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Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Gennaio 2021

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COVID 19   Schede regionali 31 01 2021

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Gennaio 2021

INAIL, 18.02.2021

Contagi sul lavoro da Covid-19, più di sei casi su 10 denunciati all’Inail tra ottobre e gennaio

Il nuovo report mensile della Consulenza statistico attuariale conferma il maggiore impatto della seconda ondat.a della pandemia anche in ambito lavorativo. Le infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto alla data dello scorso 31 gennaio sono 147.875, 16.785 in più rispetto al mese precedente (+12,8%). I decessi sono 461 (+38 rispetto al 31 dicembre).

La seconda ondata di contagi da Covid-19 ha avuto un impatto più intenso della prima anche in ambito lavorativo e non solo per la presenza di un mese in più. Il quadrimestre ottobre 2020-gennaio 2021, con oltre 92mila contagi, incide infatti per il 62,3% sul totale delle infezioni di origine professionale denunciate all’Inail dall’inizio della pandemia, rispetto agli oltre 50mila casi registrati nel trimestre marzo-maggio 2020, pari al 34,2%. A rilevarlo è il 13esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, che alla data dello scorso 31 gennaio registra 147.875 denunce di infortunio sul lavoro da nuovo Coronavirus, pari a circa un quarto delle denunce complessive di infortunio pervenute all’Inail dall’inizio del 2020 e al 5,8% dei contagiati nazionali totali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla fine di gennaio. I casi in più rispetto ai 131.090 del mese precedente sono 16.785 (+12,8%).

Oltre un quarto delle denunce in novembre. Le denunce sono concentrate soprattutto nei mesi di novembre (25,3%), marzo (19,2%), ottobre (15,9%), dicembre (15,1%), aprile (12,4%) e gennaio 2021 (6,0%), per un totale del 93,9%, mentre il rimanente 6,1% riguarda gli altri mesi del 2020: maggio (2,6%), settembre (1,3%), febbraio (0,7%), giugno e agosto (0,6% per entrambi) e luglio (0,3%), oltre alle 16 denunce del gennaio 2020. Come emerge anche da questi dati, nel periodo estivo tra la prima e la seconda ondata era stato registrato un consistente ridimensionamento del fenomeno, fino alla leggera risalita rilevata a settembre, che lasciava presagire la ripresa dei contagi che ha caratterizzato i mesi successivi.

Nell’aprile 2020 il 40,8% dei casi mortali. I casi mortali rilevati al 31 gennaio sono 461, circa un terzo del totale dei decessi denunciati dal gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,5% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla stessa data. L’aumento rispetto ai 423 casi rilevati al monitoraggio del 31 dicembre è di 38 casi, di cui 13 avvenuti a gennaio 2021, 16 a dicembre e sette a novembre 2020. I restanti due decessi risalgono a marzo e aprile. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire le informazioni non disponibili nei mesi precedenti. A differenza del complesso delle denunce, i casi mortali sono concentrati soprattutto nella prima ondata dei contagi. Il 72,9% dei decessi da Covid-19 denunciati all’Inail, infatti, sono avvenuti nel trimestre marzo-maggio 2020, con un picco del 40,8% nel solo mese di aprile, contro il 24,3% del periodo ottobre 2020-gennaio 2021. I casi mortali riguardano soprattutto gli uomini (82,9%) e le fasce di età 50-64 anni (71,1%) e over 64 anni (19,1%).

Più contagiati tra le donne e nella fascia 50-64 anni. Il rapporto tra i generi si inverte prendendo in considerazione il complesso delle denunce. La quota femminile sul totale, infatti, è pari al 69,6% e sale al 70,4% per i casi avvenuti in gennaio. L’età media dei contagiati dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni (59 per i casi mortali). Il 42,1% delle infezioni di origine professionale denunciate riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (36,8%), under 34 anni (19,3%) e over 64 anni (1,8%). L’86,0% delle denunce riguarda lavoratori italiani. Il restante 14,0% sono stranieri, concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 20,9% dei contagiati stranieri), peruviani (13,5%), albanesi (8,0%), ecuadoregni (4,5%) e moldavi (4,3%). Concentrando l’analisi sui casi mortali, la quota dei lavoratori italiani sale all’89,8%, mentre la comunità straniera più colpita risulta essere quella peruviana (con il 19,1% dei decessi dei lavoratori stranieri), seguita da quelle rumena (12,8%) e albanese (10,6%).

Confermato il primato negativo del Nord-Ovest. Dall’analisi territoriale emerge una distribuzione delle denunce del 45,6% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 27,1%), del 23,9% nel Nord-Est (Veneto 10,4%), del 14,2% al Centro (Lazio 5,9%), dell’11,8% al Sud (Campania 5,4%) e del 4,5% nelle Isole (Sicilia 2,9%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono quelle di Milano (10,5%), Torino (7,2%), Roma (4,7%), Napoli (3,8%), Brescia, Varese e Verona (2,7%), Genova (2,5%), Bergamo e Cuneo (2,0%). Milano è anche la provincia che registra il numero più alto di contagi di origine professionale nel mese di gennaio, seguita da Roma, Torino, Verona e Palermo. Sono però le province di Fermo, Sud Sardegna, Campobasso, Lecce e Gorizia quelle che registrano i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione del mese precedente. Prendendo in considerazione i soli casi mortali, la percentuale del Nord-Ovest sale al 48,9% (prima la Lombardia con il 35,4%), mentre il Sud con il 20,8% dei decessi (contro l’11,8% riscontrato sul complesso delle denunce) precede il Centro (14,3%), il Nord-Est (11,7% rispetto al 23,9% del totale delle denunce) e le Isole (4,3%). Le province che contano più decessi dall’inizio della pandemia sono quelle di Bergamo (9,5%), Milano (8,9%), Napoli (6,9%), Roma (6,1%), Brescia (5,6%), Cremona (4,1%), Torino (3,7%) e Genova (3,3%).

Nella sanità il 68,8% delle denunce e il 25,9% dei decessi. Tra le attività produttive, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – si conferma al primo posto con il 68,8% del totale delle denunce e il 25,9% dei decessi codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,2% dei contagi e il 10,7% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono i servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (tra cui gli addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), al secondo posto per numero di decessi con il 13,2% del totale, le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il trasporto e magazzinaggio e le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale) e il commercio all’ingrosso e al dettaglio.

L’andamento del fenomeno nelle tre fasi della pandemia. Dividendo l’intero periodo di osservazione in tre intervalli – fase di “lockdown” (fino a maggio 2020 compreso), fase “post lockdown” (da giugno a settembre 2020) e fase di “seconda ondata” dei contagi (ottobre 2020-gennaio 2021) – si riscontrano significative differenze in termini di incidenza del fenomeno. Per l’insieme dei settori della sanità, assistenza sociale e amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl - e amministratori regionali, provinciali e comunali) si osserva, infatti, una progressiva riduzione dell’incidenza delle denunce tra le prime due fasi e una risalita nella terza, comunque inferiore a quella osservata nella prima fase anche, probabilmente, per una migliore gestione del rischio (si è passati dall’80,4% dei casi codificati nel primo periodo al 54,7% del periodo giugno-settembre, per poi risalire al 77,7% nel quadrimestre ottobre-gennaio). Viceversa l’incidenza di altri settori, con la graduale ripresa delle attività, in particolare nel periodo estivo, è aumentata tra le prime due fasi e si è ridotta nella terza. È il caso, per esempio, dei servizi di alloggio e ristorazione (passati dal 2,5% del primo periodo al 5,8% del secondo e al 2,4% del terzo) o i trasporti (passati, rispettivamente, dall’1,2% al 5,5% al 2,2%). Il decremento in termini di incidenza osservato nell’ultimo quadrimestre nei servizi di alloggio e ristorazione e nei trasporti non deve però trarre in inganno. A partire dal mese di ottobre in questi settori, come in tutti gli altri, il numero dei casi è aumentato sensibilmente. A diminuire è la loro quota sul totale, a fronte del più consistente aumento che caratterizza, sia in valore assoluto che relativo, la sanità.

Le professioni più colpite. Con il 39,2% delle denunce, l’82,7% delle quali relative a infermieri, e l’11,2% dei casi mortali codificati (il 68,0% infermieri), la categoria dei tecnici della salute è quella più coinvolta dai contagi. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 19,3% delle denunce (e il 5,1% dei decessi), i medici con il 9,2% (6,7% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 7,3% (3,3% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,8% (4,2% dei decessi). Tra le altre professioni spiccano quelle degli impiegati amministrativi, con il 3,9% delle denunce e il 10,7% dei casi mortali, degli addetti ai servizi di pulizia, dei conduttori di veicoli e dei direttori e dirigenti amministrativi e sanitari.

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Fonte: INAIL

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La professione dell'ingegnere in ottica di genere

ID 12874 | | Visite: 1807 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Professione ingegnere

La professione dell'ingegnere in ottica di genere

INAIL, 2021

La professione dell'ingegnere in ottica di genere - Uno studio diretto sulle professioni tecniche

Lo studio condotto inquadra le diverse attività svolte dalle donne impegnate nelle professioni tecniche che, oltre a un corposo lavoro di concetto, effettuano sopralluoghi in ambienti ad alto rischio come i cantieri temporanei e mobili, lavori in sotterraneo, opifici spetto situati in aree industriali delocalizzate rispetto ai centri urbani.

Vengono analizzate le criticità legate alle professioni tecniche espresse dalle lavoratrici, utili per una corretta valutazione dei rischi in ottica di genere.

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I SEZIONE - Fondamenti giuridici dell’assicurazione
Capitolo I - Inquadramento normativo
1.1 Requisiti del rapporto assicurativo
1.2 Oggetto dell’assicurazione
1.3 Attività rischiose
1.4 Soggetti assicurati
1.4.1 Soci e parasubordinati in Industria e Terziario
1.5 La previdenza dei professionisti
1.5.1 Inarcassa
Capitolo 2 - Il premio assicurativo
2.1 Determinazione del premio
2.2 Inquadramento aziendale Inps
2.2.1 Settori di attività
FONTI
II SEZIONE - Dati statistici
Capitolo 3 - Istat e Inail a confronto
3.1 Popolazione
3.1.1 Occupati
3.2 Assicurati Inail
3.3 Rapporto tra Occupati e Assicurati Inail
3.4 Ingegneri iscritti agli ordini professionali
3.4.1 Ingegneri: in aumento la presenza femminile
3.4.2 La professionalità in ottica di genere
Capitolo 4 - Dati statistici
4.1 Nota metodologica per l’analisi dei dati
4.2 Infortuni sul lavoro riconosciuti
4.2.1 Studio sulla Gestione Industria e Servizi
4.3 Casi mortali riconosciuti
4.3.1 Studio sulla Gestione Industria e Servizi
4.4 Malattie professionali riconosciute
4.4.1 Studio sulla Gestione Industria e Servizi
Elenco tabelle
Bibliografia
Sitografia
III SEZIONE - La valutazione del rischio in ottica di genere
Capitolo 5 - La valutazione del rischio in ottica di genere: gli ingegneri
5.1 Introduzione
5.2 Materiali e metodi
5.3 Valutazione dei rischi
5.3.1 La valutazione dei rischi in ottica di genere degli ingegneri
5.4 Mitigazione del rischio
Bibliografia e sitografia
Capitolo 6 - Questionario per la rilevazione in ottica di genere delle criticità legate al lavoro che possino avere ricadute sulla salute e sicurezza delle professiste tecniche

Fonte: INAIL

Valutazioni della temperatura corporea con termocamere

ID 12866 | | Visite: 1904 | News Sicurezza

Valutazioni della temperatura corporea con termocamere

Valutazioni della temperatura corporea con termocamere

Factsheet, INAIL 16.02.2021

Valutazione della temperatura corporea con termocamere durante la pandemia da nuovo Coronavirus Sars-Cov2: principi di funzionamento e indicazioni d'uso

Il documento illustra nel dettaglio le caratteristiche, le tipologie e le modalità di utilizzo di questi dispositivi.

La misurazione della temperatura corporea rappresenta uno degli strumenti in grado di prevenire e contenere il contagio da Covid-19, consentendo di individuare i pazienti ai primi segni di esordio dell'infezione.

In linea con le indicazioni contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 da Governo e parti sociali, il controllo della temperatura può essere svolto all’ingresso dei luoghi di lavoro come misura accessoria per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori dal possibile contagio e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro.

La scheda informativa contiene le indicazioni d’uso e gli accorgimenti da adottare per misurare la temperatura con le termocamere.

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Fonte: INAIL

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Decreto 11 Febbraio 2021

ID 12862 | | Visite: 22789 | Decreti Sicurezza lavoro

Decreto 11 02 2021

Decreto 11 Febbraio 2021 | Nuovi processi e sostanze cancerogene e mutagene nel TUS

Recepimento della direttiva (UE) 2019/130 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 gennaio 2019, nonché della direttiva (UE) 2019/983 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 che modificano la direttiva (CE) 2004/37 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro (in vigore dal 15.02.2021 dalla pubblicazione sul sito MLPS)

Inserite 13 nuove sostanze cancerogene (totale 27, nell'elenco seguente in rosso in ordine di N. CE) e 2 processi (totale 8) nel TUS.

Attuate le Direttive sugli agenti cancerogeni:

1. Direttiva (UE) 2019/130
2. Direttiva (UE) 2019/983 

...

Art.1 (Modifiche agli allegati XLII e XLIII al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Attuazione della direttiva (UE) 2019/130 e della direttiva (UE) 2019/983).

1. Al fine di recepire le previsioni introdotte dalla direttiva (UE) 2019/130 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 gennaio 2019 e dalla direttiva (UE) 2019/983 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019, gli allegati XLII e XLIII al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 sono sostituiti dagli allegati I e II del presente decreto.
2. Dall'applicazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

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Allegato I

Allegato XLII al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

Elenco di Sostanze, Miscele e Processi

1. Produzione di auramina con ii metodo Michler.
2. I lavori che espongono agli idrocarburi policiclici aromatici presenti nella fuliggine, nel catrame o nella pece di carbone.
3. Lavori che espongono alle polveri, fumi e nebbie prodotti durante ii raffinamento del nichel a temperature elevate.
4. Processo agli acidi forti nella fabbricazione di alcool isopropilico.
5. Il lavoro comportante l'esposizione a polveri di legno duro.
6. Lavori comportanti l'esposizione a polvere di silice cristallina respirabile, generata da un procedimento di lavorazione.
7. Lavori comportanti penetrazione cutanea degli oli minerali precedentemente usati nei motori a combustione interna per lubrificare e raffreddare le parti mobili all'interno del motore.
8. Lavori comportanti l'esposizione alle emissioni di gas di scarico dei motori diesel.

Allegato II

Allegato XLIII al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

A. VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE PROFESSIONALE

NOME AGENTE

N. CE (1)

N. CAS (2)

Valori limite

Osservazioni

Misure transitorie

8 ore (3)

Breve durata (4)

mg/m 3 (5)

ppm (6)

f/ml (7)

mg/m3 (5) 

ppm (6)

f/ml (7)

Polveri di legno duro

-

-

2 (8)

-

-

-

-

-

-

Valore limite: 3 mg /m3 fino al 17 gennaio 2023.

Composti di cromo VI definiti cancerogeni ai sensi dell'articolo 2, lettera a), punto i) della direttiva 2004/37 (come cromo)

-

-

0,005

-

-

-

-

-

-

Valore limite: 0,010 mg/m3 fino al 17 gennaio 2025.

Valore limite: 0,025 mg/m3 per i procedimenti di saldatura o taglio al plasma o analoghi procedimenti di lavorazione che producono fumi fino al 17 gennaio 2025.

Fibre ceramiche refrattarie definite cancerogene ai sensi dell'articolo 2, lettera a), punto i) della direttiva 2004/37

 

-

-

-

-

0,3

-

-

-

-

 

Polvere di silice cristallina respirabile

-

-

0,1 (9)

-

-

-

-

-

-

 

Benzene

200-753-7

71-43-2

3,25

1

-

-

-

-

Cute (10)

 

Cloruro di vinile monomero

200-831-0

75-01-4

2,6

1

-

-

-

-

-

 

Ossido di etilene

200-849-9

75-21-8

1,8

1

-

-

-

-

Cute (10)

 

1,2 -Epossipropano

200-879-2

75-56-9

2,4

1

-

-

-

-

-

 

Tricloroetilene

201-167-4

79-01-6

54,7

10

-

164,1

30

-

Cute (10)

 

Acrilammide

201-173-7

79-06-1

0,1

-

-

-

-

-

Cute (10)

 

2-Nitropropano

201-209-1

79-46-9

18

5

-

-

-

-

-

 

o-Toluidina

202-429-0

95-53-4

0,5

0,1

-

-

-

-

Cute (10)

 

4,4 '- Metilendianilina

202-974-4

101-77-9

0,08

-

-

-

-

-

Cute (10)

 

Epicloridrina

203-439-8

106-89-8

1,9

-

-

-

-

-

Cute (10)

 

Etilene dibromuro

203-444-5

106-93-4

0,8

0,1

-

-

-

-

Cute (10)

 

1,3-Butadiene

203-450-8

106-99-0

2,2

1

-

 

-

-

-

-

 

Etilene dicloruro

203-458-1

107-06-2

8,2

2

-

-

-

-

Cute (10)

 

ldrazina

206-114-9

302-01-2

0,013

0,01

-

-

-

-

Cute (10)

 

Bromoetilene

209-800-6

593-60-2

4,4

1

-

-

-

-

-

 

Cadmio e suoi composti inorganici

 

 

0,001 (12)

---

-

-

-

---

 

Valore limite 0,004 mg/m3 (13) fino all' 11 luglio 2027.

Berillio e composti inorganici del berillio

 

 

0,0002 (12)

---

-

 

-

 

-

---

sensibilizzazione cutanea e delle vie respiratorie (14)

Valore limite 0,0006 mg/m3 fino all' 11 luglio 2026.

Acido arsenico e i suoi sali e composti inorganici dell'arsenico

 

 

0,01(12)

---

-

-

-

---

 

Per il settore della fusione del rame il valore limite si applica dall' 11 luglio 2023.

Formaldeide

200-001-8

50-00-0

0,37

0,3

---

0,74

0,6

---

Sensibilizzazione cutanea (15)

Valore limite di 0,62 mg/m3 o 0,5 ppm (3)   per i settori sanitario, funerario e dell'imbalsamazione fino all' 11 luglio 2024.

4,4'Metilene-bis (2 cloroanilina)  202-918-9  1 01-14-4  0,01 ---  ---  ---  ---  ---  Cute (10)   
Emissioni di gas di scarico dei motori diesel     0,05 (11)            

Il valore limite si applica a decorrere dal 21 febbraio 2023.

Per le attività minerarie sotterranee e la costruzione di gallerie, ii valore limite si applica a decorrere dal 21 febbraio 2026.

Miscele di idrocarburi policiclici aromatici, in particolare quelle contenenti  benzo[a]pirene, definite cancerogene ai sensi della direttiva 2004/37                 Cute (10)   
Oli minerali precedentemente usati nei motori a combustione interna per lubrificare e raffreddare le parti mobili all'interno del motore                 Cute (10)   

NOTE
(1) N. CE (ossia EINECS, ELINCS o NLP): e ii numero ufficiale della sostanza all' intero dell' Unione europea, come definito nell'allegato VI, parte I, punto 1.1.1.2, del regolamento (CE) n. 1272/2008.
(2) N. CAS: numero di registrazione CAS (Chemical Abstract Service).
(3) Misurato o calcolato in relazione a un periodo di riferimento di 8 ore.
(4) Limite per esposizione di breve durata (STEL). Valore limite al di sopra del quale l'esposizione dovrebbe essere evitata e che si riferisce a un periodo di 15 minuti, salvo indicazione contraria.
(5) mg/m3 = milligrammi per metro cubo di aria a 20°C e 101,3 kPa (corrispondenti alla pressione di 760 mm di mercurio).
(6) ppm= parti per milione per volume di aria (ml/m3).
(7) f/ml= fibre per millilitro.
(8) Frazione inalabile: se le polveri di legno duro sono mischiate con altre polveri di legno, il valore limite si applica a tutte le polveri di legno presenti nella miscela in questione.
(9) Frazione respirabile.
(10) Contribuisce in modo significativo all'esposizione totale attraverso la via di assorbimento cutanea.
(11) Misurate sotto forma di carbonio elementare.
(12) Frazione inalabile.
(13) Frazione inalabile. Frazione respirabile negli Stati membri che applicano, alla data di entrata in vigore della direttiva (UE) 2019/983, un sistema di biomonitoraggio con un valore limite biologico non superiore a 0,002 mg Cd/g di creatinina nelle urine.
(14) La sostanza può causare sensibilizzazione cutanea e delle vie respiratorie.
(15) La sostanza può causare sensibilizzazione cutanea.

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Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali

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Indagine epidemiologica lavoratori di Porto Marghera esposti a cloruro di vinile

ID 12858 | | Visite: 2397 | Documenti Sicurezza Enti

Indagine epidemiologica ISS sui lavoratori di Porto Marghera  esposti cloruro di vinile

Indagine epidemiologica sui lavoratori di Porto Marghera esposti a cloruro di vinile nelle fasi di produzione, polimerizzazione e insacco

Rapporti ISTISAN 97 22

La sorveglianza epidemiologica dei lavoratori addetti alla produzione e polimerizzazione del cloruro di vinile, espressamente prevista dal DPR n. 962 del 10/9/1982 (G.U. n. 6/1/1983) (non più in vigore, vigente data news il D.Lgs. 81/2008), è stata avviata dall'Istituto Superiore di Sanità nel 1983, in collaborazione con le strutture territoriali di prevenzione nei luoghi di lavoro e gli istituti di ricerca maggionnente interessati al problerna. Il progetto si e inoltre avvalso della fattiva adesione delle Aziende e delle Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori.

Nella prima fase della ricerca e stata studiata la mortalita per causa specifica fra i 5946 lavoratori esposti o ex esposti a cloruro di vinile negli stabilimenti di Marghera, Ferrara, Ravenna, Rosignano, Terni, Brindisi, Ferrandina, Porto Torres e Assemini nel periodo intercorrente fra l'avvio delle produzioni in esame ed una data, diversa da uno stabilimento all'altro, compresa fra il 1984 e il 1988; i risultati di questa fase dello studio hanno confennato l'azione cancerogena del cloruro di vinile monomero (CVM) sul fegato, ma non su altri organi bersaglio (Pirastu et al., 1991).
...
segue in allegato

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Allegato riservato Rapporti ISTISAN ISS 97 22.pdf
ISS 1997
4813 kB 6

Direttiva (CEE) n. 78/610

ID 12855 | | Visite: 2635 | Legislazione Sicurezza UE

Direttiva (CEE) n. 78/610

Direttiva 78/610/CEE del Consiglio, del 29 giugno 1978, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri sulla protezione sanitaria dei lavoratori esposti al cloruro di vinile monomero

(GU L 197 del 22.7.1978)

Non più in vigore

Recepita da: D.P.R. 10 settembre 1982 n. 962

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Carta di Pisa delle vaccinazioni negli operatori sanitari

ID 12852 | | Visite: 2484 | News Sicurezza

Carta di Pisa

Carta di Pisa delle vaccinazioni negli operatori sanitari

Pisa, 27-28 Marzo 2017 

"Carta di Pisa delle vaccinazioni negli operatori sanitari" prodotta dal Gruppo di Studio Conferenza Nazionale "Medice cura te ipsum"

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1. Riconoscere il valore della vaccinazione negli OS
2. Ribadire il ruolo degli OS nel raggiungimento dell'obiettivo di eliminazione di morbillo e rosolia nel quadro degli accordi internazionali
3. Attuare azioni mirate alla formazione e consapevolezza dei rischi infettivi negli OS
4. Introdurre forme di promozione della vaccinazione e forme di incentivazione adeguate al contesto di lavoro degli OS
5. Introdurre forme di obbligo laddove altre azioni mirate al raggiungimento degli obiettivi di copertura non abbiano funzionato
6. Migliorare la sorveglianza delle coperture vaccinali
7. Implementare progetti di ricerca multidisciplinari sui temi della sorveglianza e della prevenzione delle malattie prevenibili mediante vaccinazione negli operatori sanitari

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Fonte: CIIP

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Regio decreto-legge 22 marzo 1934 n. 654

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Regio decreto-legge 22 marzo 1934 n. 654

Tutela della maternità delle lavoratrici.

