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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 21563 | 03 Settembre 2018

ID 6753 | | Visite: 3511 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/6753

Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile Sez. Lav. 03 settembre 2018 n. 21563 

Deflagrazione durante i lavori di manutenzione di una autocisterna affidati ad un autista

Presidente: BERRINO UMBERTO
Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 03/09/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'Appello di Potenza, con la sentenza n. 496/2012, ha respinto, rideterminando la somma dovuta all'Inail in € 757.647,12, l'appello proposto da C.C. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di accoglimento della domanda di regresso dell'Inail, proposta dopo che in sede penale era stata definitivamente accertata la responsabilità, rispettivamente, dello stesso C.C., quale legale rappresentante della s.r.l. Distribuzione Energie Lucane, e di T.C., quale preposto, condannando gli stessi in solido alla restituzione di Euro 439.731,21 pari a quanto sarebbe stato versato dall'Istituto al lavoratore G.N. in conseguenza dell' infortunio sul lavoro occorsogli il 18.7.1995.

2. A fondamento della decisione la Corte territoriale, per quanto ancora di interesse, ha ritenuto che dalla sentenza penale di condanna si evinceva la piena responsabilità del C.C. e del T.C. nella determinazione dell'infortunio occorso al G.N. al quale fu assegnato un compito di meccanico pur rivestendo lo stesso il ruolo di autista ed essendo irrilevante la colpa del lavoratore, anche in ordine all'entità dell'indennità corrisposta all'infortunato. Di contro, andava accolta la richiesta rivalutazione della rendita sollecitata dall'Inail in sede d'appello.
3. Contro la sentenza C.C. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi ai quali hanno resistito l'INAIL e G.N. con controricorso. T.C. è rimasto intimato.

