Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 51457 | 14 Novembre 2018
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Lavori di demolizione dell'amianto in difetto di iscrizione all'albo degli smaltitori
Penale Sent. Sez. 3 Num. 51457 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ZUNICA FABIO
Data Udienza: 18/06/2018
1. Con sentenza del 19 febbraio 2016, il Tribunale di Firenze condannava A.P. alla pena di € 3.000 di ammenda, siccome colpevole della contravvenzione di cui agli art. 256 comma 1 e 262 comma 2 sub a) del d. Lgs. n. 81/2008, per aver eseguito, presso il condominio in Firenze di OMISSIS, quale titolare della ditta Leo Ambiente, lavori di demolizione o rimozione dell'amianto, in difetto dell'apposita iscrizione all'albo degli smaltitori, fatto accertato in Firenze il 2 dicembre 2011.
2. Avverso la sentenza del Tribunale fiorentino, A.P., tramite il difensore, ha proposto appello, poi convertito dalla Corte territoriale in ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa invoca l'assoluzione dell'imputato dal reato ascrittogli, quantomeno ai sensi dell'art. 530 c.p.p., osservando che l'impresa di A.P., a seguito della stipula di contratto di appalto con la Ediltermo s.n.c., aveva eseguito soltanto dei lavori preparatori, per i quali non sarebbe stata necessaria l'iscrizione all'albo degli smaltitori, mentre i lavori di rimozione sarebbero stati eseguiti da altra impresa, che l'istruttoria non aveva accertato quale fosse, non potendo l'identificazione di tale impresa con la Leo Ambiente ricavarsi dall'emissione di una semplice fattura di acconto; in ogni caso, aggiunge la difesa, a prescindere dalla mancata iscrizione della Leo Ambiente nell'albo degli smaltitori, A.P. possedeva le specifiche competenze tecniche, essendo stato socio della Ecocoperture Edili, che operava nel campo dello smaltimento dell'amianto, tanto è vero che i lavori sono stati svolti correttamente, sicché sussisteva almeno la buona fede dell'imputato, non potendo la mancanza dei requisiti soggettivi richiesti dalla norma intendersi in modo solo formalistico.
Con il secondo motivo, la difesa invoca l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen., evidenziando che la ditta del ricorrente si era limitata all'esecuzione di lavori esclusivamente preparatori e che A.P. aveva creduto erroneamente che fosse sufficiente a tal fine l'essere socio di una società iscritta all'albo, effettuando i lavori in modo corretto, venendo in rilievo comunque violazioni meramente formali.
Con il terzo motivo, infine, viene sollecitata la determinazione della pena nel minimo edittale (ovvero € 2.740 di ammenda) e la concessione delle attenuanti generiche e dei benefici di legge, stante la modestia del fatto.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che il giudizio sulla colpevolezza dell'imputato non presta il fianco alle censure difensive.
Il Tribunale infatti, ha innanzitutto ricostruito la vicenda oggetto di giudizio in maniera puntuale, richiamando i documenti acquisiti (tra cui la fattura n. 5 del 21 novembre 2011 avente come causale l'acconto per i lavori di rimozione e bonifica di copertura in eternit) e la deposizione del teste F.C., funzionario dell'Asl 10 di Firenze, da cui era emerso che la ditta Leo Ambiente, di cui A.P. era titolare, aveva eseguito presso il condominio di via dell'Omissis, ai numeri civici 135-9 e 10, come rivelato anche dalla fattura dì acconto acquisita al fascicolo processuale, lavori di demolizione e rimozione dell'amianto, pur senza essere iscritta nell'albo degli smaltitori, non essendo peraltro tale impresa iscritta nemmeno alla Camera di commercio.
Nel corso delle indagini, invero, A.P. produceva soltanto documentazione attestante l'iscrizione all'albo di altra ditta, la Ecocoperture edili di C.A., di cui assumeva di essere socio; ditta che, secondo quanto accertato dal funzionario dell'Asl di Firenze, aveva presentato un'istanza di rinnovo dell'autorizzazione allo smaltimento, che però non era stata ancora rilasciata.
Alla stregua di tale ricostruzione fattuale, invero non contestata, correttamente è stata ritenuta la configurabilità della fattispecie oggetto di imputazione, risultando generiche e meramente assertive le doglianze difensive sul punto.
Non risulta infatti chiaro in cosa siano consistiti i "lavori preparatori" che la ditta dell'imputato si sarebbe limitata a eseguire, dovendosi precisare, per il resto,che a essere contestata non è la correttezza o meno dei lavori, ma la diversa circostanza che le operazioni di smaltimento dell'amianto sono state eseguite da ditta non autorizzata, risultando del tutto ininfluente, nella prospettiva dell'elemento soggettivo, qualificabile anche in termini di colpa, il fatto che il ricorrente sia stato socio di altra ditta, estranea ai fatti, che operava nel settore dello smaltimento, senza peraltro aver conseguito il rinnovo dell'autorizzazione.
Il giudizio sulla sussistenza del reato dal punto di vista oggettivo e soggettivo, in quanto saldamente ancorato alle risultanze istruttorie e sorretto da considerazioni coerenti e logiche, risulta dunque senz'altro immune da censure.
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ed invero il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. è stato giustificato dal Tribunale sia in ragione degli interessi tutelati dalle norme violate, che attengono alla sicurezza del lavoro, sia alla luce del comportamento tenuto dal ricorrente, sottrattosi ripetutamente, sin dall'avvio del procedimento in sede amministrativa, alle conseguenze della sua condotta, pretendendo di dimostrarne la legittimità mediante l'iscrizione di altra società. Orbene, a fronte di un apparato argomentativo razionale, le censure difensive sono destinate a rimanere sullo sfondo, prospettando alternativi criteri di valutazione del fatto che tuttavia non smentiscono le considerazioni del Tribunale, di per sé idonee a giustificare, soprattutto attraverso il riferimento al comportamento tenuto dall'imputato, la non operatività dell'istituto invocato.
3. Venendo infine al terzo motivo di ricorso, deve parimenti escludersi che, anche rispetto al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede, dovendosi innanzitutto rilevare che, venendo in rilievo un reato punito con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, il Tribunale ha optato per quest'ultima, applicando peraltro la pena pecuniaria in misura molto più vicina al minimo che al massimo edittale.
Il diniego delle attenuanti generiche e dei benefici di legge è stato poi motivato, oltre che con l'assenza di elementi suscettibili di positiva considerazione, anche con il richiamo alla personalità dell'imputato, il quale annovera a suo carico altre due condanne, una delle quali per fatti analoghi a quelli di causa, avendo peraltro già fruito in passato della sospensione condizionale della pena.
Le argomentazioni del Tribunale, in quanto prive di elementi di illogicità, resistono dunque alle censure difensive, prospettate peraltro in termini generici.
4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/06/2018
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