costui aveva stilato idonea documentazione nella quale si dava atto dei rischi connessi ai lavori svolti in vasche e cisterne, ed inoltre aveva messo a disposizione dei dipendenti i necessari dispositivi di protezione utili allo svolgimento delle predette mansioni, garantendo la salubrità dei luoghi di lavoro.
In tal modo, il giudice di appello ha riscontrato l'assenza di specifiche omissioni colpose addebitabili al M.R., in linea con l'insegnamento di questa Corte secondo cui il responsabile del servizio di prevenzione e protezione risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, solo degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il secondo ad omettere l'adozione di misure prevenzionali doverose (Sez. 4, n. 2814 del 21/12/2010 - dep. 27/01/2011, Di Mascio, Rv. 24962601). Nulla di tutto questo è stato riscontrato dalla Corte territoriale, e le opposte considerazioni dei ricorrenti, secondo cui le emergenze probatorie condurrebbero gli esiti del giudizio in senso diametralmente opposto, pretendono di ottenere dalla Corte di cassazione una rivalutazione dei dati probatori finalizzata ad una diversa ed alternativa ricostruzione dei fatti che non è consentita in sede di legittimità, a fronte di una motivazione che non può dirsi affetta da incoerenza o da manifesta illogicità.
1.3. Per il resto, le doglianze dei ricorrenti in ordine a presunti vizi motivazionali da cui sarebbe affetta la sentenza impugnata sono generiche ed inconsistenti, posto che neanche vengono indicati quali sarebbero i punti decisivi o rilevanti che non sarebbero stati compiutamente affrontati dal giudice di appello rispetto alle argomentazioni della sentenza di primo grado, al di là dell'asserita gestione "familiare" della ditta presso cui il M.R. prestava servizio, dato che di per sé solo appare neutro rispetto al più ampio tema della sussistenza di specifiche omissioni addebitabili al M.R..
1.4. Non sono poi fondate le censure articolate dalle parti civili in merito all'obbligo da parte del giudice di appello, prima di decidere in senso assolutorio, di procedere alla rinnovazione istruttoria delle prove dichiarative. 
Al riguardo è stato ormai definitivamente affermato il principio secondo cui il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 27243001). L'autorevole consesso ha chiarito che il principio della presunzione di non colpevolezza svolge un fondamentale ruolo di riequilibrio dell'ordine processuale, poiché, mentre il pubblico ministero è tenuto a provare i fatti costitutivi di un reato "al di là di ogni ragionevole dubbio", per l'imputato è sufficiente insinuare il dubbio circa l'esistenza di elementi negativi a discarico o impeditivi ai fini dell'accertamento della sua responsabilità. Ne discende che il sistema del processo penale - contrariamente a quanto affermato in ricorso - non presenta affatto un'architettura simmetrica, rilevando in tale prospettiva le implicazioni sottese alle regole di applicazione del principio posto dall'art. 27, secondo comma, Cost., con il corrispondente quadro normativo ordinario delineato negli artt. 530, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen. L'asimmetricità del sistema è conseguenza proprio delle regole di giudizio di cui ai predetti articoli, che impongono la condanna solo se la colpevolezza dell'imputato è provata «al di là di ogni ragionevole dubbio», mentre l'assoluzione può (e deve) essere pronunciata «anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile». La necessità di rinnovazione istruttoria delle prove dichiarative decisive - anche in caso di giudizio abbreviato - serve a vincere il ragionevole dubbio; dubbio rappresentato, appunto, da una precedente sentenza di assoluzione. L'assoluzione dopo una condanna, invece, non deve superare alcun dubbio, perché è la condanna che deve intervenire al di là di ogni ragionevole dubbio, non certo l'assoluzione (giusta la regola di cui all'art. 530, comma 2, cod. proc. pen.).
2. Anche il ricorso del D.T. è infondato e meritevole di rigetto.
2.1. Quanto al primo motivo, è appena il caso di rilevare che la questione del concorso di colpa della vittima non è stata specificamente dedotta nell'atto di appello, pertanto la stessa non può essere esaminata in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 27120 del 05/03/2015, Ottonello e altro). 
2.2. Quanto al secondo motivo, si osserva che non è dato riscontrare alcuna contraddittorietà nel percorso argomentativo della sentenza impugnata in ordine alla valutazione della responsabilità del ricorrente rispetto a quella del M.R..
In primo luogo, non possono ritenersi equivalenti le posizioni di responsabilità del D.T. e del M.R. rispetto all'Infortunio mortale in esame, che ha riguardato due dipendenti del D.T., mentre il M.R. era responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) di una ditta diversa rispetto a quella del D.T..
E' infatti evidente che laddove la Corte di appello addebita al D.T. profili colposi che attengono, essenzialmente, alla riscontrata disorganizzazione aziendale della ditta in cui operavano i lavoratori deceduti, viene in rilievo la specifica posizione del D.T. quale datore di lavoro, in alcun modo equiparabile, sotto il profilo degli obblighi riconducibili a tale posizione di garanzia, con quella del M.R. quale RSPP di una ditta diversa.
Sotto un diverso, ma connesso, profilo, il riscontrato deficit di formazione dei lavoratori deceduti, cui si accenna anche nella sentenza di primo grado, non può che essere imputato al datore di lavoro - e non certo allo RSPP di un'altra azienda - avuto riguardo al ruolo centrale di tale figura nel sistema prevenzionistico, quale primo destinatario del generale obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 cod. civ., in quanto garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21 ottobre 2014, Ottino, Rv. 26320001); e fra i numerosi obblighi a suo carico in tale ambito, è sempre sul datore di lavoro che grava il fondamentale obbligo di formazione ed informazione dei lavoratori (Sez. 4, n. 39765 del 19 maggio 2015, Vallani, Rv. 26517801; Sez. 4, n. 21242 del 12 febbraio 2014, Nogherot, Rv. 25921901).
La circostanza che il D.T. non fosse stato avvertito del lavoro da eseguire da parte dei suoi due dipendenti, è stata adeguatamente considerata nella sentenza impugnata, che in maniera congrua e razionale, oltre che corretta in diritto, ne ha inferito che ciò non esonerava il D.T. dagli obblighi a lui attribuiti ex lege, denotando anzi proprio tale circostanza una notevole disorganizzazione nella gestione dell'attività lavorativa, nonostante i doveri incombenti sul datore di lavoro di organizzare in maniera tecnicamente adeguata l'attività lavorativa dei dipendenti in maniera tale da assicurarne la sicurezza, anche in presenza di comportamenti colposi degli stessi; cui sono ricollegabili gli ulteriori doveri, sempre incombenti sul datore di lavoro, di prevenzione informativa e formativa del personale nonché di necessaria vigilanza e controllo sull'operato dei propri subordinati.
Il datore di lavoro non può invocare a propria scusa il principio di affidamento, assumendo che l’attività del lavoratore era imprevedibile, essendo ciò doppiamente erroneo, da un lato in quanto l'operatività del detto principio riguarda i fatti prevedibili e dall'altro atteso che esso comunque non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia, come certamente è quella del datore di lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A, Rv. 21499701).
L'addebito che viene mosso al D.T., sulla base di una valutazione del compendio probatorio e di un iter motivazionale che non è sindacabile in questa sede in quanto non affetto da incongruenza o manifesta illogicità, è essenzialmente quello di avere approntato un sistema di sicurezza aziendale che presentava delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/04/2015, Palazzolo).
Del resto, proprio dalle accertate modalità con le quali si è verificato l'infortunio mortale in disamina, sono state desunte le carenze organizzative ed il deficit di formazione dei lavoratori, imputabili al datore di lavoro D.T., tenuto conto della riscontrata imprudenza con la quale il G.P. e l'B.A. hanno posto in essere l'attività rivelatasi fatale, calandosi nella cisterna senza munirsi degli adeguati dispositivi di protezione (imbracatura, mascherine e bombole d'ossigeno). In tale ottica va letta l'affermazione della Corte di appello in ordine al deficit organizzativo e di formazione addebitabile al D.T., essendo stato accertato che tali aspetti - fondamentali in materia di sicurezza - erano stati informalmente delegati proprio al G.P., rivelando così la palese ed indebita sottrazione del D.T. agli obblighi prevenzionistici su di lui specificamente incombenti ai sensi di legge.
In definitiva, la sentenza impugnata ha esaurientemente argomentato in ordine alle omissioni colpose imputabili al D.T., cui viene, fondamentalmente, rimproverato di avere indebitamente "lasciato a loro stessi" il G.P. e l'B.A. nello svolgimento di una attività lavorativa pericolosa, disinteressandosi dei profili di organizzazione aziendale e di necessaria formazione dei dipendenti sotto il profilo della sicurezza prevenzionistica.
2.3. Il terzo motivo è parimenti infondato, per le stesse ragioni che sono già state dianzi rappresentate.
L'inadeguatezza della formazione dei lavoratori da parte del D.T. è stata desunta, con motivazione logica e insindacabile in questa sede, proprio a ragione delle modalità di verificazione dell'incidente lavorativo, particolarmente indicativo di un deficit di formazione dei lavoratori. Il datore di lavoro, per quanto consta dalla sentenza impugnata, non ha adempiuto all'obbligo di legge su di lui direttamente incombente di somministrare ai suoi dipendenti adeguata informazione sui rischi generali e specifici per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività dell'impresa ed in relazione all'attività svolta, ai sensi dell'art. 36 d.lgs. n. 81/2008.
Le sentenze di merito hanno concordemente e correttamente evidenziato come il comportamento dei lavoratori non possa essere qualificabile come anomalo o imprevedibile, così da escludere la responsabilità del datore di lavoro, posto che il G.P. e l'B.A. hanno posto in essere un'operazione sicuramente rientrante nelle mansioni loro delegate. Non vi è, perciò, spazio - diversamente da quanto asserito dal ricorrente - per valorizzare la condotta imprudente degli operai deceduti quale causa sopravvenuta sufficiente di per sé sola a determinare il tragico evento, non potendosi affermare che la detta attività abbia innescato un rischio nuovo ed incommensurabile rispetto a quello ordinariamente derivante dalla medesima attività.
2.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, atteso che nel caso di specie non si pone un problema di prevedibilità in concreto dell'Incidente mortale da parte del datore di lavoro, venendo in rilievo profili di colpa specifici che già di per sé contengono un giudizio di prevedibilità, immanente alle regole cautelari violate, specificamente finalizzate a prevenire il rischio poi tragicamente concretizzatosi.
3. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna del D.T. e delle parti civili ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi dell'imputato D.T. e delle parti civili, che condanna al pagamento delle spese processuali. Rigetta il ricorso del Procuratore generale.
Così deciso il 23 ottobre 2018

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 56952 Anno 2018.pdf
 
607 kB 5

Nota prot. n. 16419 del 28 novembre 2018

ID 7404 | | Visite: 4907 | Prevenzione Incendi

Nota prot. n. 16419 del 28 novembre 2018

Chiarimenti su art. 1, comma 1122, lettera i della Legge 27/12/2017 n. 205 - Proroga alberghi - Termine per la presentazione della SCIA parziale entro il 01.12.2018

_______

DIPARTlMENTO DEi VIGILI DEL FUOCO, DEL SOCCORSO PUBBLICO E DELLA DIFESA CIVILE
DIREZIONE CENTRALE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA TECNICA

OGGETTO: Richiesta chiarimenti su art. 1, comma 1122 lett. i) della Legge 27/12/2017 n. 205 - Proroga alberghi - Termine per la presentazione della SCIA parziale entro ii 1° dicembre 2018.

Con riferimento all'oggetto, essendo pervenute varie richieste relativamente alla corretta interpretazione delle modalita di mantenimento del regime di proroga per le attivita ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, oltre la prima scadenza fissata al 1° dicembre 2018, si fomiscono i seguenti chiarimenti.

In particolare, e stato chiesto di conoscere se, ai fini di poter beneficiare della proroga al 30 giugno 2019 per ii completo adeguamento alla normativa antincendio, le attivita ricettive turistico
alberghiere ii cui esercizio sia temporaneamente sospeso ovvero che eserciscano con capacita ricettiva temporaneamente sotto le soglie di assoggettabilita alle procedure di prevenzione incendi, debbano comunque presentare la SCIA parziale entro il 1° dicembre 2018, cosi come previsto in generale dal provvedimento di proroga.

Al riguardo, acquisito anche il parere dell'Ufficio Affari Legislativi e Parlamentari di questo Dipartimento, in linea con analoghe indicazioni a suo tempo fomite in occasione dell'avvio e
delle successive proroghe del Piano Straordinario di adeguamento approvato con D.M. 16 marzo 2012, si ritiene che le attivita ricettive turistico-alberghiere ricadenti nelle casistiche sopra
prospettate possano comunque beneficiare dal regime di proroga disposto dal Legislatore, presentando la SCIA parziale anche oltre il termine del 1 ° dicembre p.v.

In tal caso, fermo restando il termine del 30 giugno 2019 per il completo adeguamento alla normativa antincendio, alla SCIA si dovra allegare anche una dichiarazione da cui risulti che, media tempore, l'attivita sia stata sospesa, eventualmente anche per chiusura stagionale, ovvero mantenuta in esercizio parziale con numero di posti letto inferiore alle soglie di assoggettamento alle procedure di prevenzione incendi.

Legge 27/12/2017 n. 205
...
Attività ricettive turistiche-alberghiere con oltre 25 posti letto co. 1122 lettera i)

co. 1122 lettera i) le attività ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 95 del 26 aprile 1994, ed in possesso dei requisiti per l’ammissione al piano straordinario di adeguamento antincendio, approvato con decreto del Ministro dell’interno 16 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 30 marzo 2012, completano l’adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi entro il 30 giugno 2019, previa presentazione, al Comando provinciale dei Vigili del fuoco entro il 1º dicembre 2018 della SCIA parziale, attestante il rispetto di almeno quattro delle seguenti prescrizioni, come disciplinate dalle specifiche regole tecniche: 

- resistenza al fuoco delle strutture; 
- reazione al fuoco dei materiali; 
- compartimentazioni; 
- corridoi; 
- scale; 
- ascensori e montacarichi; 
- impianti idrici antincendio; 
- vie d’uscita ad uso esclusivo, con esclusione dei punti ove è prevista la reazione al fuoco dei materiali; 
- vie d’uscita ad uso promiscuo, con esclusione dei punti ove è prevista la reazione al fuoco dei materiali; 
- locali adibiti a deposito.

Collegati

Valutazione EMC schermature puntatrici elettromeccaniche

ID 7400 | | Visite: 4527 | Documenti Sicurezza Enti

Valutazione EMC schermature puntatrici elettromeccaniche

Valutazione EMC schermature puntatrici elettromeccaniche

Valutazione dell’efficacia di una schermatura elettromagnetica per la riduzione dell’esposizione ai CEM emessi da puntatrici elettromeccaniche.

La saldatura a punti è un metodo di saldatura a resistenza utilizzato per unire lastre metalliche sovrapposte o saldare bulloni. Le saldatrici a punti sono composte da due piccoli elettrodi cilindrici che serrano le componenti e applicano una corrente elevata per effettuare la saldatura. Da dati disponibili in letteratura o pubblicati nella banca dati CEM del Portale Agenti Fisici emerge che tale processo è in grado di esporre i lavoratori a valori di campo magnetico superiori ai Valori di Azione (VA) prescritti dalla vigente normativa (D.lgvo 81/08 Titolo VIII Capo IV e smi).

Nell’ambito del presente studio vengono presentati i risultati preliminari dell'efficacia di un prototipo di schermatura elettromagnetica specificamente realizzata per saldatrici a punti dalla azienda G- Iron (Arezzo).

Nel lavoro si presentano i risultati ottenuti su due saldatrici da banco.

