Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. n. 29250 | 06 dicembre 2017
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Malattia professionale e inidoneità alla mansione
Licenziamento dell'addetta alle pulizie
Civile Sent. Sez. L Num. 29250 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: CINQUE GUGLIELMO
Data pubblicazione: 06/12/2017
1. Con la sentenza n. 717/2015 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Castrovillari n. 142/2014 con cui era stata respinta la domanda proposta da M.A.M. la quale, premesso di avere lavorato alle dipendenze della Manitei Idea spa (società avente in appalto servizi di pulizia presso gli istituti scolastici della Regione) con mansioni di addetta alle pulizie e che, a seguito di visita medica della competente commissione ASP del 25.10.2010, era stata accertata la permanente inidoneità alle mansioni per il qual motivo era stata licenziata con provvedimento del 23.11.2010, aveva chiesto, nei confronti della società datrice di lavoro, che fosse dichiarata l'illegittimità del recesso per violazione dell'obbligo di repechage, mentre nei riguardi dell'INAIL aveva chiesto che fosse accertato che la malattia, che aveva determinato la propria inidoneità era da ritenersi di origine professionale con conseguente condanna dell'Istituto assicuratore al pagamento della rendita o, quanto meno, dell'indennizzo in conto capitale.
2. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha statuito che: 1) nei confronti dell'INAIL la domanda era improponibile non essendo stata proposta la domanda amministrativa né poteva valere la richiesta formulata al datore di lavoro, in sede di impugnativa del licenziamento, di trasmettere all'INAIL la istanza perché, in caso di inerzia, comunque il lavoratore avrebbe dovuto provvedervi in via autonoma; 2) sull'obbligo di repechage, il lavoratore non aveva allegato l’esistenza di altri posti di lavoro nei quali avrebbe potuto essere utilmente ricollocato.
3. Avverso tale sentenza M.A.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
4. Ha resistito con controricorso il solo INAIL mentre l'altra intimata non ha svolto attività difensiva.
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 135, 131, 52, 53, 67 del DPR n. 1124/1965, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alla richiesta di riconoscimento della malattia professionale e del pagamento della rendita. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva rilevato la mancata presentazione della domanda amministrativa perché, con la lettera di impugnativa del licenziamento del 2.12.2010, la datrice di lavoro era stata invitata ad attivare la procedura d legge per il riconoscimento della malattia professionale e, quindi, era stato assolto l'obbligo derivante dall'art. 52 del citato DPR. Inoltre, la ricorrente precisa che i giudici di secondo grado, anche in ipotesi di improponibilità della domanda, avrebbero dovuto comunque accertare la sussistenza della denunciata malattia e, qualora sussistente, avrebbero dovuto condannare la Manital Idea spa alla corresponsione delle prestazioni richieste.
2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 604/1966 e artt. 1463 e 1464 cc, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè l'impugnativa di licenziamento, per avere errato la Corte distrettuale nell'avere ritenuto incombente sulla ricorrente l'onere di allegare circostanze specifiche in ordine alla esistenza di diversi posti di lavoro cui avrebbe potuto essere adibita, dovendo, invece, essere il datore di lavoro a giustificare l'eventuale recesso anche sotto questo profilo; lamenta, inoltre la ricorrente che il giudice di appello, come già il giudice di primo grado, non aveva dato ingresso, senza alcuna motivazione, alle richieste istruttorie da essa formulate volte a provare l'esistenza di lavori diversi a cui la stessa avrebbe potuto essere adibita.
3. Il primo motivo è fondato.
4. L'art. 52 del DPR n. 1124/1965 statuisce che il datore di lavoro ha l'obbligo di trasmettere all'Istituto assicuratore la denuncia di malattia professionale entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d'opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia: la violazione di tale obbligo è sanzionato in via amministrativa.
5. L'art. 67 dello stesso DPR prevede che gli assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell'Istituto assicuratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non ha adempiuto agli obblighi stabiliti nel presente titolo.
6. Nella fattispecie in esame, è incontestato che, con la lettera del 2.10.2010, con la quale era stato impugnato il licenziamento, la M.A.M. aveva evidenziato che le lamentate ed accertate patologie da cui risultava affetta erano tutte diretta conseguenza dell'attività lavorativa prestata alle dipendenze della società, rientranti nel novero delle malattie professionali, motivo per cui faceva espressa istanza di attivazione della procedura di cui al DPR n. 1124/1965 impregiudicata l'azione risarcitoria nei confronti di parte datoriale.
