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Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento golfari

ID 7957 | | Visite: 7865 | Documenti Sicurezza ASL

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento golfari

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento golfari

I golfari sono accessori di sollevamento così come definito dalla direttiva 2006/42/CE: “Gli accessori di sollevamento sono componenti o attrezzature non collegate alle macchine per il sollevamento, che consentono la presa del carico, disposti tra la macchina e il carico oppure sul carico stesso, oppure destinati a divenire parte integrante del carico e ad essere immessi sul mercato separatamente; anche le imbracature e le loro componenti sono considerate accessori di sollevamento”. Per meglio identificare i golfari come accessori di sollevamento, nel dicembre 2009, è stata emessa, dalla Commissione Europea la “Classification of equipment used for lifting loads with lifting machinery” riferita proprio alla direttiva 2006/42/CE.

La finalità del presente elaborato è quella di fornire informazioni finalizzate all’uso in sicurezza dei golfari e le indicazioni per eseguire, anche sulla scorta di numerosi esempi riportati, una valutazione del rischio connessa all’utilizzo di questa tipologia di accessori di sollevamento. Poiché, nella vostra azienda possono essere presenti situazioni non riportate all’interno del presente elaborato, lo stesso NON deve essere inteso come uno strumento sostitutivo del manuale istruzioni, fornito dal costruttore dell’ attrezzatura di lavoro, che rimane lo strumento principale di riferimento per l’utilizzatore.

ATS  Brianza 2017

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Calcolatore GVR | ATS Brianza

ID 7952 | | Visite: 4296 | News Sicurezza

CalcolatoreGVR

Calcolatore GVR | ATS Brianza

06.03.2019

Nell'ottica delle funzioni di "Assistenza alle imprese", (art. 10 del D.Lgs. n. 81/2008), e Promozione della Sicurezza erogate dall'ATS Brianza, è stato congegnato il calcolatore GVR al fine di facilitare i portatori di interesse nella gestione delle attrezzature a pressione e gli impianti termici per i quali, dall'analisi delle statistiche relative agli ultimi anni, relative alle ispezioni nei confronti delle aziende afferenti alle provincie di Monza e Brianza e Lecco, sono emerse criticità connesse nell'ottemperanza agli obblighi previsti dalla relativa normativa che si caratterizza per un'oggettiva complessità.

Il calcolatore fornisce indicazioni sulla eventuale assoggettabilità delle attrezzature al DM n. 329/04 e al regime delle verifiche periodiche (art. 71, comma 11, D.Lgs. n. 81/2008). Premesso che la responsabilità della valutazione dei rischi è in capo al datore di lavoro, al riguardo, è opportuno che lo stesso si confronti con persone esperte in materia di recipienti a pressione e/o sicurezza sul lavoro al fine di determinare, con assoluta certezza, la correttezza dei dati inseriti e gli obblighi di legge connessi all'uso in sicurezza 

L’obiettivo è tutelare la sicurezza del lavoratore, fornendo alle aziende informazioni chiare per facilitarle nell’individuazione delle attrezzature da denunciare e far così emergere, dal sommerso, quelle prive dei controlli e delle verifiche ovvero quelle che potenzialmente non sono idonee ai fini della sicurezza. Infatti, attraverso la verifica periodica, in aggiunta alla prove previste, si accerta: che la configurazione dell’attrezzatura sia tra quelle previste nelle istruzioni d’uso; la regolare tenuta del registro di controllo; lo stato di conservazione.

https://webapp.ats-brianza.it/impiantistica/calcolatore/index.asp?CALCOLATORE+GVR.x=136&CALCOLATORE+GVR.y=38

Fonte: ATS Brianza

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Lista di controllo Sicurezza settore eolico

ID 7948 | | Visite: 6740 | Documenti Sicurezza UE

Lista controllo sicurezza eolico

Lista di controllo Sicurezza settore eolico

Lista di controllo sull’individuazione dei pericoli: i rischi per la sicurezza e la salute sul lavoro (SSL) nel settore dell’energia eolica

EC E-FACTS 80, 2016

La presente lista di controllo contribuisce a individuare i potenziali pericoli per i lavoratori che svolgono attività associate al settore dell’energia eolica. Considera le attività ed i rischi specifici per i lavoratori in tutte le fasi del ciclo di vita delle turbine eoliche, dalla produzione al trasporto dei componenti, all’installazione, al funzionamento e alla manutenzione fino alle procedure di emergenza e al trattamento dei rifiuti. La lista di controllo tratta i pericoli più frequenti associati agli impianti a energia eolica di grandi dimensioni ma sottolinea anche la necessità di effettuare una valutazione sistematica e approfondita dell’intero parco eolico.
L’energia eolica è una delle principali fonti energetiche rinnovabili e, se si adotteranno le misure adeguate, questa fonte sarà cruciale per il raggiungimento dell’obiettivo di Europa 2020 in materia di energie rinnovabili, per far fronte al cambiamento climatico, rafforzare la sicurezza energetica e creare nuovi posti di lavoro. È un’energia rinnovabile e pulita, che non produce emissioni di gas a effetto serra. Nel 2013 essa rappresentava il 13 % della capacità energetica dell’Unione europea e il 32 % di tutta la nuova capacità energetica europea. Mentre il settore energetico dell’UE continua a ridurre l’utilizzo di petrolio, carbone e combustibili nucleari, negli ultimi decenni l’energia eolica ha registrato una crescita eccezionale che secondo le previsioni dovrebbe proseguire. Nel 2010 in tutta l’Unione europea si contavano 70 488 turbine eoliche sulla terra ferma e 1 132 in mare. Alla fine del 2009 il settore europeo dell’energia eolica occupava 192 000 persone, e molti altri lavoratori altamente qualificati sono necessari nei rami più diversi di questo settore, dalla produzione alla gestione del progetto. È stato previsto che, entro il 2020, 446 000 persone saranno occupate nel settore dell’energia eolica in Europa.

Benché l’energia eolica sia considerata una “energia verde”, con effetti positivi per l’ambiente, ciò non significa necessariamente che tali effetti siano altrettanto positivi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Durante le varie fasi di un progetto per la produzione di energia eolica i lavoratori del settore sono esposti a pericoli che possono causare la morte o lesioni gravi. Le turbine eoliche sono installate sulla terra ferma - con impianti collocati sia nelle zone interne che in quelle costiere - oppure in mare, con impianti ubicati a una certa distanza dalla costa. I lavoratori del settore dell’energia eolica, sulla terra ferma o in mare, possono essere esposti a pericoli comuni in tutte le fasi del ciclo di vita di una turbina eolica: per esempio l’esposizione a sostanze pericolose; lo svolgimento dell’attività lavorativa ad altezze elevate o in spazi ristretti; la presenza di parti in movimento; la caduta di oggetti; il rischio di scivolare, inciampare e cadere; il carico fisico dovuto all’arrampicamento sulle torri; i disturbi muscoloscheletrici (DMS); i problemi psicosociali; l’organizzazione del lavoro; le questioni associate alla comunicazione; e infine la presenza di lavoratori inesperti. Per i parchi eolici in mare, lo svolgimento dell’attività lavorativa in mare e in condizioni climatiche estreme è fonte di altri e più specifici pericoli.
L’energia eolica è un settore relativamente recente, e alcuni lavoratori potrebbero non essere pienamente consapevoli dei pericoli associati a questo tipo di ambiente di lavoro. Inoltre, la velocità alla quale il settore dell’energia eolica si sta espandendo ha determinato carenze in termini di competenze, poiché lavoratori inesperti sono coinvolti in procedure per cui non sono stati adeguatamente formati, mettendo così a repentaglio la loro sicurezza e la loro salute.

Per informazioni più dettagliate sui rischi e la prevenzione, consultare “Occupational safety and health in the wind energy sector” report e e-fact 79.

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D.M. 4 Marzo 1982

ID 7946 | | Visite: 4180 | Decreti Sicurezza lavoro

Decreto Ministeriale 4 marzo 1982

Riconoscimento di efficacia di nuovi mezzi e sistemi di sicurezza per i ponteggi sospesi motorizzati.

GU n. 81 del 24 marzo 1982

Preambolo
Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale:

Visto l'art. 395, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, concernente il riconoscimento di efficacia dei nuovi mezzi e sistemi di sicurezza;
Visto l'art. 80 del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, che attribuisce al Ministero del lavoro e della previdenza sociale il potere di stabilire l'obbligo e di fissare le modalità per i collaudi e le verifiche delle attrezzature per l'edilizia ed i ponteggi;
Visti gli articoli 39 e seguenti del decreto di cui al precedente comma, che stabiliscono le caratteristiche costruttive e di impiego dei ponteggi sospesi;
Considerata la necessità di disciplinare in forma organica e dettagliata, ai fini della sicurezza dei lavoratori, i ponteggi sospesi motorizzati;
Ritenuto che, ai medesimi fini di cui sopra, sia necessario che le predette attrezzature siano sottoposte a verifiche periodiche nonché a collaudo;
Sentita la commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro;

Decreta:

Articolo 1

é riconosciuta l'efficacia, ai sensi dell'art. 395, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, dei mezzi e sistemi di sicurezza specificati nell'allegato A al presente decreto in deroga alle norme di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, per quanto attiene alla costruzione ed all'impiego dei ponteggi sospesi motorizzati.

Articolo 2

I ponteggi di cui al presente decreto devono essere costruiti ed installati come stabilito dalle specifiche tecniche contenute nel succitato allegato A .
Inoltre essi, ai sensi dell'art. 80 del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, devono essere collaudati (1) prima della loro messa in servizio e verificati ogni due anni per accertarne lo stato di funzionalità e di manutenzione ai fini della sicurezza dei lavoratori, conformemente a quanto disposto nell'allegato A già in precedenza richiamato.
Le funi dei ponteggi sospesi motorizzati devono essere sottoposte a verifiche trimestrali.
Il collaudo e le verifiche biennali sono affidate all'ispettorato del lavoro; le verifiche trimestrali sono effettuate a cura dei datori di lavoro, a mezzo di personale specializzato da essi scelto.
(1) [Così rettificato in Gazz. Uff., 29 maggio 1982, n. 146]

Articolo 3

Ogni apparecchio deve essere munito di una targhetta di identificazione e di un libretto di immatricolazione, redatto in conformità all'allegato B del presente decreto.
Il libretto è compilato in due copie delle quali una deve restare presso l'ufficio incaricato delle verifiche e l'altra presso l'impianto.
Su entrambi devono essere riportati i risultati del collaudo e delle verifiche biennali; quelli delle verifiche trimestrali possono essere riportati solo sul libretto presso l'impianto.

Articolo 4

La richiesta di collaudo va presentata al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
La periodicità delle verifiche decorre dalla data di immatricolazione riportata nel libretto e l'utente dell'attrezzatura dovrà farne richiesta al competente ispettorato del lavoro almeno venti giorni dalla scadenza.
Qualora, alla data prevista per l'effettuazione della verifica biennale, l'apparecchio non sia verificabile perché fuori esercizio l'utente dovrà informarne l'ispettorato del lavoro. In tal caso, la verifica biennale sarà effettuata all'atto della successiva messa in esercizio.
Se, trascorsi quaranta giorni dalla richiesta di collaudo l'organo pubblico non vi abbia provveduto, l'apparecchio potrà essere egualmente messo in servizio previa effettuazione del collaudo di cui all'art. 2 da parte di ingegnere o architetto abilitati a norma di legge, il quale dovrà inoltre provvedere alla regolarizzazione delle due copie del libretto.

Articolo 5

Gli apparecchi in esercizio alla data del presente decreto dovranno adottare i sistemi di cui è riconosciuta l'efficacia ai sensi del decreto stesso -- ove non già rispondenti al disposto del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164 -- entro un anno dalla medesima data.
Gli utenti che non otterranno dai costruttori dei ponteggi sospesi motorizzati l'adeguamento di cui sopra, dovranno provvedere in proprio -- entro il medesimo termine -- a tutti gli adempimenti previsti dal presente decreto, ivi compresa la richiesta del libretto di immatricolazione.

Articolo 6

Sono approvati la specifica tecnica ed il modello del libretto di immatricolazione che fanno parte integrante del presente decreto.

Circolare n. 11 del 25 maggio 2012

ID 7930 | | Visite: 5657 | Circolari Sicurezza lavoro

Circolare n. 11 del 25 maggio 2012

D.M. 11 aprile 2011 concernente la "Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'All. VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo" - Chiarimenti. 
_____

A seguito di numerosi quesiti pervenuti allo scrivente in merito all'applicazione del D.M. 11.04.11, tenuto conto della circolare n. 21 del1'8 agosto 2011 di questo Ministero, su conforme parere della Commissione di cui all'allegato III dello stesso decreto e d'intesa con il Coordinamento Tecnico delle Regioni e con l'INAIL, si ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti applicativi. 
...
2.SCELTA DEL SOGGETTO ABILITATO
Il D.M. 11.04.2011 stabilisce, in attuazione alle disposizioni dell'articolo 71, commi 11 e 12 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., che sia il datore di lavoro a scegliere il soggetto abilitato secondo le seguenti modalità:

a. al momento della richiesta della verifica periodica al soggetto titolare della funzione (INAIL/ASL), il datore di lavoro individua uno dei soggetti abilitati per l'effettuazione della specifica tipologia di attrezzatura di lavoro, iscritto nell'elenco dei soggetti abilitati di cui all'articolo 2, comma 4 del D.M. 11.04.2011 (elenco costituito, per quanto riguarda l'INAIL presso le direzioni regionali competenti o, per quanto riguarda le ASL presso le singole strutture e in presenza di uno specifico provvedimento regionale che lo preveda ai sensi del citato articolo 2, comma 4, secondo capoverso, presso la Regione di appartenenza);

b. in caso di superamento dei termini di cui all'articolo 2, comma I del D.M. 11.04.2011, senza che sia intervenuto il soggetto titolare della funzione né il soggetto abilitato indicato dallo stesso datore di lavoro, il datore di lavoro individua uno dei soggetti abilitati nella Regione in cui si trova l'attrezzatura di lavoro da sottoporre a verifica, iscritto nell'elenco nazionale dei soggetti abilitati di cui all'allegato III del D.M. 11.04.2011. Solo nel caso in cui nell'elenco nazionale dei soggetti abilitati di cui all'allegato III del D.M. 11.04.2011 non siano presenti soggetti abilitati nella Regione per la specifica attrezzatura, il datore di lavoro si rivolge ad uno dei soggetti riportati nell'elenco nazionale dei soggetti abilitati di cui all'allegato III del D.M. 11.04.2011, per la specifica tipologia di attrezzatura di lavoro.
...
segue in allegato

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Circolare n.9 del 5 marzo 2013

ID 7928 | | Visite: 5322 | Circolari Sicurezza lavoro

Circolare n.9 del 5 marzo 2013

D.M. 11 aprile 2011 concernente la "Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'All. VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo" - Chiarimenti. 

A seguito di numerosi quesiti pervenuti allo scrivente in merito all'applicazione del D.M. 11.04.2011, tenuto conto delle Circolari n. 21/2011, n. 11/2012, n. 22/2012 e n. 23/2012 di questo Ministero, su conforme parere della Commissione di cui all'Allegato III dello stesso decreto, si ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti applicativi.

1. VERBALI DI VERIFICA
Con l'entrata in vigore del D.M. 11.04.2011, i soggetti titolari della funzione e i soggetti abilitati dovranno adottare modelli di "scheda tecnica" e di "verbale di verifica periodica" conformi a quelli previsti dall'Allegato IV dello stesso decreto; quanto sopra deriva dal combinato disposto del D.M. 11.04.2011 e dell'articolo 71, comma 13, del D.Lgs. n. 81/2008.
Su ogni verbale di verifica e su ogni scheda tecnica identificativa deve essere presente l'intestazione dell'ente o del soggetto abilitato che ha effettuato la verifica periodica (attraverso il logo, il timbro o un altro riferimento equivalente); non è richiesta la contemporanea presenza del logo del soggetto titolare della funzione e del soggetto abilitato.

2. COMUNICAZIONE DI AFFIDAMENTO DIRETTO DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO DELLA VERIFICA PERIODICA AL SOGGETTO ABILITATO
Sulla base di quanto previsto all'articolo 3, comma 2, lettera a), del D.M. I 1.04.2011, il datore di lavoro che trascorsi i sessanta giorni o i trenta giorni dalla richiesta (in relazione alla "data di richiesta" si rinvia al punto 1, della Circolare n. 11/2012 di questo Ministero), rispettivamente nel caso di prima verifica periodica o di verifica periodica successiva alla prima, decida di affidare la verifica periodica ad un soggetto abilitato deve comunicare, nel più breve tempo possibile, al soggetto titolare della funzione il nominativo del soggetto abilitato che effettui o abbia effettuato la verifica.

3. REGIME DI PRIMA VERIFICA PERIODICA SU ATTREZZATURE DI CUI AL PUNTO 10.A.3 DELLA CIRCOLARE N. 23/2012 NON MARCATE CE (QUALI AD ESEMPIO LE MACCHINE AGRICOLE RACCOGLI FRUTTA)
Le attrezzature di cui al punto 10.A.3 della Circolare n. 23/2012 non marcate CE, immesse sul mercato antecedentemente al 31.12.1996, secondo quanto chiarito dalla medesima circolare, rimangono soggette al regime di collaudo previsto dal D.M. 04/03/1982. La richiesta di immatricolazione dovrà essere inoltrata all 'INAIL per la gestione della banca dati, mentre il successivo collaudo, trascorsi 40 giorni dalla comunicazione della matricola da parte dell'INAIL, potrà essere effettuato da un tecnico così come previsto all'articolo 4 del succitato decreto.
Al termine del collaudo, come già previsto dalla suddetta circolare, dette attrezzature saranno sottoposte al regime delle verifiche periodiche successive di competenza delle ASL/ARPA.
Le attrezzature di lavoro in argomento, come già previsto dalla suddetta circolare, regolarmente messe in servizio secondo il regime previgente alla disciplina della marcatura CE e già sottoposte a verifiche periodiche devono seguire il regime delle verifiche periodiche successive alla prima.
Infine, le attrezzature di cui al succitato punto 1 0.A.3 marcate CE mai sottoposte a verifiche rientrano nel regime delle verifiche periodiche di cui al D.M. 11.04.2011

...Segue in allegato

D.Lgs. n. 81/2008
...
Titolo III
USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE
Capo I
Uso delle attrezzature di lavoro
...
Art. 71
...
13. Le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati di cui al comma precedente sono stabiliti con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 10051 | 07 Marzo 2019

ID 7926 | | Visite: 2177 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Trascinamento del braccio nel rullo del macchinario

Responsabilità del datore di lavoro. Omissioni nel DVR e tolleranza di un uso improprio del macchinario. Estinzione per prescrizione