PAF 5/18 del 22/11/2018

Collegati

Cassazione Civile Sent. Sez. 3 n. 30997 | 30 Novembre 2018

ID 7383 | | Visite: 3966 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Infortunio mortale da schiacciamento

Esclusiva responsabilità del datore di lavoro

Civile Ord. Sez. 3 Num. 30997 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: GORGONI MARILENA
Data pubblicazione: 30/11/2018

Fatto
M.M. ricorre per cassazione avverso la decisione n. 2063/2016 della Corte d'Appello di Bologna, depositata il 15 novembre 2016, deducendo la presenza di due vizi di legittimità.
Resistono F.P. e la Società Cattolica Assicurazioni coop. a r.l. Il primo propone altresì, ex art. 371 c.p.c., ricorso incidentale condizionato, fondato su due motivi.
Il 13/1/2002, a distanza di due giorni da un infortunio sul lavoro occorsogli a causa del ribaltamento del carrello che stava spingendo e sul quale era stato collocato un telaio del peso di circa due quintali, F.B., marito dell'attuale ricorrente, perdeva la vita per schiacciamento. La vedova conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rimini, la Società Ideal di F.P. & c. e F.P., che ne era il rappresentante legale, per ottenerne la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni derivanti dall'infortunio sul lavoro che aveva coinvolto il marito.
Autorizzata la chiamata in causa della Duomo Assicurazioni S.p.A., ora Società Cattolica Assicurazioni coop. a. r.l., il Tribunale adito ritenne che il datore di lavoro, il quale aveva patteggiato la pena di sei mesi di reclusione per il reato di omicidio colposo, fosse l'unico responsabile dell'incidente mortale e, accogliendo parzialmente la domanda dell'attuale ricorrente, le riconobbe, a titolo di risarcimento dei danni subiti, la somma di euro 641.222,61, posta a carico della Società Cattolica Assicurazioni.
La sentenza veniva impugnata da M.M. che lamentava il mancato riconoscimento del danno esistenziale e del danno patrimoniale da perdita del contributo economico alla vita familiare. In via incidentale, F.P. deduceva la esclusiva responsabilità della vittima nella causazione dell'incidente e lamentava che fosse stato, e -in misura arbitraria ed eccessiva, liquidato il danno parentale pure in assenza di prova della sua ricorrenza.
La Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, rigettava tanto l'appello principale quanto quello incidentale e compensava integralmente tra le parti le spese di lite.

 

Diritto

Ricorso principale
1. Con il primo motivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di legge (non specificamente individuate) ed insiste per il riconoscimento del diritto a percepire euro 225.924,98 a titolo di danno patrimoniale richiesto e provato in causa presuntivamente ed ex art. 115 c.p.c. Ad illustrazione del motivo la vedova F.B. adduce che la vittima, all'epoca dei fatti, lavorava già da tredici anni come operaio specializzato presso la società Ideal e percepiva annualmente un reddito di euro 18.000,00; perciò detratta la quota sibi, riteneva che presumibilmente le sarebbe stata destinata, in quanto coniuge, la metà del reddito prodotto; nessuno di tali fatti era stato specificamente contestato e, pertanto, essi, a suo avviso, dovevano considerarsi provati.
2. Il motivo risulta inammissibile.
2.1. Queste le ragioni.
2.2. Risulta assorbente la mancata censura dell'altra ratio decidendi con cui la Corte territoriale ha respinto la richiesta risarcitoria della ricorrente: trattandosi di danno differenziale, la sottrazione del danno percepito al medesimo titolo dall'Inail.
2.3. In aggiunta, quanto alla lamentata violazione dell'art. 115 c.p.c, il giudice a quo ha giustificato la decisione di non accogliere la richiesta risarcitoria con argomenti che risultano coerenti con la giurisprudenza di questa Corte e da cui non vi sono ragioni per discostarsi: a) la riforma dell'art. 115 c.p.c. è intervenuta dopo la conclusione della fase istruttoria di primo grado, per cui non era previsto un onere di contestazione specifica a carico di F.P. e della società Ideal, vigendo ratione temporis la regola secondo cui un fatto può essere considerato pacifico soltanto se esso è stato esplicitamente ammesso dalla controparte oppure quest'ultima ha impostato il proprio sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento (Cass. 21/01/2015, n. 1045); b) il principio di contestazione specifica di cui all'art. 115 c.p.c. opera esclusivamente per i fatti noti alla parte e non per quelli ignoti — ad esempio, la quota di reddito destinata alla famiglia — od estranei alla sua sfera di conoscibilità diretta (Cass. 13.2.2013, n. 3576); c) la specificità della contestazione non risultava correlata alla specificità dei fatti allegati dalla controparte (Cass. 22/09/2017, n. 220559).
2.4. La censura relativa al ragionamento presuntivo investe l’accertamento relativo al raggiungimento o meno di una prova adeguata che è compito spettante al giudice di merito, il quale, nella specie, ha dato conto con adeguata motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto che la prova non fosse stata raggiunta (difettava l'allegazione dei fatti noti da cui partire per risalire al fatto da dimostrare: ad esempio caratteristiche e composizione del nucleo familiare, tenore di vita, redditi complessivi del nucleo familiare).
3. Con il secondo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e ribadisce la richiesta di liquidazione del danno esistenziale per euro 150.000,00.
3.1. Vanno fatte, in primo luogo, alcune precisazioni di carattere generale. Le cosiddette sentenze di San Martino — Cass. 11/11/2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975 — hanno imposto la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, ritenendolo una "categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate", specificando nel contempo che il danno non patrimoniale è destinato a compendiare tutte le componenti in cui può essere sotto articolato, ben potendo, però, a seconda della fattispecie o del tipo di interesse leso, assumere contenuto diverso con funzione descrittiva delle conseguenze negative verificatesi.
3.2. La giurisprudenza più recente ha poi ulteriormente specificato che il danno non patrimoniale è categoria unitaria dal punto di vista giuridico, nel senso che costituisce l'esito di un giudizio sintetico delle ripercussioni negative sul valore-uomo, ma non lo è dal punto di vista fenomenologico (Cass. 17/01/2018, n. 901; Cass. 27/03/2018, n. 7513), per quanto non sia corretto ridurlo a una sorta di contenitore di una pluralità di addendi disinvoltamente scindibili e riunibili all'atto della liquidazione.
3.3. La preoccupazione concordemente manifestata dai giudici di legittimità è quella di evitare inammissibili duplicazioni risarcitone, cioè il rischio di riconoscere alla vittima un ingiustificato arricchimento ascrivibile "direttamente" al riconoscimento di una liquidazione che sia il risultato della somma di poste risarcitone che riguardino il medesimo pregiudizio ovvero derivante "indirettamente" dalla sopravvalutazione delle conseguenze della lezione occorsa.
3.4. Il fatto che la liquidazione debba essere unitaria (Cass. 17/01/2018, n. 901 ha chiarito che unitarietà significa che la lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto avente carattere di inviolabilità produce un danno non patrimoniale) non è, tuttavia, lo schermo dietro cui celare liquidazioni astratte e non trasparenti, e men che mai può tradursi in una arbitraria ed immotivata contrazione del risarcimento. Ad impedire tale ultima eventualità vi è il fatto che oltre che unitario il danno non patrimoniale sia omnicomprensivo, cioè sia tale da garantire che la vittima ottenga l'integrale risarcimento del danno, venendo compensata di tutte le conseguenze pregiudizievoli cagionate dall'illecito.
3.5. Il perimetro di valutazione è contrassegnato da due limiti: il divieto di automatismi risarcitori e il divieto di duplicazioni. AU'interno si collocano l'integrale riparazione del danno e la esigenza di garantirne la personalizzazione, ove ve ne siano i presupposti. In concreto ciò significa che se le proiezioni negative patite non divergono da quelle subite da altre vittime nella medesima condizione il danneggiato non avrà diritto al riconoscimento di un quid pluris. 
3.6. La richiesta risarcitoria di poste ulteriori, come in questo caso, avrebbe potuto essere presa in considerazione, pertanto, ove fossero state soddisfatte due condizioni: 1) la posta risarcitoria pretesa non fosse stata già riconosciuta; 2) vi fosse la prova della ricorrenza di una situazione atta a giustificare la liquidazione di un quid pluris, a prescindere dalla etichetta nominalistica attribuitagli (in questo caso la ricorrente ha reclamato il risarcimento del danno esistenziale, inteso come turbamento d'animo e sofferenza interiore).
3.7. In merito alla prima condizione, occorre ribadire quanto questa Corte ha già avuto occasione di precisare e cioè che il danno liquidato alla vittima per la lesione del rapporto parentale già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, costituendone una componente intrinseca. Pertanto, è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e di danno esistenziale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale) (Cass. 10/01/2017, n. 238).
3.8. Né la vittima ha allegato — sì da integrare la seconda condizione — la ricorrenza di situazioni eccezionali atte a far ritenere che il pregiudizio sofferto fosse diverso e maggiore rispetto ai casi consimili (Cass. 27/03/2018, n. 7513; Cass. 18/11/2014, n. 24471).
3.9. Pertanto, questo Collegio ritiene che il giudice a quo con un percorso corretto e trasparente nonché immeritevole di censura abbia individuato il danno risarcito e spiegato con altrettanta correttezza e trasparenza le ragioni della mancata liquidazione di poste di danno ulteriori, consentendo di verificare la corrispondenza tra il quanto liquidato, il criterio adottato e il dovuto.
3.10. Il motivo va, dunque, rigettato, dovendosi ritenere che le pretese dell'attrice, per come formulate, tradiscano la invocazione di un mero automatismo risarcitorio, difettando della allegazione di quelle circostanze specifiche ed eccezionali — il giudice a quo ha sottolineato che della ricorrente e del defunto si conosce solo l'età, rispettivamente, 31 e 34 anni; non era stata fornita indicazione di alcun tipo relativa alla durata del matrimonio, ai progetti di vita della coppia, alla qualità e all'intensità della relazione affettiva con la vittima, alla composizione della situazione familiare, ecc. — che facciano apparire verosimile che il danno concreto sia stato più grave di quello liquidato e cioè che la ricorrente abbia subito un danno diverso e superiore rispetto a quello già riconosciutole.

Ricorso incidentale
4. F.P. ripropone — deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. c.c., dell'art. 168 del d.p.r. n. 547/1955, degli artt. 115 e 116 c.p.c. per erronea interpretazione delle risultanze probatorie e documentali — la tesi, già respinta dalla Corte territoriale, secondo cui F.B. avrebbe tenuto una condotta atipica ed eccezionale, idonea ad interrompere il nesso causale tra l'evento e la condotta tenuta dal datore di lavoro ed a configurarsi quale causa esclusiva dell'infortunio mortale occorsogli. In aggiunta, il controricorrente lamenta la violazione dell'art. 1226 c.c., ritenendo che il danno sia stato liquidato senza prova della sua ricorrenza.
4.1. La prima censura non è ammissibile, perché postula una diversa ed a sé favorevole valutazione delle risultanze probatorie, ricorrendo, per denunciarla a questa Corte, del tutto impropriamente al vizio dell'asserita violazione di legge, in assenza di specifiche censure mosse alla sentenza impugnata dalla quale emergerebbe l'errore, e sovrapponendovi il vizio di omesso esame di alcuni fatti (ad esempio che la vittima fosse il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che avesse il compito di istruire il personale sulla sicurezza, che avesse elaborato il documento finale di valutazione dei rischi), senza soddisfare l'onere di indicare il dato extratestuale dal quale evincere la loro esistenza nonché il come e il quando tali fatti fossero stati oggetto di discussione tra le parti (Cass., sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 9/09/2016, n. 19312), né la loro decisività, cioè la idoneità a farne discendere, ove considerati, una sentenza di contenuto differente e senza tener conto del fatto che trattandosi di doppia conforme, il vizio dell'omesso esame non sarebbe comunque — cioè anche se questa Corte correggesse l'errore di sussunzione — invocabile.
4.2. Nella sostanza F.P. si limita ad insistere nella pretesa di aver provato ampiamente che F.B. si era reso responsabile di una manovra anomala, imprevedibile, imprudente e pericolosa, che egli, nelle vesti di datore di lavoro, aveva predisposto le misure di sicurezza adeguate ed aveva fornito precise direttive sulla manovra dei carrelli che la vittima aveva disatteso.
4.3. La Corte, tuttavia, con una analitica ed apprezzabile valutazione del materiale probatorio nella sua disponibilità — accertamenti della AUSL, deposizione dell'unico testimone presente — che le censure del ricorrente non si sono dimostrate idonee a scalfire e confutare, ha ritenuto provato che:
— il carrello non era adatto a movimentare materiali così pesanti;
— era stata impropriamente aumentata la base di appoggio;
— il carrello poteva essere spinto solo agendo direttamente su di esso o sul carico; .
— la manovra eseguita dalla vittima era quella normalmente compiuta per caricare il forno essiccatore;
— il materiale caricatovi non era stabile sul carrello ed era facile che si spostasse il relativo baricentro con conseguente ribaltamento;
— non vi erano altri carrelli idonei;
— proprio lo stesso carrello era stato in precedenza caricato da altri, a riprova che quei carrelli di fortuna erano abitualmente utilizzati;
— il documento di valutazione dei rischi elaborato dalla società SAFAS S.r.l., di ciò incaricata, non aveva valutato i rischi derivanti dalla movimentazione dei carrelli;
— in passato si era verificato un incidente analogo, come emerso dagli atti dell'indagine penale;
— il datore di lavoro non aveva impartito direttive specifiche sul divieto di uso di carrelli inadeguati né aveva vigilato sulla loro osservanza.
4.4. Tanto bastava, secondo il giudice a quo, a dimostrare l'avvenuta violazione dell'art. 168 del d.p.r. 27/04/1955 n. 547 — il quale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente incidentale, risultava applicabile al caso in esame, stante che la sua abrogazione è avvenuta solo per effetto del d.lgs. n. 81/2008 (i fatti di causa risalgono al 2002) — e ad escludere che il comportamento della vittima fosse stato anomalo, atipico ed eccezionale sì da interrompere il nesso causale e da assurgere a causa esclusiva dell'infortunio. 
4.5. In tale contesto le critiche formulata dal ricorrente incidentale si risolvono in una sollecitazione alla rivalutazione del materiale istruttorio, preclusa in sede di legittimità, dovendosi, per contro, ribadire che il giudice di merito, quando ha individuato nel datore di lavoro l'unico responsabile dell'Infortunio mortale verificatosi, ha applicato principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte ed anche di recente ribaditi: "la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l’eventuale (coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto (Cass. 13/01/2017, n. 798). Non solo: "Il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, dimostrando di aver messo in atto a tal fine ogni mezzo preventivo idoneo, con l'unico limite del cd. rischio elettivo, da intendere come condotta personalissima del dipendente, intrapresa volontariamente e per motivazioni personali, al di fuori delle attività lavorative ed in modo da interrompere il nesso eziologico tra prestazione e attività assicurata" (Cass. 18/06/2018, n. 16026).
5. La seconda censura è inammissibile, essendo evidente che, sussistendone i presupposti, la Corte ha ritenuto provato il danno riconosciuto alla ricorrente, mercé il ricorso a presunzioni.
6. Vanno, pertanto, rigettati il ricorso principale e quello incidentale.
7. In ragione della soccombenza reciproca, le spese sono interamente compensate.
8. Ricorrono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del comma 1 bis dell'articolo 13 del d.p.r. 115 del 2002.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa le spese tra le parti.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Terza sezione civile della Corte di Cassazione il 27/09/2018.