(G.U. n. 99 del 27 aprile 1934)

Provvedimento abrogato da: D.L. 22 dicembre 2008, n. 200, convertito con modificazioni dalla L. 18 febbraio 2009, n.9

Legge 22 febbraio 1934 n. 370

ID 12839 | | Visite: 2600 | Decreti Sicurezza lavoro

Legge 22 febbraio 1934 n  370

Legge 22 febbraio 1934 n. 370

Riposo domenicale e settimanale.

(G.U. n.65 del 17 marzo 1934)

In allegato:
- testo consolidato nativo
- testo consolidato al 02.2021 con le modifiche apportate dal:

07/02/1939
REGIO DECRETO-LEGGE 28 novembre 1938, n. 2114 (in G.U. 07/02/1939, n.31)

03/01/1953
LEGGE 11 dicembre 1952, n. 2466 (in G.U. 03/01/1953, n.2)

14/07/1962
La Corte costituzionale, con sentenza 22 giugno 1962, n. 76 (in G.U. 14/07/1962 n. 177)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma secondo, n. 6.

21/06/1972
La Corte costituzionale, con sentenza 9 giugno 1972, n. 105 (in G.U. 21/06/1972 n. 158)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 13.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 14, comma 1.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 22.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 23.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 24.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 25.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 26.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dall'art. 28.

10/02/1982
La Corte costituzionale, con sentenza 19 gennaio 1982, n. 23 (in G.U. 10/02/1982 n. 40)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma secondo, n. 5; e l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, nn. 1, 2, 3, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14.

08/06/1994
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 18 aprile 1994, n. 339 (in SO n.87, relativo alla G.U. 08/06/1994, n.132)

26/01/1995
DECRETO LEGISLATIVO 19 dicembre 1994, n. 758 (in SO n.9, relativo alla G.U. 26/01/1995, n.21)

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Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL)

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 International Labour Organization   ILO

Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) / International Labour Organization (ILO)

Atto costitutivo 1919

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) è l’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale. Fondata nel 1919 come parte del Trattato di Versailles che pose fine alla Prima Guerra mondiale, l’OIL adotta norme internazionali del lavoro, promuove i principi fondamentali e i diritti sul lavoro, opportunità di lavoro dignitose, il rafforzamento della protezione sociale e il dialogo sociale sulle questioni inerenti al lavoro.

L’OIL è l’unica fra tutte le organizzazioni del sistema multilaterale ad avere una struttura tripartita dove i rappresentanti dei governi, delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei sindacati di 187 paesi membri hanno la stessa voce e lavorano insieme per adottare norme internazionali del lavoro e formulare politiche e programmi internazionali che hanno un impatto sul mondo del lavoro e la politica sociale.

Il perseguimento della giustizia sociale per assicurare la pace duratura e il lavoro dignitoso sono i principi sui quali si regge l’Organizzazione. Il lavoro dignitoso riassume le aspirazioni degli individui alla dignità, uguaglianza, sicurezza e libertà. L’esperienza di un secolo di vita dell’Organizzazione ha evidenziato come un’azione costante e concertata di governi e rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori sia essenziale per conseguire la giustizia sociale, la democrazia e la promozione di una pace universale e duratura.

L’OIL persegue il suo mandato attraverso tre organi principali: l’Ufficio Internazionale del Lavoro, la Conferenza Internazionale del Lavoro e il Consiglio d’Amministrazione. Presieduta dal Direttore Generale, l’Ufficio Internazionale del Lavoro è il segretariato permanente dell’Organizzazione e la sua struttura riflette le aree di lavoro che fanno parte del mandato dell’OIL. La Conferenza è un parlamento internazionale che ogni anno riunisce i delegati tripartiti dei paesi membri per discutere e adottate le norme internazionali del lavoro e definire le politiche dell’Organizzazione. L’organo esecutivo dell’OIL — il Consiglio d’Amministrazione —  si riunisce tre volte all’anno per dare attuazione alle politiche dell’OIL, adottare il programma e il bilancio da presentare alla Conferenza ed elegge il Direttore Generale. 

Convenzione OIL n. 182 del 1999

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Convenzione OIL n  182 del 1999

Convenzione OIL n. 182 del 1999

Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile

Convenzione relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile

Data di entrata in vigore : 19/11/2000

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Articolo 1

Ogni Membro che ratifichi la presente Convenzione deve prendere misure immediate ed efficaci atte a garantire la proibizione e l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile, con procedura d’urgenza.

Articolo 2

Ai fini della presente Convenzione, il termine « minore » si riferisce a tutte le persone di età inferiore ai 18 anni.

Articolo 3

Ai fini della presente Convenzione, l’espressione « forme peggiori di lavoro minorile » include:
a) tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, quali la vendita o la tratta di minori, la servitù per debiti e l’asservimento, il lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento forzato o obbligatorio di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati;
b) l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore a fini di prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici;
c) l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore ai fini di attività illecite, quali, in particolare, quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti, così come sono definiti dai trattati internazionali pertinenti;
d) qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore.

Articolo 4

1. I tipi di lavoro cui si fa riferimento nell’articolo 3 d) saranno determinati dalla legislazione nazionale o dall’autorità competente, previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate e tenuto conto delle relative norme internazionali, in particolare dei paragrafi 3 e 4 della Raccomandazione sulle forme peggiori di lavoro minorile del 1999.
2. L’autorità competente, previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate, deve localizzare l’esistenza dei tipi di lavoro così determinati.
3. La lista dei tipi di lavoro determinati secondo il paragrafo 1 di questo articolo deve essere periodicamente esaminata e ove necessario riveduta, in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate.

Articolo 5

Ogni Membro deve, previa consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, istituire o designare i meccanismi idonei per monitorare l’applicazione dei provvedimenti attuativi della presente Convenzione.

Articolo 6

1. Ogni Membro deve definire ed attuare programmi d’azione volti ad eliminare prioritariamente le forme peggiori di lavoro minorile.
2. Tali programmi d’azione devono essere definiti ed attuati in consultazione con le istituzioni pubbliche competenti e le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, tenendo conto, all’occorrenza, delle opinioni di altri gruppi interessati.

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Fonte: ILO

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Convenzione OIL n. 138 del 1973

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Convenzione OIL n  138 del 1973

Convenzione OIL n. 138 del 1973

Convenzione sull’età minima

Data di entrata in vigore: 19/06/1976

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Articolo 1

Ciascun membro per il quale la presente convenzione è in vigore si impegna a perseguire una politica interna tendente ad assicurare l’abolizione effettiva del lavoro infantile e ad aumentare progressivamente l’età minima per l’assunzione all’impiego o al lavoro ad un livello che permetta agli adolescenti di raggiungere il più completo sviluppo fisico e mentale.

Articolo 2

1. Ciascun membro che ratifica la presente convenzione dovrà specificare in una dichiarazione allegata alla sua ratifica un’età minima per l’assunzione all’impiego o al lavoro sul suo territorio e sui mezzi di trasporto immatricolati nel suo territorio; con riserva delle disposizioni degli articoli da 4 a 8 della presente convenzione, nessuna persona di età inferiore a quella minima potrà essere assunta all’impiego o al lavoro qualunque sia la professione.
2. Ciascun membro che ha ratificato la presente convenzione potrà, in seguito, informare il Direttore generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, con nuove dichiarazioni, che aumenta l’età minima precedentemente specificata.
3. L’età minima specificata in conformità del paragrafo 1 del presente articolo non dovrà essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo, né in ogni caso inferiore ai quindici anni.
4. Nonostante le disposizioni del paragrafo 3 del presente articolo, ciascun membro la cui economia e le cui istituzioni scolastiche non sono sufficientemente sviluppate potrà, previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, se esistono, specificare, in un primo tempo, un’età minima di quattordici anni.
5. Ogni membro che avrà specificato un’età minima di quattordici anni in virtù del precedente paragrafo dovrà dichiarare nelle relazioni che deve presentare ai sensi dell’articolo 22 della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro:
a) o che sussiste ancora il motivo della sua decisione;
b) o che rinuncia ad avvalersi del precedente paragrafo 4 a partire da una determinata data.

Articolo 3

1. L’età minima per l’assunzione a qualunque tipo di impiego o di lavoro che, per la sua natura o per le condizioni nelle quali viene esercitato, può compromettere la salute, la sicurezza o la moralità degli adolescenti non dovrà essere inferiore ai diciotto anni.
2. I tipi di impiego o di lavoro previsti dal precedente paragrafo 1 saranno determinati dalla legislazione interna o dall’autorità competente, previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, se esistono.
3. Nonostante le disposizioni del precedente paragrafo 1, la legislazione nazionale o l’autorità competente potrà, dopo aver consultato le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, se esistono, autorizzare l’impiego o il lavoro di adolescenti dall’età di sedici anni a condizione che la loro salute, la loro sicurezza e la loro moralità siano pienamente garantite e che abbiano ricevuto un’istruzione specifica ed adeguata o una formazione professionale nel settore d’attività corrispondente.

Articolo 4

1. Se sarà necessario e dopo aver consultato le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, se esistono, l’autorità competente potrà non applicare la presente convenzione a limitate categorie di impiego o di lavoro qualora l’applicazione della presente convenzione a dette categorie dovesse sollevare particolari e importanti difficoltà d’esecuzione.
2. Ciascun membro che ratifica la presente convenzione dovrà indicare, adducendo i motivi, nel suo primo rapporto sull’applicazione di quest’ultima, che deve presentare ai sensi dell’articolo 22 della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, le categorie di impiego che saranno state escluse ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo, ed esporre, nei suoi successivi rapporti, lo stato della sua legislazione e della sua prassi relative a dette categorie, precisando in quale misura è stato dato effetto o si intende dare effetto alla presente convenzione per quanto riguarda dette categorie.
3. Il presente articolo non autorizza ad escludere dal campo di applicazione della presente convenzione gli impieghi o i lavori previsti dall’articolo 3.

Articolo 5

1. Ciascun membro la cui economia e i cui servizi amministrativi non abbiano raggiunto uno sviluppo sufficiente potrà, previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, se esistono, limitare, in un primo tempo, il campo di applicazione della presente convenzione.
2. Ciascun membro che si avvale del paragrafo 1 del presente articolo dovrà specificare, in una dichiarazione allegata alla sua ratifica, i settori di attività economica o i tipi di imprese ai quali verranno applicate le disposizioni della presente convenzione.
3. Il campo di applicazione della presente convenzione dovrà comprendere almeno : le industrie estrattive ; le industrie manifatturiere ; l’edilizia e i lavori pubblici, l’elettricità, il gas e l’acqua, i servizi sanitari, i trasporti, magazzini e comunicazioni ; le piantagioni e le altre aziende agricole sfruttate soprattutto per scopi commerciali ; sono escluse le aziende familiari o di piccole dimensioni che producono per il mercato locale e non impiegano regolarmente lavoratori salariati.
4. Ciascun membro che ha limitato il campo di applicazione della convenzione in virtù del presente articolo:
a) dovrà indicare, nei rapporti che dovrà presentare ai sensi dell’articolo 22 della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la situazione generale dell’impiego o del lavoro degli adolescenti e dei bambini dei settori di attività che sono esclusi dal campo di applicazione della presente convenzione, nonché i progressi realizzati in vista di una più ampia applicazione delle disposizioni della convenzione ;
b) potrà, in qualunque momento, estendere il campo di applicazione della convenzione con una dichiarazione indirizzata al Direttore generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro.

Articolo 6

La presente convenzione non si applica né al lavoro effettuato da bambini o da adolescenti in istituti scolastici, in scuole professionali o tecniche o in altri istituti di formazione professionale, né al lavoro effettuato da ragazzi di almeno quattordici anni in aziende, qualora tale lavoro venga compiuto conformemente alle condizioni prescritte dalle autorità competenti previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, se esistono, e faccia parte integrante:
a) o di un insegnamento o di una formazione professionale la cui responsabilità spetti in primo luogo ad una scuola o ad un istituto di formazione professionale;
b) o di un programma di formazione professionale approvato dall’autorità competente ed eseguito principalmente e interamente in una azienda;
c) o di un programma di orientamento professionale destinato a facilitare la scelta di una professione o di un tipo di formazione professionale.

Articolo 7

1. La legislazione nazionale potrà autorizzare l’impiego in lavori leggeri di giovani di età dai tredici ai quindici anni o l’esecuzione, da parte di detti giovani, di tali lavori a condizione che :
a) non danneggino la loro salute o il loro sviluppo ;
b) non siano di natura tale da pregiudicare la loro frequenza scolastica, la loro partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale approvati dall’autorità competente o la loro attitudine a beneficiare dell’istruzione ricevuta.
2. La legislazione nazionale potrà altresì, con riserva delle condizioni previste ai comma a. e b. del precedente paragrafo 1, autorizzare l’impiego o il lavoro di giovani di almeno quindici anni che non hanno ancora terminato la scuola dell’obbligo.
3. L’autorità competente determinerà le attività nelle quali l’impiego o il lavoro potranno essere autorizzati in conformità dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo e fisserà la durata, in ore, e le condizioni di impiego o di lavoro in questione.
4. Nonostante le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo, un membro che si è avvalso delle disposizioni del paragrafo 4 dell’articolo 2 può, fintanto che se ne avvale, sostituire i limiti di età di tredici anni e di quindici anni di cui al paragrafo 1 con dodici e quattordici anni, e il limite di età di quindici anni di cui al paragrafo 2 del presente articolo con quattordici anni.

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Fonte:  ILO

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GPDP Domande più frequenti (FAQ) Videosorveglianza

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Videosorveglianza FAQ

GPDP Domande più frequenti (FAQ) Videosorveglianza 

ID 12704 | Update 27.01.2022 / Documenti in allegato

Di seguito raccolta delle Domande più frequenti relative alla videosorveglianza del Garante per la Protezione dei dati personali

1) Quali sono le regole da rispettare per installare sistemi di videosorveglianza?

L’installazione di sistemi di rilevazione delle immagini deve avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina in materia di protezione dei dati personali, anche delle altre disposizioni dell’ordinamento applicabili: ad esempio, le vigenti norme dell’ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite nella vita privata, o in materia di controllo a distanza dei lavoratori. Va sottolineato, in particolare, che l’attività di videosorveglianza va effettuata nel rispetto del cosiddetto principio di minimizzazione dei dati riguardo alla scelta delle modalità di ripresa e dislocazione e alla gestione delle varie fasi del trattamento. I dati trattati devono comunque essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite.

E’ bene ricordare inoltre che il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) ha adottato le “Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video” allo scopo di fornire indicazioni sull’applicazione del Regolamento in relazione al trattamento di dati personali attraverso dispositivi video, inclusa la videosorveglianza.

2) Occorre avere una autorizzazione da parte del Garante per installare le telecamere?

No. Non è prevista alcuna autorizzazione da parte del Garante per installare tali sistemi.

In base al principio di responsabilizzazione (art. 5, par. 2, del Regolamento), spetta al titolare del trattamento (un’azienda, una pubblica amministrazione, un professionista, un condominio…) valutare la liceità e la proporzionalità del trattamento, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Il titolare del trattamento deve, altresì, valutare se sussistano i presupposti per effettuare una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati prima di iniziare il trattamento (cfr. FAQ n. 7).

3) Le persone che transitano nelle aree videosorvegliate devono essere informate della presenza delle telecamere?

Sì. Gli interessati devono sempre essere informati (ex art. 13 del Regolamento) che stanno per accedere in una zona videosorvegliata, anche in occasione di eventi e spettacoli pubblici (ad esempio, concerti, manifestazioni sportive) e a prescindere dal fatto che chi tratta i dati sia un soggetto pubblico o un soggetto privato.

4) In che modo si fornisce l’informativa agli interessati?

L’informativa può essere fornita utilizzando un modello semplificato (anche un semplice cartello, come quello realizzato dall’EDPB e disponibile qui), che deve contenere, tra le altre informazioni, le indicazioni sul titolare del trattamento e sulla finalità perseguita. Il modello può essere adattato a varie circostanze (presenza di più telecamere, vastità dell’area oggetto di rilevamento o modalità delle riprese). L’informativa va collocata prima di entrare nella zona sorvegliata. Non è necessario rivelare la precisa ubicazione della telecamera, purché non vi siano dubbi su quali zone sono soggette a sorveglianza e sia chiarito in modo inequivocabile il contesto della sorveglianza. L’interessato deve poter capire quale zona sia coperta da una telecamera in modo da evitare la sorveglianza o adeguare il proprio comportamento, ove necessario. L’informativa deve rinviare a un testo completo contenente tutti gli elementi di cui all´art. 13 del Regolamento, indicando come e dove trovarlo (ad es. sul sito Internet del titolare del trattamento o affisso in bacheche o locali dello stesso).

Cartello

5) Quali sono i tempi dell’eventuale conservazione delle immagini registrate?

Le immagini registrate non possono essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per le quali sono acquisite (art. 5, paragrafo 1, lett. c) ed e), del Regolamento). In base al principio di responsabilizzazione (art. 5, paragrafo 2, del Regolamento), spetta al titolare del trattamento individuare i tempi di conservazione delle immagini, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Ciò salvo che specifiche norme di legge non prevedano espressamente determinati tempi di conservazione dei dati (si veda, ad esempio, l’art. 6, co. 8, del D.L. 23/02/2009, n. 11, ai sensi del quale, nell’ambito dell’utilizzo da parte dei Comuni di sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico per la tutela della sicurezza urbana, “la conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l'uso di sistemi di videosorveglianza è limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione”).

In via generale, gli scopi legittimi della videosorveglianza sono spesso la sicurezza e la protezione del patrimonio. Solitamente è possibile individuare eventuali danni entro uno o due giorni. Tenendo conto dei principi di minimizzazione dei dati e limitazione della conservazione, i dati personali dovrebbero essere – nella maggior parte dei casi (ad esempio se la videosorveglianza serve a rilevare atti vandalici) – cancellati dopo pochi giorni, preferibilmente tramite meccanismi automatici. Quanto più prolungato è il periodo di conservazione previsto (soprattutto se superiore a 72 ore), tanto più argomentata deve essere l’analisi riferita alla legittimità dello scopo e alla necessità della conservazione.

Ad esempio, normalmente il titolare di un piccolo esercizio commerciale si accorgerebbe di eventuali atti vandalici il giorno stesso in cui si verificassero. Un periodo di conservazione di 24 ore è quindi sufficiente. La chiusura nei fine settimana o in periodi festivi più lunghi potrebbe tuttavia giustificare un periodo di conservazione più prolungato.

6) È possibile prolungare i tempi di conservazione delle immagini?

In alcuni casi può essere necessario prolungare i tempi di conservazione delle immagini inizialmente fissati dal titolare o previsti dalla legge: ad esempio, nel caso in cui tale prolungamento si renda necessario a dare seguito ad una specifica richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria in relazione ad un’attività investigativa in corso.

7) Quali sistemi di videosorveglianza necessitano di valutazione d’impatto preventiva?

La valutazione d’impatto preventiva è prevista se il trattamento, quando preveda in particolare l'uso di nuove tecnologie, considerati la natura, l'oggetto, il contesto e le finalità del trattamento, può presentare un rischio elevato per le persone fisiche (artt. 35 e 36 del Regolamento) (per approfondimenti si vedano le “Linee-guida concernenti la valutazione di impatto sulla protezione dei dati nonché i criteri per  stabilire se un trattamento "possa presentare un rischio elevato" ai sensi del regolamento 2016/679” - WP248rev.01 del 4 ottobre 2017). Può essere il caso, ad esempio, dei sistemi integrati - sia pubblici che privati - che collegano telecamere tra soggetti diversi nonché dei sistemi intelligenti, capaci di analizzare le immagini ed elaborarle, ad esempio al fine di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli, ed eventualmente registrarli. La valutazione d'impatto sulla protezione dei dati è sempre richiesta, in particolare, in caso di sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico (art. 35, par. 3, lett. c) del Regolamento) e negli altri casi indicati dal Garante (cfr. “Elenco delle tipologie di trattamenti soggetti al requisito di una valutazione d'impatto sulla protezione dei dati ai sensi dell’art. 35, comma 4, del Regolamento (UE) n. 2016/679” dell’11 ottobre 2018).

8) Si possono installare telecamere all’interno degli istituti scolastici?

Si rinvia al riguardo alle FAQ sulla scuola disponibili al link https://www.garanteprivacy.it/home/faq/scuola-e-privacy.

9) Il datore di lavoro pubblico o privato può installare un sistema di videosorveglianza nelle sedi di lavoro?

Sì, esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, nel rispetto delle altre garanzie previste dalla normativa di settore in materia di installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo (art. 4 della l. 300/1970).

10) L’installazione di sistemi di videosorveglianza può essere effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali, atti a monitorare la proprietà privata?

Sì. Nel caso di videosorveglianza privata, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, parti comuni delle autorimesse) ovvero a zone di pertinenza di soggetti terzi. È vietato altresì riprendere aree pubbliche o di pubblico passaggio.”

11) Quali sono le regole per installare un sistema di videosorveglianza condominiale?

È necessario in primo luogo che l’istallazione avvenga previa assemblea condominiale, con il consenso della maggioranza dei millesimi dei presenti (art. 1136 c.c.). È indispensabile inoltre che le telecamere siano segnalate con appositi cartelli e che le registrazioni vengano conservate per un periodo limitato. Valgono al riguardo le osservazioni di cui alla FAQ n. 5. In ambito condominiale è comunque congruo ipotizzare un termine di conservazione delle immagini che non oltrepassi i 7 giorni.

12) Si possono utilizzare telecamere di sorveglianza casalinghe c.d. smart cam?

Sì. Il trattamento dei dati personali mediante l’uso di telecamere installate nella propria abitazione per finalità esclusivamente personali di controllo e sicurezza, rientra tra quelli esclusi dall’ambito di applicazione del Regolamento. In questi casi, i dipendenti o collaboratori eventualmente presenti (babysitter, colf, ecc.) devono essere comunque informati dal datore di lavoro. Sarà comunque necessario evitare il monitoraggio di ambienti che ledano la dignità della persona (come bagni), proteggere adeguatamente i dati acquisiti (o acquisibili) tramite le smart cam con idonee misure di sicurezza, in particolare quando le telecamere sono connesse a Internet, e non diffondere i dati raccolti.

13) I Comuni possono utilizzare telecamere per controllare discariche di sostanze pericolose ed "eco piazzole" per monitorare le modalità del loro uso, la tipologia dei rifiuti scaricati e l’orario di deposito?

Sì, ma solo se non risulta possibile, o si riveli non efficace, il ricorso a strumenti e sistemi di controllo alternativi e comunque nel rispetto del principio di minimizzazione dei dati. In tal caso, l’informativa agli interessati può essere fornita mediante affissione di cartelli informativi nei punti e nelle aree in cui si svolge la videosorveglianza, che contengano anche indicazioni su come e dove reperire un testo completo contenente tutti gli elementi di cui all´art. 13 del Regolamento (cfr. precedente FAQ n. 4). Non è invece previsto o consentito che tale monitoraggio sia posto in essere da soggetti privati.

