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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 736 | 15 gennaio 2018

ID 5463 | | Visite: 3018 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Malattia professionale. Leucemia ed agenti chimici: nessun nesso di casualità

Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. 15 gennaio n. 736

Presidente: D'ANTONIO ENRICA
Relatore: CAVALLARO LUIGI
Data pubblicazione: 15/01/2018

Ritenuto in fatto

che, con sentenza depositata il 23.11.2011, la Corte d'appello di Bari, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di G.T. volta a conseguire la rendita per malattia professionale;
che avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione F.P., n.q. di erede di G.T., deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria; che l'INAIL ha resistito con controricorso;

Considerato in diritto

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 115 e 194 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di merito fondato il proprio giudizio sulle risultanze di un elaborato peritale da reputarsi nullo per violazione del diritto di difesa, dal momento che avrebbe attestato falsamente la presenza del CTP alle operazioni peritali e avrebbe affermato che la consulenza tecnica si era svolta sugli atti, nonostante che, nel corpo dell'elaborato, il CTU desse conto di aver raccolto informazioni personali sul de cuius senza indicare da chi e quando;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per avere la Corte territoriale ritenuto che pochi studi attesterebbero l'associazione tra esposizione a PCB e cancro, che non sussisterebbero evidenze scientifiche di effetti cancerogeni della benzina e che l'inclusione dei campi elettrici ELF e di quelli elettromagnetici tra i possibili cancerogeni sarebbe avvenuta a scopo precauzionale; che, con riguardo al primo motivo, è sufficiente rilevare, per un verso, che l'addotta causa di nullità della perizia deve ritenersi sanata ex art. 156 ult. co. c.p.c. a seguito della riconvocazione del CTP in sede di chiarimenti, trattandosi in specie di perizia effettuata esclusivamente sugli atti e risultando dalla relazione supplementare che il CTP ha potuto debitamente svolgere i suoi rilievi circa la natura professionale della malattia contratta dal de cuius (cfr. allegato riprodotto sub pag. 18 del ricorso per cassazione), e, per un altro verso, che le informazioni personali assunte dal CTU concernono esclusivamente gli «oli isolanti in uso nei trasformatori elettrici dell'ENEL» (ibid.), che, in quanto fatto collegato con l'oggetto dell'Incarico e non già posto direttamente a fondamento della domanda, può essere accertato dal CTU anche assumendo informazioni presso terzi (cfr. in tal senso Cass. nn. 28669 del 2013 e 14652 del 2012);

che, con riguardo al secondo motivo, costituisce orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui in tanto si può censurare una sentenza di merito di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo risultante dalla modifica apportata dall'art. 2, d.lgs. n. 40/2006, e anteriore alla novella di cui all'art. 54, d.l. n. 83/2012, conv. con I. n. 134/2012) in quanto il fatto su cui la motivazione è stata omessa o è stata resa in modo insufficiente o contraddittorio sia autonomamente decisivo, ossia potenzialmente tale da portare la controversia ad una soluzione diversa, l'indagine di questa Corte dovendo spingersi fino a stabilire se in concreto sussista codesta sua efficacia potenziale (cfr. da ult. Cass. n. 7916 del 2017); che, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di "probabilità qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (cfr. da ult. Cass. n. 10097 del 2015);

che nella specie parte ricorrente non ha addotto alcun fatto la cui considerazione da parte del giudice avrebbe di per sé condotto ad un diverso e a sé favorevole giudizio, limitandosi ad evidenziare una circostanza meramente indiziaria (ossia l'esposizione del de cuius ad agenti chimici che lo stesso CTP qualifica come «capaci di indurre leucemie»: cfr. le conclusioni del CTP riprodotte sub pag. 21 del ricorso per cassazione) che, non possedendo di per sé l'attitudine a tradurre la probabilità dell'evento in termini di certezza giudiziale, non potrebbe non essere valutata comparativamente con le altre che la Corte di merito ha valorizzato per giungere alla conclusione secondo cui «gli agenti chimici e fisici discussi, pur potendo rappresentare possibili fattori di rischio cancerogeno per l'uomo, non sono correlabili neanche con sufficiente probabilità alla malattia leucemia linfatica cronica manifestata clinicamente dal sig. G.T. sin dall'età di anni 40, che è apparsa riconducibile esclusivamente a cause proprie dell'individuo» (così la sentenza impugnata, pag. 6);

che, anche prima della modifica apportata all'art. 360 n. 5 c.p.c. dall'art. 54, d.l. n. 83/2012, cit., la censura di vizio di motivazione non può essere volta a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, né per suo tramite si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento (cfr. da ult. ancora Cass. n. 7916 del 2017, cit.);
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, le alterne vicende di merito suggerendo tuttavia la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 20.9.2017.

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Allegato riservato Cassazione Civile Sent. n. 736 Sez. L anno 2018.pdf
 
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Decreto Legislativo 23 marzo 2011 n. 41

ID 5458 | | Visite: 3954 | Legislazione Sicurezza UE

Decreto Legislativo 23 marzo 2011 n. 41

Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, recante disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' benefici economici e campagne informative al pubblico, a norma dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99.

GU n. 85 del 13-4-2011

Aggiornamenti all'atto:

31/03/2011
DECRETO-LEGGE 31 marzo 2011, n. 34 (in G.U. 31/03/2011, n.74) convertito con modificazioni dalla L. 26 maggio 2011, n. 75 (in G.U. 27/5/2011, n. 122)

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Direttiva 2009/71/EURATOM

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Direttiva 2009/71/EURATOM

Direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio, del 25 giugno 2009 , che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari

GU L 172 del 2.7.2009

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Direttiva 2006/117/EURATOM

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Direttiva 2006/117/EURATOM

Direttiva 2006/117/EURATOM del Consiglio del 20 novembre 2006 relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito 

GU L 337/21 del 5.12.2006 
_______

Atto di recepimento IT: Decreto Legislativo n. 23 del 20 febbraio 2009

Direttiva 2006/117/EURATOM 
...
Articolo 23 Abrogazione

1. La direttiva 92/3/Euratom è abrogata con effetto dal 25 dicembre 2008, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri per quanto riguarda i termini per il recepimento nell’ordinamento nazionale e l’applicazione della suddetta direttiva.

2. I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e vanno letti secondo la tavola di concordanza che figura in allegato.
...

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Direttiva 90/641/EURATOM

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Direttiva 90/641/EURATOM

Direttiva 90/641/Euratom del Consiglio, del 4 dicembre 1990, concernente la protezione operativa dei lavoratori esterni esposti al rischio di radiazioni ionizzanti nel corso del loro intervento in zona controllata

GU n. L 349 del 13/12/1990

__________

Atto di recepimento IT:

Decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 

Collegati:

Direttiva 97/43/EURATOM

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Direttiva 97/43/Euratom

Direttiva 97/43/Euratom del Consiglio del 30 giugno 1997 riguardante la protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse a esposizioni mediche e che abroga la direttiva 84/466/Euratom

GU L 180 del 9.7.1997

_________

Atto di recepimento IT:

Decreto legislativo n. 187 del 26 maggio 2000 

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Radioattività naturale nei materiali da costruzione nell’Ue

ID 5444 | | Visite: 6380 | Documenti Sicurezza Enti

Rapporto ISS 36 2017

Radioattività naturale nei materiali da costruzione nell’Unione europea

Database di concentrazioni di attività, emanazioni di radon e rateo di esalazione di radon

Rapporto ISTISAN 17|36

Viene presentato un database di misure di concentrazione di attività di radionuclidi naturali (226Ra, 232Th e 40K) nei materiali da costruzione utilizzati dall’industria edile nei paesi membri dell’Unione Europea (UE) e in alcuni paesi europei non UE.

Il database contiene dati su circa 23000 campioni di materiali strutturali: mattoni, calcestruzzo, ecc., dei loro componenti: cemento, aggregati fini e grossolani, residui NORM (Naturally occurring Radioactive Material), ecc. e di materiali superficiali: mattonelle, pietre.

Sono state inoltre raccolte e organizzate in una tabella le informazioni su densità ed emanazione e/o esalazione del radon relative a circa 1500 campioni di materiali da costruzione o di loro componenti.

_______

Table of contents

Database description
References
Tables of activity concentrations of building materials used in 30 European countries
Table 1 Austria
Table 2 Belgium
Table 3 Bulgaria
Table 4 Cyprus
Table 5 Czech Republic
Table 6 Denmark
Table 7 Estonia
Table 8 Finland
Table 9 France
Table 10 Germany
Table 11 Greece
Table 12 Hungary
Table 13 Ireland
Table 14 Italy
Table 15 Latvia
Table 16 Lithuania
Table 17 Luxembourg
Table 18 Macedonia
Table 19 Netherlands
Table 20 Norway
Table 21 Poland
Table 22 Portugal
Table 23 Romania
Table 24 Slovakia
Table 25 Slovenia
Table 26 Spain
Table 27 Sweden
Table 28 Switzerland
Table 29 Turkey
Table 30 United Kingdom
Table of radon emanation and exhalation rate of building materials used in 15 European countries
Table 31 Data on radon emanation and exhalation rate of building materials
used in European countries
Database references

Fonte: Istituto Superiore della Sanità

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7° Elenco soggetti autorizzati per lavori sotto tensione

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Elenco soggetti autorizzati lavori sotto tensione

7° Elenco soggetti autorizzati ad effettuare lavori sotto tensione su impianti elettrici

Upgrade 17.01.2017

Decreto Direttoriale n. 2 del 16 Gennaio 2018

Con il decreto direttoriale n. 2 del 16 Gennaio 2018, e' stato adottato il settimo elenco, di cui al punto 3.4 dell'Allegato I del d.m. 4 febbraio 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione dei lavori sotto tensione e dei soggetti formatori ai sensi dell'art. 82, comma 2, del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni

Pubblicato sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali: www.lavoro.gov.it

Soggetti autorizzati lavori sotto tensione: gli elenchi pubblicati

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List Cancer Agents IARC

ID 4665 | | Visite: 15528 | Documenti Sicurezza Enti

List Cancer Agents IARC

Update 27 October 2017

List of  Classifications Agent IARC Volumes 1-120

The IARC categorizes agents, mixtures and exposures into five categories. Note that the classification is based only on the strength of evidence for carcinogenicity, not on the relative increase of cancer risk due to exposure, or on the amount of exposure necessary to cause cancer. For example, a substance that only very slightly increases the likelihood of cancer and only after long-term exposure to large doses, but the evidence for that slight increase is strong, would be placed in Group 1 even though it does not pose a significant risk in normal use.

Group 1: carcinogenic to humans: There is enough evidence to conclude that it can cause cancer in humans.
Group 2A: probably carcinogenic to humans: There is strong evidence that it can cause cancer in humans, but at present it is not conclusive.
Group 2B: possibly carcinogenic to humans: There is some evidence that it can cause cancer in humans but at present it is far from conclusive.
Group 3: not classifiable as to carcinogenicity in humans: There is no evidence at present that it causes cancer in humans.
Group 4: probably not carcinogenic to humans: There is strong evidence that it does not cause cancer in humans. Only one substance – caprolactam – has been assessed for carcinogenicity by the IARC and placed in this category.

Classifications Group Order IARC:

Group 1 Carcinogenic to humans 120 agents
Group 2A Probably carcinogenic to humans 81
Group 2B         Possibly carcinogenic to humans 299
Group 3 Not classifiable as to its carcinogenicity to humans             502
Group 4 Probably not carcinogenic to humans 1

For definitions of these groups, please see the Preamble.

It is strongly recommended to consult the complete Monographs on these agents, the publication date, and the list of studies considered. Significant new information might support a different classification.

For agents that have not been classified, no determination of non-carcinogenicity or overall safety should be inferred

List of classifications, Volumes 1-120 (PDF file)

List of classifications by cancer sit2 1-120 (PDF file)

See Preventable Exposures Associated With Human Cancers (Cogliano et al., 2011)

Although care was taken in preparing these lists, mistakes may be present.

If you find an error, please notify us at Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

IARC

Table:

 27 October 2017 List of  Classifications Agent IARC Volumes 1-120
 28 June 2017 List of  Classifications Agent IARC Volumes 1-119

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Il Radon nelle scuole dell'Umbria

ID 5413 | | Visite: 3767 | Documenti Sicurezza Enti

Piano Radon Umbria 2005

Il Radon nelle scuole dell'Umbria

Campagne di monitoraggio e azioni di rimedio

Il radon è tra i principali inquinanti dell’aria indoor e la sua pericolosità per la salute umana, in termini di insorgenza di cancro al polmone, è tale che l’International Agency for Research on Cancer (IARC) lo ha inserito nel gruppo 1 degli agenti cancerogeni per l’uomo, ovvero quello la cui cancerogenicità è riconosciuta. La percezione del rischio associato alla esposizione del radon è invece generalmente poco diffusa tra la maggior parte della popolazione, soprattutto se paragonata all’interesse suscitato da altri inquinanti.

Un esempio è quello dei campi elettromagnetici, attualmente collocati dallo IARC nel gruppo 2B, che elenca gli agenti la cui cancerogenicità è ritenuta possibile.

Data l’importanza e la delicatezza del tema, Arpa Umbria ha dato vita nel 2005 ad una articolata campagna di monitoraggio negli edifici scolastici della regione. Questo anche in ossequio all’attenzione riservata dalla normativa a questi ambienti per i quali, considerata la vulnerabilità della giovane popolazione che vi è ospitata, in caso di superamento dei limiti di concentrazione è fatto obbligo agli esercenti di porre in atto azioni di rimedio, prescindendo dal successivo passaggio di valutazione della dose come avviene per gli altri luoghi di lavoro.

La campagna di  monitoraggio, condotta anche in collaborazione con il Servizio di Fisica Sanitaria dell’Università degli Studi di Perugia, ha consentito dunque di individuare le situazioni a rischio e di progettare e adottare, risalendo alle sorgenti di diffusione del gas, i provvedimenti più efficaci. In senso più ampio, però, il lavoro svolto ha avuto il pregio di restituire un primo screening della presenza di radon nel territorio regionale, con- sentendo di quantificare, rispetto a tale problematica, il contributo fornito dal substrato su cui sorgono gli edifici e quello fornito dal materiale da costruzione, svolgendo al contempo un’opera di informazione e sensibilizzazione nei confronti della popolazione e degli enti locali.

Grazie  alla collaborazione di  quelle Amministrazioni comunali che hanno raccolto l’opportunità offerta dalla campagna di monitoraggio, dando riscontro al censimento preliminare degli edifici scolastici promosso dall’Agenzia, e grazie anche alla professionalità dei loro uffici tecnici, è stato possibile portare a compimento un lavoro complesso ed importante. Un lavoro che soprattutto va nella giusta direzione del risanamento e della prevenzione e che ha dimostrato come anche ad un  problema  insidioso come quello del radon sia possibile dare risposte adeguate e risolutive, unendo le conoscenze tecnico-scientifiche offerte da Arpa e la lungimiranza degli amministratori.

ARPA Umbria 2005

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Radiazioni ionizzanti e CEM: valutazione e protezione alla luce della nuova normativa UE

ID 5409 | | Visite: 8436 | Documenti Riservati Sicurezza

radiazioni ionizzanti e CEM convegno 2017

Atti convegno radiazioni ionizzanti 2017 

Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: valutazione e protezione alla luce della nuova normativa europea

Il convegno approfondisce i temi delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti (CEM), in particolare in considerazione del recepimento della Direttiva 2013/59/Euratom (previsto entro il 6 febbraio 2018) e della recente entrata in vigore del nuovo Capo IV del Titolo VIII sui CEM.