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Civile Ord. Sez. 3 Num. 30997 Anno 2018.pdf
 
491 kB 7

Raccomandazioni prevenzione Tubercolosi Strutture Sanitarie

ID 7380 | | Visite: 2682 | Documenti Sicurezza ASL

Raccomandazioni per la prevenzione della Tubercolosi nelle Strutture Sanitarie

Regione Piemonte 2011

- Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano – Provvedimento 17 dicembre 1998
- Linee Guida per il controllo della malattia tubercolare, su proposta del Ministro della Sanità, ai sensi dell’art. 115, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
- Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali aggiornamento delle raccomandazioni per le attività di controllo della tubercolosi “Gestione dei contatti e della tubercolosi in ambito assistenziale” Anno 2009.
- DGR 31/27361 Regione Piemonte, Protocollo per la Prevenzione e il Controllo della Tubercolosi umana in Piemonte 1999.
- Regione Piemonte Commissione Regionale Prevenzione e controllo del rischio da agenti biologici trasmessi per via aerea, droplet e contatto nell’ambito del “Progetto di promozione delle attività di prevenzione e sicurezza nelle strutture sanitarie della Regione Piemonte” (D.G.R. n° 31-12387 del 26 aprile 2004; D.G.R n° 86 del 21 novembre 2005) Raccomandazioni per la prevenzione della Tubercolosi tra i lavoratori della sanità - 2007. 
- National Institute for Health and Clinical Excellence. Tuberculosis: clinical diagnosis and management of tuberculosis, and measures for its prevention and control. Clinical guidelines-1.2.2 Infection control – Update Issue date: March 2011 - http://www.nice.org.uk/nicemedia/live/13422/53642/53642.pdf. 
- Jane D. Siegel, MD; Emily Rhinehart, RN MPH CIC; Marguerite Jackson, PhD; Linda Chiarello, RN MS; the Healthcare Infection Control Practices Advisory Committee. 2007 Guideline for Isolation Precautions: Preventing Transmission of Infectious Agents in Healthcare Settings - http://www.cdc.gov/ncidod/dhqp/pdf/isolation2007.pdf. 
- Gerald H. Mazurek, MD, John Jereb, MD, Andrew Vernon, MD, Phillip LoBue, MD, Stefan Goldberg, MD, Kenneth Castro, MD. Division of Tuberculosis Elimination, National Center for HIV, STD, and TB Prevention, CD:. Updated Guidelines for Using Interferon Gamma Release Assays to Detect Mycobacterium tuberculosis Infection - United States, 2010. MMWR: Recommendations and Reports; June 25, 2010 / 59(RR05); 1-25. 
- CDC. Guidelines for the investigation of contacts of persons with infectious tuberculosis: recommendations from the National Tuberculosis Controllers Association and CDC. MMWR 2005;54(No. RR-17): 1—47. 
- CDC Guidelines for Preventing the Transmission of Mycobacterium tuberculosis in Health-Care Settings, 2005 MMWR 2005; 54 (No. RR-17, 1-141). 
- Regione Piemonte- Assessorato alla Sanità - Direzione Sanità Pubblica: Raccomandazioni sull’utilizzo dei nuovi test per la diagnosi di infezione tubercolare latente – 2006 - http://epidem.aslal.it/uploads/documenti/435_raccomandazioni_%20ITBL.pdf. 
- Regione Piemonte- Assessorato alla Sanità - Direzione Sanità Pubblica: Raccomandazioni per la prevenzione della Tubercolosi nelle comunità residenziali - 2002 - http://epidem.aslal.it/uploads/documenti/370_TBCOMUNITAFINALE.pdf. 
- Regione Piemonte- Assessorato alla Sanità - Direzione Sanità Pubblica: Vaccinazione antitubercolare. Indicazioni per l’applicazione del regolamento di attuazione nelle strutture e nei presidi Servizio Sanitario regionale del Piemonte - DPR n. 465 di novembre 2001 – http://epidem.aslal.it/uploads/documenti/369_bcgVaccinazione%20regolamento%20465_2001.pdf 
- WHO- WHO policy on TB infection control in health-care facilities, congregate settings and households –2009 - http://whqlibdoc.who.int/publications/2009/9789241598323_eng.pdf. - - Ministero della Salute - Circolare 23 agosto 2011: Misure di prevenzione e controllo della tubercolosi - http://www.normativasanitaria.it/normsan-pdf/0000/39577_1.pdf. AIRESP
- A-ISPSEL Manuale di biosicurezza nei laboratori (traduzione da WHO) 2005 - http://www.who.int/csr/resources/publications/biosafety/ManualBiosafety.pdf

Linee guida tubercolosi Rep. 51 SR del 7 Febbraio 2013

ID 7376 | | Visite: 5486 | Conferenza Stato-Regioni

Linee guida Conferenza Stato Regioni Tubercolosi Rep. 51 SR del 7 Febbraio 2013

Accordo 7 febbraio 2013.

Accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante «Prevenzione della tubercolosi negli operatori sanitari e soggetti ad essi equiparati». (Rep. atti n. 51/CSR).

GU n. 63 del 15-3-2013

PREMESSA.

La tubercolosi (TB) rappresenta un rischio riemergente, ed è stato indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come grave problema di sanità pubblica a livello mondiale già dal 1993.

Ogni anno si registrano nel mondo più di 9 milioni di nuovi casi e 2 milioni di decessi e, secondo stime dell’OMS, si manifestano oltre 400.000 casi di tubercolosi multiresistente. È stato stimato che circa un terzo della popolazione mondiale ospiti il Micobatterio tubercolare allo stato di latenza (un soggetto con infezione tubercolare latente o ITBL è colui che è venuto a contatto con il bacillo ma, grazie ad un’efficiente risposta immunitaria, non ha sviluppato la malattia; è asintomatico e non contagioso).

Nei soggetti immuno-competenti con ITBL il rischio di sviluppare una malattia attiva è circa il 10% nel corso dell’intera vita, evenienza che nella metà dei casi si verifica nei primi 2-5 anni dall’esposizione/infezione. Dai 53 Paesi della Regione europea dell’OMS sono stati segnalati, nel 2010, poco più di 300.000 nuovi casi di TBC, a fronte di 418.000 casi stimati, la maggior parte dei quali dai 18 Paesi, cosiddetti «ad alta priorità» (per necessità di interventi di sanità pubblica), localizzati nell’area orientale e centrale della Regione.

In Italia, l’incidenza di TB negli ultimi anni è stata inferiore a 10 casi di malattia/100.000 abitanti, soglia entro la quale un Paese è definito dall’OMS come «a bassa incidenza». Tra i soggetti più a rischio di contrarre la tubercolosi, figurano anche gli operatori sanitari. Diversi studi, infatti, hanno riportato negli anni, evidenze circa eccessi di incidenza e prevalenza di infezioni tubercolari latenti (ITBL) e TB negli operatori sanitari.

In ambiente sanitario l’esposizione ad agenti biologici rappresenta, di fatto, uno dei principali fattori di rischio occupazionale presente. Gli operatori sanitari vengono spesso a contatto, nello svolgimento della loro attività, sia con soggetti affetti da malattie causate da agenti patogeni trasmissibili che con materiali potenzialmente contaminati. Peraltro, non bisogna dimenticare che l’operatore sanitario può contrarre una malattia contagiosa anche al di fuori del luogo di lavoro e rappresentare di conseguenza una fonte di contagio per i colleghi e, soprattutto, per i pazienti che sono maggiormente suscettibili a forme più gravi di infezione, per la presenza di patologie concomitanti. Pertanto, una valutazione delle condizioni di salute degli operatori sanitari e dei soggetti ad essi equiparati risulta particolarmente importante ai fini dell’individuazione e della realizzazione delle più efficaci strategie di prevenzione e controllo, compresa la corretta applicazione delle misure di profilassi.

1. VALUTAZIONE DEL RISCHIO.

Ai sensi del decreto legislativo n. 81/2008 e successive modifiche è obbligatoria per i datori di lavoro la «valutazione dei rischi: valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza». Alla stessa, è tenuto a collaborare il medico competente. Per lavoratore la legge intende: «persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari», ivi compresi quindi gli studenti dei corsi di laurea e specializzazione.

La valutazione del rischio specifico va ripetuta con periodicità non superiore a tre anni. Una rivalutazione del rischio espositivo, indipendentemente dalla periodicità prevista, deve essere effettuata tutte le volte che sia diagnosticata la malattia tubercolare a carico di un lavoratore.

A tal fine, il medico competente può avvalersi dell’acquisizione dei risultati degli accertamenti diagnostici a cui è stato sottoposto il lavoratore, che è tenuto a comunicare tale informazione anamnestica al medico competente, ricadendo nella responsabilità dello stesso lavoratore gli effetti di sue omissioni. La valutazione del rischio deve essere parte del documento di valutazione dei rischi (1) e deve essere svolta a più livelli:

1) a livello di area (p.es. presidio ospedaliero). A questo livello sono in genere da riferire criteri quali: incidenza della TB nel bacino di utenza; adeguatezza generale degli impianti di aerazione al contenimento del rischio; presenza di adeguato numero di stanze di isolamento; criteri di accettazione; posti letto disponibili;

2) a livello di struttura (entro area): dedicata o no al trattamento di malati di TB; dove si svolgono attività a rischio (aerosolterapia, broncoscopia, etc.);

3) a livello di singolo operatore: probabilità di contatto col malato potenzialmente contagioso; mansione specifica (personale amministrativo, medico, infermieristico, etc.); condizioni personali (stato immunologico, gravidanza, fattori di rischio o appartenenza a gruppi a rischio, etc.). Il documento di valutazione dei rischi deve contenere analisi di eventuali carenze strutturali, edilizie o di organizzazione del lavoro che impediscano o rendano difficoltosa l’adozione di misure di contenimento del rischio ove previste.

(1) Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali. Aggiornamento delle raccomandazioni per le attività di controllo della tubercolosi in Italia. Anno 2009

Collegati

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 54010 | 03 Dicembre 2018

ID 7347 | | Visite: 2223 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Caduta mortale all'interno di una botola del cantiere

Responsabilità del committente che non sospende i lavori nonostante fosse a conoscenza delle palesi violazioni