14) Si può utilizzare un sistema di videosorveglianza per trattare categorie particolari di dati?

Se le riprese video sono trattate per ricavare categorie particolari di dati, il trattamento è consentito soltanto se risulta applicabile una delle eccezioni di cui all’art. 9 del Regolamento (ad esempio, un ospedale che installa una videocamera per monitorare le condizioni di salute di un paziente effettua un trattamento di categorie particolari di dati personali).

In via generale, ogniqualvolta si installa un sistema di videosorveglianza si dovrebbe prestare particolare attenzione al principio di minimizzazione dei dati. Pertanto, il titolare del trattamento deve in ogni caso sempre cercare di ridurre al minimo il rischio di acquisire filmati che rivelino altri dati a carattere sensibile, indipendentemente dalla finalità.

Il trattamento di categorie particolari di dati richiede una vigilanza rafforzata e continua su taluni obblighi, ad esempio un elevato livello di sicurezza e una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati, ove necessario (cfr. FAQ n. 7).

15) I sistemi elettronici di rilevamento delle infrazioni inerenti violazioni del codice della strada vanno segnalate da cartello/informativa?

Sì. I cartelli che segnalano tali sistemi sono obbligatori, anche in base alla disciplina di settore. L’utilizzo di tali sistemi è lecito se sono raccolti solo dati pertinenti e non eccedenti per il perseguimento delle finalità istituzionali del titolare, delimitando a tal fine la dislocazione e l’angolo visuale delle riprese. La ripresa del veicolo non deve comprendere (o deve mascherare), per quanto possibile, la parte del video o della fotografia riguardante soggetti non coinvolti nell’accertamento amministrativo (es. eventuali pedoni o altri utenti della strada). Le fotografie o i video che attestano l’infrazione non devono essere inviati al domicilio dell’intestatario del veicolo, ma l’interessato, ossia la persona eventualmente ritratta nelle immagini, può richiederne copia oppure esercitare il diritto di accesso ai propri dati (fermo restando che dovranno essere opportunamente oscurati o resi comunque non riconoscibili i passeggeri presenti a bordo del veicolo).

16) Ci sono casi di videosorveglianza in cui non si applica la normativa in materia di protezione dati?

Sì. La normativa in materia di protezione dati non si applica al trattamento di dati che non consentono di identificare le persone, direttamente o indirettamente, come nel caso delle riprese ad alta quota (effettuate, ad esempio, mediante l’uso di droni). Non si applica, inoltre, nel caso di fotocamere false o spente perché non c’è nessun trattamento di dati personali (fermo restando che, nel contesto lavorativo, trovano comunque applicazione le garanzie previste dall’art. 4 della l. 300/1970) o nei casi di videocamere integrate in un’automobile per fornire assistenza al parcheggio (se la videocamera è costruita o regolata in modo tale da non raccogliere alcuna informazione relativa a una persona fisica, ad esempio targhe o informazioni che potrebbero identificare i passanti).

Fonte: Garante Privacy

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Dati INAIL 01/2021 - Andamento infortuni sul lavoro e malattie professionali

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Dati INAIL 01 2021

Dati INAIL 01/2021 - Andamento infortuni sul lavoro e malattie professionali

L’analisi condotta dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto sugli Open data rilevati al 31 dicembre conferma l’impatto dell’emergenza Coronavirus sull’andamento infortunistico in Italia nel 2020. Il calo delle denunce è pari al 13,6%, ma i casi mortali sono 1.270, 181 in più rispetto ai 1.089 del 2019 (+16,6%). A fronte di una riduzione dei decessi in itinere del 30,1%, quelli avvenuti in occasione di lavoro sono infatti aumentati di oltre un terzo (+34,9%)

Sono 554.340 gli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail nel 2020, in calo del 13,6% rispetto ai 641.638 dell’anno precedente, e 1.270 quelli con esito mortale, 181 in più rispetto ai 1.089 del 2019 (+16,6%). Se i decessi in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, sono diminuiti di quasi un terzo, da 306 a 214 (-30,1%), quelli in occasione di lavoro sono invece aumentati del 34,9%, da 783 a 1.056.

Quasi un quarto delle denunce e circa un terzo dei decessi sono dovuti al virus. È questa, in sintesi, la fotografia scattata lo scorso 31 dicembre dagli Open data dell’Istituto, la cui analisi è al centro del nuovo numero di Dati Inail, mensile curato dalla Consulenza statistico attuariale, che conferma l’impatto dell’emergenza Coronavirus sull’andamento infortunistico nel nostro Paese. Quasi un quarto del totale delle denunce e circa un terzo dei casi mortali sono dovuti, infatti, al contagio da Covid-19 che l’Istituto inquadra, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro, equiparandone la causa virulenta a quella violenta tipica proprio degli eventi infortunistici, come avviene anche per altre affezioni morbose (Aids, malaria, tubercolosi, tetano, epatiti virali, ecc.).

Dopo la flessione dei primi nove mesi nell'ultimo trimestre +9,1%. A influenzare la flessione degli infortuni denunciati è stato solo l’andamento registrato nei primi nove mesi del 2020 (-21,6% rispetto all’analogo periodo del 2019), mentre nell’ultimo trimestre le denunce sono aumentate del 9,1% rispetto all’analogo trimestre dell’anno precedente. I dati rilevati al 31 dicembre di ciascun anno evidenziano, in particolare, un decremento sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 540.733 a 492.123 (-9,0%), sia di quelli in itinere, che registrano un calo percentuale più sostenuto, da 100.905 a 62.217 (-38,3%). Se per gli infortuni in itinere il segno è rimasto negativo sia nei primi tre trimestri (-37,1%) che nell’ultimo (-42,2%), per quelli in occasione di lavoro si è passati, invece, dal -18,6% del periodo gennaio-settembre al +18,0% di quello ottobre-dicembre.

La diminuzione riguarda tutte le gestioni. Il numero degli infortuni sul lavoro denunciati nel 2020 è diminuito del 2,8% nella gestione Industria e servizi (dai 501.496 casi del 2019 ai 487.369 del 2020), del 19,6% in Agricoltura (da 32.692 a 26.287) e del 62,1% nel conto Stato (da 107.450 a 40.684). L’analisi di periodo conferma decrementi per tutte e tre le gestioni nel saldo complessivo dei primi tre trimestri, mentre nell’ultimo trimestre dell’anno l’Industria e servizi presenta un segno positivo (+31,1%), sintesi di un +45,6% per gli infortuni avvenuti in occasione di lavoro e di un -40,7% per quelli in itinere.

Nella Sanità e assistenza sociale i casi si sono triplicati. Tra i settori economici della gestione Industria e servizi, quello della Sanità e assistenza sociale si distingue per il forte incremento delle denunce di infortunio in occasione di lavoro, che in quasi i tre quarti dei casi hanno riguardato il contagio da Coronavirus. L’aumento è del +206% su base annua (dai circa 27.500 casi del 2019 agli oltre 84mila del 2020), con punte superiori al +750% a novembre e tra il +400% e il +500% a marzo, aprile, ottobre e dicembre, nel confronto con i mesi dell’anno precedente. Solo a gennaio e nel periodo estivo sono stati rilevati decrementi compresi in un intervallo tra il -5% e il -17%.

A livello territoriale incrementi in Valle d'Aosta, Piemonte e Provincia autonoma di Trento. Dall’analisi territoriale emerge, invece, un calo degli infortuni denunciati in tutte le aree del Paese. Questa flessione risulta, però, decisamente più contenuta nel Nord-Ovest (-4,1%) e più accentuata al Centro (-19,3%), nelle Isole (-18,8%), al Sud (-17,3%) e nel Nord-Est (-16,5%). Le Regioni con il minor decremento annuale sono la Lombardia (-6,3%), la Campania (-6,8%) e la Liguria (-8,2%), mentre quelle con decrementi maggiori sono la Calabria (-27,7%), l’Umbria (-25,2%) e il Molise (-24,8%). Gli unici incrementi rispetto al 2019 sono quelli rilevati in Valle d’Aosta (+16,7%), Piemonte (+2,9%) e Provincia autonoma di Trento (+0,9%), mentre concentrando l’attenzione sull’ultimo trimestre del 2020 spiccano gli incrementi di Valle d’Aosta (+85,6%), Campania (+56,8%) e Piemonte (+43,6%).

La riduzione è legata solo alla componente maschile (-22,1%), per le lavoratrici +1,7%. La flessione che emerge dal confronto del 2019 e del 2020 è legata esclusivamente alla componente maschile, che registra un calo del 22,1% (da 411.773 a 320.609 denunce), mentre quella femminile presenta un +1,7% (da 229.865 a 233.731). Per i lavoratori il calo si è registrato in tutti i mesi del 2020, mentre per le lavoratrici i primi incrementi si erano già registrati a marzo (+23,8%) e ad aprile (+2,4%), amplificandosi negli ultimi tre mesi dell’anno (+45,2%). Tra gennaio e dicembre la diminuzione delle denunce ha interessato sia i lavoratori italiani (-14,3%), sia quelli comunitari (-4,5%) ed extracomunitari (-11,9%), con cali percentuali più sostenuti nel mese di maggio (rispettivamente -52%, -38% e -41%) e incrementi, invece, nel periodo ottobre-dicembre (+9,4%, +26,0% e +2,4%). Dall’analisi per classi di età emergono decrementi generalizzati (più contenuti per i lavoratori tra i 45-49 anni e 65-69 anni), a eccezione della fascia 50-64 anni, che presenta un aumento, contenuto su base annua (+3,2%) e più consistente nell’ultimo trimestre (+39,9%).

Il calo delle denunce di malattia professionale è del 26,6%. Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel 2020 sono state 45.023, 16.287 in meno rispetto al 2019 (-26,6%). A parte gli incrementi di febbraio (+17%) e agosto (+1%), a influenzare la flessione, che ha riguardato tutte le gestioni e l’intero territorio nazionale, è stato soprattutto il numero di denunce presentate ad aprile (-87%), maggio (-69%) e marzo (-40%). Seguono i mesi di giugno (-29%), novembre (-22%), luglio (-18%), ottobre (-16%) e dicembre (-14%), mentre settembre, al pari di gennaio, ha presentato un calo superiore al 5%.

Al primo posto le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo. Le prime cinque malattie professionali denunciate continuano a essere le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo (28.164 casi), del sistema nervoso (5.060), dell’orecchio (2.919), del sistema respiratorio (1.808) e dei tumori (1.584). In ottica di genere emerge una flessione di 11.705 denunce di malattia professionale per i lavoratori, da 44.656 a 32.951 (-26,2%), e di 4.582 per le lavoratrici, da 16.654 a 12.072 (-27,5%). Il decremento ha interessato sia le denunce dei lavoratori italiani (passate da 56.993 a 41.882, pari a un calo del 26,5%), sia quelle di comunitari (da 1.452 a 1.052, -27,5%) ed extracomunitari (da 2.865 a 2.089, -27,1%).

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Fonte: INAIL

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Linee guida SNPA 26/2020 | Gestione accessi in sicurezza in ambienti confinati

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Linee guida SNPA 26 2020

Linee guida SNPA 26/2020 | Gestione accessi in sicurezza in ambienti confinati 

Gestione degli accessi in sicurezza in ambienti confinati o con sospetto di inquinamento o assimilabili

Linee guida SNPA 26/2020 - Delibera del Consiglio SNPA. Seduta del 21/12/2020. Doc. n. 90/20

Documento realizzato nell’ambito delle attività della Rete dei referenti SNPA per la tematica della salute e sicurezza sul lavoro RR TEM III(3) e approvato dal Consiglio SNPA nella seduta del 21 dicembre us.

Il lavoro è stato svolto in particolare da un ristretto gruppo di agenzie costituito da ARPA Liguria, ARPA Emilia Romagna, ARPA Piemonte, ARPA Toscana, AUSL Reggio Emilia, con la partecipazione della AUSL Toscana Sud-Est e dell’INAIL, con il coordinamento di ARPA Liguria e ISPRA.

Pubblicato nell’ambito della collana editoriale LINEE GUIDA SNPA, ha il fine di tutelare la salute e la sicurezza degli operatori del SNPA che durante le attività di controllo ambientale si trovino a dover accedere ad ambienti confinati o con sospetto di inquinamento o assimilabili, mediante l’individuazione di criteri e linee comportamentali di tutti i soggetti coinvolti nell’attività nel rispetto delle prescrizioni D.Lgs. 81/08.

In particolare:

- individua i limiti d’intervento;
- esplicita i divieti;
- definisce le linee di indirizzo per le procedure operative /organizzative integrate e complete delle dotazioni strumentali e di DPI e DPC necessari;
- indica quando organizzare la gestione delle situazioni di emergenza;
- stabilisce le verifiche preliminari all’accesso eventuale a luoghi confinati o con sospetto di inquinamento o a loro assimilabili.

propone i possibili contenuti della formazione sui rischi specifici dedicata ai Lavoratori, Preposti, Dirigenti e ai componenti dei Servizi di Prevenzione e Protezione del SNPA.

Destinatari del documento sono i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, nonché i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti coinvolti a vario titolo nella gestione delle attività di vigilanza, monitoraggio e controllo ambientale, nell’ambito delle rispettive posizioni giuridiche di garanzia e funzioni per la tutela della salute e sicurezza del personale impiegato.

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Fonte: SNPA

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COVID-19 | FAQ - Garante per la Protezione dei Dati Personali

ID 10723 | | Visite: 6318 | News Sicurezza

FAQ COVID GPDP

COVID-19 | FAQ - Garante per la Protezione dei Dati Personali

ID 10723 | Rev. 1.0 del 17.02.2021 / In allegato pdf

FAQ -Trattamento dei dati nel contesto lavorativo pubblico e privato nell’ambito dell’emergenza sanitaria

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1. Il datore di lavoro può rilevare la temperatura corporea del personale dipendente o di utenti, fornitori, visitatori e clienti all’ingresso della propria sede?

Nell’attuale situazione legata all’emergenza epidemiologica, si sono susseguiti, in tempi assai ravvicinati, in ragione dell’aggravarsi dello scenario nel contesto nazionale, numerosi interventi normativi e conseguenti atti di indirizzo emanati dalle istituzioni competenti che, al fine di individuare misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica, hanno stabilito che, i datori di lavoro, le cui attività non sono sospese, sono tenuti a osservare le misure per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro tra Governo e parti sociali del 14 marzo 2020.(1)

In particolare, il citato Protocollo prevede la rilevazione della temperatura corporea del personale dipendente per l’accesso ai locali e alle sedi aziendali, tra le misure per il contrasto alla diffusione del virus che trovano applicazione anche nei confronti di utenti, visitatori e clienti nonché dei fornitori, ove per questi ultimi non sia stata predisposta una modalità di accesso separata (cfr. Protocollo par. 2 e 3 e nota n. 1).

Analoghi protocolli di sicurezza, con riguardo alle attività pubbliche non differibili o ai servizi pubblici essenziali, sono stati stipulati dal Ministro per la pubblica amministrazione con le sigle sindacali maggiormente rappresentative nella pubblica amministrazione (come il Protocollo di accordo per la prevenzione e la sicurezza dei dipendenti pubblici in ordine all’emergenza sanitaria da “Covid-19” del 3 e 8 aprile 2020) in quanto le misure per la sicurezza del settore privato sono state ritenute coerenti con le indicazioni già fornite dallo stesso Ministro con la direttiva n. 2/2020 e con la Circolare n. 2/2020.

In ragione del fatto che la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea, quando è associata all’identità dell’interessato, costituisce un trattamento di dati personali (art. 4, par. 1, 2) del Regolamento (UE) 2016/679), non è ammessa la registrazione del dato relativo alla temperatura corporea rilevata, bensì, nel rispetto del principio di “minimizzazione” (art. 5, par.1, lett. c) del Regolamento cit.), è consentita la registrazione della sola circostanza del superamento della soglia stabilita dalla legge e comunque quando sia necessario documentare le ragioni che hanno impedito l’accesso al luogo di lavoro.

Diversamente nel caso in cui la temperatura corporea venga rilevata a clienti (ad esempio, nell’ambito della grande distribuzione) o visitatori occasionali anche qualora la temperatura risulti superiore alla soglia indicata nelle disposizioni emergenziali non è, di regola, necessario registrare il dato relativo al motivo del diniego di accesso.

2. L’amministrazione o l’impresa possono richiedere ai propri dipendenti di rendere informazioni, anche mediante un’autodichiarazione, in merito all’eventuale esposizione al contagio da COVID 19 quale condizione per l’accesso alla sede di lavoro?

In base alla disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro il dipendente ha uno specifico obbligo di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro (art. 20 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Al riguardo la direttiva n.1/2020 del Ministro per la pubblica amministrazione ha specificato che in base a tale obbligo il dipendente pubblico e chi opera a vario titolo presso la P.A. deve segnalare all’amministrazione di provenire (o aver avuto contatti con chi proviene) da un’area a rischio. In tale quadro il datore di lavoro può invitare i propri dipendenti a fare, ove necessario, tali comunicazioni anche mediante canali dedicati.

Tra le misure di prevenzione e contenimento del contagio che i datori di lavoro devono adottare in base al quadro normativo vigente, vi è la preclusione dell’accesso alla sede di lavoro a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS. A tal fine, anche alla luce delle successive disposizioni emanate nell’ambito del contenimento del contagio (v. Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali), è possibile richiedere una dichiarazione che attesti tali circostanze anche a terzi (es. visitatori e utenti).

In ogni caso dovranno essere raccolti solo i dati necessari, adeguati e pertinenti rispetto alla prevenzione del contagio da Covid-19, e astenersi dal richiedere informazioni aggiuntive in merito alla persona risultata positiva, alle specifiche località visitate o altri dettagli relativi alla sfera privata.

3. È possibile pubblicare sul sito istituzionale i contatti dei funzionari competenti per consentire al pubblico di prenotare servizi, prestazioni o appuntamenti presso le amministrazioni nella attuale emergenza epidemiologica?

Le disposizioni normative per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica e le indicazioni operative fornite dalle istituzioni competenti impongono di limitare la presenza del personale negli uffici mediante, prevalentemente, il ricorso al lavoro agile. Con riguardo ai compiti che richiedono la necessaria presenza sul luogo di lavoro, è previsto che le amministrazioni svolgano le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza e quelle “indifferibili”, anche con riguardo “all’utenza esterna”. Pertanto, le attività di ricevimento o di erogazione diretta dei servizi al pubblico devono essere garantite con modalità telematica o comunque con modalità tali da escludere o limitare la presenza fisica negli uffici (ad es. appuntamento telefonico o assistenza virtuale), ovvero, predisponendo accessi scaglionati, anche mediante prenotazioni di appuntamenti.

Nel rispetto dei principi di protezione dei dati (art. 5 Regolamento UE 2016/679) la finalità di fornire agli utenti recapiti utili a cui rivolgersi per assistenza o per essere ricevuti presso gli uffici, può essere utilmente perseguita pubblicando i soli recapiti delle unità organizzative competenti (numero di telefono e indirizzo PEC) e non quelli dei singoli funzionari preposti agli uffici. Ciò, anche in conformità agli obblighi di pubblicazione concernenti l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni.

4. Quali trattamenti di dati personali sul luogo di lavoro coinvolgono il medico competente?

In capo al medico competente permane, anche nell’emergenza, il divieto di informare il datore di lavoro circa le specifiche patologie occorse ai lavoratori.

Nel contesto dell’emergenza gli adempimenti connessi alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori da parte del medico competente, tra cui rientra anche la possibilità di sottoporre i lavoratori a visite straordinarie, tenuto conto della maggiore esposizione al rischio di contagio degli stessi, si configurano come vera e propria misura di prevenzione di carattere generale, e devono essere effettuati nel rispetto dei principi di protezione dei dati personali e rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute (cfr. anche Protocollo condiviso del 14 marzo 2020)(1).

Nell’ambito dell’emergenza, il medico competente collabora con il datore di lavoro e le RLS/RLST al fine di proporre tutte le misure di regolamentazione legate al Covid-19 e, nello svolgimento dei propri compiti di sorveglianza sanitaria, segnala al datore di lavoro “situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti” (cfr. paragrafo 12 del predetto Protocollo).

Ciò significa che, nel rispetto di quanto previsto dalle disposizioni di settore in materia di sorveglianza sanitaria e da quelle di protezione dei dati personali, il medico competente provvede a segnalare al datore di lavoro quei casi specifici in cui reputi che la particolare condizione di fragilità connessa anche allo stato di salute del dipendente ne suggerisca l’impiego in ambiti meno esposti al rischio di infezione. A tal fine, non è invece necessario comunicare al datore di lavoro la specifica patologia eventualmente sofferta dal lavoratore.

In tale quadro il datore di lavoro può trattare, nel rispetto dei principi di protezione dei dati (v. art. 5 Regolamento UE 2016/679), i dati personali dei dipendenti solo se sia normativamente previsto o disposto dagli organi competenti ovvero su specifica segnalazione del medico competente, nello svolgimento dei propri compiti di sorveglianza sanitaria.

5. Il datore di lavoro può comunicare al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza l’identità dei dipendenti contagiati?

I datori di lavoro, nell’ambito dell’adozione delle misure di protezione e dei propri doveri in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, non possono comunicare il nome del dipendente o dei dipendenti che hanno contratto il virus a meno che il diritto nazionale lo consenta.

In base al quadro normativo nazionale il datore di lavoro deve comunicare i nominativi del personale contagiato alle autorità sanitarie competenti e collaborare con esse per l’individuazione dei “contatti stretti” al fine di consentire la tempestiva attivazione delle misure di profilassi.

Tale obbligo di comunicazione non è, invece, previsto in favore del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, né i compiti sopra descritti rientrano, in base alle norme di settore, tra le specifiche attribuzioni di quest’ultimo.

Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, proprio nella fase dell’attuale emergenza epidemiologica, dovrà continuare a svolgere i propri compiti consultivi, di verifica e di coordinamento, offrendo la propria collaborazione al medico competente e al datore di lavoro (ad esempio, promuovendo l'individuazione delle misure di prevenzione più idonee a tutelare la salute dei lavoratori nello specifico contesto lavorativo; aggiornando il documento di valutazione dei rischi; verificando l’osservanza dei protocolli interni).

Il Rappresentate dei lavoratori per la sicurezza quando nell’esercizio delle proprie funzioni venga a conoscenza di informazioni- che di regola tratta in forma aggregata ad es. quelle riportate nel documento di valutazione dei rischi- rispetta le disposizioni in materia di protezione dei dati nei casi in cui sia possibile, anche indirettamente, l’identificazione di taluni interessati.

6. Può essere resa nota l’identità del dipendente affetto da Covid-19 agli altri lavoratori da parte del datore di lavoro?

No. In relazione al fine di tutelare la salute degli altri lavoratori, in base a quanto stabilito dalle misure emergenziali, spetta alle autorità sanitarie competenti informare i “contatti stretti” del contagiato, al fine di attivare le previste misure di profilassi.

Il datore di lavoro è, invece, tenuto a fornire alle istituzioni competenti e alle autorità sanitarie le informazioni necessarie, affinché le stesse possano assolvere ai compiti e alle funzioni previste anche dalla normativa d’urgenza adottata in relazione alla predetta situazione emergenziale (cfr. paragrafo 12 del predetto Protocollo).

La comunicazione di informazioni relative alla salute, sia all’esterno che all’interno della struttura organizzativa di appartenenza del dipendente o collaboratore, può avvenire esclusivamente qualora ciò sia previsto da disposizioni normative o disposto dalle autorità competenti in base a poteri normativamente attribuiti (es. esclusivamente per finalità di prevenzione dal contagio da Covid-19 e in caso di richiesta da parte dell’Autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali “contatti stretti di un lavoratore risultato positivo).