Penale Sent. Sez. 4 Num. 10051 Anno 2019

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 12/02/2019

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza emessa in data 15/5/2018, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Pisa con cui P.R., amministratore della ditta "Leonardesca s.r.l" ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, era condannato alla pena di mesi sei di reclusione.
Era contestato all'imputato, datore di lavoro di C.S.V., di avere, per colpa generica e specifica, consistita violazione degli artt. 17, comma 1 lett, a) e 71, comma 1, d.lgs. 81/08 come modificato dal d.lgs. 106/2009, cagionato al lavoratore lesioni personali gravi, consisiste in un trauma contusivo al braccio ed avanbraccio destro. Il dipendente subiva il trascinamento del braccio nel rullo del macchinario presso il quale era addetto intento all'avvolgimento di un telo. I profili di responsabilità ravvisati dai giudici di merito a carico del ricorrente riguardavano la mancata previsione nel documento di valutazione dei rischi delle procedure di accesso e di stazionamento durante le fasi di lavorazioni presso il macchinario; la messa a disposizione dei lavoratori del suddetto macchinario non idoneo ai fini della sicurezza; l'omessa vigilanza; la tolleranza di un uso improprio del macchinario che era stato incentivato dallo stesso P.R. essendo stata inserita nella zona di accesso al macchinario una pulsantiera volta ad azionare i rulli in maniera più rapida per l'operatore.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il P.R., deducendo in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
I) Nullità della sentenza per avere la Corte di merito indicato nella motivazione un luogo diverso di accadimento del fatto ed una ditta diversa da quella di cui il ricorrente è legale rappresentante. La difesa rappresenta che i giudici sono incorsi in errore, affermando che l'infortunio occorso al dipendente era avvenuto in Capezzano Pianore, presso la ditta di cui è titolare l'odierno imputato. In realtà, l'infortunio è avvenuto in Pisa, nello stabilimento della soc. "Leonardesca s.r.l." e la evidente contraddizione in atti sarebbe suscettibile di essere sanzionata con la nullità della sentenza avendo i Giudici descritto un fatto diverso, accaduto in altro luogo.
II) Vizio di motivazione sotto il profilo della manifesta contraddittorietà, carenza ed illogicità delle argomentazioni poste a fondamento della pronuncia di responsabilità. Il ricorrente rileva che la sentenza di appello si limita a richiamare la motivazione espressa dal Giudice di primo grado senza chiarire in modo adeguato le ragioni per le quali sono state disattese le dichiarazioni della persona offesa, la quale ha apertamente sostenuto in dibattimento che l'infortunio è avvenuto a causa di una sua condotta imprudente e negligente. Invero, contravvenendo ad ogni regola di prudenza, il dipendente aveva tentato di correggere l'inserimento della tela nel rullo quando questo era in movimento. Di conseguenza la causa dell'infortunio sarebbe da addebitarsi esclusivamente alla condotta abnorme del lavoratore che aveva disatteso le indicazioni contrarie del datore di lavoro.
Oltre a ciò la Corte di merito avrebbe trascurato di considerare che il macchinario in questione non prevedeva nel libretto di manutenzione ed uso, alcun divieto per gli operai di portarsi nella posizione in cui si trovava il C.S.V. al momento del fatto; che la macchina era stata visionata due anni prima dall'ASL che l’aveva ritenuta totalmente idonea. In risposta a tali doglianze, la Corte di merito introduce l'argomento delta creazione di una nuova postazione di lavoro, circostanza che sarebbe smentita dalla realtà dei fatti in quanto il macchinario era rimasto sempre manovrabile da un unico operaio.
La difesa contesta anche il profilo della omessa vigilanza addebitata al ricorrente in ordine alla quale non sarebbe stata offerta un'adeguata motivazione. La Corte si sarebbe limita a sostenere che l’imputato, non solo non avrebbe vigilato, ma avrebbe incentivato una prassi distorta, attraverso l'uso della pulsantiera che avrebbe consentito di operare in una posizione non prevista. Ciò contrasterebbe con le acquisizioni probatorie che confermano che la pulsantiera fu introdotta per maggiore sicurezza e che la posizione assunta dall'operaio durante la lavorazione non era in alcun modo vietata.
III) Inadeguata motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.

2. L'impugnazione in esame impone le considerazioni che seguono.
Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo decorso il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, da farsi decorrere dalla data di accadimento del fatto avvenuto il 24/2/2011. Tenuto conto dei periodi di sospensione della prescrizione che ammontano complessivamente a 102 giorni, il reato risulta estinto alla data del 4/12/2018. Deve invero rilevarsi che all'udienza del 30/1/2013 la trattazione del processo fu rinviata per legittimo impedimento del difensore, per cui la sospensione dei termini di prescrizione deve essere calcolata nella misura massima di giorni 60 (Sez. U, Sentenza n. 4909 del 18/12/2014, Rv. 262913 - 01); ulteriore rinvio fu disposto su richiesta delle parti all'udienza del 4/12/2014 con sospensione dei termini di prescrizione fino alia data del 15/1/2015 per un totale di giorni 42.
Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta profili d'inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione.
Pertanto, sussistono i presupposti, discendenti dalia intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare la causa di non punibilità a norma dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., maturata successivamente alla sentenza impugnata.
E' appena il caso di rilevare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità (anche se di ordine generale) o di vizi di motivazione, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito che ne deriverebbe, è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28.11.2001, dep. 11.01.2002, Rv. 220511).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in ragione delle risultanze processuali di cui dà atto la Corte d'appello. Come è noto, ai fini della eventuale applicazione della norma ora citata, occorre che la prova della insussistenza del fatto o della estraneità ad esso dell'imputato, risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Sotto questo profilo nella motivazione della sentenza della Corte di appello non sono riscontrabili elementi di giudizio indicativi della prova evidente dell'innocenza dell'imputato.
Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
In Roma, così deciso il 12 febbraio 2019

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 10051 Anno 2019.pdf
 
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Cassazione Civile Sent. Sez. Lav n. 4721 | 09 Maggio 1998

ID 7917 | | Visite: 2438 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. 09 Maggio 1998 n. 4721

Amianto e normativa: art. 2087 c.c.

***

Ritenuto

R.C. (nato l'8 novembre 1944), già dipendente della Cemental S.p.a. (impresa produttrice di manufatti di cemento amianto) dal 1959 al 1970 e, successivamente, per un breve periodo, nel 1985, decedeva il giorno 24 luglio 1987 a causa di mesotelioma peritoneale diagnosticato il 28 dicembre 1986.

Il 23 maggio 1989 l'INAIL comunicava a C.I., moglie del R.C., che, in dipendenza dell'evento mortale, avrebbe provveduto a costituire rendita a favore degli aventi diritto, così riconoscendo la natura processionale della malattia che aveva condotto a morte l'assicurato.

A seguito di rapporto inoltrato alla Procura della Repubblica in sede dal servizio di medicina preventiva e igiene del lavoro della U.S.L. n. 11, venivano avviate indagini per verificare la sussistenza di eventuali responsabilità per omicidio colposo in relazione al decesso del R.C.. Il procedimento si concludeva con decreto di archiviazione pronunciato il 18 settembre 1989.

Con ricorso al Pretore di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro depositato il 29 giugno 1990, C.I., in proprio e quale esercente la potestà sui figli minori Andrea e Claudia, conveniva in giudizio la Cemental S.p.A. chiedendo - previo accertamento della derivazione causale della malattia che aveva cagionato la morte del coniuge dalla esposizione a polveri di amianto durante l'attività prestata alle dipendenze della convenuta, e della omessa adozione, da parte della società datrice di lavoro, delle cautele, imposte dalla normativa antinfortunistica (art. 21 D.P.R. n. 303 del 19 marzo 1956) e dall'art. 2087 c.c., per evitare o ridurre il rischio di esposizione dei lavoratori alla inalazione delle polveri di amianto - la condanna della convenuta stessa al risarcimento dei danni da essi congiunti subiti in conseguenza della morte del rispettivo marito e padre.

La Cemental S.p.A. si costituiva in giudizio negando la propria responsabilità.

Assumeva, da un lato, che non vi era prova sicura di "un preciso rapporto di causa - effetto tra la lavorazione, la malattia e la morte del R.C."; dall'altro, che comunque non sussistevano i profili di colpa addotti da parte attrice a sostegno della domanda, avendo essa convenuta adottato tutte le misure che, secondo le cognizioni tecniche e l'esperienza dell'epoca in cui il R.C. aveva lavorato alle sue dipendenze, apparivano necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore.

Nel corso dell'istruttoria venivano prodotti documenti, esperita consulenza tecnica ed assunte prove testimoniali (queste ultime al fine di ricostruire le mansioni alle quali era adibito il R.C. e le condizioni ambientali del luogo di lavoro).

Il Pretore, con sentenza n. 173 pronunciata il 10 marzo 1993, rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza hanno interposto appello C.I. (anche nella qualità di esercente la potestà parentale su R.C. Claudia) e R.C. Andrea (divenuto maggiorenne), chiedendo l'accoglimento della domanda già proposta in primo grado. Assumevano gli appellanti che erroneamente il pretore aveva tratto la prova della assenza di fibre di amianto in misura non consentita nell'ambiente di lavoro, da quanto risultato in sede di autopsia ed in particolare dalla assenza di asbestosi; che in ogni caso vi è una specie di amianto (lo crocidolite) che non sempre è rinvenibile nell'organismo; che erronee erano state le valutazioni delle prove testimoniali raccolte, ed irrilevanti, ai fini della decisione, sia la collocazione, sia le mansioni del lavoratore deceduto, laddove si era trascurato di valutare che la manipolazione dell'amianto avveniva senza alcuna precauzione e la diffusione della polvere di amianto era incontrollata..... in un unico capannone sprovvisto di divisioni .... privo.... di qualsiasi protezione contro la diffusione delle polveri di amianto; infine non si era tenuto conto che il 1^ ottobre 1976 era risultato accertato il mancato rispetto della concentrazione massima consentita di fibre di amianto nel luogo della lavorazione svolta dalla s.p.a. Cemental.

La Cemental S.r.l. (succeduta alla Cemental S.p.a. a seguito di cessione di ramo di azienda dalla Cemental S.p.a. alla Soinco S.r.l. e assunzione da parte di quest'ultima della ragione sociale Cemental S.r.l.) si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.

Il tribunale, con la sentenza n. 402 dell'8 maggio 1995, rigettava l'appello proposto avverso la sentenza del Pretore di Reggio Emilia.

Ricordava in particolare il tribunale come il pretore avesse ritenuto:

che la collocazione del posto di lavoro del R.C. (a circa 50 m. da dove veniva formato l'impasto di amianto), e le sue mansioni (lavorazione di materiale umido o parzialmente essiccato), non consentivano di ritenere provata.... nè una particolare polverosità dell'ambiente, nè che fossero state omesse le misure atte a ridurle. Affermava la sentenza che la patologia che aveva condotto a morte il R.C. (mesotelioma peritoneale) era un c.d. tumore segnale del contatto del soggetto con l'amianto, che poteva conseguire anche ad esposizione assai modesta del lavoratore a tale sostanza, l'esame autopico e le visite mediche in corso di rapporto di lavoro avevano, per contro, escluso che il R.C. fosse affetto da asbestosi polmonare, malattia..... manifestantesi con maggiore gravità e frequenza quanto più sia elevata l'entità della esposizione espressa come concentrazione media ambientale o come dose cumulativa ritenuta nel polmone. Anche il tipo di malattia, dunque, non era significativa di una consistente esposizione all'agente patogeno. Inoltre che non risultavano contestate alla Cemental s.p.a. violazioni dell'art. 21 del D.P.R. n. 303 del 19 marzo 1956 o superamenti, se non episodici, delle concentrazioni di amianto nell'aria, prescritti dall'autorità sanitaria, in progressivo recepimento delle acquisizioni scientifiche.

Il tribunale, in particolare, riteneva che occorreva accertare quali fossero le cautele necessarie che erano state, eventualmente, omesse e se la loro mancanza aveva cagionato l'evento; ricordava che, con riguardo alla dispersione di polveri di amianto nel luogo di lavoro, vi era stata una evoluzione in senso progressivamente restrittivo della disciplina, essendosi passati dal livello di concentrazione di 12 per centimetro cubo nel 1970 (epoca della cessazione del rapporto di lavoro del R.C. presso la s.p.a.

Cemental, per quanto rilevante ai fini della genesi della malattia), alla abolizione sancita dalla legge 27 marzo 1992 n. 257; ma ciò consentiva, secondo la motivazione del tribunale, di affermare che i dispositivi di aspirazione delle polveri e dei vapori nelle immediate adiacenze del luogo di lavoro, a prescindere da ogni considerazione sulla loro doverosità in relazione alle cognizioni tecniche ed all'esperienza allora acquisita in ordine alla nocività delle fibre di amianto, non sarebbero state in grado, secondo ragionevole previsione, di impedire l'evento, essendo l'unico mezzo... di prevenire il pericolo della insorgenza del mesotelioma.... quello di cessare l'impiego di tale elemento patogeno. Da ciò discendeva la mancanza di prova in ordine al nesso causale tra condotta omissiva ed evento. Irrilevante si palesava, inoltre, l'accertamento compiuto nel 1976, dal quale risultava una concentrazione di 5,02 fibre, laddove ne era consentita una massima pari a 12 fibre per centimetro cubo.

Irrilevanti del pari le testimonianze in ordine alla assenza di cautele ed alla polverosità nel luogo di lavoro, contrastando queste con i soli elementi di carattere obbiettivo (contrazione da parte del R.C. di tumore - segnale con esclusione di patologie dose - dipendenti; mancata contestazione alla Cemental s.p.a., nel corso degli anni, di violazioni dell'art. 21 del D.P.R. n. 303 del 1956 o di superamenti delle concentrazioni di amianto nell'aria prescritte dall'autorità sanitaria; modificazione progressiva degli impianti e delle strutture secondo le richieste e prescrizioni delle autorità sanitarie) che è stato possibile acquisire e che sono stati puntualmente evidenziati dal giudice a quo.

Contro questa sentenza hanno proposto ricorso Capitani Irena, R.C. Andrea e R.C. Claudia, nella qualità; resiste con controricorso la società che ha presentato memoria. 

Considerato

Con l'unico motivo di ricorso, i ricorrenti si dolgono per la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ. e per insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), per aver affermato la impugnata sentenza che le misure preventive adottate dalla datrice di lavoro del loro dante causa erano risultate sufficienti, essendo accertata una concentrazione di fibre di amianto, nell'ambiente di lavoro, inferiore al massimo consentito; in tal modo non aveva tenuto conto che in alcune fasi della lavorazione - come riferito da testi specificamente indicati -, ed in particolare durante lo stivaggio ed il prelievo, le fibre di amianto erano certamente in numero di gran lunga superiore al limite massimo allora ritenuto tollerabile; incombeva, in ogni caso al datore di lavoro dare la dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare il determinarsi del danno alla salute del lavoratore, ed in particolare di avere mantenuto l'ambiente di lavoro in condizioni di non pericolosità, adeguando con mezzi tecnici che la scienza già allora imponeva, quali aspiratori, maschere, ecc. ed imponendo metodi di lavorazione non pericolosi, quali l'uso di attrezzature idonee ad evitare l'inquinamento ambientale durante la manipolazione dell'amianto; il tribunale aveva omesso di considerare che, secondo quanto accertato dallo stesso tribunale, nel periodo dal 1970 al 1978, cioè immediatamente dopo la cessazione del rapporto di lavoro - ripreso per un breve periodo nel 1985 -, il precedente limite di 12 fibre per c.c. era stato ridotto a 2 fibre per centimetro cubo.

Il ricorso è fondato.

È noto che, vigente l'art. 4 del R.D. n. 1765 del 1935, a seguito della approvazione del nuovo codice civile, si era posto il problema se l'art. 2087 del cod. civ. avesse comportato l'abrogazione della esenzione prevista da quella norma per il datore di lavoro.

Sia la dottrina che la giurisprudenza (Cass. 16 maggio 1968 n. 1541, 21 giugno 1969 n. 2236) pervennero, non senza contrasti, alla conclusione che l'art. 2087 non avesse abrogato la precedente disciplina, e ciò in quanto non si trattava di una disposizione innovatrice dell'intera materia, in quanto essa non pone obblighi qualitativamente diversi dai precedenti, ed ha la stessa estensione.

È stato ritenuto che si tratta in effetti di norme che operano su piani diversi così che tra le medesime non si profila un rapporto di incompatibilità, bensì di integrazione, nel senso cioè che la violazione degli obblighi di sicurezza enunciati sinteticamente dall'art. 2087 cod. civ., può costituire, ai sensi dell'art. 43 cod. pen., elemento di colpa per violazione di leggi, suscettibile di dare vita a responsabilità civile. In questo senso l'art. 2087 può intendersi come clausola generale integrativa dell'art. 43, ult. parte, cod. pen..

È questa la ragione perché ripetutamente questa Suprema Corte ha ribadito che la normativa speciale di prevenzione non esaurisce l'obbligo di prevenzione e di profilassi del datore di lavoro rispetto ai prestatori di opera.

Si deve premettere, come questo Supremo Collegio ha ripetutamente affermato (Cass. 29 gennaio 1970 n. 199, 13 luglio 1971 n. 2287, 12 gennaio 1973 n. 104, 11 ottobre 1979 n. 5315, 16 aprile 1986 n. 2692, 23 giugno 1986 n. 4171, 7 marzo 1987 n. 2417, 7 aprile 1988 n. 2737, 6 settembre 1988 n. 5048, 29 maggio 1990 n. 5002, 26 gennaio 1993 n. 937, 8 febbraio 1993 n. 1523, 5 aprile 1993 n. 4085, 17 novembre 1993 n. 11351, 1 febbraio 1995 n. 1168, 23 febbraio 1995 n. 2035, 29 marzo 1995 n. 3738, 6 settembre 1995 n. 9401), che l'art. 2087 del cod. civ., il quale sancisce come dovere fondamentale dell'imprenditore quello di provvedere alla tutela della integrità fisica del prestatore d'opera, ha un valore sussidiario rispetto alla normativa speciale dettata per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in quanto presuppone che risultino insufficienti o inadeguate le misure all'uopo previste dalla detta normativa speciale.

Questo Supremo Collegio ha già affermato (Cass. n. 12661 del 1 dicembre 1995) che incombe sul lavoratore, che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro nonché il nesso di causalità fra l'una e l'altro; solo ove tale prova venga fornita sorge la responsabilità del datore di lavoro in relazione al suddetto danno, ed il conseguente onere di provare l'avvenuta adozione di tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno alla salute dei propri dipendenti. D'altra parte (Cass. 13 luglio 1971 n. 2287, 9 dicembre 1971 n. 3559, 12 gennaio 1973 n. 104, 19 maggio 1977 n. 2053, 2 maggio 1981 n. 2654, 11 agosto 1983 n. 5351, 2 dicembre 1983 n. 7224, 6 settembre 1988 n. 5048, 6 settembre 1991 n. 9422, 26 gennaio 1993 n. 937, 5 aprile 1993 n. 4085, 19 agosto 1996 n. 7636, 12 dicembre 1997 n. 12604), nonostante la natura prevalentemente contrattuale dell'obbligazione nascente dall'art. 2087 cod. civ., quest'ultimo si atteggia, in realtà, come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, nel senso che, anche dove faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva, e, anzi, presupponendo che risultino insufficienti o inadeguate le misure previste dalla normativa speciale, la disposizione suddetta impone al datore di lavoro di adottare comunque le misure generiche di prudenza, diligenza e la osservanza delle norme tecniche e di esperienza. È in sostanza una norma aperta, volta a supplire alle lacune di una disciplina speciale che non può prevedere ogni fattore di rischio. Una norma, tra l'altro, che tiene conto del fatto che la violazione di norme di prevenzione speciale resta sovente impunita per le gravi carenze strutturali ed organizzative degli organismi preposti ai controlli ed alla vigilanza.

Deve invece escludersi che l'art. 2087 cod. civ. sia riconducibile ad una forma di responsabilità oggettiva (Cass. 26 ottobre 1995 n. 11120, 22 aprile 1997 n. 3455, 10 maggio 1997 n. 4097, 3 settembre 1997 n. 8422, 21 ottobre 1997 n. 10361); il principio "nessuna imputazione di illecito se non a titolo di colpa" ha sicuramente avuto ingresso nel nostro ordinamento giuridico e ad esso deve costantemente riferirsi l'interprete in questa materia. Deve negarsi la responsabilità ogni volta che la prestazione non era eseguibile, la diligenza richiesta non era esigibile (concetto assimilabile alla impossibilità, sia pure entro i limiti del non dovuto e del non dedotto in obbligazione). Non può pretendersi l'adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche assolutamente impensabili ed eccezionali alla comune esperienza; occorre riferirsi a quei presidi che la tecnica pone normalmente a disposizione, non a congegni e dispositivi tecnici mai da alcuno applicati o addirittura inesistenti sul mercato. Neppure può pretendersi che il datore di lavoro ricerchi a proprie spese nuove misure di prevenzione o compia sperimentazioni, ma che applichi le misure conosciute e necessarie secondo la comune esperienza e tenendo conto delle cognizioni tecniche acquisite dalla scienza.