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. nella formulazione introdotta dal d.l. n. 83 del 2012 conv. in l. n. 143 del 2012, che viene ravvisato nella condotta del lavoratore infortunato, che, secondo il ricorrente,avrebbe potuto aver causato - in via esclusiva o anche a titolo di concorso - l'infortunio, dal momento che anche la perizia espletata nel corso del giudizio penale non aveva spiegato con certezza l'origine della scintilla che aveva prodotto la deflagrazione, accontentandosi di affermare che la responsabilità del C.C. emergeva dalla manifesta inidoneità del metodo di lavoro.
2. Con il secondo motivo si deduce la nullità del procedimento per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. sempre per non aver approfondito la causa dell'effettivo avversarsi del sinistro e la eventuale responsabilità del G.N., essendosi imputato al C.C. di non aver vigilato sull'attuazione delle idonee misure di sicurezza previste dall'art. 353 del d.p.r. n. 547 del 1955, senza considerare che la condotta scatenante la deflagrazione poteva essere consistita nello sbattere di chiavi od attrezzi nella " buca" di lavoro e che il G.N. era stato adeguatamente formato all'esercizio delle mansioni espletate.
3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965, posto che la sentenza impugnata aveva confuso il profilo della indennizzabilità anche del sinistro avvenuto per colpa del lavoratore con il diverso profilo del credito di rivalsa vantato dall'Inail nei confronti dell'asserito responsabile civile, facendo discendere dalla condanna in sede penale il giudizio sulla responsabilità civile dello stesso ricorrente.
4. I motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi dalla centralità della critica mossa alla sentenza impugnata sia in ordine all' interpretazione della disciplina del regresso azionato dall'Inail che alla congruità dell'accertamento della responsabilità civile di C.C. e di T.C.i, nella determinazione dell'infortunio occorso a G.N..
5. La sentenza impugnata, dopo aver premesso che in sede penale il Pretore di Potenza aveva condannato con sentenza ormai definitiva C.C., quale legale rappresentante di Distribuzione Energie Lucane s.r.l., e T.C.i, quale preposto alla lavorazione, ritenendoli responsabili nella determinazione dell'infortunio occorso il 18 luglio 1995 al lavoratore G.N., ha ritenuto, tra l'altro, l'infondatezza del motivo d'appello secondo cui sarebbe stato violato l'art. 11 t.u. n. 1124 del 1965, giacché anche a seguito di sentenza penale di condanna, il giudice adito in via di regresso avrebbe dovuto procedere d'ufficio ad accertare il concorso di colpa dell'infortunato ed i limiti quantitativi dell'obbligo risarcitorio del datore di lavoro. Infatti, secondo la sentenza impugnata, la giurisprudenza di legittimità ha dettato il principio secondo cui la nozione di rischio professionale coperto dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro copre anche gli infortuni avvenuti per colpa del lavoratore e l'eventuale concorso di colpa dello stesso non potrebbe neanche incidere sull'entità dell'indennizzo ai sensi del disposto degli artt. 10 e 11 del t.u. n. 1124 del 1965.
6. Accanto a tale ragione della decisione, la Corte territoriale ha, poi, considerato che il definitivo giudizio penale di condanna aveva fatto seguito all'accertamento che al G.N. erano state imposte mansioni di meccanico, con l'obbligo di provvedere a pericolose riparazioni in ambiente insicuro, consistenti in lavori di manutenzione di una autocisterna adibita al trasporto di gas di petrolio liquefatto, da cui erano fuoriusciti dei vapori di gas che avevano provocato un incendio, con gravi ustioni per il lavoratore laddove lo stesso non era stato messo al corrente dei gravi rischi inerenti le mansioni affidategli. Ad avviso della Corte, dunque, non poteva neanche ipotizzarsi la sussistenza del concorso di colpa prospettato dalla parte. Dunque, la sentenza impugnata poggia su tali concorrenti ragioni che dimostrano chiaramente l'infondatezza sia del motivo di ricorso, che fa leva sulla violazione dell'art. 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965, che su quello relativo al vizio di motivazione derivante dall'omissione del doveroso accertamento dell'effettiva responsabilità civile del datore di lavoro e del preposto alla lavorazione.
7. In particolare, quanto alla efficacia del giudicato penale di condanna in seno all'azione di regresso posta in essere dall'Inail, va ricordato, che questa Corte di legittimità già con la sentenza n. 13890 dell'11 dicembre 1999 ha avuto modo di chiarire che le disposizioni del nuovo codice di procedura penale in materia di rapporto fra giudicato penale e il seguente giudizio civile sono improntate al principio che il giudicato penale non possa sortire effetti nei confronti dei soggetti che non siano stati parti del giudizio penale e non abbiano, quindi, potuto esprimere le proprie ragioni in quel giudizio, esercitandovi appieno il proprio diritto di difesa.
Il giudicato penale è però, vincolante per chi sia stato parte del giudizio penale, nei limiti di quanto sia stato espressamente deciso. Se, però, il giudicato penale non può essere opposto a chi non è stato parte del giudizio penale, ciò non toglie che tale ultimo soggetto, nel processo civile, possa invocare in proprio favore il giudicato medesimo, per quanto in esso espressamente deciso, dato che, comunque, per il condannato, esso esplica in pieno la sua funzione di giudicato (art. 651 e 654 cod. proc. pen.).
8. Ne consegue che nell'azione di regresso esercitata dall'Inail ai sensi degli artt. 10 e 11 DPR 1124/65 ben può giovare all'Istituto, che ad esso si richiami, il giudicato penale che ha accertato la responsabilità penale del chiamato in regresso per ciò che attiene l'accertamento della sussistenza del fatto e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso. Ogni indagine, però, che non sia stata svolta nel giudizio penale e che, invece, sia essenziale nel giudizio civile, deve essere sviluppata in tale ultimo giudizio ed, in particolare, ciò vale per l'indagine sull'eventuale concorso di colpa della vittima, qualora non sia stata svolta nel giudizio penale o in tale giudizio non sia stato fissato il grado del concorso stesso.
9. Nel caso di specie, la Corte territoriale, condividendo il giudizio del giudice penale contenuto nella sentenza di condanna del 2 giugno 2000, ha validamente posto in essere, come le spetta, l'accertamento del fatto attraverso l'esame delle risultanze processuali ed ha dato atto che il giudice penale ha accertato la responsabilità esclusiva del C.C. e del T.C., coprendo, dunque, coi giudicato, la questione relativa all'eventuale colpa concorrente o prevalente della vittima. 
La sentenza impugnata ha richiamato a pag. 5 taluni passi salienti del giudicato penale ed ha dunque rispettato il principio espresso da questa Corte di cassazione secondo cui in caso di imputazione di violazione di specifiche norme di sicurezza, la responsabilità del datore di lavoro, in ordine all'infortunio subito dal dipendente, non può essere senz'altro ammessa se sia emersa una coeva o successiva condotta colpevole dell'infortunato o di altri, né esclusa soltanto per tale fatto, dovendosene accertare la reale autonomia causale rispetto alla causa posta in essere dal datore di lavoro ovvero la concorrenza (Cass. n. 6341 del 1987).
10. Questa Corte di cassazione ( Cass. n. 21112 del 2008 ) ha pure affermato che l'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore l'obbligo di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro per cui il fatto che dallo svolgimento delle mansioni sia derivato un danno patrimoniale o non patrimoniale al prestatore di lavoro corrisponde ad inadempimento del detto obbligo di tutela ed impone all'imprenditore l'onere di provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., l'impossibilità di adempiere, per causa a lui non imputabile. L'art. 2087 c.c., cit., suole essere definito come norma di chiusura del sistema antinfortunistico nel senso che, anche ove difetti una specifica norma preventiva, la disposizione prescrive al datore di lavoro di adottare comunque le misure generiche di prudenza, diligenza ed osservanza delle norme tecniche e di esperienza (Cass. 2 giugno 1998 n. 5409, 19 luglio 2003 n. 12138, 20 luglio 2003 n. 12253).
11. Ciò comporta che il sistema legale non configura una responsabilità oggettiva del datore per infortunio subito dal prestatore di lavoro, ma richiede che l'evento dannoso sia pur sempre riferibile a colpa del primo (Cass. 20 maggio 1998 n. 5035, 12 febbraio 2000 n. 1579, 10 maggio 2000 n. 6018, 1 giugno 2004 n. 10510). Ulteriore conseguenza è che l'art. 2087 c.c., richiede una collaborazione tra le due parti del contratto di lavoro, onde il lavoratore è obbligato a rispettare sia la normativa antinfortunistica sia le regole di prudenza e il datore di lavoro può, nel fornire la prova liberatoria ex art. 1218 cit., dimostrare la concorrente colpa del prestatore al fine di diminuire il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1 (Cass. 30 maggio 2001 n. 5367, 8 aprile 2002 n. 5024).
12. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza, in favore dei contro-ricorrenti, nella misura liquidata in dispositivo. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascun controricorrente, nella misura di Euro 6000 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Cosi deciso in Roma, il 13 marzo 2018.

Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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