7. La ricorrente aveva, quindi, chiaramente manifestato la sua volontà di fare valere il diritto alla prestazione previdenziale e neppure era ostativa all'inoltro della domanda all'INAIL l'eventuale assenza del certificato o della relazione medica contenente la descrizione dei sintomi lamentati dal lavoratore e riscontrati dal medico perché la documentazione riguardante le patologie della dipendente era già in possesso di parte datoriale che, sulla base di essa, aveva proceduto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in considerazione della inidoneità permanente alla mansione di addetto alle pulizie in ambienti civili.
8. Il datore di lavoro, pertanto, aveva l'obbligo di inoltrare l'istanza all'INAIL e il non avervi ottemperato determinava la proponibilità della relativa domanda avanzata in sede giurisdizionale, ai sensi dell'art. 67 DPR n. 1124/1965.
9. La Corte territoriale non ha applicato correttamente le suddette disposizioni e avrebbe dovuto, pertanto, accertare se la malattia professionale denunciata fosse stata conseguenza dell'attività lavorativa espletata e, quindi, indennizzabile ex DPR n. 1124/1965.
10. Anche il secondo motivo è fondato.
11. La Corte di merito ha ritenuto che l'obbligo del repechage, con conseguente onere di prova a carico del datore di lavoro circa l'impossibilità di adibire il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo a diverse mansioni, diveniva operativo solo a seguito dell'adempimento, da parte del lavoratore, all'onere di allegare circostanze specifiche in merito alla esistenza di diversi posti di lavoro cui sarebbe potuto essere adibito.
12. In punto di fatto deve, però, essere rilevato (e ciò non è contestato) che, nell'impugnare il licenziamento per avvenuta inidoneità permanente alla mansione di addetta alle pulizie, la lavoratrice aveva dato la disponibilità ad essere adibita anche a mansioni inferiori e che nel giudizio aveva articolato prova per testi diretta a dimostrare l'esistenza, in azienda, di dipendenti addetti a lavori diversi rispetto a quelli da essa espletati: prova cui non è stato dato ingresso.
13. Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 7 agosto 1998 n. 77545), a composizione dei contrasti di giurisprudenza esistenti sulla questione, hanno affermato che la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa possono giustificare oggettivamente il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro subordinato, ai sensi della legge n. 604/1966, artt. 1 e 3 (normativa specifica in relazione a quella generale dei contratti sinallagmatici di cui agli artt. 1453, 1455, 1463 e 1464 cc), a condizione che risulti ineseguibile l'attività svolta in concreto dal prestatore e che non sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni equivalenti ai sensi dell'art. 2103 cc ed eventualmente inferiori, in difetto di altre soluzioni.
[...]
16. La inidoneità del prestatore giustifica il recesso solo nell'ipotesi in cui le energie lavorative residue non possano essere utilizzate altrimenti dall'impresa, anche in mansioni inferiori, e il datore di lavoro, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili soluzioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, divenendo libero di recedere dal rapporto solo qualora la soluzione alternativa non venga accettata.
17. Quanto, poi, alla tematica circa la delimitazione degli oneri di allegazione che gravano sul lavoratore, il quale contesti la legittimità del licenziamento, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che "l'onere di collaborazione del prestatore di lavoro, lungi dall'avere un contenuto formale e predefinito, trova la sua specificazione con riferimento alla situazione concreta, in relazione cioè all'esigenza di rendere ragionevole l'onere probatorio gravante sul datore di lavoro, a sua volta delimitato dalle contrapposte deduzioni delle parti e dalle circostanze di fatto e di luogo reali proprie della singola vicenda esaminata. E', pertanto, sufficiente che il prestatore di lavoro, per soddisfare il suddetto onere, fornisca comunque elementi utili ad individuare la esistenza di realtà idonee ad una sua possibile diversa collocazione. Deve sottolinearsi in proposito che non è possibile gravare il prestatore di lavoro di un onere di maggiore specificità nell'allegazione suddetta tenuto conto del fatto che lo stesso non può (o comunque non è tenuto a) conoscere i dettagli dell'organizzazione aziendale e quindi l'eventuale esistenza di posizioni di lavoro analoghe a quelle dallo stesso occupate e suscettibili di essere dallo stesso ricoperte (Cass. 18.7.2014 n. 16484).
[...]
20. Nei limiti delle suddette considerazioni il ricorso deve essere accolto e la causa va rinviata ad altra Corte di appello, che si designa in quella di Reggio Calabria, perché uniformandosi al complesso dei principi di diritto innanzi precisati, proceda agli accertamenti omessi. Il giudice di rinvio è incaricato anche di regolare le spese del giudizio di cassazione.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 20 settembre 2017
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Sentenza Cassazione Civile n. 29250 anno 2017.pdf |
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