Restano ferme le misure che il datore di lavoro deve adottare in caso di presenza di persona affetta da Covid-19, all’interno dei locali dell’azienda o dell’amministrazione, relative alla pulizia e alla sanificazione dei locali stessi, da effettuarsi secondo le indicazioni impartite dal Ministero della salute (v. punto 4 del Protocollo condiviso).
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(1) Come aggiornato in data 24 aprile 2020

7. Il datore di lavoro può richiedere l’effettuazione di test sierologici ai propri dipendenti?

Si, ma solo se disposta dal medico competente e, in ogni caso, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche in merito all’affidabilità e all’appropriatezza di tali test.

Solo il medico competente, infatti, in quanto professionista sanitario, tenuto conto del rischio generico derivante dal Covid-19 e delle specifiche condizioni di salute dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria, può stabilire la necessità di particolari esami clinici e biologici e suggerire l’adozione di mezzi diagnostici, qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori (cfr. par. 12 del Protocollo condiviso tra il Governo e Parti sociali aggiornato il 24 aprile 2020).

Resta fermo che le informazioni relative alla diagnosi o all’anamnesi familiare del lavoratore non possono essere trattate dal datore di lavoro (ad esempio, mediante la consultazione dei referti o degli esiti degli esami), salvi i casi espressamente previsti dalla legge. Il datore di lavoro può, invece, trattare i dati relativi al giudizio di idoneità alla mansione specifica e alle eventuali prescrizioni o limitazioni che il medico competente può stabilire come condizioni di lavoro.

Le visite e gli accertamenti, anche ai fini della valutazione della riammissione al lavoro del dipendente, devono essere posti in essere dal medico competente o da altro personale sanitario, e, comunque, nel rispetto delle disposizioni generali che vietano al datore di lavoro di effettuare direttamente esami diagnostici sui dipendenti.

Resta fermo che i lavoratori possono liberamente aderire alle campagne di screening avviate dalle autorità sanitarie competenti a livello regionale relative ai test sierologici Covid-19, di cui siano venuti a conoscenza anche per il tramite del datore di lavoro, coinvolto dal dipartimento di prevenzione locale per veicolare l’invito di adesione alla campagna tra i propri dipendenti (cfr. FAQ n. 10 - Trattamento dati nel contesto sanitario nell’ambito dell’emergenza sanitaria).

I datori di lavoro possono offrire ai propri dipendenti, anche sostenendone in tutto o in parte i costi, l’effettuazione di test sierologici presso strutture sanitarie pubbliche e private (es. tramite la stipula o l’integrazione di polizze sanitarie ovvero mediante apposite convenzioni con le stesse), senza poter conoscere l’esito dell’esame.

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10. Quali aspetti bisogna considerare nel promuovere screening sierologici per il Covid-19 nei confronti di lavoratori appartenenti a categorie a rischio come, ad esempio, gli operatori sanitari e le forze dell’ordine? (VEDI ANCHE: FAQ - Trattamento dei dati nel contesto lavorativo pubblico e privato nell’ambito dell’emergenza sanitaria - in particolare n. 7)

Gli screening sierologici per il Covid-19 possono essere promossi dai Dipartimenti di prevenzione della regione nei confronti delle categorie di soggetti considerati a maggior rischio di contagio e diffusione del Covid-19. Tra tali categorie di soggetti vi sono gli operatori sanitarie e le forze dell’ordine. La partecipazione di tali soggetti ai test può avvenire solo su base volontaria.

I risultati possono essere utilizzati dalla struttura sanitaria che ha effettuato il test per finalità di diagnosi e cura dell’interessato e per disporre le misure di contenimento epidemiologico previste dalla normativa d’urgenza in vigore (es. isolamento domiciliare), nonché per finalità di sanità pubblica da parte del dipartimento di prevenzione regionale.

Tali trattamenti di dati devono essere tenuti distinti da quelli effettuati nell’ambito dell’effettuazione di test sierologici per Covid-19 per finalità di sicurezza e salute sul luogo di lavoro.

8. Il datore di lavoro può trattare i dati personali del dipendente affetto da Covid-19 o che ne presenta i sintomi?

Sebbene, di regola, i dati personali relativi alle specifiche patologie di cui sono affetti i lavoratori possano essere trattati solo da professionisti sanitari (es. medici di base, specialisti, medico competente) e non anche dal datore di lavoro, quest’ultimo, in taluni casi, nel contesto dell’attuale emergenza epidemiologica, può lecitamente venire a conoscenza dell’identità del dipendente affetto da Covid-19 o che presenta sintomi compatibili con il virus.

Ciò, in particolare, può verificarsi quando ne venga informato direttamente dal dipendente, sul quale grava l’obbligo di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Coerentemente il Protocollo condiviso tra il Governo e Parti sociali aggiornato il 24 aprile 2020, la cui osservanza è prescritta dalla normativa dell’emergenza, prevede specifici obblighi informativi del lavoratore in favore del datore di lavoro laddove sussistano condizioni di pericolo, come i sintomi influenzali (si vedano anche gli analoghi protocolli stilati in ambito pubblico e quelli relativi a specifici settori, quali cantieri, trasporti e logistica); ciò anche quando tali sintomi si manifestino all’ingresso della sede di lavoro o durante la prestazione lavorativa (cfr. Protocollo condiviso, es. parr. 1, 2 e 11). A tal fine, il datore di lavoro può quindi invitare i propri dipendenti a fare tali comunicazioni agevolando le modalità di inoltro delle stesse, anche predisponendo canali dedicati, tenendo conto del proprio generale obbligo di tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e del d.lgs. 81/2008 (cfr., anche FAQ n. 2).

Il datore di lavoro potrebbe, inoltre, venire a conoscenza dello stato di positività al Covid-19 accertato dalle autorità sanitarie a seguito dell’effettuazione di un tampone oro/nasofaringeo, nell’ambito della collaborazione che è tenuto a prestare a tali autorità, anche con il coinvolgimento del medico competente, per la ricostruzione degli eventuali contatti stretti con altre persone nel contesto lavorativo (cfr. par. 11 del Protocollo del 24 aprile 2020).

Il datore di lavoro può, altresì, conoscere lo stato di avvenuta negativizzazione del tampone oro/nasofaringeo, ai fini della riammissione sul luogo di lavoro dei lavoratori già risultati positivi all’infezione da Covid-19, secondo le modalità previste e la documentazione rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza (cfr. par. 2 e 12 del Protocollo condiviso tra il Governo e Parti sociali aggiornato il 24 aprile 2020).(1)

In questi casi, dunque, il datore di lavoro può trattare i dati relativi ai sintomi o alla positività al Covid-19 del lavoratore per la finalità di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro o per adempire agli obblighi di collaborazione con gli operatori di sanità pubblica.

Al di fuori dei casi normativamente previsti, il datore di lavoro non può, invece, trattare dati sulla salute del lavoratore e comunicare gli stessi a soggetti terzi (cfr. FAQ nn. 5 e 6).

In base alle norme in materia di sorveglianza sanitaria, non derogate da quelle dell’emergenza, il datore di lavoro non può, inoltre, conoscere l’esito degli esami diagnostici disposti dal medico competente, tra i quali anche i test sierologici, che non consentono, peraltro, di diagnosticare l’infezione (cfr. FAQ n. 7).

Resta fermo che, ove all’esito del test sierologico sia disposta l’effettuazione di un tampone che attesti la positività al virus, il datore di lavoro potrà conoscere, oltre alla valutazione del medico competente in merito all’inidoneità al servizio, anche l’identità del dipendente nei casi sopra esplicitati (cfr. Protocollo condiviso, parr. 1, 2, 11 e 12), di seguito riepilogati.

Alla luce del quadro normativo vigente, il datore di lavoro può quindi trattare i dati personali del dipendente affetto da Covid-19 o che ne presenta i sintomi e può conoscere la condizione di positività al Covid-19:

- quando ne venga informato direttamente dal lavoratore; o

- nei limiti in cui sia necessario al fine di prestare la collaborazione all’autorità sanitaria; o

- ai fini della riammissione sul luogo di lavoro del lavoratore già risultato positivo all’infezione da Covid-19.

9. Sono utilizzabili applicativi con funzionalità di “contact tracing” in ambito aziendale?

La funzionalità di “contact tracing”, prevista da alcuni applicativi al dichiarato fine di poter ricostruire, in caso di contagio, i contatti significativi avuti in un periodo di tempo commisurato con quello individuato dalle autorità sanitarie in ordine alla ricostruzione della catena dei contagi ed allertare le persone che siano entrate in contatto stretto con soggetti risultati positivi, è − allo stato − disciplinata unicamente dall’art. 6, d.l. 30.4.2020, n. 28.

10. Al fine di contenere il rischio di contagio sul luogo di lavoro sono disponibili applicativi che non trattano dati personali?

Sì, il datore di lavoro può ricorrere all’utilizzo di applicativi, allo stato disponibili sul mercato, che non comportano il trattamento di dati personali riferiti a soggetti identificati o identificabili. Ciò nel caso in cui il dispositivo utilizzato non sia associato o associabile, anche indirettamente (es. attraverso un codice o altra informazione), all’interessato né preveda la registrazione dei dati trattati.

Si pensi alle applicazioni che effettuano il conteggio del numero delle persone che entrano ed escono da un determinato luogo, attivando un “semaforo rosso” al superamento di un prestabilito numero di persone contemporaneamente presenti; oppure alle funzioni di taluni dispositivi indossabili che emettono un avviso sonoro o una vibrazione in caso di superamento della soglia di distanziamento fisico prestabilita (dunque senza tracciare chi indossa il dispositivo e senza registrare alcuna informazione). Si pensi, altresì, ad applicativi collegati ai tornelli di ingresso che, attraverso un rilevatore di immagini, consentono l’accesso solo a persone che indossano una mascherina (senza registrare alcuna immagine o altra informazione). In questi casi spetta comunque al titolare verificare il grado di affidabilità dei sistemi scelti, predisponendo misure da adottare in caso di malfunzionamento dei dispositivi o di falsi positivi o negativi.

___

FAQ - Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo

1. Il datore di lavoro può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione?

NO. Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19. Ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo (considerando 43 del Regolamento).

2. Il datore di lavoro può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati?

NO. Il medico competente non può comunicare al datore di lavoro i nominativi dei dipendenti vaccinati. Solo il medico competente può infatti trattare i dati sanitari dei lavoratori e tra questi, se del caso, le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica (artt. 25, 39, comma 5, e 41, comma 4, d.lgs. n. 81/2008).

Il datore di lavoro può invece acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati (es. art. 18 comma 1, lett. c), g) e bb) d.lgs. n. 81/2008).

3. La vaccinazione anti covid-19 dei dipendenti può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario)?

Nell’attesa di un intervento del legislatore nazionale che, nel quadro della situazione epidemiologica in atto e sulla base delle evidenze scientifiche, valuti se porre la vaccinazione anti Covid-19 come requisito per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni, allo stato, nei casi di esposizione diretta ad "agenti biologici" durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 nell’ambito del Titolo X del d.lgs. n. 81/2008).

In tale quadro solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica.

Il datore di lavoro dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore (art. 279, 41 e 42 del d.lgs. n. 81/2008).

Fonte: Garante per la Protezione dei Dati Personali

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UILM - ISO/PAS 45005: 2020 Linee guida sicurezza lavoratori pandemia COVID-19

ID 12877 | | Visite: 2720 | News Sicurezza

ISO PAS 45005 2020

UILM - ISO/PAS 45005: 2020 Linee guida sicurezza lavoratori pandemia COVID-19

Febbraio 2021 - Linee guida generali per lavorare in sicurezza durante la pandemia COVID-19 

....

Questo documento è una risposta alla pandemia COVID-19 e all'aumento del rischio che questa malattia presenta perla salute, la sicurezza e il benessere delle persone in tutti i contesti, compresi quelli che lavorano a casa o in ambienti mobili, i lavoratori e altre parti interessate in luoghi di lavoro fisici. I governi, le autorità di regolamentazione e altri organismi professionali in tutto il mondo hanno pubblicato linee guida per lavorare in sicurezza durante la pandemia COVID-19.

Questo documento fornisce un unico insieme generico di linee guida che integra queste informazioni e supporta i principi che:

- misure ragionevoli per gestire i rischi derivanti da COVID-19 sono o saranno attuate per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori e di altre parti interessate pertinenti;
- i lavoratori non dovrebbero essere tenuti a lavorare a meno che queste misure non siano state attuate.

Questa guida include raccomandazioni pratiche alle organizzazioni e ai lavoratori su come gestire questi rischi ed è adatta per le organizzazioni che riprendono le operazioni, quelle che sono state operative durante la pandemia e quelle che stanno iniziando le operazioni.

La guida è generica e applicabile alle organizzazioni indipendentemente dalla natura dell'attività, dalla fornitura di servizi, dalle dimensioni o dalla complessità. Riconosce che molte organizzazioni più piccole non hanno dipartimenti dedicati per funzioni come salute e sicurezza sul lavoro (OH&S), gestione delle strutture o risorse umane. Informazioni più dettagliate per funzioni specifiche sono disponibili presso gli organismi professionali e un'ampia gamma di standard nazionali e internazionali.

Implementando la guida in questo documento, l'organizzazione sarà in grado di:

- intraprendere azioni efficaci per proteggere i lavoratori e le altre parti interessate rilevanti dai rischi legati al COVID-19;
- dimostrare che sta affrontando i rischi relativi al COVID-19 utilizzando un approccio sistematico;
- mettere in atto un quadro per consentire un adattamento efficace e tempestivo alla situazione in evoluzione. Organizzazioni che utilizzano ISO 45001 può utilizzare questo documento per informare il proprio sistema di gestione per la SSL mettendo in relazione le clausole pertinenti al ciclo Plan-Do-CheckAct (PDCA), come descritto di seguito. L'adozione di un approccio sistemico facilita il coordinamento delle risorse e degli sforzi che sono così importanti nella gestione di COVID-19.
- Pianificare: pianificare ciò che deve essere fatto affinché l'organizzazione lavori in sicurezza (vedere Clausole 4 per 8).
- Fare: fare ciò che l'organizzazione ha pianificato di fare (vedere Clausole 9 per 12 ).
- Controlla: guarda come funziona (vedi Clausola 13).
- Agisci: risolvi i problemi e cerca modi per rendere ancora più efficace ciò che l'organizzazione sta facendo (vedi Clausola 14).

... Segue in allegato

Fonte: UILM

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I DPI per il rischio agenti chimici nel settore dell’edilizia

ID 12864 | | Visite: 3110 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

I DPI per il rischio agenti chimici nel settore dell edilizia

I dispositivi di protezione individuale per il rischio agenti chimici nel settore dell’edilizia

Factsheet INAIL, 16.02.2021

La grande varietà di sostanze chimiche pericolose cui possono essere esposti i lavoratori del comparto edile richiede una scelta attenta e consapevole degli opportuni DPI, che dipende da un insieme di considerazioni.

Il fact sheet si propone quale documento di indirizzo tecnico-scientifico nel merito della gestione da rischio chimico nel comparto edile, in particolare la scelta dei dispositivi per la protezione della cute e i dispositivi per la protezione delle vie respiratorie.

Il comparto dell’edilizia può rappresentare una fonte rilevante di esposizione occupazionale al rischio chimico, a causa dell’impiego di agenti chimici notoriamente riconosciuti come pericolosi per la salute e, più recentemente, di nuovi inquinanti collegati alla cosiddetta ‘edilizia verde’, da più parti identificati quali rischi emergenti. Già nel 2004, l’European Agency for Safety and Health at Work (Eu-Osha) evidenziava la possibile relazione tra malattie professionali e rischio chimico in edilizia, con particolare riferimento a silicosi e a gravi patologie respiratorie, a dermatiti professionali e, anche se meno frequentemente, all’asma allergica.

Per alcune categorie di operai edili ci sono, poi, evidenze statistiche di un maggior rischio di sviluppare neoplasie del polmone e delle cavità nasali, ed associazioni con l’esposizione a cancerogeni occupazionali.

Oggi, l’Eu-Osha ha rimarcato, altresì, la necessità che tutti i settori lavorativi impegnati nella sostenibilità energetica garantiscano condizioni di lavoro sicure, sane e dignitose, al fine di contribuire a una crescita davvero intelligente, sostenibile e inclusiva.

IL RISCHIO CHIMICO IN CANTIERE

Nel cantiere edile l’esposizione al rischio chimico può manifestarsi non solo attraverso l’utilizzo e la manipolazione di sostanze e/o preparati pericolosi quali solventi, pigmenti, additivi, disarmanti, collanti e similari, ma anche a seguito di specifiche lavorazioni che prevedono, ad esempio, l’utilizzo di bitume o asfalti a caldo, soprattutto durante la spruzzatura manuale di emulsione bituminosa e la stesa di asfalto in particolari condizioni (gallerie, sottopassi, ecc.).

Come pure lavorazioni quali la saldatura, con la produzione di emissioni per vaporizzazione dei metalli e per decomposizione e diffusione nell’aria dei materiali fusi, recentemente classificati come cancerogeni di gruppo 1 (Iarc Vol. 118, 2018); o i lavori quali la demolizione, lo scavo o la preparazione di calce e malte cementizie, che possono comportare esposizione a particolato e fibre.

Crescente attenzione in ambito protezionistico è posta, poi, alla potenziale esposizione a inquinanti emergenti connessi alla cosiddetta ‘edilizia verde’, quali:

1. gli isocianati, agenti fortemente sensibilizzanti per le vie respiratorie, irritanti per le membrane mucose e la cute, che nel settore delle costruzioni trovano ampio impiego nell’utilizzo di schiume, fibre, elastomeri, materiali isolanti, pitture e vernici;
2. le resine epossidiche, una delle principali cause di
dermatite da contatto allergica professionale nonché di irritazione degli occhi e dell’apparato respiratorio, sempre più utilizzate in edilizia per la produzione di adesivi, vernici, rivestimenti e strutture polimeriche composite;
3. le fibre minerali artificiali (FMA) e fibre artificiali vetrose (FAV), utilizzate in edilizia come materiali isolanti, dalle potenziali proprietà infiammatorie, citotossiche e cancerogene.

[...]

Fonte: INAIL

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Vaccinazione anti COVID-19 per i lavoratori | Posizione CIIP

ID 12850 | | Visite: 4333 | News Sicurezza

CIIP Prime indicazioni vaccinazioni anti COVID

Vaccinazione anti COVID-19 per i lavoratori | Posizione CIIP

CIIP, 12.02.2021

Prime note sulla vaccinazione anti Covid 19 per i lavoratori.

Con queste prime note CIIP intende dare un contributo al dibattito che si è aperto sul tema della vaccinazione anti COVID 19 per i lavoratori e relativi problemi sanitari e giuridici che si pongono.

Si tratta di un primo contributo che verrà aggiornato nel tempo in rapporto all’evoluzione delle conoscenze scientifiche, alle disposizioni nazionali e regionali, allo stato dell’organizzazione della campagna vaccinale, al dibattito scientifico e giuridico in corso, ai contributi delle forze sociali e delle associazioni professionali e scientifiche.

Il piano strategico per la vaccinazione anti SARS-CoV-2/COVID-19

Il Piano strategico per la vaccinazione anti SARS-CoV-2/COVID-19, elaborato da Ministero della Salute, Commissario Straordinario per l’Emergenza, Istituto Superiore di Sanità, Agenas e Aifa il 12/12/20, è stato emanato con DM 2/1/2021.

Il Piano è stato recentemente aggiornato con un secondo documento emanato il 8/2/21 “Vaccinazione anti SARS-CoV-2/COVID-19 - Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti SARS-CoV-2/COVID-19”.

Il piano prevede la vaccinazione gratuita e garantita a tutti i cittadini italiani, identifica le categorie da vaccinare con priorità nella fase iniziale a limitata disponibilità dei vaccini: operatori sanitari e sociosanitari, residenti e personale delle RSA per anziani. A tali categorie sono poi state aggiunte quelle degli anziani over 80 aa, le persone dai 60 ai 79 aa e con almeno una comorbilità cronica.

“Con l'aumento delle dosi di vaccino si inizierà a sottoporre a vaccinazione le altre categorie di popolazioni, fra le quali quelle appartenenti ai servizi essenziali, quali anzitutto gli insegnanti ed il personale scolastico, le forze dell'ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità, etc.”

L’aggiornamento del Piano di vaccinazione del 8/2/21 ha previsto che, data l’intervenuta disponibilità del vaccino AstraZeneca, queste categorie potranno essere vaccinate sin da subito con questo vaccino.

Successivamente la vaccinazione potrà estendersi al resto della popolazione.

Logistica, approvvigionamento, stoccaggio e trasporto, sono di competenza del Commissario straordinario mentre la governance del piano di vaccinazione è assicurata dal coordinamento costante tra il Ministero della Salute, la struttura del Commissario straordinario e le Regioni e Province Autonome.

Nella fase iniziale della campagna vaccinale per l’erogazione del vaccino è previsto l’impiego di personale sanitario e amministrativo di supporto essenzialmente afferente alle strutture ospedaliere o peri-ospedaliere.

Nelle fasi successive di campagne su vasta scala verranno attivati gli ambulatori vaccinali territoriali, dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta, della sanità militare, e dei medici competenti delle aziende. I Dipartimenti di Prevenzione saranno gli “attori” del coordinamento per l’attuazione dei piani vaccinali regionali.

Per questo è indispensabile che i Dipartimenti di Prevenzione vengano adeguatamente potenziati per poter svolgere appieno il loro ruolo e l’enorme impegno che li aspetta; ci auguriamo che ciò avvenga al più presto, che l’aggiornamento del Piano vaccinale per l’avvio della seconda e terza fase preveda degli standard di personale (medici, infermieri, assistenti sanitari) di cui i Dipartimenti di Prevenzione devono essere dotati in rapporto alla popolazione da vaccinare, così da fornire chiare indicazioni alla Regioni e alle ASL per il reclutamento degli operatori.

La scarsità di risorse di personale dei Dipartimenti di Prevenzione è cosa nota, ripetutamente segnalata dalle associazioni professionali e scientifiche, frutto del disinvestimento nella prevenzione da parte di chi ha governato il SSN e i SSR, ha comportato enormi difficoltà nel tracciamento dei contatti manifestatesi in quasi tutto il paese.

Stiamo assistendo alla più vasta campagna di vaccinazione della popolazione concentrata nel tempo, che mira a garantire la massima copertura della popolazione italiana e a ridurre la circolazione del virus, anche al fine di rallentare le mutazioni, fino a raggiungere l’immunità di gregge. Una campagna di salute pubblica cui sono chiamati a partecipare gli operatori sanitari di moltissime strutture sanitarie e i cittadini tutti con la massima adesione.

Obbligatorietà della vaccinazione

La vaccinazione non è obbligatoria ma fortemente raccomandata proprio per proteggere non solo gli individui ma la collettività tutta, secondo il principio dell’art. 32 della Costituzione.

Qualora i decisori istituzionali si orientassero per rendere obbligatoria la vaccinazione anti COVID lo dovranno fare con un atto normativo di rango legislativo, stante la riserva assoluta di legge prevista dall’art. 32 Cost., così come avvenuto per altre vaccinazioni rese obbligatorie.

L’obbligatorietà potrebbe anche non essere generalizzata e riguardare alcune tipologie di cittadini e di lavoratori a più stretto contatto con il pubblico, quale misura di prevenzione collettiva condizionante la possibilità di svolgere determinate attività.