Versandosi in tema di responsabilità contrattuale, questa è delimitata da due norme fondamentali: l'art. 1218 cod. civ. che esclude per il debitore il ristoro del danno se dovuto a causa a lui non imputabile, e l'art. 1176 cod. civ. che impone nell'adempimento la diligenza del buon padre di famiglia, e, inoltre che nell'esercizio di una attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata. È proprio la inosservanza delle cautele doverose che integra la colpa contrattuale e l'inadempimento, poiché, secondo la legge del contratto, che, in materia di prevenzione e di sicurezza, per il rapporto di lavoro è l'art. 2087 cod. civ., l'evento (dannoso) era evitabile con l'adozione delle cautele e degli accorgimenti tecnici da ritenere connaturali al tipo di attività esercitata e commisurati alla entità del rischio, e, del resto, previsti dalla disciplina generale della sicurezza nei luoghi di lavoro. Il lavoratore (il quale, beninteso ha anche il dovere di rispettare tutte le norme di sicurezza, speciali e generali, che sono di interesse pubblico: Cass. 22 dicembre 1987 n. 9535), rispetto alla loro osservanza è creditore, perché il datore di lavoro è contrattualmente obbligato (Cass. 23 marzo 1991 n. 3115), e la loro mancata attuazione rende il datore di lavoro inadempiente, e, in quanto tale, contrattualmente (oltre che extracontrattualmente) responsabile (Cass. 8 aprile 1995 n. 4078, 17 luglio 1995 n. 7768).

Non può essere trascurato che l'art. 2087 cod. civ., lungi dall'essere una norma eccezionale, rientra in una categoria di norme che potrebbe ben essere identificata con l'espressione, adottata dalla dottrina, di norme che impongono obblighi di protezione; ne sono esempi, come noto, gli artt. 1681, 2050 - almeno per coloro che escludono trattarsi di un caso di responsabilità oggettiva - ("se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno"), 1785 bis del cod. civ. e 409, 412, 942 ("a meno che provi che egli e i suoi dipendenti e preposti hanno preso tutte le misure necessarie e possibili, secondo la normale diligenza, per evitare il danno") del cod. nav., un criterio analogamente rigoroso, con il limite della forza maggiore e el caso fortuito, è posto dagli artt. 1693, 1785 n. 2, 1787 e 1839 cod. civ.. - In questi casi, il limite della responsabilità per rischio di impresa, identificato nella causa estranea ai rischi che l'imprenditore può prevedere, è a sua volta integrato dal criterio della sussistenza della colpa: posto che l'imprenditore ha calcolato un certo tipo di rischi, si deve infatti verificare se in concreto, usando della ordinaria diligenza (art. 1176 cod. civ., e, nei confronti di prestatore di opera, art. 2087 cod. civ.) quella causa identificata come estranea, fosse egualmente evitabile (per una fattispecie nella quale questo iter argomentativo è stato percorso, cfr. Cass. 29 maggio 1990 n. 5002); è quello che in dottrina viene considerato come un limite al c.d. criterio soggettivo della colpa, e che viene identificato come l'emersione di un modello oggettivo di imputazione nel campo della responsabilità d'impresa, da tenere distinta dalla responsabilità oggettiva.

È appena il caso di sottolineare, tuttavia, come in relazione alla obbligazione di protezione, della quale, nell'ambito del rischio di impresa, il lavoratore è creditore ai sensi del richiamato art. 2087 cod. civ., non è certo ipotizzabile una tutela inferiore ai casi esaminati, nei quali nè la persona del creditore, nè l'oggetto della prestazione, sono destinatari di una tutela privilegiata (art. 35 della Costituzione): principio questo, al quale l'interprete deve necessariamente richiamarsi.

Si deve a questo riguardo ricordare come la dottrina più avvertita, da tempo, abbia colto come, nell'attuale contesto normativo, la stessa tutela previdenziale non è più fondata sul principio del rischio professionale, secondo la logica privatistica dell'assicurazione obbligatoria, ma è espressione della solidarietà dell'intera collettività, e, per quanto qui interessa, che il dovere di sicurezza è del tutto svincolato dall'obbligo delle assicurazioni sociali.

Nel caso in esame, a ben vedere, ne può affermarsi che il rischio da contatto con l'amianto fosse una causa estranea all'attività imprenditoriale - inerendo ad essa -, nè può escludersi la necessità di accertare in concreto la effettiva adozione, o no, delle misure di prevenzione e profilattiche suggerite dalla tecnica e dall'esperienza.

D'altra parte è evidente che l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale, opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano causalmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo come fonte della suddetta responsabilità, la norma dell'art. 2087 cod. civ., la quale impone un obbligo dell'imprenditore di adottare, indipendentemente dalle disposizioni antinfortunistiche predisposte dalla legge in via generale o in relazione a determinate attività lavorative, tutte le cautele necessarie, secondo l'esperienza e la tecnica, a tutelare la integrità fisica dei dipendenti, anche quando questi siano stati regolarmente assicurati (su richiamata Cass. n. 7224 del 1983).

Non è revocabile in dubbio che, contrariamente a quanto sembra ritenere la impugnata sentenza, da tempo era nota la pericolosità della lavorazione dell'amianto, e, in ogni caso, da epoca ben anteriore al 1970. A tal fine basti ricordare come già il R.D. 14 giugno 1909 n. 442 (epoca nella quale le nozioni scientifiche, ed anche le esperienze in campo industriale, erano certo assai inferiori a quelle che si avevano nel 1970), che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'art. 29 tabella B n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo; norma sostanzialmente identica seguiva nel regolamento per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con decreto luogotenenziale 6 agosto 1916 n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13.

Ancora il R.d. 7 agosto 1936 n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui è consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell'amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura.

Lo stesso R.D. 14 aprile 1927 n. 530, tra gli altri agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche (ridurle per quanto possibile).

In epoca più recente, oltre alla legge delega 12 febbraio 1955 n. 52, che, all'art. 1, lettera F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 - di seguito esaminato - ed alle visite particolarmente accurate previste dal D.P.R. 20 marzo 1956 n. 648, si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960 n. 1169 che all'art. 1 prevede, specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio.

Si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dall'art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965, per le lavorazioni di cui all'allegato n. 8, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi (Cass. 20 agosto 1991 n. 8970).

Tutto ciò, senza considerare che la imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.

Da quanto esposto discende che normativamente, all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti, era ben nota la intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto impiegato nelle lavorazioni, tanto che le stesse erano circondate legislativamente di particolari cautele, anche indipendentemente dalla concentrazione di fibre per centimetro cubo.

È appunto rispetto a tale rischio intrinseco a tale tipo di lavorazione che si imponeva il concreto accertamento della adozione di misure idonee a ridurre il rischio, in ottemperanza alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 cod. civ., e tra queste, proprio quelle delle quali i ricorrenti lamentavano la insufficienza; segnatamente quella di cui all'art. 21 del D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303, il quale, come la stessa impugnata sentenza ricorda, stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro" soggiungendo che "le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione", cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri.

Nè si tratta di una prescrizione isolata, sol che si consideri che nello stesso D.P.R. n. 303 vi sono numerose norme che richiamano il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che prevede, persino fuori dell'orario di lavoro, si debba ridurre al minimo il sollevamento della polvere nell'ambiente, e, proprio al tal fine, l'impiego di aspiratori; l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive; l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri; l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori; l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione.

Orbene è evidente il difetto di motivazione che discende dal confronto tra la doglianza e l'accertamento compiuto dalla impugnata sentenza:

i ricorrenti si dolgono della mancanza di qualsiasi misura di prevenzione, di profilassi e di sicurezza e lamentano "l'uso di sistemi di lavorazione pressappochisti";

la sentenza impugnata afferma che non erano dovute altre misure di tutela, posto che: a) la concentrazione di fibre di amianto era inferiore a quella massima consentita; b) il solo modo per impedire l'evento era costituito non dalla adozione di misure di profilassi del luogo di lavoro, ma dalla eliminazione della lavorazione dell'amianto, così come successivamente accertato e legislativamente stabilito.

Ma in tal modo la motivazione ha del tutto trascurato di prendere in considerazione:

a) che in un ambiente di lavoro nel quale si sollevino delle polveri (e ciò, in particolare, secondo quanto assunto dai ricorrenti, al momento di scaricare l'amianto, il che avveniva senza particolari cautele), la legge già esistente all'epoca imponeva di impedire che ciò avvenisse, e, inoltre, imponeva altresì, come si è visto, di tener conto della natura delle polveri, cioè, - per le ragioni esposte, desumibili dalla normativa esistente - della particolare pericolosità dell'amianto;

b) che, secondo intuitiva evidenza, non ogni addetto alla lavorazione dell'amianto incorreva in malattia mortale (che, altrimenti, assai più celermente si sarebbe pervenuti al divieto assoluto), ma a seconda delle condizioni soggettive ed ambientali, che, pertanto richiedevano un accurato accertamento in relazione alle specifiche notazioni desumibili dalle riferite dichiarazioni testimoniali, le quali, invece sono state ritenute irrilevanti "proprio alla luce dei soli elementi di carattere obbiettivo".

Quanto alla natura di tali elementi di carattere "obbiettivo" si deve ricordare che, secondo la impugnata sentenza, essi sarebbero:

a) il fatto che il dante causa dei ricorrenti si fosse ammalato di mesotelioma e non di asbestosi, e ciò perché solo quest'ultima malattia sarebbe stata la prova di una alta concentrazione di fibre di amianto, e, a contrario, perché l'essersi ammalato di mesotelioma avrebbe costituito la prova di una bassa concentrazione di fibre di amianto;

b) la distanza del luogo di lavoro da quello ove si trovava l'amianto;

c) la mancata contestazione alla società di violazioni dell'art. 21 del richiamato D.P.R. n. 303 del 1956;

d) la progressiva modificazione degli impianti secondo le prescrizioni dell'autorità sanitaria.

Sussistono le carenze di motivazione lamentate dai ricorrenti in ordine a tutte queste affermazioni, ed è palese la illogicità della affermazione che le stesse avrebbero carattere oggettivo.

È, infatti, innanzi tutto evidente, in via generale, come non vi sia un dato più relativo e maggiormente soggettivo, della efficacia causale su un organismo umano di un fattore tossico: pur essendo incontrovertibile la pericolosità della polvere di amianto, la sua incidenza sui diversi apparati individuali non è riducibile ad una costante. E ciò è particolarmente vero per l'amianto, proprio come fattore patogeno del mesotelioma; aspetto questo molto superficialmente esaminato dalla impugnata sentenza.

La distanza del luogo di svolgimento del lavoro è un elemento di valutazione di per sè ambiguo, ove un posto in correlazione con le caratteristiche dell'ambiente (chiuso o aperto, aerato o no, munito di aspiratori o no, polveroso o no: Cass. 8 marzo 1991 n. 2441).

Quanto alla mancata contestazione delle violazioni, questa non equivale, e non ne ha certo il carattere oggettivo, ad accertata assenza di violazioni, specialmente allorché, come nel caso in esame, esisteva un materiale probatorio, in senso contrario, del quale è stata omessa la valutazione (Cass. 20 agosto 1991 n. 8970).

Infine, per quanto concerne l'adeguamento tecnologico della datrice di lavoro ai livelli massimi consentiti dalla normativa specialistica antinfortunistica, a parte la genericità della argomentazione che non si addentra nella identificazione delle misure adottate, tale argomento ricade in quello già esaminato, e confutato, del carattere esaustivo di tale disciplina specialistica, laddove, come si è visto, occorre altresì tener conto dei criteri generali dettati dall'art. 2087 cod. civ., e di tutte le norme generiche di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro e per le lavorazioni insalubri.

La impugnata sentenza, pertanto, è incorsa nel difetto di motivazione e nella illogicità censurata dai ricorrenti; ne conseguono l'accoglimento del ricorso, la cassazione della impugnata sentenza ed il rinvio per nuovo esame del gravame al tribunale di Modena, che provvederà anche sulle spese del procedimento di cassazione, dando applicazione al seguente principio di diritto:

le norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie sul lavoro costituiscono un'applicazione specifica del più ampio principio contenuto nell'art. 2087 cod. civ., rispetto al quale la mancata violazione di quelle norme non è di per sè sufficiente ad escludere la responsabilità dell'imprenditore; l'art. 2087 cod. civ., si atteggia anche come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, nel senso che, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, la disposizione suddetta impone al datore di lavoro di adottare comunque le misure generiche di prudenza, diligenza e la osservanza delle norme tecniche e di esperienza; l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale, opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano causalmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo come fonte della suddetta responsabilità, la norma dell'art. 2087 cod. civ., la quale impone all'imprenditore l'obbligo di adottare, indipendentemente dalle disposizioni antinfortunistiche, predisposte dalla legge in via generale o in relazione a determinate attività lavorative, tutte le cautele necessarie, secondo l'esperienza e la tecnica, a tutelare la integrità fisica dei dipendenti, anche quando questi siano stati regolarmente assicurati; incorre in insufficiente motivazione ed in error in procedendo il giudice di merito che, nell'esaminare una domanda di risarcimento dei danni ex art. 2087 cod. civ. da parte degli eredi di un lavoratore addetto ad una lavorazione con l'amianto, deceduto per mesotelioma, ometta di esaminare le testimonianze raccolte sulla assenza di cautele nella lavorazione, soltanto in virtù della circostanza che il detto lavoratore non si era ammalato di asbestosi, della circostanza che la datrice di lavoro non risultava aver avuto contestazioni per violazioni dell'art. 21 del D.P.R. n. 303 del 19 marzo 1956 e della circostanza che non era risultata accertata, in sede di consulenza tecnica, una concentrazione di fibre di amianto, nell'atmosfera del luogo di lavoro, superiore a quella massima consentita dalle norme all'epoca vigenti.



P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la impugnata sentenza e rinvia al tribunale di Modena per nuovo esame del gravame e per provvedere in ordine alle spese del procedimento di cassazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione il 2 marzo 1998.

INAIL | Dossier donne 2019

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Dossier donna 2019

Dossier donne 2019

Nel Global Gender Gap Report 2018, il rapporto del World Economic Forum che ogni anno misura il divario di genere a livello mondiale, l’Italia si colloca al 70esimo posto su un totale di 149 Paesi, recuperando parzialmente il passo indietro del 2017, quando era scivolata dalla 50esima all’82esima posizione

Tra i 20 Paesi dell’Europa occidentale, però, l’Italia è 17esima e precede soltanto la Grecia, Malta e Cipro. Concentrando l’analisi sui singoli campi presi in considerazione dal report del World Economic Forum, si rilevano situazioni molto differenti:se da un lato, infatti, gli indicatori della “salute” e della “partecipazione economica e opportunità lavorativa” situano il nostro Paese rispettivamente in 116esima e in 118esima posizione, dall’altro quello della “rappresentanza politica” fa da traino, collocando l’Italia in 38esima posizione.

Tra i fattori che hanno determinato il passo avanti registrato nel 2018, il Global Gender Gap Report indica infatti l’incremento della quota femminile tra i parlamentari, insieme a una riduzione delle disparità di genere sul fronte dei salari. Particolarmente significativo è il dato rilevato nel settore dell’intelligenza artificiale,che il World Economic Forum indica come elemento cruciale di innovazione nell’ambito della trasformazione determinata dalla cosiddetta quarta rivoluzione industriale. Con il 28% di donne sul totale dei professionisti del settore, infatti, l’Italia è, insieme a Singapore e al Sudafrica, il Paese in cui il gap di genere è più ridotto.

Fonte: INAIL

Nota MLPS n. del 04.03.2019

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Aggiornamento delle tariffe

Nota MLPS n. 4393 del 04.03.2019

Aggiornamento delle tariffe per l’attività di verifica periodica delle attrezzature di lavoro

Si informa che le tariffe adottate con decreto interdirettoriale del 23 novembre 2012, per le attività di verifica periodica delle attrezzature di lavoro di cui all’allegato VII al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, sono aggiornate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del medesimo decreto, sulla base dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati rilevati al mese di novembre 2018, pari a + 1,024%.

Le tariffe aggiornate sono riportate nelle tabelle allegate.

TABELLA N. 1 ADEGUAMENTO ALL’INDICE ISTAT

TARIFFE(0) PER LE VERIFICHE PERIODICHE DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO DI CUI ALL’ALLEGATO VII DEL DECRETO LEGISLATIVO n.81/2008

Tabella n. 1A

Attrezzature di lavoro del gruppo SP - Sollevamento persone

Prima verifica periodica

Verifica periodica successiva alla prima

Piattaforme di lavoro autosollevanti su colonna

€ 342,69

€ 254,95

Ascensori e montacarichi da cantiere

€ 342,69

€ 254,95

Carri raccogli frutta

€ 265,27

€ 156,90

Scale aeree ad inclinazione variabile manuali

€ 316,88

€ 221,92

Scale aeree ad inclinazione variabile motorizzate

€ 342,69

€ 254,95

Ponti mobili sviluppabili a sviluppo verticale ad azionamento manuale

€ 316,88

€ 221,92

Ponti mobili sviluppabili ad azionamento motorizzato

€ 342,69

€ 254,95

Ponti sospesi manuali o motorizzati,compresi i relativi argani(1)

€ 316,88

€ 221,92

 (1) la tariffa si riferisce ai ponti sospesi sia manuali che motorizzati, sia di tipo leggero che di tipo pesante. Gli argani se compresi nel ponte sono parte integrante dello stesso, non hanno una matricola propria e rientrano nella stessa prestazione.

[...] segue in allegato

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Linee guida in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

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Linee guida in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

Linee guida per l’attività di vigilanza in materia di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”

1 marzo 2019

Circolare INL n. 5/2019

L'Ispettorato Nazionale del Lavoro pubblica la Circolare n. 5/2019 che fornisce indicazioni al personale ispettivo per l'attivazione e lo svolgimento di iniziative di vigilanza di contrasto al caporalato.

La Circolare, in particolare, si sofferma sugli elementi costituitivi della fattispecie di reato di cui all'art. 603 bis c.p. e sulle modalità di svolgimento dell'attività investigativa che garantisca una corretta acquisizione dei relativi elementi di prova.

...

Oggetto: art. 603 bis c.p. intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro – attività di vigilanza – Linee guida.

Dopo un congruo periodo di vigenza del nuovo art. 603 bis c.p. si è resa opportuna l’emanazione delle presenti Linee guida per l’attività di vigilanza in materia di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.

Si premette che le Linee guida vogliono rappresentare un mero contributo alle attività di indagine svolte dal personale ispettivo che, in ogni caso, dovrà tenere preliminarmente conto delle eventuali diverse indicazioni fornite dalle competenti Procure della Repubblica,sia sugli elementi utili alla configurazione del reato, sia sulle metodologie per l’acquisizione dei relativi elementi di prova.

Trattasi infatti di attività di polizia giudiziaria che, fatta salva una prima fase di indagine, va svolta in stretto coordinamento con le competenti Procure e i Carabinieri del Comando per la tutela del lavoro.

Si ricorda anzitutto che la riformulazione del citato art. 603 bis c.p. da parte della L. n. 199/2016 ha previsto, fra l’altro, due distinte figure di incriminazione:

- quella della intermediazione illecita, che persegue chiunque “recluta” manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizione di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
- quella dello sfruttamento lavorativo, con cui si punisce penalmente chiunque utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante la citata attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Con la L. n. 199/2016 vengono anche introdotte misure di carattere patrimoniale, dettate evidentemente dalla consapevolezza che i reati in questione producono vantaggi economici.

