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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 39343 | 31 Agosto 2018

ID 6813 | | Visite: 2516 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Cantieri e ubicazione del locale spogliatoio

Penale Sent. Sez. 3 Num. 39343 Anno 2018

Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: GAI EMANUELA
Data Udienza: 13/07/2018

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di L'Aquila, con sentenza del 30 ottobre 2017, ha condannato F.S., alla pena di € 3.500,00 di ammenda, perché ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 96 del d.lgs n. 81 del 2008 perché, quale titolare della ditta Sara Costruzioni di F.S., non verificava le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento (capo A), del reato di cui agli artt. 126 e 159 lett. a) del d.lgs n. 81 del 2008, perché, nella medesima qualità, ometteva di dotare, in più parti, il ponte di servizio di idonei parapetti (capo B), del reato di cui agli artt. 146 e 159 comma 2 lett. c) del d.lgs n. 81 del 2008, perché, nella medesima qualità, ometteva di circondare le aperture lasciate nei solai di idonei parapetti con tavole fermapiede (capo C), del reato di cui agli artt. 147 comma 1 e 159 comma 2 lett. b) del d.lgs n. 81 del 2008, perché, nella medesima qualità, ometteva di proteggere una scala fissa di metallo con parapetti. Accertati il L'Aquila il 27/11/2014.
2. Avverso la sentenza F.S. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione dell'articolo 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione all'affermazione della responsabilità per il reato sub A), non avendo considerato, il Tribunale, che i locali spogliatoio per i dipendenti erano allocati presso un B&B poco distanti dal cantiere ("distanti una passeggiata") come attestato dal testimone sentito, circostanza idonea a ritenere rispettata la previsione indicata nel piano della presenza di locale spogliatoio.
2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio di violazione di legge sempre con riferimento al capo sub A) per erronea applicazione dell'allegato XIII al d.lgs n. 81 del 2008, che prevede che il locale spogliatoio debba essere a disposizione dei lavoratori, ma non richiede necessariamente che sia all'interno del cantiere, essendo quello in contestazione a distanza di "una passeggiata" da questo.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'affermazione della responsabilità con riguardo alle contestazioni sub B), C) e D), tutte accumunate dalla circostanza che era in corso l'allestimento del cantiere per cui erano in corso di allestimento le strutture provvisionali di protezione.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è inammissibile.
5. Quanto ai primi due motivi di censura, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, essi sono manifestamente infondati.
La legge (Allegato XIII PRESCRIZIONI DI SICUREZZA E DI SALUTE PER LA LOGISTICA DI CANTIERE - Prescrizioni per i servizi igienico assistenziali a disposizione dei lavoratori nei cantieri), richiede chiaramente che gli spogliatoi siano "a disposizione nei cantieri", dunque, correttamente il Tribunale ha ritenuto integrata la violazione menzionata in ragione del fatto che questi era allocati in luogo diverso (B&B), a nulla rilevando la distanza dal cantiere (una passeggiata). Trattasi di disposizioni che individuano quanto necessario per allestire ambienti di lavoro salubri e sicuri e dunque devono, prima di tutto, essere allestiti sul luogo di lavoro, luogo soggetto a controllo dello SPRESAL, e non in luogo diverso.
6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perché propone una questione meramente fattuale e sollecita una rivalutazione del materiale probatorio e non tiene conto che il sindacato demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla verifica dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.
Il Tribunale ha accertato, con motivazione congrua e dunque insindacabile in questa sede, che al momento del controllo ispettivo c'era un lavoratore che stava eseguendo opere di carpenteria in legno sul primo solaio, circostanza consentita solo dopo il completamento delle strutture provvisionali, accertamento di fatto a cui la ricorrente oppone una diversa ricostruzione fattuale (era in corso l'allestimento del cantiere) che non è consentita in questa sede.
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 13/07/2018
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2018

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UNI EN 16712-4:2018 | Apparecchiature schiumogene portatili

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UNI EN 16712-4:2018 | Apparecchiature schiumogene portatili

UNI EN 16712-4:2018 Attrezzature portatili alimentate da pompe antincendio per il getto di agenti estinguenti - Apparecchiature schiumogene portatili - Parte 4: Generatori PN 16 di schiuma ad alta espansione

La norma si applica ai generatori di schiuma ad alta espansione, con un rapporto di espansione maggiore di 200:1, la cui unica fonte di alimentazione esterna è la pressione e/o il flusso dell'acqua fornita al dispositivo. Ciò è usato dai mezzi antincendio e di soccorso e definisce la loro specifica e le procedure di prova.

Data entrata in vigore: 13 settembre 2018

Recepisce: EN 16712-4:2018

http://store.uni.com/catalogo/index.php/uni-en-16712-4-2018.html

...

In allegato Preview EN 16712-4:2018 riservato Abbonati

EN 16712-4:2018 - Portable equipment for projecting extinguishing agents supplied by firefighting pumps - Portable foam equipment - Part 4: High expansion foam generators PN16

1.1 This document applies to high expansion foam generators, having an expansion ratio greater than 200:1, whose only source of external power is the pressure and/or flow of the water supply to the device. This is used by fire and rescue services and contains their specification and test procedures. NOTE In this document, the term"foam generator" also refers to "high expansion foam generator".

1.2 This document deals with all significant hazards, hazardous situations or hazardous events, with the exception of noise, relevant to high expansion foam generator, when it is used as intended and under conditions of misuse which are reasonably foreseeable by the manufacturer.

1.3 This document does not cover misting applications.

1.4 This document is not applicable to high expansion foam generators which have been manufactured before its date of publication as EN.

Fonte: UNI
EVS

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Depositi e Prevenzione Incendi: assoggettabilità

ID 5695 | | Visite: 63320 | Documenti Riservati Sicurezza

Depositi attivit  70

Depositi: Attività n. 70 D.P.R. 151/2011 (ex attività n. 88 DM 1982)

Documento completo allegato relativo all'attività n. 70 del DPR 151/2011: Depositi e prevenzione Incendi - Assoggettabilità

I locali adibiti a depositi di materiali combustibili, possono essere soggetti a Controllo di Prevenzione Incendi ai sensi del DPR 151/2011 come attività n. 70, al verificarsi contemporaneamente delle due condizioni:

1. Superficie lorda locali > 1000 m2
2. Quantitativi di merci e materiali combustibili > 5000 Kg

Con le categorie:

Cat A: ---
Cat B: fino a 3.000 m2
Cat C: oltre 3.000 m2

E' da evidenziare il contesto dei locali del deposito facenti parte di attività di lavorazione già soggetta come attività principale a Controlli di Prevenzione Incendi, a seguire casi e quesiti VVF in merito. 


_______

Prima dell'entrata in vigore del DPR 151/2011 l'attività soggetta a deposito era la n. 88 del DM 16 Febbraio 1982, cosi definita:

Attività n. 88 DM 16 Febbraio 1982
Locali adibiti a depositi di merci e materiali vari con superficie lorda superiore a 1.000 mq

Con il D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 è stato introdotto un secondo valore discriminante relativo al peso delle merci e materiali combustibili presenti nel "deposito", con la soglia di 5.000 kg al fine della valutazione dell'assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi:

Attività n. 70 DPR 151/2011
Locali adibiti a depositi di superficie lorda superiore a 1000 m2 con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5.000 kg. 

 

ATTIVITÀ

(DPR 151/2011)

CATEGORIA

A

B

C

70

Locali adibiti a depositi di superficie lorda superiore a 1.000 m2 con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5.000 kg

 ---

Fino a 3.000 m2

Oltre 3.000 m2

Equiparazione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82

88

Locali adibiti a depositi di merci e materiali vari con superficie lorda superiore a 1.000 mq

Principali differenze fra le attività di equiparazione

La nuova attività, per l’assoggettamento ai controlli di prevenzione incendi, fissa, a parità di superficie, un quantitativo minimo di merci e materiali combustibili pari a 5.000 kg.

Requisiti di superficie locali e quantità merci
L'attività di cui al punto 70 dell'allegato al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 sussiste quando siano riscontrabili nel locale, contemporaneamente, una superficie di deposito superiore a 1.000 mq e la presenza di materiali combustibili in quantità superiore a 5.000 kg.

Superificie Lorda
Per superficie lorda si intende quanto definito nel D.M. 30 novembre 1983.

D.M. 30 novembre 1983

1.13 - Superficie totale di un compartimento
Superficie in pianta compresa entro il perimetro interno delle pareti delimitanti il compartimento.

- lex specialis derogat generali-

Deposito: nota rilevante

Nota prot. n° P500/4147 sott. 4 del 12 maggio 2004

In relazione a quanto richiesto …, fermo restando che determinate tipologie di deposito o lavorazioni sono soggette in base ai quantitativi di materiali "prodotti, impiegati o detenuti" e non in base alla estensione della superficie, si condivide il parere da codesta Direzione Regionale.

Si ritiene, tuttavia, che la "tipologia B" possa essere ascrivibile al punto 88 dell'elenco allegato al D.M. 16 febbraio 1982 qualora l'attività preminente sia il deposito rispetto alla lavorazione.

Il quesito schematizza tre casi tipo di locali adibiti a deposito, che ricorrono frequentemente nell'ambito dell'attività di Prevenzione Incendi, che si riportano di seguito.

A. Locale adibito a lavorazione non costituente attività soggetta (es. tomaifici, calzaturifici inferiori a 25 addetti, ecc.) ma di superficie lorda superiore a 1000 m2 e con il materiale utilizzato sparso su tutta l'area di lavorazione, con quantitativi comunque inferiori ai limiti stabiliti ai fini dell'individuazione di altri codici di attività.

Risposta:
Le attività di tipologia A non sono ascrivibili al punto 88, in quanto l'area di lavorazione del materiale non è assimilabile a "locale adibito a deposito di merci e materiali vari"

schema attivita  70 A

B. Presenza, all'interno del locale di superficie superiore a 1000 m2 come definito al punto A), di un locale adibito a deposito di merce e materiale vario di superficie inferiore a 1000 m2. Non compartimentato.

Risposta:
Le attività di tipologia B può essere ascrivibile al punto 88 dell'elenco allegato al DM 16/2/1982 qualora l'attività preminente sia il deposito rispetto alla lavorazione;

schema attivit  70 B

C. Presenza, all'interno del locale di superficie superiore 1000 m2 come al punto A), di un locale adibito a deposito di merce e materiale vario di superficie inferiore a 1000 m2, compartimentato con strutture di separazione e comunicazione di adeguate caratteristiche di resistenza al fuoco commisurate con il carico d'incendio.

Risposta:
Le attività di tipologia C non sono ascrivibili al punto 88, in quanto, in questo caso, la "superficie lorda", costituita dal solo locale deposito, è minore di 1000 m2.

 schema attivit  70 C

____________

F.A.Q. di Prevenzione Incendi - Attività Soggette

Attività 70: Depositi di superficie > 1000 m2 con quantità di merci e materiali combustibili > 5.000 kg .

Domanda:

I locali come le stalle o i capannoni per l'allevamento di polli rientrano al punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11?

Risposta:

I locali per il ricovero o l'allevamento di animali non sono da considerare locali adibiti a deposito così come definiti al punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11.
Ai fini dell'assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi, occorrerà, in ogni caso, valutare l'eventuale presenza di impianti per la produzione di calore a servizio di detti locali così come descritti al punto 74, nonché di altre eventuali attività elencate nello stesso allegato.

Pubblicato il 20/02/2013

Domanda:

Un'attività di collaudo e/o revisione veicoli è da considerarsi soggetta ai controlli di prevenzione incendi ai sensi del D.P.R. 151/11.

Risposta:

Se nell'attività non è presente l'officina per la riparazione ed i veicoli rimangono unicamente per il tempo necessario al collaudo o alla revisione, l'attività non si configura tra quelle soggette ai controlli di prevenzione incendi.

Pubblicato il 20/02/2013

Domanda:

Un capannone con superficie 1500 mq suddiviso REI 120 in due locali con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5000 kg si configura 70.1.B?

Risposta:

Un deposito ricade nel punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11 se la sua superficie lorda supera i 1000 mq e se le merci e i materiali detenuti sono combustibili e in quantitativi superiori complessivamente a 5.000 kg. In linea generale, i locali possono considerarsi indipendenti se non sono presenti comunicazioni e se sono separati con strutture di adeguata resistenza al fuoco.

Pubblicato il 18/02/2013

Domanda:

Un deposito di una ditta di trasporti, principalmente destinato allo stoccaggio di materiale elettromedicale e d'informatica (stampanti, tac, router, server, etc.) di 4000 mq (e 500 mq di uffici), rientra nelle attività soggette a prevenzione incendi e, in caso affermativo, in quale attività rientra?

Risposta:

Qualora non venga effettuata anche attività di vendita, un deposito ricade nel punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11 se la sua superficie lorda supera i 1000 mq e se le merci e i materiali detenuti sono combustibili e in quantitativi superiori complessivamente a 5.000 kg.

Pubblicato il 18/02/2013

Domanda:

Con riferimento all'attività indicata al punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11, cosa si intende per merci e materiali combustibili?

Risposta:

Ai fini dell'individuazione della combustibilità delle merci e materiali detenuti, funzione delle caratteristiche fisico-chimiche del materiale, occorre fare riferimento alle schede tecniche e merceologiche ovvero ai dati desumibili da letteratura tecnica.

Pubblicato il 18/02/2013

Domanda:

Un deposito di farina in sacco e altri prodotti alimentari confezionati, di superficie di 1400 mq, compresi gli uffici senza lavorazioni, con stoccaggio medio di 2.000/3.000 q.li e con personale impiegato di 3 unità configura una attività compresa nel D.P.R. 151/2011?

Risposta:

Per il deposito di cereali, si configura l'attività 27.C del D.P.R. 151/2011.

Pubblicato il 19/12/2012

Domanda:

Una attività per il riciclo di apparecchiature elettriche e/o elettroniche nella quale si effettua smontaggio e recupero, senza lavorazioni con sostanze pericolose, senza lavorazioni a caldo, con superficie coperta di 2000 mq e con meno di 5.000 kg di materiali combustibili in ciclo di lavorazione e/o in deposito potrebbe rientrare tra le attività di cui al D.P.R. 151/2011?

Risposta:

Una attività così come rappresentata, e caratterizzata dalla presenza di materiali combustibili in quantità inferiore a 5.000 kg, non rientra fra quelle ricomprese dall'allegato al D.P.R. 151/2011.

Pubblicato il 19/12/2012

Domanda:

Gli stoccaggi di pneumatici usati che superano i limiti di superficie (1.000 mq) e di peso (5.000 Kg) rientrano al nr. 70 dell'allegato al D.P.R. 151/2011?

Risposta:

Nel caso di locali adibiti deposito al chiuso, di superficie superiore a 1.000 mq, contenenti più di 5.000 kg di materiali combustibili, si configura l'attività 70 dell'allegato suddetto.

Pubblicato il 19/12/2012

Domanda:

Con riferimento alla attività 70 dell'allegato al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, i requisiti di superficie (1000 mq) e di stoccaggio (5000 kg) sembra siano da considerarsi complementari e non alternativi. Nello specifico, un deposito di dolciumi da 580 mq lordi - compresi servizi - in cui sono stoccati 55.000 kg di caramelle circa e 4.500 kg di imballaggi - cartone - ricade nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi?

Risposta:

L'attività di cui al punto 70 dell'allegato al d.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 sussiste quando siano riscontrabili nel locale, contemporaneamente, una superficie di deposito superiore a 1.000 mq e la presenza di materiali combustibili in quantità superiore a 5.000 kg.

Pubblicato il 28/02/2012

Domanda:

Come va intesa la superficie lorda dell'attività, con riferimento al punto 70 dell'allegato al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151?

Risposta:

Per superficie lorda si intende quanto definito nel d.m. 30 novembre 1983.

Pubblicato il 19/01/2012

Domanda:

Un'attività in precedenza inquadrata al punto 88 del D.M. 16 febbraio 1982, in quanto locale adibito al deposito di materiale vario con superficie superiore a 1000 mq, in possesso di regolare CPI in corso di validità, ha diminuito ad oggi i quantitativi in deposito ad una quantità inferiore a 5000 kg. Si chiede di conoscere se l'attività sia in tal modo ancora assoggettata ai controlli di prevenzione incendi.

Risposta:

Con il nuovo D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 è stato introdotto l'ulteriore parametro di 5.000 kg al fine della valutazione dell'assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi. L'attività in oggetto, pertanto, fermi restando gli obblighi in materia di sicurezza antincendio, non è più soggetta ai controlli di prevenzione incendi cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, salvo che non venga superata la suddetta soglia di materiale combustibile.

Pubblicato il 28/12/2011

Fonte: VVF

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Schema DM attuazione Dlgs 81/08 Polizia di Stato, Vigili del fuoco

ID 6796 | | Visite: 9581 | News Sicurezza

Schema DM attuazione Dlgs 81 08 Polizia di Stato Vigili del fuoco

Schema DM attuazione Dlgs 81/08 Polizia di Stato, Vigili del fuoco

Atto del Governo: 043

Schema di decreto ministeriale recante regolamento per l'applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalità istituzionali all'attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica 
 
Lo schema di decreto interministeriale è volto a dare attuazione alle disposizioni del Dlgs 81/08 e a garantire il perseguimento delle finalità ivi indicate, tenendo conto delle particolari e specifiche esigenze connesse all'impiego e alla formazione del personale; alla tutela delle informazioni riguardanti l'efficienza e la funzionalità delle strutture organizzative nonché alla tutela delle informazioni e delle notizie riguardanti le specifiche attività istituzionali.
 
Per quanto concerne, in particolare, gli uffici centrali e periferici della Polizia di Stato e delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le particolari esigenze trovano fondamento nella peculiarità degli ambienti di lavoro ave si svolgono le attività volte alla salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica; nella necessità di garantire la direzione delle attività funzionali all'espletamento dei compiti istituzionali; nell'esigenza di assicurare capacità e prontezza di impiego del personale operativo e il relativo addestramento; nell'esigenza di tutelare le informazioni relative all'apparato organizzativo, all'ordine e sicurezza pubblica e al contrasto della criminalità, per le quali, nell'interesse della sicurezza nazionale, è vietata la divulgazione ai sensi delle disposizioni vigenti.
 
Nello specifico, le particolarità costruttive e di impiego degli equipaggiamenti speciali, degli strumenti di lavoro, delle anni, dei mezzi operativi e del relativo supporto logistico, nonché di specifici impianti, quali poligoni di tiro, laboratori di analisi, palestre e installazioni operative, addestrative e di vigilanza, presentano molteplici tipologie di rischio. 
 
Per quanto concerne le strutture del Dipartimento dei vigili del fuoco e del Corpo nazionale, le particolari esigenze ·trovano fondamento nelle specifiche condizioni di impiego; nella peculiarità delle strutture ove si svolgono le attività prodromiche agli interventi di soccorso; nella specificità dell'addestramento e della formazione del personale; nella manutenzione degli strumenti e dei mezzi operativi; nell'impossibilità di predeterminare le aree di intervento ove sono svolte le attività destinate a salvaguardare la tutela della pubblica incolumità e la preservazione dei beni. Le predette particolari esigenze discendono, altresì, dalla necessità di assicurare la capacità e la prontezza di impiego del personale, la continuità dei servizi finalizzati al soccorso pubblico e la riservatezza del trattamento dei dati.
 
Anche per le ragioni sopra esposte, lo schema di decreto dispone la ripartizione delle competenze in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nel rispetto . delle specifiche organizzazioni del personale e delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, in armonia con l'organizzazione gerarchica degli uffici; dispone il ricorso in via tendenziale alle sole risorse umane e strumentali in dotazione; disciplina in dettaglio l'esercizio, da parte dei servizi sanitari e tecnici istituiti per la Polizia di Stato e il Corpo nazionale, della vigilanza esclusiva sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
...
 
Stato iter: In corso di esame
Trasmissione: Trasmesso ai sensi dell' articolo 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81
Annuncio all'Assemblea: 11 settembre 2018
Assegnazione ed esito:
Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari Sociali) (Assegnato l'11 settembre 2018 - Termine l'11 ottobre 2018)
V Bilancio (Assegnato l'11 settembre 2018 ai sensi ex art. 96-ter,co.2 - Termine il 26 settembre 2018)
...

Si rappresenta che lo schema di decreto presente fa parte dei decreti attuativi del D.lgs 81/08 ancora ad oggi non emanati, come riportato inoltre, nella Relazione sullo stato di applicazione della normativa di salute e sicurezza e sul suo possibile sviluppo (Art. 6, Comma 8, lett. 3), del D. Lgs. 81/08 e s.m.i.)

Articolo 3. comma 2 Dlgs 81/08

2. Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dei servizi di protezione civile, nonche' nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalita' istituzionali alle attivita' degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle universita', degli istituti di istruzione universitaria, delle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, delle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 1° agosto 1991, n. 266, degli uffici all'estero di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarita' organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attivita' condotte dalla Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, nonche' dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei vigili del fuoco, nonche' dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale, individuate entro e non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale nonche', relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare; analogamente si provvede per quanto riguarda gli archivi, le biblioteche e i musei solo nel caso siano sottoposti a particolari vincoli di tutela dei beni artistici storici e culturali.

Con decreti, da emanare entro cinquantacinque mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede a dettare le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento con la disciplina recata dal presente decreto della normativa relativa alle attivita' lavorative a bordo delle navi, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, in ambito portuale, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, e per il settore delle navi da pesca, di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 298, e l'armonizzazione delle disposizioni tecniche di cui ai titoli dal II al XII del medesimo decreto con la disciplina in tema di trasporto ferroviario contenuta nella legge 26 aprile 1974, n. 191, e relativi decreti di attuazione. 

_________

[box-warning]Pubblicato nella GU Serie Generale n.255 del 30-10-2019 il Decreto 21 agosto 2019 n. 127 Regolamento recante l'applicazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonche' delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalita' istituzionali alle attivita' degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica.[/box-warnig]

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2° rapporto sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ANMIL

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ANMIL 2018

2° rapporto sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ANMIL

Roma, 10 settembre maggio 2018

ANMIL ha presentato a Roma, Sala del Parlamentino del CNEL (Viale Davide Lubin, 2) il 2° rapporto sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, per contribuire a promuovere la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.

Il 10 settembre 2018, presso il Parlamentino del CNEL, ANMIL Onlus presenta la seconda edizione del Rapporto sulla Salute e la Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, anno 2018.

In linea di continuità con la prima edizione, l’opera continua ad essere un prodotto editoriale innovativo e unico, a livello nazionale ed europeo. Esso si presenta di nuovo come un servizio informativo aggiornato e completo, in modalità completamente gratuita, condensato in un unico volume facilmente consultabile. Nella nuova edizione continuano ad essere analizzati i principali interventi del Legislatore, della giurisprudenza (sentenze di merito e di legittimità), della prassi amministrativa (circolari ed interpelli ministeriali) e del mondo dello studio e della ricerca in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che hanno caratterizzato in modo significativo la metà dell’anno precedente e l’anno in corso, ripartendo dalle novità della prima edizione e analizzando i principali interventi che si sono succeduti nel periodo di riferimento.

Elemento distintivo della seconda edizione è la minuziosa analisi ricostruttiva delle origini, delle finalità e della struttura del Testo Unico di Salute e Sicurezza sul Lavoro e l’illustrazione dello stato dell’arte della sua attuazione, in occasione della celebrazione dei dieci anni dall’entrata in vigore del Testo Unico (d.lgs. 81/2008).

Tale analisi è altresì completata dallo studio dell’andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali intercorsi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008.

Comunicato Stampa Rapporto ANMIL 2018 ANMIL 2018
Discorso Presidente ANMIL 2018 ANMIL 2018
Scheda Rapporto ANMIL 2018 ANMIL 2018
Dati Infortuni Rapporto ANMIL 2018 ANMIL 2018
Indice ragionato del Rapporto ANMIL 2018 ANMIL 2018
Rapporto ANIMIL 2018 Executive Summary ANMIL 2018
Sardegna - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018  
Sicilia - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Calabria - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018







 
 

 
Basilicata - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Puglia - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Campania - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Molise - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Abruzzo - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Lazio - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Marche - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Umbria - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Toscana - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Liguria - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Veneto - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Trentino A.A. - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Lombardia - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018
Piemonte - Dati su infortuni e incidenti mortali ANMIL 2018

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Valutazione rischio esposizione CEM apparecchiature a radiofrequenza

ID 6769 | | Visite: 5910 | Documenti Sicurezza Enti

Valutazione rischio esposizione CEM apparecchiature a radiofrequenza

Valutazione del rischio da esposizione a campi elettromagnetici emessi delle apparecchiature a radiofrequenza per uso estetico

ID 6769 | P.A.F. Rapporto 3/18 - 30.08.2018

Nel presente lavoro sono valutati i campi elettromagnetici a radiofrequenza emessi dalle apparecchiature per il riscaldamento a radiofrequenza per uso estetico di competenza dell’estetista - secondo quanto indicato dalla scheda 13b del DM 206 del 15 ottobre 2015.

Spesso è emersa una completa inconsapevolezza sia da parte delle operatrici che dei produttori e dei fornitori stessi sul rischio da esposizione a CEM emessi da tali apparati, che in genere producono livelli di campo disperso (soprattutto elettrico) tali da esporre l’estetista e coloro che si trovino nel locale adibito al trattamento a livelli superiori a quelli ammessi per la popolazione generale.

Ciò comporta che in genere l’accesso al locale ove è utilizzato l’apparato deve essere precluso ai soggetti con controindicazioni all’esposizione ai campi elettromagnetici.

Le attrezzature utilizzate in ambito estetico sono state soggette negli anni a continue innovazioni ed aggiornamenti, sulla spinta dell’aspirazione che le persone hanno da sempre manifestato di poter migliorare il proprio aspetto secondo i canoni estetici in voga. Con l’evoluzione tecnologica delle apparecchiature ad uso medico, sono state introdotte una serie di apparecchiature che, con modifiche minime, possono essere utilizzate anche per scopi estetici.

Una delle più recenti apparse nel settore è quella per il trattamento di calore tramite l’emissione di onde elettromagnetiche a radiofrequenza. Le attrezzature di competenza dell’estetista, che possono pertanto essere utilizzate presso centri estetici non avvalendosi di personale sanitario, sono normate dal D.M. 15 ottobre 2016 n. 206.

Il decreto contiene, per ogni tipologia di apparato utilizzabile dall’estetista, una scheda tecnica all’interno della quale sono specificate le caratteristiche tecniche e funzionali, le modalità di utilizzo e le controindicazioni della stessa. I trattamenti con radiofrequenza sono descritti nella scheda tecnica 13b, che fornisce indicazioni specifiche inerenti la tutela del soggetto sottoposto al trattamento.

Tali apparecchiature possono rappresentare sorgenti di campi elettromagnetici rilevanti da un punto di vista protezionistico per gli operatori e per i frequentatori del centro estetico, anche se non sottoposti al trattamento specifico. Il rischio derivante dall’esposizione ai CEM emessi da tali apparati deve pertanto essere opportunamente preso in esame.

Fonte: P.A.F.