Penale Sent. Sez. 4 Num. 54010 Anno 2018

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 25/10/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Napoli, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente, A.N., e dei coimputati non ricorrenti DF.D. e F.M. con sentenza del 25/4/2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, emessa in data 22/10/2012, appellata dagli imputati, ha rideterminato la pena in anni 1 e mesi 8 di reclusione ciascuno, con sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la pronuncia di primo grado, ivi comprese le statuizioni civili e con condanna alla rifusione delle ulteriori spese della parte civile.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, aveva dichiarato DF.D., F.M. e A.N. responsabili, nelle rispettive qualità di datore di lavoro, responsabile di cantiere e per la sicurezza e di direttore dei lavori- committente del reato di cui agli artt. 41 co. 1, 40 co.2 e 589 co. 1 e 2 cod. pen. per avere cagionato il decesso dell'operaio A.L. il quale, non adeguatamente formato in materia di sicurezza ed impiegato in un cantiere in cui non erano state adottate tutte, le misure necessarie, per prevenire gli infortuni, cadeva in una botola precipitando sul piano di calpestio sottostante ed impattando con il suolo dopo un volo di quattro metri. Da tale caduta derivava lesioni un "trauma cranico commotivo in policontuso", che, dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale, ne provocava la morte per "arresto cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria per stato comatoso in soggetto con trauma cranico e toracico, operato di craniotomia decompressiva ed evacuazione di ematoma sottodurale acuto".
L'infortunio avveniva a Capodrise il 9/9/2005, mentre il decesso si registrava il 24/9/05 a Caserta.
I profili di colpa addebitati all'odierno ricorrente in qualità di committente, e direttore dei lavori edili nel cantiere sito in via OMISSIS, sono, dunque, quelli generici della negligenza, imprudenza ed imperizia nonché quelli concretatisi nell’inosservanza di specifiche norme antinfortunistiche a tutela dei lavoratori, su di lui gravanti quanto meno ai sensi dell'art. 6 della Legge 494/1996 in quanto persona concretamente responsabile del controllo sul rispetto delle regole di sicurezza sul lavoro e sull'attuazione del piano di sicurezza del cantiere.
In particolare, come meglio specificato nei due capi di imputazione, cagionava la morte dell'A.L. perché non sospendeva i lavori edili nel cantiere, nonostante fosse a conoscenza delle palesi violazioni degli artt. 68 DPR 164/1956 (aperture nei solai non adeguatamente protette e recintate), 12.3 D.Lvo 494/1996 (mancata attuazione del piano di sicurezza e di coordinamento), 5 lett. a) D. L.vo 494/1996 (mancata verifica dell'applicazione di quanto riportato nel piano di sicurezza e di coordinamento), 4.5 D.L.vo 626/1994 (mancato possesso del registro degli infortuni), 21 e 22 D.L.vo 626/1994 (mancanza di adeguata informazione dell'operaio A.L. in materia di sicurezza e salute dei la-voratori), 27.1 DPR 164/1956 (sottoponti di sicurezza non montati a distanza non superiore a metri 2,50), 24 DPR 164/1956 (impalcati ed andatole di altezza superiore a metri 2 non muniti di correnti e tavole fermapiede sui lati verso il vuoto), 69 DPR 164/1956 (scale non dotate di parapetti sui lati aperti), 70 DPR 164/1956 (mancanza di opere provvisionali per l'esecuzione di lavori su tetti, lucernari, coperture e simili), 386 DPR 547/1955 (lavoratori sforniti di cinture di sicurezza).
Ne derivava che, nel corso dell'illegale prosieguo delle attività edilizie, il lavoratore portandosi verso una stanza al piano rialzato dello stabile in costruzione, passava su alcuni pannelli di legno che coprivano un'apertura nel solaio di tale piano rialzato non adeguatamente segnalata, protetta, o recintata, cosicché i pannelli di copertura, non idonei a sostenere il peso di una persona, si spezzavano determinandone una caduta nel vuoto dall'altezza di circa 4 metri.
In primo grado gli imputati venivano condannati alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, con condanna al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, e al pagamento a titolo di provvisionale di euro 30.000,00 per ciascuna delle parti civili costituite ed alla rifusione delle spese processuali in favore delle stesse parti civili.
La Corte partenopea, come detto, confermava l'affermazione di responsabilità, pur riducendo la pena.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, A.N., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'eccepita incompetenza territoriale.
Il ricorrente precisa di aver invocato, con il primo motivo di appello, la nullità della sentenza per incompetenza territoriale, trattandosi di fatti commessi in Capodrise (CE) località rientrante nella competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione distaccata di Marcianise, dove effettivamente iniziava la trattazione del processo che veniva, per l'udienza del 8/5/2012, spostato presso la Sezione Distaccata di Caserta senza nessun avviso per l’imputato.
All'udienza del 14/05/2012 venivano eccepiti l’omesso avviso all'imputato e l'incompetenza per territorio. L'eccezione di incompetenza era rigettata.
La Corte di Appello, sul punto, rende, a detta del ricorrente, una motivazione confusa ponendo la questione tra Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e Sezione Distaccata di Marcianise, mentre l'eccezione proposta riguardava l'avvenuta celebrazione del processo a Caserta piuttosto che a Marcianise.
La sentenza risulta emessa a Caserta.
Evidente sarebbe, quindi, la contraddittorietà e illogicità della motivazione e la violazione dell'art. 8 cod. proc. pen.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce travisamento della prova, vizio di motivazione e violazione dei canoni di valutazione della prova ex art. 192 cod. proc. pen., nonché inversione del corretto ragionamento logico-probatorio.
Il ricorrente riporta il contenuto del secondo motivo di appello con il quale aveva eccepito che l'affermazione di responsabilità dell'imputato A.N. era stata frutto di un esame superficiale e parziale delle risultanze istruttorie, richiamate, nell'impugnato provvedimento, solo parzialmente ed evidentemente confuse, contraddittorie e artificiose.
In particolare, all'eccepita mancanza di riscontri esterni alle dichiarazioni testimoniali, tenuto conto delle tre contraddittorie ricostruzioni del fatto fornite, la corte di appello si limiterebbe, riportando quanto contenuto nella sentenza di primo grado, a fornire "giustificazioni" al comportamento delle persone offese, violando il principio secondo cui il convincimento del giudice deve fondarsi sulle certezze emergenti dal dibattimento e non su semplici sensazioni.
Il ricorrente ritiene che i giudici di appello abbiano operato una valutazione superficiale dell'ampia attività dibattimentale come dimostrato dall'articolazione della sentenza che ricalca il provvedimento di primo grado.
Anche l'avvenuta acquisizione del contratto di appalto, in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, sarebbe stata superficialmente liquidata con l'affermazione di scarsa valenza del documento per l'assenza della data, che invece risulterebbe chiaramente indicata nella prima pagina del contratto, dove si legge: ".... l'anno 2004 il giorno 3 del mese di novembre. ..."
Ciò dimostrerebbe una non attenta lettura della scrittura che costituirebbe il rapporto intervenuto tra il committente e l'impresa prevedendo l'affidamento dell'incarico della direzione del cantiere ad un tecnico abilitato.
Sarebbe evidente, quindi, la violazione della lett. d) del Io comma dell'art. 606 cod. proc. pen. trattandosi di una prova decisiva.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e vizio di motivazione in quanto l'impugnato provvedimento non fornirebbe alcuna risposta ai motivi di appello limitandosi a riproporre le argomentazioni del primo giudice.
In particolare, sull'eccepita carenza di riscontri alle dichiarazioni e sull'analitica indicazione delle contraddizioni contenute nelle dichiarazioni dei testi la Corte distrettuale si limiterebbe richiamare quanto argomentato nella trattazione delle altre posizioni processuali tralasciando che le doglianze prospettate dalla difesa di A.N. erano relative a circostanze diverse da quelle sollevate dai difensori dei coimputati.
Il ricorrente riporta, quindi, le contraddizioni rilevate evidenziando l'inattendibilità del teste F.V., le cui dichiarazioni sono state determinanti, secondo la tesi del giudice di primo grado, per far ritenere verosimile la terza ricostruzione dei fatti ossia la collocazione del luogo dell'infortunio sul cantiere in via OMISSIS a Capodrise.
Su tali doglianze, ulteriori rispetto a quelle rappresentate dalle difese degli altri imputati, nulla direbbe l'impugnato provvedimento, così come non fornirebbe adeguata motivazione alle doglianze difensive sull'estraneità del A.N. a qualsiasi forma di responsabilità.
Ciascuna delle doglianze contenute nell'atto di appello, relative all’assenza di riscontri alla ritenuta ricostruzione del fatti in riferimento al luogo dell'Infortunio, alla contraddittorietà delle dichiarazioni delle persone offese, alla non attendibilità del teste F.V., alla responsabilità del cantiere regolarmente attribuite a persone diverse dal A.N. che non aveva alcuna ingerenza nelle decisioni del cantiere chiuso come da verbali redatti dal coordinatore della sicurezza, sarebbe dotata di adeguata specificità, coinvolgendo, rispetto ai passaggi della sentenza di primo grado, sicuri elementi di novità critica che il giudice di appello avrebbe del tutto trascurato di considerare, incorrendo in una palese violazione della funzione del doppio grado di giurisdizione.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità dell'odierno ricorrente.
Il difensore ricorrente eccepisce il mancato riscontro negli atti della ritenuta posizione di datore di lavoro del A.N., nonché della sua costante presenza in cantiere. Precisa che il cantiere era chiuso, come da verbale dell'arch. Gabriele T.M., che riferiva della presenza di A.N. solo al fine di verbalizzare la chiusura dello stesso cantiere, mentre la Corte distrettuale avrebbe valorizzato tale dichiarazione per affermarne erroneamente la costante presenza.
Del tutto priva di riscontro sarebbe anche la ritenuta non provata esclusione del A.N. dai poteri decisionali nella gestione dei lavori, che, lo si ripete, al momento dei fatti erano sospesi.
Nessun riscontro sarebbe, poi, stato fornito dalla sentenza impugnata sul profilo della conoscibilità della situazione di pericolo, dal momento che il ricorrente era privo della necessaria conoscenza tecnica che non gli potesse consentire certamente di percepire un pericolo dallo spessore delle tavole utilizzate di 3 cm. rispetto a quelle che sarebbero state adeguate dello spessore di 4 cm. 
Pertanto, si duole il ricorrente, i giudici di merito avrebbero stravolto il consolidato orientamento giurisprudenziale sull'esclusione della responsabilità del committente: Sent.17178 del 11/7/2013.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla rigettata sospensione della provvisionale.
Il ricorrente rileva vizio della motivazione posta a sostegno del giudizio negativo al fine della concessione delle attenuanti generiche dal momento che non sussisterebbe prova o indizio del coinvolgimento del A.N. nella ritenuta ipotesi di inquinamento delle indagini, né tantomeno della conoscenza di lavoratori in A.N.. Il ricorrente ribadisce che A.N. riteneva il cantiere ormai chiuso.
Parimenti viziata sarebbe la motivazione del mancato accoglimento della richiesta sospensiva della sentenza. Chiaramente semplicistica appare l'affermazione che non risulta provato il danno grave ed irreparabile.
Certamente, conclude il ricorrente, può costituire un danno essere sottoposto ad una procedura esecutiva per la somma di € 90.000,00 senza alcuna prospettiva di recupero sugli altri coimputati decisamente privi di solvibilità.
La motivazione non risponderebbe alle doglianze difensive, limitandosi ad una soggettiva affermazione sulla eccessività della somma senza alcun parametro di riferimento o motivazione specifica.
Chiede, pertanto, l'annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. I proposti motivi appaiono tutti infondati e, pertanto, il ricorso va rigettato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, di natura processuale, dall'esame degli atti, cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere in ragione della natura processuale della doglianza, si evince che, effettivamente, il processo che ci occupa, cui man mano ne erano stati riuniti vari, fu celebrato dal GM Crisci, fino all'udienza del 23/3/2012 presso la Sezione Distaccata di Marcianise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Dalla successiva udienza del 5/6/2012 in poi, invece, il processo proseguì, per ragioni organizzative, con il medesimo giudice, presso la Sezione Distaccata di Caserta del medesimo Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Ebbene, il difensore lamenta che il proprio assistito, contumace, avrebbe dovuto essere informato che il processo proseguiva presso altra sede.
La doglianza, tuttavia, è infondata. 
Il processo, infatti, non è stato spostato ad altro ufficio giudiziario, ma, per mere ragioni organizzative, è proseguito, con il medesimo giudice, in un luogo fisico diverso, presso una sede che, peraltro, è un'articolazione del medesimo tribunale (cfr. art. 163bis disp. att. cod. proc. pen.). E, come correttamente ebbe anche a rilevare lo stesso GM sammaritano all'udienza del 5/6/2012, rigettando l'eccezione difensiva, i difensori erano ben edotti dello spostamento si sede, tanto è vero che erano presenti, ed essendo gli imputati contumaci, gli stessi erano rappresentati dai propri difensori e non avevano diritto ad alcuna notifica.
3. Infondati appaiono anche i motivi di ricorso fondati sulla mancanza di riscontri alle deposizioni rese ed alla scarsa attendibilità dei testi.
Perfettamente logica e congrua appare la ricostruzione dei fatti operata e anche la motivazione sull'iniziale reticenza delle parti civili e degli altri operai.
Legittimo appare il richiamo operato dai giudici di appello alla motivazione già resa in relazione agli altri imputati sulla pretesa contraddittorietà delle dichiarazioni, dal momento che a prescindere dalla diversa posizione processuale degli imputati tutti lamentavano tale contraddittorietà.
Come ricorda la Corte territoriale, il fatto attiene ad un infortunio sul lavoro avvenuto il 9 settembre 2005, a seguito del quale A.L. riportava un "trauma cranico commotivo in policontuso", per cui, dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale, decedeva (per "arresto cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria per stato comatoso, in soggetto con trauma cranico e toracico ed operato di craniotomia decompressiva ed evacuazione di ematoma sottodurale acuto) in data 24/9/05.
I giudici del gravame del merito ricordano anche che la ricostruzione dell'incidente non fu facile, perché resa particolarmente complessa dai comportamento reticente delle persone informate sui fatti. Ma, alla fine, il giudice di primo grado, dopo un attento esame delle deposizioni testimoniali rese durante l'espletamento della lunga istruttoria dibattimentale, della documentazione acquisita e della relazione tecnica espletata dal Consulente del PM dott. M.M., ritenendo unica plausibile la ricostruzione offerta da F.V. (operaio che lavorava insieme all'A.L. alle dipendenze di DF.D. e che il giorno dell'infortunio si trovava sul cantiere) ebbe a ritenere veritiera la ricostruzione offerta da quest'ultimo.
F.V., l'operaio che ha dichiarato di essere stato testimone oculare dell'infortunio, ebbe a riferire -come ricorda il giudice di prime cure- che la mattina del nove settembre stava lavorando con il collega A.L. alle dipendenze della DF.D. Costruzioni presso il cantiere di via OMISSIS di Capodrise e che, nel corso della pausa pranzo, il collega, recandosi verso il camion dell'impresa, "era caduto in un'apertura ampia due metri per due coperta da tavole di legno, attraverso, la quale doveva realizzarsi la scala di collegamento tra il piano terra e il garage". Il teste spiegava che l'apertura era protetta da alcune tavole di legno di due metri per cinquanta centimetri e dello spessore di tre centimetri, in uno stato talmente cattivo che egli le giudicava da buttare; riferiva che quelle tavole erano poggiate su quell'apertura da mesi e che il DF.D. e il F.M. avevano raccomandato espressamente agli operai che non dovevano camminarci sopra. Ricordava che nei giorni seguenti all'Infortunio questi ultimi gli avevano chiesto di mentire agli ispettori del lavoro, raccontando che i fatti si erano verificati presso 'il cantiere di via Cirillo per una caduta da uno scaletto; quando il F.M. aveva appreso che invece aveva raccontato la verità, era stato licenziato (dopo avere lavorato per cinque anni "a A.N." alle dipendenze di quei datori).
Ebbene, alla luce di tali elementi, con motivazione priva di aporie logiche, i giudici di merito hanno ritenuto che l'unica dinamica dei fatti possibile fosse la terza, ovvero quella raccontata dal F.V., secondo cui A.L. il 9/9/2005 stava lavorando presso il cantiere di via OMISSIS di Capodrise quando, camminando sopra delle tavole di legno che coprivano un'apertura sul piano di calpestio attraverso la quale doveva passare la scala di collegamento tra piano terra e garage, cadeva per il cedimento di tali tavole e, dopo un volo di quattro metri, impattava sul piano di calpestio sottostante. Da tale impatto violento derivavano le gravi lesioni toraciche e craniche che conducevano al suo, decesso dopo due settimane di ricovero in ospedale. D'altro canto - come rilevava già il giudice di primo grado- tale dinamica dei fatti spiega anche più agevolmente, rispetto ad una caduta da uno scaletto a libro alto circa un metro, le lesioni con esito letale riportate dall'A.L..
4. Nell'immediatezza dei fatti, dunque, come raccontato dagli agenti di PS del Commissariato di Marcianise, che avevano svolto le indagini era risultato difficile stabilire anche il luogo in cui era occorso l'infortunio e, dalle dichiarazioni rese dalle persone presenti in ospedale (la moglie dell'A.L. ed una vicina di casa) si era dapprima parlato di un incidente avvenuto nell'abitazione della vittima. Solo il giorno seguente sentite alcune persone informate sui fatti, le indagini erano state indirizzate verso un cantiere edile, sito in via Cirillo a Capodrise, dove venne sequestrato uno scaletto in ferro dal quale sarebbe avvenuta la caduta dell'A.L..
Solo dopo il decesso del predetto avvenuto il 24/9/05, nel dubbio che l'infortunio potesse essersi verificato a causa della caduta da uno scaletto, furono approfondite le indagini, ciò anche perché da fonti confidenziali si venne a conoscenza che l'infortunio si era verificato in un altro cantiere, gestito sempre da DF.D. ma sito in Capodrise alla via OMISSIS.
Eseguito un sopralluogo, insieme agli ispettori della ASL (in data 3/10/05), effettivamente, ivi veniva ritrovata un'apertura di due metri per due coperta da tavole, sovrastanti circa 4 metri dal piano di calpestio (in tale vano doveva essere posizionato un ascensore) dove era il garage.
Gli ispettori avevano rilevato una serie di violazioni alla normativa in materia di prevenzione di infortuni (le misure idonee da adottare per prevenire il rischio di caduta attraverso quell'apertura sarebbero state alternativamente quella di predisporre un parapetto lunghi i bordi dell'apertura o delle tavole dello spessore di almeno quattro centimetri fissate al suolo) perché le tavole erano di uno spessore inferiore a 4 cm ed erano semplicemente poggiate a terra. Non erano state riscontrate tracce ematiche.
Come si legge nella sentenza impugnata, la sopra ricordata deposizione di F.V., unitamente a quella di A.F., figlio della vittima, sono state ritenute chiarificatrici dell'intera vicenda.
A.F. era stato risentito presso il Commissariato P.5. di Marcianise ed aveva specificato che nell'immediatezza aveva riferito che il padre si era fatto male, cadendo da uno scaletto mentre lavorava presso il cantiere di via Grillo, in quanto tali circostanze gli erano state riferite in ospedale da DF.D. e che, in realtà, V.F., collega di lavoro del padre, gli aveva riferito circostanze differenti quando, subito dopo l'infortunio, si era recato presso il suo bar per comunicargli che il genitore era stato ricoverato in ospedale Il predetto gli aveva raccontato che il padre era caduto attraverso una botola nel garage dello stabile in cui stavano lavorando e che al momento del fatto, sul cantiere si trovavano solo loro due e che, per trasportarlo in ospedale, aveva dovuto chiedere aiuto a F.M., che si trovava in un bar vicino al cantiere Precisava che F.V., quando si era presentato presso il suo bar, aveva ancora gli abiti sporchi di sangue, tanto che si era lavato nel suo bagno.
F.V., dal suo canto, aveva riferito che conosceva A.L. poiché lavoravano insieme alle dipendenze di DF.D. e che il giorno dell'infortunio si trovava presso il cantiere di via OMISSIS in Capodrise, e quella mattina su indicazione di F.M. e DF.D. dovevano realizzare i tramezzi e buttare la calce sui telai delle porte. Verso mezzogiorno lui e l'A.L., dopo aver pranzato, (alle ore 13,10 circa), mentre F.M. si era allontanato e lui si era seduto nel cantiere al piano terra, l'A.L. si era alzato per portare la borsa nel camion, quando lungo il tragitto era caduto attraverso "una botola", nel garage sottostante. Riferiva di avere sentito un rumore e poi, di avere visto a terra l'A.L.. Precisava che, sulla botola, erano posizionati dei pannelli di legno e che il rumore era stato causato proprio dal cedimento di uno di quei pannelli rotto dal peso dell'A.L. mentre era intento a percorrerli. A seguito delle sue grida era immediatamente corso a chiamare il F.M. che, si trovava al bar vicino ed, insieme, avevano provveduto a trasportare l'infortunato all'ospedale di Marcianise, a bordo del camion Riferiva, poi, che nei giorni successivi all'evento lesivo F.M. e DF.D. gli avevano chiesto di mentire e di raccontare che l'infortunio non si era verificato nel cantiere di via OMISSIS, bensì in quello di Rione Cantone e che l'A.L. fosse caduto da uno scaletto, mentre faceva un rappezzo. Riferiva, inoltre che, quando il F.M. aveva saputo che aveva raccontato la verità, l'aveva licenziato.
La conferma delle dichiarazioni rese dal F.V., circa il tentativo dell'imputato DF.D. di sviare le indagini -ricorda ancora la sentenza impugnata- viene individuata nel racconto di T.M., pavimentista che, all'epoca dei fatti, pure lavorava alle dipendenze della DF.D. Costruzioni.
Il T.M. riferiva che la sera dell'Infortunio era stato contattato dal DF.D., il quale gli aveva raccontato l'accaduto, specificando che la caduta si era verificata presso il cantiere Europa (dove egli non aveva mai visto lavorare l'A.L.), mentre qualche giorno dopo gli aveva chiesto di dichiarare di aver assistito alla caduta dell'A.L. dallo scaletto, sicché in un primo momento si era dichiarato disponibile, ma, poi, appresa la gravità dei fatti, aveva ritrattato il tutto, riferendo quanto realmente accaduto agli ispettori del lavoro.
T.G., coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione del cantiere di via OMISSIS in Capodrise (aveva anche redatto il piano di sicurezza di coordinamento), aveva, poi, riferito che nel mese di settembre era tornato sul cantiere ed aveva rilevato delle carenze in materia di sicurezza, per cui aveva invitato gli imputati a regolarizzare la situazione prima della ripresa delle lavorazioni (sospese per ferie) ed, in particolare, a sistemare i parapetti ed il ponteggio e, visto che essi non provvedevano, a fine settembre aveva, addirittura, minacciato di denunciare il mancato adeguamento. Recatosi, poi, il 4 ottobre al cantiere, lo aveva trovato chiuso.
Già il giudice di primo grado, peraltro, pur avallando la ricostruzione fornita da F.V., perché ritenuta più plausibile alla luce dell'intera istruttoria espletata non si è sottratto ad un attento vaglio delle altre ricostruzioni.
La sentenza impugnata, pertanto, sotto il profilo della ricostruzione del fatto, non si presta a censure di legittimità.
5. E nemmeno si presta a censure sotto il profilo dell'individuazione delle responsabilità. 
L'odierno ricorrente A.N. -come si legge a pag. 11 della sentenza impugnata- era il committente, ed anche il direttore dei lavori, in quanto era stabilmente presente in cantiere, partecipando attivamente all'andamento dello stesso, e non risulta provata la sua esclusione dai poteri decisionali inerenti la gestione del cantiere.
Il F.V., come ricorda sempre il giudice di primo grado a pag. 8 della propria sentenza precisava che nel, corso dell'esecuzione dei lavori il committente A.N., proprietario dell'immobile e direttore dei lavori, frequentava il cantiere recandovisi quasi quotidianamente. E anche il responsabile per la sicurezza T.G. si recava in loco di frequente durante l'orario di lavoro, "un giorno sì e un giorno no". I lavori erano giunti alla fase della realizzazione delle tompagnature e la botola nella quale era caduto l'A.L. doveva essere il vano di passaggio di una scala.
Il medesimo teste specificava che la persona che dirigeva il cantiere, e che dava le disposizioni sulle lavorazioni era F.M.; il A.N. invece non impartiva loro ordini ma si confrontava con il F.M. ed il DF.D., con i quali dava la sensazione "di concertare l'andamento delle lavorazioni".
Il giorno dell'infortunio - riferiva ancora il F.V.- il A.N. non era presente sul cantiere ma vi era stato due o tre giorni prima; specificava, come detto, che la botola era coperta con quelle tavole in legno da mesi e ("loro") il F.M. e il DF.D. avevano avvisato di non camminarci sopra (pag. 23 della trascrizione della deposizione). Le tavole erano tre ed erano dello spessore di tre/quattro centimetri, larghe cinquanta centimetri per due metri ed erano vecchie in quanto il legno era deteriorato, marcio, "da buttare" (pagi 33 della trascrizione della deposizione).
L'odierno ricorrente, dunque, rivestiva una duplice posizione di garanzia, in quanto era il committente e dirigeva, di fatto, il cantiere.
Non sfugge che, in un caso come quello che ci occupa, basterebbe già la prima a delinearne la responsabilità penale.
Costituisce, infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte quella che vuole, in materia di responsabilità colposa, che il committente di lavori dati in appalto debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l'incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa. Egli ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in un caso relativo alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).
E' pur vero che è stato di recente precisato - e va qui riaffermato- che in tema di infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo, (cfr. Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016 dep. il 2017, Vettor, Rv. 270100 in una fattispecie in tema di appalto di lavori di pulizia all'Interno dell'azienda, in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto la responsabilità del committente in relazione al reato di lesioni colpose, per aver dato incarico ad un lavoratore di pulire il piazzale della ditta usando soda caustica, senza assicurarsi che il datore di lavoro appaltatore avesse spiegato al dipendente la necessità di cambiare gli indumenti contaminati dalla predetta sostanza pericolosa; conf. Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi ed altri, Rv. 264974-75).
Rimane anche fermo il principio che, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in de-terminate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (così la condivisibile Sez. 3, n. 12228 del 25/2/2015, Cicuto, Rv. 262757 che, in applicazione del principio, ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio). Tuttavia va anche ribadito -ed è il caso che ci occupa- che il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (cfr. Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012 dep. il 2013, Bracci, Rv. 255282, in un caso di inizio dei lavori nonostante l'omesso allestimento di idoneo punteggio).
Vale anche l'ulteriore precisazione che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice (c.d. cantiere "sotto - soglia"), è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (così Sez. 4, n. 23171 del 9/2/2016, Russo ed altro, Rv. 266963, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilità a titolo di omicidio colposo del committente, il quale aveva omesso non solo di verificare l'idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice, in relazione alla entità e tipologia dell'opera, ma anche di attivare i propri poteri di inibizione dei lavori, a fronte della inadeguatezza dimensionale dell'impresa e delle evidenti irregolarità del cantiere).
6. Il A.N., in ogni caso, come si è detto, non solo era il committente dei lavori, ma era costantemente presente in cantiere, concordando con l'impresa i lavori da eseguire.
Sotto i suoi occhi si svolgeva un'attività, con maestranze al A.N. e con il totale spregio della normativa antinfortunistica, la cui pericolosità non poteva sfuggirgli.
Si palesa, peraltro evidente l'assoluta ininfluenza che vi fosse un contratto di appalto che prevedesse la nomina di un preposto ai lavori.
Costituisce, infatti, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così questa Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).
In relazione al motivo di ricorso fondato sull'avvenuta chiusura del cantiere in cui è avvenuto l'incidente, lo stesso oltre che inammissibile in quanto non è proponibile in questa sede un accertamento del merito, appare infondato in quanto chiaramente acclarata e congruamente motivata è la ragione per cui i giudici di merito hanno ritenuto accertato che l'incidente sia effettivamente accaduto nel cantiere formalmente chiuso. Anzi proprio l'avvenuta formale chiusura del cantiere rende il committente responsabile dell'incidente, dal momento che lo stesso, a prescindere da una sua effettiva ingerenza nella direzione dei lavori, non poteva in qualità di proprietario non sapere della continuazione dei lavori e della pericolosità del cantiere tanto da chiuderlo formalmente.
7. I giudici di merito fanno buongoverno dei principi più volte affermati da questa Corte secondo cui l’applicazione del principio di colpevolezza d’altro canto esclude un automatico addebito di responsabilità a carico di chi ricopre una posizione di garanzia, imponendo la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto della regola cautelare (generica o specifica) e della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire (la cosiddetta "concretizzazione del rischio".
Ebbene nel caso che ci occupa correttamente è stato ritenuto che la caduta dell’A.L., seguita al cedimento delle tavole di legno poste a copertura di un'apertura delle dimensioni di due metri per due presente nel cantiere dove stava lavorando, rappresenti proprio la concretizzazione dell'unico rischio ipotizzabile legato all'esistenza di quell'apertura, appunto la caduta dall'alto.
Quell'ampio vano, infatti, si apriva in un solaio che distava quattro metri, dal piano di calpestio sottostante, di guisa che la caduta da tale altezza era altamente probabile data l'ampiezza dell'apertura, oltre che pericolosissima, poiché un volo di quattro metri con impatto su una superficie dura importa certamente lesioni gravissime se non la morte dell'infortunato.
Le uniche due misure di sicurezza utilizzabili per, ovviare a tale unico prevedibile rischio, di facile individuazione ed adozione, anche, in considerazione del loro esiguo costo, erano alternativamente, quella della predisposizione di un parapetto sui bordi dell'apertura - sufficientemente alto e resistente -, o quella della copertura del vano con tavolate fissate al suolo fatte di materiale calpestabile e, se in legno, dello spessore non inferiore a quattro centimetri (come riferito dell'ispettore del lavoro A.).
Nel caso che ci occupa, invece, nessuna delle due misure è stata adottata, né quella del parapetto né quella della copertura idonea atteso che, per come riferito dal teste F.V., le tavole utilizzate non erano fissate al suolo ed erano in cosi cattivo stato che le aveva giudicate "da buttare,".
Non va trascurato, a riscontro delle dichiarazioni del F.V., che il mese successivo all'infortunio l'ispettore A., in occasione del sopralluogo effettuato presso quel cantiere, ebbe a riscontrare ché l'apertura era ancora esistente e che era coperta da tavole di legno semplicemente poggiate al suolo e non fissate e di uno spessore inferiore ai quattro centimetri.
Tale ultimo elemento - rilevano condivisibilmente i giudici del merito- sconcerta se si pensa che nemmeno l'infortunio mortale dell'A.L., già deceduto al momento del sopralluogo degli ispettori dell'A.S.L. presso il cantiere di via OMISSIS, ha rappresentato un motivo sufficiente per mettere in sicurezza quell'amplissima apertura.
8. Ancora, va rilevata l'infondatezza del motivo di ricorso che attiene alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche valutando, negativamente, per tutti gli imputati, come la condotta sia gravissima, se si considera che i lavoratori impiegati su quel cantiere erano tutti assunti in A.N., ovvero sicuramente l’A.L. e il F.V. ma anche i muratori albanesi cui ha fatto cenno quest'ultimo nel corso dell'esame dibattimentale. Inoltre T.G., coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione del cantiere di via OMISSIS, aveva contestato ripetutamente nel mese di settembre l'inadeguatezza delle misure di sicurezza adottate in quel cantiere, facendo espresso riferimento all'assenza di parapetti e ponteggi, giungendo fino alla sospensione del cantiere e alla minaccia di sporgere, denuncia alle autorità competenti.
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell'alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
Va ricordato che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell'articolo 62 bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l'incensuratezza dell'imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che sarebbe stato assolutamente sufficiente che il giudice si fosse limitato a dar conto, di avere ritenuto l'assenza di elementi o circostanze positive a tale fine. 
E in ogni caso è pacifico il dictum di questa Corte secondo cui, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (così sez. 2, n. 3609 del 18.1.2011, Sermone ed altri, rv. 249163; conf., ex plurimis, sez. 6, n. 7707 del 4.12.2003 dep. il 23.2.2004, Anaclerio ed altri, rv. 229768).
In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell' imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex plurimis, Sez. 1, n. 29679 del 13/6/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891; Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 1 n. 12496 del 21/9/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20/6/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882).
9. In ultimo, va rilevata l'infondatezza della doglianza circa la mancata sospensione della provvisionale, che la Corte territoriale motiva con la mancata prova del danno grave ed irreparabile cui andrebbe incontro l'appellante con il pagamento della somma indicata in sentenza.
Ebbene, la sentenza impugnata, anche sul punto, si colloca nell'alveo della costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini dell'accoglimento della richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna civile al pagamento di una provvisionale è necessaria la ricorrenza di un pregiudizio eccessivo per il debitore, che può consistere nella distruzione di un bene non reintegrabile ovvero, se si tratta di somme di denaro, nel nocumento derivante dal palese stato di insolvibilità del destinatario della provvisionale, tale da rendere impossibile o altamente difficoltoso il recupero di quanto pagato, nel caso di modifica della condanna (così Sez. 5, n. 19351 del 18/12/2017 dep. il 2018, Zambrelli, Rv. 273202 in relazione ad una fattispecie in cui il ricorrente non aveva esposto, se non genericamente, le ragioni a sostegno della richiesta di sospensione, lamentando l'esistenza di un danno grave ed irreparabile in ragione dell'esiguità della pensione da egli percepita, non adempiendo all'onere probatorio richiesto; conf. Sez. 4, ord. n. 28589 del 2/2/2016, Masini, Rv. 267819).
In altri termini, la irreparabilità del danno per chi è chiamato a corrispondere una provvisionale può derivare o dalla circostanza che la somma di denaro liquidata sia particolarmente elevata in rapporto alla disponibilità dell'obbligato, sì che questi corra il rischio di essere privato di beni necessari per le sue esigenze esistenziali; o dalla circostanza che la futura insolvenza del creditore possa mettere in pericolo la possibilità di recupero della futura somma (vedasi al riguardo l'insegnamento di Sez. 4, ord. n. 40075 del 08/05/2015, Montermini e altri, Rv. 264513; Sez. 2, n. 4188 del 14/2010 dep. 2011, Manganello, Rv. 249401; Sez. 4, ord. n. 1813 del 04/10/2005 dep. 2006, Mastropasqua, Rv. 233180).
Tanto precisato, si osserva che in ordine alle capacità economiche delle parti civili, nulla di specifico veniva detto nell'atto di appello al fine di un giudizio sulla capacità risarcitoria delle stesse ove la condanna civile venisse a cadere.
La presenza del pregiudizio grave ed irreparabile non può, infatti, essere desunta dall'entità, in sé, della somma in concreto liquidata a titolo di provvisionale (30.000,00 euro per ciascuna delle parti civili), poiché essa non è particolarmente sproporzionata rispetto al danno arrecato dal delitto contestato (la perdita della vita di A.L.).
10. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che liquida in complessivi euro quattromila oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 25 ottobre 2018