L'intento, grazie al prezioso contributo degli esperti e dei professionisti del settore, è quello di condividere conoscenze ed esperienze per la valutazione del rischio occupazionale derivante dalla esposizione a radiazioni ionizzanti e CEM, mediante la presentazione delle novità legislative in materia, l'analisi delle criticità derivanti dalla loro applicazione, nonché di casi e studi in ambito industriale, sanitario e di ricerca.

Nel dettaglio, gli atti del convegno:

01.  Schema di recepimento della direttiva Euratom 59/2013: stato dell'arte e prospettive.
Stefano Adamo De Crescenzo (Ospedale Niguarda Milano), Paolo Rossi (Ministero della Salute)

02.  Il punto di vista dell'Esperto Qualificato nell'applicazione della nuova direttiva in campo industriale, sanitario e di ricerca.
Luisa Biazzi (Università degli Studi di Pavia, ANPEQ)

03. Il ruolo del Fisico Medico nella sicurezza in ambito ospedaliero
Michele Stasi (AIFM), Elisabetta Genovese (AIFM)

04. La pianificazione dell'emergenza nelle pratiche con materie radioattive.
Gian Marco Contessa (ENEA)

05. Il controllo dell'esposizione al radon negli ambienti di lavoro: situazione e prospettive.
Rosabianca Trevisi (INAIL)

06. Il D.Lgs. 159/2016 ad un anno dall'entrata in vigore: FAQ e criticità.
Iole Pinto (USL Toscana Sud Est)

07. Due esempi di sorgenti in black list CEI 50499: stima e gestione del rischio di esposizione a campi elettromagnetici.
Massimiliano Seren Tha (Ingegnere Libero Professionista,Torino) 

08. CEM e ultrasuoni in ambito sanitario: sorgenti, rischi, prevenzione e protezione degli operatori del settore.
Riccardo Di Liberto (IRCCS Policlinico San Matteo Pavia) 

09. Effetti dei campi elettromagnetici nei lavoratori professionalmente esposti: le evidenze scientifiche, le decisioni della magistratura.
Fabriziomaria Gobba (Cattedra di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, Università di Modena e Reggio Emilia - AIRM)

_______

Di seguito, alcune considerazioni estratte dalla relazione 01. "Schema di recepimento della direttiva Euratom 59/2013: stato dell'arte e prospettive" del Dott. Stefano Adamo De Crescenzo (Ospedale Niguarda Milano) e del Dott. Paolo Rossi (Ministero della Salute).

...

La direttiva 59/2013: le principali novità
- unica norma relativa a tutte le fonti di esposizione
- ridefinizione dei criteri di esenzione e di clearance (allontanamento)
- gestione integrata delle sorgenti di radiazioni naturali
- la giustificazione di nuove pratiche mediche dovrebbe tenere conto anche delle dosi assorbite dai lavoratori
- registrazione delle esposizioni e informazione del paziente nelle esposizioni mediche
- attenzione alle esposizioni mediche accidentali e involontarie
- protezione di lavoratori esterni
- revisione del limite di dose per il cristallino
- revisione del livello di riferimento per la concentrazione del Rn negli ambienti di lavoro
- revisione del sistema di gestione delle situazioni di emergenza.

Il metodo

-  Su proposta del D.G. Energia del M.I.S.E. è stato proposto un G.D.L. per l’istruttoria tecnica della bozza condivisa del decreto di recepimento
-  Presidenza C.d.M. - Dipartimento Protezione civile
-  Ministero dell’Ambiente e della Tutela Territorio e Mare
-  Ministero dell’Interno - Dipartimento VVFF
-  Ministero del lavoro e delle politiche sociali
-  Ministero della salute
-  Ministero della difesa
-  Ministero della giustizia
-  Ministero dell’istruzione, Università e Ricerca
-  I.S.P.R.A., I.S.S. e I.N.A.I.L

Il metodo: due novità

- coinvolgimento delle Regioni già nella fase istruttoria con l’obiettivo di concorrere alla redazione di una proposta condivisa
- non viene esclusa la possibilità di “adeguate iniziative di informazione, quali ad esempio, la consultazione di specifici soggetti portatori di interesse”

Tecnica legislativa : lo stato attuale

- Il decreto legislativo 26 maggio 2000, n.187, recepisce la direttiva 97/43/Euratom (esposizioni mediche)
- Il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n.52, recepisce la direttiva 2003/122/Euratom (sorgenti sigillate e ad alta attività e sorgenti orfane)
- Il decreto legislativo 17 marzo 1995, n.230, recepisce sei direttive Euratom:
- 89/618/Euratom (emergenze radiologiche)
- 90/641/Euratom (outside workers)
- 96/29/Euratom (BSS)
- 2006/117/Euratom (spedizione rifiuti radioattivi e combustibile esaurito)
- 2009/71/Euratom (gestione sicura degli impianti nucleari) (modificata dalla 2014/87/Euratom in fase finale di recepimento)
- 2011/70/Euratom (gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi)
- abrogata e sostituita dalla 2013/59/Euratom
- abrogata e sostituita dalla 2013/59/Euratom
- abrogate e sostituite dalla 2013/59/Euratom
- non modificate dalla 2013/59/Euratom

Alcuni criteri specifici di recepimento

- riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti (un unico testo tratta l’intera normativa)
- chiara identificazione di requisiti compiti e responsabilità delle figure professionali coinvolte anche garantendo coerenza e continuità con le disposizioni del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230
- attuazione del piano nazionale radon

In buona sostanza: fatte salve le modifiche all’attuale quadro normativo che si rendevano necessarie per renderlo conforme alle raccomandazioni comunitarie, si è lavorato cercando di mantenere ciò che si è dimostrato funzionare bene e di correggere ciò che poteva essere migliorato

Alcuni orientamenti: campo di applicazione e sistema regolatorio

- adozione del campo di applicazione della direttiva
- resta invariato il concetto di non rilevanza radiologica ma cambiano (conformemente alla direttiva) i valori che ne definiscono la pratica applicazione
- possibili implicazioni soprattutto sul sistema regolatorio relativo a:
- le soglie di applicazione della notifica di pratica
- le soglie di applicazione dei nulla osta
- le sorgenti mobili
- I livelli di clearance (allontanamento) dei rifiuti radioattivi solidi e degli effluenti liquidi e aeriformi
- il sistema regolatorio basato su notifica e nulla osta (B e A) non dovrebbe cambiare in maniera sostanziale: rispetta già il criterio di gradualità

Alcuni orientamenti: protezione del paziente

- possibile qualche cambiamento nel sistema di responsabilità per garantire maggiore efficacia al sistema: in particolare attribuzione al Fisico Specialista di responsabilità in tema di ottimizzazione
- auspicabile un rimando costante alle norme di buona prassi:
- nei controlli di qualità
- nella gestione dell’ospedalizzazione del pz sottoposto a trattamenti terapeutici con sostanze radioattive
- nella verifica del Livelli Diagnostici di Riferimento
- necessaria una definizione chiara di ruoli funzioni e responsabilità nel campo della fisica medica e dei controlli di qualità alla luce del principio di gradualità
- particolare attenzione a:
- esposizioni potenziali (approccio graduale, prevenzione e gestione ricondotta al percorso di segnalazione degli eventi sentinella)
- attività che comportano alte dosi al paziente
- informazione del paziente, comunicazione al prescrivente e tracciabilità dei dati relativi alla sua esposizione
- programmi di screening
- non dovrebbero cambiare le attribuzioni in materia di vigilanza: necessità di rivisitazione e di riqualificazione dell’attività di vigilanza

Alcuni orientamenti: protezione dei lavoratori

- non cambia il sistema di responsabilità
- auspicabile ridefinizione dell’attività di vigilanza in un quadro di ottimizzazione delle risorse e sulla base di un razionale sostenibile
- auspicabile integrazione con il D.Lgs 81/2008:
- - migliore definizione di compiti del DDL, dei dirigenti e dei preposti
- - formazione dei lavoratori
- - non dovrebbe cambiare il sistema attuale di sorveglianza fisica basato su un’unica figura professionale (Esperto in radioprotezione, RPE)
- - auspicabili modifiche al sistema di sorveglianza medica più orientato al EBM e alla specializzazione della figura del medico addetto
- - necessarie modifiche al percorso di formazione e aggiornamento degli addetti
- - nuovo limite di dose per il cristallino
- - nuovo livello ri riferimento per la concentrazione di 222Rn negli ambienti di lavoro (da 500 Bq/m3 a 300 Bq/m3)

Alcune criticità che dovrebbero essere sciolte

- RPE vs RPO
- il ruolo dei servizi di dosimetria vs le attribuzioni dell’Esperto in radioprotezione
- la conflittualità tra Esperto in Radioprotezione e Fisico Specialista
- la formazione e l’aggiornamento dell’Esperto in Radioprotezione e del Medico Aggetto alla Sorveglianza Sanitaria

Conclusioni

 Il Recepimento della Direttiva 2013/59/EURATOM è un'occasione da non perdere per

-  superare i limiti dell’attuale quadro normativo
-  disallineamento con la normativa sulla sicurezza del lavoro
- conflittualità tra figure professionali
- ambiguità nel campo di applicazione
- mettere alla prova un nuovo (almeno nel campo della radioprotezione) metodo di condivisione tra gli enti centrali e le regioni
... 

Fonte:
Servizio Sanitario Emilia Romagna
14 Settembre 2017
 

BS 18004 Il Metodo Valutazione dei Rischi nei SGSL

ID 3652 | | Visite: 31093 | Documenti Riservati Sicurezza



Valutazione dei rischi SGSL BS OHSAS 18001 e BS 18004

ID 3652 | 22.03.2020

Update 23.10.2020

Status norma

La norma BS 18004 è stata ritirata e sostituita da BS 45002-0:2018

Valutazione dei Rischi nei Sistemi di Gestione Sicurezza in accordo con BS OHSAS 18001 e BS 18004.

Il decreto legislativo n. 81/2008 ha disegnato implicitamente tra le proprie disposizioni un sistema di gestione basato sul ciclo di Deming, nel quale la valutazione dei rischi costituisce l'atto fondante e programmatico.
Appare chiaro, pertanto, come quest’ultima debba basarsi su criteri metodologici del tutto coerenti con i requisiti indicati nella norma BS OHSAS 18001.

"In attesa dello Standard ISO 45001, ancora allo stato DIS, la norma di riferimento certificabile per gli SGSL è la BS OHSAS 18001:2007"

L’adeguamento a questi standard ha consentito oltretutto alle aziende di prepararsi all’adozione di un modello di organizzazione e di gestione della sicurezza avente validità esimente secondo le indicazioni contenute nell’art. 30, D.Lgs. n. 81/2008, e nel D.Lgs. n. 231/2001.

Il core del sistema sicurezza aziendale è la valutazione dei rischi, ma sono pochi i riferimenti metodologici rintracciabili nella normativa tecnica internazionale, un esempio è dato dalla norma BS 18004:2008, «Guide to achieving effective occupational health and safety performance» nella quale una proposta di metodologia di valutazione dei rischi è riportata in allegato alla norma, che ha in effetti lo scopo più generale di indicare le buone prassi per garantire la gestione della salute e della sicurezza, sulla base della norma BS OHSAS 18001:2007.

La norma BS 18004:2008

Il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, all art. 2, comma 1, lettera q), ha definito la valutazione dei rischi come la: «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nei luoghi di lavoro finalizzata a individuare le misure di prevenzione e protezione e a elaborare il programma delle misure di miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza».

Contestualmente gli artt. 28 e 29, D.Lgs. n. 81/ 2008, hanno definito l’oggetto e le modalità di effettuazione della valutazione dei rischi. Quello che non è stato precisato nella norma è la metodologia che deve essere adottata nell'approccio valutativo e proprio questa mancanza è uno dei principali motivi che ha determinato la frequente inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi a quanto richiesto, in termini generali, dal legislatore.

La metodologia utilizzata per la valutazione dei rischi deve essere finalizzata non solo appunto alla identificazione e valutazione dei rischi, ma anche e soprattutto:

- per definire le misure di sicurezza ;
- per programmare misure per il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza ;
- predisponendo documenti utili a tale scopo, chiari e completi.

La norma BS 18004:2008, «Guide to achieving effective occupational health and safety performance» (che ha sostituito la precedente BS 8800:2004) ha costituito un interessante riferimento, poiché:

- ha rappresentato una guida per le aziende per l implementazione di un sistema di gestione della sicurezza, conforme alle previsioni della BS OHSAS 18001;
- ha indicato nell’Allegato E i criteri per l effettuazione del processo di valutazione dei rischi (risk assessment).

Il processo di valutazione dei rischi deve consistere in una serie di tappe logiche per mezzo delle quali devono essere esaminati in modo sistematico i pericoli per la salute e per la sicurezza delle persone presenti nei luoghi di lavoro o connessi con le attività lavorative svolte, al fine di esprimere, sulla base delle effettive modalità di svolgimento e delle misure di sicurezza adottate, un giudizio sulla sicurezza di chi è soggetto a questi pericoli.

Le fasi fondamentali che costituiscono il processo di risk assessment secondo la norma sono due:

- l’analisi dei rischi;
- la ponderazione dei rischi.

In particolare, la prima fase, ossia l analisi dei rischi (che ha incluso l identificazione e la stima dei rischi) è risultata necessaria per estrapolare le informazioni che devono essere utilizzate nella successiva fase di valutazione. 
...

Tabella 1

...
Tabella 2



Legenda
P: Probabilità (MI Molto Improbabile; I Improbabile; P Probabile; MP Molto Probabile)
D: Danno (DL Danno Lieve; DM Danno Medio; DG Danno Grave)
R: Rischio funzione di Probabilità e Danno [R = f(p;d)] (RMB Rischio Molto Basso; RB Rischio Basso; RM Rischio Medio; RA Rischio Alto; RMA Rischio Molto Alto)


Certifico Srl - IT Rev. 00 2017

Bibliografia
Ambiente e Sicurezza - Il Sole 24 Ore
BS OHSAS 18001:2007 - Occupational health and safety management systems. Requirements
BS 18004:2008 - Guide to achieving effective occupational health and safety performance

ISO 45001: Pubblicazione rinviata al 2017

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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 31081 | 28 dicembre 2017

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Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. 28 dicembre 2017 n. 31081

Rischio da radiazioni ionizzanti

Civile Ord. Sez. L Num. 31081 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: BLASUTTO DANIELA
Data pubblicazione: 28/12/2017

Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2545/12, ha respinto l'appello proposto dall'INAIL, subentrato all'ISPELS (Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro), avverso la pronuncia che, in accoglimento della domanda proposta da DP.C., aveva condannato l'Istituto al pagamento della somma di € 12.680,50 a titolo di indennità di rischio da radiazioni ionizzanti per il periodo gennaio 1997-dicembre 2007.