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P.A.F. Rapporto 3/18 - 30.08.2018
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Doc. 10/01/2005 Coordinamento Interregionale

ID 6767 | | Visite: 4737 | Documenti Sicurezza Organi Istituzionali

Doc. 10/01/2005 del coordinamento interregionale

Decreto Ministeriale 15 luglio 2003 n. 388

Regolamento recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, in attuazione dell’ articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626 e s.m.i.
Primi indirizzi applicativi

Doc. 10/01/2005 del coordinamento interregionale

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 39283 | 30 Agosto 2018

ID 6754 | | Visite: 10958 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Scoppio nella fabbrica di vernici e morte di quattro operai

Valutazione dei rischi e obbligo di periodico aggiornamento del DVR

Penale Sent. Sez. 4 Num. 39283 Anno 2018

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 05/06/2018

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa in data 4 ottobre 2016, la Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, in data 16 dicembre 2012, ha rideterminato la pena inflitta agli imputati I.O.B., B.M., F.R. e B.D. in quella di anni due mesi tre di reclusione ciascuno ed all'imputato R.G. in quella di anni tre di reclusione.
I fatti oggetto del giudizio traggono origine dallo scoppio di un serbatoio (denominato B03) contenente azoto, avvenuto il 13 aprile 2003, collocato nella stabilimento industriale della soc. P.P.G. Industries Italia s.r.l. (denominata brevemente P.P.G.) di Caivano, in seguito al quale decedevano M.F.A.,DS.F., DC.V. (dipendenti della predetta società e addetti alla centrale termica) e M.G., tecnico manutentore della soc. Air Liquide Service (denominata brevemente A.L.).
Gli aspetti più significativi della complessa vicenda illustrati in sentenza, riguardanti le cause dello scoppio ed i profili di responsabilità ravvisati dai giudici di merito a carico degli imputati possono essere così riassunti.
L'incidente si verificava nell'impianto di produzione e stoccaggio di azoto della soc. Air Liquide che era ubicato in un'area recintata posta all'interno dello stabilimento della soc. P.P.G.
L'impianto forniva azoto che era immesso nel gasdotto della stabilimento P.P.G. dove era utilizzato per vari processi chimici ed era composto da un generatore di azoto denominato "AMSA/FLOXAL" che produceva azoto allo stato gassoso. L'azoto prodotto dal generatore confluiva nel serbatoio interessato dallo scoppio, costruito in acciaio e carbonio, destinato a contenere solo azoto gassoso. All'interno di tale serbatoio non confluiva solo l'azoto generato dall'apparecchiatura AMSA/FLOXAL ma anche altro azoto gassoso proveniente da due serbatoi criogenici che conservavano azoto liquido. Prima di essere immesso nel serbatoio B03, l'azoto liquido era sottoposto ad un processo di vaporizzazione in un apposito apparecchio (detto scambiatore o evaporatore) che produceva azoto gassoso di purezza maggiore di quello dell'AMSA-FLOXAL. Lo scambiatore era formato al suo interno da una serpentina nella quale era immesso l'azoto liquido che veniva riscaldato attraverso acqua. Altri elementi dell'impianto risultati significativi per la ricostruzione del fatto erano il regolatore di pressione "Tartarini" ed il suo by-pass. La valvola "Tartarini" aveva la funzione di regolare l'afflusso di azoto tra il vaporizzatore ed il serbatoio.
Quando la soc. P.P.G. richiedeva maggiore azoto nei suoi reparti, superiore alla portata massima del generatore AMSA\FLOXAL, si verificava un progressivo svuotamento del serbatoio-polmone, con il conseguente effetto di una riduzione della sua pressione. Alla maggiore richiesta di azoto si sopperiva con l'azoto proveniente dall'impianto criogenico attraverso il vaporizzatore. Quando la pressione del serbatoio-polmone si abbassava al di sotto del livello- bar prestabilito, si verificava l’apertura del riduttore di pressione Tartarini che consentiva l'afflusso di azoto gassoso dal vaporizzatore. Quando l’aumento di pressione nel serbatoio raggiungeva un determinato livello, la valvola Tartarini si chiudeva impedendo il passaggio di ulteriore azoto gassoso dall'evaporatore. Il regolatore di pressione Tartarini era dotato di un by pass, munito di valvola di intercettazione, che permetteva comunque il passaggio di azoto gassoso anche in caso di scollegamento del regolatore di pressione.
Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito in ordine alle cause dello scoppio, l'esplosione del serbatoio fu una conseguenza del ghiacciamento del vaporizzatore.
Sulla base degli elementi emersi nel corso della complessa istruttoria, confortati dalla consulenza del P.M., la Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha ritenuto che la causa dell'incidente dovesse essere ricercata nel cattivo funzionamento dell'evaporatore che era deputato a trasformare l'azoto liquido in gassoso. In ragione dell'eccessivo afflusso di azoto liquido nel vaporizzatore si verificò un progressivo ghiacciamento dell'evaporatore e della valvola "Tartarini" che determinò l'Ingresso di azoto liquido nel serbatoio, ad una temperatura stimata intorno a -160°/-170°. Il serbatoio B03 che era stato progettato per contenere materiale ad una temperatura non inferiore a -10 gradi, subì un cedimento strutturale dovuto al depositarsi sul fondo della sostanza liquida che si trovava ad una temperatura di molto inferiore a quella sopportabile per la struttura.
I giudici della cognizione hanno condiviso la impostazione accusatoria ed i profili di responsabilità descritti nelle imputazioni elevate a carico degli imputati, tutti esponenti di vertice della società Air Liquide e responsabili della unità tecnica operativa locale.
Alla luce delle emergenze processuali e sulla base degli apporti tecnici e scientifici ricavati dalla consulenza svolta dall'Ing. L.F. e dal Prof. P.C., consulenti nominati dal P.M., i giudici di merito hanno ritenuto che l'aspetto critico nella gestione della sicurezza da parte dei soggetti garanti, fosse da ricercare nella natura ibrida dell'impianto di produzione dell'azoto e nella mancanza di adeguati sistemi di allarme ed accorgimenti atti a segnalare ed impedire il passaggio dell'azoto liquido nel serbatoio-polmone. Ciò era risultato evidente anche in considerazione di precedenti episodi, richiamati nelle sentenze di merito, in occasione dei quali si era già verificato il ghiacciamento dell'evaporatore, della valvola Tartarini e di parte dello stesso serbatoio.
Tali episodi di "ghiacciamento" erano accaduti il 25 dicembre 1997 ed il 13 agosto 2002. In ordine al primo episodio, verificatosi quando già era installato il sistema Floxal, è stata raccolta in dibattimento la testimonianza di I.D., responsabile della manutenzione degli impianti della P.P.G., che ha dichiarato che il ghiacciamento era stato completo, avendo interessato l'evaporatore e tutto il sistema a valle. Era stata avvertita in tale occasione la soc. A.L. che aveva "suggerito" di usare acqua per riscaldare il blocco di ghiaccio che si era formato. Quanto all’episodio del 13 agosto del 2002, dal rapporto di intervento redatto da S.N., è emerso che si era verificato il ghiacciamento dell'evaporatore, della valvola Tartarini (trovata ghiacciata e aperta) ed anche di metà serbatoio B03. La causa del ghiacciamento era stata individuata nella mancanza di afflusso di acqua nel vaporizzatore.
Secondo i giudici di merito i predetti episodi avrebbero dovuto costituire per la società A.L. un grave e significativo campanello di allarme di una situazione di alto rischio che, tuttavia, non indusse ad adottare alcun intervento risolutivo.
2. In ordine alle singole posizioni ed ai profili di responsabilità individuati a carico di ciascun imputato, salvo quanto si dirà in modo particolareggiato in prosieguo, la Corte di merito ha posto in evidenza i seguenti aspetti.
Con riferimento ad I.O.B., Direttore Generale della soc. Air Liquide Italia a fare data dal 1999, la Corte territoriale, conformandosi alla decisione del primo giudice ha ritenuto di rilevante importanza ai fini della pronuncia di responsabilità dell'imputato la procura conferitagli in data 27 giugno 2001 allorquando, fermi restando i poteri inerenti alla carica di Direttore generale, gli erano stati attribuiti specifici compiti di vigilanza e di controllo in materia di sicurezza sul lavoro. Tale previsione, in assenza di deleghe conferite ad altri, avrebbe determinato il suo diretto coinvolgimento nei fatti, avendo egli assunto una posizione di garanzia che gli avrebbe imposto di sollecitare o disporre autonome verifiche sulla sicurezza dell'impianto.
Con riferimento alla posizione di R.G., la Corte stessa ha evidenziato come costui, in qualità di direttore e responsabile della struttura territoriale interessata dallo scoppio del serbatoio, godesse di ampia autonomia gestionale, anche in relazione ad aspetti relativi alla sicurezza degli impianti e prevenzionistici, essendogli state conferite espresse deleghe in materia (tra cui quella rilasciatagli in data 27 settembre 1995 che attribuiva al R.G., nell'ambito delle mansioni assegnategli, pieni poteri gestionali, autonomia finanziaria ed una delega in materia di sicurezza sul lavoro del tutto analoga a quella conferita al direttore di divisione). In qualità di datore di lavoro e responsabile dell'unità operativa di Napoli, relativamente all'impianto esistente presso la P.P.G. di Caivano, aveva redatto e sottoscritto in data 20\6\99, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, F.R., il documento di valutazione dei rischi, ai sensi dell'allora vigente art. 4 d.lgs 626\94, nell'ambito del quale il rischio scoppio per bassa temperatura veniva ritenuto "non credibile" e, pertanto, fortemente sottovalutato.
Ha rilevato la Corte territoriale che il R.G. si era astenuto dall'effettuare una qualunque attività di verifica, interlocuzione e controllo circa le esigenze manutentive insorte nell’impianto, trascurando in particolare di valutare le implicazioni delle frequenti interruzioni del sistema AMSA-FLOXAL, più volte verificatesi nel corso del funzionamento dell'impianto. Ha evidenziato altresì che il R.G. non si era attivato per interessare i vertici dell'azienda in ordine agli inconvenienti rilevati nell'impianto ed al disuso dell’unico elemento dì allarme di bassa temperatura collegato ad esso, oggetto di specifica segnalazione, risalente all'ottobre 2002, effettuata dal tecnico M.G., deceduto nel tragico evento.
Con riferimento alla posizione di F.R. e B.D. la Corte di merito ha evidenziato come costoro, in qualità di tecnici responsabili dell'unità operativa, essendo referenti diretti dei rapporti di manutenzione ed organizzatori delle attività che riguardavano gli interventi tecnici da operarsi sull'impianto per mantenerlo in condizione di efficienza, avrebbero dovuto segnalare ai superiori le caratteristiche degli interventi che venivano eseguiti sull'impianto, onde consentire un adeguato monitoraggio del suo funzionamento, tanto più che erano emerse ripetute necessità di taratura della valvola e blocchi frequenti del sistema AMSA FLOXAL, durati anche molte ore.
Quanto alla posizione di B.M., quale Direttore dell'Attività Gas e Servizi della Soc. A.L. Italia srl, si evidenzia in sentenza che il predetto aveva sottoscritto la "Convenzione di fornitura per azoto floxal" stipulata tra la A.L. e la P.P.G. il 10 maggio 1996. Tale convenzione prevedeva la duplice modalità di produzione dell'azoto, destinato a confluire nel medesimo serbatoio-polmone, il quale tuttavia era strutturalmente inidoneo a sopportare temperature inferiori ad una determinata soglia, poiché realizzato in acciaio al carbonio e non in acciaio inossidabile. L'affermazione di responsabilità pronunciata a suo carico è stata ricondotta alla posizione di garanzia derivante dalla delega allo stesso conferita in data 24 giugno 1994, in ragione della quale, le unità operative locali, tra cui quella di Napoli, rispondevano al predetto. Tale delega prevedeva in capo al B.M. anche poteri di controllo in materia di sicurezza. 
3. Avverso la sentenza di condanna hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.
Gli imputati , direttore generale della Soc. Air Liquide Italia s.r.l., e B.D., responsabile tecnico dell'unità operativa di Napoli della medesima società, hanno proposto separati ricorsi nei quali tuttavia sono contenuti motivi di doglianza comuni. Tali motivi possono essere riassunti come segue.
3.1 Con il primo motivo di ricorso, la difesa deduce la indeterminatezza del capo di imputazione evidenziando violazione di legge per inosservanza dell'art. 429, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., tempestivamente eccepita innanzi al giudice di primo grado che l'aveva rigettata e riproposta innanzi alla Corte d'appello.
Si legge nell'atto di ricorso che il capo A) della imputazione del decreto di citazione a giudizio per il quale è stata confermata la pronuncia di condanna di primo grado a carico di entrambi i ricorrenti, vedeva originariamente imputati 14 soggetti "ciascuno nella rispettiva qualità sopra indicata". Tali qualità, tuttavia, non erano specificate, per cui non era possibile evincersi quali cariche o mansioni avessero ricoperto e svolto. Tale omissione appare particolarmente grave e pregiudizievole per i diritti della difesa, considerato che neppure una lettura complessiva delle imputazioni consente di comprendere, secondo la prospettazione difensiva, a quale titolo le numerose violazioni delle norme antinfortunìstiche, indistintamente contestate a tutti gli imputati, siano riferibili a ciascuno.
La Corte d'appello aveva ritenuto di superare l'eccezione affermando che si trattava di qualità ben note a ciascun imputato, anche in relazione alla durata della carica. Quanto poi ai profili di colpa, gli stessi sarebbero stati portati a conoscenza dei ricorrenti in quanto, ciò che rileva ai fini dell'esercizio del diritto di difesa è che l'imputato sia stato posto in condizione di conoscere tutti gli estremi dei comportamenti colposi evincibili dagli atti processuali.
Tale motivazione, secondo la difesa, sarebbe del tutto illogica e sarebbe stata assunta in violazione di legge. Non è sostenibile, si legge nei ricorsi, che la conoscenza delle proprie qualità e funzioni aziendali da parte degli imputati, sopperisca al criterio normativo della enunciazione in forma chiara e precisa del capo di imputazione. La indicazione del fatto contestato e delle qualità personali dell'imputato, è atto che compete all'Accusa e che deve essere adeguatamente esplicitato, non potendo pretendersi che alla sua mancanza debba supplire lo stesso imputato.
La Corte d'appello ricorrerebbe ad un fallace criterio di risoluzione della questione, affermando che si versa in un caso di errore materiale, poiché le qualità degli imputati erano riportate nella richiesta di rinvio a giudizio e non erano state trascritte nel decreto che dispone il giudizio. A tale errore avrebbe posto rimedio il P.M., facendo legittimamente ricorso all'art. 516 cod. proc. pen.
Ebbene, secondo la difesa, tale assunto non sarebbe condivisibile: il tentativo di sanare il decreto di citazione nullo attraverso l'espediente della modifica integrativa del capo di imputazione oltre a configurarsi come atto abnorme, rivelerebbe la incompletezza originaria del decreto di citazione a giudizio. Innanzi a tale incompletezza, il giudice, in ossequio all'art. 429, comma 2, cod. proc. pen., avrebbe dovuto restituire gli atti al giudice dell'udienza preliminare applicando la disciplina dettata dagli artt. 177 e seguenti cod. proc. pen.
Con riferimento all'art. 516 cod. proc. pen., ricorda la difesa, la Corte di cassazione, con sentenza n. 23832 del 12/5/2016, ha escluso che davanti al giudice del dibattimento possa trovare applcazione tale disciplina in presenza di una eccezione riguardante la indeterminatezza del capo di imputazione, sanzionata con la nullità dall'art. 429 comma 2, cod. proc. pen.
Si fa poi osservare, con particolare riferimento alla posizione di B.D. che, anche a seguito della modifica dell'imputazione avvenuta ad opera del P.M. ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen., permane la condizione di indeterminatezza del capo di imputazione, non essendo stato precisato l'ambito temporale nel quale il B.D. avrebbe rivestito la posizione aziendale oggetto di contestazione.
3.2 Con il secondo motivo, la difesa deduce vizio motivazionale, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità delle argomentazioni poste a sostegno della ricostruzione dell'incidente occorso.
Secondo la prospettazione difensiva lo scoppio del serbatoio si sarebbe verificato non a causa di un malfunzionamento del vaporizzatore V 1000, come si legge nel capo di imputazione, ma a causa di una utilizzazione del vaporizzatore al di sopra delle sue capacità di riscaldamento, avvenuta attraverso un consumo eccessivo e del tutto straordinario dell'azoto proveniente dalla linea criogenica, da parte della società P.P.G.
Tale elevatissimo consumo avvenne attraverso la manomissione della valvola Tartarini con apertura del by pass di cui la valvola era dotata. L'intervento modificò radicalmente l'impostazione di funzionamento dell'impianto vanificando le misure di prevenzione e protezione che erano state adottate da parte dei responsabili dell'azienda. 
Tali aspetti, mal valutati dai giudici di merito, avrebbero avuto, secondo la prospettazione difensiva, una incidenza determinante sul legame causale tra le condotte contestate nel capo di imputazione e l'evento per cui è processo.
Sul punto, la Corte d'appello avrebbe espresso una motivazione insoddisfacente, escludendo l'ipotesi della manomissione sulla base della semplice considerazione che essa sarebbe "contraria ad ogni logica" e sottraendosi all'applicazione di un adeguato giudizio controfattuale.
I giudici di merito, in modo illogico ed arbitrario, avrebbero eliminato le specifiche cause prospettate dalla difesa nella ricostruzione del determinismo dell'evento, rendendo viziata ab origine la costruzione di tutto il ragionamento seguito.
Nel dettaglio, avrebbero trascurato di considerare che il Comandante dei Vigili del Fuoco, incaricato della messa in sicurezza dell'impianto, aveva riferito che non era stata riscontrata alcuna avaria del vaporizzatore (l'impianto, una volta scongelato, aveva ripreso a funzionare senza alcun intervento di riparazione) e che, dopo l'incidente il riduttore di pressione era stato ritrovato con i bulloni di serraggio allentati, tanto da potere essere ruotati senza l'ausilio di alcuna attrezzatura.
Di qui la conseguenza logica di un intervento umano volontario diretto a manomettere l'impianto.
3.3 Con il terzo motivo la difesa deduce la inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 40, comma primo e 41, comma secondo, cod. pen. poiché la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione, nella ricostruzione causale dell'evento, le manomissioni intervenute sull'impianto incidentato. La difesa rileva che le argomentazioni riportate alle pagine 78-81 della sentenza impugnata riprendono il ragionamento seguito dal giudice di primo grado, richiamando massime della giurisprudenza di legittimità in base alle quali il giudice non sarebbe tenuto, nell'accertamento del nesso di derivazione causale, a dare conto delle fasi intermedie attraverso le quali la causa abbia prodotto il suo effetto.
Tali argomentazioni, rileva la difesa, per essere valide, dovrebbero avere come premessa logica indispensabile, la prova certa della esclusione della ipotesi di un intervento di manomissione dell'impianto. Diversamente, il Tribunale e la Corte d'appello applicherebbero un giudizio controfattuale erroneo, perché falsato dalla selezione di antecedenti non corretti. Ammettendo che sia intervenuta la sregolazione volontaria della valvola Tartarini e l'apertura volontaria del by pass, la valutazione dell'efficienza causale delle condotte dei ricorrenti rispetto al tragico evento avrebbe dovuto sortire un altro esito logico: l'accertata presenza di interventi manomissivi sull'impianto costituirebbe una causa idonea ad interrompere il nesso causale tra la mancata adozione dei rimedi e degli accorgimenti imputati ai ricorrenti e l'evento verificatosi.
3.4 Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano inosservanza ed erronea applicazione deil'art. 43 cod. pen.
La Corte di appello afferma che l'evento si sarebbe potuto evitare ove si fosse provveduto ad adottare determinate misure tese a prevenire il rischio delle basse temperature. Anche in questo caso, ove si ritenga di non escludere la ipotesi della manomissione, il ragionamento seguito dal giudice diverrebbe non sostenibile. La manomissione, invero, sarebbe un evento del tutto imprevedibile e connotato da un carattere di assoluta straordinarietà.
3.5 Con il quinto motivo la difesa di I.O.B. deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, trattando della posizione di garanzia del ricorrente, afferma la sua responsabilità sul presupposto di un'assenza di delega di funzioni da parte dello stesso, delega che invece sarebbe esistita.
Il ragionamento seguito dalla Corte sarebbe incoerente in quanto, da un lato, richiama il dovere del ricorrente di organizzare ed assicurare la verifica delle macchine disponendo a tale fine i dovuti controlli preventivi, e, dall'altro, assume la omissione di tali controlli. Tali affermazioni sarebbero in contraddizione con quanto sostiene la stessa Corte territoriale nella parte in cui conferma la esistenza di presidi di funzionamento che assistevano il sistema in caso di carenza idrica elettrica e con riferimento alla mancata comunicazione delle unità operative di evenienze critiche dell'impianto: la mancata osservanza delle regole di comunicazione da parte dell'unità locale avrebbe di fatto reso inoperante la posizione di garanzia.
Quanto alla ritenuta inesistenza di deleghe di funzioni con riferimento alla sicurezza e alla vigilanza dell'impianto, la difesa del ricorrente I.O.B. rileva che dalla compiuta istruttoria era emerso che il ricorrente, subentrato a D.R. nella funzione di direttore generale, aveva constatato la preesistenza di deleghe in materia di prevenzione e sicurezza che aveva inteso fare proprie. 
3.6 Sesto motivo, comune ad entrambi i ricorrenti, riguarda il mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno. Sul punto la difesa evidenzia come la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto che il risarcimento sia stato posto in essere solo in favore dei congiunti della vittima M.G..
E' inoltre avversata la interpretazione secondo la quale non sarebbe riconoscibile l'attenuante del risarcimento perché l'esborso delle somme non avvenne ad opera dei ricorrenti ma della società assicuratrice. Tale interpretazione si porrebbe in contrasto con gli insegnamenti delle Sezioni Unite (sent. n. 5941/2009).
Da ultimo, i due ricorrenti, in data 18/5/2018, depositavano memorie difensive nelle quali si richiamavano ai principali motivi di ricorso, riepilogandoli.
4. In favore di F.R., nella qualità di responsabile tecnico dell'unità operativa e R.S.P.P. sono state dedotte censure che possono riassumersi come segue.
4.1 Nel primo motivo di ricorso, la difesa dopo avere premesso che il profilo di responsabilità ravvisato a carico del ricorrente si è sostanziato nella circostanza che il F.R. non comunicò alla dirigenza le situazioni di rischio nell'impianto di Caivano in qualità di R.S.P.P., evidenzia come la Corte territoriale, nel definire la responsabilità del ricorrente, abbia fatto riferimento ad un ambito temporale (quello del giugno 1999, a cui risale il documento di valutazione rischi n.17), diverso rispetto a quello del capo di imputazione, che riguarda il periodo successivo al 14 febbraio 2000. Da qui deriverebbe un difetto di correlazione tra accusa e sentenza suscettibile di inficiare la decisione assunta dalla Corte territoriale.
4.2 Nel secondo motivo di ricorso la difesa lamenta un vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e della carenza motivazionale, rappresentando che il proprio assistito era rimasto del tutto estraneo ai due episodi citatati in sentenza occorsi nell'anno 1997 e 2002.
Fa osservare la difesa che i documenti di valutazione rischi acquisiti al fascicolo erano predisposti dalla Direzione rischi e non erano modificabili; la funzione di R.S.P.P. attribuita al responsabile era palesemente in contrasto con le disposizioni previste in materia di sicurezza dal D.lgs. 626/94 perché, di fatto, attribuivano al controllato il ruolo di controllore. 
La sentenza impugnata cadrebbe in errore nella parte in cui, sposando la tesi del primo giudice, assume che la Air Liquide aveva ritenuto il rischio scoppio per basse temperature non credibile e, soprattutto, dove afferma che tale aspetto era desumibile dal documento valutazione rischi del 20 giugno 1999, sottoscritto da Giuseppe R.G., nel quale era attribuita al F.R. la qualifica di R.S.P.P.
Tale conclusione sarebbe frutto di un acritico recepimento ad opera della Corte di appello di una deduzione errata e scollata dal dato documentale che invece attesterebbe il contrario.
Il rischio di scoppio era invece contemplato nel D.V.R., sebbene non specificamente collegato alle basse temperature.
4.3 Nel terzo motivo il ricorrente deduce la mancata assunzione di una prova decisiva. La difesa aveva chiesto di acquisire presso gli uffici della Soc. Air Liquide documentazione utile per chiarire la posizione di garanzia del F.R., con particolare riferimento alla tipologia dell'incarico acquisito ed alla sua durata. La circostanza era rilevante avendo egli svolto le mansioni di R.S.P.P. per pochissimi mesi, antecedenti di oltre tre anni rispetto ai fatti per cui è processo. La Corte territoriale autorizzava l'acquisizione ma la documentazione non era reperita presso la Società, che manifestava di non potere dare corso alla richiesta della parte. La Corte d'appello, dopo avere mostrato interesse all'acquisizione di tale documentazione, all'udienza del 2/2/2016, acquisito il parere negativo del P.M., riteneva non necessaria tale documentazione per la decisione, rigettando la richiesta.
Tale passaggio, afferma la difesa, è frutto di una evidente contraddizione logica. Inoltre, nella motivazione, dove è approfondito l'argomento del rigetto non si cita il F.R. ma solo l'imputato R.G..
4.4 Quarto motivo: mancata assunzione di una prova decisiva. Con specifico motivo di appello la difesa aveva chiesto alla Corte territoriale di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale per conferire incarico di perizia sulle cause dello scoppio e sulla eventuale esistenza di interventi di manomissione dell'impianto. Sul punto la Corte d'appello non si era pronunciata.
4.5 Quinto motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 61, 62, 62-bis, 69 cod. pen.
La difesa si duole del mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. affermando che la motivazione espressa dalla Corte territoriale sul punto doveva ritenersi erronea, perché adottata in aperto contrasto con la decisione assunta dalla Corte Costituzionale (sent. N. 138/1998) che, sgombrando il campo da qualunque finalità rieducativa della norma, aveva affermato che l'attenuante prescinde dall'atteggiamento psicologico del reo e da ogni profilo volontaristico dell'imputato. Fa poi osservare che tale risarcimento aveva riguardato tutte le persone lese, come risultava dalle quietanze in atti.
Sempre con riferimento al trattamento sanzionatorio, la difesa si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza rispetto alle aggravanti affermando che la decisione del diniego è fondata su una motivazione del tutto inadeguata.
5. La difesa di R.G., ha avanzato motivi di ricorso del tutto analoghi a quelli proposti in favore di F.R..
5.1 Nel primo motivo lamenta carenza e contraddittorietà della motivazione risultante dagli atti del procedimento. La Corte d'appello, afferma la difesa, aveva ritenuto il R.G. responsabile di avere del tutto trascurato, in qualità di datore di lavoro, il rischio dello scoppio del serbatoio collegato alle basse temperature, evidenziando che nel documento di valutazione del rischio, redatto e sottoscritto in data 20.06.1999 dal ricorrente, tale rischio veniva ritenuto "non credibile".
L'assunto, secondo la difesa, sarebbe inesatto. I modelli di valutazione del rischio menzionati e acquisiti agli atti, erano documenti "standard", appositamente predisposti dalla Direzione Rìschi, che andavano compilati unicamente in talune parti (quali, ad esempio, quelle riguardanti il nominativo dei preposti locali), senza alcuna possibilità di essere modificati nei contenuti. Inoltre, rileva la difesa, alla scheda in questione non poteva attribuirsi il valore di un documento di valutazione dei rischi per l'impianto Floxal e per il gruppo serbatoio-vaporizzatore: sulla base della organizzazione aziendale la valutazione del rischio suddetto era al di fuori delle competenze e delle responsabilità delle funzioni incaricate a livello locale.
Sebbene nella scheda di valutazione del rischio n. 17 del 20 giugno 1999, non si faccia menzione di un rischio da "scoppio per basse temperature", tuttavia, afferma la difesa, l'evento oggetto del presente procedimento, era riconducibile ad uno scoppio determinato dalla pressione, causato dal cedimento della struttura del serbatoio per infragilimento da freddo. Lo "scoppio", contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, era tra i pericoli contemplati dal DVR con il massimo grado di valutazione. Per quanto riguarda invece il pericolo dovuto al "freddo", esso era previsto con riferimento alla possibilità che un operatore potesse venire in contatto con superfici, sostanze e atmosfere fredde. Tale ultimo pericolo era stato valutato di grado medio. Pertanto, il rischio richiamato dalla Corte territoriale ("scoppio per basse temperature"), benché non menzionato nella scheda di valutazione del 20/6/1999, poteva essere ricondotto alla concomitante presenza dei due rischi riportati nella scheda (alto rischio di scoppio dovuto alla pressione, medio rischio per il contatto con atmosfere fredde). Ne deriverebbe l'erroneità dell'assunto della Corte territoriale secondo il quale il rischio scoppio da basse temperature non era stato valutato dal ricorrente.
5.2 Nel secondo motivo di ricorso, analogamente a quanto evidenziato per il F.R., la difesa del R.G. si duole della mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale finalizzata all'acquisizione di documentazione esistente presso la società, idonea a meglio definire la posizione di garanzia dell'imputato. Con tale documentazione la difesa intendeva dimostrare che R.G., pur se responsabile di profili commerciali e dì sicurezza con riferimento alla produzione ordinaria dell'Air Liquide, era, invece, esente da responsabilità quanto al controllo ed alla vigilanza che riguardavano le produzioni e le applicazioni non standard, che ricadevano sotto l'esclusivo controllo della Divisione Floxal. Gli aspetti afferenti alla sicurezza dell'impianto di Caivano interessato dalla esplosione gli erano estranei, occupandosi R.G., per conto dell'Air Liquide, della sola parte commerciale: la parte progettuale, di impiantistica e di sicurezza era sotto la diretta responsabilità della Divisione Floxal che si avvaleva a tal fine di specialisti.
Evidenzia la difesa, come già sostenuto in favore di F.R. e con identiche argomentazioni, la contraddittorietà della decisione della Corte territoriale di rigettare la richiesta di acquisire d'ufficio la suddetta documentazione, dopo avere mostrato interesse ad essa, accordando alla difesa un rinvio per consentirne la produzione a cui non era stato possibile dare seguito, stante il rifiuto opposto dalla società al rilascio della copia degli atti.
5.3 Con il terzo motivo la difesa si duole della mancata assunzione di una prova decisiva, rappresentata dallo svolgimento di una perizia sulle cause dell'incidente, finalizzata all'approfondimento dell'aspetto riguardante eventuali interventi di manomissione sull'impianto. Deduce che la Corte territoriale non si era pronunciata su tale richiesta.
5.4 Con il quarto motivo lamenta violazione di legge per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza sulle contestate aggravanti e la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., sulla base di argomentazioni del tutto analoghe a quelle espresse nel ricorso in favore di F.R.. 
6. La difesa di B.M., Direttore dell'attività Gas e servizi della A.L. Italia e firmatario della stipula della convenzione con la soc. P.P.G., articola i seguenti motivi di ricorso.
6.1 Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione, deducendo la contraddittorietà della motivazione assunta dalla Corte territoriale che fonda la responsabilità del ricorrente sulla mancata considerazione dei rischi derivanti dalle possibili interferenze tra i due tipi di produzioni di azoto e sull’assenza di un progetto dell'impianto idoneo ad eliminare ogni forma di pericolo collegata al funzionamento ibrido.
Il giudice, attraverso ampi richiami alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, ritiene che il B.M., nel momento in cui sottoscrisse la convenzione in rappresentanza della Air Liquide Italia s.r.L, nel maggio 1996, non si assicurò che il progetto dell’impianto escludesse il rischio che l’azoto liquido confluisse nel serbatoio provocandone il cedimento. L'assunto dei giudici di merito, secondo la difesa, si fonderebbe su un ragionamento fallace. In sentenza si afferma che, poiché il serbatoio dell'impianto non aveva resistito alle basse temperature dell'azoto liquido, il B.M. avrebbe dovuto provvedere, al momento della stipula della convenzione (o almeno fino a quando egli non rassegnò le dimissioni), affinchè il serbatoio avesse caratteristiche di resistenza adeguate alla evenienza di una immissione di azoto liquido al suo interno. A tal riguardo la difesa rileva che è la stessa sentenza impugnata a prendere atto dell'esistenza di altri tre impianti analoghi in Campania che prevedono un serbatoio polmone solo per l'azoto autoprodotto proveniente dall'impianto Amsa, mentre per quello gasificato è prevista la diretta immissione nella rete di distribuzione dell'utente (come previsto dallo schema semplificato e nell’elaborato di progetto alternativo presente sul sito internet della società).
La circostanza dimostrerebbe che si potevano realizzare impianti sicuri senza necessariamente utilizzare un serbatoio polmone resistente alle basse temperature dell'azoto liquido e che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, la fase della realizzazione degli impianti utilizzati dalla A.L. Italia era determinante per escludere concretamente la confluenza dell'azoto liquido nel serbatoio polmone.
Nel ricorso, si evidenziano poi ulteriori aspetti asseritamente mal interpretati dalla Corte territoriale, che possono sintetizzarsi come segue.
La difesa non ha mai voluto dimostrare che vi era differenza tra ciò che era stato progettato e ciò che fu realizzato. Ha invece sostenuto che progettazione ed installazione sono due fasi ontologicamente diverse. Nel caso in esame si era progettato di fare convivere due diversi sistemi di forniture di azoto gassoso, ma la loro "convivenza" poteva essere resa sicura solo nel momento della fase della realizzazione dell'opera da parte di coloro che erano preposti a questa attività e non all'atto della stipula della convenzione di fornitura.
Anche valutando la questione sotto il profilo della diligenza dovuta (e quindi comprendendo anche la previsione dell’art. 2087 cod.civ.), risulterebbe errato affermare che, per escludere ogni rischio, si sarebbe dovuto prevedere l’utilizzazione di un serbatoio resistente alla temperatura dell’azoto liquido perché, in tal modo, si dovrebbero ritenere fuori norma anche gli altri tre impianti della Soc. A.L.
6.2 Secondo motivo: violazione dell'art. 16 d.lgs. 81/2008 e dei suoi principi applicativi. Contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza di un obbligo di garanzia in ragione della delega ricevuta dal ricorrente.
La Corte territoriale, afferma la difesa, fa discendere la responsabilità del B.M., nella sua qualità di Direttore dell'azienda A.L., dalla delega conferitagli in data 24/6/1994 in ragione della quale le 18 Unità Operative locali, tra cui quella di Napoli, rispondevano al ricorrente. Tuttavia, osserva la difesa, quando l’impianto fu installato, l’imputato non era più dirigente della società Air Liquide Italia, avendo lasciato tale incarico in data 17/2/1997. Pertanto, egli si trovava nella impossibilità oggettiva di svolgere la funzione (delegata) di ricevere le risposte e le segnalazioni da parte delle Unità operative. In ordine al contenuto delle delega la Corte territoriale, dopo aver descritto la struttura organizzativa della società, evidenzia che B.M. aveva ricevuto un'ampia delega in materia di sicurezza dovendo egli "controllare e provvedere affinchè tutte le normative in materia di sicurezza ... siano rigorosamente rispettate e così tra l'altro la rispondenza degli impianti e segnalazioni antinfortunistiche alle norme vigenti e alle regole della buona tecnica: provvedere direttamente all’acquisto dei dispositivi antinfortunistici... o comunque segnalare la loro necessità agli organi preposti ... organizzare e promuovere la massima informazione dei lavoratori in ordine alle norme di sicurezza e ... agii eventuali rischi connessi alla lavorazione cui possono essere esposti ... sviluppare ogni azione inerente alle previdenze antinfortunistiche nell'ambito delle unità'". Tuttavia, evidenzia la difesa, si tratta di attività intrinsecamente collegate alla preesistenza di un impianto ed alla sua messa in funzione. Il B.M., che aveva dato le dimissioni nel febbraio 1997, allorquando l'impianto non era stato ancora realizzato, non avrebbe potuto attuare le direttive presenti nella delega in materia di sicurezza, diversamente dal R.G. (Datore di lavoro e responsabile dell'U.O. di Caivano) che, all'epoca dei fatti, era destinatario di una delega del tutto analoga a quella di B.M. ed in grado di esercitare effettivamente i poteri che gli erano stati attribuiti in materia di sicurezza. 
6.3 Terzo motivo: violazione dell'art. 43 cod. pen. e motivazione contraddittoria in ordine alla prevedibilità dell'evento. Il giudice d'appello sostiene che i precedenti episodi di ghiacciamento del vaporizzatore avrebbero dimostrato che questo non fosse in grado di riscaldare adeguatamente l'azoto liquido. Tale assunto, secondo la difesa, si pone in evidente contrasto con la situazione di fatto, posto che il B.M. era uscito dalla società ben prima che si verificassero i precedenti evocati in sentenza. Dunque, per il ricorrente, essi non possono rappresentare un presupposto della prevedibilità dell'evento.