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 54010 Anno 2018.pdf
 
974 kB 3

Decreto 22 novembre 2002

ID 7339 | | Visite: 13092 | Prevenzione Incendi

Decreto 22 novembre 2002

Decreto 22 novembre 2002 / Abrogato

Disposizioni in materia di parcamento di autoveicoli alimentati a gas di petrolio liquefatto all'interno di autorimesse in relazione al sistema di sicurezza dell'impianto. 
(GU n.283 del 03-12-2002)

Abrogazione

Il Decreto del Ministero dell’Interno 15 maggio 2020 (GU n.132 del 23-05-2020), che è entrato in vigore il 19 novembre 2020 ha abrogato il Decreto 22 novembre 2002 e il decreto 1° febbraio 1986.

PI Autorimesse: Piani interrati e fuori terra / Altezze / Aerazione / GPL
_____

Art. 1. Parcamento di autoveicoli alimentati a gas di petrolio liquefatto all'interno di autorimesse in relazione al sistema di sicurezza dell'impianto

1. Il parcamento degli autoveicoli alimentati a gas di petrolio liquefatto con impianto dotato di sistema di sicurezza conforme al regolamento ECE/ONU 67-01 è consentito nei piani fuori terra ed al primo piano interrato delle autorimesse, anche se organizzate su più piani interrati.

2. Le definizioni di piano interrato e di piano fuori terra sono riportate nel punto 1.1.1 dell'allegato al decreto ministeriale 1° febbraio 1986, rispettivamente alla lettera a) ed al primo periodo della lettera b).

Art. 2. Condizioni di sicurezza delle autorimesse

1. Le autorimesse di cui al precedente art. 1 sono conformi al decreto ministeriale 1° febbraio 1986. Nel caso di autorimesse soggette ai controlli di prevenzione incendi è richiesto il rispetto delle procedure di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37.

2. All'ingresso dell'autorimessa è installata cartellonistica idonea a segnalare gli eventuali divieti derivanti dalle limitazioni al parcamento di autoveicoli alimentati a gas di petrolio liquefatto di cui al precedente art. 1.

Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
...
Collegati

Legge 1° dicembre 2018 n. 132

ID 7330 | | Visite: 22319 | News Sicurezza

Legge 1  dicembre 2018 n  132

Legge 1° dicembre 2018 n. 132

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate.

(GU Serie Generale n.281 del 03-12-2018)

Entrata in vigore del provvedimento: 04/12/2018

Nella Gazzetta del 03 dicembre 2018 è stata pubblicata la Legge 1° Dicembre 2018 n. 132, il allegato il testo ed a seguire le novità d'interesse sicurezza, in particolare:

Novità:
1. Monitoraggio cantieri (comunicazione notifica preliminare LP al prefetto) (Art. 26)
2. Piano di emergenza interno impianti di stoccaggio e lavorazione rifiuti (Art. 26-bis)

Si veda: Piano di emergenza interno per gli impianti di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti

...

Di seguito si riportano alcuni articoli di interesse:

Art. 25. Sanzioni in materia di subappalti illeciti

1. All’articolo 21, comma 1, della legge 13 settembre 1982, n. 646, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, le parole «l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda» sono sostituite dalle seguenti:
«la reclusione da uno a cinque anni e con la multa»;
b) al secondo periodo, le parole «dell’arresto da sei mesi ad un anno e dell’ammenda» sono sostituite dalle seguenti: «della reclusione da uno a cinque anni e della multa.».