Su questo tema il dibattito è in corso. Ovviamente l’eventuale obbligatorietà è condizionata dalla disponibilità dl vaccini rispetto ai bisogni della popolazione, condizione, peraltro, attualmente non pienamente soddisfatta, date le difficoltà generali di approvvigionamento, ma anche da alcune incertezze che ancora gravano sulle caratteristiche dell’immunità acquisita con i vari tipi di vaccino.

Ancora insufficienti, tra l’altro, le certezze sull’efficacia dei vaccini nel tempo, sui livelli di efficacia dei diversi vaccini nei confronti delle diverse fasce di età e con patologie varie, verso le diverse varianti e soprattutto sulla protezione non solo dalla malattia ma anche dalla possibilità di infettare gli altri. Gli studi clinici finora condotti hanno, infatti, permesso di valutare l’efficacia dei vaccini nella protezione dalla malattia, “ma è necessario più tempo per ottenere dati significativi per dimostrare se i soggetti vaccinati si possano infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone.” (da FAQ AIFA Covid-19). A riprova di ciò AIFA conclude che “Sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti COVID-19.”

Incertezze che condizionano non tanto la validità della campagna di vaccinazione della popolazione quanto, a nostro avviso, l’obbligatorietà della vaccinazione e i suoi riflessi sull’idoneità lavorativa.

La questione SARS-CoV-2/COVID-19 è stata configurata e trattata finora dai pubblici poteri competenti, almeno nelle linee generali, come questione di salute pubblica e non come specifica questione di prevenzione nei luoghi di lavoro e nelle attività lavorative. A tale quadro, a nostro avviso, va ricondotta anche la specifica questione dell’eventuale obbligatorietà “speciale” della vaccinazione per i lavoratori e quella, connessa e conseguente, della sanzionabilità disciplinare del lavoratore eventualmente renitente a vaccinarsi, e per il quale non sia reperibile una diversa e non rischiosa attività lavorativa (es. smart working., lavoro isolato, ecc.).

In tema di prevenzione in ambito lavorativo l’art. 279 del D. Lgs. 81/08 prevede che “il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari ……” tra cui “a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”.

La vaccinazione anti COVID non appare rientrare in tale ambito in quanto l’agente biologico non è presente nella lavorazione bensì diffuso in ogni ambiente. Tuttavia, in alcuni settori lavorativi, come tipicamente quello ospedaliero ed equiparati di cui all’All. XLIV del D. Lgs. 81/08, ma eventualmente anche altri assimilabili, gli agenti biologici, tra cui il SARS-CoV-2/COVID-19, possono costituire un rischio potenziale al quale i lavoratori sono esposti in via strutturale, pur non essendovi in tali attività “la deliberata intenzione di operare con agenti biologici” (art. 271, comma 4).

L’obbligo del datore di lavoro è quello di mettere a disposizione vaccini per i lavoratori non quello di obbligare questi ultimi a sottoporsi a vaccinazione; in altre parole le vaccinazioni a cui si fa riferimento non costituiscono un trattamento sanitario obbligatorio perché non previste da leggi, neanche dal D.Lgs. 81/08. Questa considerazione vale, a nostro avviso, sia che le vaccinazioni costituiscano una misura di protezione individuale che collettiva.

Queste considerazioni sollecitano, peraltro, la necessità di chiarire il rapporto tra le “norme emergenziali” emanate anche in tema di tutela dei lavoratori e la legislazione ordinaria in tema di salute e sicurezza sul lavoro, essenzialmente il D.Lgs. 81/08.

Ruolo del Medico Competente

In questo contesto i medici competenti delle aziende saranno di ausilio per la realizzazione della campagna vaccinale generale, con particolare riguardo ai lavoratori delle imprese in cui essi operano e il loro contributo si inserirà nella campagna di sanità pubblica secondo le direttive nazionali e regionali. Il loro ruolo è importante non solo nella realizzazione della campagna vaccinale ma anche nell’assicurare una adeguata informazione scientifica che ne favorisca l’adesione da parte dei lavoratori.

Ricordiamo che i MC sono circa 5.000 e che la sorveglianza sanitaria riguarda attualmente più di 15 milioni di lavoratori (da elaborazione dei dati 2018 dell’Allegato3B).

Il loro ruolo dovrebbe essere definito, magari con un aggiornamento del “Protocollo condiviso”, siglato tra le parti sociali e il Governo il 24 aprile 2020 e richiamato nella Legge n. 40/2020, art. 29- bis. È auspicabile che nella definizione delle nuove regole preventive standardizzate per settori vengano coinvolte, oltre alle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, anche le associazioni scientifico-professionali rappresentative delle categorie dei professionisti della prevenzione nei luoghi di lavoro. Questi professionisti, previsti dal D. Lgs. 81/08 sia per l’organizzazione aziendale della prevenzione che per le funzioni di assistenza e controllo da parte delle ASL, costituiscono una ricchezza di esperienza professionale indispensabile per la gestione dei problemi di salute dei lavoratori.

Affinché i medici competenti possano dare questo contributo è necessario siano chiari alcuni presupposti primo fra tutti che anche loro usufruiscano, come tutti i sanitari, della vaccinazione anti COVID già nella prima fase della campagna, come richiesto da ANMA con nota del 22 dicembre 2020.

L’organizzazione sarà sempre in capo alle strutture di sanità pubblica, in particolare ai Dipartimenti di prevenzione, che dovranno valutare l’adeguatezza di infrastrutture e risorse di personale con un confronto assiduo con datori di lavoro e medici competenti. Nella effettuazione delle vaccinazioni si pongono, infatti, problemi rilevanti rispetto alla capacità di conservazione dei vaccini, di somministrazione, anche in rapporto alle effettive disponibilità, di gestione di possibili reazioni avverse. Per facilitare l’organizzazione e la gestione delle campagne vaccinali sarebbe utile che le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, che costituiscono la maggior parte del tessuto produttivo italiano, potessero contare sulla disponibilità di locali idonei forniti da enti locali (Comune, ASL, ...).

Il raccordo tra medici competenti e Dipartimenti di prevenzione garantirà anche la corretta registrazione nel rispetto della privacy. A tal proposito è auspicabile venga istituito un registro informatizzato nazionale accessibile a tutti gli operatori coinvolti e che possa poi restituire informazioni sui risultati della campagna vaccinale.

Idoneità dei lavoratori vs vaccinazione

Un altro problema particolare da affrontare è quello della gestione delle idoneità lavorative di quei lavoratori che, per ragioni sanitarie individuali ovvero perché non aderiscono alla vaccinazione, non saranno vaccinati. 

La sorveglianza sanitaria prevista dall’art. 279 del D. Lgs. 81/08 in caso di rischio biologico è una misura di prevenzione a tutela del lavoratore verso i rischi connessi alla sua attività lavorativa ed è pertanto affidata al medico competente. Ma a chi è affidata la sorveglianza sanitaria a protezione degli utenti e della comunità dalle malattie infettive? E a chi compete il relativo giudizio di idoneità? Il lavoratore non vaccinato può non presentare alcuna controindicazione all’attività lavorativa, ma può essere esposto al contagio da parte dei colleghi o costituire lui stesso fonte di contagio. Il vaccino anti COVID 19 è volto a tutelare sia il soggetto, in quanto individuo che opera in una comunità, che la comunità stessa. Salvo casi particolari né il lavoratore né la comunità lavorativa specifica sono soggetti a rischi specifici da SARS-CoV-2/COVID-19 connessi con l’attività specifica ma ad un rischio generico come tutti i cittadini e altre comunità (trasporto pubblico, ambienti collettivi, ecc.).

Il giudizio di idoneità è quindi competenza del Medico competente ovvero deve essere affidato alle strutture di cui all’art. 5 della L. 300/70?

Nei settori in cui i lavoratori sono esposti sia ad un rischio generico che ad un rischio potenziale da SARS-CoV-2/COVID-19 derivante dalla attività lavorativa (es. strutture sanitarie) la sorveglianza sanitaria e il conseguente giudizio di idoneità potranno essere espletati dal medico competente.

Sorveglianza sanitaria e misure di prevenzione dovranno essere strettamente ancorate alla valutazione dei rischi nelle diverse situazioni lavorative.

Ma il legislatore potrebbe anche decidere di affidare al medico competente la sorveglianza sanitaria a protezione sia del lavoratore che degli utenti e della comunità dalla COVID 19, dilatando le funzioni attribuite al MC dall’art. 41 del D.Lgs. 81/08, come avvenuto per il controllo dell’assunzione di alcol e di sostanze stupefacenti e psicotrope. Anche in questo caso la decisione deve tradursi in uno specifico atto normativo. L’atto normativo dovrà tenere in considerazione anche le realtà lavorative i cui lavoratori non sono soggetti alla sorveglianza sanitaria di cui al D.Lgs. 81/08 e nelle quali, conseguentemente, il medico competente non è presente.

Inoltre, in diversi settori lavorativi in cui il lavoratore presta la sua attività a stretto contatto con il pubblico, si porrà il problema della conferma o meno della sua idoneità e pertanto della conservazione o meno della sua mansione, e in taluni casi anche del posto di lavoro, in caso di impossibilità ad essere vaccinato o di non adesione alla vaccinazione, sempre che non sia possibile attuare altre misure di prevenzione e protezione adeguate (es. smart working). Il problema, di particolare rilevanza nelle strutture sanitarie e assistenziali, sia pubbliche che private, può essere in realtà di molto più vasta applicazione e tutte le sfaccettature possibili sono analizzabili unicamente da parte del Servizio di Prevenzione e Protezione della singola Unità Produttiva unitamente al Medico competente sulla base delle indicazioni che devono essere approntate da linee guida nazionali. Tali indicazioni potrebbero trovare allocazione nel Protocollo condiviso opportunamente aggiornato.

Nell’affrontare il tema della obbligatorietà della vaccinazione anti COVID 19 per i lavoratori e conseguentemente della idoneità o meno dei lavoratori non vaccinati occorre tenere presente non solo gli aspetti giuridici ma anche quelli sanitari precedentemente richiamati. In particolare la profonda incertezza sulla non contagiosità della persona vaccinata inficerebbe la distinzione tra vaccinati e non vaccinati nel determinare la protezione della collettività quantomeno fino a che non sarà raggiunta l’immunità di gregge.

[...] Segue in allegato

Fonte: CIIP

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CIIP, 12.02.2021
338 kB 92

D.P.R. 10 settembre 1982 n. 962

ID 12856 | | Visite: 2288 | Decreti Sicurezza lavoro

D.P.R. 10 settembre 1982 n. 962

Attuazione della direttiva (CEE) n. 78/610 relativa alla protezione sanitaria dei lavoratori esposti al cloruro di vinile monomero

(G.U. 6 gennaio 1983 n. 5)

Abrogato da: D.Lgs. 25 febbraio 2000 n. 66

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Regio Decreto 17 agosto 1935 n. 1765

ID 12853 | | Visite: 2496 | Decreti Sicurezza lavoro

Regio Decreto 17 agosto 1935  n. 1765

Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.

(GU n. 240 del 14-10-1935)
_______

In allegato:
- testo nativo
- testo consolidato 15.02.2021 con le modifiche apportate dagli atti a seguire.
_______

01/07/1936
REGIO DECRETO-LEGGE 8 giugno 1936, n. 1217 (in G.U. 01/07/1936, n.150) convertito con modificazioni dalla L. 26 dicembre 1936, n. 2159 (in G.U. 31/12/1936, n.302)

22/01/1937
REGIO DECRETO 15 dicembre 1936, n. 2276 (in G.U. 22/01/1937, n.17)

27/11/1937
REGIO DECRETO-LEGGE 23 settembre 1937, n. 1918 (in G.U. 27/11/1937, n.275) convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 1938, n. 831 (in G.U. 28/06/1938, n. 145)

11/12/1937
REGIO DECRETO 5 novembre 1937, n. 2012 (in G.U. 11/12/1937, n.286)

25/08/1938
REGIO DECRETO 16 giugno 1938, n. 1275 (in G.U. 25/08/1938, n.193)

24/07/1939
LEGGE 1 giugno 1939, n. 1012 (in G.U. 24/07/1939, n.171)

14/06/1943
LEGGE 12 aprile 1943, n. 455 (in G.U. 14/06/1943, n.137)

02/10/1946
DECRETO LEGISLATIVO DEL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO 23 agosto 1946, n. 157 (in G.U. 02/10/1946, n.223)

16/10/1946
DECRETO LEGISLATIVO DEL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO 23 agosto 1946, n. 202 (in G.U. 16/10/1946, n.235)

12/02/1947
DECRETO LEGISLATIVO DEL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO 25 gennaio 1947, n. 14 (in G.U. 12/02/1947, n.35)

29/08/1947
DECRETO LEGISLATIVO DEL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO 29 luglio 1947, n. 804 (in G.U. 29/08/1947, n.197)

15/04/1948
DECRETO LEGISLATIVO 19 febbraio 1948, n. 254 (in G.U. 15/04/1948, n.89)

14/03/1949
LEGGE 3 marzo 1949, n. 52 (in G.U. 14/03/1949, n.60)

06/02/1952
LEGGE 11 gennaio 1952, n. 33 (in G.U. 06/02/1952, n.31)

12/12/1952
LEGGE 15 novembre 1952, n. 1967 (in G.U. 12/12/1952, n.288)

16
09/01/1953
LEGGE 18 dicembre 1952, n. 2530 (in G.U. 09/01/1953, n.6)

11/01/1955
LEGGE 4 dicembre 1954, n. 1222 (in G.U. 11/01/1955, n.7)

27/05/1958
LEGGE 3 aprile 1958, n. 499 (in G.U. 27/05/1958, n.126)

09/06/1962
La Corte costituzionale, con sentenza 29 maggio 1962, n. 45 (in G.U. 09/06/1962 n. 145)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6.
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 5.

31/01/1963
LEGGE 19 gennaio 1963, n. 15 (in G.U. 31/01/1963, n.28)

11/03/1967
La Corte costituzionale, con sentenza 28 febbraio 1967, n. 22 (in G.U. 11/03/1967 n. 64)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 3 e 5.

06/07/1968
La Corte costituzionale, con sentenza 2 luglio 1968, n. 85 (in G.U. 06/07/1968 n. 170)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28.

16/07/1969
La Corte costituzionale, con sentenza 30 giugno 1969, n. 116 (in G.U. 16/07/1969 n. 179)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 67, comma 1.

24/06/1987
La Corte costituzionale, con sentenza 4 giugno 1987, n. 226 (in G.U. 24/06/1987 n. 26)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2.

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Formazione personale addetto alle operazioni di carico e scarico di gas naturale

ID 12452 | | Visite: 4597 | News Prevenzioni Incendi

Formazione personale addetto operazioni carico scarico gas naturale

Formazione personale addetto alle operazioni di carico e scarico di gas naturale

ID 12452 | 29.12.2020 / Documento di lavoro completo in allegato

Il Decreto Ministero dell'Interno 213 del 13 Settembre 2018 riguarda l’approvazione dei requisiti degli organismi formatori, del programma e delle modalità di effettuazione dei corsi di addestramento rivolti al personale addetto alle operazioni di carico e scarico di gas naturale con densità non superiore a 0,8 e di biogas, ai sensi del paragrafo 6.1 dell’allegato al decreto del Ministro dell’interno 3 febbraio 2016.

Al punto 6. 1 della sezione VI dell'allegato al decreto del Ministro dell'interno 3 febbraio 2016  (Decreto Biogas) si dispone che il personale addetto alle operazioni di carico e scarico deve aver frequentato uno specifico corso di addestramento, organizzati da organismi qualificati, e si lascia al Dipartimento VVF i requisiti, le modalità di effettuazione dei corsi e dei programmi, regolati dal Decreto Ministero dell'Interno 213 del 13 Settembre 2018.

Paragrafo 6.1, della sezione VI dell'allegato al decreto del Ministro dell'interno 3 febbraio 2016 

6.1. Requisiti del personale

Il personale addetto alle operazioni di carico/scarico deve essere di provata capacità e possedere le cognizioni necessarie per una corretta e sicura esecuzione di tutte le operazioni connesse.

A tal fine il suddetto personale deve aver frequentato uno specifico corso di addestramento.

L’organizzazione del corso è affidata ad organismi qualificati. I requisiti degli organismi, le modalità di effettuazione dei corsi ed i relativi programmi sono stabiliti dal Ministero dell’Interno - Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile.

Al termine di ciascun corso, che comprende una parte teorica e una parte pratica, viene rilasciato ai partecipanti un attestato di proficua frequenza.

Da questo specifico corso di addestramento possono essere esentati:

a) gli iscritti negli elenchi del Ministero dell’interno di cui all’art 16 del D.lgs. n. 139/2006;
b) il personale che all’atto della pubblicazione del presente decreto abbia già maturato una comprovata esperienza di almeno 5 anni nelle forniture nello specifico settore e ciò sia attestato da apposita dichiarazione del Titolare dell’Impresa, che ne dichiara sotto la propria responsabilità l’idoneità a svolgere questa attività;
c) i tecnici abilitati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti secondo il D.lgs n. 40/2000 e integrazione del D.lgs. 35 del 27 gennaio 2010, specificatamente formati alla gestione delle operazioni di carico, scarico e trasporto delle merci pericolose ADR.

Le operazioni di carico/scarico devono essere effettuate sotto la diretta responsabilità del personale incaricato nel rispetto della normativa vigente.

Per le forniture di emergenza, la verifica dell’idoneità del sito ai sensi del presente decreto ed in generale per il sicuro avvio e svolgimento delle operazioni di carico/scarico, deve essere stabilita da parte di

Professionista abilitato iscritto nell’elenco del Ministero dell’Interno ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. n. 139/2006.

Nel caso di forniture di emergenza inferiori a 20.000 Sm3, ad attività non comprese nell’allegato I al DPR n. 151/2011, la verifica dell’idoneità del sito può essere effettuata dal responsabile tecnico dell’azienda fornitrice del gas.

Soggetti esentati corso formazione addetti carico scarico gas naturale
...

Soggetti formatori

Il Decreto Ministero dell'Interno 213 del 13 Settembre 2018 definisce le caratteristiche dei soggetti formatori all'art. 1 indicando un elenco specifico di quelli abilitati ad effettuare corsi di addestramento: trattasi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e di privati, enti o società (denominati "organismi formatori") in possesso dei requisiti indicati all'articolo 2.

Fig 2

All'articolo 2 si richiede che gli enti formatori dispongano di un corpo docente formato da unità in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:

- laurea magistrale o triennale ad indirizzo tecnico o diploma di scuola secondaria di secondo grado ad indirizzo tecnico, propedeutici all'esercizio di una professione, unitamente ad una comprovata esperienza, almeno biennale, nel settore del gas naturale o biogas, maturata attraverso lo svolgimento di prestazioni tecniche presso enti, società o studi professionali;
- iscrizione nell'elenco del Ministero dell'lnterno ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139;
- certificato di formazione professionale rilasciato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi del decreto legislativo 4 febbraio 2000, n. 40 con specifico riferimento alla gestione delle operazioni di carico, scarico e trasporto delle merci pericolose.

Inoltre, si richiede un'adeguata struttura logistica e gestionale per garantire lo svolgimento delle esercitazioni pratiche e per assicurare l'espletamento dei compiti previsti dal decreto.

Art. 2 Requisiti degli organismi formatori

1. Gli organismi formatori devono disporre di un corpo docente formato da unità in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:

a) laurea magistrale o triennale ad indirizzo tecnico o diploma di scuola secondaria di secondo grado ad indirizzo tecnico, propedeutici all'esercizio di una professione, unitamente ad una comprovata esperienza, almeno biennale, nel settore del gas naturale o biogas, maturata attraverso lo svolgimento di prestazioni tecniche presso enti, società o studi professionali;
b) iscrizione nell'elenco del Ministero dell'Interno ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139;
c) certificato dì formazione professionale rilasciato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi del decreto legislativo 4 febbraio 2000, n. 40 con specifico riferimento alla gestione delle operazioni di carico, scarico e trasporto delle merci pericolose.

2. Gli organismi formatori devono, altresì, disporre di un’adeguata struttura logistica e gestionale per garantire lo svolgimento delle esercitazioni pratiche e per assicurare l'espletamento dei compiti previsti dal presente decreto.

Requisiti enti formattori adddetti carico scarico gas naturale

Programma e svolgimento dei Corsi

All'articolo 3 del Decreto Ministero dell'Interno 213 del 13 Settembre 2018 sono enunciate le caratteristiche ed i requisiti dei Programmi dei corsi: va nominato un direttore del corso, che cura il corretto svolgimento del programma didattico, i cui contenuti minimi sono indicati nell'allegato l al Decreto del 2018.

Il Corso deve durare almeno 16 ore con parte teorica e pratica e verifica finale.

Per i discenti in possesso del certificato di formazione professionale ADR in corso di validità, per il trasporto di merci pericolose in cisterna, il corso potrà avere durata ridotta ad otto ore, sempre nel rispetto dei contenuti minimi dei Programmi dettati all'Allegato I.

All'organismo formatore si richiede di comunicare, almeno 15 giorni prima di dare inizio all'attività di formazione, il possesso dei requisiti previsti all'articolo 2 e le informazioni relative al corso di addestramento, alla Direzione regionale dei vigili del fuoco competente per territorio in relazione alla sede di svolgimento del corso.

Tale comunicazione deve contenere i dati identificativi dell'organismo formatore, il programma, i nominativi del direttore del corso e della commissione esaminatrice, il calendario delle lezioni e la sede e data di svolgimento della verifica finale, oltre all'elenco dei discenti.

Permesso alla Direzione regionale di comunicare elementi ostativi e svolgere eventuali controlli anche a campione, sulla regolare esecuzione dei corsi di addestramento.

...Segue in allegato

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Regio Decreto 7 maggio 1903 n. 209

ID 12834 | | Visite: 2111 | Decreti Sicurezza lavoro

Regio Decreto 7 maggio 1903 n. 209

Approvazione del regolamento per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nell'esercizio delle strade ferrate

(GU n. 142 del 18 giugno 1903)
________

In allegato:
- testo consolidato nativo
- testo consolidato al 02.2021 con le modifiche apportate dal:

05/10/1929
REGIO DECRETO 9 agosto 1929, n. 1695 (in G.U. 05/10/1929, n.232)

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Convenzione Italo Francese del 15 aprile 1904

ID 12825 | | Visite: 2425 | Legislazione Sicurezza

Convenzione Italo Francese del 15 aprile 1904

Convenzione Italo Francese del 15 aprile 1904 stipulata a Roma per regolare la protezione degli operai nazionali lavoranti all’estero, la quale sancì il principio di organizzare in tutto il Regno un servizio di vigilanza funzionante sotto l’autorità dello Stato che offrisse le stesse garanzie di tutela del servizio d’ispezione francese

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Childrens and Young Persons Act

ID 12818 | | Visite: 1965 | Documenti Sicurezza UE

31ff706fd255c0c329bf1fe2ec5b6c11

Childrens and Young Persons Act

UK 1933

Il Children and Young Persons Act 1933 (23 & 24 Geo.5 c.12) è un atto del Parlamento del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Ha consolidato in un unico atto tutta la legislazione esistente sulla protezione dei minori per l'Inghilterra e il Galles. È stato preceduto dal Children and Young Persons Act del 1920 e dal Children Act del 1908. È stato modificato dal Children and Young Persons Act del 1963, dal Children and Young Persons Act del 1969 e dal Children and Young Persons Act del 2008.

Il Children and Young Persons Act del 1933 innalzò l'età minima per l'esecuzione a diciotto anni, aumentò l'età della responsabilità penale da sette a otto anni, incluse linee guida sull'occupazione dei bambini in età scolare, fissò un'età lavorativa minima di quattordici anni e la rese illegale per gli adulti la vendita di sigarette o altri prodotti del tabacco ai bambini. L'atto è formulato per garantire che gli adulti e non i bambini siano responsabili della sua applicazione.