Considerato in diritto

1. I motivi di doglianza proposti nell'interesse di R.G., F.R. e B.D. risultano infondati: i rispettivi ricorsi devono essere pertanto rigettati.
Diversa valutazione va fatta invece con riferimento alle posizioni di I.O.B. e B.M. per i quali si impone, per le ragioni che saranno di seguito illustrate, l'annullamento della impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per nuovo esame.
Prima di andare oltre nella disamina dei motivi di impugnazione proposti da ciascun ricorrente, occorre rilevare come la Corte territoriale abbia offerto una ricostruzione logica dei fatti e delle cause dello scoppio del serbatoio, ampiamente supportata dai dati tecnici e scientifici ricavati dalla consulenza espletata in fase di indagini dai consulenti nominati dal P.M., professori L.F. e P.C., rendendo ampia e convincente motivazione dell'affidabilità dell'esito di tale elaborato.
E' piuttosto evidente come tale aspetto, su cui si appuntano le critiche difensive di taluni ricorrenti, in particolare degli imputati I.O.B. e B.D., costituisca la necessaria premessa logica di ogni successivo sviluppo argomentativo riguardante la individuazione delle condotte colpose degli imputati ed il nesso di causalità con l'evento verificatosi.
Appare quindi opportuno nella disamina del fatto e nella scansione della trattazione dei motivi di impugnazione, prendere le mosse dall'esame dei ricorsi di I.O.B. e B.D., che richiamano l'attenzione di questa Corte su possibili alternative cause dello scoppio, da individuarsi, secondo le prospettazioni difensive, in una manomissione della valvola di chiusura che consentiva l'accesso dell'azoto liquido proveniente dall'impianto criogenico al serbatoio interessato dallo scoppio.
2. Come si è detto in precedenza i ricorrenti I.O.B. e B.D. sostengono, con motivi di ricorso del tutto speculari (illustrati nel motivo secondo dei rispettivi atti di impugnazione), che la causa dello scoppio del serbatoio non andrebbe individuata nel cattivo funzionamento del vaporizzatore V1000 ma nella manomissione del riduttore di pressione Tartarini e nell'apertura volontaria del by pass di cui lo stesso era dotato.
Ebbene, tale evenienza è stata considerata dalla Corte territoriale ed esclusa con una motivazione precisa e coerente sul piano logico, del tutto immune dai vizi denunciati dalla difesa. Nella sentenza si afferma che non si individuano ragioni giustificative di tale manomissione e che la ipotesi prospettata dalla difesa secondo la quale si sarebbe verificata una improvvisa impennata dei consumi di azoto da parte della società servente P.P.G., nella notte dell'incidente, sarebbe risolutamente da escludersi. Fa notare sul punto la Corte territoriale che lo scoppio è avvenuto nella notte tra il sabato e la domenica, allorquando i reparti della soc. P.P.G. che usufruivano dell'azoto erano tutti chiusi, ad eccezione di quello che si occupava della produzione delle resine. Era quindi da escludersi la ipotesi ventilata dalla difesa di un incremento improvviso del fabbisogno di azoto da parte della società P.P.G. e di una manomissione volontaria della valvola finalizzata evidentemente a consentire maggiore afflusso di azoto nel serbatoio.
Ad ogni modo la Corte territoriale correttamente evidenzia come l'impianto versasse in una condizione di alto rischio, essendo del tutto sfornito di idonei presidi di sicurezza atti a rilevare e segnalare l'ingresso di azoto liquido nel serbatoio. Quindi, anche a volere ammettere la ipotesi della manomissione sostenuta dalla difesa, se fossero stati adottati tali presidi di rilevamento e di allarme, ci sarebbe stata la possibilità di intervenire tempestivamente e di scongiurare l'evento dello scoppio.
In proposito, particolarmente degne di nota appaiono le considerazioni svolte dalla Corte territoriale a pagina 79 della sentenza impugnata, in cui si legge: "L'impianto è risultato privo: - di un sistema di blocco di prelievo di azoto liquido dai serbatoi criogenici, in caso di malfunzionamento dei vaporizzatore idrico; - di una valvola di regolazione sulla mandata dello scambiatore, volta ad impedire che lo scambiatore fosse utilizzato ai di sopra delle sue prestazioni; - di componenti di sicurezza che, nell'eventualità di un malfunzionamento dello scambiatore, impedissero all'azoto liquido di arrivare al regolatore di pressione Tartarini; - di un efficiente ed adeguato sistema di allarme di bassa temperatura , laddove non appare insignificante che un siffatto allarme, così ammettendo di fatto un rischio da basse temperature, fosse stato predisposto sebbene poi scollegato; - della installazione di un serbatoio-polmone costruito con materiale inidoneo, in assenza di una progettazione volta a contrastare il verificarsi di eventi di rischio per bassa temperatura, dovuto ad un possibile passaggio di azoto freddo dall'evaporatore, nemmeno munito, come si é detto, di un termostato di blocco. Si rammenti a tale ultimo proposito quanto evidenziato in sentenza, cui si fa integrale richiamo, in ordine alla omessa redazione della relazione tecnica prescritta dell'art. 9 del D.M. 21\5\1974 . Si rammenti altresì che i consulenti del P.M. hanno evidenziato che gli altri tre impianti della AL in Campania che usano il sistema Floxal prevedono un serbatoio-polmone solo per l'azoto autoprodotto proveniente dall'impianto Amsa mentre quello gasificato confluisce direttamente sulla rete di distribuzione dell'utente, come peraltro previsto nello schema semplificato e nell’elaborato del "progetto" alternativo presente sul sito internet della società; dopo l'incidente é stato realizzato presso l'impianto di Caivano un sistema di allarme sulla temperatura della linea di azoto (-10° e - 20°) che allerta il personale di portineria, in sostanza riattivando quanto in precedenza predisposto ma non mantenuto in efficienza".
Tale ragionamento, ineccepibile sul piano logico, perché agganciato a dati concreti non smentiti da diverse acquisizioni e frutto di considerazioni del tutto adeguate, non contraddittorie, nè incoerenti, supera ampiamente le critiche difensive che si muovono su un piano ipotetico e di esclusivo merito: nella sostanza, la difesa ripropone una diversa ricostruzione del fatto in ordine alla quale, in assenza di evidenti aporie logiche della Corte d'appello, non è consentito nella sede di legittimità esercitare alcuna forma di rivisitazione. Come è noto, le Sezioni Unite di questa Corte, hanno precisato che esula dai poteri del giudice dì legittimità quello di operare una "rilettura" degli elementi dì fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945). La Corte regolatrice ha evidenziato che anche dopo la modifica dell'art.606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo precluso, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181).
Data la validità del ragionamento seguito dal giudice in premessa sull'origine della esplosione, tutte le successive censure difensive riguardanti la valutazione del nesso causale effettuata dalla Corte territoriale e la non prevedibilità dell'evento devono ritenersi infondate (motivi terzo e quarto dei rispettivi ricorsi di I.O.B. e B.D.).
Come accertato in sede di merito, la causa dello scoppio era da ravvisarsi nel ghiacciamento della valvola Tartarini e le evidenti criticità dell'impianto erano da individuarsi: nella esistenza di un sistema ibrido di produzione dell'azoto non munito di adeguati sistemi atti ad impedire l'ingresso dell'azoto liquido nel serbatoio; nel materiale con cui era stato realizzato il serbatoio inidoneo a sopportare temperature inferiori a -10 gradi; nella mancata adozione di sistemi di allarme in grado di rivelare il passaggio di azoto liquido nel serbatoio. Orbene, muovendo da tali presupposti fattuali, ogni ulteriore conseguente concatenazione logica del pensiero espresso dalla Corte territoriale in tema di nesso causale, appare sorretta da valutazioni adeguate e coerenti.
Il ragionamento esplicativo, correttamente attuato, ha consentito la elaborazione di un affidabile giudizio controfattuale: la previsione degli accorgimenti e dei sistemi di sicurezza indicati dalla Corte territoriale avrebbe certamente evitato l'evento dello scoppio del serbatoio, anche in caso di volontaria manomissione dell'impianto perché avrebbe consentito un tempestivo intervento di blocco dell'afflusso di azoto liquido nel serbatoio.
La prevedibilità in concreto dell'evento risulta opportunamente sottolineata in sentenza attraverso il richiamo ad altri episodi analoghi avvenuti prima dello scoppio del serbatoio, che avevano riguardato sempre il ghiacciamento della valvola Tartarini e del by pass collegato alla valvola, stadio prodromico all'afflusso di azoto liquido nel serbatoio B03.
Alla luce di tali elementi, riportati in sentenza in maniera coerente e logica, possono dirsi rispettati I principi stabiliti in materia di causalità dalla giurisprudenza di legittimità, espressi nella sentenza delle Sezioni Unite, Franzese (Sez. U. n. 30328 del 10.7.2002, Rv. 222138) e, più recentemente, nella sentenza sul caso Thyssenkrupp, secondo cui nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. Un. n. 38343 del 24.4.2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103). Ancorata a dati concreti, la rilevazione del rapporto di causalità consente di evitare generalizzazioni frutto di ragionamenti puramente deduttivi, che si fondano esclusivamente sulla nozione di elevata probabilità logica, suscettibili, come si legge nella sentenza Espenhahn, di rimanere altamente incerti quanto al carattere salvifico delle condotte mancate.
Nel caso in esame l'analisi puntuale delle peculiari circostanze di fatto nelle quali si è prodotto l'evento ha consentito alla Corte territoriale di pervenire ad un esatto inquadramento della vicenda anche sotto il profilo dell'elemento causale.
Occorre pertanto concludere sul punto affermando che la linea difensiva secondo la quale la causa dello scoppio sarebbe imputabile ad una manomissione dell'impianto, è circostanza non riscontrata e non plausibile sul piano logico e che, se anche si volesse accedere a tale ipotesi, sarebbero parimenti riconducibili alle omissioni individuate dalla Corte territoriale le ragioni dello scoppio e del decesso degli operai.
Quanto alla preferenza accordata agli esiti della consulenza disposta dal P.M. in fase di indagini, in linea generale, deve precisarsi che, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d'ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti quella che ritiene maggiormente attendibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta, nonché, del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti. Corollario necessitato di questo principio - largamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità - è quello in base al quale, ove la valutazione del giudice di merito sia effettuata in modo congruo, è inibito alla Corte regolatrice dì procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto e, come tale insindacabile in sede di legittimità (cfr. ex multis Sez. 4 n. 8527 del 13/02/2015, Rv. 263435; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Rv. 253512).
Si è altresì affermato che, qualora il giudice indichi esaurientemente le ragioni del proprio convincimento, non è tenuto a rispondere in motivazione a tutti rilievi del consulente tecnico della difesa, in quanto questi ultimi costituiscono soltanto un contributo tecnico a sostegno della parte e non un mezzo di prova che il giudice deve necessariamente prendere in esame in modo autonomo (così Sez. 5, n. 42821 del 19/06/2014, Rv. 262111). Ne deriva che la sentenza non è censurabile in sede di legittimità per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (così Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Rv. 256340).
Comune ai due ricorrenti è, altresì, la doglianza riguardante la indeterminatezza del capo di imputazione (motivo primo di entrambi i ricorsi).
L'apparato argomentativo che supporta la doglianza è infondato quanto alla lesione del diritto di difesa, e la risposta fornita ai ricorrenti dalla Corte territoriale appare congrua ed in linea con i principi espressi in sede di legittimità. Come osservato dal giudice di merito, le qualifiche attribuite ai ricorrenti, presenti nella richiesta di rinvio a giudizio, non erano state riportate nel decreto di citazione a giudizio. Ebbene, è del tutto evidente che trattasi di lacuna riconducibile ad un mero errore di trascrizione, tale da non determinare alcuna menomazione del diritto di difesa: gli imputati, invero, erano ben al corrente di tale parte della imputazione, inserita nella richiesta di rinvio a giudizio.
Peraltro, come sostenuto condivisibilmente dalla Corte territoriale, la indicazione di tali qualifiche era un elemento non essenziale ab origine, essendo descritte nella imputazione in modo analitico le condotte contestate ed essendo note agli imputati le mansioni svolte all'Interno dell'azienda. La questione induce a soffermarsi sulla nozione della completezza del capo di imputazione e sui criteri elaborati in materia da questa Corte.
Tradizionalmente si afferma che il decreto di citazione a giudizio è nullo per incertezza assoluta del fatto oggetto dell'Imputazione soltanto quando l'imputato non sia stato posto in grado di intendere i termini concreti dell'accusa e di predisporre un'adeguata difesa (Sez. 1, n. 966 dei 19/02/1986, Rv. 172665). Secondo l’univoca interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, per "fatto contestato" si intende il complesso degli elementi di fatto portati a conoscenza dell'imputato nel corso del processo, sui quali egli è chiamato a difendersi e che risultano dagli atti facenti parte dell'Incarto processuale. Come affermato in un risalente, ma tuttora valido arresto di questa Corte, «la nullità prevista per il caso in cui vi sia incertezza assoluta "sui fatti che determinano l’imputazione" non è configurabile allorché questa, anche se formulata in termini concisi e senza dettagliata enunciazione dei dati di accusa, sia idonea a rappresentare l'oggetto della incolpazione in relazione alle risultanze del processo, conosciute o conoscibili dall'imputato, e rispetto alla quale egli si sia difeso o sia stato posto nella condizione di difendersi» (Sez. 3, n. 5778 del 10/04/1985 - dep. 13/06/1985, Gonnelli, Rv. 169740). Tale principio è pienamente in linea con le più recenti decisioni di questa Corte in materia che - sia pure in relazione al diverso profilo della mancata enunciazione nel decreto che dispone il rinvio a giudizio dell'ambito spaziale e temporale delle condotte e degli elementi specificatori dell'oggetto materiale del reato - affermano che l'omissione è improduttiva di conseguenze giuridiche quando dagli altri elementi enunciati e, dai richiami contenuti nel decreto ed eventualmente anche in altri provvedimenti, risultino chiari i profili fondamentali del "fatto" per il quale il giudizio è stato disposto (Sez. 1, n. 20628 del 12/02/2008, Pietroleonardo, Rv. 239986; Sez. 3, n. 42537 del 21/05/2014, Caputo, Rv. 261147). 
A ciò deve aggiungersi che nelle contestazioni riguardanti i reati colposi, più elastica deve intendersi la nozione di indeterminatezza o genericità della imputazione, ben potendo il giudice, in relazione a condotte riconducibili a tale categoria, come avvenuto nel caso in esame, ravvisare profili di colpa diversi rispetto a quelli contenuti nel capo di imputazione, senza che ciò si traduca nella equazione di una mancata corrispondenza tra accusa e sentenza (ex multis Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Rv. 260161).
La ratio di tale interpretazione, si legge nella motivazione della sentenza da ultimo citata, va ricercata nella natura stessa dei reati colposi, specie di quelli omissivi, nei quali la condotta colposa «può essere identificata solo attraverso la Integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un continuo trascorrere dal primo al secondo e viceversa».
Inquadrata nei predetti termini la questione posta dalla difesa, deve ritenersi, conformemente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, del tutto inconferente il richiamo operato negli atti d'impugnazione all'art. 429, comma 2, cod. proc. pen., non ricorrendo la ipotesi della indeterminatezza del capo di imputazione.
La difesa sostiene altresì che nel caso in esame si sarebbe fatto un uso illegittimo dell'art. 516 cod. proc. pen., avendo il giudice di primo grado consentito al P.M. di precisare nel corso del dibattimento la qualifica posseduta da ciascun imputato ed il periodo temporale in cui i ricorrenti avevano rivestito le loro mansioni, pure in presenza di una eccezione di nullità del decreto che dispone il giudizio per genericità del capo di imputazione, che avrebbe imposto la regressione degli atti del processo.
L'assunto difensivo è infondato in quanto, come si è detto in precedenza, il capo di imputazione non risulta affetto da genericità.
Quanto all'art. 516 cod. proc. pen. è noto che, in base alla suddetta norma, è consentito al P.M. di provvedere alla modifica della imputazione "Se nel corso dell’istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio".
Ebbene, come già evidenziato dalla Corte territoriale, è da escludersi che nel caso in esame si sia proceduto alla contestazione di un fatto diverso, avendo il P.M. provveduto ad effettuare mere precisazioni che risultavano essere estrinsecazione di elementi già presenti in atti. L'avere adoperato a questo fine la modalità prevista dall'art. 516 cod. proc. pen. non ha dato luogo ad un atto abnorme e non è censurabile sul piano della correttezza processuale.
3. Con particolare riferimento al ricorrente I.O.B. la motivazione della sentenza impugnata, come argomentato dalla difesa nel quinto motivo di ricorso, soffre, invece, effettivamente di una crasi logica nello sviluppo del ragionamento che attiene alla individuazione dei profili di responsabilità che vengono addebitati al suddetto imputato.
Si legge nella sentenza impugnata che I.O.B., il quale rivestiva la qualifica di Direttore Generale dell'azienda, era stato investito dal consiglio di amministrazione, ai sensi del d.lgs. 626/94, di specifici compiti in materia di sicurezza e vigilanza.
In particolare, ricorda la Corte territoriale, nella procura rilasciatagli in data 27 giugno 2001, era previsto che l'I.O.B. dovesse occuparsi di "organizzare e assicurare la verifica delle macchine" in modo da garantire la loro costante conformità alle disposizioni di legge antinfortunistiche. Era altresì stabilito che il medesimo dovesse "organizzare la predisposizione delle misure di sicurezza previste dalla legge o rese necessarie dalla natura o dall'andamento delle lavorazioni".
Ebbene la Corte territoriale, pur attribuendo al ricorrente una responsabilità omissiva che si è estrinsecata nella mancata attivazione dei suoi poteri di vigilanza e di intervento rispetto alla preoccupante situazione locale dell'Impianto, ha, nel contempo, dato atto in sentenza di un assoluto difetto di flussi di informazioni provenienti dalle unità operative esistenti nello stabilimento nei confronti dei vertici della società.
Quindi, pure avendo rimarcato che non erano state effettuate adeguate verifiche in ordine al corretto funzionamento dello specifico impianto, insite nel dovere dì vigilanza incombente su I.O.B., ha evidenziato che erano del tutto mancate le necessarie comunicazioni da parte delle unità operative, riguardanti gli inconvenienti registrati nel funzionamento dell'impianto. Tali inconvenienti, si legge nella sentenza, erano stati accertati nel corso della istruttoria attraverso l'acquisizione di diversi rapporti di manutenzione che attestavano frequenti arresti ed anomalie dell'impianto AMSA FLOXAL, con conseguente attivazione dell'impianto criogenico.
Su tale punto si impone pertanto l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza. Il giudice del rinvio dovrà risolvere l'evidenziata aporia logica di tale segmento argomentativo, spiegando, in particolare, come si concilia l'addebito individuato a carico del ricorrente, cui è attribuita la colpa di non avere avviato autonome verifiche sulla sicurezza dell'impianto, con l'assenza di comunicazioni riguardanti gli inconvenienti registrati sull'impianto AMSA-FLOXAL, da parte del personale tecnico operante sul posto.
L'accoglimento del ricorso in punto di responsabilità, riveste carattere assorbente rispetto all'ulteriore doglianza difensiva riguardante la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., comune ad altri ricorrenti, per la quale valgono tuttavia i generali principi interpretativi quali saranno enunciati nel prosieguo della trattazione nell'esaminare analoga doglianza dedotta da altri ricorrenti.
4. Passando all'esame dei residui motivi di ricorso dedotti per B.D., osserva il Collegio che la lettura della motivazione della sentenza di appello e di quella di primo grado ad essa conforme, consente di affermare che sono stati correttamente individuati a carico dell'Imputato i profili di responsabilità nei quali si concretizza la sua condotta colposa in relazione all'evento occorso. Essendo B.D. responsabile tecnico dell'unità operativa della soc. Air Liquide egli era perfettamente a conoscenza delle anomalie manifestatesi nell'impianto nel corso della sua direzione. La Corte territoriale, in proposito, correttamente evidenzia come al B.D. siano da ascriversi quelle omissioni in tema di informazione, verifica ed intervento che sono state alla base del tragico evento: il non essersi attivato in alcuna di tali direzioni, ha indubbiamente contribuito al determinismo causale dello scoppio. Per altro verso, non sembra che l'aspetto riguardante la posizione di garanzia rivestita dai ricorrente ed i profili di responsabilità delineati a suo carico dalla Corte territoriale, siano stati posti concretamente in discussione dalla difesa nell'atto di impugnazione. Il ricorso, invero, come già detto in precedenza, è incentrato prevalentemente su una diversa ricostruzione del fatto dalla quale si vorrebbe far discendere una imprevedibilità assoluta dello scoppio, essendo questo collegato, secondo l'intendimento della difesa, a fatti eccezionali (interventi manomissivi assimilabili ad atti dì sabotaggio), suscettibili dì interrompere ogni sorta di legame tra la condotta omissiva addebitata al B.D. e l’evento.
Ulteriore motivo di doglianza riguardante il B.D. è quello attinente alla precisazione del periodo nel quale il ricorrente ha rivestito la qualifica di responsabile tecnico dell'unità operativa locale all'interno dell'azienda Air Liquide.
La difesa obietta che, anche dopo la intervenuta precisazione del capo di imputazione ad opera dell'Accusa, non sarebbe stato specificato il periodo nel quale il B.D. ha rivestito la sua qualifica aziendale.
Ebbene, come si è già detto in precedenza esaminando la analoga doglianza dedotta dall'I.O.B., la lacuna evidenziata dalla difesa non è suscettibile di incidere sulla determinatezza del capo di imputazione, trattandosi di elemento ben noto al ricorrente, la cui mancanza non produce alcuna menomazione delle prerogative difensive.
Nel quinto e sesto motivo di ricorso la difesa di B.D. si duole del mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno. Trattasi di motivo comune anche ai ricorrenti F.R. e R.G., le cui posizioni saranno esaminate in prosieguo. Nell'atto di impugnazione si evidenzia che il risarcimento sarebbe stato integralmente corrisposto in favore dei congiunti delle vittime dello scoppio, ad opera di più compagnie assicuratrici e che, per tale motivo, la decisione della Corte territoriale di negare il suddetto beneficio sarebbe erronea, perché in contrasto con il principio affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 5941 del 22/1/2009.
I più recenti orientamenti della Corte regolatrice, alla luce del principio affermato dalla pronuncia delle Sezioni Unite richiamata dalla difesa, ammettono l'attenuante anche quando il risarcimento sia avvenuto ad opera di una compagnia assicuratrice, purché l'imputato dimostri di condividerlo (così Sez. 4, n. 13870 del 06/02/2009, Rv. 243202, così massimata: "Ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. il risarcimento, ancorché eseguito dalla società assicuratrice, deve ritenersi effettuato personalmente dall'imputato tutte le volte In cui questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio").
Tuttavia, nel caso in esame non risulta dagli atti che tale risarcimento sia stato eseguito nei confronti di tutte le vittime (in sentenza si afferma che sono stati risarciti soltanto i congiunti di M.G.) ed al ricorso non sono allegate attestazioni che documentano tale circostanza in ossequio al principio dell'autosufficienza. Il teste C.M., le cui dichiarazioni sono parzialmente riportate nell'atto di impugnazione, riferisce di accordi intervenuti tra diverse compagnie assicuratrici, ma in nessuno dei passaggi della deposizione evidenziati nel ricorso, risulta precisato che sì è provveduto all'effettivo ed integrale pagamento nei confronti di tutti i congiunti delle numerose vittime della esplosione. A ciò deve aggiungersi, come osservato dalla Corte territoriale con rilievo di carattere dirimente, che nessun elemento presente agli atti denota una concreta volontà riparatoria promanante dall'Imputato. Sotto questo profilo è stato evidenziato che il B.D. (come pure il F.R. ed il R.G.) non ha stipulato il contratto assicurativo, non ha contribuito con personali risorse al risarcimento, non ha manifestato con positive condotte la volontà di fare propria l'attività risarcitoria. Nell'atto di ricorso, a questo proposito, la difesa si limita ad affermare che la volontarietà del risarcimento dovrebbe essere desunta dalla disponibilità del B.D. a fare acquisire agli atti del processo le quietanze di pagamento. Tale comportamento, tuttavia, non può ritenersi manifestazione di una concreta volontà di fare proprio il risarcimento intervenuto ad opera della società assicuratrice, essendo esso riferito ad una scelta di carattere processuale dalla quale non possono trarsi indicazioni che attingono alla sfera delle intenzioni della persona dell'imputato.
Stante la necessità che - ai fini del riconoscimeto dell'attenuante in argomento - sia manifestata una concreta volontà riparatoria dell'imputato nel caso di risarcimento avvenuto ad opera di un terzo, condizione più volte ribadita da questa Corte anche in pronunce recenti (si veda da ultimo Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017 Rv. 271969), ne consegue la correttezza della decisione assunta dalla Corte territoriale di negare l'attenuante invocata.
Per completezza argomentativa e, per fonire risposta anche agli ulteriori profili di doglianza evidenziati sul tema dalla difesa di F.R. e R.G., occorre puntualizzare che l'interpretazione fornita dalla Corte territoriale, in linea con la giurisprudenza di legittimità, non si pone in contrasto con i principi stabiliti in materia dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 138 del 1998, nel giudizio di legittimità costituzionale che ha riguardato l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen.
La risposta alla critica difensiva si rinviene nella motivazione della già citata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. n. 5941 del 22/01/2009, Rv. 242215) dove si esamina il profilo dell'applicabilità all'imputato dell’attenuante di cui all'art.62 n. 6 cod. pen. nel caso in cui il risarcimento sia intervenuto ad opera di un terzo, sia pure questi un correo. Prendendo le mosse dalla lettura del testo della norma ("l'avere...riparato interamente il danno mediante il risarcimento...e le restituzioni"), il Supremo consesso evidenza che: «è canone interpretativo comune delle norme penali che le condotte in esse previste, salvo le eccezioni espressamente indicate, debbano essere connotate da volontarietà e che vada osservato e conservato nel concreto, nel suo profilo assiomatico, il valore della locuzione impiegata legislatore. E quindi "l'aver riparato", per integrarsi, non può consistere solo nella sussistenza dell’evento, ma deve comprendere una volontà di riparazione. Tanto più che riparazione non è locuzione neutra, quale ad esempio estinzione del debito o soddisfacimento dello stesso, ma è voce di segno positivo in funzione del grado di disvalore di cui lo specifico reato costituisce espressione». Dopo avere affermato che tali considerazioni rendono "nominalistica" e "di coda" la disputa sulla natura soggettiva o oggettiva dell'attenuante, le Sezioni Unite aggiungono che «del resto la stessa Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 138 del 1998, fondandosi sull'evento richiesto e sull'interesse dell'offeso, ha preso una decisa posizione per la natura oggettiva della circostanza, precisa che è pur sempre necessario che l'intervento risarcitorio sia "comunque riferibile all'imputato". Riserva indotta dalla necessità di preservare la condotta volontaristica che la norma in esame indica nell' "aver riparato" e, con essa, il quid di merito della riparazione».