Sebbene nel sentire comune il reato in questione è spesso associato alle attività svolte in agricoltura, tuttavia, lo stesso è riscontrabile anche in ambiti diversi. Sono anzi sempre più frequenti comportamenti riconducibili alla fattispecie di reato di cui all’art. 603 bis c.p. nell’ambito di attività di servizi esercitate da talune imprese che realizzano forme di intermediazione illecita lucrando su un abbattimento abnorme dei costi del lavoro a danno dei lavoratori o degli Istituti previdenziali.

Non è altresì escluso che ipotesi di sfruttamento possano essere realizzate nell’ambito di una “associazione per delinquere” (art. 416 c.p.) o, addirittura, nell’ambito di “associazioni di tipo mafioso anche straniere” (art. 416 bis).

Elementi della fattispecie

Elementi costitutivi di entrambe le fattispecie di illecito sono dunque quello dello sfruttamento lavorativo – individuabile anche attraverso l’ausilio di alcuni indici di cui si dirà successivamente – e quello dell’approfittamento dello stato di bisogno.

Approfittamento dello stato di bisogno

Quanto all’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori è possibile anzitutto richiamare la giurisprudenza che ha approfondito la nozione, pur relativamente ad altre fattispecie di reato. In particolare tale elemento rappresenta una delle circostanze aggravanti del reato di usura (art. 644 c.p.) che si realizza quando la condotta illecita è posta in essere “in danno di chi si trova in stato di bisogno”.

Preliminarmente, per quanto riguarda “l’approfittamento”, lo stesso può ritenersi riconducibile alla strumentalizzazione a proprio favore della situazione di debolezza della vittima del reato, per la quale è sufficiente una consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali (v. Cass. civ., sent. n. 1651/2015).

Per quanto concerne lo “stato di bisogno” si ritiene di poter aderire anzitutto a quell’orientamento giurisprudenziale che ha chiarito come “lo «stato di bisogno» della persona offesa (…) non può essere ricondotto ad una situazione di insoddisfazione e di frustrazione derivante dall'impossibilità o difficoltà economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente, ma deve essere riconosciuto soltanto quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza di mezzi idonei a sopperire ad esigenze definibili come primarie, cioè relative a beni comunemente considerati come essenziali per chiunque” (Cass. pen., sent. n. 4627/2000).

Tale elemento del reato è stato altresì ricondotto ad “una condizione psicologica in cui la persona si trova e per la quale non ha piena libertà di scelta” (Cass. pen., sent. n. 2085/1993) e “non si identifica nel bisogno di lavorare, ma presuppone uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che pur non annientando in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale della persona” (Cass. pen., sent. n. 10795/2016).

Come successivamente chiarito, anche su tale elemento – in quanto imprescindibile ai fini della applicazione dell’art. 603 bis c.p. – dovrà soffermarsi l’attenzione del personale ispettivo, che pertanto dovrà fornire i relativi elementi di prova. L’attività investigativa sarà comunque tanto più semplice da realizzarsi quanto più è evidente lo stato di “debolezza sociale” dei lavoratori, ciò che avviene non di rado in relazione all’impiego di personale straniero spesso extracomunitario.

[...] Segue in allegato

 Fonte: INL

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 8088 | 25 Febbraio 2019

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Sentenze cassazione penale

Amputazione di una mano durante il taglio della legna con una sega a nastro su ruote

Mancata formazione e nessun comportamento abnorme della vittima

Penale Sent. Sez. 4 Num. 8088 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 08/11/2018

Ritenuto in fatto

1. Il 12/12/2016, la Corte di appello di Ancona ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha condannato G.P. alla pena (sospesa) di mesi tre di reclusione.
2. Questi è chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. perché, in qualità di datore di lavoro dell'omonima ditta individuale, per colpa generica ed inosservanza dell'art. 37 d. lgs. n. 81/2008, cagionava un infortunio sul lavoro a seguito del quale R.S. subiva l'amputazione della mano destra. Il R.S., collaborava al taglio della legna con G.E. (dipendente del padre del l'imputato) che utilizzava la sega a nastro su ruote, dotata anche di uno spaccalegna orizzontale. Nel corso delle operazioni, mentre il R.S. era intento a rimuovere un pezzo di legno rimasto incastrato nel cuneo fisso dello spaccalegna, G.E., che non poteva vederlo, avviava il punzone spingi pezzo che, a fine corsa, amputava la mano destra del primo.
Al G.P. si imputa di non aver adeguatamente informato i dipendenti sull'uso della sega a nastro su ruote che doveva avvenire esclusivamente da parte del solo operatore essendo la macchina munita di dispositivi tali da impedire la messa in movimento quando l'operatore è in terra. Con l'aggravante di aver cagionato l'indebolimento permanente di un organo. In Arcevia, il 23/08/2011.
2. Avverso la prefata sentenza di appello, ricorre G.P. articolando tre motivi tutti deducenti vizio di motivazione. Con il primo, lamenta il travisamento della prova sotto il profilo dell'omissione della valutazione della prova decisiva costituita dalla testimonianza del citato G.E. il quale, riferendo che, il giorno dell'infortunio, era stato lui a mettere in funzione la sega, in assenza dell'imputato e senza alcuna indicazione da parte sua, lo aveva di fatto scagionato da qualsivoglia responsabilità.
Con il secondo motivo, si evidenzia la carenza ed illogicità della motivazione laddove afferma che «... lo specifico pericolo era sempre presente durante l'attività lavorativa...». Non è infatti dato sapere da dove il giudice di appello abbia tratto questo convincimento atteso che il testimone G.E., dipendente peraltro di altra ditta, ha più volte ribadito che l'azionamento del macchinario è stata una sua iniziativa, assunta al di fuori di ogni direttiva dell'imputato che mai avrebbe potuto prevedere che il R.S., assunto con mansioni di bracciante agricolo per le quali non era affatto previsto l'utilizzo di macchine, compisse un atto esorbitante dalle mansioni contemplate nel contratto di lavoro.
Con il terzo motivo, infine, il vizio di motivazione viene in rilievo quanto al comportamento eccezionale, abnorme del tutto imprevedibile del lavoratore. Il datore di lavoro non può essere ritenuto colpevole di aver omesso misure cautelari previste per un'attività che il lavoratore non doveva svolgere e che gli era stata espressamente vietata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
2. Costituisce ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, anche alla luce della novella del 2006, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attenga pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico-argomentativo e quindi l'accettabilità razionale (Sez. 3, sent. n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, sent. n. 23528 del 06/06/2006, Bonifazi, Rv. 234155). Il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria" ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 1, sent. n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).
3. Quanto alla prima doglianza, il Collegio osserva che dalla ricostruzione dei fatti, così come operata dai giudici del merito, è emerso con sufficiente chiarezza che la mattina dei fatti G.E. era stato incaricato da V.P., suo datore di lavoro e padre dell'odierno ricorrente, di tagliare la legna per l'imputato il quale aveva provveduto a farlo coadiuvare da R.S. il quale, fino a quel momento, era stato impiegato solo nella sorveglianza del gregge e nel trasporto della legna dal bosco. In particolare, la persona offesa avrebbe dovuto collaborare con altra persona addetta specificamente all'utensile elettrico, porgendo alla stessa la legna da terra, aiutandola a caricare i pezzi più pesanti. Lo stesso imputato aveva dichiarato che inizialmente, quel giorno, detta attività del R.S. era stata intrapresa con lui che ad un certo punto si era dovuto allontanare in auto per una commissione. Egli dunque sapeva che il R.S. lavorava alla legna, anche per avergli, a suo dire, richiesto di formare, in sua assenza, un secondo accatastamento di legna vicino al macchinario.
La Corte di appello reputa non credibile che G.P., prima di allontanarsi, abbia dato disposizioni di non utilizzare la sega: «tale assunto è in contrasto con il fatto che la persona offesa ha svolto la specifica attività che - secondo quanto ammesso dall'imputato - avrebbe dovuto svolgere quel giorno e con il fatto che la sega fosse impugnata da altro operatore (dipendente del padre dell'imputato) che certamente non avrebbe assunto l'iniziativa da solo e che, da solo, non avrebbe potuto svolgere quelle funzioni».
Quanto alla mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della testimonianza del predetto G.E. lamentata dal ricorrente, la doglianza è implicitamente disattesa dall'ordito motivazionale della sentenza di appello la quale, peraltro, evidenzia come già il primo giudice abbia considerato contraddittorie e poco attendibili le dichiarazioni favorevoli all'imputato rese dai testi a discarico.
Come è noto, in giurisprudenza è ammessa la motivazione implicita, nel senso che il giudice di merito, per giustificare la decisione, non deve prendere in esame tutte le tematiche prospettate e le argomentazioni formulate dalle parti ma solo quelle ritenute essenziali per la formazione del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese, alla stregua della struttura argomentativa della sentenza, le prospettazioni di parte non menzionate. In sede di legittimità, pertanto, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione formulata con il gravame allorché la stessa debba considerarsi disattesa sulla base della motivazione della sentenza, complessivamente considerata. Non è dunque necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere il vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca implicitamente alla reiezione della deduzione difensiva. Sicché ove il provvedimento indichi, con adeguatezza e logicità, come avvenuto nel caso in disamina, quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di preterizione (Sez. 2, sent. n. 29434 del 19/05/2004, Candiano e altri, Rv. 229220).
Va inoltre osservato che, conformemente al tema dell'imputazione, l'impugnata sentenza ascrive al G.P. la responsabilità di non aver formato e informato il lavoratore sul funzionamento della sega elettrica e sui rischi a questo connessi. Se, invero, fosse stato informato del grave pericolo che correva nel compiere quella operazione, l'evento non si sarebbe verificato.
4. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente perché entrambi ascrivono la responsabilità dell'accaduto al comportamento abnorme - esorbitante dalle mansioni affidategli - del lavoratore. In conformità ai principi costantemente espressi da questa Corte, la sentenza impugnata richiama l'obbligo per il datore di lavoro di apprestare dispositivi e misure di sicurezza tali da tutelare il lavoratore dagli incidenti derivanti da un suo comportamento imperito, negligente o imprudente.
Va, infatti, correttamente evidenziato che sul tema dell'incidenza causale della condotta imprudente del lavoratore in occasione dell'infortunio di cui lo stesso rimanga vittima, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha raggiunto approdi consolidati che consentono di ritenere nello specifico la condotta dell'infortunato non abnorme né imprevedibile, ma anzi realizzata proprio in quanto non sussistente al momento del fatto una sostanziale ed efficace vigilanza da parte del responsabile della ditta individuale alle cui dipendenze lavorava l'infortunato. Secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (ex multis, Sez. 4., sent. n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa Sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321, secondo cui non esclude la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia riconducibile comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente.
Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori - si è peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile [Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 (dep. il 27/01/2015), Bonelli, Rv. 261946; Sez. 4, sent. n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365].
Peraltro, la prevedibilità della condotta della vittima può desumersi dalla circostanza che questa è stata descritta dai testimoni come una persona debole, con difficoltà di espressione e di relazione, che vieppiù dunque avrebbe dovuto essere istruita sui rischi derivanti dall'attività che andava a svolgere.
La condotta dell'Infortunato, inoltre, non può dirsi abnorme anche perché egli non ha svolto un'attività estranea alle mansioni di cui era stato incaricato: come si è più sopra detto, infatti, l'imputato ebbe a dichiarare che prima di allontanarsi con l'auto operava lui stesso con la sega elettrica coadiuvato dal R.S. che gli avvicinava i pezzi di legna.
Non potendosi, in conseguenza, ritenere abnorme, in quanto non radicalmente, ontologicamente lontana dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro, la condotta dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento (art. 41 comma 2, cod. pen.) e a da determinare l'interruzione del nesso causale.
Con motivazione logica e congrua - e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- la Corte territoriale ribadisce come nel caso in disamina non possa parlarsi di comportamento abnorme del lavoratore.
5. Si tratta, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale esperito dal giudice di merito.
D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., legittima il ricorso per cassazione, implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione nulla ha a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, sent. n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv.202903). La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova legittimità [Sez. U, sent. n. 2110 del 23/11/1995 (dep. il 23/02/1996), Fachini e altri, Rv. 203767].
Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto ragionevole (Sez. U, sent. n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv.205621).
6. In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 8 novembre 2018

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D.M. 1 luglio 2014

ID 7866 | | Visite: 6349 | Prevenzione Incendi

D M  1 luglio 2014

D.M. 1 luglio 2014

Autodemolitori - Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle attività di demolizioni di veicoli e simili, con relativi depositi, di superficie superiore a 3000 m2.

Att. n. 55 del DPR 01/08/2011 n. 151 - Criteri di assoggettabilità

Attività di demolizioni di veicoli e simili con relativi depositi, di superficie superiore a 3.000 m2

 

 

ATTIVITÀ (DPR 151/2011)

CATEGORIA

A

B

C

55

Attività di demolizioni di veicoli e simili con relativi depositi, di superficie superiore a 3.000 m2

 

 

Fino a 5.000 m2

 

Oltre 5.000 m2

Equiparazione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82

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Non presente nell’allegato al DM 16/02/82 in quanto attività di nuova istituzione 1

1 Vedasi, in merito a quali attività potrebbero essere configurarsi in un’attività di “demolizione auto”, prima che essa stessa divenisse soggetta ai controlli di prevenzione incendi, il chiarimento prot. n° P178/4108 sott. 22/24 del 27/03/2001.N.d.R.

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Art. 1 Campo di applicazione

1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano per la progettazione, la costruzione e l’esercizio delle attività di demolizioni di veicoli e simili, con relativi depositi, di superficie superiore a 3000 m2, così come definiti nella regola tecnica di cui all’art. 3.

Art. 2 Obiettivi

1. Ai fini della prevenzione incendi, allo scopo di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia delle persone e alla tutela dei beni contro i rischi di incendio, le attività di cui all’art. 1 del presente decreto, sono realizzate e gestite in modo da:
a) minimizzare le cause di incendio;
b) garantire la stabilità delle strutture portanti al fine di assicurare il soccorso agli occupanti;
c) limitare la produzione e la propagazione di un incendio all’interno dei locali o edifici;
d) limitare la propagazione di un incendio ad edifici, localio2 aree limitrofe;
e) assicurare la possibilità che gli occupanti lascino i locali, gli edifici e le aree indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo;
f) garantire la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza.

Art. 3 Disposizioni tecniche

1. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 2, è approvata la regola tecnica di prevenzione incendi allegata al presente decreto. 

[...segue in allegato]

Fonte: VVF

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VVF 2019 - Testo coordinato
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DM 24 novembre 1984

ID 7857 | | Visite: 15172 | Prevenzione Incendi

Decreto 24 novembre 1984

DM 24 novembre 1984 / Sicurezza antincendio gas naturale d ≤ 0,8

Norme di sicurezza antincendio per il trasporto, la distribuzione, l'accumulo e l'utilizzazione del gas naturale con densità non superiore a 0,8

(G.U. n. 12 del 15 gennaio 1985 S.O.)

Attenzione modificato da:
Decreto 27 novembre 1989
Decreto 16 novembre 1999
Decreto 16 aprile 2008

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Rapporto “Il mercato del lavoro 2018: verso una lettura integrata”

ID 7842 | | Visite: 4439 | News Sicurezza

Mercato lavoro 2018

Rapporto “Il mercato del lavoro 2018: verso una lettura integrata”

Questo secondo Rapporto annuale è frutto della collaborazione sviluppata nell’ambito dell’Accordo quadro tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti sulla struttura e sulla dinamica del mercato del lavoro in Italia e a implementare un Sistema informativo statistico condiviso.

L’obiettivo è valorizzare in termini informativi e analitici la ricchezza delle diverse fonti sull’occupazione – amministrative e statistiche – per rispondere alla crescente domanda di una lettura integrata del mercato del lavoro. La positiva cooperazione interistituzionale sviluppata nell’arco di un triennio ha condotto al raggiungimento di diversi obiettivi e l’Accordo, in scadenza a fine dicembre 2018, è stato prorogato fino a dicembre 2021 per proseguire la collaborazione e completare il percorso avviato. Nel quadro dell’Accordo, da dicembre 2016 viene regolarmente diffuso nei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre un comunicato congiunto “La Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione” il cui calendario di diffusione viene rilasciato anticipatamente ai media.

Inoltre, da gennaio 2018 è previsto il coordinamento fra tutte le istituzioni coinvolte dei calendari di diffusione delle comunicazioni periodiche congiunturali sui temi del lavoro. È in fase di sviluppo il complesso lavoro di analisi per la progressiva condivisione degli archivi e basi dati di Istat, Inps, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inail, e Anpal per la realizzazione del Sistema infor-mativo statistico sul lavoro, collocato all’interno delle infrastrutture informative dell’Istituto nazionale di statistica, e accessibile a tutte le istituzioni e al mondo della ricerca. Per il coordinamento e lo sviluppo di tutte le attività sono stati costitutiti un Comitato d’Indirizzo, composto da due membri per ciascuna istituzione, e un Gruppo di lavoro tecnico coordinato dall’Istat.

Questo Rapporto è frutto del lavoro congiunto di entrambi i gruppi e documenta i risultati delle attività di sperimentazione dell’integrazione delle fonti amministrative e statistiche.

Gli approfondimenti intendono fornire una base empirica e analitica utile allo sviluppo del dibattito pubblico su temi rilevanti inerenti il lavoro. Le analisi proposte, basate sull’utilizzo congiunto dei dati provenienti dalle istituzioni coinvolte, offrono un’interessante chiave di lettura del mercato del lavoro italiano, mostrando come l’integrazione delle informazioni, statistiche e amministrative possa rappresentare un importante strumento per gli utilizzatori e i policy makers.

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Fonte: INAIL

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici

ID 7956 | | Visite: 6477 | Documenti Sicurezza ASL

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici

Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici 

Lo scopo del presente elaborato è quello di fornire: informazioni finalizzate all’uso in sicurezza degli accessori magnetici e indicazioni per eseguire una valutazione del rischio anche sulla scorta di numerosi esempi riportati.

- scopo
- tipologie
- normative di riferimento
- principali rischi
- misure di sicurezza
- valutazione del rischio
- procedure di sicurezza
- informazione, formazione e addestramento specifico
- ispezioni e controlli di manutenzione

Tipologie

- Sollevatori a Magneti permanenti
: Sfruttano l’energia magnetica intrinseca dei magneti permanenti incorporati e sono attivati tramite una leva, che fa ruotare un gruppo di magneti in modo che il flusso magnetico passi attraverso il carico (fase di lavoro) oppure si chiuda all’interno del magnete stesso (fase di rilascio) . Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi fino a una portata massima di 3 .000 kg, e sono prevalentemente usati per lavori di stoccaggio, trasporto e carico macchine utensili. Possono lavorare su materiali “freddi” (T≤70 °C). SONO INTRINSECAMENTE SICURI.

- Sollevatori Elettropermanenti: Utilizzano l’energia magnetica intrinseca dei magneti permanenti incorporati, ma il comando di magnetizzazione o smagnetizzazione viene fatto impulsivamente (qualche secondo max) per mezzo di una bobina, che inverte la polarità di un gruppo di magneti, facendo in modo che il flusso magnetico passi attraverso il carico (fase di lavoro), oppure si chiuda all’interno del magnete stesso (fase di rilascio). Cessato l’impulso di corrente il sollevatore risulta completamente indipendente da qualsiasi fonte di energia esterna, rimanendo nel suo stato ON o OFF. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi compatti (Billette , bramme , lamiere singole, tondi, coils laminati a freddo, ecc .), con portate anche oltre 45 t. Possono essere installati in gruppi su bilancini, per poter sollevare anche carichi flessibili . Possono lavorare su materiali caldi con temperature fino a 500 ° C. SONO INTRINSECAMENTE SICURI.