Text of the Children and Young Persons Act 1933 as in force today (including any amendments) within the United Kingdom, from legislation.gov.uk.

In allegato il testo originale 1933.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 3942 | 02 Febbraio 2021

ID 12820 | | Visite: 1736 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 02 febbraio 2021, n. 3942

Infortunio durante il sollevamento di un carico con un carroponte. Carenze funzionali nei dispositivi di sicurezza degli accessori di sollevamento dei carichi e presenza di prassi aziendali pericolose

Penale Sent. Sez. 4 Num. 3942 Anno 2021
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 19/01/2021

Ritenuto in fatto

l. La Corte d'appello di Venezia, in data 13 dicembre 2018, ha confermato la condanna emessa dal Tribunale di Verona nei confronti di R.R., quale imputato del delitto di lesioni personali colpose con violazione di norme sulla prevenzione di infortuni sul lavoro (art. 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen.) contestato come commesso in danno di L.V. in Veronella, il 3 febbraio 2012.
Al R.R. si contesta, nella sua qualità di amministratore unico della R.R. Group s.r.l., di avere cagionato al dipendente L.V. le gravi lesioni personali meglio indicate in rubrica in esito a un infortunio occorso mentre il lavoratore stava eseguendo - mediante l'impiego di un carroponte - un'operazione di sollevamento di un carico (costituito dal basamento di una macchina utensile in acciaio) posizionato sul cassone di un camion. A tal fine, il L.V. saliva sul cassone del camion e, aiutato da altri due lavoratori, provvedeva a imbragare il carico per poterlo sollevare, utilizzando gli accessori all'uopo disponibili (fasce in fibra tessile e perni metallici). Indi provvedeva a comandare il carroponte con l'uso di apposita pulsantiera e si posizionava dietro il carico; ma quest'ultimo perdeva di stabilità e, anche a causa del distacco di una delle fasce (dovuto al fatto che la stessa era scivolata dal perno, privo di sistemi di blocco), cadeva sul piede e sulla gamba destra del L.V., provocandogli le lesioni di cui in rubrica.
La Corte di merito ha, in primo luogo, sottolineato - in risposta alle censure dell'appellante - che il sistema dei perni nell'utilizzo delle fasce per il sollevamento dei carichi non era sicuro, in quanto i perni non erano corredati da un sistema di blocco che impedisse agli stessi di sfilarsi, come accaduto nella specie; ed ha inoltre giudicato infondata la tesi difensiva, tesa a sottolineare che la ditta aveva messo a disposizione una terza corda (una catena regolabile) il cui impiego avrebbe dato stabilità al carico: si é infatti ritenuto che, diversamente dalla prospettazione difensiva, la terza corda venisse utilizzata unicamente per la movimentazione del basamento completo, e non anche per il solo grezzo, come nel caso in esame. Ne é derivata l'esclusione, secondo la Corte di merito, dell'imprevedibilità del comportamento della vittima, essendo emerso che il modus operandi nell'operazione di sollevamento del carico (ossia la mancata utilizzazione della terza corda nella movimentazione del carico non completo) faceva parte di una prassi aziendale consolidata.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il R.R., con atto articolato in tre motivi, preceduti da una breve illustrazione delle modalità di sollevamento dei pesi, a chiusura della quale si evidenzia che il L.V. era un lavoratore particolarmente esperto e che mai si era verificato un incidente durante simili operazioni presso la R.R. Group s.r. I..
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge, ritenendo inconferente il richiamo all'art. 71 del d.lgs. n. 81/2008, riferito in generale alla messa a disposizione di attrezzature prive di sistemi di sicurezza, e all'allegato VI, punto 3.1.6 al decreto legislativo, trattandosi di disciplina afferente la scelta degli accessori di sollevamento, che però nella specie erano risultati integri e conformi alle disposizioni. L'esponente intende in particolare evidenziare come le suddette prescrizioni siano richiamate nell'imputazione in modo affatto generico, atteso che da esse non si capisce a quale regola di comportamento il R.R. si sarebbe dovuto attenere; né supplisce, a tal fine, il richiamo operato dalla Corte lagunare alla pagina 5 della relazione SPISAL sull'infortunio, che non può valere a colmare la lacuna costituita dalla genericità del riferimento alle predette disposizioni extrapenali. Questo a fronte del fatto che, ben diversamente rispetto alla Corte di merito, il Tribunale aveva addebitato al R.R. di non avere predisposto idonee procedure per l'utilizzo degli accessori di imbracatura e di avere tollerato la prassi aziendale di non utilizzare la terza corda di stabilizzazione, anche per i carichi non finiti.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'abnormità del comportamento della persona offesa. Il ricorrente in particolare si riferisce alla scelta, da parte del L.V., di posizionarsi al disotto di un carico di 5.000 chilogrammi, esponendosi così a un'evidente situazione di pericolo, pur potendo movimentarlo mediante l'impiego di un apposito radiocomando: scelta di cui viene sottolineata dal ricorrente l'eccentricità e imprevedibilità. A fronte di ciò, l'esponente evidenzia come la Corte distrettuale abbia argomentato la non abnormità della condotta con motivazione affatto carente e con una illogica spiegazione delle ragioni per le quali il lavoratore sarebbe salito sul cassone del camion, riferite allo spazio angusto disponibile, laddove, una volta effettuata l'imbracatura, tutte le ulteriori operazioni potevano effettuarsi mediante il radiocomando.
2.3. Con il terzo motivo il deducente lamenta vizio di motivazione in relazione alla questione relativa alla mancanza di sistemi di bloccaggio dei perni, o al mancato uso della terza corda, nonché alla complessiva ricostruzione della dinamica del fatto e delle relative cause. In sostanza il ricorrente si duole del fatto che l'impiego della terza corda, che la Corte di merito ritiene che fosse colpevolmente rimesso alla discrezione degli operatori, doveva invece considerarsi esplicitamente prescritto, tant'é che era presente sul pezzo un apposito golfaro, che la ditta aveva fatto apporre proprio per collocare la terza corda e assicurare la necessaria stabilità al carico. Lamenta poi l'esponente che sia il Tribunale, sia la Corte distrettuale, sia lo SPISAL non abbiano tenuto conto dell'impossibilità di disporre di un sistema automatico di fuoriuscita delle fasce dai supporti metallici, o di far realizzare un sistema simile.

Considerato in diritto

1. Il ricorso é inammissibile, in quanto manifestamente infondato in tutti e tre i motivi di lagnanza, con la conseguenza che non rileva il decorso del tempo ai fini della prescrizione del reato.

2. Quanto al primo motivo di ricorso, le censure che muove l'esponente sembrano nell'essenziale tese ad escludere la correttezza dell'addebito nella parte in cui vi si richiamano l'art. 71 del D.Lgs. n. 81/2008 e l'allegato VI, punto 3.1.6., prescrizioni ritenute dal deducente affatto generiche e che, in primo e in secondo grado, sarebbero state declinate in modo contraddittorio e confliggente.
A fronte di ciò, però, é in primo luogo di tutta evidenza che il contenuto dell'editto imputativo é riferito alla violazione delle previsioni poste a tutela dei lavoratori in relazione al sollevamento di carichi nei cantieri. In questo senso depone, in particolare, il richiamo alle disposizioni di cui al punto 3 dell'allegato VI, riferite all"'uso delle attrezzature di lavoro che servono a sollevare e movimentare i carichi"; e in specie al punto 3.1.6, che nella prima parte letteralmente così recita: «Gli accessori di sollevamento devono essere scelti in funzione dei carichi da movimentare, dei punti di presa, del dispositivo di aggancio, delle condizioni atmosferiche nonché tenendo conto del modo e della configurazione dell'imbracatura».
Ora, ciò che si addebita al R.R. é, per l'appunto, di avere posto il suo dipendente nelle condizioni di non operare in sicurezza in relazione alle tipologie di carico da sollevare.
In primo grado, secondo l'espresso richiamo operato dalla Corte lagunare a pagina 4 della sentenza, l'addebito si é sostanziato in una duplice direttrice: ossia, in primo luogo, "nel non avere predisposto idonee procedure per l'utilizzo degli accessori di imbragatura dei basamenti" e, in secondo luogo, "nell'aver tollerato la prassi aziendale di non utilizzare la terza corda di stabilizzazione del carico non completo".
Nella sentenza impugnata, a fronte delle censure del ricorrente, la Corte di merito non si é in alcun modo discostata dalle conclusioni del primo giudice, in quanto ha semplicemente meglio specificato - richiamando la relazione SPISAL, pag. 5 - le manchevolezze già individuate in primo grado, precisando in primo luogo che "il sistema di sollevamento utilizzato prevedeva di usare, in associazione al carroponte, delle fasce di fibra tessile associate a dei perni cilindrici metallici inseriti in fori presenti nella struttura del manufatto che erano privi di idonei sistemi atti ad impedire la fuoriuscita dal corpo perno con conseguente impossibilità di garantire stabilità del carico durante le fasi di sollevamento e spostamento"; e, in secondo luogo, censurando la prassi aziendale di utilizzare la terza corda solo per il sollevamento dei manufatti completi, laddove "la valutazione circa l'opportunità dell'uso di una terza corda per ottenere una maggiore stabilità del carico (... ) non avrebbe dovuto essere rimessa alla discrezione del dipendente, ma avrebbe dovuto essere inserita in un documento procedurale chiaro e valido per ogni specifico caso" (pag. 5 sentenza impugnata).
Non é dato cogliere alcuna differenza sostanziale tra l'individuazione degli addebiti operata nella sentenza di primo grado e quella precisata dalla Corte territoriale, atteso che gli addebiti si sostanziano in ambo i casi nelle censure mosse alle carenze funzionali nei dispositivi di sicurezza degli accessori di sollevamento dei carichi, nonché nella presenza di prassi aziendali pericolose (sulla rilevanza di queste ultime vds. ad es. Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960; o Sez. 4, n. 13858 del 24/02/2015, Rota e altro, Rv. 263287).

3. Quanto alla ritenuta abnormità del comportamento del lavoratore, dedotta con il secondo motivo di doglianza, l'assunto del ricorrente nasce all'evidenza da un fraintendimento della nozione di abnormità che all'uopo rileva.
Va perciò a tal fine ribadito il principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247); ed é di tutta evidenza che nell'ambito di tale sfera di rischio rientrava certamente l'operazione di movimentazione del carico che era in corso al momento dell'infortunio, e alla quale il L.V. era stato assegnato.
Non vale, in sostanza, la mera valutazione del ricorrente circa una ritenuta avventatezza del lavoratore legata all'inutilità della sua decisione di posizionarsi sotto il carico, laddove egli poteva manovrare il carico stesso utilizzando il radiocomando messogli a disposizione: nel solco della giurisprudenza di legittimità ormai costante si é recentemente precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, é necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).

4. Quanto infine al terzo motivo di lagnanza, risulta evidente che, con riguardo alla dedotta impossibilità di introdurre dispositivi di bloccaggio finalizzati alla prevenzione dello scivolamento delle fasce dai supporti metallici, la tesi del ricorrente é tesa a mettere in discussione quella, opposta, sostenuta dal servizio SPISAL e da lui apertamente confutata: ciò che, all'evidenza, non é consentito nell'ambito del presente giudizio di legittimità, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Per quanto poi riguarda l'asserzione secondo la quale l'impiego generalizzato della terza corda doveva intendersi come sempre previsto (ossia anche nel caso di sollevamento di carichi non interi, come nella specie), é del tutto ovvio che tale asserzione non può fondarsi sulla sola presenza di un golfare sul pezzo, essendo di contro necessaria l'introduzione di una espressa e specifica procedura che sottraesse al singolo lavoratore la possibilità di scelta circa l'impiego della terza corda: procedura che, come chiarito nella sentenza impugnata, non era invece prevista.

5. La manifesta infondatezza del ricorso priva di rilevanza, come si é detto, il fatto che sia decorso il termine di prescrizione del reato.
Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 gennaio 2021.

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Legge 26 aprile 1934 n. 653

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Legge 26 aprile 1934 n. 653

Legge 26 aprile 1934 n. 653
Tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli
(G.U. 27 aprile 1934, n. 99)

________

In allegato testo:
- nativo
- consolidato 02.2021 con le modifiche apportate dagli atti

13/05/1936
DECRETO MINISTERIALE 4 maggio 1936, (in G.U. 13/05/1936, n.111)

16/08/1940
LEGGE 16 luglio 1940, n. 1109 (in G.U. 16/08/1940, n.191)

31/01/1952
LEGGE 7 dicembre 1951, n. 1630 (in G.U. 31/01/1952, n.26)

01/07/1955
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 19 marzo 1955, n. 520 (in G.U. 01/07/1955, n.149)

28/12/1961
LEGGE 29 novembre 1961, n. 1325 (in G.U. 28/12/1961, n.320)

01/08/1986
La Corte costituzionale, con sentenza 9 luglio 1986, n. 210 (in G.U. 01/08/1986 n. 38) ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1.

31/12/1999
DECRETO LEGISLATIVO 30 dicembre 1999, n. 507 (in SO n.233, relativo alla G.U. 31/12/1999, n.306)

26/04/2001
DECRETO LEGISLATIVO 26 marzo 2001, n. 151 (in SO n.93, relativo alla G.U. 26/04/2001, n.96)

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Risoluzione Parlamento europeo 21 gennaio 2021 - 2019/2181(INL)

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Diritto alla disconnessione

Risoluzione Parlamento europeo 21 gennaio 2021 - Diritto alla disconnessione

ID 12811 | 10.02.2021 / Documento in allegato

Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 - 2019/2181(INL) Raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione

Il Parlamento europeo,

– visto l'articolo 225 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE),

– visto l'articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE, in combinato disposto con l'articolo 153, paragrafo 1, lettere a), b) e i),

– vista la direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro,

– vista la direttiva 91/383/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale,

– vista la direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro,

– vista la direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea,

– vista la direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio,

– visti gli articoli 23 e 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la "Carta"),

– visto il pilastro europeo dei diritti sociali, in particolare i principi 5, 7, 8, 9 e 10,

– viste le convenzioni e le raccomandazioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), in particolare la convenzione n. 1 sulla durata del lavoro (industria) del 1919, la convenzione n. 30 sulla durata del lavoro (commercio e uffici) del 1930, la raccomandazione n. 163 sulla contrattazione collettiva del 1981, la convenzione n. 156 concernente i lavoratori con responsabilità familiari del 1981 e la raccomandazione n. 165 che l'accompagna, nonché la dichiarazione del centenario dell'OIL per il futuro del lavoro del 2019,

– vista la Carta sociale europea riveduta del Consiglio d'Europa del 3 maggio 1996, in particolare l'articolo 2 (concernente il diritto ad eque condizioni di lavoro, compresi un orario di lavoro e periodi di riposo ragionevoli), l'articolo 3 (concernente il diritto a condizioni di lavoro sicure e salubri), l'articolo 6 (concernente il diritto alla contrattazione collettiva) e l'articolo 27 (concernente la tutela dei lavoratori aventi responsabilità familiari),

– visto l'articolo 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,

– visti gli accordi quadro tra le parti sociali europee sul telelavoro (2002) e sulla digitalizzazione (2020),

– visto lo studio di valutazione del valore aggiunto europeo dell'unità Valore aggiunto europeo del servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS) dal titolo "The right to disconnect" (Il diritto alla disconnessione),

– vista la relazione di Eurofound del 31 luglio 2019 dal titolo "The right to switch off" (Il diritto di scollegarsi),

– visto il documento di lavoro dell'Eurofound dal titolo "The right to disconnect in the 27 EU Member States" (Il diritto alla disconnessione nei 27 Stati membri dell'UE),

– vista la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) sui criteri di determinazione dell'orario di lavoro, compresi il servizio di guardia e i periodi di reperibilità, sull'importanza dei periodi di riposo, sull'obbligo di misurazione dell'orario di lavoro e sui criteri di determinazione dello status dei lavoratori,

– vista la sentenza della CGUE nella causa C-518/15, secondo la quale le ore di guardia che un lavoratore trascorre al proprio domicilio con l'obbligo di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro un breve periodo di tempo devono essere considerate come «orario di lavoro»,

– vista la sentenza della CGUE nella causa C-55/18, secondo la quale gli Stati membri devono imporre ai datori di lavoro l'obbligo di istituire un sistema che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero,

– vista la relazione di UNI Global Union dal titolo "The Right to Disconnect: Best Practices" (Il diritto alla disconnessione: migliori pratiche),

– visto il paragrafo 17 della sua risoluzione del 10 ottobre 2019 sull'occupazione e le politiche sociali della zona euro,

– visto l'articolo 5 della decisione del Parlamento europeo, del 28 settembre 2005, che adotta lo statuto dei deputati del Parlamento europeo,

– visti gli articoli 47 e 54 del suo regolamento,

– vista la relazione della commissione per l'occupazione e gli affari sociali (A9-0246/2020),

A. considerando che attualmente non esiste una normativa specifica dell'Unione sul diritto dei lavoratori alla disconnessione dagli strumenti digitali, comprese le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC), a scopi lavorativi;

B. considerando che la digitalizzazione e l'utilizzo adeguato degli strumenti digitali hanno portato numerosi vantaggi e benefici economici e sociali ai datori di lavoro e ai lavoratori, come una flessibilità e un'autonomia maggiori, la possibilità di migliorare l'equilibrio tra vita professionale e vita privata e la riduzione dei tempi di spostamento, ma che hanno causato anche degli svantaggi comportanti sfide etiche, legali e connesse all'occupazione, quali l'intensificazione del lavoro e l'estensione dell'orario di lavoro, rendendo così meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata;

C. considerando che un utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura del "sempre connesso", "sempre online" o "costantemente di guardia" che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell'orario di lavoro e l'equilibrio tra attività lavorativa e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere, nonché della parità tra uomini e donne, dato l'impatto sproporzionato di tali strumenti sui lavoratori con responsabilità di assistenza, che generalmente sono donne; che la transizione digitale dovrebbe essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e dei valori fondamentali dell'Unione e avere un impatto positivo sui lavoratori e sulle condizioni di lavoro;

D. considerando che l'utilizzo di strumenti digitali per periodi prolungati potrebbe determinare una riduzione della concentrazione e un sovraccarico cognitivo ed emotivo; che operazioni monotone e ripetitive e una postura statica per lunghi periodi di tempo possono causare tensioni muscolari e disturbi muscolo-scheletrici; che l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato la radiazione a radio frequenza come una possibile causa di effetti cancerogeni; che le donne incinte posso essere particolarmente a rischio in caso di esposizione a radiazioni a radio frequenza;

E. considerando che l'uso eccessivo dei dispositivi tecnologici può aggravare fenomeni quali l'isolamento, la dipendenza dalle tecnologie, la privazione del sonno, l'esaurimento emotivo, l'ansia e il burnout; che, secondo l'OMS, oltre 300 milioni di persone nel mondo soffrono di depressione e disturbi mentali comuni legati al lavoro e che ogni anno il 38,2 % della popolazione dell'Unione soffre di un disturbo mentale;

F. considerando che le misure adottate in conseguenza della crisi della COVID-19 hanno cambiato le modalità di lavoro e hanno dimostrato l'importanza delle soluzioni digitali, compreso l'uso di regimi di telelavoro da parte delle imprese, dei lavoratori autonomi e degli organi della pubblica amministrazione in tutta l'Unione; che, secondo Eurofound, durante il confinamento, oltre un terzo dei lavoratori dell'Unione ha cominciato a lavorare da casa, rispetto al 5 % che già lo faceva prima della crisi, e che si è registrato un aumento sostanziale nell'uso degli strumenti digitali a scopi lavorativi; che, secondo Eurofound, il 27 % degli intervistati in telelavoro ha dichiarato di aver lavorato nel proprio tempo libero per soddisfare le esigenze lavorative(12); che il lavoro a distanza e il telelavoro sono aumentati durante la crisi della COVID-19 e che, secondo le previsioni, resteranno a un livello più alto rispetto a quelli precedenti alla crisi della COVID-19 o addirittura aumenteranno ulteriormente;

G. considerando che le donne sono soggette a un rischio particolarmente elevato e sono colpite più gravemente dalle ripercussioni economiche e sociali derivanti dalla crisi della COVID-19, a causa del loro ruolo predominante o ancora tradizionale di responsabili della cura della casa e della famiglia; che l'aumento del telelavoro durante la crisi della COVID-19 può anche presupporre un rischio maggiore per i giovani e le persone con responsabilità assistenziali, quali i genitori soli, le famiglie con figli e le famiglie con famigliari a carico che necessitano di assistenza; che la vita lavorativa e la vita privata in un periodo di telelavoro, di distanziamento sociale e di confinamento devono essere ben equilibrate; che nel contesto del diritto alla disconnessione dovrebbero essere affrontati aspetti connessi al genere;

H. considerando che il diritto alla disconnessione è un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale; che tale diritto dovrebbe essere considerato un importante strumento della politica sociale a livello dell'Unione al fine di garantire la tutela dei diritti di tutti i lavoratori; che il diritto alla disconnessione è particolarmente importante per i lavoratori più vulnerabili e per quelli con responsabilità di assistenza;

I. considerando che i progressi tecnologici hanno comportato un nuovo livello di complessità per il monitoraggio e la vigilanza sul luogo di lavoro; che l'uso di tecnologie digitali intrusive sul luogo di lavoro è trattato e disciplinato in certa misura solo in alcuni Stati membri; che l'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) stabilisce che "ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano"; che tale clausola è stata utilizzata in varie giurisdizioni nazionali per tutelare la vita privata dei lavoratori nel contesto lavorativo; che l'articolo 8 della CEDU e l'attuazione del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio (GDPR)(13) dovrebbero garantire che i lavoratori ricevano informazioni adeguate sull'entità e la natura del monitoraggio e del controllo e che i datori di lavoro siano tenuti a giustificare le misure e a minimizzarne l'impatto utilizzando i metodi meno intrusivi;

J. considerando che da un'indagine di Eurofound è emerso che il 27 % degli intervistati in telelavoro ha dichiarato di aver lavorato nel proprio tempo libero per soddisfare le esigenze lavorative;

1. sottolinea che gli strumenti digitali, comprese le TIC, a scopi lavorativi hanno aumentato la flessibilità per quanto riguarda l'orario, il luogo e il modo in cui il lavoro può essere svolto e il modo in cui i lavoratori sono raggiungibili al di fuori del lavoro; osserva che un utilizzo adeguato degli strumenti digitali può costituire un valore aggiunto per i datori di lavoro e per i lavoratori in quanto consente una libertà, indipendenza e flessibilità maggiori per organizzare meglio l'orario di lavoro e le mansioni lavorative, ridurre il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro e facilitare la gestione degli obblighi personali e famigliari, creando in tal modo un equilibrio migliore tra vita privata e vita professionale; osserva che le necessità dei lavoratori variano considerevolmente e sottolinea a tale proposito l'importanza di sviluppare un quadro chiaro che promuova la flessibilità personale e contemporaneamente la protezione dei diritti dei lavoratori;

2. sottolinea che l'essere costantemente connessi, insieme alle forti sollecitazioni sul lavoro e alla crescente aspettativa che i lavoratori siano raggiungibili in qualsiasi momento, può influire negativamente sui diritti fondamentali dei lavoratori, sull'equilibrio tra la loro vita professionale e la loro vita privata, nonché sulla loro salute fisica e mentale e sul loro benessere;