Anche alla luce di tali ulteriori considerazioni risulta quindi del tutto immune da censure la decisione adottata dalla Corte territoriale. 
5. In ordine al ricorso proposto da F.R., si osserva quanto segue.
La Corte di merito ha valutato in maniera precisa e adeguata la posizione del ricorrente, rendendo ampia e conferente motivazione in ordine ai profili di responsabilità ravvisati a suo carico, provvedendo in primis a richiamare le mansioni dallo stesso rivestite nel corso degli anni nell'ambito dell'azienda Air Liquide Italia. Ha quindi ricordato che il F.R. era responsabile della direzione tecnica dell'unità operativa interessata dallo scoppio a fare data dal settembre 1998. Nel corso della sua permanenza nell'azienda era stato indicato nel documento di valutazione rischi, redatto da R.G. in data 20\6\1999, quale responsabile del servizio prevenzione e protezione e, successivamente, era stato munito di specifica delega in materia di sicurezza sul lavoro a partire dal 14 febbraio 2000.
L'addebito mosso al F.R. é quello di non avere provveduto a segnalare le situazioni di rischio riguardanti l'impianto, inducendo i superiori gerarchici, titolari di altrettante posizioni di garanzia, ad omettere quelle necessarie misure di sicurezza di cui avrebbe dovuto essere dotato il serbatoio. Tali omissioni, innestandosi sul decorso causale, hanno indubbiamente contribuito alla determinazione dell'evento, secondo la condivisibile ricostruzione del fatto cui è pervenuta la Corte territoriale e di cui si è detto ampiamente in precedenza.
5.1 Il F.R. si duole in primis del fatto che non sarebbe stato rispettato il principio di correlazione tra la contestazione elevata dall'Accusa e la motivazione adottata dalla Corte territoriale. Afferma in proposito il ricorrente che, allorquando i giudici di merito specificano le singole condotte rimproverate, si riferiscono ad un ambito temporale diverso da quello indicato nella imputazione (che riguarda il periodo successivo al 14 febbraio 2000), richiamando il documento di valutazione dei rischi n. 17 del 1999, da cui risulta che il F.R. era stato investito delle mansioni di RSPP. Rileva inoltre il ricorrente che la contestazione elevata a suo carico dovrebbe intendersi limitata ad un ambito molto ristretto, essendo stato il F.R. trasferito ad altro settore nel giugno 2000.
L'assunto è infondato.
Il fatto che le accuse elevate a carico del F.R. nel capo di imputazione siano riferite al periodo successivo al febbraio 2000, non vale ad escludere la sua responsabilità in ordine ai fatti per cui è processo.
Anche nell'ambito temporale ristretto nel quale si sostiene abbia operato il ricorrente (dal febbraio 2000 al giugno 2000) egli, quale soggetto munito di specifica delega in materia di sicurezza, avrebbe avuto il preciso compito di informare la dirigenza delle gravi carenze esistenti nell'impianto, di cui era perfettamente a conoscenza anche in virtù delle pregresse esperienze acquisite presso l'unità operativa, come dimostra il documento di valutazione dei rischi n. 17 del 1999 nel quale veniva formalmente investito della qualifica di RSPP. Quindi, il pur breve periodo messo in rilievo dalla difesa, risulta congruo ai fini della definizione della sua responsabilità, in considerazione delle precedenti conoscenze acquisite dal ricorrente per l'attività espletata nell'azienda, sempre in qualità di responsabile tecnico della unità operativa locale.
Non può affermarsi, come vuole sostenere la difesa, che la Corte territoriale abbia operato una dilatazione del periodo in contestazione, attraverso l'attribuzione al ricorrente di comportamenti che si collocano al di fuori delle coordinate temporali del capo di imputazione. I giudici di merito hanno fatto riferimento alle pregresse esperienze lavorative del F.R. traendo da esse elementi valutativi che rafforzano l'aspetto della consapevolezza del ricorrente della situazione di alto rischio in cui versava l'impianto.
Rimanendo ancorati alla contestazione, che riguarda il periodo successivo al febbraio 2000, risulta evidente che il ricorrente era perfettamente in condizione - per le mansioni esercitate, i poteri che gli erano stati conferiti e l'esperienza pregressa maturata nel settore - di conoscere le anomalie del sistema.
Nella sua qualità RSPP e, successivamente, sulla base della delega conferitagli nell'anno 2002, il F.R. aveva l'obbligo giuridico di collaborare diligentemente con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa, fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli ed informando la dirigenza degli inconvenienti dell'impianto, che costituivano un rischio per la sicurezza dei lavoratori. Tali comportamenti, come affermato dalla Corte territoriale in sentenza, non risultano essere stati posti in essere dal ricorrente. Pertanto, è del tutto corretto l'esito della decisione cui è pervenuto il giudice di merito.
5.2 Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso nel quale si sostiene che il ricorrente avrebbe dovuto essere mandato esente da responsabilità perché i documenti di valutazione del rischio esistenti nell'azienda (tra cui quello n. 17 del 1999, che attribuiva al F.R. la qualifica di RSPP) erano modelli predisposti dalla Direzione della società, che non potevano essere in alcun modo modificati dai sottoscrittori, i quali erano tenuti esclusivamente ad indicare il nominativo delle persone investite delle varie qualifiche e delle funzioni di garanzia.
Si tratta di argomentazione meramente assertiva.
E' evidente che una simile interpretazione del documento di valutazione del rischio, è ben lontana dalla concezione che di esso si ricava dalla legge: il DVR è uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato 
per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalla pratica giornaliera dell'attività lavorativa.
E' noto che in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro non solo ha l'obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, analizzando ed individuando con il massimo grado di specificità - secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica - tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, ma è tenuto anche a sottoporre a periodico aggiornamento il suddetto documento (ex multis Sez. 4, n. 20129 del 10/3/2016, Rv. 267253).
E' quindi contraria ad ogni logica giuridica la possibilità di concepire un documento di valutazione dei rischi immodificabile.
D'altro canto, come evidenziato dalla Corte distrettuale in sentenza, proprio il difetto di comunicazione di informazioni attinenti alle anomalie del sistema riscontrate in loco da coloro che erano addetti alla gestione ed alla manutenzione dell'impianto (tra i quali deve annoverarsi il F.R., unitamente a B.D. e R.G.) hanno impedito alla dirigenza di individuare le carenze e gli aspetti critici del sistema che avrebbero consentito l'adozione di misure atte a individuare e prevenire situazioni di pericolo che dovevano essere recepite nel DVR.
Dalla lettura del documento di cui si tratta, come condivisibilmente sostenuto dalla Corte territoriale, non risulta essere stato previsto un rischio dì scoppio del serbatoio connesso alle basse temperature, sebbene tale tipo di rischio fosse prevedibile e concreto, essendo stato preannunciato da un significativo evento nel corso dei quale si era verificato il ghiacciamento dell'evaporatore.
La prospettazione difensiva secondo cui il rischio predicato dai giudici di merito sarebbe stato contemplato nel documento è erronea. Difetta la specificità della previsione che non può certamente ricavarsi, come lascia intendere la difesa, dalla combinazione di diversi elementi di rischio: quello da contatto con superfici fredde e quello da scoppio a causa di pressione, che riguardano aspetti del tutto differenti rispetto alle problematiche da cui si è generato l'incidente, correttamente evidenziate in sentenza sulla base di coerenti e precise argomentazioni.
5.3 Con il terzo motivo di ricorso, il F.R. denuncia vizio di contraddittorietà della motivazione assunta dalla Corte territoriale nella ordinanza resa all'udienza del 2 febbraio 2016 con cui era stata rigettata la richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale per l'acquisizione, presso la soc. Air Liquide di documentazione attinente allo status del dipendente, alle qualifiche dallo stesso ricoperte durante la sua permanenza nella società, alla gestione della divisione Floxal nello stabilimento di Caivano.
La doglianza difensiva è infondata. La illogicità della motivazione viene desunta dalla circostanza che la Corte territoriale dapprima aveva mostrato interesse verso tale documentazione, onerando la difesa della sua acquisizione e, solo successivamente, appresa la risposta negativa della società di rilasciare copia dei documenti richiesti, avrebbe mutato proposito considerando tale documentazione non più necessaria ai fini della decisione.
Ebbene, il diniego espresso dalla Corte territoriale di procedere all'acquisizione della documentazione richiesta dalla difesa, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., non è sindacabile nel merito in sede di legittimità. La mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione a mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, secondo comma, cod. proc. penale. Analogo motivo non può essere proposto nel caso in cui la parte abbia invitato il giudice di merito ad avvalersi dei suoi poteri discrezionali di integrazione probatoria, previsti dall’art. 507 cod. proc. pen. ed il giudice l'abbia ritenuta non necessaria ai fini della decisione (così Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, Rv. 269270).
Il sindacato di legittimità esperibile con riferimento al provvedimento di diniego della rinnovazione del dibattimento ad opera del giudice di appello, ai sensi dell'art. 603, cod. proc. pen., non può mai riguardare la concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisirsi, ma deve essere volto a verificare la congruità della motivazione adottata e, pertanto, deve essere rivolto al contenuto esplicativo del provvedimento (così Sez. 3, n. 7680 del 13/01/2017 Rv. 269373). Nel caso in esame la Corte territoriale ha affermato, con ordinanza resa all'udienza del 2 febbraio 2016, che l'assunzione di detta prova costituiva un approfondimento non necessario ai fini della decisione. La motivazione dell'ordinanza, sebbene concisa, non può essere ritenuta illogica, né possono trarsi in essa elementi di contraddittorietà dalle considerazioni difensive riguardanti l'originaria decisione della Corte territoriale di autorizzare l'acquisizione degli atti.
5.4 Ulteriore doglianza difensiva è quella riguardante l'omessa motivazione sulla richiesta di espletamento di una perizia volta ad accertare le cause dello scoppio ed eventuali interventi manomissivi sulla valvola di pressione Tartarini. La difesa evidenzia che all'udienza del 2 febbraio 2018, la Corte territoriale, nello sciogliere la riserva assunta in precedenza, nulla argomentava su tale richiesta che rimaneva di fatto inevasa.
La lettura degli atti consente di rilevare la infondatezza della censura proposta dal ricorrente. La motivazione della sentenza contiene un implicito rigetto della richiesta difensiva di procedere ad ulteriori approfondimenti peritali sulla ipotesi della manomissione dell'impianto e, in generale sulle cause dell'esplosione. La parte della sentenza dedicata alla ricostruzione dell'evento e delle cause della esplosione, contenuta nelle pagine 62 e seguenti della sentenza impugnata, offre una precisa confutazione della tesi difensiva secondo la quale l'impianto sarebbe stato manomesso. La Corte territoriale ha ritenuto di aderire alla ricostruzione dei fatti offerta dai consulenti del P.M. ed ha rigettato, sulla base di un ragionamento immune da censure, ogni altra versione contrastante con gli esiti a cui sono pervenuti i consulenti del P.M.. Tutto ciò dimostra sul piano logico che la Corte ha ritenuto satisfattive le prove raggiunte attraverso le indagini tecniche effettuate dai consulenti del P.M.
Orbene, può ritenersi che non vi sia difetto di motivazione nella sentenza di appello che non accolga la richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento per l'espletamento di una perizia, quando nella decisione, pur non risultando espressamente enunciate le ragioni del rigetto, si fornisca sostanziale giustificazione della ritenuta adeguatezza e completezza degli elementi acquisiti (così Sez. 4, n. 1116 del 30/10/1981, Rv. 152012). Per altro verso, la decisività della prova che connota l'istituto della rinnovazione della istruzione dibattimentale in sede di appello, non può riguardare l'espletamento di una perizia che, avendo un valore neutro sul piano probatorio, non è mai dotata del carattere della decisività. In argomento, si veda Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936, così massimata: «La mancata effettuazione di un accertamento peritale (nella specie sulla capacità a testimoniare di un minore vittima di violenza sessuale) non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività».
5.5 Con il quinto motivo di ricorso la difesa deduce violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza con la contestata aggravante.
Valgono, quanto al primo profilo, le considerazioni già espresse in precedenza in relazione ad analoga doglianza dedotta dal ricorrente B.D. (si veda sul punto quanto già argomentato nel paragrafo 4 della parte motiva), da intendersi qui integralmente richiamate onde evitare superflue ripetizioni. 
Parimenti infondato è il motivo di ricorso che attiene alla motivazione espressa dalla Corte territoriale con riferimento alla concessione delle attenuanti generiche in rapporto di sola equivalenza, e non prevalenza, rispetto alla contestata aggravante.
La Corte d'appello, condividendo la motivazione del primo giudice, ha ritenuto aderente alla "obiettiva gravità dei fatti, in relazione al rilievo delle condotte addebitate e delle implicazioni connesse, poi sfociate nel plurimo evento mortale" la concessione delle attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con la contestata aggravante. La difesa sostiene che tali argomentazioni devono reputarsi insufficienti, avendo il giudice di merito pretermesso qualunque indagine di natura soggettiva che avrebbe consentito un trattamento più benevolo nei confronti dell'imputato, in ragione del breve periodo di tempo a cui è legata la contestazione elevata a suo carico e della circostanza che le funzioni di responsabile tecnico furono dallo stesso ricoperte tre anni prima dell'evento. L'assunto non è condivisibile. E' noto che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la determinazione della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la cosiddetta motivazione implicita (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo «si ritiene congrua» Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma anche che la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva ed ogni aspetto rilevante, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826). Si aggiunga che in tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell'equivalenza (Sez. 5 n. 5579 del 26/9/2001 Rv. 258874).
6. I motivi di ricorso proposti in favore di R.G. ricalcano quelli del coimputato F.R.. La Corte territoriale, conformemente a quanto ritenuto dal primo giudice, ai fini della individuazione della responsabilità del ricorrente, ha posto in evidenza le seguenti circostanze: il R.G. era dirigente della sede di Napoli della società A.L.; egli godeva di ampi poteri gestionali anche sul piano della prevenzione e della sicurezza; il documento di valutazione rischi n. 17/1999, dallo stesso sottoscritto in qualità di datore di lavoro, non aveva previsto il rischio di scoppio del serbatoio per basse temperature; nessuna attività di verifica, interlocuzione e controllo era stata posa in essere dal ricorrente in ordine alla esigenze manutentive manifestatesi presso l'impianto, tra le quali, non da ultimo, era da collocarsi il disuso dell'unico sistema di allarme di bassa temperatura presente nell'impianto.
Sulla base di tali elementi, nel delineare la posizione di garanzia del ricorrente, con ragionamento che risulta immune da vizi, la Corte territoriale ha ritenuto di ravvisare a carico di R.G. una corresponsabilità nella determinazione dell'evento che ha stabilito essere di più elevato grado rispetto agli altri coimputati.
Venendo alla disamina dei motivi di ricorso proposti dal ricorrente, si osserva quanto segue.
6.1 Nel primo motivo di ricorso la difesa, analogamente a quanto sostenuto in favore di F.R., rappresenta che il documento di valutazione dei rischi, sottoscritto dal R.G. in qualità di datore di lavoro era un documento "standard", predisposto dalla Direzione rischi dell'azienda e non modificabile. Sulla base di tale premessa, afferma che il suo contenuto non rientrava nella sfera di competenza del R.G. e che, pur volendo ammettere la riferibilità al ricorrente di detto documento, esso era volta a determinare i rischi afferenti agli stoccaggi criogenici ed al vaporizzatore criogenico (resilienti alle basse temperature), con esclusione del serbatoio interessato dallo scoppio.
La prospettazione difensiva è da ritenersi infondata. In qualità di datore di lavoro e di responsabile dell'unità operativa locale, il R.G. avrebbe dovuto individuare specificamente il rischio di uno scoppio per le basse temperature, collegato all'evenienza dell'ingresso dell'azoto liquido nel serbatoio-polmone, proprio alla luce dei precedenti episodi ricordati dalla Corte territoriale nel corso dei quali si era verificato il ghiacciamento della valvola e si erano raggiunte condizioni di pericolo assimilabili a quelle che determinarono il tragico evento del 2003.
Come già detto in precedenza (si veda quanto illustrato nel precedente paragrafo 5.2 della parte in diritto) è priva di pregio ogni ulteriore argomentazione riguardante la possibilità di desumere la individuazione del fattore di pericolo da cui è dipesa la esplosione, dalla combinazione di altri rischi contemplati nel DVR (quello riguardante le superfici fredde e quello riguardante lo scoppio da pressione).
Per costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte la specificità delle previsioni contenute nel documento di valutazione sono elemento essenziale nella economia della gestione del rischio facente capo al datore di lavoro. Da esso infatti dipende in modo rilevante la definizione del carico di debito di cui è portatrice la qualità datoriale. Si è quindi ripetutamente affermato che il datore di lavoro è tenuto ad individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'Interno dell'azienda. Da tale principio si ricava l'erroneità della prospettazione difensiva in base alla quale il rischio da scoppio per basse temperature potrebbe ricavarsi dalla combinazione di altri diversi fattori, assimilabili al primo: si tratta invero di situazioni che difettano del necessario carattere della specificità che deve connotare le previsioni contenute nel DVR.
E' quindi corretta la interpretazione fornita dalla Corte territoriale in sentenza, secondo cui il rischio scoppio da basse temperature era stato ritenuto non credibile da parte del R.G. e non era contemplato nel DVR.
Né può sostenersi che il DVR presente in azienda riguardasse soltanto II settore degli stoccaggi criogenici ed il vaporizzatore criogenico, con esclusione di ogni altra parte dell'impianto. Una simile prospettazione è fondata su argomentazioni puramente assertive.
6.2 Il secondo motivo di ricorso ricalca pedissequamente la censura precedentemente esaminata con riferimento alla posizione del F.R. (si veda paragrafo 5.3 della parte motiva), afferente alla mancata acquisizione di documentazione esistente presso l'archivio della soc. Air Liquide riguardante la posizione del ricorrente e di altri esponenti della struttura aziendale, tesa a dimostrare che il R.G. era addetto esclusivamente al settore commerciale della società. La Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione immune da censure, che tale documentazione non fosse necessaria ai fini della decisione, rigettando la richiesta con ordinanza resa all'udienza del 2 febbraio 2016.
Orbene, sul punto, si richiamano le argomentazioni già espresse nell'indicato paragrafo 5.3, valevoli anche per la posizione di R.G., ulteriormente rilevandosi che, nel caso del suddetto ricorrente, la motivazione della ordinanza di rigetto resa in udienza, già sufficientemente argomentata, è stata ampliata nel corpo della motivazione della sentenza impugnata dove si ribadisce la non necessarietà della integrazione probatoria {folio 105 della sentenza d'appello).
6.3 Valgono anche per R.G. le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 5.4, afferenti alla motivazione di implicito rigetto di procedere ad ulteriori approfondimenti peritali sulle cause dello scoppio del serbatoio e sulla ipotesi della manomissione dell'impianto. Si ribadisce che tutto il ragionamento seguito nella sentenza impugnata, nella parte dedicata alla individuazione delle cause dell'evento, esclude ogni diversa ipotesi ricostruttiva della vicenda, con ciò implicitamente negando anche le richieste difensive tese ad ottenere il conferimento di un ulteriore incarico peritale avente il medesimo oggetto.
6.4 Parimenti infondate risultano le censure espresse nel ricorso con riferimento all'aspetto riguardante la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. su cui questo Collegio si è ampiamente soffermato nell'ambito del paragrafo 4 della parte in diritto della presente decisione, al cui contenuto si rinvia.
In ordine alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza rispetto alla contestata aggravante, occorre rilevare come la Corte territoriale abbia offerto ampia e congrua motivazione circa le ragioni del diniego, manifestando piena adesione alla scelta del primo giudice di ritenere adeguata al caso in esame la concessione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza rispetto alla contestata aggravante.
Nel richiamarsi ai principi generali ricordati nel precedente paragrafo 5.5, occorre rilevare, quanto alla specifica posizione di R.G., che le doglianze difensive appaiono sfornite di adeguatezza critica rispetto all'apparato argomentativo adottato dalla Corte territoriale, avendo la difesa lamentato, a supporto del motivo di ricorso, la mancanza nella motivazione della sentenza di una valutazione globale della gravità del reato, in uno con la personalità del reo.
La lettura della motivazione, consente di affermare la infondatezza della censura. La Corte territoriale, nel dare conto della propria scelta decisionale in materia di comparazione delle circostanze attenuanti generiche, non ha solo evidenziato la indubbia gravità del fatto nella sua oggettiva manifestazione, ma ha anche messo in risalto che, per la posizione rivestita nell'ambito dell'azienda e per le connotazioni della condotta serbata dal ricorrente, la sua corresponsablità nella determinazione dell'evento era da ritenersi di più elevato grado rispetto a quella degli altri imputati. Tali considerazioni rendono evidente che la soluzione adottata dal giudice di merito, insindacabile in questa sede, ha conferito prevalenza agli elementi riguardanti la gravità del fatto ed il grado di colpa del soggetto agente, attribuendo implicitamente un carattere recessivo ad ogni altro aspetto valutativo del fatto e della personalità del ricorrente.
7. I motivi di ricorso proposti in favore di B.M., che ben possono essere esaminati congiuntamente data la loro intima connessione, risultano fondati nei termini di seguito precisati.
La Corte territoriale, ai fini della pronuncia di responsabilità, ha evidenziato che il ricorrente sottoscrisse la "Convenzione di Fornitura per Azoto floxal" stipulata tra la A.L. e la soc. P.P.G. in data 10 maggio 1996. Tale convenzione prevedeva la duplice modalità di produzione dell'azoto, sia attraverso il compressore, sia attraverso il serbatoio di azoto criogenico, destinati a confluire nel medesimo serbatoio-polmone, inidoneo poiché realizzato in acciaio al carbonio e non in acciaio inossidabile. Ritenuti inconferenti i richiami operati dalla difesa circa la differenza tra fase progettuale e fase esecutiva nella realizzazione dell'impianto, la Corte territoriale ha posto in risalto che il B.M. aveva un preciso obbligo di controllo della rispondenza dell'impianto alle regole antinfortunistiche e di buona tecnica, avendo ricevuto, in data 24 giugno 1994, specifica delega che prevedeva tale compito, in un ambito di ampia autonomia gestionale in tema di costruzione di impianti per la distribuzione del gas.
Ha quindi ritenuto che, benché l'imputato avesse lasciato la società molto tempo addietro rispetto alla data del tragico evento, era al B.M. riferibile la stipula della convenzione con la P.P.G. e la progettazione di un impianto che aveva dato vita ad una forma di produzione ibrida di azoto che, sfornito dei presidi di prevenzione necessari e costruito con materiale non resistente a temperature inferiori a determinati gradi, era all'origine della esplosione.
Quanto alla prima proposizione, occorre rilevare come la stipula della convenzione non possa rappresentare di per sé violazione di una regola cautelare, per cui il profilo di colpa individuato nel compimento di tale atto non è fondato.
Quanto al secondo profilo, la Corte territoriale, nel definire la responsabilità del ricorrente, muove dalla premessa di una totale ed originaria fallibilità dell'impianto, mal concepito sin dalla sua fase progettuale. Tale premessa tuttavia contrasta con quanto si afferma nella stessa motivazione della sentenza circa la possibilità che i rischi connessi all'accidentale affluenza di azoto liquido nel serbatoio, potessero essere neutralizzati attraverso un appropriato sistema di rilevazione e di allarme che, originariamente esistente e, non più operante da un dato momento in poi, non fu mai ripristinato dai soggetti preposti alla gestione dell'unità locale.
Poiché l'impianto, nella sua fase ideativa e progettuale, era dotato di un sistema di allarme in grado di segnalare il ghiacciamento della valvola che regolava l'afflusso di azoto proveniente dall'impianto criogenico al serbatoio, i giudici del merito, ai fini della definizione dei profili di responsabilità del ricorrente, avrebbero dovuto tenere conto di tale aspetto e verificarne la incidenza sulla tenuta logica dell'impianto argomentativo.
Su tale punto si impone quindi l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza. Il giudice del rinvio dovrà fornire una più adeguata motivazione con riferimento all'aspetto evidenziato, che risolva la discrasia logica presente nel ragionamento offerto in sentenza.
8. Conclusivamente, la sentenza impugnata, alla luce delle argomentazioni svolte e dei principi illustrati, deve essere annullata limitatamente alle posizioni dei ricorrenti I.O.B. e B.M. - in relazione agli specifici punti quali dianzi evidenziati - con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Vanno invece rigettati i ricorsi di R.G., F.R. e B.D., con conseguente condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle posizioni di I.O.B. e B.M. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta i ricorsi di R.G., F.R. e B.D., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5 giugno 2018.

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 39283 Anno 2018.pdf
 
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Direttiva (UE) 2017/164

ID 3563 | | Visite: 14170 | Legislazione Sicurezza UE

Agenti chimici lavoro: 4° elenco

Rischio chimico: dall'UE il quarto elenco di valori indicativi di esposizione professionale agenti chimici

Direttiva (UE) 2017/164 (XIV Direttiva particolare)

Direttiva (UE) 2017/164 della Commissione del 31 gennaio 2017 che definisce un quarto elenco di valori indicativi di esposizione professionale in attuazione della direttiva 98/24/CE del Consiglio e che modifica le direttive 91/322/CEE, 2000/39/CE e 2009/161/UE della Commissione (XIV Direttiva particolare).

(GU n. 27/118 del 01.02.2017)

La situazione di recepimento delle Direttive agenti chimici:

Direttiva (UE) 2019/1831 5° Elenco (recepita con il Decreto 18 maggio 2021)
Direttiva (UE) 2017/164 4° Elenco (recepita con il Decreto 02 Maggio 2020)
Direttiva 2009/161/UE 3° Elenco (recepita con il Decreto 6 agosto 2012)
Direttiva 2006/15/CE 2° Elenco (recepita)
Direttiva 2000/39/CE 1° Elenco (recepita)

Scarica in allegato il Quarto e ultimo elenco agenti chimici di cui al D.M. 2 maggio 2020 (All. XXXVIII TUS)

_______

Articolo 1
È stabilito un quarto elenco di valori limite indicativi dell'esposizione professionale dell'Unione per gli agenti chimici che figurano nell'allegato.