- Sollevatori Elettropermanenti a batteria: Simili ai precedenti, ma con alimentazione tramite una batteria a bordo del magnete. Sul magnete vi è un indicatore del livello di carica della batteria: sotto un livello minimo, il lavoro deve essere interrotto e la batteria va ricaricata. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi fino a una portata massima di 4 .000 kg e sono prevalentemente usati per lavori di stoccaggio, trasporto e carico macchine utensili. Possono lavorare su materiali “freddi” (T≤70 °C) . SONO INTRINSECAMENTE SICURI.

- Sollevatori Elettromagnetici: sfruttano l’energia elettrica della rete, per l’alimentazione delle bobine incorporate nell’elettromagnete stesso, che generano il campo magnetico necessario . La forza di tenuta può essere influenzata da problemi alla rete (interruzioni o fluttuazioni) oppure a guasti alle bobine o al sistema di alimentazione. Per questo motivo devono essere provvisti di batterie di emergenza, che garantiscano la tenuta del carico per il tempo necessario al ripristino della rete. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di qualunque tipo di carico, anche sfusi (rottami) o in fasci con portate anche oltre 45 t. Possono essere installati in gruppi su bilancini, per poter sollevare anche carichi flessibili. Possono lavorare su materiali caldi fino alla temperatura di 650 ° C.

- Sollevatori Elettromagnetici a batteria: simili ai precedenti, ma con alimentazione tramite una batteria a bordo magnete. Sul magnete vi è un indicatore del livello di carica della batteria: sotto un livello minimo, il lavoro deve essere interrotto e la batteria va ricaricata. La forza di tenuta può essere influenzata da problemi alla batteria, guasti alla bobina o al sistema di alimentazione. Questi sollevatori sono adatti alla movimentazione di carichi fino a una portata massima di 4 .000 kg e sono prevalentemente usati per lavori di stoccaggio, trasporto e carico macchine utensili.

Normativa di riferimento:

UNI EN 13155:2009 - Apparecchi di sollevamento - Sicurezza - Attrezzature amovibili di presa del carico;
ASME B30.20, “Below-the-Hook Lifting Devices”

Buone prassi

- Guidance on the safe use of magnetic lifting devices - Health and Safety Executive: la guida “fornisce consigli su come ridurre il rischio connesso all'uso degli accessori di sollevamento magnetici”;

- Berufsgenossenschaft Handel und Warenlogistik (BGHW). Utilizzo di magneti di sollevamento nel commercio di acciai - la guida “fornisce suggerimenti all’uso in sicurezza di sistemi magnetici nell’ambito del commercio e la distribuzione di acciaio”;

- schede per i controlli INAIL: il documento riporta “indicazioni per garantire gli interventi di controllo, per assicurare la permanenza nel tempo dei requisiti di sicurezza, ove la documentazione del fabbricante a corredo dell’ apparecchio di sollevamento ovvero dell’accessorio di sollevamento utilizzato risulti non disponibile. Laddove, infatti, il manuale del fabbricante risulti disponibile o comunque reperibile, le indicazioni in esso contenute costituiscono il riferimento per il datore di lavoro”.

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ATS Brianza

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Occupational safety and health in the wind energy sector

ID 7949 | | Visite: 2882 | Documenti Sicurezza UE

Occupational safety and health in the wind energy sector

Occupational safety and health in the wind energy sector

European Risk Observatory Report 

Wind turbine standards need to address design requirements as well as cover associated components, systems and technologies that have an impact on the reliable functioning of wind turbines. Despite the increasing amount of wind-related experience, there has been little or nothing in the way of published OSH guidelines or standards. ISO 9001, ISO 14001 and OHSAS 18001 provide general guidance with regard to quality management, OSH and environmental management, but there are currently very few standards that specifically address the unique needs of the wind energy industry.

One of these existing standards is the IEC 61400 series, which gives a set of design requirements that aims to ensure that wind turbines are appropriately engineered against damage from hazards within their planned lifetime. It provides the requirements for all aspects of the design, build and operation of an offshore wind farm. This series covers topics such as: 

- IEC 61400-1: Wind turbines — Design requirements  IEC 61400-2: Wind turbines — Design requirements for small wind turbines  IE
- C 61400-3: Wind turbines — Design requirements for offshore wind turbines 
- IEC 61400-3-2: Wind turbines — Design requirements for floating offshore wind turbines 
- IEC 61400-4: Wind turbines — Design requirements for wind turbine gears 
- IEC 61400-5: Wind turbines — Design requirements for wind turbine rotor blades 
- IEC 61400-11: Wind turbines — Acoustic noise measurement techniques 
- IEC 61400-12: Wind turbines — Wind turbine power performance testing 
- IEC 61400-13: Wind turbines — Measurement of mechanical loads 
- IEC 61400-14: Wind turbines — Declaration of apparent sound power level and tonality values 
- IEC 61400-21: Wind turbines — Measurement and assessment of power quality characteristics of grid connected wind turbines 
- IEC 61400-22: Wind turbines — Conformity testing and certification 
- IEC 61400-23: Wind turbines — Full-scale structural testing of rotor blades 
- IEC 61400-24: Wind turbines — Lightning protection 
- IEC 61400-25: Wind turbines — Communication protocol 
- IEC 61400-27: Wind turbines — Electrical simulation models for wind power generation

One important legislative development in the wind energy industry is the planned update to the European wind turbine standard EN 50308 (Wind turbines — safety requirements for design, operation and maintenance). This revision is still on-going but it is expected that, for the first time, it will take proper account of offshore facilities and cover everything from turbine erection, access hatch sizes and machinery guards to emergency escape lift requirements and lighting. The need to perform risk assessments will also become more explicit. The clarification or introduction of these new turbines pecific safety measures will assist in ensuring that safety is considered from the start of the turbines’ life cycle.
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EU OSHA 2013

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EU OSHA 2013
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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 5900 2019

ID 7947 | | Visite: 2379 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Presenza di un piano rialzato di lavoro privo di parapetto

Nozione di luogo di lavoro

Penale Sent. Sez. 4 Num. 5900 Anno 2019

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 17/01/2019

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente N.D., sul gravame proposto dallo stesso, con sentenza del 23/3/2018, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia il 30/6/2016, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, ne rideterminava la pena in mesi due di reclusione, confermando nel resto la sentenza con cui ne era stata riconosciuta la penale responsabilità, quale datore di lavoro e legale rappresentante della ISS Palumbo s.r.l., per il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590 co. 2 in relazione all'art. 63 c. 1 e 64 c. 1 D.Lvo 81/08 in riferimento all'allegato IV punto 1.7.3.) in danno del dipendente F.M., commesso in Pistoia il 5/7/2013.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il N.D., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale in punto di affermazione di responsabilità.
Il ricorrente evidenzia che profilo di colpa specifica contestato come nesso causale per il reato di cui all'art 590 cod. pen. è rappresentato, secondo i due precedenti gradi di giudizio, dalla violazione degli art 63 e 64 del D.lgs. 81/08, in riferimento all'allegato 4 punto 1.73. in quanto l'odierno ricorrente non avrebbe dotato di parapetto o altre difese il luogo di lavoro in cui si trovava ad operare il F.M. al momento dell'infortunio.
L'infortunio - prosegue il ricorso- è avvenuto su di un piano costruito appositamente in posizione sopraelevata al fine di permettere ai camion di scaricare dai pianali agevolmente con i mezzi meccanici (muletti o transpallets manuali).
Nel caso di specie la parte offesa si trovava all'interno del piano di caricamento lontano dal bordo delimitante il dislivello, quando inciampando si è portato sul bordo ed è caduto nel livello inferiore riportando le lesioni per cui è processo.
Ebbene, il ricorrente ritiene che l'individuazione del piano sopraelevato come piano di lavoro non corrisponda al vero, in quanto per stessa ammissione degli organi di vigilanza intervenuti quel piano sopraelevato era stato funzionalmente costruito da B. per il carico e lo scarico delle merci all'interno del magazzino ed era destinato funzionalmente a quella tipologia di lavoro.
Si ricorda in ricorso che l'art 63 del Dlgs. 81/08 comma recita: "i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’allegato IV": E l'art 64 del medesimo decreto, al comma 1) punto a) prevede a sua volta che : "Il datore di lavoro provvede affinché: a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'art 63 commi 1,2,3".
Nel caso che ci occupa pertanto, secondo il ricorrente, la norma su cui dovrà essere incentrata l'attenzione ai fini della sua corretta applicazione è quella di cui all'allegato IV punto 1.7.3. che espressamente riporta: "Le impalcature, le passerelle, i ripiani, le rampe di accesso, i balconi ed i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti su tutti lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti. Tale protezione non è richiesta per i piani di caricamento di altezza inferiore a m. 2,00".
Ebbene il ricorrente lamenta che cade in errore la Corte di Appello nella parte motiva della sentenza laddove classifica il luogo da cui è caduto il F.M. come posto di lavoro sulla semplice asserzione che in quel luogo il F.M. stava facendo un lavoro diverso dal caricamento. Se così fosse anche gli interni dei rimorchi dei camion potrebbero essere definiti luoghi di lavoro e pertanto dotati di parapetti contro le cadute dall'alto. Ergo ciò impedirebbe di utilizzare i mezzi secondo la loro destinazione naturale.
Quindi l'interpretazione della Corte territoriale non avrebbe minimamente te-nuto conto della destinazione naturale di quel luogo di lavoro, destinazione che non può essere modificata per il semplice fatto che qualcuno, errando si sia recato in quel luogo ad effettuare operazioni non proprie del luogo. Infatti laddove si ritenesse il piano in cui è avvenuto l'infortunio un posto di lavoro e non un piano di caricamento, i giudicanti avrebbero dovuto in primis dimostrare che quel piano di caricamento in realtà veniva utilizzato come posto di lavoro e che non venivano in alcun modo sul bordo caricate le merci. L'istruttoria dibattimentale, ha invece provato che in quel luogo venivano caricate le merci e che pertanto quello, indipendentemente dalle operazioni effettuate dal F.M., era un piano di caricamento, per necessità di utilizzo privo di parapetti cosi come stabilito dal punto 1.7.3 dell'allegato IV.
Con un secondo motivo ed un terzo motivo il difensore ricorrente deduce, sotto il duplice profilo dell'inosservanza delle norme processuali di cui agli artt.521, 522 cod. proc. pen. e del vizio motivazionale, che la sentenza di appello avrebbe condannato per il reato di lesioni colpose l’imputato, ritenendolo responsabile della violazione di altro profilo di colpa specifica mai contestato all'imputato e non riconducibile ai profili di colpa specifica ex art 63, 64 D.lgs. 81/08.
Evidenzia, infatti, che la Corte territoriale, nella parte motiva della sentenza, conferma che quel piano su cui stazionava il F.M. era senza dubbio addetto al carico delle merci, ma, essendo adibito anche ad altre operazioni, imputerebbe all'odierno imputato un profilo di colpa specifico diverso rispetto a quello richiamato nel capo di imputazione, laddove afferma che" le difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre la parte datoriale ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi più appropriati".
Secondo la Corte di appello -sottolinea il ricorrente- il datore di lavoro non sarebbe incorso nella violazione delle norme contravvenzionali richiamate nel capo di imputazione ma avrebbe dovuto organizzare il lavoro in maniera diversa evitando di fare in quel luogo altre operazioni di imballaggio. Quindi l'odierno imputato, al fine di evitare il verificarsi dell'infortunio non avrebbe violato le norme di cui agli artt. 63 e 64 DLgs. 81/08, ma avrebbe violato le regole imposte dall'art 18 del D.lgs. 81/08.
Tale violazione - si legge in ricorso- non è mai stata contestata all'odierno ricorrente, il quale correttamente nei precedenti gradi di giudizio si è difeso ravvisando che quel piano era un piano di caricamento e che come tale non poteva essere dotato di parapetti come esplicitamente previsto dalla norma
La Corte fiorentina, in altri termini, avrebbe violato le norme processuali cosi come stabilito dagli art 521, 522 cod. proc. pen. in quanto avrebbe previsto un profilo di colpa specifica diverso rispetto a quello contestato nel precedente grado di giudizio, ponendo come presupposto alla realizzazione del reato di cui all'art 590 una fattispecie contravvenzionale diversa rispetto a quella invece richiamata nel procedimento di primo grado
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delie doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta, secondo cui il datore di lavoro non aveva alcun obbligo di predisposizione dei parapetti in quanto il sito ove è avvenuto l'infortunio non era una postazione di lavoro, bensì un piano di caricamento asservito alla movimentazione delle merci.
L'odierno ricorrente, in sede di gravame del merito, aveva posto l'accento sul fatto che il teste M. avesse puntualizzato come le merci venivano caricate sul piano direttamente dai camion e quindi smistate verso l’interno; infatti al di là del piano vi erano gli uffici. E aveva sostenuto che una conferma di ciò si ricava anche dalla circostanza che la ASL, dopo l’infortunio, ha acconsentito all’adozione delle catenelle amovibili che non rappresentano un presidio contro il rischio di caduta servendo solo a delimitare l’area. Dunque, trattandosi di piano di caricamento, secondo la tesi difensiva non erano apponibili parapetti che ne avrebbero inibita l’utilizzo. Infatti, il punto 1.7.3 dell’allegato IV del D.Lvo 81/2008 esclude l’obbligo di parapetti o altre protezioni per i piani di caricamento inferiori ai 2 mt. di altezza. Il piano ove è avvenuto l'infortunio del F.M. - era stato dedotto- è operativo da oltre 20 anni e nessun rilievo il personale della USL ha mai sollevato durante le varie ispezioni e controlli che si sono succeduti.
3. La Corte territoriale, tuttavia, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, aveva già confutato tali tesi.
La vicenda che ci occupa- ricorda la sentenza impugnata- si verificava il 5 luglio 2013 all'interno dello Stabilimento B. di Pistoia, oggi Hitachi Rail Italy, dove la società Palumbo svolgeva attività di logistica nei magazzini di proprietà della committente.
L'infortunio del F.M. ebbe a realizzarsi in un magazzino di proprietà della committente dove, per favorire lo scarico delle merci era presente un piano di caricamento sopraelevato di circa 110 cm rispetto al piano di lavoro, piano rialzato denominato anche "ribalta" in virtù della sua funzione di asservimento alla movimentazione delle merci. Sul tale piano rialzato il personale effettuava operazioni di caricamento e la differenza in altezza era necessaria per agevolare le operazioni di carico da e per i camion che venivano a caricare/scaricare il materiale.
Il F.M. si trovava all'interno del piano di caricamento (ossia la ribalta) quando inciampava e nel tentativo di riprendersi cadeva rovinosamente dal dislivello riportando lesioni, consistite in fratture costali multiple, frattura della colonna anteriore dell'acetabolo dx, frattura del polso destro, che avevano determinato uno stato di malattia per 119 giorni.
Il profilo di colpa contestato al N.D. è quello di non avere provveduto, in violazione degli artt. 63 e 64 D.lvo 81/2008, a dotare di parapetti o altre difese il posto di lavoro sopraelevato rappresentato dal suddetto piano rialzato nel quale venivano solitamente compiute operazioni di carico e scarico di materiale.
Ebbene, come ricordano i giudici del gravame del merito, nel corso del dibattimento la dinamica del sinistro è stata ricostruita sulla base delle dichiarazioni di testi ed in particolare della persona offesa. Il F.M. si trovava in ginocchio sul piano rialzato per mettere una "reggetta" ossia del nastro per legare un carico appoggiato su detto piano, nel mentre stava per alzarsi in piedi ha inciampato nel coperchio di una cassa appoggiato lì vicino cadendo al piano sottostante e procurandosi così le lesioni descritte.
La sentenza impugnata dà atto che sono stati sentiti anche i tecnici del servizio di prevenzione della ASL i quali hanno riferito di avere effettuato un sopralluogo solo nel gennaio dell'anno successivo constatando che il piano rialzato era privo di protezioni atte ad impedire la caduta in basso, di avere quindi impartito la prescri-zione di installare un parapetto ovvero eliminare il piano rialzato. E che altri testi hanno descritto come si svolgeva l'attività lavorativa: le merci venivano caricate sul piano rialzato con mezzi meccanici e poi processate per le varie destinazioni.
A seguito dell'infortunio - si legge ancora nella sentenza impugnata- la ditta appose, in adempimento delle prescrizioni, temporaneamente, un parapetto consistente in una catenella all'interno del perimetro a circa un metro e mezzo dal bordo, successivamente la B. eliminò il piano rialzato.
Ebbene, già il giudice di primo grado ritenuto la colpevolezza dell'imputato osservando come fosse del tutto evidente che se vi fossero state delle adeguate protezioni ovvero fossero state date ai lavoratori adeguate indicazioni circa la distanza da tenere dal bordo l'evento non si sarebbe verificato.
Come ricordano i giudici del gravame del merito, già dalla descrizione della dinamica del sinistro offerta dalla parte offesa, non contestata dalla difesa, si evince che il F.M., allorché inciampò nel coperchio di una cassa e cadde al di sotto del piano su cui stava operando, era intento a compiere operazione di imballaggio di merce, ergo stava compiendo una operazione lavorativa diversa da quella del semplice carico o scarico ma semmai preliminare ad essi.
La sentenza impugnata dà anche atto: 1. che il teste C. della ASL ha dichiarato di avere osservato il piano in questione nel corso del suo sopraluogo rilevando che esso era utilizzato sia per il deposito che per compiere altre operazioni in quanto su di esso erano presenti dei macchinari; 2. che il teste Ba. ha riferito che il piano in questione, oltre ad essere utilizzato normalmente come passaggio per accedere agli uffici posti al suo margine interno era normalmente utilizzato per eseguire l'imballaggio delle merci.
Logica appare essere stata la conclusione, in virtù delle sopra richiamate univoche risultanze che il piano rialzato in esame fosse anche un luogo di lavoro e come tale non era dotato di provvidenze atte a contrastare il pericolo di caduta, e che la difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi appropriati.
Né il richiamo ai più generici doveri in capo al datore di lavoro di cui all'art. 18 d.lgs. 81/08 porta -come lamenta il ricorrente- ad una modifica sostanziale dell'editto accusatorio.
4. Non va trascurato, in proposito, infatti, che questa Corte di legittimità ha in più occasioni sottolineato come in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (così Sez. 4, n. 51516 del 21/6/2013, Miniscalco ed altro, Rv. 257902 in relazione ad una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; conf. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161 in un caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; Sez. 4, n. 18390 del 15/2/2018, Di Landa, Rv. 273265 in una fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2019

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Circolare prot. n. 3300 del 06/03/2019

ID 7931 | | Visite: 7000 | Prevenzione Incendi

Circolare prot  n  3300 del 06 03 2019

Circolare prot. n. 3300 del 06/03/2019

Rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica. Autorizzazioni ai sensi della legge 23 agosto 2004, n. 239

OGGETTO: Rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica.

Autorizzazioni ai sensi della legge 23 agosto 2004, n. 239

Con la presente, che sostituisce integralmente le precedenti lettere circolari DCPREV prot. n. 7075 del 27/04/2010 e DCPREV prot. n. 10925 del 15/07/2010, si aggiornano le indicazioni, sugli aspetti relativi alla prevenzione incendi, per il rilascio del parere del Ministero dell'interno relativo ai procedimenti autorizzativi della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica.

La legge 23 agosto 2004, n. 239 recante "Riordino del settore energetico nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia" ha definito le competenze in materia di rilascio dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica (articolo 1, comma 26).

Al fine di garantire la sicurezza del sistema energetico e la concorrenza nei mercati dell'energia elettrica, tali elettrodotti sono soggetti a una autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare previa intesa con la Regione interessata, che sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali attività in conformità del progetto approvato.

Il provvedimento autorizzativo viene emanato a conclusione del procedimento svolto con le modalità della legge 241/1990 e s.m.i, al quale partecipano anche i soggetti preposti ad esprimersi in relazione a eventuali interferenze con altre infrastrutture esistenti.