2. Il DP.C. aveva dedotto di avere svolto le mansioni di collaboratore tecnico presso il "laboratorio controlli non distruttivi" del Dipartimento tecnologie di sicurezza e di avere eseguito radiografie a raggi X su serbatoi metallici in pressione e giunti saldati in genere, sia in laboratorio sia all'esterno, utilizzando in tal caso un'apparecchiatura portatile; aveva altresì dedotto di essere stato inserito dall'esperto qualificato nella cat. A prevista dal D.Lgs. n. 230/1995, riservata ai lavoratori massimamente esposti alle radiazioni ionizzanti nell'espletamento dell'attività lavorativa.

3. Il Giudice di primo grado aveva accolto la domanda, rilevando altresì che nelle more del giudizio la Commissione nominata dall'ISPELS aveva concluso i propri lavori riconoscendo l'indennità nella misura massima al personale della categoria A.

4. Secondo l'INAIL, il Giudice di primo grado aveva errato per avere ritenuto: a) che il diritto potesse essere riconosciuto a prescindere dalla valutazione che le parti avevano riservato all'apposita Commissione tecnica; b) che potesse rilevare nel presente giudizio l'esito cui la Commissione medesima era pervenuta nella seduta del 6 ottobre 2008, giacché la valutazione non si riferiva in modo espresso anche al periodo antecedente.

5. Nel disattendere tali censure, la Corte di appello ha ritenuto, in sintesi, che:
- l'art. 26 del D.P.R. n. 171/1991 prevede due forme di esposizione dalle quali fa discendere l'attribuzione dell'indennità in misura piena o parziale, mentre il D.Lgs. n. 230/1995 individua, secondo UN parametro oggettivo, i lavoratori esposti, distinguendoli in due categorie a seconda della maggiore o minore esposizione; le parti collettive, nel richiamare entrambe le fonti avevano inteso evidentemente riconoscere al lavoratore della categoria A l'indennità piena e a quello della categoria B l'indennità in misura ridotta;
- poiché non era contestato tra le parti che il DP.C., sin dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 230 del 2005, fosse stato inserito nella categoria A, in quanto massimamente esposto al rischio radiazioni, allo stesso doveva essere riconosciuta, a partire dalla stessa data, l'indennità nella misura richiesta;
- inoltre, la Commissione istituita dall'ISPELS in data 17 aprile 2008, con verbale del 6 ottobre 2008, espressamente richiamato dal Commissario Straordinario nel provvedimento del 17 novembre 2008, aveva individuato nel personale classificato in categoria A quello di cui al punto 1 dell'art. 26 del d.P.R. n. 171/91 e nel personale classificato in categoria B quello di cui al punto 3 dell'art.26; tale valutazione spiegava effetti anche per il periodo anteriore alla pronuncia della Commissione.

6. Avverso tale sentenza l'INAIL ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, al quale ha opposto difese il DP.C. con controricorso.

7. L'Istituto ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.l c.p.c. (inserito dall'art. 1, lett. f, del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).


Considerato che

1. Il ricorso, denunciando violazione dell'art. 1362 e segg. c.c., in relazione all'art. 54 CCNL 1994/1997, dell'art. 47 CCNL 1998/2001, dell'art. 42 CCNL 2002/2005 del comparto della ricerca, dell'art. 26 del d.P.R. n. 171/1991 e della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 230/1995 (art. 360 n. 3 c.p.c.), addebita alla sentenza di avere erroneamente interpretato la disciplina contrattuale in tema di diritto all'indennità di rischio radiologico dei dipendenti esposti a radiazioni ionizzanti.

2. A sostegno dell'impugnazione l'INAIL rappresenta, in sintesi, quanto segue:
- l'introduzione della Legge n. 460 del 1998 ha segnato il passaggio da un sistema basato su meri requisiti soggettivi, quale il solo fatto dell'esercizio della professione di radiologo, ad un sistema ancorato a precisi elementi oggettivi, come l'accertamento della continua e permanente esposizione a rischio radiologico, ampliando, conseguentemente, le categorie destinatarie di tali beneficio al di là del settore della radiologia medica, sempre subordinatamente all'accertamento della sussistenza delle condizioni oggettive richieste;
- nel processo di estensione di tale disciplina a categorie precedentemente non individuate, avvenuto in sede di contrattazione collettiva nell'ambito del comparto della ricerca, si colloca l'art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1991 (recante il recepimento dell'accordo per il triennio contrattuale 1988/1990 concernente il personale degli Enti di ricerca), il cui testo, oltre a richiamare pedissequamente l'art. 1, commi 2 e 3, della Legge n. 460 del 1988, prevede l'istituzione di un'apposita Commissione composta da almeno tre esperti qualificati della materia per l'accertamento della sussistenza delle condizioni per l'erogazione del beneficio in parola;
- la contrattazione collettiva di settore (art. 54 CCNL 1994/1997, art. 47 CCNL 1998/2001) ha richiamato in primo luogo l'art. 26 del d.P.R. n. 171/1991, con una proposizione che non può che essere interpretata come rinvio alla disciplina ivi contenuta, atteso che diversamente avrebbe richiamato esclusivamente il D.Lgs. n. 230 del 1995;
- dunque, in mancanza dell'accertamento della quantità di radiazioni cui il lavoratore è stato esposto, effettuato da tale Commissione tecnica, resta preclusa all'Amministrazione la possibilità di riconoscere il beneficio oggetto di causa;
- il giudizio espresso dalla Commissione tecnica non può spiegare effetti anche per il periodi anteriore al momento in cui la valutazione è stata operata. 

3. In sede di memoria difensiva l'INAIL ha introdotto ulteriori argomenti a sostegno di tale ultimo assunto.

4. Il ricorso è inammissibile.

5. L'art. 54 CCNL enti di ricerca 1994/1997 del 7 ottobre 1996, l'art. 47 CCNL 1998/2001 del 21 febbraio 2002 e l'art. 42 CCNL 2002/2005 del 7 aprile 2006 (quest'ultimo articolo contenente norma di rinvio) prevedono che "1. L'indennità di rischio da radiazioni resta disciplinata dall'art. 26 del DPR 171/1991, nel rispetto e in correlazione con le disposizioni e le classificazioni introdotte dal D. Lgs. 230/95".

6. Il richiamato decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1991, n. 171 (recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo per il triennio 1988-1990 concernente il personale delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione di cui all'art. 9 della legge 9 maggio 1989, n. 168), all'art. 26 (Indennità di rischio da radiazioni) prevede che: "1. Al personale medico e tecnico-scientifico, sottoposto in continuità all'azione di sostanze ionizzanti o adibito ad apparecchiature radiologiche in maniera permanente, è corrisposta un'indennità di rischio da radiazioni nella misura unica mensile lorda di lire duecentomila. 2. La suddetta indennità spetta al personale sopra specificato tenuto a prestare la propria opera in zone controllate, ai sensi della circolare del Ministero della sanità n. 144 del 4 settembre 1971, e sempreché il rischio da radiazioni abbia carattere professionale, nel senso che non sia possibile esercitare l'attività senza sottoporsi al relativo rischio. 3. Al personale non compreso nel comma 1 del presente articolo, che sia esposto a rischio in modo discontinuo, temporaneo o a rotazione, in quanto adibito normalmente o prevalentemente a funzioni diverse da quelle svolte dal personale indicato nel precedente comma 1, è corrisposta un'indennità di rischio parziale nella misura unica mensile lorda di lire cinquantamila. L'individuazione del predetto personale va effettuata da apposita commissione, composta da almeno tre esperti qualificati della materia, anche esterni dall'ente o istituzione, nominata dal presidente. Tale commissione, ove necessario per corrispondere a particolari esigenze, può essere articolata anche territorialmente. 4. L'indennità di rischio da radiazioni di cui ai commi precedenti non è cu mula bile con altre eventualmente previste a titolo di lavoro nocivo, rischioso o per profilassi".

7. Secondo l'assunto dell'INAIL, le disposizioni contenute nei CCNL del comparto degli enti di ricerca succedutesi nel tempo devono essere interpretate nel senso che con il richiamo nelle stesse contenuto sia all'articolo 26 del d.P.R. n. 171 del 1991, sia al D.Lgs. n. 230/95, le parti sociali abbiano voluto mantenere inalterato il meccanismo previsto dal richiamato art. 26, che subordina la corresponsione dell'indennità oggetto di causa alla verifica da parte dell'apposita Commissione tecnica.

[...]

12. Per tali assorbenti motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile, con onere delle spese a carico di parte soccombente.

13. Le spese sono liquidate, nella misura indicata in dispositivo, in favore del procuratore avv. Stefania De Angelis, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l'INAIL al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000,00 per compensi e in € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Così deciso nella Adunanza camerale del 28 settembre 2017

Approfondimenti normativi:

D.M. 1 febbraio 1986: Prevenzione Incendi autorimesse (Attività 75)

ID 2175 | | Visite: 62778 | Prevenzione Incendi

DM 1 febbraio 1986 autorimesse

DM 1° Febbraio 1986 | RT Prevenzione Incendi autorimesse / Abrogato

Abrogazione

Il Decreto del Ministero dell’Interno 15 maggio 2020 (GU n.132 del 23-05-2020), che è entrato in vigore il 19 novembre 2020 ha abrogato il Decreto 22 novembre 2002 e il decreto 1° febbraio 1986.

News Update: 28 Aprile 2019

D.M. 1 febbraio 1986
Norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l'esercizio di autorimesse e simili 

(G.U. n. 38 del 15 febbraio 1986)

Note:

- In corsivo grassetto (blu) sono riportati i criteri per la concessione di deroghe in via generale di cui alla Lettera-Circolare n. P1563/4108 sott. 28 del 29/8/1995. (1)(2)
- In corsivo (rosso) sono riportati vari commenti e chiarimenti.

Con l'entrata in vigore il 7 ottobre 2011 del nuovo regolamento di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, le “autorimesse” (e simili) sono ricompresi al punto 75 dell’allegato I al decreto che, a differenza di quanto previsto dal vecchio elenco del D.M. 16/2/1982, comprende anche attività prima non soggette (depositi di mezzi rotabili -treni, tram ecc.- di superficie coperta > 1.000 m2).

Per effetto dei nuovi limiti sono diventate soggette alcune attività prima esenti e viceversa esenti altre prima soggette, es.:

- Autorimesse con 10 o più autoveicoli, ma con superficie < 300 m2 (prima soggette, ora non più)
- Autorimesse con 9 o meno autoveicoli, ma con superficie > 300 m2 (prima non soggette, ora soggette con il nuovo regolamento).

Pareri e riferimenti presenti devono essere letti in relazione al periodo in cui sono stati emessi, tenendo conto dei vari aggiornamenti succeduti nel tempo.

N.  ATTIVITÀ CATEGORIA
    A B C
75 Autorimesse pubbliche e private, parcheggi pluriplano e meccanizzati di superficie complessiva coperta superiore a 300 m2; locali adibiti al ricovero di natanti ed aeromobili di superficie superiore a 500 m2; depositi di mezzi rotabili (treni, tram ecc.) di superficie coperta superiore a 1.000 m2. Autorimesse fino a 1.000 m2 Autorimesse oltre 1.000 m2 e fino a 3.000 m2; ricovero di natanti ed aeromobili oltre 500 m2 e fino a 1000 m2 Autorimesse oltre 3000 m2; ricovero di natanti ed aero-mobili di superficie oltre i 1000 m2

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Le possibili strade per la progettazione antincendio



Decreto 21 febbraio 2017 (RTO)   D.M. 1 febbraio 1986 (RTV) Abrogato / Solo applicazione Codice 

Decreto 12 Aprile 2019 Eliminazione doppio binario e Att. 75

Dal 20 Ottobre 2019 entrata in vigore del Decreto 12 Aprile 2019 "Modifiche al Decreto 3 agosto 2015, recante l'approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139" (GU n.95 del 23-04-2019), le attività di Prevenzione Incendi di nuova realizzazione (Art. 1 c.1) sono obbligate al rispetto del Codice Prevenzione Incendi decreto 3 agosto 2015, salvo attività Art. 2-bis (Modalità applicative alternative), tra cui attività 75

DM 3 agosto 2015 e D.P.R. 151/2011 Tabella di lettura 

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Il testo Codice Prevenzione Incendi aggiornato (link 1)

Il testo Codice Prevenzione Incendi aggiornato (link 2)

Collegati

Saldatura: Impianti di aspirazione localizzata

ID 5366 | | Visite: 3783 | Documenti Sicurezza Enti

saldatura aspirazione localizzata

Saldatura: Impianti di aspirazione localizzata 

Le tecniche di ventilazione possibili sono:

-  la ventilazione locale per aspirazione localizzata degli inquinanti;

-  la ventilazione generale per diluizione degli inquinanti.

La ventilazione locale per aspirazione localizzata consiste nel catturare gli inquinanti aerodispersi il più vicino possibile alla sorgente di emissione prima che essi attraversino la zona di respirazione dei lavoratori o che si disperdano nell’ambiente di lavoro.

Le concentrazioni di inquinanti che si ottengono con le aspirazioni localizzate, essendo essi allontanati e non diluiti, possono essere anche molto basse.

Questi impianti richiedono portate d’aria di molto inferiori rispetto alla ventilazione generale per diluizione e quindi costi di funzionamento e di riscaldamento meno elevati anche se con maggiori costi di investimento iniziale.

La ventilazione locale deve essere ritenuta prioritaria in tutti i casi e in particolare quando inquinanti pericolosi siano emessi in quantità notevoli.

Il calcolo delle portate necessarie, per i vari tipi di impianti di aspirazione localizzata, deve essere e ettuato considerando una velocità di captazione necessaria alla sorgente non inferiore a 0,5 m/s con aumenti dovuti a particolari condizioni dell’impianto utilizzato o ad altri parametri igienico - ambientali.

La ventilazione generale per diluizione degli inquinanti introduce una quantità d’aria nuova nel locale in quantità su ciente per portare la concentrazione delle sostanze pericolose al di sotto dei valori limite di esposizione adottati.

Si raccomanda di utilizzarla solo come complemento alla ventilazione locale e per diluire gli inquinanti residui non captati dagli impianti di aspirazione localizzata.

La ventilazione generale può essere utilizzata come tecnica principale di risanamento dell’aria solo se il ricorso ad una ventilazione locale è tecnicamente impossibile, in caso di inquinanti aerodispersi poco tossici, emessi in piccole quantità e se i lavoratori esposti sono su cientemente lontani dalle sorgenti di inquina- mento.

In molti casi di impossibilità apparente, si può tuttavia realizzare una aspirazione localizzata con una riorganizzazione del lavoro, per es. raggruppando postazioni di lavoro inizialmente disperse o trasformando in posti fissi o semifissi postazioni di lavoro inizialmente mobili o con impianti di aspirazione localizzata mobili.

Naturalmente ciò diventa più facilmente realizzabile per una nuova ditta, in fase di progettazione del lay- out, ma è comunque possibile anche in situazioni esistenti. 

segue

EBER 2015

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EBER 2015
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Formaldeide: Indicazione iscrizione registro di esposizione RFVG

ID 5358 | | Visite: 8995 | Documenti Sicurezza ASL

Formaldeide Regione Friuli Venezia Giulia 2017

Formaldeide: Indicazione iscrizione dei lavoratori registro di esposizione RFVG

Regione Friuli Venezia Giulia, prot. 16 agosto 2017, n. 14470/P - PRP 2014 - 2018 - MO 7

Prevenzione infortuni e malattie professionali - Protezione da agenti cancerogeni e mutageni

La riclassificazione della formaldeide da sospetto cancerogeno a cancerogeno per l'uomo in categoria 1B (può provocare il cancro - indicazione di pericolo H 350), porta alla necessità di rivalutazione degli aspetti della gestione della salute e sicurezza, ai fini della corretta applicazione della normativa in materia di "Protezione da agenti cancerogeni e mutageni" prevista dal Titolo IX- Capo II del D.lgs 81/08 in tutti i casi in cui vi sia impiego o liberazione di formaldeide.