3. riconosce che la registrazione efficace dell'orario di lavoro può contribuire al rispetto dell'orario di lavoro stabilito da contratto; sottolinea che, sebbene registrare l'orario di lavoro sia importante per garantire che gli orari concordati e i limiti stabiliti per legge non siano superati, occorre prestare attenzione all'efficacia di tale registrazione, dal momento che le norme in materia esistono solo in pochi Stati membri;

4. osserva che un insieme di prove in costante aumento mette in evidenza che tra gli effetti di una delimitazione dell'orario di lavoro, dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata, di una certa flessibilità nell'organizzazione del tempo lavorativo, nonché di misure attive volte a migliorare il benessere sul lavoro, figurano conseguenze positive sulla salute fisica e mentale dei lavoratori, un miglioramento della sicurezza sul lavoro e un aumento della produttività della manodopera grazie alla diminuzione di stanchezza e stress, livelli più elevati di soddisfazione e motivazione sul lavoro e tassi più bassi di assenteismo;

5. riconosce l'importanza di un utilizzo adeguato ed efficiente degli strumenti digitali a scopi lavorativi, sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, prestando attenzione ad evitare ogni violazione dei diritti dei lavoratori a condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell'orario di lavoro e l'equilibrio tra attività professionale e vita privata, nonché la salute e la sicurezza sul lavoro;

6. ritiene che le interruzioni alle ore non lavorative dei lavoratori e l'estensione del loro orario di lavoro possano aumentare il rischio di straordinari non retribuiti, stanchezza sul lavoro, problemi psicosociali, mentali e fisici, quali l'ansia, la depressione, il burnout e lo stress da tecnologia, e possano avere un impatto negativo sulla loro salute e sicurezza sul lavoro, sull'equilibrio tra attività professionale e vita privata e sui loro periodi di riposo dal lavoro;

7. riconosce le conclusioni di Eurofound secondo le quali le persone che lavorano abitualmente da casa hanno più del doppio delle probabilità di lavorare oltre le 48 ore settimanali massime previste e di riposare meno delle 11 ore previste fra un giorno lavorativo e l'altro, come sancito dal diritto dell'Unione, rispetto alle persone che lavorano nella sede del datore di lavoro; sottolinea che quasi il 30 % di tali telelavoratori dichiara di lavorare nel proprio tempo libero tutti i giorni o più volte alla settimana, a fronte del 5 % di coloro che lavorano in ufficio, e che i telelavoratori hanno maggiori probabilità di lavorare con orari irregolari; sottolinea che il numero di persone che lavorano da casa nell'Unione che dichiarano orari di lavoro prolungati o che non sono in grado di trarre beneficio dalle ore non lavorative è in aumento; osserva inoltre che la probabilità che i telelavoratori abituali segnalino di soffrire di stress legato al lavoro e di disturbi del sonno, stress ed esposizione alla luce degli schermi digitali è più elevata e osserva che tra gli altri effetti sulla salute dei telelavoratori e dei lavoratori ad elevata mobilità figurano emicranie, affaticamento degli occhi, stanchezza, ansia e disturbi muscolo-scheletrici; riconosce che il lavoro regolare da casa può provocare danni fisici ai lavoratori, dato che gli spazi lavorativi creati ad hoc a casa, i computer portatili e altre attrezzature TIC potrebbero non rispettare le norme ergonomiche; chiede alla Commissione e agli Stati membri di migliorare la ricerca e la raccolta dei dati e di eseguire una valutazione dettagliata di tali problemi; sottolinea l'importanza di far fronte a dette questioni, alla luce delle previsioni sull'aumento del telelavoro nel lungo termine;

8. sottolinea che il contributo del telelavoro nella tutela di alcune professioni e imprese durante la crisi della COVID-19 è stato determinante ma ribadisce che, a causa della combinazione di un orario di lavoro prolungato e di maggiori sollecitazioni sui lavoratori, il telelavoro può anche supporre maggiori rischi per i lavoratori e avere un impatto negativo sulla qualità del loro orario di lavoro e sull'equilibrio tra vita professionale e vita personale, così come sulla loro salute fisica e mentale; sottolinea che emergono difficoltà particolari quando l'attività lavorativa non è legata a un luogo specifico, quando la connettività per il lavoro è costante e quando il lavoro occupa del tempo che dovrebbe essere dedicato alla famiglia e alla vita privata;

9. sottolinea che il diritto dei lavoratori alla disconnessione è essenziale per la protezione della loro salute fisica e mentale e del loro benessere nonché per la loro tutela dai rischi psicologici; ribadisce l'importanza e i vantaggi di attuare valutazioni dei rischi psicosociali a livello delle imprese pubbliche e private e ribadisce altresì l'importanza di promuovere la salute mentale e prevenire i disturbi mentali sul luogo di lavoro, creando condizioni migliori per i lavoratori e i datori di lavoro; riconosce il ruolo positivo che le commissioni per la salute e la sicurezza istituite dalle parti sociali possono svolgere nel garantire che le valutazioni dei rischi siano effettuate con maggiore periodicità e in modo più accurato;

10. rammenta che, secondo la legislazione attuale e la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, i lavoratori non sono tenuti a fornire ai datori di lavoro una disponibilità costante e senza interruzioni e ribadisce che c'è una differenza tra orario di lavoro, quando il lavoratore deve essere a disposizione del datore di lavoro, e l'orario non lavorativo, quando il lavoratore non ha nessun obbligo di restare a disposizione del datore di lavoro, e che i periodi di guardia fanno parte dell'orario di lavoro; riconosce tuttavia che il diritto alla disconnessione non è esplicitamente regolamentato nel diritto dell'Unione; rammenta che la situazione negli Stati membri varia notevolmente e che alcuni Stati membri e le parti sociali hanno adottato provvedimenti per disciplinare, mediante il diritto, gli accordi collettivi o entrambi, l'uso degli strumenti digitali a scopi lavorativi al fine di fornire garanzie e tutelare i lavoratori e le loro famiglie; invita la Commissione e gli Stati membri e incoraggia le parti sociali a scambiare le migliori pratiche e a garantire un approccio comune coordinato alle condizioni di lavoro esistenti, lasciando impregiudicati i diritti sociali e la mobilità all'interno dell'Unione;

11. invita la Commissione a valutare e affrontare i rischi di una mancata tutela del diritto alla disconnessione;

12. invita gli Stati membri e i datori di lavoro a garantire che i lavoratori siano informati sul loro diritto alla disconnessione e possano esercitarlo;

13. ricorda le esigenze specifiche dei diversi settori e le diversità fra di essi in relazione al diritto alla disconnessione; invita la Commissione a presentare, sulla base di un esame dettagliato, di una valutazione adeguata e di una consultazione degli Stati membri e delle parti sociali, una proposta di direttiva dell'Unione su norme e condizioni minime per garantire che i lavoratori possano esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione e per disciplinare l'uso degli strumenti digitali esistenti e nuovi a scopi lavorativi, prendendo al contempo in considerazione l'accordo quadro delle parti sociali europee sulla digitalizzazione, che include disposizioni sulla connessione e sulla disconnessione; rammenta che l'accordo quadro prevede che le parti sociali adottino misure di attuazione entro i prossimi tre anni e che una proposta legislativa prima della fine del periodo di attuazione significherebbe non tenere conto del ruolo delle parti sociali previsto dal TFUE; insiste che qualsiasi iniziativa legislativa rispetti l'autonomia delle parti sociali a livello nazionale, i contratti collettivi nazionali e le tradizioni e i modelli dei mercati del lavoro nazionali e non pregiudichi il diritto di negoziare, concludere e mettere in atto accordi collettivi conformemente al diritto e alla prassi nazionali;

14. invita la Commissione a presentare un quadro legislativo al fine di stabilire requisiti minimi sul lavoro a distanza in tutta l'Unione, garantendo che il telelavoro non pregiudichi le condizioni di impiego dei telelavoratori; sottolinea che tale quadro dovrebbe chiarire le condizioni di lavoro, tra cui la fornitura, l'utilizzo e la responsabilità delle attrezzature, come gli strumenti digitali esistenti e nuovi, e dovrebbe garantire che tale lavoro sia effettuato su base volontaria e che i diritti, il carico di lavoro e le norme sulla prestazione dei telelavoratori siano equivalenti a quelli dei lavoratori in situazioni comparabili;

15. è del parere che la nuova direttiva debba precisare, integrare e rispettare pienamente i requisiti stabiliti nelle direttive 2003/88/CE concernente il diritto alle ferie annuali retribuite, (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili e (UE) 2019/1158 relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza nonché nella direttiva 89/391/CEE del Consiglio sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, in particolare i requisiti contenuti in tali direttive connessi alle ore lavorative massime e ai periodi di riposo minimi, alle modalità di lavoro flessibili e agli obblighi di informazione, e che non debba incidere negativamente in alcun modo sui lavoratori; ritiene che la nuova direttiva debba offrire soluzioni per tenere conto dei modelli esistenti, del ruolo delle parti sociali, delle responsabilità dei datori di lavoro e delle esigenze dei lavoratori per quanto riguarda l'organizzazione del loro orario di lavoro quando usano strumenti digitali; sottolinea l'importanza fondamentale del recepimento, dell'attuazione e dell'applicazione corretti delle norme dell'Unione e ribadisce che l'acquis dell'Unione in ambito sociale e occupazionale si applica pienamente alla transizione digitale; esorta la Commissione e gli Stati membri a garantire l'adeguata applicazione attraverso le autorità nazionali di ispezione del lavoro;

16. sottolinea che il diritto alla disconnessione consente ai lavoratori di astenersi dallo svolgere mansioni, attività e comunicazioni elettroniche lavorative, come telefonate, email e altri messaggi, al di fuori del loro orario di lavoro, compresi i periodi di riposo, i giorni festivi ufficiali e annuali, i congedi di maternità, paternità e parentali nonché altri tipi di congedo, senza conseguenze negative; sottolinea che dovrebbero essere garantiti una certa autonomia, flessibilità e il rispetto della sovranità sul tempo, secondo il quale ai lavoratori deve essere consentito di organizzare il loro orario di lavoro in base alle responsabilità personali, in particolare l'assistenza ai figli o ai familiari malati; sottolinea che l'aumento della connettività sul luogo di lavoro non dovrebbe comportare discriminazioni o conseguenze negative in relazione alle assunzioni o agli avanzamenti di carriera;

17. sottolinea che i progressi delle nuove possibilità tecnologiche, come l'intelligenza artificiale, svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare il luogo di lavoro del futuro e il riconoscimento dell'efficienza lavorativa e non dovrebbero condurre a un uso disumanizzato degli strumenti digitali né sollevare preoccupazioni relative alla vita privata e a una raccolta dei dati personali, una sorveglianza e un controllo sproporzionati e illegali dei lavoratori; sottolinea che i nuovi strumenti di sorveglianza del luogo di lavoro e delle prestazioni lavorative, che consentono alle imprese di tracciare ampiamente le attività dei lavoratori, non dovrebbero essere visti come una possibilità per effettuare una sorveglianza sistematica dei lavoratori; esorta le parti sociali e le autorità di controllo della protezione dei dati a garantire che gli strumenti di monitoraggio del lavoro siano utilizzati soltanto se necessario e in modo proporzionato nonché a garantire il diritto alla vita privata dei dipendenti e all'autodeterminazione sul lavoro; osserva che, se ai lavoratori è consentito utilizzare i servizi di comunicazione forniti dal datore di lavoro per scopi privati, il datore di lavoro non ha il diritto di accedere ai metadati e ai contenuti delle comunicazioni e i lavoratori devono essere formati e informati riguardo al trattamento dei loro dati; ricorda che nei rapporti di lavoro il consenso di un lavoratore al trattamento dei propri dati personali non può essere considerato in linea di principio come liberamente espresso e, pertanto, non è valido, dal momento che sussiste un chiaro squilibrio di potere fra l'interessato (il lavoratore) e il titolare del trattamento (il datore di lavoro);

18. ribadisce che il rispetto dell'orario di lavoro e della sua prevedibilità è considerato essenziale per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle loro famiglie nell'Unione;

19. sottolinea che la Commissione, gli Stati membri, i datori di lavoro e i lavoratori devono sostenere e incoraggiare attivamente il diritto alla disconnessione e promuovere un approccio efficiente, ragionato ed equilibrato agli strumenti digitali sul lavoro, così come misure di sensibilizzazione e campagne di informazione e di formazione sull'orario di lavoro e il diritto alla disconnessione; sottolinea l'importanza di un utilizzo ragionevole degli strumenti digitali che garantisca che il diritto alla disconnessione e tutti gli altri diritti concepiti per tutelare la salute mentale e fisica dei lavoratori siano attuati in maniera efficace e diventino una componente attiva della cultura del lavoro nell'Unione;

20. sottolinea che i datori di lavoro non dovrebbero imporre ai lavoratori di essere direttamente o indirettamente disponibili o raggiungibili al di fuori dell'orario di lavoro e che i lavoratori dovrebbero astenersi dal contattare i colleghi a scopi lavorativi al di fuori dell'orario di lavoro concordato; ricorda che i periodi nei quali il lavoratore è disponibile o raggiungibile per il datore di lavoro sono periodi lavorativi; sottolinea che, data la natura in evoluzione del mondo del lavoro, vi è una crescente necessità di informare pienamente i lavoratori sulle loro condizioni di lavoro al fine di attuare il diritto alla disconnessione, il che dovrebbe avvenire tempestivamente e per iscritto o in un formato digitale facilmente accessibile per i lavoratori; sottolinea che i datori di lavoro devono fornire ai lavoratori informazioni sufficienti, compresa una dichiarazione scritta, sul diritto dei lavoratori alla disconnessione, indicando nello specifico almeno le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compresi gli eventuali strumenti di monitoraggio o controllo connessi al lavoro, le modalità di registrazione dell'orario di lavoro, la valutazione del datore di lavoro sulla salute e la sicurezza, le misure di tutela dei lavoratori da trattamenti sfavorevoli e le misure di attuazione del diritto di ricorso dei lavoratori; ribadisce l'importanza della parità di trattamento per i lavoratori transfrontalieri e invita la Commissione e gli Stati membri a garantire che i lavoratori siano adeguatamente informati circa il loro diritto alla disconnessione, anche oltre i confini nazionali;

21. sottolinea l'importanza delle parti sociali nel garantire un'attuazione e un'applicazione efficaci del diritto alla disconnessione, conformemente alle pratiche nazionali, ed evidenzia che pertanto sarà importante tenere conto del lavoro da esse già svolto in tale ambito; reputa che gli Stati membri debbano garantire ai lavoratori la possibilità di esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione, anche per mezzo di un accordo collettivo; chiede agli Stati membri di stabilire meccanismi precisi e sufficienti per garantire una norma minima di protezione in conformità del diritto dell'Unione e l'applicazione del diritto alla disconnessione per tutti i lavoratori;

22. invita gli Stati membri a garantire la tutela dalla vittimizzazione e da altre ripercussioni negative ai lavoratori che invocano il diritto alla disconnessione, così come che siano messi in atto meccanismi per il trattamento delle denunce o delle violazioni del diritto alla disconnessione;

23. sottolinea che tutte le attività di apprendimento e formazione professionali a distanza devono essere considerate attività lavorative e non devono avere luogo durante le ore straordinarie o i giorni liberi senza un adeguato compenso;

24. sottolinea l'importanza di sostenere formazioni individuali volte al miglioramento delle competenze informatiche per tutti i lavoratori, in particolare per le persone con disabilità e i colleghi più anziani, al fine di garantire che svolgano il loro lavoro in modo corretto ed efficiente;

25. chiede alla Commissione di includere il diritto alla disconnessione nella sua nuova strategia in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di elaborare in maniera esplicita nuove misure e azioni psicosociali nel quadro della salute e della sicurezza sul lavoro;

26. esorta la Commissione a presentare, sulla base dell'articolo 153, paragrafo 2, lettera b), in combinato disposto con l'articolo 153, paragrafo 1, lettere a), b) e i) TFUE, una proposta di atto sul diritto alla disconnessione, seguendo le raccomandazioni figuranti in allegato;

27. ritiene che la proposta richiesta non presenti incidenze finanziarie;

28. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione e le dettagliate raccomandazioni in allegato alla Commissione, al Consiglio, nonché ai parlamenti e ai governi degli Stati membri.

____________

ALLEGATO ALLA RISOLUZIONE:

RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI IL CONTENUTO DELLA PROPOSTA RICHIESTA

TESTO DELLA PROPOSTA LEGISLATIVA RICHIESTA

Proposta di

DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

sul diritto alla disconnessione

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare l'articolo 153, paragrafo 2, lettera b), in combinato disposto con l'articolo 153, paragrafo 1, lettere a), b) e i),

vista la proposta della Commissione europea,

previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali,

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo,

visto il parere del Comitato delle regioni,

deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria,

considerando quanto segue:

(1) In virtù dell'articolo 153, paragrafo 1, lettere a), b) e i) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), l'Unione sostiene e completa l'azione degli Stati membri nei settori del miglioramento dell'ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori, delle condizioni di lavoro e della parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro.

(2) L'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la "Carta") sancisce che ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, sicurezza e dignità, così come a una limitazione dell'orario massimo di lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a un congedo retribuito. L'articolo 30 della Carta sancisce il diritto alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato mentre gli articoli 20 e 21 sanciscono l'uguaglianza davanti alla legge e vietano la discriminazione. L'articolo 23 della Carta sancisce che la parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione.

(3) Il pilastro europeo dei diritti sociali stabilisce che, indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro, che è garantita ai datori di lavoro la necessaria flessibilità per adattarsi rapidamente ai cambiamenti del contesto economico, che sono promosse forme innovative di lavoro che garantiscano condizioni di lavoro di qualità, e che vanno prevenuti i rapporti di lavoro che portano a condizioni di lavoro precarie, anche vietando l'abuso dei contratti atipici (principio n. 5). Prevede inoltre che i lavoratori hanno il diritto di essere informati per iscritto all'inizio del rapporto di lavoro dei diritti e degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro (principio n. 7), che le parti sociali sono consultate per l'elaborazione e l'attuazione delle politiche economiche, occupazionali e sociali nel rispetto delle prassi nazionali (principio n. 8), che i genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato e a modalità di lavoro flessibili (principio n. 9) e che i lavoratori hanno diritto a un ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato alle loro esigenze professionali, così come alla protezione dei propri dati, e che consenta loro di prolungare la partecipazione al mercato del lavoro (principio n. 10).

(4) La presente direttiva tiene conto delle convenzioni e delle raccomandazioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro sull'organizzazione dell'orario di lavoro, comprese, in particolare, la convenzione n. 1 sulla durata del lavoro (industria) del 1919, la convenzione n. 30 sulla durata del lavoro (commercio e uffici) del 1930, la raccomandazione n. 163 sulla contrattazione collettiva del 1981, la convenzione n. 156 concernente i lavoratori con responsabilità familiari del 1981 e la raccomandazione n. 165 che l'accompagna, nonché la dichiarazione del centenario dell'OIL per il futuro del lavoro del 2019.

(5) La presente direttiva tiene conto anche della Carta sociale europea riveduta del Consiglio d'Europa del 3 maggio 1996, in particolare l'articolo 2 (concernente il diritto ad eque condizioni di lavoro, compresi un orario di lavoro e periodi di riposo ragionevoli), l'articolo 3 (concernente il diritto a condizioni di lavoro sicure e salubri), l'articolo 6 (concernente il diritto alla contrattazione collettiva) e l'articolo 27 (concernente la tutela dei lavoratori aventi responsabilità familiari).

(6) L'articolo 24 della Dichiarazione universale dei diritti umani sancisce che ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione dell'orario di lavoro e ferie periodiche retribuite.

(7) Gli strumenti digitali permettono ai lavoratori di lavorare da qualsiasi posto e in qualsiasi momento e, se usati adeguatamente, possono contribuire a migliorare l'equilibrio tra vita professionale e vita privata dei lavoratori garantendo loro maggiore flessibilità nell'organizzazione della loro vita privata. Tuttavia, l'uso degli strumenti digitali, comprese le TIC, a scopi lavorativi può avere anche effetti negativi, che risultano tra l'altro in un orario di lavoro più lungo inducendo i lavoratori a lavorare al di fuori dell'orario di lavoro, in una maggiore intensità di lavoro nonché in confini meno netti tra orario di lavoro e tempo libero. Tali strumenti digitali, se il loro uso non è limitato esclusivamente all'orario di lavoro, possono interferire nella vita privata dei lavoratori. Per i lavoratori con responsabilità di assistenza non retribuite gli strumenti digitali possono rendere particolarmente difficile il conseguimento di un sano equilibrio tra vita professionale e vita privata. Le donne dedicano più tempo a tali responsabilità di assistenza, lavorano meno ore in un'occupazione retribuita e possono rinunciare completamente al posto di lavoro.

(8) Gli strumenti digitali utilizzati a scopi lavorativi possono creare una pressione e uno stress costanti, avere un impatto negativo sulla salute fisica e mentale e sul benessere dei lavoratori e condurre a malattie psicosociali o altre malattie professionali, come l'ansia, la depressione, il burnout, lo stress da tecnologia, disturbi del sonno e muscolo-scheletrici. Tutti i summenzionati effetti impongono ai datori di lavoro e ai sistemi di previdenza sociale un onere crescente e aumentano il rischio di violare il diritto dei lavoratori a condizioni di lavoro che rispettino la loro salute e sicurezza. Date le sfide rappresentate dall'aumento significativo nell'utilizzo degli strumenti digitali a scopi lavorativi, dai rapporti di lavoro atipici e dalle modalità di telelavoro, in particolare nel contesto dell'aumento del telelavoro dovuto alla crisi della COVID-19, che hanno condotto a uno stress aggiuntivo legato al lavoro e hanno reso meno netti i confini tra lavoro e vita privata, la necessità di garantire ai lavoratori la possibilità di esercitare il diritto alla disconnessione è diventata ancora più pressante.

(9) L'utilizzo maggiore delle tecnologie digitali ha trasformato i modelli tradizionali di lavoro e ha creato una cultura del "sempre connesso" e "sempre online". In tale contesto è importante garantire la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, condizioni di lavoro eque, compresi il diritto a una retribuzione equa e l'attuazione del loro orario di lavoro, la salute e la sicurezza e la parità tra uomini e donne.

(10) Il diritto alla disconnessione consiste nel diritto dei lavoratori di non svolgere mansioni o comunicazioni lavorative al di fuori dell'orario di lavoro per mezzo di strumenti digitali, come telefonate, email o altri messaggi. Il diritto alla disconnessione dovrebbe consentire ai lavoratori di scollegarsi dagli strumenti lavorativi e di non rispondere alle richieste del datore di lavoro al di fuori dell'orario di lavoro, senza correre il rischio di subire conseguenze negative, come il licenziamento e altre misure di ritorsione. Dall'altro lato i datori di lavoro non dovrebbero imporre ai lavoratori di lavorare al di fuori dell'orario di lavoro. I datori di lavoro non dovrebbero promuovere una cultura del lavoro del "sempre connessi" nella quale i lavoratori che rinunciano al diritto alla disconnessione sono chiaramente favoriti rispetto a quelli che esercitano tale diritto. I lavoratori che segnalano casi di mancato rispetto del diritto alla disconnessione sul luogo di lavoro non dovrebbero essere penalizzati.

(11) Il diritto alla disconnessione dovrebbe applicarsi a tutti i lavoratori e a tutti i settori, sia pubblici che privati, e dovrebbe essere attuato efficacemente. Il diritto alla disconnessione mira a garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, compreso l'equilibrio tra vita professionale e vita privata.