L'autorizzazione comprende la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere, la dichiarazione di inamovibilità e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni e, qualora le opere comportino violazione degli strumenti urbanistici, ha effetto di variante urbanistica.

Le disposizioni di legge in argomento si applicano anche alle reti elettriche di interconnessione con l'estero con livello di tensione pari o superiore a 150 kV qualora per esse vi sia un diritto di accesso a titolo prioritario, e si applicano alle opere connesse e alle infrastrutture per il collegamento alle reti nazionali di trasporto dell'energia delle centrali termoelettriche di potenza superiore a 300 MW termici già autorizzate in conformità alla normativa vigente. Gli elettrodotti pur non essendo soggetti ai controlli di prevenzione incendi perché non ricompresi nell'allegato I del DPR 151/11, potrebbero interferire con attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco o a rischio di incidente rilevante di cui al Decreto Legislativo 26 giugno 2015, n°105.

Per l'espressione del parere del Ministero dell'interno si adotteranno le seguenti procedure.

Il soggetto proponente dovrà presentare al competente Comando dei Vigili del fuoco la seguente documentazione in duplice copia:

1. richiesta di valutazione della compatibilità dell'elettrodotto con le infrastrutture esistenti corredata del relativo versamento, commisurato a 4 ore di istruttoria, ai sensi del D.Lgs. 139/2006 e s.m.i. e del D.M. 2 marzo 2012.

2. planimetrie in scala opportuna che riportino il tracciato delle opere e le eventuali attività soggette ai controlli di prevenzione incendi con cui l'elettrodotto potrebbe interferire

3. relazione che dimostri il rispetto delle distanze di sicurezza da elettrodotti prescritte da norme di prevenzione incendi (elenco norme in allegato 1), secondo il modello in allegato 2, a firma di un tecnico abilitato ai sensi del DM 07/08/2012.

La documentazione di cui ai punti 2 e 3 andrà inviata, in formato digitale, anche al Ministero dello Sviluppo Economico per l'acquisizione agli atti della conferenza dei servizi ed all'Ufficio scrivente.

Il Comando dei Vigili del Fuoco si esprimerà entro 60 giorni fatta salva una eventuale unica interruzione dei termini per richiesta di integrazioni, trasmettendo il parere al soggetto proponente, ai Comuni interessati ed all'Ufficio scrivente.

Qualora il progetto comprenda attività di cui all'allegato I del DPR 151/11 (ad esempio gruppi elettrogeni), il relativo importo per la valutazione del progetto andrà sommato a quello indicato al punto 1) suindicato.

[...] segue in allegato

Fonte: VVF

Vedi:

Linee elettriche aeree   Distanza da attivita  PI

Collegati:

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VVF 2019
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Circolare n. 21 dell'8 agosto 2011

ID 7929 | | Visite: 6674 | Circolari Sicurezza lavoro

Circolare n. 21  dell'8 agosto 2011

Verifiche periodiche attrezzature di lavoro - Primi chiarimenti in ordine al contenuto delle istanze per l’abilitazione alle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro.

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Nota INL 1881 del 25 febbraio 2019 | Videosorveglianza

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Nota INL 1881 del 25 febbraio 2019

Nota INL 1881 del 25 febbraio 2019

Indicazioni operative in ordine al rilascio di provvedimenti autorizzativi

(data pubblicazione 8 marzo 2019)

Oggetto: indicazioni operative in ordine al rilascio di provvedimenti autorizzativi.

Estratto:

Sono pervenute richieste di chiarimento circa la corretta applicazione dell’art. 4 della L. n. 300/1970 nelle ipotesi in cui, per intervenuti processi di modifica degli assetti proprietari (fusioni, cessioni, incorporazioni, affitto d’azienda o di ramo d’azienda), si verifichi un cambio di titolarità dell’impresa che ha installato “impianti audiovisivi” o “altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”.

Viene in particolare posta la questione se, in tali fattispecie, si renda necessario rinnovare le procedure di accordo in sede sindacale o autorizzative, o sia invece sufficiente che la sopravvenuta modifica della proprietà venga resa formalmente nota alle competenti sedi dell’Ispettorato.

A parere della Scrivente, la soluzione va ricercata non tanto nei profili formali legati alla titolarità dell’impresa, quanto negli aspetti sostanziali concernenti la possibile modifica delle condizioni e dei presupposti di fatto che avevano consentito l’installazione degli impianti.

In altri termini, il mero “subentro” di un’impresa in locali già dotati degli impianti/strumenti in premessa non integra di per sé profili di illegittimità qualora gli impianti/strumenti stessi siano stati installati osservando le procedure (accordo collettivo o autorizzazione) previste dall’art. 4 della  L. n. 300/1970 e non siano intervenuti mutamenti:

- dei presupposti legittimanti (esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale);
- delle modalità di funzionamento.

Anche al fine di consentire un efficace svolgimento di eventuali iniziative ispettive, si ritiene pertanto opportuno che, nei casi in esame, il titolare subentrante:

- comunichi all’Ufficio che l’ha rilasciato gli estremi del provvedimento di autorizzazione alla installazione degli impianti;
- renda dichiarazione con la quale attesti che, con il cambio di titolarità, non sono mutati né i presupposti legittimanti il suo rilascio, né le modalità di uso dell’impianto audiovisivo o dello strumento autorizzato.

Laddove peraltro non ricorra l’evidenziata condizione di invarianza dei richiamati presupposti, sarà necessario avviare nuovamente le procedure ex art. 4 L. n. 300/1970, fermo restando che sono in ogni caso assolutamente vietate eventuali modalità di uso diverse da quelle già autorizzate.

...

Tutto sulla videosorveglianza sui luoghi di lavoro

Fonte: INL

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 9454 | 05 Marzo 2019

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Sentenze cassazione penale

Scorretta installazione e manutenzione dei requisiti di sicurezza degli stampi applicati alla pressa

Penale Sent. Sez. 4 Num. 9454 Anno 2019
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 31/01/2019

Ritenuto in fatto

l. La Corte di appello di Venezia il 6 ottobre 2016 ha integralmente confermato la sentenza emessa all'esito del dibattimento il 19 novembre 2014 dal Tribunale di Vicenza, sentenza con la quale L.B., socio accomandatario della s.a.s. F.A.B. (poi divenuta s.r.l. F.A.B.) è stato riconosciuto responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti della dipendente B.T., e la società s.a.s. F.A.B. (poi divenuta, appunto, s.r.l. FA.B.) ritenuta responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, fatti commessi il 14 ottobre 2010, con condanna alla pena stimata di giustizia.
2.1 fatti sono stati così ricostruiti dai giudici di merito.
La ditta F.A.B. svolge attività di lavorazione e fusione di articoli in alluminio a mezzo pressofusione, stampatura e trinciatura. Gestisce, quindi, una fonderia, all'interno della quale lavorava - anche - B.T., addetta alla sabbiatura, sbavatura e tranciatura dei pezzi. Nel momento in cui è accaduto l'infortunio, il 14 ottobre 2010, la donna prendeva da un cassone i pezzi da tranciare e li collocava nella pressa: terminata l'operazione, riaperta la porta del macchinario, stava riprendendo i pezzi ma, all'improvviso, si è staccato dal punzone un pezzo dello stampo, che le è caduto dall'alto sulla mano sinistra, provocandole serie lesioni (malattia di durata superiore a quaranta giorni e indebolimento permanente dell'organo della prensione). Gli stampi venivano sempre cambiati, a seconda dei pezzi da produrre (ad es., forchette, cucchiai) ed erano forniti di volta in volta dai vari clienti che commissionavano la realizzazione degli oggetti.
Al datore di lavoro è stato addebitato di non avere adottato idonee misure per garantire la corretta installazione e manutenzione nel tempo dei requisiti di sicurezza degli stampi applicati alla pressa che adoperava la dipendente, in violazione, dunque, dell'art. 71, comma 4, lett. a), d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
3. Ricorrono per la cassazione della sentenza sia l'imputato L.B. sia la società F.A.B., tramite distinti ricorsi affidati a diversi difensori, ricorsi ai quali sono allegati estratti di verbali di udienza e documentazione.
4. L.B. (con l'avv. OMISSIS, del Foro di Vicenza) si affida a tre motivi, con i quali denunzia violazione di legge (tutti i motivi) e difetto motivazionale (il secondo ed il terzo motivo).
4.1. Con il primo motivo, in particolare, lamenta inosservanza e/o erronea applicazione di norme di legge (arti. 24 Cost. e 533 cod. proc. pen.), avendo la Corte territoriale fondato la condanna dell'Imputato su una sua presunta mancanza di collaborazione all'attività di indagine, così violando il principio compendiato nel brocardo "nemo tenetur se detegere".
La circostanza, che si legge nella sentenza impugnata, che l'impossibilità di venire a conoscenza dei dati relativi al costruttore dello stampo ha reso impossibile la verifica sul rispetto delle procedure e che tale fatto è risultato sicuramente addebitabile all'imputato, che ha posto in essere un comportamento di occultamento (pp. 2-3 della sentenza impugnata), contrasterebbe con i principi fondanti il codice di rito penale, che esclude che l'imputato abbia l'obbligo di collaborare all'attività di indagine e di auto-accusarsi e che prevede l'adozione di sentenza di condanna soltanto "oltre ogni ragionevole dubbio".
4.2. Mediante il secondo motivo critica promiscuamente violazione di legge (artt. 191, 354 e 356 cod. proc. pen. e 114 e 220 disp. attuaz. cod. proc. pen.) e mancanza di motivazione, anche sotto il profilo di omissione di pronunzia circa il rigetto di uno specifico motivo di impugnazione: in particolare, la Corte di appello non ha risposto al quinto motivo di appello, con il quale si deduceva la inutilizzabilità dell'esito degli accertamenti degli ispettori S.P.I.S.A.L. (acronimo di Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro) della A.S.L.
Essendo, infatti, gli ispettori intervenuti nell'azienda dopo l'infortunio, quando cioè una compiuta notizia di reato era sorta, gli stessi avrebbero dovuto procedere applicando le regole del codice di procedura penale, che, invece, avrebbero "calpestato" (così alla p. 4 del ricorso), in particolare non dando gli avvisi di legge; così come sono state dagli stessi trascurate le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, che impongono la redazione di verbale.
Inoltre i giudici di merito hanno trascurato che il consulente di parte privata, ing. C.A., ha avuto accesso all'azienda ed ha visionato lo stampo, dichiarando di averlo trovati integro e di avere fotografato, spiegando perché lo stampo non debba essere provvisto di libretto di istruzioni, uso e manutenzione e perché non sia oggetto alla c.d. direttiva macchine. Avendo evidenziato tali aspetti nel terzo motivo di appello, lamenta il ricorrente non avere la Corte di appello fornito alcuna risposta.
4.3. Infine, con il terzo motivo il ricorrente si duole ulteriormente di violazione di legge (artt. 40 e 43 cod. pen. e 192 e 546 cod. proc. pen.) e di difetto di motivazione, anche sotto il profilo della omissione di pronunzia in relazione a tre specifici motivi di appello.
In particolare, la Corte di merito non avrebbe accertato il nesso di causa, essendo rimaste del tutto ignote le cause del distacco dello stampo, avendo addebitato ad un atteggiamento stimato sleale dell'imputato l'impossibilità di visionare lo stampo, stampo che si è ritenuto in sostanza essere stato tenuto nascosto perché vi era, ma in base ad una mera supposizione sfornita di prove, qualcosa di irregolare da celare.
Peraltro, si sottolinea che nel corso dell'istruttoria era emerso che i dipendenti A.B. e V.B. - attrezzisti - erano stati incaricati dall'imputato di una procedura operativa, consistente nello smontare ed ispezionare attentamente lo stampo prima di affidare la macchina al lavoratore, procedura che, ove fosse stata puntualmente seguita, avrebbe evitato eventi del tipo di quello che si è verificato. In conseguenza, la causa dell'infortunio sarebbe da ricondurre ad un comportamento posto in essere dagli attrezzisti, forse in un fissaggio non sufficiente dello stesso, come ipotizzato da un ispettore della A.S.L. nel verbale del 13 dicembre 2013 (che si allega).
Tali considerazioni, analiticamente svolte nel primo, secondo e quarto motivo di appello, non sono state tenute in considerazione dai giudici di merito, che - si sottolinea - non vi hanno accennato nemmeno al fine di confutarle.
Oltre alla mancata dimostrazione del nesso di causalità, difetterebbe la prova della causalità della colpa, cioè che l'evento in concreto verificatosi rientri proprio tra quelli che la norma mirava a impedire, così che il comportamento alternativo lecito avrebbe avuto certa o probabile efficacia impeditiva.
Infine, difetterebbe la individuazione di una regola cautelare violata, in quanto «I giudici di secondo grado hanno ritenuto sic et simpliciter che il sig. L.B. abbia violato un obbligo di collaborazione, ma è di tutta evidenza che tale obbligo (oltre che insussistente) non ha alcuna portata cautelare ed è del tutto indifferente rispetto all'evento per cui è processo. La Corte d'appello aveva l'onere di chiarire che cosa il sig. L.B. avrebbe dovuto fare per evitare l'evento; invece non l'ha fatto. Di qui un palese vizio di omessa motivazione ed una altrettanto palese violazione degli artt. 40 e 43 c.p.» (così alla p. 9 del ricorso).
5. La soc. F.A.B. (avv. OMISSIS del Foro di Vicenza) si affida e tre motivi con cui censura violazione di legge (tutti) e difetto motivazionale (il terzo).
5.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge (artt. 25-septies, 69 e 71 del d. Lgs. n. 231 del 2001), per avere - illegittimamente ed erroneamente - la Corte di appello ritenuto sussistente un reato presupposto rispetto alla responsabilità dell'ente, mentre, in realtà, il responsabile dell'ente non lo ha commesso. Gli argomenti svolti sullo specifico punto sono i medesimi spesi nella difesa della persona fisica di L.B. (sintetizzati ai punti nn. 4.1., 4.2. e 4.3. del "ritenuto in fatto")
5.2. Mediante il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 5 69 e 71 del d. lgs. n. 231 del 2001, per avere la Corte di appello, omettendo di valutare le risultanze istruttorie nel loro complesso, ritenuto sussistente un interesse dell'ente alla commissione del reato-presupposto, in particolare sotto il profilo di una più celere e più proficua lavorazione, interesse che invece, ad avviso della difesa, non sussiste.
La Corte di merito avrebbe del tutto trascurato le emergenze istruttorie secondo cui lo stampo non doveva essere accompagnato da documentazione, non vi è prova che lo stampo non fosse a norma ed era stata prevista ed attuata una proceduta operativa idonea a prevenire eventi del tipo di quello in concreto verificato (si richiama e si allega il contributo dei testi - attrezzisti A.B. e V.B.), emergenze di cui non si sarebbe dato atto.
Inoltre, «nel corso del dibattimento di primo grado è stato [...] dimostrato che le macchine in dotazione in azienda erano tutte marcate CE; che esse erano oggetto di costante monitoraggio e controllo, oltre che di manutenzione periodica; che i lavoratori erano stati adeguatamente informati, formati ed addestrati; che dunque la politica aziendale era orientata a garantire [...] la sicurezza dei lavoratori. Sicché nel caso di specie non vi è prova (rectius, la motivazione dalla Corte di appello non dà conto dell'esistenza) di quella "tensione finalistica al risparmio di spesa" che, secondo la giurisprudenza più recente, deve caratterizzare il requisito dell' "interesse" nell'ambito dei reati colposi» (così alle pp. 7-8 del ricorso).
5.3. Con il terzo motivo, infine, la società F.A.B. lamenta ancora violazione di legge (arti. 6, 69 e 71 del d. lgs. n. 231 del 2001) e difetto motivazionale, specialmente quanto all'asserita omissione di pronunzia in relazione al terzo motivo di appello, con il quale si era argomentato e provato che la società incolpata, prima del verificarsi dell'infortunio, si era dotata efficacemente di un modello organizzativo conforme agli artt. 6 e 30 del d.lgs. n. 231 del 2001 ed idoneo ad impedire il verificarsi di eventi del tipo di quello in concreto realizzatisi.
La Corte di appello, in conseguenza, avrebbe dovuto escludere la responsabilità dell'ente ex art. 66 d. lgs. n. 231 del 2001 ovvero, in subordine, almeno motivare circa la inidoneità del modello e sulla presenza o meno di una sua elusione fraudolenta ex art. 6, comma 1, d. lgs. n. 231 del 2001.