Art. 21, comma 1, della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, alla legge 10 febbraio 1962, n. 57 e alla legge 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 settembre 1982, n. 253, come modificato dalla presente legge:

Art. 21

Chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore ad un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto. Nei confronti del subappaltatore e dell’affidatario del cottimo si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa pari ad un terzo del valore dell’opera ricevuta in subappalto o in cottimo. È data all’amministrazione appaltante la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto. (Omissis).

Art. 26. Monitoraggio dei cantieri

1. All’articolo 99, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, dopo le parole «provinciale del lavoro » sono inserite le seguenti: « nonché, limitatamente ai lavori pubblici, al prefetto.

Art. 99, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 aprile 2008, n. 101, supplemento ordinario, come modificato dalla presente legge:

Art. 99 (Notifica preliminare)

1. Il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’inizio dei lavori, trasmette all’azienda unità sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro nonché, limitatamente ai lavori pubblici, al prefetto territorialmente competenti la notifica preliminare elaborata conformemente all’allegato XII, nonché gli eventuali aggiornamenti nei seguenti casi:
a) cantieri di cui all’art. 90, comma 3;
b) cantieri che, inizialmente non soggetti all’obbligo di notifica, ricadono nelle categorie di cui alla lettera a) per effetto di varianti sopravvenute in corso d’opera;
c) cantieri in cui opera un’unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a duecento uomini-giorno. (Omissis )

Art. 26-bis. Piano di emergenza interno per gli impianti di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti

1. I gestori di impianti di stoccaggio e di lavorazione dei rifiuti, esistenti o di nuova costruzione, hanno l’obbligo di predisporre un piano di emergenza interna allo scopo di:

a) controllare e circoscrivere gli incidenti in modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per la salute umana, per l’ambiente e per i beni;
b) mettere in atto le misure necessarie per proteggere la salute umana e l’ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti;
c) informare adeguatamente i lavoratori e i servizi di emergenza e le autorità locali competenti;
d) provvedere al ripristino e al disinquinamento dell’ambiente dopo un incidente rilevante.

2. Il piano di emergenza interna è riesaminato, sperimentato e, se necessario, aggiornato dal gestore, previa consultazione del personale che lavora nell’impianto, ivi compreso il personale di imprese subappaltatrici a lungo termine, ad intervalli appropriati, e, comunque, non superiori a tre anni. La revisione tiene conto dei cambiamenti avvenuti nell’impianto e nei servizi di emergenza, dei progressi tecnici e delle nuove conoscenze in merito alle misure da adottare in caso di incidente rilevante.

3. Per gli impianti esistenti, il piano di emergenza interna di cui al comma 1 è predisposto entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (04 Marzo 2019 / ndr).

4. Il gestore trasmette al prefetto competente per territorio tutte le informazioni utili per l’elaborazione del piano di emergenza esterna, di cui al comma 5.

5. Per gli impianti di cui ai commi precedenti, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti, il prefetto, d’intesa con le regioni e con gli enti locali interessati, predispone il piano di emergenza esterna all’impianto e ne coordina l’attuazione.

6. Il piano di cui al comma 5 è predisposto allo scopo di:
a) controllare e circoscrivere gli incidenti in modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per la salute umana, per l’ambiente e per i beni;
b) mettere in atto le misure necessarie per proteggere la salute umana e l’ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti, in particolare mediante la cooperazione rafforzata con l’organizzazione di protezione civile negli interventi di soccorso;
c) informare adeguatamente la popolazione, i servizi di emergenza e le autorità locali competenti;
d) provvedere sulla base delle disposizioni vigenti al ripristino e al disinquinamento dell’ambiente dopo un incidente rilevante.

7. Il prefetto redige il piano di emergenza esterna entro dodici mesi dal ricevimento delle informazioni necessarie da parte del gestore, ai sensi del comma 4 (dal 04 Marzo 2020 / ndr).

8. Il piano di cui al comma 5 è riesaminato, sperimentato e, se necessario, aggiornato, previa consultazione della popolazione, dal prefetto ad intervalli appropriati e, comunque, non superiori a tre anni (dal 04 Marzo 2023 / ndr). La revisione tiene conto dei cambiamenti avvenuti negli impianti e nei servizi di emergenza, dei progressi tecnici e delle nuove conoscenze in merito alle misure da adottare in caso di incidenti rilevanti.

9. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con il Ministro dell’interno per gli aspetti concernenti la prevenzione degli incendi, previo accordo sancito in sede di Conferenza unificata, sono stabilite le linee guida per la predisposizione del piano di emergenza esterna e per la relativa informazione alla popolazione (DPCM del 27/08/2021 / ndr).

10. All’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


...

Collegati:

Segnalazione acustica allarme incendio: la norma UNI in arrivo

ID 7331 | | Visite: 13442 | News Prevenzioni Incendi

Segnalazione acustica allarme incendio

Segnalazione acustica allarme incendio: la norma UNI in arrivo

Update 04 Aprile 2019

Pubblicata la:

UNI 11744:2019
Sistemi fissi automatici di rivelazione e di segnalazione allarme d'incendio - Caratteristica del segnale acustico unificato di pre-allarme e allarme incendio
http://store.uni.com/catalogo/index.php/uni-11744-2019.html

Update 04 dicembre 2018

E' in inchiesta pubbica finale, fino al 23 gennaio 2018, il progetto di norma UNI1604567 Sistemi fissi automatici di rivelazione e di segnalazione allarme d’incendio - Caratteristica del segnale acustico unificato di pre-allarme e allarme incendio”,

Il progetto fornisce le caratteristiche del segnale acustico unificato di allarme incendio, in termini di segnale di preallarme e segnale di allarme evacuazione, utilizzato sui dispositivi acustici dei sistemi fissi automatici di rivelazione incendio.

Estratto

INTRODUZIONE
La sicurezza antincendio delle attività e degli edifici si completa con una corretta progettazione del sistema di segnalazione degli allarmi affinché, una volta diffuso l'allarme incendio, gli occupanti possano evacuare l'edificio o l'area interessata.
La presente norma intende fornire, pertanto, le caratteristiche del segnale audio da diffondere in emergenza affinché gli occupanti possano evacuare l'edificio o parti di esso in caso di incendio. Nella progettazione dei sistemi di segnalazione acustica degli allarmi in emergenza devono essere considerate le caratteristiche audio e i rumori di fondo degli ambienti da proteggere, individuando sia livelli adeguati di pressione sonora sia frequenze appropriate che possano attirare l'attenzione degli occupanti ed indirizzarli all'esodo dell'edificio.
Oltre le prestazioni audio, la diffusione di un tono univoco rispettivamente per il segnale di pre-allarme e per il segnale di allarme evacuazione consente di poter ridurre il tempo di ricognizione e di attività prima che gli occupanti inizino il processo di esodo (Recognition Time and Pre Travel Activity Time) con un beneficio in termini di tempo di esodo in condizioni di sicurezza (RSET Requested Safety Egress Time).

SCOPO E CAMPO DI APPLICAZIONE
La presente norma fornisce le caratteristiche del segnale acustico unificato di allarme incendio, in termini di segnale di preallarme e segnale di allarme evacuazione, utilizzato sui dispositivi acustici dei sistemi fissi automatici di rivelazione incendio.
La presente norma definisce due parametri acustici del segnale: il pattern e il livello di pressione sonora richiesto e udibile in tutte le aree dell'edificio.
Il segnale acustico, attivato in seguito ad un preallarme e/o allarme evacuazione, ha lo scopo di indicare senza ambiguità e a tutti gli occupanti all'interno dell'area, che sussiste una situazione di avviso e/o emergenza tale da richiedere l'evacuazione.
Il segnale acustico specificato in questa norma è inteso da utilizzarsi in edifici indipendentemente dalla loro destinazione d'uso quali, ad esempio, scuole, hotel, edifici residenziali, luoghi di lavoro, edifici di tipo commerciale, ecc.
La presente norma può essere utilizzata, inoltre, per aree esterne proprie e adiacenti all'edificio.
La presente norma tratta solo le segnalazioni acustiche di allarme incendio e/o facenti parte dei sistemi previsti nella UNI 9795. Tutte le altre segnalazioni acustiche non sono trattate dalla presente norma.
I dispositivi utilizzati per la generazione del segnale acustico sono in conformità alla EN 54-3.

Proposal for guidelines Directive 2013/59/Euratom

ID 7322 | | Visite: 4276 | Documenti Riservati Sicurezza

Proposal for guidelines 2013 59 Euratom

Proposal for guidelines for the transposition and implementation of the provisions of Directive 2013/59/Euratom on EP&R

Final report - Study 2018

This report presents a survey on the strategies and plans of 10 selected EU member states (MS) for the transposition and implementation of the EP&R provisions of the BSS Directive. With a view to supporting more coherent approaches to the implementation of the BSS Directive, it presents results of a survey to identify the main emergency preparedness and response topics of the Directive for which further guidelines appear to be mostly welcomed by the MS.

This report analyses also the international standards and guidance (IAEA, ICRP) to assess to what extent they could fulfil the needs for the transposition and the implementation of the provisions related to the EP&R provisions of the BSS Directive.

The European Atomic Energy Community has established in the Council Directive 2013/59/Euratom laying down basic safety standards for protection against the dangers arising from exposure to ionising radiation (BSS) an advanced set of safety standards to protect workers, members of the public and patients. It entered into force on 6 February 2014 and is to be transposed into Member States’ (MS) national legislation by 6 February 2018.

In December 2015, the Council of the European Union adopted a set of Council Conclusions pertaining to off-site emergency preparedness and response (EP&R) serving to highlight the importance of EP&R to policymakers, decision-makers and the public in the EU.

The Council Conclusions emphasize measures to improve coordination and to better align EP&R arrangements among MS, especially in cases where an accident may affect neighbouring countries.

The European Commission is invited to organise workshops to facilitate the consistent transposition and implementation of the BSS Directive, aiming at developing a coherent approach to EP&R provisions of the Directive, including discussion of:

- Protection strategies and optimization approaches, including the use of reference levels;
- Generic criteria, operational criteria, default triggers;
- Arrangements for the transition from emergency to existing exposure situations;
- Emergency response arrangements and information to the public.

...

Introduction
2 Methodology
3 Provisions of the BSS Directive on EP&R
3.1 The new BSS Directive
3.2 General description of new and extended provisions in the BSS Directive
3.2.1 Emergency management system
3.2.2 International cooperation
3.2.3 Emergency response
3.2.4 Reference levels for public exposures in an emergency exposure situation
3.2.5 Protection of emergency workers
4 Challenges in the implementation of EP&R provisions under the BSS Directive
5 ICRP and IAEA standards and recommendations pertaining to EP&R
5.1 ICRP Publications
5.2 IAEA Safety Standards and technical guidance
5.2.1 Safety Standards
5.2.2 Technical Guidance
6 Transposition status of the EP&R provisions of the BSS Directive by the 10 selected MS
7 Need for guidelines or recommendations
8 The HERCA working groups on EP&R
9 Discussion on the topics related to EP&R of the BSS Directive
9.1 Transition from an emergency exposure situation to an existing exposure situation including recovery and remediation
9.1.1 Issues to be further addressed
9.1.2 Available international guidance
9.1.3 Preliminary guidance or recommendations
9.2 Generic criteria for particular protective measures, default triggers, operational criteria for particular actions
9.2.1 Issues to be further addressed
9.2.2 Available international guidance
9.2.3 Preliminary guidance or recommendations
9.3 Protection strategies for the public and optimisation approaches
9.3.1 Issues to be further addressed
9.3.2 Available international guidance
9.3.3 Preliminary guidance or recommendations
9.4 Reference levels
9.4.1 Issues to be further addressed
9.4.2 Available international guidance
9.4.3 Preliminary guidance or recommendations
9.5 Involvement of stakeholders
9.5.1 Issues to be further addressed
9.5.2 Available international guidance
9.5.3 Preliminary guidance or recommendations
9.6 Reference levels for emergency occupational exposure
9.6.1 Issues to be further addressed
9.6.2 Available international guidance
9.7 Assessment of potential emergency exposure situations and associated public and emergency occupational exposures
9.8 Information to the public (likely to be affected or actually affected in the event of an emergency)
9.8.1 Issues to be further addressed
9.8.2 Available international guidance
9.8.3 Preliminary guidance or recommendations
9.9 Prior information and training for emergency workers and all other persons with duties and responsibilities in emergency response
9.9.1 Issues to be further addressed
9.9.2 Available international guidance
9.9.3 Preliminary guidance or recommendations
9.10 International cooperation
9.10.1 Issues to be further addressed
9.10.2 Available international guidance
9.11 Health protection of emergency workers
9.11.1 Issues to be further addressed
9.11.2 Available international guidance
10 Proposal for guidelines
10.1 Transition from an emergency exposure situation to an existing exposure situation including recovery and remediation
10.2 Generic criteria for particular protective measures, default triggers, operational criteria for particular actions
10.3 Protection strategies for the public and optimisation approaches
10.4 Reference levels for public exposure
10.5 Involvement of stakeholders
10.6 Reference levels for emergency occupational exposure
10.7 Assessment of potential emergency exposure situations and associated public and emergency occupational exposures
10.8 Information to the public (likely to be affected or actually affected in the event of an emergency)
10.9 Prior information and training for emergency workers and all other persons with duties and responsibilities in emergency response
10.10 International cooperation
10.11 Health protection of emergency workers
11 Conclusions
12 References
Annex 1: Questionnaire sent to the 10 selected MS on the transposition and implementation of the BSS provisions on EP&R
Annex 2: Questionnaire on EP&R sent to HERCA and WENRA
Annex 3: Compilation of the answers received by HERCA-WENRA to the questionnaire
Annex 4: Provisions of the BSS Directive on EP&R

_______

Fonte: Commissione Europea

Collegati:

Procedure standardizzate aziende fino a 50 addetti: note e commenti

ID 6759 | | Visite: 28809 | Documenti Riservati Sicurezza

Procedure standardizzate 50 addetti

Procedure standardizzate aziende fino a 50 addetti: note e commenti

Scheda 07.09.2018

La scheda allegata illustrata la possibilità legislativa di utilizzare le Procedure Standardizzate per la Valutazioni dei rischi nelle imprese fino a 50 addetti in alternativa al DVR e a quali condizioni, in fondo al Documento le FAQ MISE sulle Procedure Standardizzate del 31.05.2013.

Le Procedure Standardizzate sono un "Documento semplificato e già strutturato" per la valutazione dei rischi per i datori di lavoro di imprese che occupano fino a 10 lavoratori o che ccupano fino a 50 lavoratori (condizionato) di cui al Decreto Interministeriale 30.11.2012.

Le Procedure Standardizzate, quindi, possono essere utilizzate anche per la Valutazione dei Rischi per imprese che occupano fino a 50 lavoratori, salvo esclusioni di cui all'Art. 29 comma 7 del D.Lgs. 81/2008.

Imprese che occupano fino a 50 lavoratori - Procedure Standardizzate

Le esclusioni sono indicate all'Art. 29 c. 7 del D.Lgs. 81/2008:
...
Art. 29.
Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi
...
6. Fermo restando quanto previsto al comma 6-ter, (1) i datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f)....[...]
...
6-ter. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sulla base delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici dell’INAIL e relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda. Il decreto di cui al primo periodo reca in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e al presente articolo. Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 del presente articolo.

7. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano alle attività svolte nelle seguenti aziende:
a) aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);
b) aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all'esposizione ad amianto;

Si suddividono i commenti in 1 e 2.

1. Attività dove non si possono applicare le procedure standardizzate anche se addetti ≤ 50

Art. 7 c. a) aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);
...
Art. 31.
Servizio di prevenzione e protezione
6. L'istituzione del servizio di prevenzione e protezione all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
a) nelle aziende industriali di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all'obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;
b) nelle centrali termoelettriche;
c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;
d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
...
f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori; (inteso come industrie estrattive?)
g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori. (inteso come strutture di ricovero...?)