Il Gruppo di Lavoro Cancerogeni delle Aziende Sanitarie della Regione Friuli Venezia Giulia, nelle more delle conclusioni del gruppo nazionale cancerogeni, ha redatto un documento, che fornisce indicazioni operative uniformi sul territorio regionale in materia di rischio da esposizione occupazionale a formaldeide, rivolto principalmente ai Servizi di Prevenzione e Protezione aziendali e ai medici competenti.

Alla luce della normativa vigente e di importanti contributi regionali, dedicati all'applicazione degli artt. 242 e 243 del Dlgs 81/08 riguardo a tale agente, il gruppo di lavoro della Regione Friuli Venezia Giulia propone di considerare: 

- non esposti professionalmente i lavoratori la cui esposizione, espressa in termini di esposizione media ponderata a formaldeide, non oltrepassi il valore di 0,1 mg/m³, tenuto conto delle indicazioni, tuttora valide, delle Linee Guida del Coordinamento Tecnico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province Autonome del 2002 e della Circolare n. 57/1983 del Ministero della Salute.

- professionalmente esposti i lavoratori la cui esposizione oltrepassi il valore di 0,1 mg/m³, ai fini dell'attivazione della sorveglianza sanitaria e dell'iscrizione al Registro esposti ai sensi degli art.i 242 e 243 del D.Lgs 81/08.

Il Gruppo di Lavoro del Friuli Venezia Giulia ha ritenuto di adottare la soglia di 0,1 mg/m3 poiché, stante i recenti adeguamenti normativi, in questa Regione sono ancora in corso verifiche sulle ricadute effettive in termini di tumori occupazionali collegati con l’esposizione a formaldeide e sulle concrete situazioni espositive nelle diverse realtà produttive locali.

Fermo restando il valore sopra proposto, al fine di verificare l’efficacia delle misure preventive elencate all’art. 237 del D.lgs 81/08 per contenere il rischio cancerogeno, come sottolineato nella Linea guida della Lombardia, va fatto riferimento alle indicazioni citate nell’Allegato XLI dello stesso decreto per le metodiche di misurazione e la periodicità delle stesse (norma UNI EN 689/97 - Atmosfera nell’ambiente di lavoro-Guida alla valutazione dell’esposizione per inalazione a composti chimici ai fini del confronto con i valori limite e strategia di misurazione).

__________

Articolo 242 - Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche
1. I lavoratori per i quali la valutazione di cui all’articolo 236 ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti a sorveglianza sanitaria.
2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure preventive e protettive per i singoli lavoratori sulla base delle risultanze degli esami clinici e biologici effettuati.
3. Le misure di cui al comma 2 possono comprendere l’allontanamento del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42.
4. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l’esistenza di una anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
5. A seguito dell’informazione di cui al comma 4 il datore di lavoro effettua:
a) una nuova valutazione del rischio in conformità all’articolo 236;
b) ove sia tecnicamente possibile, una misurazione della concentrazione dell’agente in aria e comunque dell’esposizione all’agente, considerando tutte le circostanze e le vie di esposizione possibilmente rilevanti per verificare l’efficacia delle misure adottate.
6. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sulla sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti, con particolare riguardo all’opportunità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa.

Articolo 243 - Registro di esposizione e cartelle sanitarie
1. I lavoratori di cui all’articolo 242 sono iscritti in un registro nel quale è riportata, per ciascuno di essi, l’attività svolta, l’agente cancerogeno o mutageno utilizzato e, ove noto, il valore dell’esposizione a tale agente. Detto registro è istituito ed aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta per il tramite del medico competente. Il responsabile del servizio di prevenzione ed i rappresentanti per la sicurezza hanno accesso a detto registro.
2. Il medico competente, per ciascuno dei lavoratori di cui all’articolo 242, provvede ad istituire e aggiornare una cartella sanitaria e di rischio secondo quanto previsto dall’articolo 25, comma 1, lettera c).
3. Il datore di lavoro comunica ai lavoratori interessati, su richiesta, le relative annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e, tramite il medico competente, i dati della cartella sanitaria e di rischio.
4. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro invia all’ISPESL, per il tramite del medico competente, la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro e, secondo le previsioni dell’articolo 25 del presente decreto, ne consegna copia al lavoratore stesso.
5. In caso di cessazione di attività dell’azienda, il datore di lavoro consegna il registro di cui al comma 1 e le cartelle sanitarie e di rischio all’ISPESL.
6. Le annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e le cartelle sanitarie e di rischio sono conservate dal datore di lavoro almeno fino a risoluzione del rapporto di lavoro e dall’ISPESL fino a quarant’anni dalla cessazione di ogni attività che espone ad agenti cancerogeni o mutageni.
7. I registri di esposizione, le annotazioni individuali e le cartelle sanitarie e di rischio sono custoditi e trasmessi con salvaguardia del segreto professionale e del trattamento dei dati personali e nel rispetto del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni.
8. Il datore di lavoro, in caso di esposizione del lavoratore ad agenti cancerogeni, oltre a quanto previsto ai commi da 1 a 7:
a) consegna copia del registro di cui al comma 1 all’ISPESL ed all’organo di vigilanza competente per territorio, e comunica loro ogni tre anni, e comunque ogni qualvolta i medesimi ne facciano richiesta, le variazioni intervenute;
b) consegna, a richiesta, all’Istituto superiore di sanità copia del registro di cui al comma 1;
c) in caso di cessazione di attività dell’azienda, consegna copia del registro di cui al comma 1 all’organo di vigilanza competente per territorio;
d) in caso di assunzione di lavoratori che hanno in precedenza esercitato attività con esposizione ad agenti cancerogeni, il datore di lavoro chiede all’ISPESL copia delle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1, nonché copia della cartella sanitaria e di rischio, qualora il lavoratore non ne sia in possesso ai sensi del comma 4.
9. I modelli e le modalità di tenuta del registro e delle cartelle sanitarie e di rischio sono determinati dal Decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali 12 luglio 2007, n. 155, ed aggiornati con Decreto dello stesso Ministro, adottato di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazione nella pubblica amministrazione, sentita la Commissione consultiva permanente.
10. L’ISPESL trasmette annualmente al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali dati di sintesi relativi al contenuto dei registri di cui al comma 1 ed a richiesta li rende disponibili alle regioni.

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Sentenze cassazione penale

Infortunio mortale: macchinario sprovvisto del dispositivo "presenza uomo" e DVR generico e carente

Penale Sent. Sez. 4 Num. 1219 Anno 2018 
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MICCICHE' LOREDANA
Data Udienza: 14/09/2017

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza emessa il 10 novembre 2014, In riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Treviso nei confronti di C.L., legale rappresentante della Valle Verde srl, esercente attività di allevamento di bovini, ha dichiarato il C.L. responsabile del reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod.pen in quanto, in violazione delle norme antinfortunistiche, aveva cagionato per colpa la morte di F.L., operaio dipendente della medesima impresa. Il F.L., addetto a un carro miscelatore del mangime sprovvisto di idonea protezione delle lame rotanti e altresì sprovvisto del dispositivo "presenza uomo" tale da arrestare il movimento delle lame quando l'operatore si allontanava dai comandi e si avvicinava agli organi lavoratori, era scivolato all'Interno della vasca di miscelazione e veniva dilaniato dalle lame in movimento (fatto accaduto il 4 gennaio 2008).

2. Nella sentenza impugnata, la Corte d'Appello, ribaltando la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto l'imputato esente da colpa in quanto il documento di valutazione dei rischi, redatto da società specializzata, aveva attestato la conformità ai requisiti di sicurezza anche dei macchinari dell'azienda, ha accolto l'appello del Pubblico ministero, affermando che il documento di valutazione dei rischi ha una valenza del tutto generale e non comporta accertamenti specifici circa la conformità alle normative di sicurezza dei singoli macchinari, accertamenti che invece il datore di lavoro avrebbe dovuto eseguire. Se ciò avesse fatto, come impostogli dalla posizione di garante della sicurezza dei lavoratori, avrebbe potuto certamente verificare che il macchinario era sprovvisto del dispositivo "presenza uomo" , prescritto dalla normativa all'epoca vigente (art. 68 del DPR 547/1955), secondo cui gli organi lavoratori delle macchine devono essere provvisti di dispositivi di sicurezza quando possono costituire un pericolo per i lavoratori) ed anche dalla normativa europea Uni En 703/2004. Per di più, risultava, dall'esame del documento di valutazione dei rischi redatto un anno prima del sinistro, l'estrema genericità e mancanza di analiticità delle valutazioni, in particolare, l'assenza di previsione di alcun rischio per le lavorazioni collegate all'utilizzo del carro miscelatore provvisto di lame rotanti. La Corte territoriale disattendeva inoltre le ulteriori tesi difensive secondo cui, poiché nessuno aveva assistito al mortale infortunio, non sarebbe stato possibile statuire in modo alcuno su presunte attribuzioni di responsabilità, anche perché comunque il fatto si era verificato a causa del comportamento abnorme del lavoratore che non aveva seguito le istruzioni contenute nel libretto della macchina, secondo cui, prima di allontanarsi, avrebbe dovuto spegnere il motore. Ha ritenuto la Corte territoriale che non fosse ipotizzabile alcuna condotta abnorme, posto che l'infortunio si era pacificamente verificato quando la vittima stava lavorando alla macchina desilatrice e quindi nell'esercizio delle mansioni abitualmente disimpegnate dal lavoratore.

3. La sentenza è stata impugnata dal C.L..

3.1 Lamenta il ricorrente, con il primo motivo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett.b) ed e), cod proc. pen. Nessuno, invero, aveva assistito al sinistro, la cui dinamica era stata ricostruita dal CT del PM in base a mere congetture (in particolare, supponendo che il lavoratore fosse salito sulla paratia del mezzo al fine di arrampicarsi per scostare il telo del silos); laddove detta dinamica era comunque smentita dal altre risultanze probatorie. Sul punto, i giudici di merito si erano limitati a qualificare come non abnorme il comportamento del lavoratore poiché collegato alla prestazione lavorativa espletata: si trattava di una mera affermazione disancorata dai dati probatori e quindi priva di motivazione, non essendosi accertato in concreto quale fosse stata la condotta della vittima; si che pertanto non poteva pervenirsi ad una pronuncia di condanna secondo la regola del ragionevole dubbio, per di più nella ipotesi di riforma della sentenza assolutoria, che avrebbe richiesto una motivazione rafforzata. In più, in assenza di certezza circa le modalità di verificazione del sinistro, non sarebbe stato possibile formulare il giudizio contro fattuale, non essendo provate le modalità dell'evento.

3.2 Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione agli artt. 40 e 43 cod pen, e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo. Era stato accertato che le necessità di adeguamento della macchina desilatrice, evidenziate dalla società produttrice Storti, non erano mai state trasmesse alla Valleverde srl. Inoltre, le istruzioni del macchinario, di cui era edotto l'operaio, in ragione della sua pluriennale esperienza, imponevano di togliere le chiavi dal cruscotto nel momento in cui si scendeva dal carro. Inoltre, il documento di valutazione dei rischi, redatto dalla società di consulenza Sinthesi appena un anno prima del sinistro, aveva attestato la conformità dei macchinari alla normativa di sicurezza. Il datore di lavoro, dunque, non poteva essere a conoscenza della esistenza di regole cautelari violate, e dunque la responsabilità dell'evento gli era stata attribuita solo sul piano della causalità e non della colpa, dunque a titolo di responsabilità oggettiva. In particolare, la pronuncia impugnata non aveva minimamente indicato per quali ragioni l'imputato avrebbe dovuto percepire le carenze del documento di valutazione dei rischi e non farvi affidamento.

3.3 Con il terzo motivo, lamenta il ricorrente la violazione di legge, in particolare del giudicato interno, formatosi, quanto alla posizione del titolare della ditta costruttrice, in ordine alla conformità del macchinario alle prescrizioni di sicurezza di cui al DPR 547/55 (artt. 68 ). Del tutto contraddittoriamente ed erroneamente, dunque, si era ritenuto responsabile l'utilizzatore.

3.4. Il ricorrente ha inoltre depositato memoria con motivo aggiunto, con cui denuncia violazione di legge (art. 6 CEDU) per avere la Corte territoriale riformato la sentenza assolutoria di primo grado senza procedere alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale.


Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. In via di priorità logica, va esaminata la questione sollevata in sede di motivi aggiunti, relativa alla dedotta necessità di rinnovazione dell'istruttoria. E' noto che, secondo il recente arresto delle Sezioni Unite, la previsione contenuta nell'art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 Rv. 267487, Dasgupta).

3. [...]

4. Tanto premesso, non coglie nel segno neppure il primo motivo, con cui si lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto di affermazione del nesso causale sussistente tra l'omissione della condotta doverosa e il mortale infortunio, essendo rimaste del tutto sfornite di prova le reali dinamiche di verificazione del sinistro, cui nessuno aveva assistito, ed essendo comunque ipotizzabile un comportamento abnorme del lavoratore. Come affermato dalla Corte territoriale nonché dal primo giudice (sul punto, come dianzi ricordato, le due pronunce concordano pienamente, formando pertanto un unico tessuto motivazionale), poiché la vittima era addetta alle usuali operazioni di carico dell'insilato, rientranti tra i compiti attribuitigli, anche ad ipotizzare un condotta errata o imprudente, doveva certamente escludersi la dedotta abnormità del comportamento della vittima. I giudici di merito hanno invero considerato - contrariamente a quanto adombrato dal C.L. - anche le possibili condotte del lavoratore come rappresentate dai testi nel corso dell'istruttoria, ossia la possibilità che il F.L. fosse salito sulla paratia del carro, o si fosse arrampicato sulla sommità del silos, correttamente argomentando che tutte le descritte condotte erano comunque indiscutibilmente collegate e pertinenti alle operazioni di carico espletate, come tali non eccentriche. Così ritenendo, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile (cfr, ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 47146 del 29/09/2005, Rv. 233186; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Rv. 250710 Sez. 4 n. 36227 del 26/03/2014, Rv. 259767). Pertanto, è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, Rv. 259313 ). Stesse considerazioni si impongono in ordine alla dedotta efficienza causale esclusiva del comportamento colposo del lavoratore che non aveva rimosso le chiavi dal cruscotto della macchina al momento della discesa dal carro, potendo detta condotta costituire un concorrente comportamento colposo, ma non certamente unico fattore determinante la verificazione del sinistro, che si sarebbe evitato se, invece, il macchinario fosse stato provvisto del necessario dispositivo bloccante. Né ha rilievo la considerazione per cui in assenza di certezza circa le modalità di verificazione del sinistro non sarebbe possibile affermare l'incidenza causale della omissione riguardante la violazione della normativa prevenzionistica, essendo, al contrario, certo che l'adozione del sistema di sicurezza del macchinario consistente nella protezione delle coclee e nella predisposizione del dispositivo " presenza uomo" atto ad arrestare il movimento delle lame avrebbe impedito che il povero F.L. venisse dilaniato al momento della caduta all'interno della vasca di miscelazione.