Articolo 2
Gli Stati membri stabiliscono valori limite nazionali indicativi dell'esposizione professionale per gli agenti chimici elencati nell'allegato, tenendo conto dei valori limite dell'Unione.

Articolo 3
Nell'allegato della direttiva 91/322/CEE, i riferimenti all'acido acetico, al diidrossido di calcio, all'idruro di litio e al monossido di azoto sono soppressi con effetto dal 21 agosto 2018, fatto salvo l'articolo 6, paragrafo 2, lettera a).

Articolo 4
Nell'allegato della direttiva 2000/39/CE, il riferimento all'1,4-diclorobenzene è soppresso con effetto dal 21 agosto 2018.

Articolo 5
Nell'allegato della direttiva 2009/161/UE, il riferimento al bisfenolo A è soppresso con effetto dal 21 agosto 2018.

Articolo 6
1.Per le attività sotterranee in miniera e in galleria gli Stati membri possono avvalersi di un periodo transitorio che termini al più tardi il 21 agosto 2023 per quanto riguarda i valori limite per il monossido di azoto, il biossido di azoto e il monossido di carbonio.

2.Durante il periodo transitorio di cui al paragrafo 1 gli Stati membri possono continuare ad applicare i valori seguenti in luogo dei valori limite stabiliti nell'allegato:

a) per quanto riguarda il monossido di azoto: i valori limite esistenti stabiliti in conformità all'allegato della direttiva 91/322/CEE;

b) per quanto riguarda il biossido di azoto e il monossido di carbonio: i valori limite nazionali in vigore al 1° febbraio 2017

Articolo 7
1. Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro 21 agosto 2018.

Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni e la loro notifica è accompagnata da uno o più documenti esplicativi sotto forma di tavole di concordanza tra le disposizioni e la presente direttiva. Le disposizioni adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri.

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni fondamentali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. Articolo 8 La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Articolo 9 Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Bruxelles, il 31 gennaio 2017

Allegato

 

CE(1)

 

CAS(2)

 

NOME DELL'AGENTE CHIMICO

VALORI  LIMITE

 

 

Annotazione(3)

8ore(4)

Breve termine(5)

mg/m3(6)

ppm(7)

mg/m3(6)

ppm(7)

Manganese e composti inorganici del manganese
(espresso come manganese)

0,2(8)
0,05(9)

200-240-8

55-63-0

Trinitrato di glicerolo

0,095

0,01

0,19

0,02

cute

200-262-8

56-23-5

Tetracloruro di carbonio,tetracloro metano

6,4

1

32

5

cute

200-521-5

61-82-5

Amitrolo

0,2

200-580-7

64-19-7

Acido acetico

25

 10

50

 20

 200-821-6

 74-90-8

Cianuro di idrogeno
(espresso come cianuro)

1

0,9

 5

4,5

 cute

 200-838-9

 75-09-2

Cloruro di metilene diclorometano

 353,

 100

 706

 200

 cute

200-864-0

75-35-4

Cloruro di vinilidene,1,1-di­cloroetilene

 8

 2

 20

 5

 —

201-083-8

78-10-4

Ortosilicato ditetraetile

 44

5

 201-177-9

 79-10-7

Acido acrilico, acidoprop-2- enoico

29

10

59(10)

20(10)

201-188-9

79-24-3

Nitroetano

 62

 20

 312

 100

 cute

201-245-8

80-05-7

BisfenoloA,  4,4′-isopropili­dendifenolo

 2(8)

 —

 —

 —

 —

202-981-2

101-84-8

Difeniletere

7

1

14

2

203-234-3

104-76-7

2-etilesan-1-olo

5,4

1

203-400-5

106-46-7

1,4-diclorobenzene; p-diclorobenzene

12

2

60

10

cute

203-453-4

107-02-8

Acroleina, acrilaldeide; prop-2-enale

0,05

 0,02

0,12

0,05

 —

203-481-7

107-31-3

Formiato di metile

125

 50

250

100

cute


segue

(1) N. CE: Numero CE (Comunità europea) — identificatore numerico delle sostanze all'interno dell'Unione europea.
(2) N. CAS: Chemical Abstract Service Registry Number (numero del registro del Chemical Abstract Service).
(3) Un'annotazione che riporta il termine «cute» per un valore limite di esposizione professionale indica la possibilità di un assorbimento significativo attraverso la pelle.
(4) Misurato o calcolato in relazione a un periodo di riferimento di otto ore come media ponderata (TWA).
(5) Livello di esposizione a breve termine (STEL). Valore limite oltre il quale non dovrebbe esservi esposizione e che si riferisce ad un periodo di 15 minuti, salvo diversa indicazione.
(6) mg/m3: milligrammi per metro cubo d'aria. Per le sostanze chimiche in fase gassosa o di vapore il valore limite è espresso a 20 °C e 101,3 kPa.
(7) ppm: parti per milione per volume di aria (ml/m3).
(8) Frazione inalabile.
(9) Frazione respirabile.
(10) Valore limite di esposizione a breve termine in relazione a un periodo di riferimento di 1 minuto.

_________

Direttiva 98/24/CE del Consiglio del 7 aprile 1998 sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 131 del 5.5.1998)

Legge 28 novembre 1996 n. 609

ID 6736 | | Visite: 6556 | Prevenzione Incendi

Legge 28 novembre 1996 n. 609

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 512, recante disposizioni urgenti concernenti l'incremento e il ripianamento di organico dei ruoli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e misure di razionalizzazione per l'impiego del personale nei servizi d'istituto"

GU n. 281 del 30 novembre 1996

La sicurezza per operatori trattamento rifiuti solidi urbani

ID 6726 | | Visite: 3910 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

La sicurezza per gli operatori degli impianti 1

La sicurezza per gli operatori degli impianti di trattamento e di stoccaggio dei rifiuti solidi urbani

L’opuscolo, destinato a datori di lavoro e ad operatori, illustra i sistemi di prevenzione e protezione, di tipo gestionale, organizzativo e tecnologico, indicando gli interventi per migliorare i luoghi e le condizioni di lavoro nella particolare realtà produttiva della gestione dei rifiuti.

All’interno sono riportate schede informative di sintesi, rivolte principalmente ai lavoratori, che rimandano ai contenuti del testo con differenti richiami cromatici.

Questo opuscolo è frutto di uno studio condotto dalla CONTARP dell’INAIL, in sinergia con strutture territoriali, Enti Locali ed imprese del settore

Tale studio, negli anni, si è sviluppato attraverso numerosi sopralluoghi effettuati in diverse realtà produttive ed in campagne di monitoraggio dei molteplici agenti di rischio presenti.

L’esperienza maturata dal gruppo di lavoro ha consentito la realizzazione di questo opuscolo, rivolto e dedicato a quanti operano in impianti di:

- trattamento di Rifiuti Solidi Urbani (RSU) nei quali è condotta una prima separazione del rifiuto indifferenziato, una riduzione volumetrica ed, infine, un’inertizzazione biologica con produzione di Combustibile da Rifiuti (CDR);
- stoccaggio definitivo in discarica dove giungono i rifiuti alla fine del ciclo di lavorazione.

L’obiettivo della pubblicazione, dopo un’attenta valutazione dei rischi lavorativi, è illustrare gli opportuni sistemi di prevenzione e protezione, sia collettivi sia individuali, di tipo gestionale, organizzativo e tecnologico, indicando gli interventi per migliorare i luoghi e le condizioni di lavoro.

Gli impianti di trattamento, manipolazione, stoccaggio e, in generale, di gestione dei rifiuti sono stati finora considerati solo come possibili fonti di contaminazione ambientale a causa della presenza, anche contemporanea e sinergica, di sostanze inquinanti. In realtà, sono proprio i lavoratori addetti all’esercizio, alla gestione e alla manutenzione degli impianti di gestione di rifiuti, che potrebbero subire per primi gli effetti nocivi sulla salute.

...

INAIL 2009

 

Gli agenti chimici mutageni

ID 6724 | | Visite: 3653 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Gli agenti chimici mutageni

Gli agenti chimici mutageni

La Monografia nasce dalla collaborazione fra l'Inail e il Dipartimento di Medicina e Igiene Industriale della ldquo; Polimeri Europa S.p.A.” ed e indirizzata ai medici competenti e comunque a quanti operano nel settore della prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro.

Approfondisce l’azione espletata da sostanze e composti chimici sulle cellule umane con particolare riguardo alle mutazioni che ne possono derivare.
Si tratta di un utile supporto in un ambito che non solo è ancora poco conosciuto ma che è in continuo ampliamento per effetto dei progressi della chimica; e quindi è importante porre l’attenzione sull’utilizzazione di “nuovi prodotti” negli ambienti di vita e nelle realtà produttive.

INAIL 2005

Manuale informativo Il rischio biologico per i soccorritori non sanitari dell'emergenza

ID 1228 | | Visite: 11789 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Manuale informativo rischio biologico soccoritori non sanitari

Manuale informativo
Il rischio biologico per i soccorritori non sanitari dell'emergenza

Questo Manuale informativo è stato realizzato dal Dipartimento Medicina del Lavoro (DML) - Settore ricerca, nell'ambito dell'attività di ricerca "Misure di prevenzione del rischio biologico per gli operatori dell'emergenza". 

E' rivolto a tutti coloro che non fanno parte del personale sanitario (medici e paramedici) e che per lavoro prestano soccorso alle persone in situazioni di emergenza, ad esempio: Vigili del Fuoco, Forze dell'ordine, Protezione civile, Soccorso alpino, assistenti di volo, volontari, personale di soccorso su treni o navi, etc.

Oggetto del Manuale sono i principali agenti biologici, "codificati" e classificati secondo l'Allegato XLVI del d.lgs. 81/2008 e s.m.i, cui gli addetti alle emergenze possono essere esposti. Vengono presi in considerazione, oltre ai vari agenti, le Procedure Operative Standard (POS), le misure preventive e protettive contro il rischio biologico in generale e 10 "Scenari" tipici di esposizione, comprendenti anche il bioterrorismo.

Gli altri quattro volumi della serie editoriale sono:

Batteri, Schede informative - Supporto per la realizzazione del Manuale informativo: Il rischio biologico per i soccorritori non sanitari dell’emergenza
Nell'ambito del rischio biologico, accanto ai comuni rischi infettivi presenti in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro che si configurano come rischio generico, alcune attivita lavorative possono esporre il personale addetto al rischio biologico specifico.

VIRUS, Schede informative - Supporto per la realizzazione del Manuale informativo: Il rischio biologico per i soccorritori non sanitari dell’emergenza
Nell'ambito del rischio biologico, accanto ai comuni rischi infettivi presenti in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro che si configurano come rischio generico, alcune attivita lavorative possono esporre il personale addetto al rischio biologico specifico

PARASSITI, Schede informative - Supporto per la realizzazione del Manuale informativo: Il rischio biologico per i soccorritori non sanitari dell’emergenza
Nell'ambito del rischio biologico, accanto ai comuni rischi infettivi presenti in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro che si configurano come rischio generico, alcune attivita lavorative possono esporre il personale addetto al rischio biologico specifico

FUNGHI, Schede informative - Supporto per la realizzazione del Manuale informativo: Il rischio biologico per i soccorritori non sanitari dell’emergenza
Nell'ambito del rischio biologico, accanto ai comuni rischi infettivi presenti in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro che si configurano come rischio generico, alcune attivita lavorative possono esporre il personale addetto al rischio biologico specifico

INAIL 2012
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Allegato riservato Il rischio biologico per i soccorritori non sanitari dell'emergenza - Manuale informativo.pdf
Manuale informativo INAIL
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Aging eBook: il Libro d’Argento su Invecchiamento e Lavoro

ID 6718 | | Visite: 4690 | Sicurezza lavoro

aging book

Aging eBook: il Libro d’Argento su Invecchiamento e Lavoro

Aging eBook: il Libro d’Argento su Invecchiamento e Lavoro” nasce dall’attività di un Gruppo di Lavoro della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP). La CIIP è costituita da associazioni professionali e scientifiche di operatori pubblici e privati nel campo della prevenzione dei rischi lavorativi ed ambientali. Tali associazioni, a vario titolo e in diversi campi, affrontano temi quali l’organizzazione del lavoro, la biomeccanica, la medicina del lavoro, la epidemiologia, la tossicologia, ecc., per delineare le interfacce e le relazioni tra uomo-donna e macchine, ambienti, organizzazione. CIIP ha costituito un gruppo di lavoro su “invecchiamento e lavoro” costituto da medici del lavoro, ergonomi e tecnici che esamina la principale letteratura internazionale sul tema, raccoglie esperienze e formula proposte per le realtà italiane.

L’eBook è fortemente integrato con il sito della CIIP (https://www.ciip-consulta.it) con link che consentono di accedere a contenuti di approfondimento o di documentazione.

Anche in Italia si manifesta l’invecchiamento della popolazione lavorativa dovuto sia a ragioni demografiche, sia all’incremento dell’età di pensionamento, per vincoli o per scelte economiche a seconda dei punti di vista. Soltanto una parte dei lavoratori anziani pensionati è sostituita da giovani. Ciò comporta maggiori difficoltà e problemi di idoneità e di collocabilità per diversi lavoratori anziani, con o senza malattie, soprattutto ma non soltanto nelle occupazioni con importanti carichi fisici, mentali od organizzativi.

Il tema è stato analizzato e sono proposte soluzioni sulla falsariga dell’approccio multiplo (individuale, aziendale e sociale) definito da J.Illmarinen et al., evidenziando risorse e punti critici delle variegate realtà italiane e proponendo misure di carattere ergonomico fisico, mentale ed organizzativo. Si è ispirato alla prima griglia di analisi del francese INRS modulandola sulla base di ricerche ed esperienze della Clinica del Lavoro di Milano e di altri, proponendo checklist generali e di dettaglio per imprese, lavoratori e consulenti.

Il gruppo di lavoro CIIP ribadisce tuttavia che le misure di condotta individuale (stili di vita) ed ergonomiche sono necessarie ma non sufficienti per tutti i lavoratori anziani e per tutti i compiti lavorativi e che, di conseguenza, occorre anche aggiornare misure efficaci di tutela sociale e permettere forme adeguate di uscita graduale dal lavoro.

__________

INDICE
Introduzione
Presidenza e Coordinamento del Gruppo Ciip “Invecchiamento e Lavoro”
Il gruppo di lavoro ciip e il Libro d’argento

PARTE GENERALE
Premessa:il mondo che invecchia. G. Costa

1. PARTE PRIMA
INVECCHIAMENTO E LAVORO: CONSIDERAZIONI GENERALI
1.1 Invecchiamento della popolazione lavorativa, pensionamento e salute. A. d’Errico
1.2 Fisiologia dell’invecchiamento in relazione al lavoro. R. Ghersi
1.3 L’approccio multiplo all’invecchiamento attivo sul lavoro nelle realtà italiane. R. Ghersi
1.3.1 Aspetti previdenziali. G. Costa
1.3.2 L’approccio ergonomico. R. Ghersi, O. Menoni
1.4 La valutazione dei rischi tenendo conto dell’età dei lavoratori. T. Vai, O. Menoni, D. Talini, M. Tasso
1.5 Invecchiamento al Lavoro e Lavoro a Turni. G. Costa
1.6 La sorveglianza sanitaria per i lavoratori anziani. D. Talini, T. Vai, C. Nava
1.7 La promozione della salute sul lavoro. D. Talini, R. Ghersi
1.8 La Salute del Lavoratore tra Direzione del Personale, Medico Competente e RSPP. G. Rosa, Q. Bardoscia

2. PARTE SECONDA: GESTIONE DELL’ INVECCHIAMENTO DEL PERSONALE IN SANITÀ a cura di O. Menoni, C. Nava, D. Talini, T. Vai, M.Tasso
2.1. Invecchiamento della popolazione lavorativa in sanità
2.2 Proposta di approccio integrato
2.3 Approccio per la gestione del rischio tenendo conto dell’età
2.3.1 Proposte di valutazione del rischio per l’apparato muscoloscheletrico
2.4 Aspetti di sorveglianza sanitaria e ruolo del medico competente in sanità
2.5 Il rischio psicosociale in sanità. F. D’Orsi

_________

All.1 - Mappa dei rischi rilevanti in relazione all'età

Si propone questo strumento sperimentale di valutazione (file Excel), uno strumento di ordine generale che potrà essere strutturato in modo più specifico per i diversi comparti produttivi.

All.2 - Esempio di mappa dei rischi rilevanti in relazione all'età compilata

Esempio di utilizzazione del programma per addetti di industria meccanica

All.3 - Mappa dei rischi rilevanti in relazione all'età ambito sanitario

Lo strumento è impostato per l'analisi di un reparto Ospedaliero o Struttura assistenziale

All.4 - Esempio di mappa dei rischi rilevanti in relazione all'età - ambito sanitario

Esempio di utilizzazione del programma per analisi per lavoratori OSS in medicina

Questionario "Work Ability Index" in italiano.

Questionario "WAI"

 ...
 
Fonte: CIIP 2018
 
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Allegato riservato Questionario WAI.doc
 
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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 39134 | 29 Agosto 2018

ID 6712 | | Visite: 2161 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Utilizzo di un carrello privo di lampeggiante e investimento da parte di un altro mezzo

Penale Sent. Sez. 4 Num. 39134 Anno 2018

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 19/06/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Lecce, in parziale modifica della sentenza di primo grado quanto alla posizione del coimputato R.G., per quanto rileva in questa sede, ha confermato la condanna alla pena sospesa di un mese di reclusione di G.R. per il reato di cui agli artt. 113 e 590, terzo comma, cod.pen. in relazione all'art. 583, secondo comma, cod.pen., per avere, quale dipendente della CE.I.A.S. s.p.a., con la mansione di capo turno squadra di pulizia, cagionato lesioni gravissime a S.F., altro dipendente della CE.I.A.S. s.p.a., per negligenza, imprudenza, inosservanza delle norme sulla prevenzione infortuni sul lavoro, consistita nel consentire a quest'ultimo di usare un carrello politrac privo di lampeggiante funzionante sul tetto della cabina guida, determinandone l'investimento da parte di altro mezzo (fatto del 5 marzo 2009).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, G.R., che ha dedotto 1) la violazione dell'art. 590, terzo comma, cod.pen., atteso che il datore di lavoro aveva formato il lavoratore su tutte le cautele utili a neutralizzare il rischio derivante dal suo comportamento imprudente, sicché la condotta della persona offesa che ha violato il punto 1.6.2 dei controlli prima dell'avviamento, prescritti dal manuale di uso e manutenzione del carrello, omettendo di rilevare l'omesso funzionamento del lampeggiante di segnalazione, è abnorme e interruttiva del nesso di causalità; 2) il vizio di motivazione in relazione all'art. 192 cod.proc.pen., essendo emerso dalle deposizioni testimoniali il funzionamento del lampeggiante, i cui guasti avrebbero dovuto essere segnalati.


Considerato in diritto

3. Osserva preliminarmente la Corte che il reato contestato all'imputato contestato all'imputato è prescritto, trattandosi di fatto commesso in data 5/03/2009, in relazione al quale trova applicazione la disciplina dettata dalla legge 5 dicembre 2005, n.251; con la conseguenza che, il termine massimo di prescrizione deve ritenersi stabilito in sette anni e mezzo in virtù del combinato disposto degli artt. 157,160, comma 3, e 161, comma 2, cod.pen.
Né il ricorso presenta profili di inammissibilità ostativi alla declaratoria della causa estintiva.
Va parimenti escluso l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza del ricorrente. Sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129, comma 2, cod.proc.pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezioni ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275). Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall'art. 129, comma 2, cod.proc.pen., l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputato impone l'applicazione della causa estintiva.
4. Va disposto, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali, essendo il reato contestato estinto per prescrizione.
5. Il ricorso è infondato agli effetti civili: in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259227). Più precisamente, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015 Ud., Rv. 263386). La violazione del manuale di uso e manutenzione del carrello, da parte del lavoratore, non può, dunque, esonerare il datore di lavoro o il suo preposto dalla responsabilità per violazione dell'obbligo di vigilanza.
L'ulteriore motivo è parimenti infondato, in quanto non denuncia una manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione, ma si limita a proporre una ricostruzione dei fatti diversa da quelle effettuata dai giudici di merito che, in modo congruo e lineare, in base al mancato rinvenimento della campana del lampeggiante o di frammenti della stessa nel luogo dell'incidente; allo stato di ossidazione del lampeggiante, rilevato dal c.t. del P.M.; alla fissazione del dispositivo luminoso alla cappotte del carrellino con silicone, essendo i fili elettrici tranciati, hanno ritenuto il carrello elettrico privo di lampeggiante di segnalazione funzionante sul tettuccio. Detta versione risulta, inoltre, in contrasto con le allegazioni sottese alla formulazione della prima censura.
Va ricordato, difatti, che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili

Così deciso 19 giugno 2018.

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DPCM 17 Dicembre 2007

ID 6697 | | Visite: 5517 | Decreti Sicurezza lavoro

D P C M  21 dicembre 2007

DPCM 17 Dicembre 2007

DPCM 17 Dicembre 2007 Esecuzione dell'accordo del 1° agosto 2007, recante: "Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro".

GU N. 3 del 4 Gennaio 2008

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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 22191 | 12 Settembre 2018

ID 6812 | | Visite: 2537 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Infortunio mortale a seguito di rottura del cavo di sollevamento della gru

Civile Sent. Sez. L Num. 22191 Anno 2018

Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI
Data pubblicazione: 12/09/2018

Ritenuto

Con sentenza in data 7 ottobre 2013, la Corte d'appello di Palermo rigettava l'appello proposto da V.A.B. e A.T. avverso la sentenza di primo grado, che aveva condannato il primo alla corresponsione, a titolo di danno morale in conseguenza del decesso del suo dipendente C.A. per l'infortunio sul lavoro occorsogli il 14 dicembre 2007, della somma di € 230.000,00 in favore di G.S., di € 180.000,00 ciascuno a D. e G.C. e di € 150.000,00 in favore di G.S.C.: tutti eredi del lavoratore deceduto, nei confronti dei quali aveva pure dichiarato inefficace la costituzione del fondo patrimoniale, con atto del 7 gennaio 2008, tra il predetto datore di lavoro e A.T., limitatamente ai beni e alle quote di proprietà del primo; ed infine condannato entrambi alla rifusione delle spese processuali.
A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la nullità del ricorso introduttivo del giudizio, per la puntuale descrizione della dinamica dell'incidente (improvvisa rottura del cavo di sollevamento della gru, nel cantiere per la costruzione di un complesso edilizio nel quale lavorava C.A., dipendente di V.A.B. con la qualifica di carpentiere, che ne rimaneva violentemente colpito al viso dalla parte rimasta libera dal cestello, decedendo immediatamente), imputabile al datore di lavoro (attraverso il riferimento alla pendenza di procedimento penale a suo carico per omicidio colposo), di cui riteneva la responsabilità in esito alle scrutinate risultanze istruttorie.
Infine, la Corte palermitana ravvisava la correttezza della condanna alle spese processuali di primo grado anche del coniuge di V.A.B., A.T., siccome partecipe della costituzione del fondo patrimoniale in immediata sequenza temporale all'infortunio.
Avverso tale sentenza V.A.B. e A.T., con atto notificato il 16 ottobre 2013, proponevano ricorso per cassazione con due motivi; gli eredi appellati intimati non svolgevano difese.

Considerato

1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c., 163, terzo e quarto comma, 414 c.p.c. e contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per la nullità dell'atto introduttivo del giudizio, erroneamente esclusa dalla Corte territoriale pertanto incorsa in error in procedendo, in assenza dei necessari requisiti di chiarezza, precisione e completezza nella descrizione dei fatti e degli elementi di diritto a fondamento della domanda risarcitoria ai sensi dell'art. 2087 c.c., non soddisfatti dalla produzione degli atti del procedimento penale a carico datoriale con la memoria istruttoria comunicata a norma dell'art. 426 c.p.c..
2. Con il secondo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c., per erroneo rigetto del motivo di censura della condanna solidale alle spese del giudizio di primo grado anche del coniuge del datore, A.T., estranea al rapporto di lavoro nel cui svolgimento si era verificato il sinistro mortale del lavoratore, nell'inosservanza dei principi di diritto dell'incidenza dell'inefficacia della costituzione di fondo patrimoniale nei soli confronti del coniuge debitore e non anche dell'altro, neppure litisconsorte necessario
3. In disparte la sua inammissibilità per genericità, in violazione della prescrizione di specificità dell'art. 366, n. 4 e n. 6 c.p.c., sotto il profilo di inosservanza del principio di autosufficienza, per omessa trascrizione dell'atto introduttivo (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con principio affermato ai sensi dell'art. 360bis, n. 1 c.p.c.; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 7 giugno 2017, n. 14107), da rispettare anche nell'ipotesi in cui questa Corte, come appunto per il vizio di error in procedendo, sia giudice del fatto processuale, dovendo comunque la censura essere proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077), il primo motivo è infondato.
3.1. La denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c., 163, terzo e quarto comma, 414 c.p.c. e contraddittoria ed insufficienza motivazione su un punto decisivo della controversia, per erronea esclusione della nullità dell'atto introduttivo del giudizio, deve infatti essere esclusa.
3.2. Essa ricorre soltanto quando "l'esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda", prescritta dall'art. 163 c.p.c. n. 4, sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso, occorrendo tenere conto sia che l'identificazione della causa petendi della domanda va operata con riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, sia che la nullità della citazione deriva dall'assoluta incertezza delle ragioni della domanda, risiedendo la sua ratio ispiratrice nell'esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (Cass. 15 maggio 2013, n. 11751; Cass. 21 novembre 2008, n. 27670).
3.3. D'altro canto, la Corte territoriale ha positivamente accertato la ricorrenza dei requisiti dell'atto introduttivo (quanto ad allegazione della dinamica dell'infortunio sul lavoro purtroppo tale e alla responsabilità del datore di lavoro), con motivazione rispondente ai requisiti prescritti dal novellato testo art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (per le ragioni esposte dal penultimo comma di pg. 2 al primo di pg. 3 della sentenza): con la conseguente inconfigurabilità del vizio motivo denunciato (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass. 20 novembre 2015, n. 23828; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940) e insindacabilità nell'odierna sede di legittimità dell'accertamento del giudice di merito.
4. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c. per erroneo rigetto della censura di condanna solidale alle spese del giudizio di primo grado anche di A.T., coniuge del datore estranea al rapporto di lavoro in cui è occorso il sinistro mortale, è infondato.
4.1. I coniugi stipulanti un fondo patrimoniale per i bisogni della famiglia sono, infatti, litisconsorti necessari nel giudizio promosso dal creditore personale al fine di revocare l'atto costitutivo del fondo, al quale abbiano preso parte entrambi, per la necessità, in conseguenza della natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla costituzione del fondo, che la sentenza di revoca faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il vincolo stesso è stato costituito (Cass. 18 ottobre 2011, n. 21494; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1242; Cass. 3 agosto 2017, n. 19330).
4.2. Sicché, correttamente è stato applicato il regime di ripartizione delle spese processuali, con adeguata argomentazione motiva (per le ragioni esposte al secondo capoverso di pg. 5 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità.
5. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, senza assunzione di provvedimenti sulle spese, non avendo svolto difese le parti intimate vittoriose.



P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 17 maggio 2018

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Linee guida requisiti igienico-sanitari dei luoghi di lavoro RFVG

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Requisiti igienico sanitari luoghi di lavoro RFVG

Linee guida requisiti igienico-sanitari dei luoghi di lavoro RFVG

Requisiti igienico-sanitari dei luoghi di lavoro destinati alle attività di produzione di beni e dei servizi di cui alla direttiva 123/2006/CE.

Con l’adozione della Direttiva 123/2006/CE la Comunità Europea ha chiesto agli Stati membri di creare le condizioni necessarie per il completo esercizio della libertà di stabilimento e di prestazione di servizi nell’UE. Lo Stato Italiano ha, di conseguenza, approvato numerosi provvedimenti normativi di semplificazione e liberalizzazione delle attività produttive, ispirati, tra l’altro, ai seguenti concetti:

- progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese;
- proporzionalità degli adempimenti amministrativi alle esigenze di tutela degli interessi pubblici coinvolti in relazione ai diversi soggetti destinatari, nonché alla dimensione dell’impresa e al settore di attività, e nel contempo ha accelerato la costituzione ed il funzionamento degli Sportelli Unici per le attività produttive (SUAP). Le Aziende sanitarie rivestono un ruolo di particolare rilevanza nell’ambito dei procedimenti di competenza dei SUAP, sia in fase costruttiva, che in fase di esercizio di un’attività produttiva.