2. Attività dove non si possono applicare le procedure standardizzate anche se addetti ≤ 50

Art. 7 c. b) Aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all'esposizione ad amianto

Precisazini in ordine al punto 2

In ordine a quanto riportato all'Art. 7 c. b è stata data risposta dalla CCP a domanda del CNI e pubblicata con l'Interpello n. 14 del 24/10/2013 su cosa si intenda per "non esposizione a rischi chimici": in estrema sintesi, è possibile utilizzare le Procedure Standardizzate quando vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori.

Nell'Interpello infatti si precisa infatti che se in una azienda non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico, inteso come  “Art. 224...se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230”, allora è possibile utilizzare le Procedure Standardizzate (analogo per il rischio biologico).

Non vi sono precisazioni su:
- atmosfere esplosive (chiaro luoghi ATEX)
- cancerogeni mutageni (chiaro)
- connessi all'esposizione ad amianto (da precisare, eventuali deroghe per attività ESEDI?)

Ovviamente le condizioni devono essere tutte verificate, nessuno dei rischi elencati deve essere presente.

Interpello n. 14 del 24/10/2013

Oggetto: art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni – risposta al quesito relativo all’utilizzo o meno delle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi.

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito al possibile utilizzo delle procedure standardizzate per le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori” e il cui rischio biologico sia risultato “non evidenzia rischi per la salute dei lavoratori”. Inoltre si chiede se tutte le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “non basso per la sicurezza e/o non irrilevante per la salute dei lavoratori” e il cui rischio biologico sia risultato “evidenzia rischi per la salute dei lavoratori” non debbano utilizzare le procedure standardizzate oppure se vi siano esclusioni per alcune attività lavorative, ad esempio istituti di istruzione, uffici in genere, ecc., per le quali sia comunque consentita la valutazione dei rischi utilizzando le procedure standardizzate.

L’articolo 29, comma 6, del D.Lgs. 81/2008 prevede che “i datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f)”. Il successivo comma 7, lett. b), specifica che le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano alle “aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto”.
L’art. 223, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni impone al datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi di cui all’art. 28, del citato decreto, di determinare “preliminarmente l’eventuale presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro” e di valutare “anche i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti”.
L’art. 271, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni prevede che il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi di cui all’art. 17, comma 1 “tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative”. 

Re_

L’art. 224, comma 2, del D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni prevede che “se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230”.

Quando a seguito della valutazione appena riportata risulta che in azienda non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico (vedi art. 29, comma 7, lett. b) D.Lgs. 81/2008), il datore di lavoro di un’impresa che occupa fino a 50 lavoratori può adottare le procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f., del D.Lgs. 81/2008. Vista l’analogia delle disposizioni di riferimento (vedi art. 271, comma 4, D.Lgs. 81/2008), le considerazioni su esposte valgono anche per il rischio biologico.
Resta inteso che, qualora dall’esito della valutazione dei rischi non ricorrano le condizioni di mancata esposizione appena richiamate, non sarà possibile utilizzare le procedure standardizzate. 

(1) Il d.l. 21 giugno 2013, n. 69 convertito con modificazioni nella Legge 9 agosto 2013, n. 98 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia (art. 32, c. 1, lett. b), dispone la modifica dell'art. 29, commi 5 e 6 e aggiunge i commi 6-ter e 6-quater.
Il comma 2 dell'art. 32 dispone che il decreto di cui al comma 6 ter venga adottato entro 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso.

Procedure standardizzate aziende fino a 50 addetti 00
Tabella riepilogativa 
PS: Procedure Standardizzate
DVR: Documento di Valutazione dei Rischi

(1) [...]

(2) (Esposizioni Sporadiche E di Debole Intensità), previste dal D.Lgs. 81/2008 Art. 249 c. 2, per le quali sono esentati determinati obblighi del D.Lgs. 81/2008 relativi all'amianto.

Vedi il Prodotto Certifico Procedure Standardizzate



Certifico Procedure Standardizzate

Prodotto/Linea guida per la redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) secondo le Procedure Standardizzate, per le piccole aziende con un numero di addetti inferiore a 10 di cui al Decreto Interministeriale 30.11.2012

Le Procedure Standardizzate possono essere utilizzate anche per la Valutazione dei Rischi per imprese che occupano fino a 50 lavoratori, salvo esclusioni di cui All'Art. 29 comma 7 del D.Lgs. 81/2008.

Il prodotto è completato da 72 Check List per l’individuazione dei pericoli da inserire nel DVR, estratte dal Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/2008 e da altra legislazione correlata.

Vedi Prodotto

Certifico Srl – IT
©Copia autorizzata Abbonati

Collegati

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Procedure standardizzate aziende fino a 50 addetti - Note e commenti Rev. 00 2018.pdf
Certifico Srl - Rev. 0.0 2018
185 kB 428

Legge 12 marzo 1999 n. 68

ID 7310 | | Visite: 5619 | News Sicurezza

Legge 12 marzo 1999 n  68

Legge 12 marzo 1999 n. 68

Norme per il diritto al lavoro dei disabili. 
(GU n.68 del 23-3-1999 - SO n. 57 )

Aggiornamenti dell'atto:

- al 08 Agosto 2020;
- al 24 Settembre 2018.

21/12/1999 DECRETO-LEGGE 20 dicembre 1999, n. 484 (in G.U. 21/12/1999, n.298), convertito, con modificazioni, dalla L. 18 febbraio 2000, n. 27 (in G.U. 19/2/2000, n. 41)
18/11/2000 DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 10 ottobre 2000, n. 333 (in G.U. 18/11/2000, n.270)
29/12/2000 LEGGE 23 dicembre 2000, n. 388 (in SO n.219, relativo alla G.U. 29/12/2000, n.302)
04/04/2001 La Corte costituzionale, con sentenza 21 marzo 2001, n. 84 (in G.U. 04/04/2001 n. 14) ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 20.
29/12/2001 LEGGE 28 dicembre 2001, n. 448 (in SO n.285, relativo alla G.U. 29/12/2001, n.301)
31/12/2002 LEGGE 27 dicembre 2002, n. 289 (in SO n.240, relativo alla G.U. 31/12/2002, n.305)
29/12/2003 DECRETO-LEGGE 24 dicembre 2003, n. 355 (in G.U. 29/12/2003, n.300), convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2004, n. 47 (in G.U. 27/2/2004, n. 48)
29/12/2005 DECRETO 12 dicembre 2005, (in G.U. 29/12/2005, n.302)
27/12/2006 LEGGE 27 dicembre 2006, n. 296 (in SO n.244, relativo alla G.U. 27/12/2006, n.299)
04/02/2008 DECRETO 21 dicembre 2007, (in G.U. 04/02/2008, n.29)
25/06/2008 DECRETO-LEGGE 25 giugno 2008, n. 112 (in SO n.152, relativo alla G.U. 25/06/2008, n.147), convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 (in S.O. n. 196, relativo alla G.U. 21/8/2008, n. 195)
25/06/2008 DECRETO-LEGGE 25 giugno 2008, n. 112 (in SO n.152, relativo alla G.U. 25/06/2008, n.147), convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 (in S.O. n. 196, relativo alla G.U. 21/8/2008, n. 195)
31/07/2009 LEGGE 23 luglio 2009, n. 99 (in SO n.136, relativo alla G.U. 31/07/2009, n.176)
08/05/2010 DECRETO LEGISLATIVO 15 marzo 2010, n. 66 (in SO n.84, relativo alla G.U. 08/05/2010, n.106)
29/12/2010 DECRETO-LEGGE 29 dicembre 2010, n. 225 (in G.U. 29/12/2010, n.303) convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10 (in S.O. n. 53/L relativo alla G.U. 26/2/2011, n. 47)
03/01/2011 DECRETO 15 dicembre 2010, (in G.U. 03/01/2011, n.1)
13/05/2011 DECRETO-LEGGE 13 maggio 2011, n. 70 (in G.U. 13/05/2011, n.110), convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106 (in G.U. 12/07/2011, n. 160)
13/08/2011 DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011, n. 138 (in G.U. 13/08/2011, n.188), convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (in G.U. 16/09/2011, n. 216)
26/06/2012 DECRETO-LEGGE 22 giugno 2012, n. 83 (in SO n.129, relativo alla G.U. 26/06/2012, n.147), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (in SO n. 171, relativo alla G.U. 11/08/2012, n. 187)
03/07/2012 LEGGE 28 giugno 2012, n. 92 (in SO n.136, relativo alla G.U. 03/07/2012, n.153)
19/10/2012 DECRETO-LEGGE 18 ottobre 2012, n. 179 (in SO n.194, relativo alla G.U. 19/10/2012, n.245), convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 (in S.O. n. 208, relativo alla G.U. 18/12/2012, n. 294)
24/06/2014 DECRETO-LEGGE 24 giugno 2014, n. 90 (in G.U. 24/06/2014, n.144), convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 (in S.O. n. 70, relativo alla G.U. 18/8/2014, n. 190)
29/12/2014 LEGGE 23 dicembre 2014, n. 190 (in SO n.99, relativo alla G.U. 29/12/2014, n.300)
23/09/2015 DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 151 (in SO n.53, relativo alla G.U. 23/09/2015, n.221)
07/10/2016 DECRETO LEGISLATIVO 24 settembre 2016, n. 185 (in G.U. 07/10/2016, n.235)
21/12/2016 LEGGE 11 dicembre 2016, n. 232 (in SO n.57, relativo alla G.U. 21/12/2016, n.297)
30/12/2016 DECRETO-LEGGE 30 dicembre 2016, n. 244 (in G.U. 30/12/2016, n.304), convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2017, n. 19 (in S.O. n. 14, relativo alla G.U. 28/02/2017, n. 49)
24/04/2017 DECRETO-LEGGE 24 aprile 2017, n. 50 (in SO n.20, relativo alla G.U. 24/04/2017, n.95), convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2017, n. 96 (in S.O. n. 31, relativo alla G.U. 23/06/2017, n. 144)
01/02/2018 LEGGE 11 gennaio 2018, n. 4 (in G.U. 01/02/2018, n.26)
31/12/2018  LEGGE 30 dicembre 2018, n. 145 (in SO n.62, relativo alla G.U. 31/12/2018, n.302)
04/09/2019 DECRETO-LEGGE 3 settembre 2019, n. 101 (in G.U. 04/09/2019, n.207)
02/11/2019  LEGGE 2 novembre 2019, n. 128 (in G.U. 02/11/2019, n.257)
30/12/2019 LEGGE 27 dicembre 2019, n. 160 (in SO n.45, relativo alla G.U. 30/12/2019, n.304)
31/12/2019 DECRETO-LEGGE 30 dicembre 2019, n. 162 (in G.U. 31/12/2019, n.305), convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 8 (in S.O. n. 10, relativo alla G.U. 29/02/2020, n. 51)
29/02/2020  LEGGE 28 febbraio 2020, n. 8 (in SO n.10, relativo alla G.U. 29/02/2020, n.51)
17/03/2020 DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 (in G.U. 17/03/2020, n.70)
19/05/2020  DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34 (in SO n.21, relativo alla G.U. 19/05/2020, n.128), convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 (in S.O. n. 25, relativo alla G.U. 18/07/2020, n. 180)
18/07/2020 LEGGE 17 luglio 2020, n. 77 (in SO n.25, relativo alla G.U. 18/07/2020, n.180)

Collegati

20° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

ID 7288 | | Visite: 4537 | Decreti Sicurezza lavoro

20° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche 

23 Novembre 2018

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto Direttoriale n. 89 del 23 Novembre 2018

Con il Decreto direttoriale n. 89 del 23 Novembre 2018, è stato adottato il ventesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del d.i. 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Il suddetto decreto è composto da sette articoli:

- all'articolo 1 è rinnovata l'iscrizione per i soggetti per i quali la Commissione di cui al d.i. 11 aprile 2011 ha potuto tempestivamente concludere la propria istruttoria;
- all'articolo 2 è decretato l'inserimento ex novo della società ivi indicata, nell'elenco dei soggetti abilitati;
- all'articolo 3 è decretato il subentro nell'elenco dei soggetti abilitati della società indicata nel decreto in luogo di un'altra società che viene, di conseguenza cancellata dell'elenco stesso;
- all'articolo 4 sono apportate le variazioni alle iscrizioni già in possesso sulla base delle richieste pervenute nei mesi precedenti;
- all'articolo 5, vengono ulteriormente prorogati i soggetti ivi indicati per i quali è tuttora in corso l'attività di istruttoria tecnica da parte della Commissione di cui al d.i. 11 aprile 2011 delle istanze di rinnovo dell'iscrizione quinquennale, al fine di garantirne - la continuità operativa e l'iscrizione nell'elenco dei soggetti abilitati;
- all'articolo 6 viene specificato che con il presente decreto si adotta l'elenco aggiornato, in sostituzione di quello adottato con il decreto del 10 agosto 2018, n. 72;
- all'articolo 7 sono riportati, come di consueto, gli obblighi cui sono tenuti i soggetti abilitati.

 Fonte: MPLS

Tutti gli elenchi pubblicati

D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature

Consulta il database dei Soggetti abilitati 

Collegati:

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 52374 | 21 Novembre 2018

ID 7280 | | Visite: 2313 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio da schiacciamento durante la pulizia della macchina politenatrice