5. Parimenti infondato è il secondo motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato sotto il profilo della ascritta violazione delle prescrizioni della normativa antinfortunistica e vizio di travisamento della prova riguardo alla valutazione del documento di valutazione dei rischi. Il fondamento della tesi difensiva del C.L., secondo cui nulla gli sarebbe rimproverabile, atteso che il documento di valutazione dei rischi aveva (anche se erroneamente) attestato la conformità del macchinario alla normativa di sicurezza, è adeguatamente confutata, con specifica motivazione sul punto, dalla impugnata sentenza, secondo cui invece il DVR si presentava estremamente generico e mancante di valutazioni analitiche atte a prevenire in concreto i rischi, soprattutto a fronte delle grandi dimensioni della azienda. Essendo stato dedotto vizio di travisamento probatorio, in quanto, secondo il ricorrente, il DVR aveva invece specificamente analizzato il processo produttivo all'interno della Valleverde prendendo in considerazione anche la macchina desilatrice, questa Corte ha esaminato il documento in questione ( sul punto, vedasi Sez. 2, n. 7266 del 02/06/1994, Rv. 198324; Sez. 1, n. 1647 del 03/12/2003, Rv. 227105 Sez. 4, n. 21602 del 17/04/2007, Rv. 237588 Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011 Rv. 250133 secondo cui ove si deduca il travisamento di una prova decisiva, ovvero l'omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, si deve verificare l'eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità) . Orbene, all'esito dell'esame del documento è emerso che il DVR, redatto dalla società specializzata Sinthesi, è stato sottoscritto anche dall'odierno imputato in qualità di responsabile per la sicurezza. Inoltre, come correttamente considerato dalla Corte territoriale, il documento non fa menzione alcuna dei rischi connessi alla lavorazione con la macchina desilatrice,né tantomeno li analizza, essendo a tal proposito del tutto generico e aspecifico l'accenno contenuto alla pag. 20 del documento (richiamato dalla sentenza impugnata), contenente una brevissima citazione circa l'utilizzazione del carro nella fase della alimentazione del bestiame, senza però descrivere, ai fini preventivi, i rischi collegati alla predetta fase e le misure idonee ad evitarli.

4.1 Ciò posto, va rammentato che il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253; Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, Rv. 270355; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261109) . Di tale consolidato e chiaro principio la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione: né l'odierno imputato può invocare l'insussistenza dell'elemento soggettivo, posto che, come evidenziato, il DVR è stato da lui stesso sottoscritto anche in qualità di responsabile per la sicurezza. Egli, dunque, lungi dall'appellarsi ad una incolpevole estraneità riguardo alle carenze del documento in questione, ha fatto proprio, in considerazione della qualifica rivestita e della sottoscrizione del documento, il contenuto del DVR, delle cui carenze è certamente chiamato a rispondere secondo i principi sopra enunciati.

5. Consegue a quanto esposto anche l'infondatezza del terzo motivo. Individuata la fonte di responsabilità colposa del ricorrente, non rileva il richiamo alla conformità del macchinario alla normativa vigente al momento della fabbricazione in base al quale i giudici di merito hanno ritenuto di assolvere il costruttore, altro essendo il profilo di colpa ascritto e riconosciuto in capo al C.L..

Si impone quindi il rigetto del ricorso. Segue per legge la condanna dell'Imputato al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Roma, 14 settembre 2017

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Direttiva 2011/70/EURATOM

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Direttiva 2011/70/EURATOM

Direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio, del 19 luglio 2011 , che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi

GU L 199 del 2.8.2011
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Atto di recepimento IT:

Decreto legislativo n. 45 del 4 marzo 2014

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Direttiva 89/618/EURATOM

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Direttiva 89/618/EURATOM

Direttiva 89/618/Euratom del Consiglio, del 27 novembre 1989, concernente l'informazione della popolazione sui provvedimenti di protezione sanitaria applicabili e sul comportamento da adottare in caso di emergenza radioattiva

GU n. L 357 del 7.12.1989

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Decreto di recepimento IT:

Decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 

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Direttiva 96/29/EURATOM

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Direttiva 96/29/EURATOM

Direttiva 96/29/Euratom del Consiglio del 13 maggio 1996 che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti

GU L 159 del 29.6.1996

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Atto di recepimento IT:

Decreto legislativo 26 maggio 2000, n. 241

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Direttiva 2003/122/EURATOM

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Direttiva 2003/122/EURATOM

Direttiva 2003/122/EURATOM del Consiglio del 22 dicembre 2003 sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane 

GU L 346/57 del 31.12.2003
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Atto di recepimento IT:

Decreto legislativo n. 52 del 6 febbraio 2007

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 2/2017

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Quesiti Sicurezza MLPS D.Lgs. 81/2008 Istanza di Interpello n. 2 del 13 Dicembre 2017

Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011
Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

I quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:

- che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
- che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

Nuovo Interpello del 13 Dicembre 2017 (n. 2/2017):

13/12/2017 - n. 02/2017 Destinatario: Unione Generale del Lavoro (UGL) 
Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi - risposta al quesito inerente la necessità che l’informazione, di cui all’art. 36 Dlgs 81/08, sia svolta in forma prioritaria ed esclusiva dall' RSPP.

Oggetto: art. 12, d.gs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni – risposta al quesito inerente la necessità che l’informazione sia svolta in forma prioritaria ed esclusiva, dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP).

L’Unione Generale del Lavoro (UGL) ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito alla corretta interpretazione del “combinato disposto degli artt. 31 e 36” del d.lgs. n. 81/2008 con particolare riferimento alla necessità che l’informazione, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sia impartita in “forma prioritaria ed esclusiva” dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). Al riguardo occorre premettere che:

a) l’articolo 2, comma 1, lettera bb), del d.lgs. n. 81/2008, definisce l’informazione come il “complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro”;

b) l’articolo 18, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 81/2008, pone a carico del datore di lavoro e del dirigente l’obbligo di “adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37”;

c) l’articolo 36 del d.lgs. n. 81/2008 precisa i singoli casi in cui sia obbligatorio provvedere ad una “adeguata informazione” e specifica che sia il datore di lavoro a dovervi provvedere - pur se non come obbligo indelegabile, in considerazione di quanto previsto dall’art. 17 del citato decreto legislativo;

d) l’articolo 33, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 81/2008, elencando i “compiti” dell’intero Servizio di prevenzione e protezione dai rischi - e non quindi solamente quelli del suo Responsabile - specifica che vi sia anche quello di “fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36”

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16° Elenco dei soggetti abilitati effettuazione delle verifiche periodiche

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16° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche 

16 Gennaio 2018

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto Direttoriale n. 3 del 16 gennaio 2018

Con il Decreto direttoriale n. 3 del 16 Gennaio 2018 - emanato di concerto tra le competenti Direzioni Generali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero della Salute e del Ministero dello Sviluppo Economico - è stato adottato il quindicesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del Decreto interministeriale 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Il Decreto direttoriale si compone di sei articoli:

Il suddetto decreto consta in sei articoli:

- all'articolo 1, viene rinnovata l'iscrizione per i soggetti che hanno regolarmente trasmesso la documentazione richiesta e per i quali la Commissione, di cui al d.i. 11 aprile 2011, ha potuto tempestivamente concludere la propria istruttoria;

- agli articoli 2 e 3, sono apportate le variazioni alle iscrizioni già in possesso, di estensione, sulla base delle richieste pervenute nei mesi precedenti, ovvero di riduzione delle abilitazioni, già concesse, di alcuni soggetti;

- all'articolo 4, viene decretato l'inserimento ex novo, delle società ivi indicate, nell'elenco dei soggetti abilitati;

- all'articolo 5, viene specificato che, con il presente decreto, si adotta l'elenco aggiornato, in sostituzione di quello adottato con il decreto del 1 dicembre 2017;

- all'articolo 6, sono riportati, come di consueto, gli obblighi cui sono tenuti i soggetti abilitati.

L'elenco, adottato in allegato al d.d. n. 3 del 16 gennaio 2018, sostituisce integralmente il precedente elenco allegato al Decreto direttoriale del 1 dicembre 2017.

Fonte: MPLS

Tutti gli elenchi pubblicati

D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature

Consulta il database dei Soggetti abilitati

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Piano Nazionale Radon

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PRN 2002

Piano Nazionale Radon 2002

Il PNR consiste in un piano pluriennale per realizzare, in modo coordinato a livello nazionale, il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon.

Dotarsi di un PNR è diventato obbligatorio per ogni Paese membro dell'UE, in base alla nuova direttiva europea 2013/59/EURATOM in materia di radioprotezione, pubblicata il 17 gennaio 2014 che deve essere recepita dagli stati membri entro il 6 febbraio 2018.

Obiettivi principali del Piano Nazionale Radon

Il Piano Nazionale Radon (PNR) - predisposto in Italia nel 2002 in analogia a quanto fatto in altri Paesi - consiste in un piano pluriennale per realizzare, in modo coordinato a livello nazionale, il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon.

Il PNR rappresenta uno strumento necessario per:

- programmare azioni finalizzate alla riduzione del rischio radon ottimizzando le risorse a disposizione;
- programmare e mettere in atto tali azioni in modo coordinato;
- alutare l’efficacia delle azioni intraprese per valutarne quantitativamente l’impatto ed effettuare eventuali correzioni alla programmazione.

Storia del PRN 

La predisposizione di un Piano Nazionale Radon è stata inclusa nel 2001 in due Accordi tra il Ministro della sanità e le Regioni e province autonome di Trento e Bolzano: 
1) le Linee-guida concernenti la prevenzione, la diagnostica e l'assistenza in oncologia (8-03-2001. Suppl. Ordinario n.102 della G.U. n.100 del 2-05-2001.); 
2) le Linee-guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati (27-09-2001, Suppl. Ordinario della G.U. n.276 del 27-11-2001).

Il testo del PNR (allegato) è stato quindi preparato (e pubblicato nel 2002) da una commissione del Ministero della Salute, composta da esperti di diversi enti nazionali e regionali.

La realizzazione del PNR ha preso il via tre anni dopo attraverso il progetto Avvio del Piano Nazionale Radon per la riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia (acronimo PNR-CCM), approvato nel 2005 dal CCM (Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie). 
Il coordinamento di tale progetto è stato affidato all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), e le attività hanno coinvolto, oltre all'ISS, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA, ex-APAT), l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro (ISPESL, ora INAIL), le Regioni (ARPA e assessorati alla sanità), nonché alcune università.

Per dare continuità alle attività intraprese nell’ambito del progetto PNR-CCM, nel 2012, il Ministero della Salute ha approvato il progetto biennale Piano Nazionale Radon per la riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia: seconda fase di attuazione (acronimo PNR-II), anch’esso affidato all’ISS.

Con la pubblicazione (avvenuta il 17 gennaio 2014) della nuova direttiva europea 2013/59/EURATOM sulla protezione dalle radiazioni ionizzanti, approvata il 5 dicembre 2013, diviene obbligatorio per tutti gli Stati Membri dell’UE dotarsi di un piano nazionale radon

Inoltre, il piano dovrà essere periodicamente aggiornato sulla base delle valutazioni di efficienza delle azioni adottate per la riduzione del rischio associato all’esposizione al radon. 

Fonte ISS

Il radon in Italia: guida per il cittadino

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RADON 2014

Il radon in Italia: guida per il cittadino

Il gas radon costituisce oggi in Italia la seconda causa di cancro al polmone dopo il fumo di tabacco.

Il documento: “Il radon in Italia: guida per il cittadino” (Ed. 2007/2014) rappresenta il tentativo di informare in modo semplice, completo e obiettivo il grande pubblico sul problema rappresentato dal radon nelle abitazioni, fornendo al contempo indicazioni di intervento e riferimenti istituzionali.

L’esposizione a questo importante inquinante ha luogo negli ambienti confinati, principalmente nelle abitazioni, e varia in funzione di numerosi fattori quali la natura del suolo, l’area geografica, la tipologia di edificio, l’assetto impiantistico etc.

Dal radon è possibile difendersi attraverso la messa in atto di azioni di risanamento e prevenzione a livello degli edifici, che non possono prescindere dalla mappatura del territorio, dall’esecuzione di un adeguato monitoraggio ambientale e da una corretta informazione al cittadino sulla natura del rischio e sulle azioni di tutela.

Nonostante il varo di campagne di monitoraggio del radon negli ambienti confinati a livello nazionale e locale, l’adozione di iniziative da parte di singole Regioni e la predisposizione di un Piano Nazionale Radon, fino a tempi assai recenti la percezione di questo importante fattore di rischio per la salute da parte del pubblico è stata generalmente molto ridotta, assai inferiore ad esempio a quella riguardante inquinanti noti come il benzene o fattori di rischio solo ipotizzati quali i campi elettromagnetici a 50 Hz.

Il documento è stato predisposto dal gruppo di lavoro “Ambienti di vita: prevenzione del rischio radon negli ambienti domestici” istituito nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale Epidemiologico sulle condizioni di Salute e Sicurezza negli ambienti di vita, che ha presso il Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’ISPESL la propria sede operativa.

L’opera si inserisce nelle attività dell’Osservatorio, ormai da anni impegnato a diffondere nel nostro Paese un’adeguata cultura dei rischi presenti negli ambienti di vita e a stimolare iniziative di prevenzione, anche attraverso la pubblicazione di guide ed opuscoli informativi. In Italia una normativa specifica sul radon esiste solo per gli ambienti di lavoro, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei. È auspicabile che la pubblicazione di questa guida informativa possa contribuire a stimolare il Legislatore ad adottare, anche in conformità a quanto previsto dal Piano Nazionale Radon, specifiche iniziative di regolamentazione. L’intervento normativo dovrebbe avere tra le proprie finalità quella di codificare le soluzioni tecnico-impiantistiche oggi disponibili per la realizzazione di edifici a “tenuta di radon”, inserendo la prevenzione di questo rischio tra i normali requisiti di abitabilità, sicurezza ed igiene degli edifici e aggiungendo così un’importante tassello alla piena certificabilità delle strutture abitative

INAIL 2014
ISPESL 2007

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WHO Handbook on Indoor Radon: A Public Health Perspective

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WHO handbook indoor radon

WHO Handbook on Indoor Radon: A Public Health Perspective

The WHO handbook on indoor radon is a key product of the WHO International Radon Project, which as launched in 2005. The handbook book focuses on residential radon exposure from a public health point of view and provides detailed recommendations on reducing health risks from radon and sound policy options for preventing and mitigating radon exposure.

The material in the handbook reflects the epidemiological evidence that indoor radon exposure is responsible for a substantial number of lung cancers in the general population.

The material is organized into six chapters, each introduced by key messages. Usually, technical terms are defined the first time they are used, and a glossary is also included. Information is provided on the selection of devices to measure radon levels and on procedures for the reliable measurement of these levels. Discussed also are control options for radon in new dwellings, radon reduction in existing dwellings as well as assessment of the costs and benefits of different radon prevention and remedial actions. Also covered are radon risk communication strategies and organization of national radon programmes.

This publication is intended for countries planning to develop their national radon programmes or extend such activities, as well as for stakeholders involved in radon control such as the construction industry and building professionals.