Considerato in diritto


l.Va premesso che, quanto all'imputato - persona fisica, il reato non è prescritto (termine massimo il 12 febbraio 2019, per effetto di 298 giorni di sospensione da aggiungersi ai sette anni e sei mesi dal fatto), mentre per l'ente, come noto, una volta esercitata l'azione, la prescrizione non corre («In tema di responsabilità da reato degli enti, l'intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all'ente dell'illecito non ne determina l'estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l'azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica». Sez. 5, n. 20060 del 04/04/2013, P.M. in proc. Citibank N.A., Rv. 255415; in termini, Sez. 4, n. 31641 del 04/05/2018, Soc. Tecna Group s.r.l. e altro, Rv. 273085; in conformità, Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015, D'Errico e altro, Rv. 265588; Sez. 2, n. 10822 del 15/12/2011, dep. 2012, Cerasino e altri, Rv. 256705).
1.1. Deve, poi, tenersi conto che, secondo tradizionale e risalente insegnamento della S.C., da cui non vi è ragione di discostarsi, le decisioni conformi di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi a vicenda: infatti, «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione dei provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti ed altri, Rv. 225671; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano ed altri, Rv. 224079; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Scauri, Rv. 197497; più recentemente, Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro, Rv. 266617).
2. Ciò posto, i ricorsi sono infondati.
2.1. Non risponde al vero, anzitutto, che i giudici di merito abbiano, in sostanza, preteso che l'imputato collaborasse ad un'attività di investigazione dagli esiti potenzialmente contra se, in quanto, in realtà, hanno soltanto preso atto che lo stampo da esaminare, quello che ha cagionato l'infortunio, e la documentazione ad esso relativa sono risultati indisponibili al momento dell'accesso dei tecnici della A.S.L. effettuato il 9 novembre 2009, né successivamente, per poi ricomparire - il solo stampo - quindici mesi dopo, il 2 febbraio 2011, al momento dello svolgimento di incarico consulenziale di parte privata (pp. 5-6 della sentenza del Tribunale e pp. IV-V della sentenza impugnata), e che, secondo le logiche considerazioni dell'ispettore A.S.L., anche l'accessorio-stampo della pressa meccanica non poteva non essere correlato da specifiche indicazioni tecniche da conoscere e di cui tenere conto, altrimenti, adoperando cioè un accessorio di natura ignota, il datore di lavoro espone i dipendenti ad un rischio di cui deve assumersi la responsabilità, poiché non è governabile, non essendo in grado di valutare i requisiti di idoneità e di sicurezza dello strumento complessivamente assemblato, in violazione dell'art. 71 del d. Lgs. n. 81 del 2008 (pp. 5 della sentenza di primo grado e p. VI di quella della Corte di merito). Con la puntualizzazione - svolta alla nota n. 2 a piè di pagina 5 della sentenza del Tribunale - che peraltro «nulla attesta che lo stampo visionato dal C.T. di parte corrisponda effettivamente a quello montato sulla pressa al momento dell'infortunio».
Né - si è specificato da parte dei giudici di merito - esonera da responsabilità il datore di lavoro l'avere adoperato stampi di volta in volta forniti dai clienti, poiché tale pressi concretizza, in realtà, una reiterata negligenza (p. 5 della decisione del Tribunale); non senza considerare che - si è ulteriormente sottolineato - «il manuale d'istruzioni d'uso e manutenzione della pressa specificava che, nel caso fosse installato uno stampo diverso da quelli prodotti dalla ditta costruttrice della pressa stessa, dovevano essere seguite le indicazioni specifiche dettate dal costruttore dello stampo» e che la società F.A.B. non ha nemmeno indicato chi fosse il cliente che aveva fornito quello stampo (p. 4 della sentenza del Tribunale). Mentre la giustificazione imperniata sul ritardo nel controllo da parte dello S.P.I.S.A.L. è stata disattesa per ritenuta implausibilità (p. V della sentenza impugnata), essendo riapparso il pezzo molto tempo dopo e non essendo stato messo a disposizione delle investigazioni di parte pubblica (pp. 5-6 della sentenza del Tribunale), pretendendo, in ultima analisi, l'imputato di essere creduto "sulla parola" (p. VI della decisione di secondo grado).
Nessuna inversione dell'onere della prova, dunque, ma l'emersione invece di una prova logica circa l'utilizzo di stampi difformi da quelli prodotti dal costruttore della pressa (macchinario, di per sé, pienamente in regola) e di cui non si sa nulla (p. VI della sentenza impugnata).
Malgrado i dipendenti V.B. ed A.B. abbiano dichiarato di avere preventivamente controllato con attenzione il pezzo da installare sul macchinario, come facevano sempre (p. 5 della sentenza di primo grado), la insufficienza di tale prassi operativa è stata ritenuta dai giudici di merito, con implicita evidenza, in concreto insufficiente, anche tenuto conto che lo stesso dipendente V.B. ha ammesso la mancanza di ogni documentazione circa lo stampo (p. VIII della sentenza impugnata).
Né si indicano nel ricorso puntualmente quali disposizioni specifiche di legge gli ispettori della A.S.L., che in sostanza hanno solo eseguito un accesso nell'azienda e riferito in udienza, nel contraddittorio delle parti, su quanto constatato di persona, avrebbero violato, anche tenuto conto della estrema genericità del motivi di appello a suo tempo svolto sul punto (motivo n. 5, p. 12 dell'impugnazione di merito).
Pur essendo, infine, rimaste incerte le cause del distacco dello stampo (originaria strutturazione imperfetta, difetto nel fissaggio, altro), per mancanza dell'oggetto da esaminare, mancanza che si è ritenuta addebitabile all'imprenditore, non è rimasta incerta però, ciò che qui rileva, la dinamica dell'infortunio (distacco di una parte dello stampo e precipitazione sulla mano della lavoratrice: pp. IV-V della sentenza impugnata e 3 di quella del Tribunale).
Sicché, come si vede, i giudici di merito hanno, in realtà, fornito risposta - che non risulta né incongrua né illogica - a tutte le questioni sollevate con i motivi nell'interesse dell'imputato e con il primo svolto nell'interesse dell'ente.
2.2. Anche le questioni poste con il secondo ed il terzo motivo di ricorso nell'interesse della società F.A.B. sono infondate.
Il vantaggio dell'ente è stato - non illogicamente - desunto dalla maggiore velocità nella realizzazione degli oggetti in alluminio (v. p. VII della decisione impugnata e penultima pagina dalla sentenza del Tribunale) e del prodotto modello organizzativo si è, in realtà, tenuto conto da parte dei giudici di merito: infatti, in relazione alla doglianza svolta con l'ultimo motivo, che richiama il terzo motivo di appello, le considerazioni svolte in precedenza circa l'an della responsabilità della persona fisica escludono logicamente la previgenza di un modello organizzativo idoneo e conforme a quanto previsto dall'art. 6 del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, mentre l'essersi la società poi «dotata di un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi» è stato in effetti considerato, al fine della concreta modulazione della pena, dalla sentenza di primo grado (v. prima e penultima pagina della stessa).
3. Consegue da tutte le considerazioni svolte il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 31/01/2019

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Uso in sicurezza dei prodotti fitosanitari - schede tecnico-informative

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Uso in sicurezza dei prodotti fitosanitari   schede tecnico informative

Uso in sicurezza dei prodotti fitosanitari - schede tecnico-informative

L’uso dei prodotti fitosanitari (PF) nel settore agricolo sta ricevendo negli ultimi anni una particolare attenzione per le ricadute che l’impiego di tali prodotti ha sulla salute degli operatori agricoli, dei consumatori e per la tutela dell’ambiente e della biodiversità.

L’opuscolo viene proposto sia come ausilio per la realizzazione dei percorsi di formazione e di informazione dei lavoratori sia come compendio sintetico degli adempimenti di legge previsti in tema di tutela della salute e della sicurezza in ambito professionale.

Il testo è strutturato in schede monotematiche dedicate alle principali fasi di impiego del PF, integrate da sezioni relative alla sicurezza chimica in ambito professionale. Viene inoltre trattata la tutela dell’ambiente tramite l’impiego di metodologie agronomiche alternative a basso apporto di PF.

_______

Indice:

I PRODOTTI FITOSANITARI O AGROFARMACI
A cosa servono
Quali utilizzare
IL PERICOLO NELL’USO DEI PRODOTTI FITOSANITARI
Pericolosità dei PF
Quali sono gli effetti tossici dei PF
Tossicità acuta
Tossicità cronica
Come può avvenire un’intossicazione
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO CHIMICO PROFESSIONALE
Il livello di rischio e le misure di prevenzione e protezione
Il documento di valutazione dei rischi
SCHEDE TECNICO-INFORMATIVE
Fasi di lavoro
L’acquisto
Il trasporto
L’immagazzinamento
La miscelazione
L’utilizzo dell’irroratrice
Il controllo e la manutenzione dell’irroratrice
L’attività post-trattamento
La gestione dei rifiuti
Come ci si può intossicare con i PF
sversamento accidentale: procedure di emergenza
DOCUMENTAZIONE AZIENDALE
La documentazione durante il trasporto
Il registro dei trattamenti
Il controllo e la manutenzione delle irroratrici
I rifiuti
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE
Cosa sono i DPI
Come scegliere i DPI
Protezione del corpo
Protezione degli occhi e del viso
Protezione delle vie respiratorie
ALLEGATI
Allegato 1. Quadro normativo di sintesi sui prodotti fitosanitari
Allegato 2. Guida alla lettura della etichetta e scheda dati di sicurezza (MsDs)
Allegato 3. L’ADR: disposizioni generali ed esenzioni
Allegato 4. La difesa integrata
Allegato 5. La gestione dei rifiuti
Allegato 6. Glossario

Fonte: INAIL

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Rischio chimico: metodo di valutazione EN 689:2018

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EN 689 2018 rischio chimico

Rischio chimico: metodo di valutazione EN 689:2018

Documento allegato estratto della nuova norma EN 689:2018 (allegati A, B, C, D, E, F, G, H); la norma è una delle metodiche standardizzate per la misurazione degli agenti contenute nell’ALLEGATO XLI del D.Lgs.81/08 - Titolo IX art.225 c.2.

La norma europea EN 689:2018 tratta dei metodi per la misurazione dell’esposizione agli agenti chimici sul luogo di lavoro ed, in particolare, delle strategie per la misurazione ed il confronto dei risultati con i valori limite di esposizione professionale (OELVs).

La valutazione dell’esposizione e la dichiarazione certa del non superamento dei limiti di esposizione professionale richiederebbero una misura giornaliera dell’esposizione per ogni singolo lavoratore.

Questo tipo di approccio è possibile per le radiazioni ionizzanti, ad esempio, ma non lo è per gli agenti chimici a causa di alcuni limiti delle tecniche di misura e dei costi delle misure stesse. La norma EN 689:2018 dà la possibilità al Datore di Lavoro di utilizzare un numero di misure ridotte per dimostrare con un elevato grado sicurezza che è improbabile che i lavoratori siano esposti a valori superiori ai valori limite.

Per ridurre il numero di misurazioni i campioni di aria vengono raccolti all’interno di gruppi simili di esposizione (SEGs). In questo modo una singola misurazione o diverse misurazioni inferiori ai limiti possono essere insufficienti a dimostrare in modo affidabile la conformità senza l’uso di test statistici.

Metodiche standardizzate misurazione degli agenti D.Lgs.81/08

La EN 689 è una delle metodiche standardizzate per la misurazione degli agenti elencate nell’allegato ALLEGATO XLI del D.Lgs.81/08-Titolo IX art.225 c.2.
....
Art. 225. Misure specifiche di protezione e di prevenzione
...
2. Salvo che possa dimostrare con altri mezzi il conseguimento di un adeguato livello di prevenzione e di protezione, il datore di lavoro, periodicamente ed ogni qualvolta sono modificate le condizioni che possono influire sull'esposizione, provvede ad effettuare la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute, con metodiche standardizzate di cui è riportato un elenco meramente indicativo nell'allegato XLI o in loro assenza, con metodiche appropriate e con particolare riferimento ai valori limite di esposizione professionale e per periodi rappresentativi dell'esposizione in termini spazio temporali.
...

Allegato XLI

UNI EN 481:1994

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Definizione delle frazioni granulometriche per la misurazione delle particelle aerodisperse.

UNI EN 482:1998

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Requisiti generali per le prestazioni dei procedimenti di misurazione degli agenti chimici

UNI EN 689:1997
UNI EN 689:2018

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Guida alla valutazione dell’esposizione per inalazione a composti chimici ai fini del confronto con i valori limite e strategia di misurazione.

UNI EN 838: 1998

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Campionatori diffusivi per la determinazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova.

UNI EN 1076:1999

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Tubi di assorbimento mediante pompaggio per la determinazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova.

UNI EN 1231: 1999

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Sistemi di misurazione di breve durata con tubo di rivelazione. Requisiti e metodi di prova.

UNI EN 1232: 1999

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Pompe per il campionamento personale di agenti chimici. Requisiti e metodi di prova.

UNI EN 1540:2001

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Terminologia.

UNI EN 12919:2001

Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Pompe per il campionamento di agenti chimici con portate maggiori di 5 l/min. Requisiti e metodi di prova.

...


UNI EN 689:2018 - Atmosfera nell'ambiente di lavoro – Misura dell'esposizione per inalazione agli agenti chimici – Strategia per la verifica della conformità coi valori limite di esposizione occupazionale

http://store.uni.com/catalogo/index.php/uni-en-689-2018.html 

Il presente documento è un estratto degli allegati della norma tecnica EN 689:2018.

Data entrata in vigore: 12 luglio 2018

Recepisce: EN 689:2018

Sostituisce: UNI EN 689:1997

________

Excursus

Annex D
(informative)

Exposure profile and sampling duration

D.1 General

The total sampling duration is specified by the appraiser taking into account the workplace factors including tasks. The sampling duration should be representative for the reference period of the limit value controlled and should be established considering the concentration variability, the LOQ and other performance characteristics of the analytical method.

NOTE Figure D.1 to Figure 0.8 give exposure concentration C versus time t. For example, these traces can be obtained with continuous-reading instruments during the basic characterization (see 5.1.1).

D.2 Measurement for testing compliance with 8 h- OELV

a) Workplace factors are constant during the whole work shift (WS)

Total sampling duration (TSD) should be a minimum of 2 h.

The exposure of the sampling period can be considered representative of the exposure of the work shift duration (WS).
There are three alternatives in the following order of priority:

− Measure for the full shift (TSDmax);
− Measure for one period of exposure (at least 2 h) (TSDmin);
− Measure for more than one period of exposure (i.e. two periods of 1 h; TSDmin).

See Figure D.1.

Figure D1

Key

C exposure concentration
t time
1 TSDmax = WS
2 TSDmin = 2 h
3 and 4 TSDmin = 1 h + 1 h
5 WS

_______

Indice

Premessa 
A.1 General 
A.2 Workplaces with constant conditions 
A.3 Shortened exposure at workplaces with constant working conditions 
A.4 Workplaces involving occasional exposure 
A.5 Stationary workplaces with irregular exposure
A.6 Workers who move from a workplace to another with irregular exposure 
A.7 Workplaces with unpredictable, constantly changing exposure 
A.8 Outdoor workplaces 
A.9 Underground workplaces 
C.1 General 
C.2 Tier 1: Exposure index (IE)
C.3 Tier 2: Additive effect exposure index (IAE) 
C.4 Other approaches 
D.1 General 
D.2 Measurement for testing compliance with 8 h- OELV 
D.3 Measurement for testing compliance with short-term limit value 
E.1 General 
E.2 Graphical method 
E.2.1 Principle
E.2.2 Plotting 
E.2.3 Example 
E.2.4 Examples of SEGs requiring further consideration 
E.2.4.1 General 
E.2.4.2 SEG consisting of two groups
E.2.4.3 Some individuals with exceptional exposure 
E.2.4.4 Distributions appearing to be not lognormal
E.3 Statistical methods for the validation of SEGs
F.1 General
F.2 SEG compliance test for at least six exposure measurements 
F.3 Decision 
H.1 General 
H.2 Principle 
H.3 Example 
H.4 Uncertainty
H.5 Software 

Fonte: UNI

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Gestione emergenze studi professionali

ID 7888 | | Visite: 3947 | Documenti Sicurezza Enti

Gestione emergenze Studi Professionali

Studi professionali: come gestire le emergenze (primo soccorso e antincendio)

Guida informativa

L’emergenza è un fatto, una situazione, una circostanza diversa da tutti gli avvenimenti che normalmente si presentano sul luogo di lavoro e che può generare rischi per i lavoratori.
La regolamentazione legale applicabile in tali situazioni - in relazione a tutti i luoghi di lavoro (inclusi gli studi professionali) si rinviene agli artt. 43 e seguenti del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e
successive modifiche e integrazioni, di seguito d.lgs. n. 81/2008.

Il datore di lavoro dello studio professionale, come richiesto dall’art. 18, co. 1, lett. t), e puntualizzato dagli artt. 43, 44, 45 e 46 del d.lgs. n. 81/2008, deve adottare tutte le misure necessarie
ai fini della prevenzione incendi, dell’evacuazione dagli ambienti di lavoro nonché per i casi di pericolo grave ed immediato e deve organizzare il servizio di primo soccorso.

L’obbligo in parola si concreta, innanzitutto, nella designazione di alcuni lavoratori incaricati di:
- far rispettare le prescrizioni dirette ad evitare gli incendi e a contrastarli in caso di insorgenza;
- di organizzare l’evacuazione dai luoghi di lavoro di coloro
che sono esposti a pericolo grave ed immediato;
- e di eseguire le operazioni di salvataggio e le operazioni di primo soccorso.
Tali lavoratori devono, tenuto conto delle dimensioni ovvero dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva:
- essere adeguatamente formati;
- essere in numero sufficiente;
- disporre di attrezzature adeguate;
- e non possono, se non per giustificato motivo (es.: per ragioni di salute), rifiutare la designazione; per cui potrà verificarsi in concreto che:
- nelle realtà di ridotte dimensioni o di scarsi livelli di rischio - come per la maggior parte degli studi professionali - lo stesso lavoratore possa essere incaricato dell’attuazione sia del primo soccorso che della prevenzione incendi;
- mentre nelle aziende più grandi possano essere nominate “le riserve” per far fronte alle ferie o ad eventuali malattie.
In tutti i casi ogni scelta dovrà essere adottata dal datore di lavoro dello studio tenendo adeguatamente conto dell’organizzazione del lavoro (si pensi, ad esempio, al lavoro a turni, all’orario flessibile o alla presenza di lavoratori a tempo determinato).
Come puntualizzato dall’art. 44 del Testo Unico, il lavoratore che si allontana dal posto di lavoro in ragione del pericolo non evitabile non può subire per tale ragione pregiudizio né può subirne -
salva la ipotesi di grave negligenza - ove, nell’impossibilità di contattare il proprio superiore gerarchico (il quale potrà anche essere direttamente il datore di lavoro), si sia autonomamente attivato per evitare le conseguenze di tale pericolo.
...
segue in allegato

E.BI.PRO 2016

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Direttiva 2010/32/UE

ID 7879 | | Visite: 5293 | Legislazione Sicurezza UE

Direttiva 2010 32 UE

Direttiva 2010/32/UE

Direttiva 2010/32/UE del Consiglio, del 10 maggio 2010 , che attua l’accordo quadro, concluso da HOSPEEM e FSESP, in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario

GU L 134 del 01.06.2010

Attuata con il: 

D.Lgs. 19 febbraio 2014 n. 19 
Attuazione della direttiva 2010/32/UE che attua l'accordo quadro, concluso da HOSPEEM e FSESP, in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario. (GU n.57 del 10-03-2014)

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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 8094 | 25 Febbraio 2019