Il legislatore ha riaffermato il diritto dell’impresa di operare in un contesto normativo certo e in un quadro di servizi pubblici tempestivi e di qualità, riducendo al minimo i margini di discrezionalità amministrativa. Il “principio guida” del presente documento è dunque la volontà di “uniformare e standardizzare”, sul territorio regionale, i requisiti igienico-sanitari, sia riferiti agli interventi edilizi su impianti produttivi, sia allo svolgimento delle attività produttive.

Regione FVG 2014

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Regione FVG - 2014
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Rischi container sottoposti a fumigazione

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Rischi container sottoposti a fumigazione

Gestione dei container sottoposti a fumigazione nei porti - rischi per la salute e pratiche di prevenzione

EU-OSHA 10.04.2018

Questa relazione esamina i potenziali rischi per la sicurezza e la salute derivanti dalla manipolazione nei porti di container che sono stati sottoposti a fumigazione con pesticidi.

Gli autori esaminano la normativa, individuano i rischi e descrivono esempi pratici di misure e strategie preventive, concludendo che le nostre conoscenze in materia sono ancora notevolmente lacunose. Il problema è sottovalutato anche a causa del fatto che non vengono tenuti registri adeguati degli effetti nocivi sulla salute e perché raramente i container fumigati sono etichettati come tali.

Gli autori raccomandano di dare la priorità alle misure di controllo quali la valutazione dei rischi dei container prima della loro apertura, lo screening di routine dei container che arrivano nei porti e le misure per far rispettare i regolamenti in materia di etichettatura dei container.

I container merci sono ampiamente utilizzati in tutto il mondo per il trasporto di merci. Questi container merci sono frequentemente sottoposti a fumigazione con pesticidi prima della spedizione.

L'obiettivo di questo rapporto è di fornire una revisione della potenziale sicurezza e salute sul lavoro (SSL) - rischi connessi derivanti dall'esposizione a container merci oggetto fumigazione nei porti e per identificare la prevenzione lacune e suggerire raccomandazioni su come questi rischi possono essere ridotti al minimo. Per raggiungere questo, il rapporto descrive la legislazione pertinente, fornisce esempi di azioni e strategie preventive utilizzate, identifica i rischi per la salute e la sicurezza e include conclusioni e raccomandazioni finali.

I principali risultati dello studio possono essere così elencati:

- ci sono diverse indicazioni che evidenziano che il problema della fumigazione è sottovalutato, probabilmente per mancanza di documentazione sistematica degli incidenti con effetti avversi sulla salute.
- i contenitori fumigati non risultano quasi mai etichettati e le pratiche durante l'apertura e lo scarico di questi contenitori non seguano procedure sicure basate su adeguate valutazioni del rischio.
- raccomandazioni e procedure per le misure di controllo, come la misurazione tecnologia / strategia, degassificazione / ventilazione e dispositivi di protezione individuale (DPI), dovrebbe essere sviluppati per vari scenari.

Nel trasporto vengono utilizzati diversi fumiganti con effetti sulla salute significativi a breve e a lungo termine, con metil bromuro (MeBr) e fosfina (PH3).

- La proporzione di contenitori con una concentrazione di fumiganti al di sopra dell'esposizione professionale limite (OEL) varia considerevolmente tra gli studi. In otto dei nove studi disponibili dal 2002 fino al 2013, l'OEL per fosfina è stato superato nello 0,4-3,5% dei contenitori (e nel 47,2% di contenitori in uno studio), mentre MeBr era superiore al limite di OEL nello 0-21,1% dei contenitori.Le variazioni erano probabilmente dovute a fattori come le diverse procedure di selezione dei contenitori misurazione, numero di contenitori misurati, strumenti di misura, contenuto dei contenitori e paese di origine.

- Le pubblicazioni / relazioni disponibili sullo screening dei contenitori con fumiganti si riferiscono a porti più grandi prima del 2014 e potrebbe non essere rappresentative della situazione attuale.

- Non esiste una distribuzione omogenea dei pesticidi tra i tipi di carico, ad eccezione di PH3 in prodotti alimentari.

- I contenitori fumigati non sono quasi mai etichettati in modo appropriato. Sembra che l'aumento dei costi di trasporto costituisca uno dei principali ostacoli alla corretta etichettatura dei contenitori fumigati.

La conoscenza e la consapevolezza dei rischi per la salute tra i lavoratori che aprono container sembrano essere basso, anche se i datori di lavoro sono obbligati a informare i lavoratori su tutti i rischi nel loro lavoro ambiente e fornire una formazione adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

- I luoghi di lavoro sono multiculturali. L'uso di lingue diverse tra i lavoratori è tra gli ostacoli alla formazione adeguata dei lavoratori.

- I lavoratori che scaricano contenitori possono essere esposti a fumiganti se aprono contenitori che non siano stati controllati o dichiarati privi di gas. 

- Finora non ci sono state segnalazioni di decessi legati all'apertura di container, ma diversi i rapporti descrivono effetti avversi sulla salute nei lavoratori che aprono e scaricano contenitori.

- Pochi paesi sembrano avere linee guida dettagliate e adeguate su come gestire il trasporto merci contenitori che potrebbero essere stati sottoposti a fumigazione.

- Le misurazioni / campioni di fumiganti sono presi principalmente usando sonde spinte attraverso la gomma sigilli di porte per container. Queste sonde sono collegate a vari strumenti di monitoraggio e indicano un potenziale picco di esposizione per il personale che apre i contenitori, piuttosto che l'esposizione personale media misurata nella zona di respirazione degli operai durante lo scarico.

- La pratica corrente per la degassificazione è scarsamente documentata e spesso i contenitori vengono lasciati ventilare naturalmente, anche se questo non risulta essere efficiente.

- Sono stati pubblicati metodi efficienti per la degassificazione mediante ventilazione forzata ad estrazione, ma risulta che siano pochi i porti che utilizzino tali strumentazioni.

- Il design attuale del contenitore non è ottimale per il degasaggio con ventilazione forzata ad estrazione.

- L'uso di DPI è incoerente e variabile, e le routine e le linee guida sui DPI adeguati sono spesso carente.

- La decisione di utilizzare o meno i DPI sembra essere lasciata ai lavoratori, che potrebbero non essere sufficienti conoscenza del rischio e livello di protezione necessari.

__________

Executive Summary
1 Introduction
2 Methods
3 Relevant legislation and policy documents
4 Health and safety risks related to fumigated containers at port
4.1 Overview of relevant fumigants and potential health effects
4.2 Groups of workers potentially exposed to fumigants
4.3 Health effects among workers at port
5 Present procedures and practices
5.1 Risk communication systems
5.2 Risk assessment
5.3 Procedures and guidelines
5.3.1 ‘Technical Rules for Hazardous Substances (TRGS 512) “Fumigations” ’ (BAuA, 2007)
5.3.2 ‘Safe handling of gases in shipping containers’ (Gezond Transport, 2011)
6 Registration of collected data takes place
6.1.1 Example of measurement strategy
6.1.2 Examples of leaflets/information sheets/cards
6.2 Identification of hazardous containers
6.3 Knowledge and awareness
6.4 Monitoring equipment and procedures Low levels of PH3 were detected by indicator tubes (Kitagawa, Dräger)
6.5 Degasification and ventilation technologies
6.6 Personal protective equipment (PPE)
7 Conclusions and recommendations for policy and practice
8 References
9 Annex 1
9.1 Overview of legislation and regulatory instruments already in place in respect of the regulation and facilitation of safe handling of fumigated containers at the port or end-user in the European Union

Fonte: EU-OSHA 

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Parere Gpdp schema di decreto attuativo D.lgs 81/08

ID 6794 | | Visite: 4390 | News Sicurezza

Parere Gpdp schema di decreto attuativo D.lgs 81/08 

Parere su uno schema di decreto volto a dare attuazione alle disposizioni del D.lgs. 81/08 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica 

...

Si rappresenta che lo schema di decreto, oggetto di parere, fa parte dei decreti attuativi del D.lgs 81/08 ancora ad oggi non emanati, come riportato inoltre, nella Relazione sullo stato di applicazione della normativa di salute e sicurezza e sul suo possibile sviluppo (Art. 6, Comma 8, lett. 3), del D. Lgs. 81/08 e s.m.i.)

Articolo 3. comma 2 Dlgs 81/08

2. Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dei servizi di protezione civile, nonche' nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalita' istituzionali alle attivita' degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle universita', degli istituti di istruzione universitaria, delle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, delle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 1° agosto 1991, n. 266, degli uffici all'estero di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarita' organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attivita' condotte dalla Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, nonche' dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei vigili del fuoco, nonche' dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale, individuate entro e non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale nonche', relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare; analogamente si provvede per quanto riguarda gli archivi, le biblioteche e i musei solo nel caso siano sottoposti a particolari vincoli di tutela dei beni artistici storici e culturali.

Con decreti, da emanare entro cinquantacinque mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede a dettare le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento con la disciplina recata dal presente decreto della normativa relativa alle attivita' lavorative a bordo delle navi, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, in ambito portuale, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, e per il settore delle navi da pesca, di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 298, e l'armonizzazione delle disposizioni tecniche di cui ai titoli dal II al XII del medesimo decreto con la disciplina in tema di trasporto ferroviario contenuta nella legge 26 aprile 1974, n. 191, e relativi decreti di attuazione. 

_________

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GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

Parere su uno schema di decreto volto a dare attuazione alle disposizioni del D.lgs. 81/08 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica -19 luglio 2018

Registro dei provvedimenti n. 423 del 19 luglio 2018

Nella riunione odierna, in presenza della dott.ssa Augusta Iannini, vice presidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;
Vista la richiesta di parere del Ministero dell’interno;
Visto l’articolo 36, par. 4, del Regolamento (UE) 2016/679, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati, di seguito Regolamento);
Vista la documentazione in atti;
Viste le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’articolo 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;
Relatore la dott.ssa Augusta Iannini;

Premesso

Il Ministero dell’Interno ha richiesto il parere del Garante su uno schema di decreto volto a dare attuazione alle disposizioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nel luoghi di lavoro, nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento del vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale del vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell'Interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica.

L’articolo 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, infatti, prevede che la disciplina In materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro si applichi alle Forze di polizia e, quindi, per quel che interessa in questa sede, alla Polizia di Stato, al Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, di seguito denominato «Dipartimento dei vigili del fuoco» e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di seguito denominato «Corpo nazionale», nonché nell'ambito delle strutture destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative, individuate con decreti emanati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Sullo schema di decreto sono state consultate le organizzazioni sindacali del personale interessato più rappresentative sul piano nazionale della Polizia di Stato, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dell'Amministrazione civile dell'interno; è stato acquisito il concerto dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della semplificazione e la pubblica amministrazione e sono stati acquisiti i pareri della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e del Consiglio di Stato.

Rilevato

1. Lo schema di decreto, corredato dalla relazione illustrativa (RI), dall’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e dall’analisi tecnico normativa (ATN) è articolato in quattro capi e si compone di 20 articoli. Se ne illustrano brevemente di seguito quelli di maggiore interesse sotto il profilo della protezione dei dati personali.

1.1. Il Capo I dello schema di decreto contiene le disposizioni di carattere generale applicabili in tutti i luoghi di lavoro oggetto del decreto, al fine di garantire efficace e specifica tutela alla salute ed alla sicurezza.

Il primo articolo dello schema di decreto delimita l'ambito di operatività delle disposizioni comuni concernenti le speciali modalità di applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nei riguardi degli uffici della Polizia di Stato e del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, indicando l'ambito di applicazione dello schema sotto il profilo soggettivo. L'articolo chiarisce che lo schema medesimo si applica, oltre che alle varie categorie di personale del Ministero dell'interno, anche al personale volontario del Corpo nazionale.

L'articolo 2 dello schema di decreto, indica quali debbano essere le regole per l’individuazione del “datore di lavoro” e delinea il sistema delle responsabilità in tema di salute e sicurezza dei lavoratori. Il comma 2 del presente articolo, prevede che le funzioni di datore di lavoro -nel rispetto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato e dei peculiari assetti organizzativi e ordinamentali vigenti, nelle strutture di cui trattasi- possano essere assolte anche dal dirigente al quale spettano i poteri di gestione dell'ufficio, ivi inclusi quelli di organizzazione del lavoro di autonoma valutazione del rischio, ovvero dal funzionario non avente qualifica dirigenziale preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale anche ai fini dell’organizzazione del lavoro e della valutazione del rischio, ancorché non siano dotati di autonomi poteri di spesa.

Su tale articolo, come si legge anche nella relazione illustrativa dello schema di decreto, “(...) è stata valutata la necessità di operare una deroga alle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 81/2008 in ragione delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato e alle peculiarità organizzative sia del Dipartimento della pubblica sicurezza sia del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile”.

L'articolo 4 dello schema si occupa delle segnalazioni e della trasmissione dei documenti che il decreto legislativo n. 81 pone a carico del datore di lavoro e del medico competente, concernenti la tutela della sicurezza e della salute del personale in servizio nelle strutture oggetto dello schema di decreto, dettando una disciplina differenziata per il personale della Polizia di Stato e del Corpo nazionale, da un lato, e per quello dell'amministrazione civile dell'interno, dall'altro.

Il comma 2 di suddetto articolo, inoltre, prevede che i dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali di tali categorie di personale sono, poi, trasmessi all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, a soli fini statistici e in forma aggregata e anonima. La trasmissione avviene attraverso il sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), secondo le modalità e con la cadenza periodica previste dal decreto interministeriale di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 81 del 2008.

L'articolo 5 prevede che il servizio di prevenzione e protezione sia istituito avvalendosi -al fine di assicurare la massima tutela della riservatezza e della segretezza delle informazioni gestite nei luoghi di lavoro nell'ambito delle strutture di cui all'articolo 1 dello schema di decreto- solo di personale dell’Amministrazione, in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 32 decreto legislativo n. 81 del 2008, in servizio presso le articolazioni di cui al medesimo articolo 1, comma 2, lettere a) e b), secondo il rispettivo ambito istituzionale di competenze.

Gli articoli 6 e 7 dello schema individuano, rispettivamente, gli organi deputati a svolgere l'attività di vigilanza nei luoghi di lavoro e nelle strutture indicate dall'articolo 1 dello schema di decreto e le relative competenze e conformemente a quanto previsto dall'articolo 13, comma 1 bis, del decreto legislativo n. 81, si sancisce l'esclusività dell'azione di vigilanza "interna" sulle strutture delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco, ivi comprese le aree riservate o operative o che presentano analoghe esigenze.

1.2. Il Capo II e il Capo III disciplinano le disposizioni applicabili, rispettivamente, nelle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato e nell’ambito delle strutture destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica del Ministero dell'interno, da un lato, e in quelle del Dipartimento dei vigili del fuoco e del Corpo nazionale, dall'altro.

L'articolo 8 individua in dettaglio le particolari esigenze connesse alle attività istituzionali ovvero alle peculiarità organizzative, che debbono essere tenute presenti nell'applicazione della disciplina in materia di salute e sicurezza nei predetti uffici. Prevede inoltre che nei medesimi uffici siano in ogni caso salvaguardate le caratteristiche strutturali, organizzative e funzionali preordinate a realizzare un adeguato livello di protezione e di tutela del personale in servizio e delle sedi di servizio, installazioni e mezzi, contro il pericolo di attentati o comunque di interferenze dall’esterno; la sicurezza e la riservatezza delle telecomunicazioni e del trattamento dei dati; la prevenzione dalla fuga o da aggressioni, nonché la prevenzione da azioni di autolesionismo delle persone detenute, arrestate, fermate o trattenute.

L'articolo 9 è dedicato alle funzioni di medico competente e prevede che tale funzione sia svolta dai medici del ruolo professionale dei sanitari della Polizia di Stato.

L'articolo 10 detta disposizioni per I1 individuazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza del personale della Polizia di Stato, conformando anche in questo caso le relative procedure alle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 81, mentre l’articolo 11 disciplina la formazione, informazione e l’addestramento del personale.

L'articolo 12 prevede disposizioni in materia di controlli tecnici, certificazioni, interventi strutturali e manutenzioni. In particolare in esso si dispone che i materiali, le armi, le installazioni, le attrezzature di protezione, e gli altri mezzi specificati nella norma restino disciplinati dalle specifiche "procedure elaborate" sulla scorta del capitolato tecnico, del contratto e del disciplinare d'uso/istruzione di impiego e manutenzione.

L'articolo 14, detta i criteri per la tutela della riservatezza delle informazioni, di cui è ritenuta inopportuna o è preclusa la divulgazione, relative alle gare d'appalto e al documento di valutazione dei rischi da interferenze.

L'articolo 15 disciplina l'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nelle aree e strutture di pertinenza del Dipartimento dei vigili del fuoco e nelle articolazioni centrali e periferiche del Corpo nazionale. Al comma 2, in particolare, definisce, in relazione ai principi e alle finalità istituzionali del soccorso pubblico, della difesa civile, della protezione civile e della tutela della pubblica incolumità, quali sono le particolari esigenze connesse al servizio prestato dal personale ovvero alle peculiarità organizzative che richiedono una disciplina differenziata nella materia della sicurezza del lavoro per tale personale (di cui all’art. 3 comma 2 del D.lgs. 81/08).

Tra le suddette particolari esigenze oltre a quelle di “direzione, coordinamento, gestione e conduzione, funzionali all'espletamento dei compiti istituzionali” viene annoverata anche la “riservatezza e sicurezza delle telecomunicazioni e del trattamento dei dati” (comma 2, lett. e).

L'articolo 16 individua le modalità di valutazione dei rischi ai fini della scelta e individuazione dei vestiari, materiali e, automezzi attrezzature e dispositivi di protezione individuale forniti al personale del Corpo nazionale. In particolare, il datore di lavoro effettua la valutazione dei rischi e redige il relativo documento solamente all'interno delle sedi e infrastrutture di competenza.

L’articolo 18, prevede che, in virtù della specifica disciplina ordinamentale del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, la funzione di medico competente sia svolta dai medici dei ruoli professionali dei direttivi e dei dirigenti medici del Corpo.

Particolare rilievo assume il comma 3 del suddetto articolo, in cui si stabilisce che per il personale del Corpo nazionale la verifica di assenza di condizioni di alcol-dipendenza o di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti, di cui all'articolo 41, comma 4, del decreto legislativo n. 81, sia disciplinata con provvedimento del Capo del Dipartimento dei vigili del fuoco.

Come indicato nella relazione illustrativa “l'importanza di tale previsione è da individuare nell' esigenza di sottoporre il personale appartenente ai ruoli del Corpo nazionale agli specifici accertamenti sanitari, con tempi e modalità opportunamente definiti con provvedimento interno, atteso che lo stesso viene impiegato anche in mansioni che comportano rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute di terzi”.

Ritenuto

2. Esaminato lo schema di decreto, il Garante, rileva che non si rinvengono particolari profili di criticità sotto il profilo della protezione dei dati personali, risultando lo schema, nel suo complesso, conforme ai principi di cui all’articolo 5 e ai presupposti di liceità stabiliti dagli articoli 6 e 9 del Regolamento (UE) 2016/679, pienamente applicabile dal 25 maggio scorso e che si ritiene doveroso citare nel preambolo del decreto.

Occorre considerare infatti che fra i requisiti di liceità del trattamento, il Regolamento comprende la necessità per il titolare di adempiere ad un “obbligo legale” o di eseguire “un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, di cui è investito” oppure, qualora i dati oggetto del trattamento siano “dati relativi alla salute”, la circostanza che il trattamento sia “necessario per assolvere agli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro” o per finalità di “medicina del lavoro”, nel rispetto della specifica disciplina di settore per la quale, peraltro, il Regolamento prevede, in questi casi, una apposita “riserva” normativa a favore degli Stati membri (cfr. art. 6, paragrafi 1, lett. c) ed e), 2 e 3, e art. 9, par. 2, lett. b) ed h), Reg).

Da questo punto di vista, tenuto anche conto della natura regolamentare dello schema di decreto oggetto di parere, il trattamento dei dati effettuato nell’ambito degli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che sono da annoverare tra le categorie particolari di dati, nella specie “sanitari”, appare supportato da adeguata base giuridica (cfr. art. 3 D.lgs. 81/08 e in particolare artt. 4, 9 e 15 dello schema).

Infine, con riferimento all'articolo 2 dello schema di decreto, si ritiene che il sistema delle responsabilità in tema di salute e sicurezza dei lavoratori ivi delineato abbia rilevanza ai soli fini degli adempimenti in materia di salute e sicurezza dei dipendenti, restando salva la titolarità dei relativi trattamenti e l’imputazione delle eventuali conseguenti responsabilità in capo all’amministrazione interessata.

3. Cionondimeno, il Garante ritiene necessario fornire talune precisazioni volte a perfezionare il testo dello schema di decreto nei termini di seguito indicati.

L’articolo 4 dello schema di decreto intende dare attuazione all’articolo 13 comma 1 -bis del d.lg. n. 81, in base al quale, nei luoghi delle Forze armate, di polizia e dei vigili del fuoco, la vigilanza sull’applicazione della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta “esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni”, diversamente, da quanto previsto per tutti i lavoratori rispetto ai quali tale funzione di vigilanza è svolta dall’azienda sanitaria locale competente per territorio e, per alcuni profili, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco (cfr. art. 13, comma 1, cit.). A tal riguardo l’articolo 4 stabilisce che le segnalazioni e le comunicazioni da parte del datore di lavoro e del medico competente s’intendono compiute agli uffici di vigilanza interni individuati in base al successivo articolo 6.

Ciò premesso, per quanto riguarda il personale dell’amministrazione civile dell’Interno, si prevede che le segnalazioni e le trasmissioni di documenti debbono essere effettuate nei casi e nei modi previsti in via ordinaria dal decreto n. 81 (ossia nei confronti dei soggetti di cui all'art. 13, comma 1 d.lg. n. 81/2008, ASL e VV.FF.) ma che le stesse siano “comunque inoltrate” anche in favore degli organi di vigilanza interni (art. 4, comma 3, dello schema).

Sul punto, anche alla luce del principio di proporzionalità, si ritiene opportuno valutare la necessità di prevedere tale doppio regime di comunicazione.

Sotto altro profilo, sebbene al personale delle Forze di Polizia e al personale delle Forze armate non trovi applicazione la disciplina In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (artt. 1 e 4 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124) che presuppone trattamenti in capo all’INAIL, lo schema di decreto prevede comunque, al comma 2 del predetto articolo 4, la trasmissione all’INAIL dei dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali di tale personale, attraverso il sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) “a fini statistici, in forma anonima e aggregata” (cfr. sul punto, art. 18, comma 1, lett. r) d.lg. n. 81/2008, comunicazioni in via telematica del datore di lavoro all’Inail).

Al riguardo, resta fermo che tale flusso informativo debba, in ogni caso, avvenire nell’ambito della cornice normativa del decreto interministeriale 25 maggio 2016 n. 183 che, in attuazione dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 81, ha individuato le regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) e le regole per il trattamento dei dati, nonché la disciplina delle "speciali modalità con le quali le forze armate e le forze di polizia partecipano al sistema informativo relativamente alle attività operative e addestrative".

Tale decreto è stato adottato a seguito delle specifiche osservazioni rese dal Garante con due pareri successivi (parere n. 283 del 7 luglio 2011 [doc. web n. 18297041 e parere n. 295 del 12 giugno 2014 [doc. web n. 32559631. reperibili sul sito www.garanteprivacy.it).

In particolare, si ritiene che la trasmissione dei dati di tale personale debba avvenire per le sole finalità di cui all’articolo 8 comma 1 decreto n. 81 (“orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia dell’attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici [..]”) e nel rispetto delle indicazioni già fornite dal Garante con i menzionati pareri, rispettando le speciali modalità di partecipazione al sistema da parte delle forze armate e di polizia e applicando tecniche di anonimizzazione dei dati che non consentano l’identificabilità delle persone fisiche interessate (cfr., punto 2.4. del parere Garante n. 295 del 2014).

Tutto ciò premesso il Garante

esprime parere favorevole sullo schema di decreto volto a dare attuazione alle disposizioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell'Interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, con le osservazioni di cui al punto 3.

Roma, 19 luglio 2018

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Fonte: Garante per la protezione dei dati personali

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Collegati:

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 21199 | 31 maggio 2012

ID 6774 | | Visite: 2956 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Infortunio mortale di un lavoratore alla guida di un carrello elevatore: mezzo non sicuro e mancanza di cinture di sicurezza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 21199 Anno 2012

Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente
Dott. IZZO Fausto - Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco M. - rel. Consigliere

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Il Tribunale di Lecce ha affermato la penale responsabilità dell'imputato in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di (Omissis). La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Lecce.

Secondo quanto ritenuto dai giudici di merito il (Omissis) si trovava alla guida di un carrello elevatore quando, per effetto di un errore di manovra non esattamente definito, determinava il ribaltamento del veicolo cui conseguiva l'impatto tra il cranio e le strutture metalliche dell'abitacolo, che cagionava lesioni letali. All'imputato, nella veste di datore di lavoro, è stato mosso l'addebito di aver messo a disposizione del dipendente un carrello privo di cintura di sicurezza e con struttura metallica dell'abitacolo insicura.

2. Ricorre per cassazione l'imputato.

2.1 Con il primo motivo si deduce che la Corte di merito ha arbitrariamente ritenuto che l'urto del capo della vittima sia stato determinato dal contatto con le strutture metalliche del carrello e non con il suolo; che altrettanto arbitrariamente si è opinato che l'intera struttura metallica fosse una superfetazione artigianale; che erroneamente si è ritenuto che appropriate misure di sicurezza avrebbero potuto evitare l'evento letale. In particolare non ha avuto rilievo causale alcuno il tettuccio tagliente, che non è stato coinvolto nell'impatto; nè avrebbe avuto utilità l'apposizione di cintura di sicurezza ventrale, che non avrebbe impedito il violento spostamento laterale del guidatore provocato dal ribaltamento del mezzo di novanta gradi ed il conseguente impatto col suolo o col montante della cabina.

La Corte, in breve, si è limitata a valutare negativamente talune situazioni di pericolo astratto senza verificare se esse potessero o meno essere in rapporto causale con l'evento. Di decisivo rilievo è, ribadisce il ricorrente, che la prescritta cintura di sicurezza ventrale non avrebbe impedito lo spostamento laterale del tronco della vittima. D'altra parte, le disposizioni per evitare il ribaltamento sono finalizzate a cautelare le operazioni di sollevamento e trasporto del materiale, mentre nel caso in esame il ribaltamento è conseguenza di un errore di guida da parte della vittima.

2.2 Con il secondo motivo si lamenta che, senza appropriata motivazione, sono state negate le attenuanti generiche ed è stata irrogata una condanna lontana dal minimo edittale, senza considerare la tenuità dei pregiudizi penali e la natura ed entità dei fatti.

3. Il ricorso è infondato.

La sentenza impugnata premette che il sinistro ha avuto luogo per un errore commesso dal (Omissis) nel corso dell'esecuzione di una manovra mentre si trovava alla guida del carrello. Si aggiunge che l'impatto del cranio ha avuto luogo con le strutture metalliche del veicolo. A tale riguardo viene compiuta diffusa, minuziosa analisi del materiale probatorio e soprattutto dei rilievi fotografici e delle tracce di sangue per dimostrare che l'impatto è avvenuto con la parte anteriore del tettuccio che, costruito artigianalmente, era insicuro essendo costituito da materiale anelastico. Il corpo, dunque, non ha mai impattato con il terreno. In tale situazione ha avuto sicuro rilievo la mancanza di cintura di sicurezza. Infatti, la frattura scomposta della regione occipitale è conseguenza del ribaltamento del mezzo e del conseguente sbalzamento del suo conducente, ma anche del peso del corpo che, proiettato all'indietro, ha costituito sovraccarico di notevole entità per il cranio. Si aggiunge che il consulente ha rimarcato che se fosse stata indossata la cintura, di cui il mezzo era sprovvisto, il bacino del conducente sarebbe rimasto vincolato, con la conseguenza che l'urto sarebbe stato molto meno violento, con conseguenze de tutto differenti da quelle verificatesi. Si aggiunge, a completamento del quadro, che la cabina era irregolare e che il conducente non indossava il casco che avrebbe costituito una efficace protezione. Anche nell'ipotesi che tale apparato fosse stato fornito, incombeva comunque sul datore di lavoro l'obbligo di assicurare l'osservanza della normativa antinfortunistica.

Tale argomentato apprezzamento è basato su plurime e significative acquisizioni probatorie ed è supportato dalle valutazioni del consulente tecnico. Esso è immune da vizi logico giuridici e non è quindi sindacabile nella presente sede di legittimità. Nel suo nucleo, la pronunzia dimostra persuasivamente che la mancanza della cintura di sicurezza ventrale ha avuto un decisivo ruolo nella dinamica del sinistro, incrementando in modo drammatico l'entità dell'impatto del cranio con le parti metalliche del veicolo e cagionando quindi l'evento letale. Tale valutazione fonda correttamente il giudizio di colpevolezza e l'affermazione di responsabilità.

3.2 Quanto al trattamento sanzionatorio si considera che l'imputato è gravato da tre pregiudizi penali, tutti afferenti alla violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro e ciò non consente la concessione delle attenuanti generiche, mentre la sanzione è stata già individuata nel minimo edittale. Pure tale valutazione è immune da censure, giacchè tiene conto dei ripetuti e specifici precedenti a fronte di una sanzione di non marcato rilievo.

Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 41820 | 19 Ottobre 2015

ID 6768 | | Visite: 3143 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Ruolo di vigilanza "alta" per il coordinatore per l'esecuzione

Penale Sent. Sez. 3 Num. 41820 Anno 2015

Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MENGONI ENRICO
Data Udienza: 15/09/2015

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 27/3/2014, il Tribunale di Messina dichiarava L.C. - nella qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori e di responsabile della "L & G Costruzioni s.r.l." - responsabile di talune violazioni commesse nell'ambito dì un cantiere edile sito in Messina, analiticamente indicate nel capo di imputazione, e lo condannava alla pena di 6 mila euro di ammenda.

2. Propone ricorso per cassazione il C., personalmente, deducendo tre motivi:
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale avrebbe fondato la propria decisione soltanto su alcune prove, senza tenere in alcun conto altre, di segno contrario, che avrebbero confermato che il cantiere in oggetto non presentava, in realtà, alcuna irregolarità;
- difetto di motivazione, violazione dell'art. 92, d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81. La sentenza avrebbe assegnato al coordinatore per l'esecuzione dei lavori alcuni doveri di vigilanza "minuti" non propri della figura, alla quale sarebbe invece demandato soltanto un obbligo di controllo "alto", «che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)»;
- violazione dell'art. 68, comma 1, lett. b), e comma 2, d. l.gs. n. 81 del 2008. II Tribunale avrebbe applicato una pena eccessiva, ultra legem, in quanto avrebbe violato il principio secondo cui le condotte contestate dovevano esser considerate come unica violazione, senza applicare alcun aumento a titolo di continuazione.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato; al riguardo, risulta assorbente il secondo motivo.
Come già affermato da questa Corte, con riguardo alla figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui all'art. 92, d. lgs. n. 81 del 2008, occorre rilevare che i compiti assegnati alla stessa risalgono al d. lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di attuazione della Direttiva 92/57/CEE) - nell'ambito di una generale e più articolata ridefinizione delle posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili - a fianco di quella del committente, allo scopo di consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati, funzioni e responsabilità di progettazione e coordinamento, diversamente a lui riferibili, implicanti particolari competenze tecniche. La definizione dei relativi compiti e della connessa sfera di responsabilità discende, pertanto, da un lato, dalla funzione di generale, "alta vigilanza" che la legge demanda allo stesso, dall'altro dallo specifico elenco, originariamente contenuto nell'art. 5, d. lgs. n. 494 del 1996, ed attualmente trasfuso nel citato art. 92, d. lgs. n. 81 del 2008, in forza dei quale il coordinatore per l'esecuzione è tenuto a verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel Piano di Sicurezza e di Coordinamento (P.S.C.) e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; a verificare l'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (P.O.S.), assicurandone la coerenza con il P.S.C., che deve provvedere ad adeguare in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere; a verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi P.O.S.; ad organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione; a verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere; a segnalare, al committente o al responsabile dei lavori, le inosservanze alle disposizioni degli artt. 94, 95 e 96, e art. 97, comma 1, e alle prescrizioni dei P.S.C., proponendo la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione dei contratto in caso di inosservanza; a dare comunicazione di eventuali inadempienze alla Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti; a sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. In forza di quanto precede, risulta quindi evidente che - come affermato dal ricorrente - il coordinatore per l'esecuzione riveste un ruolo di vigilanza "alta", che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale e stringente vigilanza "momento per momento", demandata alle figure operative, ossia al datore di lavoro, al dirigente, al preposto (tra le altre, Sez. 4, n. 3809 del 7/1/2015, Cominotti, Rv. 261960; Sez. 4, n. 443 del 17/01/2013, Palmisano, Rv. 255102; Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv. 247536).

Orbene, tutto ciò premesso, rileva il Collegio che la motivazione stesa dal Tribunale di Messina risulta - oltre che molto sintetica - non aderente al principio di diritto da ultimo enunciato, atteso che riconosce la responsabilità dei C. in ordine a violazioni molto specifiche e puntuali (relative, tra l'altro, alle lavorazioni in prossimità di cavi elettrici, alle passerelle, alle aperture lasciate per il vano ascensore), senza precisare se le stesse siano comunque riferibili - nel caso di specie - a quei doveri di vigilanza "alta" sopra richiamati, imposti al coordinatore per l'esecuzione dei lavori, oppure invero demandate ad altre fiugre. Ancora, la sentenza non ha speso alcuna considerazione in ordine ai testi Omissis, escussi ex art. 507 cod. proc. pen., i quali - giusta tenore dei ricorso, in ciò specifico e completo - avrebbero reso dichiarazioni in palese dissonanza con quanto affermato dai testimoni indotti dal pubblico ministero.
La pronuncia, pertanto, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Messina.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Messina.

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Linee guida per il coordinatore sicurezza in fase di esecuzione

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Linee guida coordinatore sicurezza in fase di esecuzione

Linee guida per il coordinatore sicurezza in fase di esecuzione 

Circ. CNI 626/15

Quelle approvate dal CNI nella seduta consiliare del 07/10/2015, sono le Linee Guida per il Coordinatore della Sicurezza in fase di Esecuzione quale documento finale che ha avuto una gestazione durata più di un anno, il testo nella versione definitiva è stato ottenuto anche grazie al prezioso contributo degli Ordini territoriali e delle Federazione regionali.

Il documento finale può essere visto quale strumento “operativo” utile per tutti i tecnici, ma è evidente che non esime il Coordinatore dal conoscere il D.Lgs. 81/2008 in tutte le sue forme ed applicazioni.

E’ auspicabile che in futuro il testo possa diventare anche una “Buona Prassi” riconosciuta dalla Commissione Consultiva Permanente per la Salute e Sicurezza sul Lavoro (istituita presso il Ministero del Lavoro) e soprattutto costituirsi quale riferimento per le amministrazioni pubbliche in sede di bando di gara, nella redazione del capitolato prestazionale al fine di rendere paritarie le attività professionali e costituire un buon deterrente nella corsa al massimo ribasso.

CNI 2015

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Allegato riservato Circolare CNI n. 626 del 10 novembre 2015.pdf
CNI 2015
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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 21563 | 03 Settembre 2018

ID 6753 | | Visite: 3299 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile Sez. Lav. 03 settembre 2018 n. 21563 

Deflagrazione durante i lavori di manutenzione di una autocisterna affidati ad un autista

Presidente: BERRINO UMBERTO
Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 03/09/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'Appello di Potenza, con la sentenza n. 496/2012, ha respinto, rideterminando la somma dovuta all'Inail in € 757.647,12, l'appello proposto da C.C. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di accoglimento della domanda di regresso dell'Inail, proposta dopo che in sede penale era stata definitivamente accertata la responsabilità, rispettivamente, dello stesso C.C., quale legale rappresentante della s.r.l. Distribuzione Energie Lucane, e di T.C., quale preposto, condannando gli stessi in solido alla restituzione di Euro 439.731,21 pari a quanto sarebbe stato versato dall'Istituto al lavoratore G.N. in conseguenza dell' infortunio sul lavoro occorsogli il 18.7.1995.

2. A fondamento della decisione la Corte territoriale, per quanto ancora di interesse, ha ritenuto che dalla sentenza penale di condanna si evinceva la piena responsabilità del C.C. e del T.C. nella determinazione dell'infortunio occorso al G.N. al quale fu assegnato un compito di meccanico pur rivestendo lo stesso il ruolo di autista ed essendo irrilevante la colpa del lavoratore, anche in ordine all'entità dell'indennità corrisposta all'infortunato. Di contro, andava accolta la richiesta rivalutazione della rendita sollecitata dall'Inail in sede d'appello.
3. Contro la sentenza C.C. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi ai quali hanno resistito l'INAIL e G.N. con controricorso. T.C. è rimasto intimato.

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. nella formulazione introdotta dal d.l. n. 83 del 2012 conv. in l. n. 143 del 2012, che viene ravvisato nella condotta del lavoratore infortunato, che, secondo il ricorrente,avrebbe potuto aver causato - in via esclusiva o anche a titolo di concorso - l'infortunio, dal momento che anche la perizia espletata nel corso del giudizio penale non aveva spiegato con certezza l'origine della scintilla che aveva prodotto la deflagrazione, accontentandosi di affermare che la responsabilità del C.C. emergeva dalla manifesta inidoneità del metodo di lavoro.
2. Con il secondo motivo si deduce la nullità del procedimento per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. sempre per non aver approfondito la causa dell'effettivo avversarsi del sinistro e la eventuale responsabilità del G.N., essendosi imputato al C.C. di non aver vigilato sull'attuazione delle idonee misure di sicurezza previste dall'art. 353 del d.p.r. n. 547 del 1955, senza considerare che la condotta scatenante la deflagrazione poteva essere consistita nello sbattere di chiavi od attrezzi nella " buca" di lavoro e che il G.N. era stato adeguatamente formato all'esercizio delle mansioni espletate.
3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965, posto che la sentenza impugnata aveva confuso il profilo della indennizzabilità anche del sinistro avvenuto per colpa del lavoratore con il diverso profilo del credito di rivalsa vantato dall'Inail nei confronti dell'asserito responsabile civile, facendo discendere dalla condanna in sede penale il giudizio sulla responsabilità civile dello stesso ricorrente.
4. I motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi dalla centralità della critica mossa alla sentenza impugnata sia in ordine all' interpretazione della disciplina del regresso azionato dall'Inail che alla congruità dell'accertamento della responsabilità civile di C.C. e di T.C.i, nella determinazione dell'infortunio occorso a G.N..
5. La sentenza impugnata, dopo aver premesso che in sede penale il Pretore di Potenza aveva condannato con sentenza ormai definitiva C.C., quale legale rappresentante di Distribuzione Energie Lucane s.r.l., e T.C.i, quale preposto alla lavorazione, ritenendoli responsabili nella determinazione dell'infortunio occorso il 18 luglio 1995 al lavoratore G.N., ha ritenuto, tra l'altro, l'infondatezza del motivo d'appello secondo cui sarebbe stato violato l'art. 11 t.u. n. 1124 del 1965, giacché anche a seguito di sentenza penale di condanna, il giudice adito in via di regresso avrebbe dovuto procedere d'ufficio ad accertare il concorso di colpa dell'infortunato ed i limiti quantitativi dell'obbligo risarcitorio del datore di lavoro. Infatti, secondo la sentenza impugnata, la giurisprudenza di legittimità ha dettato il principio secondo cui la nozione di rischio professionale coperto dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro copre anche gli infortuni avvenuti per colpa del lavoratore e l'eventuale concorso di colpa dello stesso non potrebbe neanche incidere sull'entità dell'indennizzo ai sensi del disposto degli artt. 10 e 11 del t.u. n. 1124 del 1965.
6. Accanto a tale ragione della decisione, la Corte territoriale ha, poi, considerato che il definitivo giudizio penale di condanna aveva fatto seguito all'accertamento che al G.N. erano state imposte mansioni di meccanico, con l'obbligo di provvedere a pericolose riparazioni in ambiente insicuro, consistenti in lavori di manutenzione di una autocisterna adibita al trasporto di gas di petrolio liquefatto, da cui erano fuoriusciti dei vapori di gas che avevano provocato un incendio, con gravi ustioni per il lavoratore laddove lo stesso non era stato messo al corrente dei gravi rischi inerenti le mansioni affidategli. Ad avviso della Corte, dunque, non poteva neanche ipotizzarsi la sussistenza del concorso di colpa prospettato dalla parte. Dunque, la sentenza impugnata poggia su tali concorrenti ragioni che dimostrano chiaramente l'infondatezza sia del motivo di ricorso, che fa leva sulla violazione dell'art. 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965, che su quello relativo al vizio di motivazione derivante dall'omissione del doveroso accertamento dell'effettiva responsabilità civile del datore di lavoro e del preposto alla lavorazione.
7. In particolare, quanto alla efficacia del giudicato penale di condanna in seno all'azione di regresso posta in essere dall'Inail, va ricordato, che questa Corte di legittimità già con la sentenza n. 13890 dell'11 dicembre 1999 ha avuto modo di chiarire che le disposizioni del nuovo codice di procedura penale in materia di rapporto fra giudicato penale e il seguente giudizio civile sono improntate al principio che il giudicato penale non possa sortire effetti nei confronti dei soggetti che non siano stati parti del giudizio penale e non abbiano, quindi, potuto esprimere le proprie ragioni in quel giudizio, esercitandovi appieno il proprio diritto di difesa.
Il giudicato penale è però, vincolante per chi sia stato parte del giudizio penale, nei limiti di quanto sia stato espressamente deciso. Se, però, il giudicato penale non può essere opposto a chi non è stato parte del giudizio penale, ciò non toglie che tale ultimo soggetto, nel processo civile, possa invocare in proprio favore il giudicato medesimo, per quanto in esso espressamente deciso, dato che, comunque, per il condannato, esso esplica in pieno la sua funzione di giudicato (art. 651 e 654 cod. proc. pen.).
8. Ne consegue che nell'azione di regresso esercitata dall'Inail ai sensi degli artt. 10 e 11 DPR 1124/65 ben può giovare all'Istituto, che ad esso si richiami, il giudicato penale che ha accertato la responsabilità penale del chiamato in regresso per ciò che attiene l'accertamento della sussistenza del fatto e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso. Ogni indagine, però, che non sia stata svolta nel giudizio penale e che, invece, sia essenziale nel giudizio civile, deve essere sviluppata in tale ultimo giudizio ed, in particolare, ciò vale per l'indagine sull'eventuale concorso di colpa della vittima, qualora non sia stata svolta nel giudizio penale o in tale giudizio non sia stato fissato il grado del concorso stesso.
9. Nel caso di specie, la Corte territoriale, condividendo il giudizio del giudice penale contenuto nella sentenza di condanna del 2 giugno 2000, ha validamente posto in essere, come le spetta, l'accertamento del fatto attraverso l'esame delle risultanze processuali ed ha dato atto che il giudice penale ha accertato la responsabilità esclusiva del C.C. e del T.C., coprendo, dunque, coi giudicato, la questione relativa all'eventuale colpa concorrente o prevalente della vittima. 
La sentenza impugnata ha richiamato a pag. 5 taluni passi salienti del giudicato penale ed ha dunque rispettato il principio espresso da questa Corte di cassazione secondo cui in caso di imputazione di violazione di specifiche norme di sicurezza, la responsabilità del datore di lavoro, in ordine all'infortunio subito dal dipendente, non può essere senz'altro ammessa se sia emersa una coeva o successiva condotta colpevole dell'infortunato o di altri, né esclusa soltanto per tale fatto, dovendosene accertare la reale autonomia causale rispetto alla causa posta in essere dal datore di lavoro ovvero la concorrenza (Cass. n. 6341 del 1987).
10. Questa Corte di cassazione ( Cass. n. 21112 del 2008 ) ha pure affermato che l'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore l'obbligo di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro per cui il fatto che dallo svolgimento delle mansioni sia derivato un danno patrimoniale o non patrimoniale al prestatore di lavoro corrisponde ad inadempimento del detto obbligo di tutela ed impone all'imprenditore l'onere di provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., l'impossibilità di adempiere, per causa a lui non imputabile. L'art. 2087 c.c., cit., suole essere definito come norma di chiusura del sistema antinfortunistico nel senso che, anche ove difetti una specifica norma preventiva, la disposizione prescrive al datore di lavoro di adottare comunque le misure generiche di prudenza, diligenza ed osservanza delle norme tecniche e di esperienza (Cass. 2 giugno 1998 n. 5409, 19 luglio 2003 n. 12138, 20 luglio 2003 n. 12253).
11. Ciò comporta che il sistema legale non configura una responsabilità oggettiva del datore per infortunio subito dal prestatore di lavoro, ma richiede che l'evento dannoso sia pur sempre riferibile a colpa del primo (Cass. 20 maggio 1998 n. 5035, 12 febbraio 2000 n. 1579, 10 maggio 2000 n. 6018, 1 giugno 2004 n. 10510). Ulteriore conseguenza è che l'art. 2087 c.c., richiede una collaborazione tra le due parti del contratto di lavoro, onde il lavoratore è obbligato a rispettare sia la normativa antinfortunistica sia le regole di prudenza e il datore di lavoro può, nel fornire la prova liberatoria ex art. 1218 cit., dimostrare la concorrente colpa del prestatore al fine di diminuire il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1 (Cass. 30 maggio 2001 n. 5367, 8 aprile 2002 n. 5024).
12. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza, in favore dei contro-ricorrenti, nella misura liquidata in dispositivo. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascun controricorrente, nella misura di Euro 6000 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Cosi deciso in Roma, il 13 marzo 2018.

Il Codice di prevenzione incendi | INAIL

ID 6739 | | Visite: 7684 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Il Codice di Prevenzione Incendi INAIL

Il Codice di prevenzione incendi | INAIL

La progettazione antincendio Applicazioni pratiche nell’ambito del d.m. 3 agosto 2015 e s.m.i.

Il Codice di prevenzione incendi, senza effettuare uno strappo rispetto al passato, si propone come promotore del cambiamento, privilegiando l’approccio prestazionale alla prevenzione incendi, in grado di garantire standard di sicurezza antincendio elevati mediante un insieme di soluzioni progettuali sia conformi che alternative.

La pubblicazione, di carattere introduttivo, si occupa della tematica generale relativa agli elementi di flessibilità progettuale offerti dal Codice; saranno sviluppati, in seguito, secondo l’approccio e con gli obiettivi evidenziati, una serie di ulteriori compendi riguardanti, fondamentalmente, le dieci misure della strategia antincendio presenti nel Codice.

Le misure di prevenzione e protezione da adottarsi nei luoghi di lavoro, al fine di ridurre l’insorgenza di un incendio e limitarne le conseguenze, costituiscono un obbligo del Datore di Lavoro sancito dall’art. 46 del d.lgs. 81 del 9 aprile 2008 e s.m.i. (testo unico per la sicurezza) e specificato nel dettaglio dal d.m. 10 marzo 1998.

Le suddette misure, che si basano sulla preliminare valutazione del rischio incendio, possono essere individuate a partire da un approccio progettuale di tipo prescrittivo o di tipo prestazionale.

La progettazione antincendio, nel rispetto della normativa vigente in materia, può essere effettuata elaborando soluzioni tecniche flessibili ed aderenti alle specifiche caratteristiche ed esigenze delle attività soggette al controllo di prevenzione incendi (metodo prestazionale).

In questo contesto si inserisce il Codice di prevenzione incendi (Co.P.I.) il quale, senza effettuare uno strappo rispetto al passato, si propone come promotore del cambiamento, privilegiando l’approccio prestazionale, in grado di garantire standard di sicurezza antincendio elevati mediante un insieme di soluzioni progettuali, sia conformi che alternative.

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha recentemente condotto un sondaggio, che ha coinvolto più di 2000 ingegneri - il 6,3% “professionisti antincendio” attualmente iscritti negli elenchi del Ministero dell’Interno - in merito ai progetti e alle deroghe che hanno fatto ricorso al Codice come metodo di progettazione.

L'indagine ha rivelato un notevole interesse verso le nuove potenzialità introdotte dal Codice ma, allo stesso tempo, un utilizzo non diffuso dello stesso: oltre il 62% dei progettisti, infatti, pur avendo frequentato corsi di formazione incentrati sull’utilizzo del Codice, non ha provato ad utilizzarlo oppure ha rinunciato dopo un tentativo; di quelli che lo hanno adottato, pochi hanno fatto ricorso alle cosiddette soluzioni alternative.

Probabilmente a causa della percepita complessità dello strumento normativo, e conseguente aumento della responsabilità, il Codice è di fatto spesso ignorato a vantaggio del più “consolidato” metodo prescrittivo.

Al fine di illustrare le potenzialità del Codice e di fornire degli strumenti esplicativi, incentrati su esempi pratici di progettazione, che sembrano rappresentare un’esigenza particolarmente sentita dai professionisti intervistati nel sondaggio, è stata attivata una collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente - Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale - Università di Roma “Sapienza”, il Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici - Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e il Dipartimento per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica - Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (C.N.VV.F.).

Saranno quindi sviluppati, secondo l’approccio e con gli obiettivi sopra evidenziati, una serie di compendi riguardanti, fondamentalmente, le dieci misure della strategia antincendio presenti nel Codice:

- S.1 Reazione al fuoco
- S.2 Resistenza al fuoco
- S.3 Compartimentazione
- S.4 Esodo
- S.5 Gestione della sicurezza antincendio
- S.6 Controllo dell'incendio
- S.7 Rivelazione ed allarme
- S.8 Controllo di fumi e calore
- S.9 Operatività antincendio
- S.10 Sicurezza degli impianti tecnologici e di servizio

La presente pubblicazione, di carattere introduttivo, si occupa della tematica generale relativa agli elementi di flessibilità progettuale offerti dal Codice.

I risultati di tale attività potranno costituire, negli intenti dei promotori dell’attività di ricerca, uno strumento di supporto nella progettazione e gestione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro e uno spunto di riflessione per i professionisti antincendio e, anche a scopo didattico, un ausilio pratico per gli studenti interessati alla formazione specialistica in materia di progettazione antincendio.

___________

Struttura INAIL | Il Codice di prevenzione incendi:

Prefazione
1. Obiettivi
2. La progettazione antincendio
2.1 L’approccio prescrittivo
2.2 L’approccio prestazionale e la Fire Safety Engineering
3. Il Codice di prevenzione incendi
4. La struttura del Codice
5. Campo di applicazione del Codice
6. La progettazione antincendio per le attività normate e non
7. I principi generali e il nuovo ruolo del progettista
8. La logica del Codice
9. La strategia antincendio
Reazione al fuoco S.1
Resistenza al fuoco S.2
Compartimentazione S.3
Esodo S.4
Gestione della sicurezza antincendio S.5
Controllo dell’incendio S.6
Rivelazione ed allarme S.7
Controllo di fumi e calore S.8
Operatività antincendio S.9
Sicurezza degli impianti tecnologici e di servizio S.10
10. L’applicazione del Codice: un primo bilancio
La progettazione antincendio in un edificio adibito ad uffici
1. Descrizione dell’attività 37
2. Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi
3. Obiettivi dello studio
4. La normativa applicabile
4.1 La “vecchia” RTV (d.m. 22 febbraio 2006)
4.2 La “nuova” RTV (d.m.i. 8 giugno 2016)
5. Illustrazione dell’edificio oggetto dello studio
5.1 Descrizione geometrica e funzionale degli spazi
5.2 Stralci degli elaborati grafici del sito
6. Il progetto antincendio secondo il d.m. 22 febbraio 2006
6.1 Le caratteristiche dell’edificio dal punto di vista dell’antincendio
6.1.1 Classificazione degli uffici
6.1.2 Ubicazione dell’edificio e accesso all’area
6.1.3 Separazioni e comunicazioni
6.1.4 Resistenza al fuoco
6.1.5 Reazione al fuoco
6.1.6 Compartimentazione
6.1.7 Misure per l’evacuazione in caso di emergenza
6.1.8 Capacità di deflusso
6.1.9 Sistema di vie di uscita
6.1.10 Numero delle uscite
6.1.11 Larghezza delle vie di uscita
6.1.12 Lunghezza delle vie di uscita
6.1.13 Porte
6.1.14 Scale
6.1.15 Impianti di sollevamento
6.1.16 Aerazione
6.1.17 Attività accessorie
6.1.18 Servizi tecnologici
6.1.19 Impianti elettrici
6.1.20 Mezzi ed impianti di estinzione degli incendi
6.1.21 Impianti di rivelazione, segnalazione e allarme
6.1.22 Segnaletica di sicurezza
6.1.23 Organizzazione e gestione della sicurezza antincendio
6.2 Le correlazioni con altre attività soggette ai sensi del d.p.r. 1 agosto 2011 n. 151
7. Il progetto antincendio secondo il d.m.i. 8 giugno 2016
7.1 Introduzione
7.2 Classificazione degli uffici
7.3 La progettazione ai sensi del Codice
7.4 Determinazione dei profili di rischio
7.5 Strategia antincendio
7.5.1 Reazione al fuoco
7.5.2 Resistenza al fuoco
7.5.3 Compartimentazione
7.5.4 Esodo
7.5.5 Gestione sicurezza antincendio
7.5.6 Controllo dell’incendio
7.5.7 Rivelazione ed allarme
7.5.8 Controllo fumi e calore
7.5.9 Operatività antincendio
7.5.10 Sicurezza degli impianti tecnologici e di servizio
8. Progettare con la F.S.E. - approfondimento sulla modellazione dell’esodo
8.1 Considerazioni generali sullo studio dell’esodo
8.2 Aggregazione dei modelli di simulazione con quelli di incendio
8.3 Scenari di esodo differenziati per comportamento degli occupanti in caso di emergenza
8.4 Calcolo della durata dell’esodo
8.5 Elenco rappresentazioni grafiche
Conclusioni
La progettazione antincendio in un’autorimessa
1. Descrizione dell’attività 151
2. Contestualizzazione dell’attività in relazione alla prevenzione incendi
3. Obiettivi dello studio
4. La normativa applicabile
4.1 La “vecchia” RTV (d.m. 1 febbraio 1986)
4.2 La “nuova” RTV (d.m. 21 febbraio 2017)
5. Illustrazione dell’autorimessa oggetto dello studio
5.1 Descrizione geometrica e funzionale degli spazi
5.2 Stralci degli elaborati grafici del sito
6. Il progetto antincendio secondo il d.m. 1 febbraio 1986
6.1 Le caratteristiche dell’autorimessa dal punto di vista dell’antincendio
6.1.1 Classificazione dell’autorimessa
6.1.2 Isolamento
6.1.3 Altezza dei piani
6.1.4 Superficie specifica di parcamento
6.1.5 Strutture dei locali
6.1.6 Comunicazioni
6.1.7 Sezionamenti e compartimentazioni
6.1.8 Accessi
6.1.9 Pavimenti
6.1.10 Ventilazione
6.1.11 Misure per lo sfollamento delle persone in caso di emergenza
6.1.12 Impianti elettrici
6.1.13 Mezzi ed impianti di protezione ed estinzione degli incendi
6.1.14 Norme di esercizio
7. Il progetto antincendio secondo il d.m. 21 febbraio 2017
7.1 Introduzione
7.2 Classificazione dell’autorimessa
7.3 La progettazione ai sensi del Codice
7.4 Determinazione dei profili di rischio
7.5 Strategia antincendio
7.5.1 Reazione al fuoco
7.5.2 Resistenza al fuoco
7.5.3 Compartimentazione
7.5.4 Esodo
7.5.5 Gestione sicurezza antincendio
7.5.6 Controllo dell’incendio
7.5.7 Rivelazione ed allarme
7.5.8 Controllo fumi e calore
7.5.9 Operatività antincendio
7.5.10 Sicurezza degli impianti tecnologici e di servizio
8. Progettare una soluzione alternativa con la F.S.E. - applicazione dei metodi M.1, M.2 e M.3
8.1 Considerazioni generali sullo studio della modellazione fluidodinamica
8.2 Studio della soluzione alternativa per il corridoio cieco
8.3 Verifica del corridoio cieco con utilizzo di un modello di campo
8.4 Calcolo di ASET
Conclusioni
Riferimenti normativi principali
Glossario di prevenzione incendi
Bibliografia
Fonti immagini

Fonte: INAIL 2018

Responsabili scientifici
Raffaele Sabatino, Mara Lombardi, Tolomeo Litterio
Autori
Raffaele Sabatino, Daniela Freda, Antonella Pireddu, Stefano Baldassarini, Stefano Manna, Mara Lombardi, Nicolò Sciarretta, Mauro Caciolai, Piergiacomo Cancelliere, Filippo Cosi, Vincenzo Cascioli
...

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Circolare n. 1/2018 | Contenitori distributori rimovibili di gasolio - Indicazioni applicative

ID 6735 | | Visite: 11432 | Prevenzione Incendi

Circolare n  1 2018

Circolare n. 1/2018 | Contenitori distributori rimovibili di gasolio - Indicazioni applicative

Circolare n. 1-2018 prot. n. 11468 del 29 agosto 2018

Oggetto: DM 22 novembre 2017 e DM 10 maggio 2018 relativi a Disposizioni in materia di prevenzione incendi per l'installazione e l'esercizio di contenitori-distributori, ad uso privato, per l'erogazione di carburante liquido di categoria C". Indicazioni applicative

I contenitori-distributori, ad uso privato per l'erogazione di carburante liquido di categoria C sono stati regolamentati ai fini della prevenzione incendi nel tempo attraverso diverse norme, circolari e chiarimenti interpretativi.

In particolare sono state emanate le seguenti disposizioni interpretative:

- D.M. 19 MARZO 1990 - Norme per il rifornimento di carburanti, a mezzo di contenitori–distributori mobili, per macchine in uso presso aziende agricole, cave e cantieri

La lettera circolare M.I. prot. P322/4133 sott.170 del 9 marzo 1998, la quale ha stabilito che l'installazione delle apparecchiature in argomento può essere consentita anche presso altre attività produttive, diverse da quelle sopra indicate, esclusivamente per il rifornimento di macchine operatrici non targate e non circolanti su strada.