The overall goal of this handbook is to provide an up-to-date overview of the major aspects of radon and health. It does not aim to replace existing radiation protection standards, rather it emphasizes issues relevant to the comprehensive planning, implementation and evaluation of national radon programmes.

________

Nel 2005 il WHO (World Health Organization - Organizzazione Mondiale della Sanità) ha promosso l’International Radon Project. Tale progetto, a cui hanno partecipato esperti di oltre 30 Paesi, tra cui l’Italia (tramite l'Istituto Superiore di Sanità), ha l’obiettivo di identificare le strategie più efficaci per ridurre l’impatto sanitario dell’esposizione al radon della popolazione.

In questo ambito è stato prodotto (e pubblicato nel 2009) il WHO Handbook on Indoor Radon: A Public Health Perspective, il quale contiene una rassegna, e riporta raccomandazioni, sui seguenti sei aspetti:

- gli effetti del radon sulla salute;
- come si misura il radon;
- i sistemi di prevenzione e risanamento negli edifici;
- come comunicare il rischio da radon;
- analisi costo-efficacia delle strategie di controllo e riduzione del rischio da radon;
-  programmi e piani nazionali radon.

Nuova direttiva europea (2013/59/EURATOM) in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti 

La nuova direttiva europea in materia di radioprotezione, approvata dal Consiglio dell'Unione Europea il 5 dicembre 2013, è stata pubblicata il 17 gennaio 2014 sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE 

Direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio, del 5 dicembre 2013, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom

L'Italia ha partecipato, tramite suoi esperti rappresentanti, a tutte le fasi dell'elaborazione (iniziata nel 2008) di questa nuova direttiva.

Questa direttiva include, per la prima volta, obblighi per i Paesi Membri dell'Unione Europea per quanto riguarda la protezione dal radon nelle abitazioni, nonché una più stringente protezione dal radon nei luoghi di lavoro

Inoltre, diventerà obbligatorio per i Paesi Membri la predisposizione e l’aggiornamento periodico di un piano nazionale radon, che deve essere inviato (insieme ai suoi aggiornamenti) alla Commissione Europea.

WHO 2009

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4. n. 21 | 02 gennaio 2018

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Sentenze cassazione penale

Adeguamento automatico della delega ex art. 16 all'ampliamento della struttura aziendale in assenza di una modifica scritta

Infortunio provocato da un muletto in retromarcia

Penale Sent. Sez. 4 Num. 21 Anno 2018
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 30/11/2017

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza emessa all'udienza del 7 giugno 2016, depositata in data 28 giugno 2016, nel termine di cui all'art. 544, terzo comma, cod.proc.pen., e notificata all'imputato libero contumace in data 31 luglio 2017, pur modificando la pena (e, cioè, riducendola a 15 giorni di reclusione e sostituendola con la sanzione di euro 3.750,00 di multa), ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Mantova nei confronti di A.C. per il reato di cui all'art. 590 cod.pen., per avere, nella sua qualità di procuratore e delegato alla igiene e sicurezza del lavoro della ditta C.A.E.M. Soc.Coop., unitamente all'operaio L.G., in data 23 gennaio 2009, in San Giorgio a Mantova, procurato lesioni personali gravi a M.M., la quale, dopo aver parcheggiato la propria autovettura negli appositi spazi all'interno della predetta azienda, per raggiungere il posto di lavoro, attraversava il piazzale e veniva investita col carrello del muletto con cui L.G. era intento ad eseguire, in fase di retromarcia, lo scarico di materiale da autotreno. La colpa di A.C. è stata indicata nel capo di imputazione e ravvisata dai giudici di merito nel non aver adeguatamente valutato i rischi e non aver individuato le misure tecniche necessarie per la prevenzione di infortuni sul lavoro e precisamente per non aver munito un carrello elevatore di apposito specchietto retrovisore e per non aver provveduto ad organizzare i parcheggi delle macchine dei lavoratori in modo da evitare che gli stessi, scendendo dalle auto, dovessero attraversare il piazzale a piedi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia in data 23 settembre 2016.

2. Con il primo motivo formulato ex art. 606 lett b cod.proc.pen. si è dedotta l'erronea applicazione dell'art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008, avendo la Corte di Appello ritenuto che la delega di funzioni in esame non avesse alcun riferimento ad una qualche territorialità e dovesse, quindi, estendersi anche agli stabilimenti, come quello di San Giorgio di Mantova, acquisiti successivamente al suo conferimento, in questo modo ammettendone una modifica unilaterale da parte del delegante, in difetto di accettazione da parte del delegato, peraltro a corrispettivo invariato e senza alcun adeguamento del relativo potere di spesa; con il secondo motivo formulato ex art. 606 lett b ed e cod.proc.pen. si è dedotta la contraddittorietà della motivazione e l'erronea lettura del documento di valutazione dei rischi, avendo la sentenza impugnata fatto discendere la consapevolezza dell'imputato circa l'uso promiscuo del piazzale dal documento di valutazione dei rischi da lui redatto nel maggio 2003 e, quindi, in epoca di molto anteriore all'acquisto dello stabilimento di San Giorgio di Mantova - al contrario, "esclusa la conoscenza in capo all'imputato di una irregolare attività di scarico nel piazzale, viene meno anche il necessario presupposto per imputare all'imputato le contestate violazioni in materia di prevenzione infortuni, ovvero l'omessa installazione dello specchietto retrovisore sul muletto e l'omessa delimitazione della zona di carico scarico nel piazzale".

Considerato in diritto

1. Preliminarmente, osserva il collegio come il reato per il quale l'imputato è stato tratto a giudizio deve ritenersi prescritto in data 23 agosto 2016, trattandosi di delitto ex art. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., commesso 23 gennaio 2009, per il quale non ricorrono ipotesi di sospensione.

Al riguardo deve sottolinearsi che l’odierno ricorso avanzato dall'imputato non appare manifestamente infondato, sottoponendo al collegio una questione giuridica opinabile, concernente la possibilità dell'adeguamento automatico della delega ex art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008 all'ampliamento della struttura aziendale, in assenza di una modifica scritta. Lo stesso non risulta neppure affetto da profili d'inammissibilità di altra natura.

A ciò si aggiunga che, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una 'constatazione', che a un atto di 'apprezzamento' e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274). E invero il concetto di 'evidenza', richiesto dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275). Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui 'positivamente' deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263). Ciò non è riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte - anche tenendo conto degli elementi evidenziati nella motivazione della sentenza di merito - non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma dell'art. 129 c.p.p.

3. Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato all'imputato estinto per prescrizione.

P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso 30 novembre 2017.

___________

Articolo 16 D.lgs 81/08 - Delega di funzioni
1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.
3. La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.
3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate.

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I parapetti di sommità dei ponteggi

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Parapett INAIL collana cantieri 2017

I parapetti di sommità dei ponteggi

Possibile impiego come protezione collettiva per lo svolgimento delle attività in copertura

INAIL Collana Cantieri - 2017

Nella pubblicazione sono riportati i risultati di uno studio condotto sui ponteggi utilizzati come protezione collettiva per i lavoratori che svolgono la propria attività sulle coperture.

Sono stati definiti, sulla base della UNI EN 13374, i requisiti prestazionali e i geometrici dei parapetti di sommità dei ponteggi per assolvere a tale scopo. Sono state inoltre eseguite prove sperimentali di impatto su alcuni campioni di ponteggio per verificarne la capacità di assorbimento di diversi livelli di energia cinetica.

Le attività che si svolgono sulle copertura degli edifici espongono i lavoratori a rischi particolarmente elevati per la loro salute e sicurezza, in particolare al rischio di caduta dall’alto. La percentuale di infortuni mortali imputabile a cadute oltre il bordo non protetto della copertura è difatti molto elevata.

Tali lavori, che si svolgono nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili, devono essere eseguiti in condizioni di sicurezza rispettando le misure generali di tutela previste dall’art.15 del d.lgs. 81/08. I rischi vanno eliminati e, ove ciò non sia possibile, ridotti alla fonte (comma 1, lettera e).

Per permetterne l’esecuzione in sicurezza è indispensabile la determinazione preliminare della natura e della entità dei rischi, la pianificazione delle attività, l’adozione di idonee metodologie di lavoro insieme alla scelta delle attrezzature, delle opere provvisionali e dei dispositivi di protezione collettiva e dei dispositivi di protezione individuale più idonei.

Il d.lgs. 81/08 considera l’adozione dei dispositivi di protezione collettiva come prioritaria rispetto quelli individuali (DPI), concetto che viene espresso nell’ambito delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro (art.15) e negli articoli 75 e 111.

I DPI devono essere impiegati solamente quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione quali i mezzi di protezione collettiva, le misure, i metodi o i procedimenti di riorganizzazione del lavoro (art.75).

In particolare il comma 5 dell’articolo 111 prevede che “Il datore di lavoro in relazione al tipo di attrezzature di lavoro adottate (…), individua le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. I predetti dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire, per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini”.

Il comma 6 inoltre indica che “Il datore di lavoro nel caso in cui l'esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro è eseguito previa adozione di tali misure. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati”.
Per lo specifico settore si può fare riferimento anche all’art.122 “Nei lavori che sono eseguiti ad un'altezza superiore ai due metri, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose (…).”.

Il presente studio si propone di individuare “precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose” che possano essere impiegate nei lavori su copertura. I parapetti di sommità dei ponteggi che soddisfano determinati requisiti prestazionali e geometrici possono essere utilizzati a questo scopo.

_______

Premessa
Introduzione
1 Definizioni
2 Riferimenti
3 Requisiti
3.1 Requisiti prestazionali
3.2 Requisiti geometrici e limiti di posizionamento
4 Prove sperimentali
4.1 Obiettivi
4.2 Disposizione e procedimento di prova
4.2.1 Configurazioni di prova
4.2.1.1 Schema CD
4.2.1.2 Schemi CS
4.2.1.3 Schema CSR
4.2.2 Attrezzature e apparecchiature di prova
4.2.2.1 Struttura metallica rigida
4.2.2.2 Sacco sferoconico
4.2.2.3 Rullo cilindrico
4.2.2.4 Sistemi di sollevamento e sgancio
4.2.2.5 Sistema di misura dei dati
4.2.2.6 Sistema di acquisizione, registrazione ed analisi dei dati
4.2.2.7 Convenzioni
4.2.3 Descrizione delle prove con sacco sferoconico
4.2.3.1 Prove sul montante di sommità
4.2.3.2 Prova sui correnti
4.2.3.3 Prova sulla tavola fermapiede
4.2.3.4 Prova sulla protezione continua (rete)
4.2.4 Descrizione delle prove con rullo cilindrico
4.2.4.1 Prova sul montante di sommità
4.2.4.2 Prova sul traverso
4.2.4.3 Prova sul corrente intermedio
4.2.4.4 Prova sulla tavola fermapiede
4.2.4.5 Prova sulla protezione continua (rete)
4.3 Risultati
4.3.1 Risultati delle prove con il sacco sferoconico
4.3.1.1 Prove sul montante di sommità
4.3.1.2 Prove sui correnti
4.3.1.3 Prove sulla tavola fermapiede
4.3.1.4 Prove sulla protezione continua
4.3.2 Risultati delle prove con rullo cilindrico
4.3.2.1 Prove sul montante di sommità
4.3.2.2 Prove sul traverso
4.3.2.3 Prove sul corrente intermedio
4.3.2.4 Prove sulla tavola fermapiede
4.3.2.5 Prove sulla protezione continua
5 Conclusioni
Bibliografia

Fonte: INAIL

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Cassazione Penale Sent. Sez. 7 Num. 25212 | 19 Maggio 2017

ID 5373 | | Visite: 2775 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Responsabilità CSE

Mancanza della funzione di "alta vigilanza" nei momenti topici del cantiere

Penale Sent. Sez. 7 Num. 25212 Anno 2017
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO
Data Udienza: 10/03/2017

Ritenuto in fatto

1. B.M. ha proposto appello a mezzo del difensore fiduciario cassazionista avverso la sentenza del tribunale di Siena, emessa in data 19/06/2013, con cui questi era stato condannato alla pena di € 3000,00 di ammenda per il reato di cui all'art. 92 e 158, d. lgs. n. 81/08, in relazione a fatti commessi in data 18/09/2009.

2. Con l'originario atto di appello, l'imputato ha dedotto un unico motivo, chiedendo l'assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova in ordine alla sussistenza del fatto (in estrema sintesi, dopo un'articolata analisi della legislazione applicabile in materia e della giurisprudenza di legittimità formatasi in relazione al ruolo del coordinatore per la sicurezza, sostiene il ricorrente di aver assolto a tutti gli obblighi derivanti dall'espletamento delle funzioni di vigilanza e controllo circa la concreta attuazione delle misure di sicurezza nel corso delle visite periodiche effettuate sul cantiere (avendo questi richiesto alcune prescrizioni all'impresa) non avendo peraltro questi potuto sospendere i lavori ex art. 92, d. lgs n. 81/08 non avendo direttamente riscontrato, pur in presenza di controlli periodici, quelle situazioni di pericolo asseritamente accertate dall'organo di vigilanza; poiché detto obbligo non comporterebbe il dovere del coordinatore di una continua presenza in cantiere, dovrebbe quindi ritenersi che il sistema di vigilanza approntato dal ricorrente fosse idoneo ad accertare eventuali situazioni di pericolo e che non possa dunque essere addebitata al medesimo a titolo di colpa la condotta di non aver accertato quanto rilevato dall'organo di vigilanza in sede di visita ispettiva).

Considerato in diritto

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Ed infatti, premesso che si tratta di sentenza inappellabile e ricorribile unicamente per cassazione ex art. 593, comma terzo, c.p.p., dall'illustrazione dei motivi come proposti nell'atto di appello, articolati attraverso un richiamo delle emergenze fattuali che - a dire del ricorrente - avrebbero escluso un dovere giuridico di attivarsi rispetto a quanto oggetto di contestazione da parte dell'organo di vigilanza, emerge all'evidenza la manifesta infondatezza delle doglianze.

5. Ciò appare palese dalla stessa lettura della sentenza impugnata che da compiutamente conto delle ragioni fondanti il giudizio di condanna. In particolare, chiarisce il giudice senese che l'imputato, nominato coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione, venne fatto oggetto di verbale di prescrizione da parte dell'organo di vigilanza intervenuto in sede di visita ispettiva presso un cantiere, avendo rilevato in particolare violazioni di carattere formale e sostanziale tali da determinare l'immediata sospensione dei lavori (mancanza di parapetti con tavola fermapiede in più parti del solaio in c.a. e nella scale laterali; presenza nel solaio di tre aperture non circondate da difesa di copertura e parapetto; mancanza del PIMUS tra la documentazione della sicurezza); con il predetto verbale di prescrizioni veniva ingiunto all'imputato di sospendere i lavori fino ad una verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dall'impresa; constatato l'avvenuto adempimento, l'organo di vigilanza procedeva ad ammettere l'imputato al pagamento dell'oblazione prevista dal d. lgs. n. 758/94, tuttavia non eseguito dal contravventore che depositava una memoria difensiva con cui sosteneva l'inapplicabilità nei suoi confronti dell'art. 92, d. Lgs. n. 81/08, asserendo di non aver disposto la sospensione dei lavori non avendo riscontrato direttamente un pericolo grave ed immediato nel corso del suo ultimo accesso in cantiere avvenuto il 25 agosto, aggiungendo che sia per motivi economici riguardanti l'impresa che per ragioni familiari egli non aveva più potuto frequentare il cantiere, seppure non comunicando la sua impossibilità a recarvisi; segnatamente, sosteneva l'imputato, poiché in occasione del suo ultimo accesso in cantiere del 25 agosto, gli operai erano impegnati nell'armatura dei vani scale e non sul solaio, in quel momento non sussisteva alcuna situazione di pericolo grave ed imminente per cui si dovessero sospendere i lavori; il giudice di merito, pur valutando detti elementi (sostanzialmente ripresi e sviluppati nell'originario atto di appello, convertito in ricorso per cassazione) è comunque pervenuto ad affermare la responsabilità penale del ricorrente in base al rilievo che alla data del 25 agosto, considerato anche lo stato in cui si trovavano le opere venti giorni dopo, data del sopralluogo ispettivo, dovevano essere visivamente riscontrabili tutte le violazioni rilevate dall'organo accertatore, e in ogni caso la mancanza del PIMUS, donde il dovere del reo, nella qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di dare atto della situazione accertata e di sospendere immediatamente i lavori).

6. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive si palesano all'evidenza prive di pregio.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall'art. 5 del D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo, previsto dall'art. 92, lett. f), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (v., da ultimo: Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016 - dep. 04/07/2016, Battisti, Rv. 267735).
Orbene, con riferimento alle attività lavorative svolte in un cantiere edile, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (così sez. 4, n. 44977 del 12.6.2013, Lorenzi ed altro, rv. 257167).
In particolare - si è condivisibilmente sottolineato (nella recente sez. 4, n. 37597 del 5.6.2015, Giambertone, non mass.) che il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni.
Essenziale è che alla previsione della cautela segua un'attività di verifica della sua attuazione, che compete alle imprese esecutrici. Attività di verifica che - come correttamente affermato dalla difesa del ricorrente - tuttavia non può significare presenza quotidiana nel cantiere ma, appunto, presenza nei momenti delle lavorazioni topici rispetto alla funzione di controllo.
L'alta vigilanza della quale fa menzione la giurisprudenza di questa Corte, lungi dal poter essere interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia indica piuttosto il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici. Mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il coordinatore opera attraverso procedure; tanto è vero che un potere-dovere di intervento diretto lo ha solo quando constati direttamente gravi pericoli (art. 92, co. 1 lett. f) dlgs. n.81/2008). 
L'obbligo di cui alla lettera f) è particolarmente importante, perché è norma di chiusura che, eccezionalmente, individua la posizione di garanzia del CSE nel potere-dovere di intervenire direttamente sulle singole lavorazioni pericolose, e che implica anche la necessità legale di frequentare il cantiere con una periodicità compatibile con la possibilità di rilevare le eventuali lavorazioni pericolose.
Per il resto, il coordinatore per l'esecuzione, identifica momenti topici delle lavorazioni e predispone attività che assicurino rispetto ad esse l'attuazione dei piani 'attraverso la mediazione dei datori esecutori'. Certo non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità significativa e non burocratica (cioè dettate dalle necessità che risultino idonee allo scopo e non routinarie). Parallelamente, l'accertamento giudiziale non dovrà ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce di azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale.
7. Tanto premesso, non può non rilevarsi che la condotta del ricorrente non sia stata osservante di tale funzione di alta vigilanza intesa secondo l'interpretazione giurisprudenziale più avveduta. Questi, infatti, se è ben vero che alla data del 25 agosto (suo ultimo accesso in cantiere) non aveva riscontrato direttamente alcuna situazione di pericolo nei lavori in corso che prevedevano l'esecuzione "a terra", è altrettanto vero che smise di frequentare il cantiere - come dal medesimo riconosciuto con la memoria prodotta all'organo di vigilanza al fine di giustificare il mancato versamento della somma dovuta ex d. lgs. n. 758/94 - per ragioni legate a difficoltà economiche dell'impresa e anche per ragioni familiari legate al decesso del padre avvenuto l'8 settembre, ossia una decina di giorni prima della visita ispettiva, senza peraltro comunicare né alla committenza né all'impresa esecutrice la sua impossibilità di recarvisi.
Ora, se è ben vero che al medesimo non poteva essere richiesta una presenza assidua in cantiere, è altrettanto vero però, come chiarito in precedenza, che l'obbligo di cui alla lettera f) dell'art. 92 citato, eccezionalmente, individua la posizione di garanzia del CSE nel potere-dovere di intervenire direttamente sulle singole lavorazioni pericolose, ciò che implica anche la necessità legale di frequentare il cantiere con una periodicità compatibile con la possibilità di rilevare le eventuali lavorazioni pericolose. Ciò implica un'attività di verifica non può significare presenza quotidiana nel cantiere, implica però necessariamente la sua presenza nei momenti delle lavorazioni topici rispetto alla funzione di controllo. E certamente non può non essere considerato "topico" rispetto alla funzione di controllo il momento in cui in cantiere vengono svolte lavorazioni che comportano il rischio di caduta dall'alto, lavorazioni che per la loro intrinseca pericolosità richiedono assolutamente la presenza del coordinatore per l'esecuzione legittimato, proprio in virtù della predetta lett. f), ad esercitare un potere-dovere di intervento diretto, che può e deve spingersi sino al punto di sospendere i lavori.
In tale contesto, del resto, non rileva la circostanza che questi, almeno sino al 25 agosto, avesse garantito con la necessaria assiduità la sua presenza in cantiere richiedendo prescrizioni all'impresa, posto che - ciò che diversamente rileva - è la circostanza che questi, pur consapevole del cronoprogramma dei lavori da eseguirsi (rivestendo infatti sia il ruolo di coordinatore per la progettazione che quella di coordinatore l'esecuzione dei lavori), abbia volontariamente deciso di non recarsi presso il cantiere per oltre venti giorni dal suo ultimo accesso (non rilevando né la situazione di difficoltà economica dell'impresa né il decesso sopraggiunto in quel periodo del familiare), abdicando quindi a quella sua funzione di alta vigilanza che, ove correttamente esercitata, gli avrebbe consentito di avvedersi di quelle situazioni di pericolo rilevate dagli organi di vigilanza in sede ispettiva, collegate all'esecuzione di lavori in quota comportanti pericolo di caduta dall'alto, così da intervenire direttamente sospendendo i lavori in corso.
8. Il ricorso, così riqualificata l'originaria impugnazione, dev'essere pertanto dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare in euro 2000,00 (duemila/00).
9. L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio l'ordinanza 8/06/2016 della Corte d'appello di Firenze e, qualificato come ricorso l'appello proposto, lo dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 10 marzo 2017

__________

Articolo 92 Dlgs 81/08 - Obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori

1. Durante la realizzazione dell’opera, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori:
a) verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 ove previsto e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
b) verifica l’idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 100, assicurandone la coerenza con quest’ultimo, ove previsto, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100, ove previsto, e il fascicolo di cui all’articolo 91, comma 1, lettera b), in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza;
c) organizza tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione;
d) verifica l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;
e) segnala al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95, 96 e 97, comma 1, e alle prescrizioni del piano di cui all’articolo 100, ove previsto, e propone la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione dà comunicazione dell’inadempienza alla Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti;
f) sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.
2. Nei casi di cui all’articolo 90, comma 5, il coordinatore per l’esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui al comma 1,redige il piano di sicurezza e di coordinamento e predispone il fascicolo, di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e b), fermo restando quanto previsto al secondo periodo della medesima lettera b). 

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Decreto 27 dicembre 2017

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Decreto 27 dicembre 2017

Decreto 27 dicembre 2017

Requisiti dei distributori degli impianti di benzina, attrezzati con sistemi di recupero vapori.

Entrata in vigore: 04 Febbraio 2018

GU n. 4 del 05.01.2018
_________

Art. 1. Campo di applicazione

1. Il presente decreto si applica ai distributori degli impianti di distribuzione di benzina, attrezzati con sistemi di recupero dei vapori prodotti durante le operazioni di rifornimento, che prevedono il trasferimento dei vapori stessi in un impianto di deposito presente presso l’impianto di distribuzione di benzina, come previsto dall’art. 277, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (TUA)
...

277. Recupero di cov prodotti durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli presso gli impianti di distribuzione carburanti

1. I distributori degli impianti di distribuzione dei carburanti devono essere attrezzati con sistemi di recupero dei vapori di benzina che si producono durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli. Gli impianti di distribuzione, i distributori e i sistemi di recupero dei vapori devono essere conformi alle pertinenti prescrizioni dell'Allegato VIII alla parte quinta del presente decreto, relative ai requisiti di efficienza, ai requisiti costruttivi, ai requisiti di installazione, ai controlli periodici ed agli obblighi di documentazione.

2. I sistemi di recupero dei vapori comprendono pistole di erogazione a ciò predisposte, tubazioni flessibili coassiali o gemellate, ripartitori per la separazione della linea dei vapori dalla linea di erogazione del carburante, collegamenti interni ai distributori, linee interrate per il passaggio dei vapori verso i serbatoi e tutte le apparecchiature e i dispositivi atti a garantire il funzionamento degli impianti in condizioni di sicurezza ed efficienza.

Art. 2. Obiettivi

1. Ai fini della prevenzione incendi, allo scopo di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia delle persone e alla tutela dei beni contro i rischi di incendio, i distributori e i sistemi di recupero vapori di cui all’art. 1, sono realizzati e gestiti in modo da:

a) minimizzare le cause di incendio ed esplosione;
b) limitare la produzione e la propagazione di un incendio all’interno degli impianti di distribuzione di benzina;
c) limitare la propagazione di un incendio ad edifici od aree limitrofe;
d) assicurare la possibilità che gli occupanti lascino le aree degli impianti di distribuzione di benzina indenni
o che gli stessi siano soccorsi in altro modo;
e) garantire la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza;
f) garantire che i requisiti di installazione dei medesimi siano conformi alla direttiva 2014/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva.

Art. 3. Disposizioni tecniche

1. I distributori e i sistemi di recupero vapori di cui all’art. 1, fermo restando la conformità al decreto legislativo 19 maggio 2016, n. 85, che attua la direttiva 2014/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, devono essere realizzati secondo la regola dell’arte e nel rispetto delle specifiche disposizioni di prevenzione incendi.

2. Ferme restando le disposizioni previste dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, i distributori per l’erogazione di benzina, comprensivi dei sistemi di recupero dei vapori, devono essere provvisti di marcatura CE e della relativa dichiarazione di conformità ai sensi del decreto legislativo 19 maggio 2016, n. 85.

Tale marcatura CE attesta che il distributore è costruito in conformità all’analisi di rischio effettuata dal fabbricante ai sensi delle direttive comunitarie e delle norme applicabili.

3. Per le installazioni ricadenti nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, di cui all’allegato I al decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, i distributori per l’erogazione di benzina, comprensivi dei sistemi di recupero dei vapori, si considerano costruiti in conformità al decreto legislativo 19 maggio 2016, n. 85 e alle altre disposizioni applicabili, se provvisti di marcatura CE di categoria 2 essendo la zona interna al distributore, di regola, classificata ai fini della sicurezza come zona 1.

L’utilizzo di una diversa categoria deve essere oggetto di un riferimento specifico nel documento di valutazione dei rischi, ai fini del controllo del Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio.

Art. 4. Impiego di prodotti per uso antincendio

1. I prodotti per uso antincendio, impiegati nel campo di applicazione del presente decreto, devono essere:

a) identificati univocamente sotto la responsabilità del produttore, secondo le procedure applicabili;

b) qualificati in relazione alle prestazioni richieste e all’uso previsto;

c) accettati dal responsabile dell’attività, ovvero dal responsabile dell’esecuzione dei lavori mediante acquisi- zione e verifica della documentazione di identificazione e qualificazione.

2. L’impiego dei prodotti per uso antincendio è consentito se gli stessi sono utilizzati conformemente all’uso previsto, sono rispondenti alle prestazioni richieste dal presente decreto e se:

a) sono conformi alle disposizioni comunitarie applicabili;

b) sono conformi, qualora non ricadenti nel campo di applicazione di disposizioni comunitarie, alle ap- posite disposizioni nazionali applicabili, già sottoposte con esito positivo alla procedura di informazione di cui alla direttiva 98/34/CE e successive modificazioni, che prevedono apposita omologazione per la commercializzazione sul territorio italiano e a tal fine il mutuo riconoscimento;

c) qualora non contemplati nelle lettere a) e b), sono legittimamente commercializzati in uno degli Stati dell’Unione europea o in Turchia in virtù di specifici accordi internazionali stipulati con l’Unione europea ovvero legalmente fabbricati in uno degli Stati firmatari dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), parte contraente dell’accordo sullo spazio economico europeo (SEE), per l’impiego nelle stesse condizioni che permettono di garantire un livello di protezione, ai fini della sicurezza dall’incendio, equivalente a quello previsto nelle norme tecniche di cui al presente decreto.

3. L’equivalenza del livello di protezione, garantito dai prodotti per uso antincendio di cui al comma 2, è valutata, ove necessario, dal Ministero dell’interno applicando le procedure previste dal regolamento (CE) n. 764/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008.

Art. 5. Abrogazioni e disposizioni finali

1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’art. 5, comma 1, del decreto del Ministro dell’ambiente del 16 maggio 1996, così come sostituito dall’art. 4 del decreto del Ministro dell’interno del 27 gennaio 2006, non si applica, ad eccezione della lettera c), limitatamente agli impianti di distribuzione di benzina.

2. Ai sensi dell’art. 14, comma 3, della legge 15 dicembre 2011, n. 217, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto non si applica il punto 3 dell’allegato VIII alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (TUA)
....

PARTE V
ALLEGATO VIII - Impianti di distribuzione di benzina

...

3. Requisiti costruttivi e di installazione.

3.1. Il presente paragrafo si applica fino all'emanazione di una specifica norma tecnica da parte dei competenti enti di normazione.

3.2. I sistemi di recupero dei vapori sono classificati, sulla base del principio di funzionamento, in sistemi di recupero dei vapori a circolazione naturale e sistemi di recupero dei vapori a circolazione forzata, come definiti dai punti 3.3. e 3.4, i quali stabiliscono altresì i requisiti tecnici di carattere generale di tali impianti.

3.3. Sistemi di recupero dei vapori a circolazione naturale. In tali sistemi la pressione esistente nel serbatoio del veicolo e la depressione che si crea nell'impianto di deposito quando si estrae il carburante determinano il passaggio dei vapori dal serbatoio del veicolo verso l'impianto di deposito durante il rifornimento, senza l'impiego di pompe a vuoto, aspiratori o altri dispositivi atti a facilitare la circolazione dei vapori.