Mancanza di corrette modalità di manutenzione ed intervento

Penale Sent. Sez. 4 Num. 52374 Anno 2018

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 24/10/2018

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 17.01.2018 la Corte di Appello di Brescia, ha confermato la condanna di F.E., pronunciata dal Tribunale di Brescia il 4.03.2016 in ordine al reato contestato in rubrica per avere, quale Presidente del consiglio di amministrazione, con delega specifica in materia di sicurezza, della società Cartiera del Chiese s.p.a, per colpa generica e specifica, in particolare, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all'art. 71 comma 1 in riferimento all'allegato V parte I punti 6.2 e 11.4 del TU 81/2008, causato all'operaio P.F.C. lesioni personali gravi, consistite in una frattura composta incompleta dente dell'epistrofeo, giudicate guaribili in 125 giorni con lesioni permanenti valutate dall'Inail nella misura del 3%. In particolare l'incolpazione descrive che mentre P.F.C., lavoratore addetto alla linea di politenatura 3 della cartiera (utilizzata per accoppiare il foglio di carta al politilene e che era contraddistinta da una prima zona dello svolgitore e l'ultima dello avvolgitore e si sviluppava per circa 21 metri di lunghezza) si trovava nella zona avvolgitore ad ultimare la pulizie dell'impianto, veniva schiacciato a livello toracico fra la calandrina e il rullo di rinvio posteriore, a causa dell'improvviso movimento del carro della portacalandrina. Al datore di lavoro si contesta di non aver adottato le misure necessarie e le cautele tecniche ed organizzative affinchè le operazioni di pulizia sulla citata linea, che si estendeva vari metri di lunghezza e prevedeva la presenza di più lavoratori operanti, avvenissero in sicurezza, sia verificando l'assenza di movimenti residui dei macchinari dopo l'attivazione dei sistemi di sicurezza sia formalizzando specifiche disposizioni sulle modalità di messa in sicurezza della linea, durante la fase di pulizia dei rulli e il conseguente ripristino.
L'infortunio secondo la ricostruzione del Tribunale e della Corte di appello si era verificato secondo la dinamica di seguito descritta che tiene conto della relazione dell'ufficiale di PG intervenuto sui luoghi dell'infortunio e della consulenza tecnica d'ufficio oltre che delle testimonianze della persona offesa e dei lavoratori della cartiera. Il giorno 25.05.2012 si era reso necessario un intervento tecnico sul rullo della linea 3 causato dalla rottura della carta mentre era in atto il cambio bobina; la linea quindi era stata messa in fermo assoluto tramite il pulsante rosso a fungo, posizionato sul pulpito principale e il pulsante blu ripristino sicurezze( fol 3 e 4); poiché i rulli in prossimità dell'avvolgitore si erano sporcati di polietilene il P.F.C. insieme ad un altro lavoratore avevano iniziato la pulizia del rullo; avevano avvisato il capomacchina G. di non resettare l'allarme e di non riavviare la linea. Mentre il P.F.C. si trovava tra la calandrina e il rullo di rinvio che stava ripulendo, a seguito del riavvio della linea, vi era stata l'improvvisa retrocessione del carro portacalandrina, (che -si assume- aveva conservato in memoria la posizione indietro del cambio bobina nel momento in cui si era arrestata nella sua corsa di 120 cm, prima del fermo operato per l'intervento tecnico) e rimaneva schiacciato all'altezza del torace tra la suddetta calandrina e il rullo. La Corte territoriale evidenzia come dato acquisito all'istruttoria che i tecnici della Asl il 23.10.2012 hanno redatto il verbale di contravvenzione e prescrizione nel quale si contestava all'imputato la violazione dell'art. 71 comma 1 sopra indicato in quanto, ai fini del punto 6.2, aveva omesso di prevedere, nella zona avvolgitore, dispositivi di sicurezza ulteriori che riguardassero anche il carro portacalandrina in quanto era evidente che i pulsanti di emergenza erano stati sbloccati, che il lavoratore era entrato nella zona avvolgitore e quindi le fotocellule di sicurezza lo avevano intercettato determinando il fermo del gruppo avvolgitore ma non anche del carrello mobile, cosiddetto portacalandrina. Quanto poi alla ulteriore violazione della prescrizione del punto 11.4 dell'allegato V (sempre dell'art. 71 commal cit.) la contestazione riguardava l'omessa individuazione di specifiche modalità di messa in sicurezza della linea durante le fasi di pulizia dei rulli ed il conseguente ripristino. Rilevavano i Giudici di merito che le scarne misure antinfortunistiche trovate appese in prossimità del quadro centrale erano infatti ancora quelle previste dal costruttore negli anni '90, non erano state aggiornate agli adeguamenti effettuati sulla linea; non era stata prevista una procedura specifica indicante quali lavoratori e quali compiti dovevano essere svolti mentre erano in corso le operazioni di ripulitura e manutenzione nel caso di arresto della macchina politenatrice,(il documento di sicurezza risultava infatti redatto e messo a punto dalla società solo dopo l'Infortunio a seguito del rilievi mossi dalla Asl).
La Corte territoriale a differenza del primo giudice, che aveva escluso l'incidenza causale della violazione di cui all'art. 71 comma 1 part I punto 6.2, ritenendo che se non fosse stato schiacciato il pulsante di arresto emergenza non vi sarebbe stato l'arretramento del carrello mobile chiamato portacalandrina, riteneva sussistente tale profilo di colpa specifica in capo al titolare della posizione di garanzia e il nesso causale con l'evento-infortunio in quanto, affermava, che se fossero stati adottati idonei dispositivi atti ad impedire i movimenti residui (evidentemente rimasti in memoria)del carro portacalandrina, come quelli poi adottati in seguito alle prescrizioni ASL (modifica al circuiti per cui il carro portacalandrina rimane comunque bloccato ove siano aperti i cancelli di accesso alla zona ) l'infortunio non si sarebbe verificato, anche se un terzo,come è avvenuto nel caso di specie, avesse agito sul pulsanti di emergenza e ripristino ( fol 14).La Corte inoltre ha ritenuto sussistente anche l'altro profilo di colpa già ravvisato dal Tribunale e la sua incidenza causale sull'evento, quello cioè attinente alla violazione del punto 11.4 dell'allegato V, per non aver posto In essere misure necessarie e cautele predisposte alla linea politenatura volte ad impedire o prevenire il rischio che la macchina durante le
operazioni di pulizia, riparazione e manutenzione, che prevedono l'introduzione del lavoratore in zone contraddistinte da organi in movimento, sia messa in funzione da altri. Sottolinea infatti nella motivazione che vi erano norme non aggiornate e nessuna procedura sulla individuazione delle persone competenti ad arrestare la macchina, a riavviare l'impianto in caso di guasti tecnici e a regolamentare le fasi di pulizia e di manutenzione dell'impianto. Infatti, disposizioni di sicurezza chiare, con distinzioni di ruoli e di compiti, sono state inviate ai tecnici della ASL dalla cartiera solo dopo l'incidente ( il 1.06.2012 fol 8 ), mentre in sede di sopralluogo fu rilevata solo la presenza di un opuscolo informativo per gli impianti Rotomec sul quadro elettrico principale. La Corte evidenzia che anche dalle acquisizioni testimoniali non sono emerse prassi operative univoche e chiare di sicurezza messe in atto all'interno del luogo di lavoro, sulla base di disposizioni impartite dagli organi preposti della società.( fol 10), finalizzate a coordinare più lavoratori operanti sulla stessa linea, a definire le competenze e il ruolo di ciascuno con riferimento all'arresto e al ripristino della linea e a garantire che uno solo dei lavoratori presenti (nelle istruzioni successivamente comunicate alla ASL viene infatti individuato il capo macchina) conservasse la chiave di sblocco del pulsante di emergenza, così da impedire che il riavvio potesse essere effettuato da parte di soggetti non competenti.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, l'imputato chiedendo l'annullamento con rinvio e articolando i seguenti motivi.
2. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e in particolare del principio devolutivo dell'appello; il primo giudice aveva escluso che il profilo di colpa attinente all'art 71 comma 1 part.I all. V punto 6.2. fosse collegato da nesso causale con l'infortunio e sul punto la decisione doveva ritenersi coperta da giudicato interno; lamenta grave violazione del diritto di difesa essendo stata recuperata sul punto la contestazione di colpa specifica dal Giudice di appello senza che vis fosse stato appello del P.M..
Con il secondo motivo deduce violazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 590 come integrato dall'art. 71 comma 1 all. V 6.2 d.lgs 81/2008, trattandosi di previsione del tutto estranea alla fattispecie concreta in quanto riguarda i macchinari in esercizio e non in manutenzione; oltre che vizio e illogicità della motivazione in quanto l'infortunio si è verificato per l'azionamento dei pulsanti di ripristino senza che fosse completata l'azione di ripulitura; il blocco del movimento residuo del carro porta calandrina ritenuto rilevante non era una condotta esigibile in quanto non prevedibile.
A tal proposito lamenta l'omessa contraddittoria motivazione oltre che travisamento dei fatti e attiene alla mancata formalizzazione delle disposizioni sulla messa in sicurezza della linea durante le fasi di pulizia dei rulli e il conseguente ripristino. Lamenta il travisamento delle dichiarazioni di C. e del teste O. che supportano la tesi difensiva secondo cui all'interno dello stabilimento vi erano prassi operative sulle modalità con cui gestire il fermo e il ripristino degli impianti in sicurezza .
Con il terzo motivo, lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche sulla base di precedenti di datati risalenti al 1995 e 1996 e la mancata valorizzazione dell'adempimento delle prescrizioni impartite dalla ASL e dell'avvenuto risarcimento sia pure ad opera di terzi anche ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art.62.n6 cod.pen.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato .
Va osservato che questo Corte anche con pronunce a Sezioni unite ( Sez.U n.l del 1996 rv 203096; Sez.l n.2809 del 18.02.1998 rv 210039;Sez.6 n.40625 dell08.10.2009 rv.245288) ha più volte ribadito che l'effetto devolutivo dell'appello è connesso ai punti della decisione non alle questioni che vi si dibattono; per regola generale al giudice di appello è attribuita la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione impugnata ai quali si riferiscono i motivi proposti, non è certo inibito al giudice, nell'ambito di quel punto, assumere decisioni che vanno al di là di quanto richiesto nei motivi stessi. Ed entro il limite suddetto il giudice della cognizione di appello non incontra riduzioni alla radice. Nel caso di specie è stato devoluto al giudice di appello il tema della responsabilità per colpa, un punto autonomo e complessivo nel cui ambito rientrano certamente i tutti i vari profili connessi alla posizione di garanzia, alla violazione delle misure di sicurezza e di prevenzione degli infortuni sul lavoro, al nesso di causa. Come già affermato da questa Corte nell'ambito del giudizio sulla responsabilità per reato colposo il giudice di appello ha il potere dovere di indagare su tutti gli elementi di colpa contestati al prevenuto compresi quelli sui quali il precedente giudizio era stato a lui favorevole dovendo considerarsi gli accertamenti relativi a detti elementi attinenti a profili particolari della condotta dell'agente come argomentazione logica e non punti autonomi della decisione(Sez. 4 del 25.10.2007 n.47158 ).
2.La seconda parte del primo motivo ed il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente perché attengono alla individuazione dei profili di colpa specifica, sono infondati manifestamente infondati perciò inammissibili perché ripropongono le censure sostanzialmente già oggetto dei motivi di appello e ritenute infondate in maniera esaustiva dal giudice del gravame e presentano un difetto palese di correlazione e critica argomentativa con le ragioni esplicitate nella sentenza impugnata ( Sez. 6 n.203777 del 11.03.2009 rv 243838). 
La Corte territoriale ha articolato, con dovizia di argomenti fattuali logici-giuridici, una diffusa ricostruzione degli accadimenti, ricavata anche dalla dettagliata analisi del giudice di primo grado, individuando i seguenti puntuali addebiti di carattere omissivo: non avere il datore di lavoro approntato tutta una serie di accorgimenti, previsti dalla normativa antinfortunistica in particolare dall'art. 71 comma 1 in riferimento allegato V part I punto 6.2 e 11.4 del T.U 81/2008 che rispettivamente imponevano la predisposizione di dispositivi di sicurezza ulteriori che impedissero il movimento anche del carro portacalandrina allorché dalle cellule di sicurezza fosse avvertita una presenza nel gruppo avvolgitore e l'omessa individuazione di specifiche modalità di messa in sicurezza della linea durante le fasi di pulizia dei rulli ed il conseguente ripristino finalizzate ad impedire il rischio, di fatto verificatosi, che la macchina fosse messa in funzione da altri che ben avrebbero potuto evitare/ridurre il rischio di verificazione dell'evento, secondo modalità certamente non riconducibili ad un comportamento abnorme o eccentrico del soggetto infortunato.
2.1 In estrema sintesi, la Corte territoriale ha correttamente motivato l'addebito al prevenuto, sul piano colposo omissivo, dei due profili della mancata gestione del rischio ritenendo che entrambi abbiano avuto indubbia rilevanza causale nella determinazione dell'evento.
Ha evidenziato infatti che terminato il primo intervento manutentivo che aveva motivato l'arresto dell'impianto, uno degli operatori presenti (l'istruttoria non ha consentito di accertare chi sia stato) aveva sbloccato il pulsante rosso dì emergenza e ripristinato il riavvio della linea mentre la persona offesa stava nella zona avvolgitore, intenta alla pulitura del rullo, e che il carro portacalandrina retrocedeva, ritornando così nella posizione originaria, in quanto aveva mantenuto in memoria la posizione che stava effettuando prima dell'arresto, schiacciando il P.F.C. contro il rullo, proprio perché non vi erano misure di sicurezza idonee ad inibire quel movimento residuo del carro rimasto in memoria, nonostante le protezioni fossero aperte (fol 15). D'altro canto risulta evidenziato nelle motivazioni della Corte territoriale che dopo le prescrizioni della Asl è stata operata una modifica a livello di circuiti per impedire che il carro potesse muoversi quando i cancelli di accesso alla zona erano aperti( fol.14). La Corte territoriale così come il primo giudice argomentava inoltre, anche alla luce delle dichiarazioni dei testi richiamati dalla difesa, e del complessivo quadro probatorio l'assenza non solo di una procedura scritta ma anche di una prassi operativa chiara precisa e nota a tutti i lavoratori ( fol 10) circa le responsabilità e i ruoli dei soggetti che dovevano intervenire sulla linea nel caso di fermo, per rottura della carta, per le operazioni dì manutenzione e successivo ripristino con conseguente riavvio, finalizzata e idonea ad evitare il rischio che la linea di politenatura (lunga 21 metri)o parti di essa fossero messe in moto da altri. E' stato, insomma, accertato, con valutazione di merito congrua e logica, come tale insindacabile in cassazione, che i lavoratori dell'impresa non erano a conoscenza di disposizioni specifiche che avessero ad oggetto le corrette modalità di manutenzione ed intervento, con riguardo ai rischi connessi al posizionamento all'interno della linea in zone pericolose in relazione al riavvio della linea.
La constatazione del rischio impone ai garanti medesimi, nell'ambito delle loro rispettive competenze, di adottare le misure appropriate, nel caso totalmente mancate: il rischio non è stato previsto né valutato, quindi non è stato in alcun modo governato dall'imputato, nonostante la sua indubbia esistenza, tanto da non formarne neanche oggetto di informazione-formazione specifica dei lavoratori, come era invece doveroso e obbligatorio per legge.
3. Parimenti infondato è il terzo motivo in quanto la Corte ha dato adeguatamente conto dei criteri e dei parametri di valutazione nella determinazione del trattamento sanzionatorio e della mancata concessione delle attenuanti generiche in relazione ai precedenti penali specifici. La Corte territoriale con un giudizio di merito non censurabile logicamente e coerentemente ha ritenuto equa la pena in ragione della gravità della colpa e del fatto, argomentando che gli elementi, dedotti dalla difesa, del risarcimento del danno, peraltro nemmeno corrisposto personalmente dall'imputato e l'adempimento delle prescrizioni ASL, necessitato per continuare ad utilizzare l'impianto, costituiscono elementi recessivi a fronte della presenza di due condanne specifiche. Sulla scorta di tali rilievi, il Collegio ha legittimamente osservato che non vi erano ragioni per ritenere sussistente un ravvedimento, tale da giustificare la concessione delle attenuanti generiche. Trattasi di valutazioni prognostiche immuni da aporie logiche e del tutto conferenti, anche in riferimento alla natura gravemente colposa dell'illecito per il quale oggi si procede.
3.1 Riguardo alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art.62 cod.pen. dedotta nell'ambito del terzo motivo di ricorso, si osserva che non fa parte dei motivi di appello ed è pertanto da ritenersi in questa sede inammissibile .
4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 24.10.2018

Descrizione Livello Dimensione Downloads
Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 52374 Anno 2018.pdf
 
401 kB 4

Ultimi archiviati Sicurezza

Le molestie e le vittime e contesto
Lug 02, 2024 80

Report ISTAT Le molestie e le vittime (2022-2023)

Report ISTAT Le molestie e le vittime e contesto - Anno 2022-2023 ID 22159 | 02.07.2024 / In allegato Nel 2022-2023 si stima che il 13,5% delle donne di 15-70 anni, che lavorano o hanno lavorato, abbia subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell’intera vita (soprattutto le più… Leggi tutto
Giu 30, 2024 108

Decreto 18 giugno 2024

Decreto 18 giugno 2024 ID 22148 | 30.06.2024 Decreto 18 giugno 2024 Procedure per il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dei corsi di addestramento per il personale marittimo. (GU n.151 del 29.06.2024) ... Art. 1. Finalità e ambito di applicazione 1. Il presente decreto disciplina i… Leggi tutto
Piano Triennale della Formazione INL
Giu 27, 2024 108

Piano Triennale della Formazione INL | 2024-2025-2026

Piano Triennale della Formazione INL | 2024-2025-2026 ID 22132 | 27.06.2024 / In allegato Il presente Piano Triennale della Formazione (PTF) 2024-2026 costituisce il principale strumento di pianificazione, programmazione e governo della formazione del personale nel quale vengono rappresentate le… Leggi tutto
Giu 26, 2024 140

Decreto n. 43 del 21 giugno 2024

Decreto n. 43 del 21 giugno 2024 / Componenti task force “Lavoro sommerso” ID 22125 | 26.06.2024 / In allegato Con Decreto n. 43 del 21 giugno 2024, il Direttore generale INL Paolo Pennesi ha provveduto alla nomina dei componenti della Task force "Lavoro sommerso", istituita con il D.M. 50/2024.… Leggi tutto

Più letti Sicurezza