DM 12 Settembre 2003 Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di depositi di gasolio per autotrazione ad uso privato, di capacità geometrica non superiore a 9 m3, in contenitori-distributori rimovibili per il rifornimento di automezzi destinati all’attività di autotrasporto

Per rendere il quadro normativo più omogeneo, è stata elaborata  la  regola  tecnica  in  oggetto emanata con Decreto del Ministro dell'interno 22 novembre 2017 per l'installazione e l'esercizio di contenitori-distributori, ad uso privato, per l'erogazione di carburante liquido di categoria C, successivamente modificata con Decreto del Ministro dell'interno 10 maggio 2018.

Tale Decreto abroga e sostituisce le norme in precedenza citate e si applica a tutti i contenitori­ distributori ad uso privato, indipendentemente dal tipo di attività nella quale sono installati.

... Segue in allegato

Fonte: VVF

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Allegato riservato 2018-11468_-_Circolare_1-2018_distributori_rimovibili.pdf
VVF 29.08.2018
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Il medico competente e gli addetti ai videoterminali

ID 6725 | | Visite: 4575 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Il medico competente e gli addetti ai videoterminali

Il medico competente e gli addetti ai videoterminali

Manuale dedicato alla prevenzione di tutti coloro che operano al videoterminale

Il manuale è dedicato, nella prima parte, a tutti coloro che operano al videoterminale, e nella seconda parte al medico competente, il quale svolge un'attività fondamentale per la prevenzione del rischio da videoterminali.
La nuova edizione è stata aggiornata alla normativa introdotta dai decreti legislativi 81/08 e106/09.

Edizioni Inail - Marzo 2010

Proficiency Testing laboratori analisi silice libera cristallina

ID 6723 | | Visite: 3360 | Guide Sicurezza lavoro INAIL

Proficiency Testing laboratori analisi silice libera cristallina

Proficiency Testing laboratori analisi silice libera cristallina 

Proficiency Testing per laboratori che effettuano analisi diffrattometrica della silice libera cristallina depositata su membrana filtrante

La valutazione dell'esposizione a silice libera cristallina e resa complessa dal basso valore dei limiti prevenzionali e dalla necessita di rispettare i requisiti qualitativi e quantitativi imposti alle determinazioni analitiche dalle norme nazionali e internazionali.

In base a tali norme, uno dei principali strumenti che hanno i laboratori per verificare il loro livello di performance rispetto alla esecuzione di prove analitiche è la partecipazione ai cosiddetti proficiency testing.

Nell'opuscolo sono presentate le risultanze del proficiency testing, condotto dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione dell'Inail nell'anno 2012, per laboratori che effettuano analisi diffrattometrica della silice libera cristallina.

INAIL 2012

Lavorare negli anni della maturità

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Lavorare negli anni della maturita

Lavorare negli anni della maturità

Il volume affronta le tematiche più rilevanti inerenti la categoria dei lavoratori ultracinquantenni e si rivolge ad un pubblico ampio, perché tutti, inevitabilmente, sono o saranno parte di questo scenario.

Si parte dalla distinzione tra il concetto di anzianità e quello di maturità per soffermarsi sulla nuova concezione di invecchiamento attivo, o active ageing, che sta a significare una maturità da vivere in un contesto vitale e dignitoso all’interno di una società solidale. Si affronta il tema del rischio e della prevenzione, con un approfondimento sulle patologie e gli incidenti più frequenti correlati all’avanzare dell’età e le misure da adottare per la riduzione di questi fenomeni. L’importanza di un sano stile di vita costituisce l’oggetto della parte conclusiva di questo opuscolo che intende evidenziare la stretta connessione tra benessere psico-fisico generale dell’individuo e rendimento sul lavoro.

Con la medesima finalità sono stati realizzati altri tre volumi destinati a target diversi: bambini in età scolare, donne, giovani. I quattro manuali si rivolgono infatti all’individuo, lavoratore e non, in tutte le sue fasi di crescita e di vita.

Edizioni: Inail  - Dicembre 2013

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Circolare VVF n. 11197 del 14/08/2018 | Impiego estintori portatili

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Circolare VVF n  11197 del 2018

Raccomandazioni circa l'impiego degli estintori portatili nell'attività formativa

Circolare Prot. n. 11197 del 14/08/2018 

Oggetto: Attività di accertamento dell'idoneità tecnica per i lavoratori incaricati di attuare le misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro - Raccomandazioni circa l'impiego di estintori portatili

Con riferimento ad un recente infortunio occorso ad un operatore VF durante una prova di spegnimento tenutasi all'interno di una sede VF per la necessità di cui all'oggetto, si ritiene opportuno formulare alcune considerazioni circa l'impiego degli estintori portatili, notoriamente messi a disposizione dai soggetti del corso o degli esami erogati dal Comando.

Premesso quanto sopra, si specifica che i soggetti fornitori di estintori portatili sono in dovere di assicurare presidi idonei, pienamente funzionanti e dotati di tutte le certificazioni e documentazioni previste per legge. Non va trascurato inoltre che detti dispositivi sono soggetti a ripetuti utilizzi con frequenze di scariche e ricariche molto elevate ed un'usura sicuramente riferibile più ad un'attrezzatura di lavoro che ad un presidio antincendio. Per tale ragione si evidenzia la possibilità di richiedere estintori caratterizzati da minori pressioni di esercizio, ad esempio gli estintori a base d'acqua, al fine di minimizzare le conseguenze di un eventuale malfunzionamento per una eccessiva usura del dispositivo.

Al momento del ricevimento degli estintori la Commissione d'esame o gli incaricati della lezione, dovranno eseguire le seguenti operazioni preliminari:

1. Verificare che le iscrizioni sull'etichetta dell'estintore siano presenti e ben leggibili;

2. Verificare che l'estintore non abbia superato la vita utile ammissibile (18 anni dalla data di produzione rinvenibile sui dati punzonati sul serbatoio).

3. Per gli estintori immessi sul mercato a partire dal 29 maggio 2002, verificare la presenza e la leggibilità della marcatura CE relativa agli aspetti di sicurezza delle apparecchiature a pressione (requisiti PED)

4. Verificare a vista che gli estintori siano integri e non presentino e non presentino segni di deterioramento in alcuna parte del dispositivo (assenza di segni di ruggine o tracce di corrosione, integrità della manichetta e dell'eventuale cono di espansione, assenza di sconnessioni o incrinature delle tubazioni flessibili...)

5. Verificare a vista il corretto accoppiamento della manichetta con il cono erogatore (se presente)

6. Verificare a vista il corretto accoppiamento della manichetta con la valvola di comando

7. Verificare che l'indicatore di pressione, se presente, indichi di un valore compreso all'interno del campo verde

8. Verificare la presenza del sigillo sul dispositivo di sicurezza della valvola di azionamento dell'estintore.

Inoltre, all'atto della richiesta del corso o dell'accertamento finale, il fornitore degli estintori dovrà presentare al Comando una dichiarazione in cui esprime che i presidi messi a disposizione sono conformi al prototipo omologato (art. 8 comma 1 lett. c) del D.M. 7 gennaio 2005) e che sono stati sottoposti a corretta manutenzione (art. 4 comma 2 del D.M. 7 gennaio 2005).

[...] segue in allegato

Fonte: VVF

_________

D.M. 7 gennaio 2005

Art. 4. co.2 - Utilizzazione

2. L’estintore in esercizio deve essere mantenuto in efficienza mediante verifiche periodiche da parte di personale esperto come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, dal decreto del Ministro dell’interno 10 marzo 1998 e secondo le procedure indicate dalla norma UNI 9994 sulla base delle indicazioni di uso e manutenzione riportate sul libretto di cui all’art. 3, lettera g).

Art. 8 Obblighi e responsabilita' per il produttore

1. Il produttore e' tenuto, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, alla osservanza dei seguenti adempimenti:
a) garantire, per la caratterizzazione antincendio, la conformita' della produzione al prototipo omologato mediante un sistema di controllo di produzione;
b) impiegare nella produzione materiali, componenti e accoppiamenti conformi alla direttiva 97/23/ CE attuata con decreto legislativo n. 93/2000;
c) emettere per ogni estintore portatile d’incendio la dichiarazione di conformita' di cui all’art. 3, lettera f);
d) fornire a corredo di ogni esemplare il libretto uso e manutenzione di cui all’art. 3, lettera g);
e) punzonare sull’estintore portatile d’incendio l’anno di costruzione, il numero di matricola progressivo ed il codice costruttore.

...

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Cassazione Penale Sez. 4 n. 14657 | 30 marzo 2018

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Sentenze cassazione penale

Corridoio di passaggio ingombro di materiale e caduta

Art. 64 del d. lgs. n. 81 del 2008

Il datore di lavoro ha l’obbligo di tenere sgombre le vie di fuga da materiali in modo da consentirne l’utilizzazione in caso di emergenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 14657 Anno 2018

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 06/03/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze con cui K.S.F. è stata condannata, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, alla pena della multa di euro 750,00 per il delitto di cui agli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., per avere, quale dirigente del punto vendita "La Rinascente" di Firenze, con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, consentito che il corridoio di passaggio per il motocarichi, luogo di utilizzo comune fuori dalla disponibilità dei datori di lavoro proprietari dei singoli box vendita, peraltro, adibito a uscita di sicurezza, fosse ingombrato da materiale che, ostacolando il transito, determinava la caduta di I.M., da cui conseguivano lesioni personali consistenti in contusione epatica e frattura IX, X e XI costole destre, con malattia guarita in 125 giorni (18 settembre 2010).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, K.S.F., denunciando l'inosservanza e erronea applicazione degli artt. 178, primo comma, lett. c, 180, 185, cod.proc.pen., essendo stata rigettata l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio, nonostante l'indeterminatezza del capo di imputazione, per mancata individuazione della norma cautelare, asseritamente violata, risultando non pertinente all'art. 61 del d. lgs. n. 81 del 2008; l'inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., 61 e 64 del d.lgs. n. 81 del 2008, 604, 530, 533, 546, primo comma, lett. e) cod.proc.pen., e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermata responsabilità penale dell'imputata, mancando la motivazione relativamente alla credibilità della parte civile ed ad una serie di profili indicati a p.13 e 14 dell'atto di appello (tentativo di dipingere l'imputata come insensibile alle problematiche dei lavoratori, asserite lamentele sulle condizioni del magazzino, conseguenze psicologiche dell'infortunio) e risultando la motivazione contraddittoria relativamente all'inattendibilità di alcuni testi della difesa per ragioni di subordinazione rispetto all'imputata (rapporti caratterizzanti anche i testi della parte civile, valutati credibili), alle consegne avvenute il giorno dell'infortunio, alle condizioni del luogo di lavoro il giorno dell'infortunio, alla durata della malattia, alla quantificazione della pena ed in particolare al diniego delle attenuanti generiche, alla quantificazione del danno.

Considerato in diritto

1.1 primi due motivi di ricorso non meritano accoglimento, atteso che, come precisato dalla Suprema Corte (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 ud., dep. 04/02/2014, rv. 258920), in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, conformemente a quanto avvenuto nel caso di specie, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa (nello stesso senso, tra le tante, Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013 ud., dep. 24/05/2013, rv. 255772, secondo cui, ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non anche l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati). Non può ravvisarsi, pertanto, alcuna violazione di legge nel rigetto dell'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio da parte dei giudici di merito, che hanno, inoltre, evidenziato come dalla descrizione del fatto emergesse chiaramente la disposizione violata e, cioè, l'art. 64 del d. lgs. n. 81 del 2008, ai sensi del quale il datore di lavoro ha l'obbligo di fare in modo che le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza, e che il riferimento all'art. 61 integrasse un mero refuso materiale, da cui non è derivato alcun pregiudizio al diritto di difesa dell'imputata, essendo stato ampiamente trattato il profilo di colpa contestato.
2. Tutti gli altri motivi non superano il vaglio di ammissibilità, in quanto non denunciano né violazioni di legge, né mancanze, illogicità e contraddittorietà della motivazione effettive o, comunque, rilevanti, su aspetti che risultano decisivi ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputata, ma si traducono in una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accertata dai giudici di merito.
In proposito va ricordato che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
Più precisamente la ricorrente lamenta carenze o contraddittorietà motivazionali insussistenti o, comunque, irrilevanti - sul mancato reperimento da parte della Asl di lamentele sulle condizioni del magazzino, lamentele che la Corte ha desunto dalle prove testimoniali e che ben potevano essere state verbali e non scritte; sulla valutazione di inattendibilità del teste B., che non è stata fondata solo su una sua eventuale ed imprecisa ragione di corresponsabilità, ma su una molteplicità di inesattezze o circostanze poco verosimili riferite dalla stessa (v. p. 9 della sentenza); sulle consegne avvenute la data dell'infortunio (sui cui sembra addirittura dedotto un travisamento della prova, che, peraltro, risulterebbe inammissibile, trattandosi di doppia conforme, in assenza delle condizioni necessarie), le quali sono state ricostruite dalla Corte in base al complessivo quadro indiziario, fondato anche sulla coincidenza del giorno dell'Infortunio con il sabato, presumibilmente quello di maggiore vendita e, quindi, maggiori consegne; sulle condizioni del luogo dell'infortunio nella data del 18 settembre 2010, desunta dai giudici di merito in base al complessivo quadro indiziario emerso, che non viene aggredito dal ricorrente nella sua unitarietà, ma in modo frammentario ed incompleto.
Parimenti le censure relative alla durata della malattia ed alla quantificazione del danno presuppongono una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito, che hanno ritenuto condivisibili le valutazioni dell'Inail, escludendo gli errori asseriti dalla difesa dell'imputata, nelle relative certificazioni e conseguentemente valutata corretta la quantificazione del danno in base agli ordinari criteri civili. Solo per completezza va evidenziato che la Corte di Appello ha limitato la mancata contestazione dell'imputata all'applicazione dei criteri civili di liquidazione del danno e non alla durata della malattia.
Relativamente al diniego delle attenuanti generiche, la difesa della ricorrente non solo propone nuovamente una diversa ricostruzione dei fatti relativamente allo stato dei luoghi, ma non ha indicato alcun elemento positivo che avrebbe potuto giustificare la concessione delle attenuanti generiche (v. sul punto Sez. 4, n. 5875 del 2015, rv. 262249, secondo cui il giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione).
3. In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e ad rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile I.M. , liquidate in 2.500,00 euro, oltre accessori di legge.
Così deciso 6 marzo 2018.

...

Art. 64. Dlgs 81/08 Obblighi del datore di lavoro

1. Il datore di lavoro provvede affinché:

a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'articolo 63, commi 1, 2 e 3;

b) le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza;

c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;

d) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate;

e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento.

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Lavoratrici madri: Quadro normativo | Check list | DVR

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Lavoratrici madri quadro normativo DVR 01

Lavoratrici madri: Quadro normativo | Check list | DVR

ID 6055 | Scheda 29.04.2018 | (!) In aggiornamento

La tutela delle lavoratrici madri è normata dal D.Lgs.151/2001 e D.Lgs.81/08. Il D.Lgs.151/2001 è il testo unico per la tutela della maternità e paternità, che riporta al suo interno anche articoli relativi alla salute e sicurezza sul lavoro delle lavoratrici madri, con la menzione della Valutazione dei Rischi, le lavorazioni vietate o limitate di cui agli Allegati A, B, C.
Il D.Lgs. 81/2008 completa il quadro normativo relativo alla salute e sicurezza delle lavoratrici in stato di gravidanza menzionando direttamente le "lavoratrici in stato di gravidanza" all'articolo cardine del TUS, Art. 28 (Oggetto della valutazione dei rischi) e altri di seguito riportati.

Al presente articolo, in allegato:

- Scheda completa articolo [Abbonati sicurezza]
- Check list lavoratrici madri (tipo scuole) [Abbonati sicurezza]
- DVR Modello lavoratrici madri (tipo scuole) [Abbonati sicurezza]
- Allegato A D.P.R. 151/2011 Elenco dei lavori faticosi e insalubri [free]
- Allegato B D.P.R. 151/2011 Elenco non esauriente agenti e condizioni [free]  
- Allegato C D.P.R. 151/2011 Elenco non esauriente di agenti e processi e condizioni di lavoro [free]  
Testo consolidato 2022 del D.Lgs. 151/2011 [free]

Check list lavoratrici madri - Estratto

Premessa

Il testo unico D.Lgs.151/2001 disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternita' e paternita' di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonche' il sostegno economico alla maternita' e alla paternita'.

Esso ha abrogato il D.Lgs. 25 novembre 1996 n. 645 Recepimento della direttiva 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU n. 299 del 21 dicembre 1996)

Il Capo II del D.Lgs.151/2001 stabilisce le modalità operative al fine di garantire la tutela della sicurezza e della salute della lavoratrice durante il periodo di gravidanza e fino a 7 mesi di età del figlio, definendo altresì ruoli e competenze di 3 soggetti fondamentali:
 
- Lavoratrice
È oggetto della tutela.
Per condizioni di rischio lavorativo deve informare il Datore di lavoro del proprio stato di gravidanza, al fine dell'attivazione delle misure di tutela conseguenti ed ottenere i diritti previsti dalla Legge.
Per la presenza di gravi complicanze della gestazione, (ovvero) di pre-esistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza, può presentare istanza al Distretto Socio Sanitario territorialmente competente.

- Datore di lavoro
È responsabile della tutela della sicurezza e della salute della lavoratrice;

Ha l'obbligo di valutare preventivamente, con il concorso del Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione dai rischi (RSPP), medico competente e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), i rischi presenti nell'ambiente di lavoro, tenendo conto anche della possibilità della presenza di lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento;

In esito alla valutazione dei rischi definisce le condizioni di lavoro eventualmente non compatibili con lo stato di gravidanza-puerperio-allattamento e le misure di prevenzione e di protezione che intende adottare a tutela delle lavoratrici madri, informando le lavoratrici ed il RLS.

- Servizio Ispettivo dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro
è informato sui provvedimenti di cambio mansione adottati dal Datore di lavoro in situazione di lavori vietati o comunque ritenuti pregiudizievoli, in base alla valutazione dei rischi, per la sicurezza e la salute della lavoratrice.

Comunicazione al DL

La tutela delle lavoratrici madri parte dal presupposto che la lavoratrice informi il datore di lavoro circa il proprio stato di gravidanza. Senza tale informazione, visto che correttamente è vietata la visita medica da parte del datore di lavoro per l’accertamento dello stato di gravidanza, non possono essere avviate le attività di valutazione dei rischi sulla lavoratrice e la mansione che essa svolge.

Qualora la mansione della lavoratrice preveda l’esposizione ad almeno uno dei predetti fattori di rischio, il datore di lavoro è tenuto a modificare la mansione al fine di eliminare l’esposizione; qualora il cambio di mansione non sia possibile è prevista l’anticipazione del periodo di interdizione.

Il presente articolo si vuole soffermare sull’informazione che la lavoratrice deve fornire al datore di lavoro circa il suo stato di gravidanza.

Con l’introduzione del DL 69/2013 convertito in legge n. 98/2013 ed in particolare con l’articolo 34 del Decreto del Fare, entrato in vigore il 20 agosto 2013 è stato stabilito che la comunicazione dello stato di gravidanza della donna lavoratrice sarà un obbligo del medico curante. Così come tutti gli adempimenti fino ad ora a carico: il certificato di gravidanza con annessa data presunta del parto, la certificazione relativa alla nascita del bambino e nel caso, quella di interruzione di gravidanza, dovranno essere trasmesse telematicamente dal medico.

Il certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, dovrà essere inviato all’INPS esclusivamente in via telematica direttamente dal medico del SSN o con esso convenzionato.

Con circolare n.82 del 4 maggio 2017 sono state pubblicate da Inps le indicazioni per la trasmissione telematica dei certificati e sulla procedura creata in ottemperanza al Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 che ha modificato l’art. 21 del Decreto legislativo n. 151/2001.

Le suddette disposizioni non apportano alcuna modifica all’obbligo, per la lavoratrice, di consegnare al proprio datore di lavoro:

- Entro 2 mesi antecedenti la data presunta del parto, il certificato medico indicante la data presunta del parto (art 21, comma 1, D.Lgs. n. 151/2011);
- Entro i 30 giorni successivi al parto, il certificato di nascita del figlio ovvero la dichiarazione sostitutiva (art. 21, comma 2, D.Lgs. 151/2011)

Interdizione o astensione dal lavoro

In situazione di lavori vietati o comunque ritenuti pregiudizievoli per la sicurezza e la salute della lavoratrice, e nella impossibilità di cambio mansione dichiarata dal Datore di lavoro, può disporre l'interdizione anticipata al lavoro per la lavoratrice sino al termine del congedo di maternità (3 mesi dopo il parto) oppure, per particolari condizioni lavorative, sino a 7 mesi dopo il parto.

Lavoratrici madri quadro normativo DVR

Il D.Lgs.151/2001 con gli Artt. 7 (Lavori vietati) e 11 (Valutazione dei rischi), elenca negli Allegati A, B, C i lavori vietati o limitati.

Scarica questo file (Elenco dei lavori faticosi e insaluibri Art. 7 Allegato A D.P.R . 151 2001.pdf) Elenco dei lavori faticosi e insalubri Art. 7 D.Lgs. 151 2001 - Allegato A
Scarica questo file (Elenco non esauriente agenti e condizioni Art. 7 Allegato B D.P.R. 151 2001.pdf) Elenco non esauriente agenti e condizioni Art. 7 D.Lgs. 151 2001 - Allegato B
Scarica questo file (Elenco non esauriente di agenti e processi e condizioni di lavoro Art. 11 Allegato C D.P.R. 151 2001.pdf) Elenco non esauriente di agenti e processi e condizioni di lavoro Art. 11 D.Lgs. 151 2001 - Allegato C

D.Lgs.151/2001 (Articoli estratti)

Vedi il testo consolidato
...
Art. 6 Tutela della sicurezza e della salute (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 1; legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 9)

1. Il presente Capo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di eta' del figlio, che hanno informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti, fatto salvo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 8.

2. La tutela si applica, altresi', alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di eta'.

3. Salva l'ordinaria assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario nazionale, le lavoratrici, durante la gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, con esclusione dal costo delle prestazioni erogate, oltre che delle periodiche visite ostetrico-ginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela della maternita', in funzione preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale, previste dal decreto del Ministro della sanita' di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, purche' prescritte secondo le modalita' ivi indicate.

Art. 7. Lavori vietati (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 3, 30, comma 8, e 31, comma 1; decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 3; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 12, comma 3)

1. E' vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonche' ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, riportato nell'allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita' e per la solidarieta' sociale, sentite le parti sociali, provvede ad aggiornare l'elenco di cui all'allegato A.

2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell'elenco di cui all'allegato B.

3. La lavoratrice e' addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale e' previsto il divieto.

4. La lavoratrice e', altresi', spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.

5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonche' la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori.

6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17.

7. L'inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 e' punita con l'arresto fino a sei mesi.

Art. 8. Esposizione a radiazioni ionizzanti (decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, art. 69)

1. Le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attivita' in zone classificate o, comunque, essere adibite ad attivita' che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda un millisievert durante il periodo della gravidanza.

2. E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato.

3. E' altresi' vietato adibire le donne che allattano ad attivita' comportanti un rischio di contaminazione.
...
Art. 11. Valutazione dei rischi  (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 4)

1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 7, commi 1 e 2, il datore di lavoro, nell'ambito ed agli effetti della valutazione di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell'Unione europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare.

2. L'obbligo di informazione stabilito dall'articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, comprende quello di informare le lavoratrici ed i loro rappresentati per la sicurezza sui risultati della valutazione e sulle conseguenti misure di protezione e di prevenzione adottate.

Art. 12. Conseguenze della valutazione (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 5)

1. Qualora i risultati della valutazione di cui all'articolo 11, comma 1, rivelino un rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinche' l'esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l'orario di lavoro.

2. Ove la modifica delle condizioni o dell'orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro applica quanto stabilito dall'articolo 7, commi 3, 4 e 5, dandone contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, che puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui all'articolo 6, comma 1, in attuazione di quanto previsto
all'articolo 17.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 trovano applicazione al di fuori dei casi di divieto sanciti dall'articolo 7, commi 1 e 2.

4. L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1 e' punita con la sanzione di cui all'articolo 7, comma 7.
...

Art. 16 Divieto di adibire al lavoro le donne (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, comma 1 e 4)

1. E' vietato adibire al lavoro le donne:

a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;
d) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.

Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternita' dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi. 

1-bis. Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, nonche' in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternita', le lavoratrici hanno facolta' di riprendere in qualunque momento l'attivita' lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute.

Art. 17 Estensione del divieto (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6, 7, 9 e 10)

1. Il divieto e' anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro e' disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.

2. La Direzione territoriale del lavoro e la ASL dispongono, secondo quanto previsto dai commi 3 e 4, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16 o fino ai periodi di astensione di cui all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 12, comma 2, per uno o piu' periodi, la cui durata sara' determinata dalla Direzione territoriale del lavoro o dalla ASL per i seguenti motivi:

a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.

3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 e' disposta dall'azienda sanitaria locale, con modalita' definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, secondo le risultanze dell'accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovra' essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice.

4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 e' disposta dalla Direzione territoriale del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attivita' di vigilanza emerga l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima.

5. I provvedimenti previsti dai presente articolo sono definitivi.

Art. 21. Documentazione (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, comma 5, e 28)

1. Prima dell'inizio del periodo di divieto di lavoro di cui all'articolo 16, lettera a), le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro e all'istituto erogatore dell'indennita' di maternita' il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione.

Art. 53. Lavoro notturno (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 5, commi 1 e 2, lettere a) e b))

1. E' vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino.

2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
a) la lavoratrice madre di un figlio di eta' inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;

b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di eta' inferiore a dodici anni;

b-bis) la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di eta' o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa.

3. Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresi' obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.

Capo IX Divieto d i licenziamento, dimissioni e diritto al rientro

Ar t. 54 Divieto di licenziamento (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, commi 1, 2, 3, 5, e art. 31, comma 2; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 4; decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566, art. 2, comma 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 1)

1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonche' fino al compimento di un anno di eta' del bambino.

2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, e' tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.

3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attivita' dell'azienda cui essa e' addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.

4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non puo' essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attivita' dell'azienda o del reparto cui essa e' addetta, sempreche' il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non puo' altresi' essere collocata in mobilita' a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilita' a seguito della cessazione dell'attivita' dell'azienda di cui al comma 3, lettera b).

5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, e' nullo.

6. E' altresi' nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.

7. In caso di fruizione del congedo di paternita', di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di eta' del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5.

8. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo e' punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non e' ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale, il divieto opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ai sensi dell'articolo 31, terzo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento.


_________

D.Lgs. 81/2008 articoli relativi alle lavoratrici in stato di gravidanza.

Art. 28 Oggetto della valutazione dei rischi

1. La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei miscele chimiche impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
...

Art. 41 Sorveglianza sanitaria

Le visite mediche di cui al comma 2 non possono essere effettuate:
...
c. 3 b) per accertare stati di gravidanza
... 
Titolo VIII AGENTI FISICI

Art. 182. Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi

1. Tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità di misure per controllare il rischio alla fonte, i rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici sono eliminati alla fonte o ridotti al minimo. La riduzione dei rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici si basa sui principi generali di prevenzione contenuti nel presente decreto.

2. In nessun caso i lavoratori devono essere esposti a valori superiori ai valori limite di esposizione definiti nei capi II, III, IV e V. Allorché, nonostante i provvedimenti presi dal datore di lavoro in applicazione del presente capo i valori limite di esposizione risultino superati, il datore di lavoro adotta misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione, individua le cause del superamento dei valori limite di esposizione e adegua di conseguenza le misure di protezione e prevenzione per evitare un nuovo superamento.

Art. 183 Lavoratori particolarmente sensibili

1. Il datore di lavoro adatta le misure di cui all'articolo 182 alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori.

Art. 190 Valutazione del rischio

1. Nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 181, il datore di lavoro valuta l'esposizione dei lavoratori al rumore durante il lavoro prendendo in considerazione in particolare:
...
c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore, con particolare riferimento alle donne in gravidanza e i minori;

Art. 202 Valutazione dei rischi

1. Nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 181, il datore di lavoro valuta e, quando necessario, misura, i livelli di vibrazioni meccaniche cui i lavoratori sono esposti.
...
5. Ai fini della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro tiene conto, in particolare, dei seguenti elementi:

c) gli eventuali effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio con particolare riferimento alle donne in gravidanza e ai minori;

ALLEGATO IV REQUISITI DEI LUOGHI DI LAVORO
...
1.11.4. Le donne incinte e le madri che allattano devono avere la possibilità di riposarsi in posizione distesa e in condizioni appropriate.

ALLEGATO XLVI Elenco degli agenti biologici classificati
...
2. La classificazione degli agenti biologici si basa sull'effetto esercitato dagli stessi su lavoratori sani.
Essa non tiene conto dei particolari effetti sui lavoratori la cui sensibilità  potrebbe essere modificata, da altre cause quali malattia preesistente, uso di medicinali, immunità compromessa, stato di gravidanza o allattamento, fattori dei quali è tenuto conto nella sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41.

Vedi Documento lavori vietati / Interdizione anticipato/post partum

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