3.4 Sistemi di recupero dei vapori a circolazione forzata. Tali sistemi prevedono l'impiego di dispositivi che, in aggiunta alla differenza di pressione che si determina tra il serbatoio del veicolo e l'impianto di deposito, facilitano il passaggio dei vapori dal serbatoio del veicolo all'impianto di deposito durante il rifornimento. In base al tipo di dispositivo impiegato tali sistemi sono classificati in:

a) Sistemi assistiti da pompe. Tali sistemi prevedono l'impiego di una o più pompe del vuoto atte a creare una depressione che facilita il passaggio dei vapori stessi dal serbatoio del veicolo verso gli impianti di deposito. Sulla base del numero e della disposizione delle pompe a vuoto impiegate, tali sistemi vengono classificati in:

- sistemi dedicati. Tali sistemi prevedono l'impiego di almeno una pompa del vuoto installata nel corpo di ciascun distributore, e messa in funzione all'atto dell'erogazione del carburante. Il sistema deve avere requisiti tali da garantire la proporzionalità del volume di vapore recuperato in funzione del volume di carburante erogato, secondo quanto indicato al punto 2.1. La pompa del vuoto deve essere dotata di idonei dispositivi tagliafiamma posti sulla mandata e sull'aspirazione; il motore della pompa del vuoto deve avere un grado di protezione adeguato alla zona di pericolo in cui è ubicato.
- sistemi centralizzati. Tali sistemi prevedono l'impiego di un'unica pompa del vuoto centralizzata asservita a più distributori, installata lungo la linea di ritorno dei vapori e messa in funzione all'atto dell'erogazione del carburante. Il sistema deve avere requisiti tali da garantire la proporzionalità del volume di vapore recuperato in funzione del volume di carburante erogato, secondo quanto indicato al punto 2.1. La pompa del vuoto deve essere dotata di idonei dispositivi tagliafiamma posti sulla mandata e sull'aspirazione; il motore della pompa del vuoto deve avere un grado di protezione adeguato alla zona di pericolo in cui è ubicato.

b) Sistemi a circolatore idraulico. Tali sistemi prevedono l'impiego di un circolatore idraulico (pompa a getto, aspiratore Venturi o altro dispositivo) al fine di ottenere una depressione atta a facilitare il passaggio dei vapori dal serbatoio del veicolo agli impianti di deposito durante la fase del rifornimento. Il circolatore idraulico può essere installato presso il distributore o presso la pompa di erogazione del carburante, e deve avere requisiti tali da garantire la proporzionalità del volume di vapore recuperato in funzione del volume di carburante erogato, secondo quanto indicato al punto 2.1; la mandata del circolatore idraulico deve essere dotata di idoneo dispositivo tagliafiamma.

3.5. Le pistole erogatrici da impiegarsi nei distributori dotati di sistema per il recupero dei vapori devono avere requisiti tali da garantire l'esercizio dell'impianto in condizioni di sicurezza e di efficienza. Esse devono essere provviste di un condotto separato per il passaggio dei vapori, di una valvola di ritegno per mantenere chiuso il circuito dei vapori tra due successive operazioni di erogazione e di idonei dispositivi atti a garantire l'arresto dell'erogazione per serbatoio pieno e per caduta a terra della pistola. Se l'impianto è dotato di sistema di recupero dei vapori di benzina a circolazione naturale le pistole di erogazione devono garantire una tenuta con il bocchettone di carico del serbatoio del veicolo.

3.6. Nei distributori dotati di sistema per il recupero dei vapori è consentito l'impiego di tubazioni flessibili coassiali o gemellate. La lunghezza massima di tali tubazioni, esterna al distributore, è pari a 5,00 m.

3.7. Al fine di separare la linea di erogazione del carburante dalla linea di recupero dei vapori è necessario installare un idoneo ripartitore coassiale, dal quale si dipartono distintamente la linea di erogazione del carburante e la linea di recupero dei vapori.

Se il distributore è dotato di tubazioni flessibili coassiali il ripartitore coassiale può essere installato all'interno o all'esterno del corpo del distributore; se il distributore è dotato di tubazioni flessibili gemellate il ripartitore coassiale deve essere installato sulla pistola erogatrice.

3.8. II collegamento tra il distributore e le tubazioni interrate del sistema di recupero dei vapori di benzina può essere costituito da un tronco di tubazione flessibile o rigido.

3.9. Le linee interrate di ritorno dei vapori di benzina, nel tratto compreso tra i distributori e gli impianti di deposito, possono assumere le seguenti configurazioni:

a) linee dedicate (una per ogni distributore), le quali collegano ciascun distributore ad un singolo impianto di deposito; 

b) linee centralizzate (a servizio di più distributori), le quali collegano tutti i distributori ad uno o più impianti di deposito per mezzo di una rete comune di tubazioni.

3.10. Sulla linea di ritorno dei vapori deve essere installato un gruppo di controllo del funzionamento, che segnali visivamente le anomalie del sistema di recupero dei vapori di benzina. In presenza di tali anomalie il gestore è tenuto ad assumere gli opportuni provvedimenti.

3.11. E' consentito immettere i vapori recuperati nella parte superiore degli impianti di deposito, senza gorgogliamento. All'ingresso della linea di ritorno dei vapori di ogni serbatoio deve essere inoltre installato un idoneo dispositivo tagliafiamma. Devono essere installati idonei dispositivi al fine di evitare che il carburante rifluisca nella linea di recupero dei vapori in caso di sovrariempimento degli impianti di deposito. Qualora l'impianto di distribuzione di carburanti sia asservito ad un sistema di più impianti di deposito, questi possono essere collegati fra loro in corrispondenza della linea di ritorno dei vapori tramite un collettore comune, a condizione che tutti contengano esclusivamente benzina.

3.12. I requisiti costruttivi delle tubazioni appartenenti alle linee interrate di ritorno dei vapori sono identici a quelli richiesti per le tubazioni per l'adduzione del carburante; i materiali impiegati devono essere compatibili con le caratteristiche fisico-chimiche dei carburanti immagazzinati e devono possedere un'adeguata capacità, robustezza e durata per poter sopportare le pressioni di esercizio, lo stato di tensione strutturale e l'aggressione chimica a cui possono essere sottoposte; devono inoltre assicurare un libero passaggio e nel contempo garantire una bassa resistenza al flusso dei vapori.

3.13. Le tubazioni appartenenti alle linee interrate di ritorno dei vapori devono seguire il percorso effettivo più breve dai distributori agli impianti di deposto, con una pendenza uniforme minima del 2% verso gli impianti di deposito stessi.

3.14. Tutti gli elementi metallici appartenenti alla linea di ritorno dei vapori devono essere adeguatamente protetti dalla corrosione.

3.15. Gli impianti elettrici negli impianti di distribuzione di carburanti liquidi devono essere realizzati secondo quanto prescritto dalla legge 1° marzo 1968, n. 186. Le tubazioni e tutti gli altri elementi appartenenti alla linea di erogazione del carburante e alla linea di ritorno dei vapori, se di tipo non metallico, devono essere corredati di certificazione prodotta dal costruttore che ne attesti l'antistaticità.

3. Il presente decreto entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Roma, 27 dicembre 2017 

Collegati

Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 29250 | 06 dicembre 2017

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Sentenze cassazione civile

Malattia professionale e inidoneità alla mansione

Licenziamento dell'addetta alle pulizie

Civile Sent. Sez. L Num. 29250 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: CINQUE GUGLIELMO
Data pubblicazione: 06/12/2017

Fatti di causa

1. Con la sentenza n. 717/2015 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Castrovillari n. 142/2014 con cui era stata respinta la domanda proposta da M.A.M. la quale, premesso di avere lavorato alle dipendenze della Manitei Idea spa (società avente in appalto servizi di pulizia presso gli istituti scolastici della Regione) con mansioni di addetta alle pulizie e che, a seguito di visita medica della competente commissione ASP del 25.10.2010, era stata accertata la permanente inidoneità alle mansioni per il qual motivo era stata licenziata con provvedimento del 23.11.2010, aveva chiesto, nei confronti della società datrice di lavoro, che fosse dichiarata l'illegittimità del recesso per violazione dell'obbligo di repechage, mentre nei riguardi dell'INAIL aveva chiesto che fosse accertato che la malattia, che aveva determinato la propria inidoneità era da ritenersi di origine professionale con conseguente condanna dell'Istituto assicuratore al pagamento della rendita o, quanto meno, dell'indennizzo in conto capitale.

2. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha statuito che: 1) nei confronti dell'INAIL la domanda era improponibile non essendo stata proposta la domanda amministrativa né poteva valere la richiesta formulata al datore di lavoro, in sede di impugnativa del licenziamento, di trasmettere all'INAIL la istanza perché, in caso di inerzia, comunque il lavoratore avrebbe dovuto provvedervi in via autonoma; 2) sull'obbligo di repechage, il lavoratore non aveva allegato l’esistenza di altri posti di lavoro nei quali avrebbe potuto essere utilmente ricollocato.

3. Avverso tale sentenza M.A.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

4. Ha resistito con controricorso il solo INAIL mentre l'altra intimata non ha svolto attività difensiva.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 135, 131, 52, 53, 67 del DPR n. 1124/1965, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alla richiesta di riconoscimento della malattia professionale e del pagamento della rendita. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva rilevato la mancata presentazione della domanda amministrativa perché, con la lettera di impugnativa del licenziamento del 2.12.2010, la datrice di lavoro era stata invitata ad attivare la procedura d legge per il riconoscimento della malattia professionale e, quindi, era stato assolto l'obbligo derivante dall'art. 52 del citato DPR. Inoltre, la ricorrente precisa che i giudici di secondo grado, anche in ipotesi di improponibilità della domanda, avrebbero dovuto comunque accertare la sussistenza della denunciata malattia e, qualora sussistente, avrebbero dovuto condannare la Manital Idea spa alla corresponsione delle prestazioni richieste.

2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 604/1966 e artt. 1463 e 1464 cc, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè l'impugnativa di licenziamento, per avere errato la Corte distrettuale nell'avere ritenuto incombente sulla ricorrente l'onere di allegare circostanze specifiche in ordine alla esistenza di diversi posti di lavoro cui avrebbe potuto essere adibita, dovendo, invece, essere il datore di lavoro a giustificare l'eventuale recesso anche sotto questo profilo; lamenta, inoltre la ricorrente che il giudice di appello, come già il giudice di primo grado, non aveva dato ingresso, senza alcuna motivazione, alle richieste istruttorie da essa formulate volte a provare l'esistenza di lavori diversi a cui la stessa avrebbe potuto essere adibita. 

3. Il primo motivo è fondato.

4. L'art. 52 del DPR n. 1124/1965 statuisce che il datore di lavoro ha l'obbligo di trasmettere all'Istituto assicuratore la denuncia di malattia professionale entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d'opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia: la violazione di tale obbligo è sanzionato in via amministrativa.

5. L'art. 67 dello stesso DPR prevede che gli assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell'Istituto assicuratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non ha adempiuto agli obblighi stabiliti nel presente titolo.

6. Nella fattispecie in esame, è incontestato che, con la lettera del 2.10.2010, con la quale era stato impugnato il licenziamento, la M.A.M. aveva evidenziato che le lamentate ed accertate patologie da cui risultava affetta erano tutte diretta conseguenza dell'attività lavorativa prestata alle dipendenze della società, rientranti nel novero delle malattie professionali, motivo per cui faceva espressa istanza di attivazione della procedura di cui al DPR n. 1124/1965 impregiudicata l'azione risarcitoria nei confronti di parte datoriale.

7. La ricorrente aveva, quindi, chiaramente manifestato la sua volontà di fare valere il diritto alla prestazione previdenziale e neppure era ostativa all'inoltro della domanda all'INAIL l'eventuale assenza del certificato o della relazione medica contenente la descrizione dei sintomi lamentati dal lavoratore e riscontrati dal medico perché la documentazione riguardante le patologie della dipendente era già in possesso di parte datoriale che, sulla base di essa, aveva proceduto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in considerazione della inidoneità permanente alla mansione di addetto alle pulizie in ambienti civili.

8. Il datore di lavoro, pertanto, aveva l'obbligo di inoltrare l'istanza all'INAIL e il non avervi ottemperato determinava la proponibilità della relativa domanda avanzata in sede giurisdizionale, ai sensi dell'art. 67 DPR n. 1124/1965.

9. La Corte territoriale non ha applicato correttamente le suddette disposizioni e avrebbe dovuto, pertanto, accertare se la malattia professionale denunciata fosse stata conseguenza dell'attività lavorativa espletata e, quindi, indennizzabile ex DPR n. 1124/1965.

10. Anche il secondo motivo è fondato.

11. La Corte di merito ha ritenuto che l'obbligo del repechage, con conseguente onere di prova a carico del datore di lavoro circa l'impossibilità di adibire il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo a diverse mansioni, diveniva operativo solo a seguito dell'adempimento, da parte del lavoratore, all'onere di allegare circostanze specifiche in merito alla esistenza di diversi posti di lavoro cui sarebbe potuto essere adibito.

12. In punto di fatto deve, però, essere rilevato (e ciò non è contestato) che, nell'impugnare il licenziamento per avvenuta inidoneità permanente alla mansione di addetta alle pulizie, la lavoratrice aveva dato la disponibilità ad essere adibita anche a mansioni inferiori e che nel giudizio aveva articolato prova per testi diretta a dimostrare l'esistenza, in azienda, di dipendenti addetti a lavori diversi rispetto a quelli da essa espletati: prova cui non è stato dato ingresso.

13. Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 7 agosto 1998 n. 77545), a composizione dei contrasti di giurisprudenza esistenti sulla questione, hanno affermato che la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa possono giustificare oggettivamente il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro subordinato, ai sensi della legge n. 604/1966, artt. 1 e 3 (normativa specifica in relazione a quella generale dei contratti sinallagmatici di cui agli artt. 1453, 1455, 1463 e 1464 cc), a condizione che risulti ineseguibile l'attività svolta in concreto dal prestatore e che non sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni equivalenti ai sensi dell'art. 2103 cc ed eventualmente inferiori, in difetto di altre soluzioni.

[...]

16. La inidoneità del prestatore giustifica il recesso solo nell'ipotesi in cui le energie lavorative residue non possano essere utilizzate altrimenti dall'impresa, anche in mansioni inferiori, e il datore di lavoro, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili soluzioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, divenendo libero di recedere dal rapporto solo qualora la soluzione alternativa non venga accettata.

17. Quanto, poi, alla tematica circa la delimitazione degli oneri di allegazione che gravano sul lavoratore, il quale contesti la legittimità del licenziamento, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che "l'onere di collaborazione del prestatore di lavoro, lungi dall'avere un contenuto formale e predefinito, trova la sua specificazione con riferimento alla situazione concreta, in relazione cioè all'esigenza di rendere ragionevole l'onere probatorio gravante sul datore di lavoro, a sua volta delimitato dalle contrapposte deduzioni delle parti e dalle circostanze di fatto e di luogo reali proprie della singola vicenda esaminata. E', pertanto, sufficiente che il prestatore di lavoro, per soddisfare il suddetto onere, fornisca comunque elementi utili ad individuare la esistenza di realtà idonee ad una sua possibile diversa collocazione. Deve sottolinearsi in proposito che non è possibile gravare il prestatore di lavoro di un onere di maggiore specificità nell'allegazione suddetta tenuto conto del fatto che lo stesso non può (o comunque non è tenuto a) conoscere i dettagli dell'organizzazione aziendale e quindi l'eventuale esistenza di posizioni di lavoro analoghe a quelle dallo stesso occupate e suscettibili di essere dallo stesso ricoperte (Cass. 18.7.2014 n. 16484).

[...]

20. Nei limiti delle suddette considerazioni il ricorso deve essere accolto e la causa va rinviata ad altra Corte di appello, che si designa in quella di Reggio Calabria, perché uniformandosi al complesso dei principi di diritto innanzi precisati, proceda agli accertamenti omessi. Il giudice di rinvio è incaricato anche di regolare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 20 settembre 2017

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