(12) Attualmente non esiste una normativa dell'Unione che disciplini specificatamente il diritto alla disconnessione e la legislazione in materia varia notevolmente fra i diversi Stati membri. Tuttavia le direttive 89/391/CEE(4) e 91/383/CEE(5) del Consiglio mirano a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata indeterminata, determinata o un rapporto di lavoro interinale. La direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio(6) prevede prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, anche in relazione al numero massimo di ore di lavoro consentito e ai periodi minimi di riposo da rispettare; la direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio ha lo scopo di migliorare la condizioni di lavoro promuovendo un'occupazione più trasparente e prevedibile; e la direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio stabilisce prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione tra attività professionale e vita familiare per i lavoratori che sono genitori o prestatori di assistenza.

(13) In conformità della direttiva 2003/88/CE i lavoratori nell'Unione hanno diritto a prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dell'orario di lavoro. In tale contesto la direttiva stabilisce periodi di riposo quotidiano, di pausa, di riposo settimanale, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali e disciplina alcuni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell'Unione europea, i servizi di guardia, durante i quali il lavoratore è tenuto ad essere fisicamente presente in un luogo indicato dal datore di lavoro, devono essere considerati "integralmente periodi lavorativi, a prescindere dal fatto che, durante tale guardia, il lavoratore non svolga un'attività lavorativa continuativa" e i periodi di reperibilità, durante i quali il lavoratore è costretto a passare il periodo di guardia nel suo domicilio e a tenersi a disposizione del datore di lavoro, devono rientrare nella nozione di orario di lavoro(10). Inoltre, secondo l'interpretazione della CGUE, i periodi minimi di riposo costituiscono "norme della normativa sociale comunitaria che rivestono importanza particolare e di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare quale prescrizione minima necessaria per garantire la tutela della sua sicurezza e della sua salute". Tuttavia la direttiva 2003/88/CE non contiene una disposizione esplicita sul diritto dei lavoratori alla disconnessione, né obbliga i lavoratori a essere raggiungibili al di fuori dell'orario di lavoro, durante i periodi di riposo o altre ore non lavorative, ma prevede il diritto a periodi di riposo giornalieri, settimanali e annuali ininterrotti, durante i quali il lavoratore non dovrebbe essere contattato. Inoltre, non esiste alcuna disposizione esplicita dell'Unione che attui il diritto di non essere disponibile in tutti i momenti non compresi nell'orario di lavoro concordato (contrattualmente).

(14) La CGUE ha confermato che le direttive 89/391/CEE2003/88/CE impongono ai datori di lavoro l'obbligo di predisporre un sistema che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore e che tale sistema deve essere "oggettivo, affidabile e accessibile".

(15) Nella sua giurisprudenza la CGUE ha stabilito criteri per definire lo status di lavoratore. È opportuno tenere conto dell'interpretazione di questi criteri da parte della Corte di giustizia nell'attuazione della presente direttiva. A condizione che soddisfino tali criteri, tutti i lavoratori, sia del settore privato che del settore pubblico, compresi i lavoratori a chiamata, i lavoratori a tempo parziale, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti e gli apprendisti, rientrano nell'ambito di applicazione della presente direttiva. L'abuso della qualifica di lavoratore autonomo, quale definito dal diritto nazionale, a livello nazionale o nelle situazioni transfrontaliere, costituisce una forma di lavoro falsamente dichiarato che è spesso associata al lavoro non dichiarato. Il falso lavoro autonomo ricorre quando il lavoratore, al fine di evitare taluni obblighi giuridici o fiscali, è formalmente dichiarato come lavoratore autonomo pur soddisfacendo tutti i criteri che caratterizzano un rapporto di lavoro. Tali persone dovrebbero rientrare nell'ambito di applicazione della presente direttiva. È opportuno che la determinazione dell'esistenza di un rapporto di lavoro si fondi sui fatti correlati all'effettiva prestazione di lavoro e non sul modo in cui le parti descrivono il rapporto. Ai fini della presente direttiva, per lavoratore s'intende qualsiasi lavoratore avente un rapporto di lavoro che soddisfi i criteri della CGUE.

(16) Negli ultimi decenni, i normali contratti di lavoro sono diminuiti e la prevalenza di modalità di lavoro atipiche o flessibili è aumentata, in larga misura per via della digitalizzazione delle attività economiche. Alcune forme di lavoro atipico sono disciplinate nel diritto dell'Unione. La direttiva 97/81/CE del Consiglio dà attuazione all'accordo quadro tra le parti sociali europee sul lavoro a tempo parziale e ha lo scopo di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale, di facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire all'organizzazione flessibile dell'orario di lavoro in modo da tenere conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori. La direttiva 1999/70/CE del Consiglio attua l'accordo quadro tra le parti sociali europee sui contratti a tempo determinato e il suo obiettivo è migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. La direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, adottata in seguito alla mancata adozione di un accordo quadro tra le parti sociali europee, è volta a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento e riconoscendo tali agenzie quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili.

(17) Le parti sociali europee hanno adottato un accordo quadro sul telelavoro nel luglio 2002 e uno sulla digitalizzazione nel giugno 2020. L'accordo quadro sulla digitalizzazione prevede la possibilità che le parti sociali stabiliscano misure relative alla connessione dei lavoratori al lavoro e alla loro disconnessione dallo stesso. Alla luce degli sviluppi che hanno avuto luogo dall'adozione dell'accordo quadro sul telelavoro nel 2002, risulta evidente la necessità di eseguire una valutazione e di prevedere un quadro giuridico a livello dell'Unione per alcuni degli elementi dell'accordo.

(18) L'articolo 3, paragrafo 1, lettera a), e l'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2008/104/CE stabiliscono che la nozione di "lavoratore" sia definita dal diritto nazionale. Tuttavia la CGUE ha stabilito che i criteri contenuti nella sua giurisprudenza costante devono essere applicati per valutare se una persona gode dello status di lavoratore. In particolare è determinante che "una persona fornisca a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione" mentre non sono decisive a tal fine "la qualificazione giuridica nel diritto nazionale e la forma di tale rapporto nonché la natura del nesso giuridico che lega le due persone".

(19) Alcuni Stati membri hanno adottato provvedimenti per regolamentare il diritto alla disconnessione dei lavoratori che utilizzano strumenti digitali a scopi lavorativi. Altri Stati membri promuovono l'utilizzo di strumenti digitali a scopi lavorativi senza affrontare nello specifico i rischi, mentre un terzo gruppo di Stati membri applica all'uso degli strumenti digitali la legislazione generale e un quarto gruppo non dispone di una legislazione specifica. Un'azione a livello di Unione nel presente ambito garantirebbe condizioni minime per tutelare tutti i lavoratori nell'Unione che utilizzano strumenti digitali a scopi lavorativi e, più specificamente, i loro diritti fondamentali relativi a condizioni di lavoro eque.

(20) La presente direttiva mira a migliorare le condizioni di lavoro di tutti i lavoratori stabilendo condizioni minime per il diritto alla disconnessione. La presente direttiva dovrebbe essere attuata in modo tale da rispettare pienamente le prescrizioni stabilite nelle direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 e non dovrebbe avere alcun effetto negativo sui lavoratori.

(21) Le modalità pratiche per l'esercizio del diritto alla disconnessione da parte del lavoratore e per l'attuazione di tale diritto da parte del datore del lavoro dovrebbero essere concordate dalle parti sociali per mezzo di un accordo collettivo o a livello dell'impresa datrice di lavoro. È opportuno che gli Stati membri garantiscano, ad esempio mediante gli ispettorati nazionali del lavoro, che i datori di lavoro forniscano ai lavoratori una dichiarazione in cui sono stabilite tali modalità pratiche.

(22) Gli Stati membri dovrebbero garantire che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, conformemente alla giurisprudenza della CGUE, in particolare alla sentenza del 14 maggio 2019 nella causa C-55/18, Federación de Servicios de Comisiones Obreras.

(23) L'autonomia delle parti sociali dovrebbe essere rispettata. Gli Stati membri dovrebbero sostenere le parti sociali nella conclusione di accordi collettivi per attuare la presente direttiva.

(24) Gli Stati membri, in conformità del diritto e delle prassi nazionali, dovrebbero garantire l'effettiva partecipazione delle parti sociali nonché promuovere e rafforzare il dialogo sociale in vista dell'attuazione della presente direttiva. A tal fine è opportuno che gli Stati membri garantiscano l'istituzione di un insieme minimo di condizioni di lavoro, previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato, al fine di consentire ai lavoratori di esercitare il diritto alla disconnessione. Gli Stati membri dovrebbero potere affidare alle parti sociali l'attuazione della presente direttiva, in conformità del diritto e delle prassi nazionali, affinché esse forniscano o integrino tale insieme minimo di condizioni di lavoro.

(25) Le deroghe alla prescrizione relativa all'attuazione del diritto alla disconnessione dovrebbero essere previste soltanto in circostanze eccezionali, quali la forza maggiore o altre emergenze, a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto a ogni lavoratore interessato le ragioni che motivano la necessità di una deroga. L'insieme minimo di condizioni di lavoro che attuano il diritto alla disconnessione dovrebbe stabilire i criteri per tali deroghe e per determinare la compensazione per qualsiasi mansione lavorativa svolta al di fuori dell'orario di lavoro. Tale compensazione dovrebbe garantire il rispetto dell'obiettivo generale di assicurare la salute e la sicurezza dei lavoratori.

(26) I lavoratori che esercitano i loro diritti di cui alla presente direttiva dovrebbero essere tutelati da qualsiasi conseguenza sfavorevole, tra cui il licenziamento e altre misure di ritorsione. Tali lavoratori dovrebbero essere inoltre protetti da qualsiasi misura discriminatoria, come la perdita di reddito o di opportunità di promozione.

(27) I lavoratori dovrebbero disporre di un'adeguata e rapida protezione giudiziaria e amministrativa contro un trattamento sfavorevole in risposta all'esercizio dei diritti sanciti dalla presente direttiva o a un tentativo di esercitarli, compresi il diritto di ricorso e il diritto di avviare procedimenti amministrativi o giudiziari per garantire la conformità con la presente direttiva.

(28) Gli Stati membri dovrebbero definire le modalità per l'attuazione del diritto alla disconnessione sancito nella presente direttiva, conformemente al diritto nazionale, agli accordi collettivi o alle prassi vigenti. Gli Stati membri dovrebbero prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di mancata ottemperanza agli obblighi derivanti dalla presente direttiva.

(29) L'onere di provare che il licenziamento o altro pregiudizio equivalente non è dovuto al fatto che un lavoratore abbia esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione compete al datore di lavoro, a condizione che il lavoratore abbia esposto dinanzi a un giudice o altra autorità competente fatti idonei a far sorgere una presunzione che il lavoratore sia stato licenziato o abbia subito un altro pregiudizio per tale motivo.

(30) La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime, lasciando così impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli. La presente direttiva e la sua applicazione non dovrebbero costituire un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori nell'ambito trattato dalla presente direttiva.

(31) La Commissione dovrebbe rivedere l'attuazione della presente direttiva al fine di monitore e garantire la conformità alla stessa. A tal fine è opportuno che gli Stati membri presentino relazioni periodiche alla Commissione.

(32) Al fine di valutare l'impatto della presente direttiva, la Commissione e gli Stati membri sono incoraggiati a continuare a cooperare tra loro, con il sostegno dell'Autorità europea del lavoro, per sviluppare statistiche e dati confrontabili sull'attuazione dei diritti sanciti nella presente direttiva.

(33) Poiché l'obiettivo della presente direttiva, vale a dire l'istituzione di garanzie adeguate per l'esercizio del diritto alla disconnessione nell'Unione, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della sua portata e dei suoi effetti, può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest'ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato sull'Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo,

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

Articolo 1

Oggetto e ambito d'applicazione

1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali, comprese le TIC, a scopi lavorativi e di esercitare il diritto alla disconnessione e che garantiscano il rispetto del diritto dei lavoratori alla disconnessione da parte dei datori di lavoro. Essa si applica a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro.

2. La presente direttiva precisa e integra le direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 ai fini di cui al paragrafo 1, lasciando impregiudicate le prescrizioni stabilite in tali direttive.

Articolo 2

Definizioni

Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

(1) "disconnessione": il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell'orario di lavoro;

(2) "orario di lavoro": l'orario di lavoro quale definito all'articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE.

Articolo 3

Diritto alla disconnessione

1. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro prendano i provvedimenti necessari per fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il diritto alla disconnessione.

2. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali. I lavoratori possono richiedere e ottenere il registro del loro orario di lavoro.

3. Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro attuino il diritto alla disconnessione in modo equo, lecito e trasparente.

Articolo 4

Misure di attuazione del diritto alla disconnessione

1. Gli Stati membri garantiscono che, previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato, siano stabilite modalità dettagliate che consentano ai lavoratori di esercitare il diritto alla disconnessione e che i datori di lavoro attuino tale diritto in modo equo e trasparente. A tal fine gli Stati membri garantiscono almeno le seguenti condizioni di lavoro:

(a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compreso qualsiasi strumento di monitoraggio legato al lavoro;

(b) il sistema per la misurazione dell'orario di lavoro;

(c) valutazioni della salute e della sicurezza, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, in relazione al diritto alla disconnessione;

(d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall'obbligo di attuare il diritto dei lavoratori alla disconnessione;

(e) in caso di deroga a norma della lettera d), i criteri per stabilire le modalità di calcolo della compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell'orario di lavoro conformemente alle direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 nonché al diritto e alle prassi nazionali.

(f) le misure di sensibilizzazione, compresa la formazione sul luogo di lavoro, che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare riguardo alle condizioni di lavoro di cui al presente paragrafo.

Le deroghe di cui al primo comma, lettera d), sono previste soltanto in circostanze eccezionali, quali la forza maggiore o altre emergenze, a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto a ogni lavoratore interessato le motivazioni che dimostrino la necessità di una deroga ogniqualvolta si ricorra a essa.

2. Gli Stati membri possono, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, affidare alle parti sociali il compito di concludere accordi collettivi a livello nazionale, regionale, settoriale o di datore di lavoro che stabiliscano o integrino le condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1.

3. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori che non sono coperti da un accordo collettivo a norma del paragrafo 2 beneficino di una tutela conformemente alla presente direttiva.

Articolo 5

Tutela contro trattamenti sfavorevoli

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano vietati la discriminazione, il trattamento meno favorevole, il licenziamento e altre misure sfavorevoli da parte dei datori di lavoro per il fatto che il lavoratore abbia esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione.

2. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro proteggano i lavoratori, compresi i rappresentanti dei lavoratori, da qualsiasi trattamento sfavorevole e da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo presentato al datore di lavoro o da un procedimento promosso al fine di garantire il rispetto dei diritti di cui alla presente direttiva.

3. Gli Stati membri garantiscono che, quando i lavoratori che ritengono di essere stati licenziati o di aver subito un altro trattamento sfavorevole per aver esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione presentano dinanzi a un tribunale o a un'altra autorità competente fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, incombe al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole è stato basato su motivi diversi.

4. Il paragrafo 3 non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole ai lavoratori.

5. Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare il paragrafo 3 alle procedure nelle quali l'istruzione dei fatti spetta all'organo giurisdizionale o all'organo competente.

6. Salvo diversa disposizione degli Stati membri, il paragrafo 3 non si applica ai procedimenti penali.

Articolo 6

Diritto di ricorso

1. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori il cui diritto alla disconnessione è stato violato abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie rapido, efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla presente direttiva.

2. Gli Stati membri possono stabilire che le organizzazioni sindacali o altri rappresentanti dei lavoratori abbiano la facoltà, per conto o a sostegno dei lavoratori e con la loro approvazione, di avviare procedimenti amministrativi al fine di garantire la conformità con la presente direttiva o la sua applicazione.

Articolo 7

Obbligo di informazione

Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro forniscano per iscritto a ciascun lavoratore informazioni chiare, sufficienti ed adeguate sul diritto alla disconnessione, compresa una dichiarazione che precisi i termini degli accordi collettivi o di altri accordi applicabili. Tali informazioni comprendono almeno i seguenti elementi:

(a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compresi eventuali strumenti di monitoraggio legato al lavoro, di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera a);

(b) il sistema di misurazione dell'orario di lavoro, di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b);

(c) le valutazioni del datore di lavoro sulla salute e sulla sicurezza in relazione al diritto alla disconnessione, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera c);

(d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall'obbligo di attuare il diritto alla disconnessione e i criteri per stabilire la compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell'orario di lavoro, di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettere d) ed e);

(e) le misure di sensibilizzazione del datore di lavoro, compresa la formazione sul luogo di lavoro, di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera f);

(f) le misure di tutela dei lavoratori contro trattamenti sfavorevoli conformemente all'articolo 5;

(g) le misure di attuazione del diritto di ricorso dei lavoratori conformemente all'articolo 6.

Articolo 8

Sanzioni

Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in conformità della presente direttiva o delle pertinenti disposizioni già in vigore riguardanti i diritti che rientrano nell'ambito di applicazione della presente direttiva, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l'attuazione. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive. Entro … [due anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri notificano tali norme e misure alla Commissione e provvedono poi a dare immediata notifica delle eventuali modifiche successive.

Articolo 9

Livello di protezione

1. La presente direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri.

2. La presente direttiva lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l'applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori.

3. La presente direttiva lascia impregiudicato ogni altro diritto conferito ai lavoratori da altri atti giuridici dell'Unione.

Articolo 10

Relazione, valutazione e revisione del diritto alla disconnessione

1. Entro ... [cinque anni dopo l'entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione contenente tutte le informazioni pertinenti sull'attuazione e l'applicazione pratiche della presente direttiva, così come indicatori di valutazione sulle pratiche di attuazione del diritto alla disconnessione, indicando i rispettivi punti di vista delle parti sociali nazionali.

2. Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri a norma del paragrafo 1, la Commissione, entro ... [sei anni dopo l'entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione e sull'applicazione della presente direttiva e valuta la necessità di misure aggiuntive, compresa, se del caso, la modifica della presente direttiva.

Articolo 11

Recepimento

1. Entro il ... [due anni dopo l'entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri adottano e pubblicano le misure legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

Essi applicano tali disposizioni a decorrere dal … [tre anni dopo l'entrata in vigore della presente direttiva].

Le misure adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2. A decorrere dall'entrata in vigore della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a comunicare alla Commissione, in tempo utile perché questa possa presentare le proprie osservazioni, qualsiasi progetto di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che intendano adottare nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

3. Conformemente all'articolo 153, paragrafo 3, TFUE, gli Stati membri possono affidare alle parti sociali l'attuazione della presente direttiva, su loro richiesta congiunta, a condizione che garantiscano il rispetto della presente direttiva.

Articolo 12

Dati personali

I datori di lavoro trattano i dati personali di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettere a) e b) della presente direttiva soltanto ai fini della registrazione dell'orario di lavoro del singolo lavoratore. Essi non trattano tali dati per altri fini. I dati personali sono trattati conformemente al regolamento (CE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio(19) e alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio(20).

Articolo 13

Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

Articolo 14

Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

...

Fonte: UE

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Compartimentazione antincendio

Compartimentazione antincendio

ID 12804 | 10.02.2021

Il “Codice di prevenzione incendi”, nella sezione S “Strategia antincendio”, prevede dieci capitoli dedicati alle “Misure” di riduzione del rischio di incendio.

Il capitolo S.3 del Codice è dedicato alla compartimentazione antincendio. La misura di compartimentazione S.3 ha la funzione di suddividere l’opera da costruzione in volumi, ciascuno dei quali consentirà di mantenere al proprio interno l’eventuale incendio per un tempo prefissato. Il compartimento antincendio rappresenta, pertanto, una “cella” continua per la quale le prestazioni di contenimento dell’incendio al suo interno non degradano, almeno per il tempo stabilito dalla classe, in caso di sviluppo di incendio generalizzato.

Il presente quaderno della collana è dedicato all’approfondimento applicativo della misura S.3 Compartimentazione del Codice di prevenzione incendi.

La pubblicazione è stata redatta con riferimento alla versione aggiornata del Codice ai sensi del d.m. 18 ottobre 2019 recante modifiche all'allegato 1 al d.m. 3 agosto 2015, recante “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139” per quanto riguarda la RTO e al d.m. 14 febbraio 2020 per quanto riguarda le RTV riguardanti Uffici, Attività ricettive, Attività scolastiche e Attività commerciali, al d.m. 15 maggio 2020 per quanto riguarda la RTV sulle Autorimesse, al d.m. 6 aprile 2020 per quanto riguarda la RTV sugli Asili nido, al d.m. 10 luglio 2020 per quanto riguarda la RTV su Musei, gallerie, esposizioni, mostre, biblioteche e archivi in edifici tutelati, alle bozze di RTV approvate nel corso delle riunioni del Comitato Centrale Tecnico Scientifico di prevenzione incendi del Ministero dell’interno per quanto riguarda le Strutture sanitarie, gli Edifici di civile abitazione e lo Stoccaggio e trattamento dei rifiuti.

La pubblicazione contiene esempi di progettazione di alcune attività, redatti focalizzando l’attenzione sulla misura S.3, in relazione alla quale sono state applicate sia soluzioni conformi che una o più soluzioni alternative, anche applicando i metodi suggeriti dal Codice.

In particolare, dopo un doveroso richiamo delle regolamentazioni sopra citate limitatamente alla misura S.3, i casi studio riguardano:

- la valutazione dell’irraggiamento termico verso un bersaglio esterno all’edificio sorgente;
- la valutazione delle distanze di separazione tra materiali combustibili all’interno di uno stabilimento per attività di produzione, lavorazione e stoccaggio di materiale plastico;
- la valutazione delle distanze di separazione tra materiali combustibili all’interno di uno stabilimento per attività di lavorazione e stoccaggio di olii vegetali;
- la dimostrazione dell’efficienza di una scala protetta benché priva di una chiusura di tipo E-Sa all’interno di un edificio storico adibito ad ufficio;
- la gestione della compartimentazione interna di un’attività ufficio rispetto all’attività secondaria (34.2.C) sita ai piani interrati;
- la compartimentazione di un fienile adottando una soluzione con tecnologia innovativa;
- la compartimentazione in un immobile nel quale sono inseriti uffici facenti capo a diversa titolarità;
- la dimostrazione dell’efficienza della parete di separazione tra due manufatti nell’ambito di un magazzino automatico;
- la dimostrazione del raggiungimento degli obiettivi di sicurezza antincendio all’interno di una warehouse di grandi dimensioni posta all’interno di un unico compartimento multipiano.

Considerato che la pubblicazione è stata scritta “a più mani”, grazie anche al contributo di alcuni professionisti del settore, può rilevarsi una diversa sensibilità nell’approccio alla progettazione antincendio da parte dei vari Autori; si ritiene tuttavia che tale circostanza possa costituire, a conti fatti, una preziosa risorsa per l’attento lettore che potrà esercitarsi nel ripercorrere un caso studio, adottando un approccio acquisito o un altro.

L’obiettivo è quello di illustrare che la vera novità del Codice è rappresentata dalle soluzioni alternative e che, in tale ambito, ciascun professionista antincendio può far valere le proprie competenze e professionalità.

Si resta convinti, infatti, che pensare al Codice solamente in termini di soluzioni conformi, che pur costituiscono un valido supporto al progettista antincendio ma di tipo “prescrittivo guidato”, non aiuta a cogliere la reale potenza dello strumento normativo.

Questo nuovo potere comporta delle responsabilità per il progettista antincendio ma, allo stesso tempo, una serie di opportunità per progettare in maniera più intelligente e puntuale, realizzando ciò che davvero influenza positivamente la sicurezza antincendio in termini di razionalità, economia e, non ultimo, soddisfazione professionale.

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Fonte: INAIL

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