ID 7872 | | Visite: 2261 | Cassazione Sicurezza lavoro

Sentenze cassazione penale

Pericoloso scavo "al buio" e conseguente esplosione

Penale Sent. Sez. 4 Num. 8094 Anno 2019

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 16/11/2018

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Bologna il 23 novembre 2017, in parziale riforma della sentenza emessa il 19 dicembre 2016 dal Tribunale di Ferrara all'esito del dibattimento ed appellata dall'imputato, sentenza con la quale l'ing. S.S. è stato riconosciuto responsabile del reato di lesioni colpose nei confronti di M.B., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 31 maggio 2011, e, in conseguenza, condannato alla pena stimata di giustizia, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e valutate le stesse, unitamente a quella del risarcimento del danno (art. 62, n. 6, cod. pen.), già ritenuta in primo grado, equivalenti all'aggravante di cui all'art. 590, comma 3, prima parte, cod. pen., ha rideterminato, riducendola, la pena; con conferma nel resto.
2. I giudici di merito, in estrema sintesi, hanno ritenuto l'imputato, in qualità di direttore generale della società per azioni "C.A.D.F." e di sostanziale datore di lavoro dell'operaio M.B., responsabile delle lesioni gravi patite dal dipendente, che era intento ad attività di scavo e di perforazione sotto il manto stradale in un cantiere edile, in conseguenza dell'esplosione e dell'incendio causati dalla saturazione dei gas in prossimità della macchina spingitubo "Groundmat" che M.B. stava adoperando, malgrado tale attrezzatura non fosse stata adeguatamente considerata nel documento di valutazione dei rischi (acronimo D.V.R.) aziendale, che si riferiva a scavi a cielo aperto e non già a perforazioni sotto terra, e ciò specifico riferimento alla presenza di linee e di condutture interrate, non essendo stato - si è ritenuto - il dipendente informato, formato ed addestrato all'uso della macchina, con particolare riferimento al pericolo di esplosione e di incendio.
Premesso che la macchina spingitubo "Groundmat", secondo quanto si apprende dalle sentenze di merito, è un mezzo meccanico munito di centralina pneumatica e motore a scoppio provvisto di una punta in acciaio a forma di siluro utilizzato per perforazioni, sostanzialmente un martello pneumatico collegato ad un compressore, era accaduto che l'azione dello spingitubo condotto da M.B. aveva causato la rottura di una condotta di metano collocata sotto terra e che il gas, disperdendosi, aveva spento il motore, appunto a scoppio, della macchina, provocando, in conseguenza, un'esplosione con propagazione di fiamme da cui le lesioni al lavoratore.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore, che si affida a sei motivi, con cui denunzia promiscuamente difetto di motivazione e violazione di legge.
3.1. Con il primo motivo, censura difetto di motivazione in ordine all'assenza del nesso causale tra la condotta contestata (cioè omessa valutazione del rischio specifico nel documento di valutazione del rischio, D.V.R.) ed evento in concreto verificatosi e, nel contempo, violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. con riferimento alla mancata o insufficiente prova circa l'effetto impeditivo dell'evento della condotta alternativa lecita, ove posta in essere.
Assume il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe trascurato il motivo di appello contenuto alle pp. 6-7 dell'impugnazione di merito, incentrato sulla - ritenuta - assenza di incidenza causale nella verificazione del sinistro per la mancata predisposizione di una specifica previsione nel D.V.R. che ponesse l'obbligo di informazione preventiva sulla posizione delle tubazioni sotterranee anche in caso di perforazioni e non solo in caso di scavo effettuato a cielo aperto.
Sottolinea al riguardo come dalle stesse sentenze di merito si desume che la vittima fosse perfettamente consapevole sia del rischio di intercettare tubazioni sotterranee sia dell'obbligo di chiedere preventivamente informazioni sull'esatta posizione delle tubature. In conseguenza - evidenzia il ricorrente - l'operaio, non avendo ricevuto segnalazioni, ha ritenuto di procedere nella sicura convinzione di non incontrare ostacoli. Stante, dunque, la omessa attivazione da parte del coordinatore di zona P. - ritenuto il preposto - nel richiedere ai vari enti notizie circa l'eventuale presenza di condutture sotterrate, confidando nella conoscenza che derivava a P. dall'avere già lavorato in quel punto, anche valutando tale condotta come comportamento superficiale (come si legge alla p. 5 della sentenza di appello), non si comprende, ad avviso del ricorrente, quale incidenza causale concreta nell'infortunio possa avere avuto l'imperfezione o la inadeguatezza del D.V.R., dovendosi, invece, dimostrare che l'evento non si sarebbe realizzato ove il documento fosse stato più specifico, in particolare esplicitando che, anche in caso di perforazioni e non solo di scavi a cielo aperto, si dovessero previamente richiedere notizie agli enti gestori del terreno.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove la stessa ritiene necessario l'obbligo di effettuare sondaggi o misurazioni preventive in caso di perforazione.
Richiamato un passaggio motivazionale di cui alla p. 5 della sentenza impugnata, si assume che mai è stato contestato all'imputato di avere omesso sondaggi preventivi sul terreno, sicché si tratterebbe di una «tesi elucubrata - per la prima volta - dal giudice d'appello, mai sostenuta da alcuni in sede tecnica, pacificamente escluda dalla normativa tecnica [...]» (p. 7 del ricorso).
Si sottolinea, inoltre, a riprova della illogicità dell'affermazione criticata, che, in ipotesi, sarebbe ben più necessario il sondaggio del terreno nel caso di lavorazioni a cielo aperto che non già in caso di mere perforazioni, in entrambi i casi procedendosi "al buio" ma esercitando la benna di un'escavatrice una forza assai più intensa di quella derivante dall'uso di un mero spingitubo.
3.3. Con il terzo motivo, ci si duole di un preteso vizio di motivazione per manifesta illogicità e per travisamento di prova documentale quanto al corso di formazione frequentato dalla persona offesa.
Il giudice di primo grado, infatti, ad avviso del ricorrente, avrebbe trascurato di prendere in considerazione l'informazione probatoria che si trae da un documento, cioè dal contenuto delle slides proiettate nel corso tenuto il 29 aprile 2011 (acquisite all'udienza del 29 gennaio 2015 su iniziativa del P.M.), slides nelle quali si tratta delle modalità di perforazione dette "no dig" comparandole con le modalità "a cielo aperto". In luogo di trarre da tale dato le dovute conseguenze, che cioè la vittima avesse seguito apposito corso, il Tribunale ha seguito l'asserzione di B., che ha detto di avere frequentato - sì - un corso, come in effetti avvenuto, ma dopo il sinistro, ciò che, però, non elide la valenza della formazione eseguita prima.
La Corte di appello, ad avviso del ricorrente, «non incorre nello stesso travisamento e in un certo senso "corregge il tiro" preferendo insistere sulla carenza di professionalità del docente del corso, Arch. B., non appartenente alla ditta tedesca Tracto-Technik, produttrice dello specifico spingitubo, e non dalla stessa formata o istruita. Si sarebbe reso necessario un addestramento presso la ditta germanica o da questa organizzato, secondo una prescrizione cautelativa, contemplata dal manuale d'uso della casa tedesca. Senonchè l'argomento appare del tutto specioso e illogico, atteso che la ditta produttrice si preoccupa di sovraintendere alle informazioni che concernono l'uso e la manutenzione del mezzo, non certo per ciò che attiene alle informazioni ambientali ed esterne nel contesto in cui avviene la lavorazione, che possono essere le più svariate. In altri termini la cautela di rivolgersi agli enti gestori e gli accertamenti preliminari sulla individuazione della posizione esatta dei tubi sotterranei costituisce prescrizione che nulla ha a che vedere con le istruzioni che la ditta produttrice fornisce in ordine al corretto utilizzo dell'utensile, al suo funzionamento e alla sua manutenzione. Sarebbe come pretendere che la formazione per una guida sicura con l'automobile, in ossequio alla regole cautelari del codice della strada fosse fornita dai singoli fabbricanti delle autovetture, in conformità al manuale d'uso e manutenzione delle stesse. Se dunque la sentenza di primo grado sconta il travisamento della prova di cui si è detto, quella di secondo grado è del tutto illogica, nella parte de quo» (così alla p. 9 del ricorso).
3.4. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa in ordine alla prova del nesso causale tra l'omissione contestata (cioè inadeguata formazione ed addestramento) e l'evento in concreto verificatosi.
Ad avviso del ricorrente, il sinistro non si è verificato per malfunzionamento della macchina spingitubo o per un uso tecnicamente scorretto o maldestro e nemmeno perché M.B. ignorasse la necessità di richiedere informazioni preventive sulla presenza e, nell'affermativa, sulla posizione di tubi sotto il manto stradale, ma, anzi per la ragione contraria, in quanto la vittima, in ragione della formazione aziendale ricevuta, era consapevole dell'obbligo in capo al preposto, cioè P., di informarsi circa la eventuale presenza di tubazioni ed aveva, quindi, agito nella sicura convinzione di non intercettarle.
Secondo il ricorrente, le sentenze di merito difetterebbero di adeguato «ragionamento controfattuale che dia conto del legame eziologico fra omissione ed evento. Anche ammesso che il M.B. non avesse preso parte ad alcuna specifica formazione o addestramento per l'uso dello spingitubo, le sentenze non spiegano minimamente per quale motivo tale deficit culturale abbia inciso causalmente sull'evento. Invero, dalle dichiarazioni testualmente riportate in sentenza, egli si era correttamente rappresentato il pericolo di intercettare la tubazione, ma tale eventualità egli aveva escluso sulla base della mancata segnalazione di detta presenza da parte del soggetto obbligato [cioè il preposto P.]. Non ha alcuna importanza, e sul punto la sentenza impugnata denuncia illogicità manifesta, che il M.B. non avesse ricevuto un addestramento specifico dagli operatori Tracto-Technik, né che avesse utilizzato di rado lo spingitubo o che fosse alle prime armi (in realtà non era certo un principiante o un apprendista). L'evento non si è determinato in conseguenza di un uso scorretto dell'utensile o per incapacità tecnica o inesperienza, bensì a causa di una mancata, chiara, comunicazione da parte del preposto sulla presenza dei tubo sotterraneo, producendo nella persona offesa l'erroneo convincimento circa l'assenza di tubazioni intercettabili» (p. 11 del ricorso).
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura violazione degli artt. 2, comma, 1, lett. b), del d. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, 192 e 533 cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova con riferimento all'art. 20 dello statuto della soc. C.A.D.F., di cui l'imputato è direttore generale.
Premesso che la società in questione è strutturata su di un'assemblea dei soci, in cui sono presenti i sindaci dei Comuni di una determinata area geografica (il basso ferarrese), assemblea che nomina un consiglio di amministrazione con i compiti di amministrazione attiva, al cui vertice vi è un presidente che ha anche poteri di legale rappresentanza, si osserva che l'ing. S.S. non ha né compiti di indirizzo politico-strategico (che sono riservati all'assemblea dei soci) né di amministrazione o rappresentanza dell'ente (riservati al consiglio di 
amministrazione e al presidente), mentre è un dipendente con il ruolo di direttore generale, i cui compiti sono precisati dall'art. 20 dello statuto della società, cioè poteri di gestione del personale, adozione di provvedimenti migliorativi dell'attività tecnica e amministrativa, partecipazione alle commissioni di gara, ma è privo di poteri di spesa o di assunzione.
In conseguenza, erronea sarebbe la individuazione nelle sentenze di merito in capo all'imputato dei compiti del datore di lavoro di cui all'art. 2, comma 1, lett. b), d. Lgs. n. 81 del 2008, mancando i poteri decisionali e di spesa, non avendo il consiglio di amministrazione delegato gli stessi al direttore generale.
Altrettanto erronea e basata su mera, ma indimostrata, inferenza e, anzi, su una vera e propria presunzione, sarebbe l'attribuzione, alla p. 6 della sentenza impugnata, all'imputato del ruolo di amministratore di fatto, mentre altra cosa è l'assemblea dei soci (sindaci), altra invece è il consiglio di amministrazione, con al vertice il suo presidente, ed altra cosa, infine, è essere direttore generale.
La circostanza, evidenziata alla p. 6 della sentenza impugnata, che nel maggio 2008 proprio il direttore generale abbia,con propria delibera, costituito il servizio di prevenzione e protezione non dimostrerebbe l'assunzione da parte dello stesso di poteri datoriali; peraltro, nel capo di accusa si legge - del tutto erroneamente - che l'imputato è stato rinviato a giudizio in veste di legale rappresentante dell'ente, veste che, in realtà, non ha mai avuto.
3.6. Infine, lamenta violazione degli arti. 69, 132 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione, che si addita a mancante o meramente apparente, in relazione ai criteri di bilanciamento delle circostanze e alla commisurazione della pena.
Quanto al primo aspetto, la Corte di merito si sarebbe limitata - assai lacunosamente - ad affermare che la duplicità delle attenuanti induce a valutare le stesse equivalenti alle aggravanti (p. 6), senza spiegare l'iter logico seguito.
Erronea sarebbe, da ultimo, l'applicazione dell'art. 133 cod. pen., avendo la Corte di merito trascurato la lieve entità del fatto, la condotta processuale e l'incensuratezza dell'imputato.

Considerato in diritto

1. Premesso che il reato non è prescritto (fatto, 31 maggio 2011 + sette anni e sei mesi = 30 novembre 2019), il ricorso è infondato.
2. Quanto ai motivi di ricorso da nn. 1 a 4, la sentenza impugnata offre adeguata risposta (alle pp. 3-5) a tutte le questioni, sostanzialmente già poste con il primo motivo di appello (v. pp. 1-9 dell'impugnazione di merito, correttamente sintetizzate alle pp. 2-3 della decisione impugnata). 
Dalle motivazioni dei giudici di merito si desume che si trattava, in buona sostanza, di un cantiere in cui, dovendosi provvedere a scavare sotto terra in un tratto in cui potevano esservi pericolosi cavi di gas oppure elettrici sotterrati, attività di indubbia pericolosità, non si è provveduto, a causa di una lacunosa organizzazione aziendale, né ad informarsi sulla presenza (e, nell'affermativa, sull'eventuale collocazione) di tubazione non visibile, né ad informare e a formare adeguatamente il personale che doveva condurre il macchinario perforante, il cui costruttore peraltro aveva nel libretto del macchinario fornito espressamente indicazioni che sono risultate essere state disattese, sicché il personale, in pratica, scavava pericolosamente "al buio".
Quanto alla censura involgente la posizione di garanzia dell'imputato (motivo di ricorso n. 5), alle obiezioni già poste in appello (secondo motivo, pp. 10-13) offre risposta sufficiente (irrilevante essendo la - effettiva - imprecisione della Corte di appello nell'indicare una "anomalia" della società, segnalata alla p. 6 del ricorso) la Corte di merito.
Peraltro il ricorrente non tiene conto che la Corte di legittimità ha già - da tempo - condivisibilmente precisato che «In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore generale di una struttura aziendale è destinatario "iure proprio", al pari dei datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti» (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro Rv. 259228: cfr. spec. la relativa motivazione, sub punto n. 6 del "considerato in diritto").
Su tale premessa, a ben vedere, i giudici di merito hanno, con motivazione adeguata, posto in luce le carenze, sia organizzative che formative, riconducibili all'imputato.
Quanto, infine, all'ultimo motivo di ricorso (n. 6), che è incentrato sulla ritenuta illegittimità del trattamento sanzionatorio (sia in ordine al bilanciamento tra le circostanze sia in ordine al quantum di pena), si osserva che la motivazione esiste e che non è irragionevole ma, prima ancora, che le segnalate violazioni di legge non erano state previamente oggetto di appello (v. infatti l'impugnazione di merito): ne discende la - necessaria - conseguenza di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
3. Consegue dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/11/2018.

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Allegato riservato Penale Sent. Sez. 4 Num. 8094 Anno 2019.pdf
 
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Circolare del Ministero dell’Interno n. 99 del 15 ottobre 1964

ID 7864 | | Visite: 6353 | Prevenzione Incendi

Circolare del Ministero dell Interno n  99 del 15 ottobre 1964

Circolare del Ministero dell’Interno n. 99 del 15 ottobre 1964

Ossigeno liquido - Normativa di prevenzione incendi

Circolare del Ministero dell’Interno n. 99 del 15 ottobre 1964 - Contenitori di ossigeno liquido. Tank ed evaporatori freddi per uso industriale.

 La circolare n. 99/64 non si applica ai produttori di ossigeno liquido (Si applica solo agli utilizzatori) (Lettera circolare prot. n. 6735/4135 del 21 marzo 1979).

Molte industrie, laboratori, ospedali, sono stati indotti in questi ultimi anni ad installare per le necessità del loro esercizio dei serbatoi isolati sottovuoto contenenti ossigeno liquido, in aggiunta o in sostituzione delle riserve tradizionali di ossigeno compresso in bombole.

Tale nuovo sistema di accumulo d'ossigeno, derivato dalle sempre maggiori esigenze di impiego di tale gas, presenta notevoli, vantaggi per l'utilizzazione del gas e per quanto si riferisce alla sicurezza.
I contenitori possono avere funzione diversa:
a) stoccaggio di gas liquefatti di ossigeno, azoto e argon allo stato liquido ed in tale caso vengono denominati tank;
b) stoccaggio di gas con utilizzazione a mezzo di un gruppo speciale per la conversione del fluido del contenitore dallo stato liquido allo stato gassoso e in questo caso sono denominati "evaporatori freddi".

Gli evaporatori freddi sono dei particolari contenitori per gas liquefatti a bassissime temperature atti allo stoccaggio ed alla compressione di questi gas dallo stato liquido allo stato gassoso.

Le parti essenziali, le caratteristiche dell’impianto e degli apparecchi degli evaporatori freddi sono le seguenti:

1) Il contenitore è costituito da un recipiente in acciaio inossidabile nell'interno del quale si trova il gas liquefatto ad una pressione variante da 3 kg/cmq secondo il tipo di apparecchio.

Questo contenitore é posto in un involucro calorifugo in acciaio dolce a tenuta di vuoto; nell'intercapedine fra i due recipienti si trova un isolante polverulento sotto vuoto spinto. Il contenitore, concentrico rispetto all’involucro calorifugo, è sostenuto a mezzo di particolari tiranti dall’involucro calorifugo che poggia su una fondazione in calcestruzzo.

2) Il quadro di controllo comprende le valvole di comando, le valvole di sicurezza, uno o più manometri, un livello del tipo a manometro differenziale, regolatori di pressione e quant’altro necessita per il funzionamento automatico dell'impianto.

3) Il "vaporizzatore", é l'elemento che converte il gas dallo stato liquido allo stato gassoso e può essere di vari tipi in funzione della quantità di gas richiesto dall’utenza.

Principio di funzionamento

Il funzionamento degli evaporatori freddi é completamente automatico nell'esercizio e garantisce un'erogazione di gas in funzione della richiesta, senza alcuna variazione apprezzabile di pressione nella rete di distribuzione dell'utente.

Per gli automatismi incorporati nel quadro di controllo l’apparecchiò si trova sempre ad una pressione presso a poco uguale a quella normale di esercizio.

Pertanto il gas liquefatto é pronto a passare nel vaporizzatore per la sua conversione dallo stato liquido allo stato gassoso e la quantità di liquido in conversione é corrispondente al solo gas richiesto dall'utente.

Grazie a queste caratteristiche il gas liquefatto si trova nel contenitore calorifugato fino al momento della utilizzazione e non vengono così a crearsi aumenti di pressione per eccesso di vaporizzazioni non utilizzate.

Gli evaporatori freddi possono rimanere inattivi senza alcuna perdita per molti giorni, anche una settimana: tale periodo dipende dalla capacità dell'apparecchio, dalle condizioni di riempimento e dalla pressione di esercizio.

In considerazione del particolare sistema d'isolamento, l'evaporazione naturale, dovuta alla minima quantità di calore trasmesso dal'ambiente esterno, dà luogo ad un aumento di pressione talmente trascurabile da permettere un così lungo periodo d'inattività. Dopo un periodo d'inattività, se la pressione nel contenitore supererà la pressione normale di esercizio, solo il gas accumulato in pressione alimenterà la rete e ciò fino a quando la pressione nel contenitore avrà raggiunto le condizioni iniziali.

... segue in allegato

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Allegato riservato Circolare del Ministero dell’Interno n. 99 del 15 ottobre 1964.pdf
Ing. Mauro Malizia - Ossigeno liquido - norme di prevenzione incendi
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Decreto 18 luglio 2014

ID 7856 | | Visite: 4040 | Prevenzione Incendi

Decreto 18 luglio 2014

Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli interporti, con superficie superiore a 20.000 m², e alle relative attività affidatarie.

(GU n.173 del 28-07-2014)
_______

Att. 79 del DPR 1° agosto 2011, n. 151

Aerostazioni, stazioni ferroviarie, stazioni marittime, con superficie coperta accessibile al pubblico superiore a 5.000 m2; metropolitane in tutto o in parte sotterranee. 

N.

ATTIVITÀ

(DPR 151/2011)

CATEGORIA

A

B

C

79

Interporti con superficie superiore a 20.000 m2

 

 

Tutti

Equiparazione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82

--

Non presente nell’allegato al DM 16/02/82 in quanto attività di nuova istituzione

Tale attività viene equiparata, ai soli fini della determinazione degli oneri relativi alle prestazioni del Corpo Nazionale dei vigili del fuoco, all’attività 87 dell’allegato al DM 16/02/82.

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21° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

ID 7841 | | Visite: 10903 | Decreti Sicurezza lavoro

21° Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche 

25 Febbraio 2019

Elenco dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche

Pubblicato il Decreto Direttoriale n. 8 del 25 Febbraio 2019

Con il Decreto direttoriale n. 8 del 25 Febbraio 2019, è stato adottato il ventunesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell'Allegato III del d.i. 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l'effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell'art. 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Il suddetto decreto è composto da sei articoli:

- all'articolo 1 è rinnovata l'iscrizione per i soggetti per i quali la Commissione di cui al d.i. 11 aprile 2011 ha potuto tempestivamente concludere la propria istruttoria;
- all'articolo 2 sono apportate le variazioni alle iscrizioni già in possesso sulla base delle richieste pervenute nei mesi precedenti;
- all'articolo 3, vengono ulteriormente prorogati i soggetti ivi indicati per i quali è tuttora in corso l'attività di istruttoria tecnica da parte della Commissione di cui al d.i. 11 aprile 2011 delle istanze di rinnovo dell'iscrizione quinquennale, al fine di garantirne - la continuità operativa e l'iscrizione nell'elenco dei soggetti abilitati;
- all'articolo 4 è riportata la cancellazione dall'elenco dei soggetti abilitati;
- all'articolo 5 viene specificato che con il presente decreto si adotta l'elenco aggiornato, in sostituzione di quello adottato con il decreto del 10 agosto 2018, n. 72;
- all'articolo 6 sono riportati, come di consueto, gli obblighi cui sono tenuti i soggetti abilitati.

 Fonte: MPLS

Tutti gli elenchi pubblicati

D.M. 11 aprile 2011 Verifica impianti e attrezzature

Consulta il database dei Soggetti abilitati 

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