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Sentenza Consiglio di Stato n. 212 del 09 gennaio 2020

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Sentenza Consiglio di Stato n  212 del 09 gennaio 2020

Sentenza Consiglio di Stato n. 212 del 09 gennaio 2020 

E' necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un’opera che trasforma in modo durevole l’assetto edilizio del territorio e dunque qualificabile come intervento di nuova costruzione.

La Sentenza Consiglio di Stato n. 212 del 09 gennaio 2020 ha espresso i seguenti principi:

- il muro di cinta o di contenimento è struttura che - differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale ha caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà - non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato;
- il concetto di nuova costruzione è comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora delle opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi;
- in materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione.

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FATTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, il sig. -OMISSIS-impugnava l’ordinanza n. -OMISSIS-del Commissario prefettizio del Comune di San Felice Circeo, con cui gli erano state ingiunte la sospensione dei lavori e la demolizione relativamente alla realizzazione di un muro di contenimento di altezza variabile da m. 1,50 a m. 2,50 e lungo mt. 8 circa, interessante una superficie di mq. 16, eretto abusivamente in -OMISSIS-, in zona “Centro storico”, soggetta a vincolo panoramico e paesaggistico ex lege 29 giugno 1939, n. 1497 e nella quale il P.R.G. consentiva solo il risanamento igienico ed il restauro conservativo e non anche la realizzazione di nuove opere, comportanti la trasformazione dello stato dei luoghi
Con sentenza n. -OMISSIS-il T.A.R. adito respingeva il ricorso.
Il sig. -OMISSIS-ha appellato la sentenza di primo grado per ottenere, in sua riforma, l’annullamento del provvedimento sindacale.
Il 26 giugno 2015 si è costituito per l’appellante un nuovo difensore, per il decesso del precedente.
L’appellante ha prodotto una memoria a sostegno delle proprie ragioni. Con ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, rilevata l’assenza del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, la trattazione della causa è stata rinviata nelle more della sua acquisizione, successivamente avvenuta al fascicolo informatico.
Alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è affidato a tre motivi di critica della decisione di primo grado.
Con un primo motivo, l’appellante si duole dell’avvenuto rigetto, da parte del T.A.R., della censura basata sull’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio, motivato sul rilievo della natura vincolata del provvedimento e sulla conseguente applicabilità dell’art. 21 octies della legge n. 241/90.
Il motivo è infondato, essendo ormai pacifico che, per la sua natura di atto vincolato, ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive che ne rendono doverosa l’adozione, l’ordine di demolizione non richiede la preventiva comunicazione di avvio del procedimento (ex multis, C.d.S., sez. IV, 27 maggio 2019, n. 3432; sez. II, 20 maggio 2019, n. 3208).
Con un secondo motivo, l’appellante sostiene che il Giudice di primo grado non avrebbe potuto decidere la causa disattendendo una sua precedente istanza di cancellazione dal ruolo, alla quale la controparte non si sarebbe opposta.
Anche questo motivo è infondato.
Non sussiste, difatti, un diritto delle parti in causa al rinvio della discussione del ricorso od alla cancellazione della causa dal ruolo, atteso che, pur non potendo revocarsi in dubbio che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti (C.d.S., sez. III, 30 novembre 2018, n. 6823; sez. IV, 13 febbraio 2018, n. 886; sez. III, 8 giugno 2017, n. 2775).
Con un ultimo motivo l’appellante contesta il rigetto del motivo del ricorso di primo grado con cui aveva sostenuto che l’opera, consistente in un muro di contenimento che si sarebbe reso necessario nel corso di lavori di manutenzione della fossa settica della sua abitazione, sarebbe stata prettamente funzionale alla costruzione principale e, per la sua natura di opera pertinenziale, non avrebbe necessitato del permesso di costruire.
Il T.A.R. ha respinto il motivo osservando in contrario, per un verso, che “il muro realizzato dal ricorrente, siccome descritto dal Comando dei VV.UU nel rapporto del - OMISSIS-, travalica i ristretti limiti imposti dalla disciplina di PRG, non potendosi ricondurre né ad un intervento di risanamento igienico né ad un restauro conservativo di volumi esistenti” e, per altro verso, che “la edificazione di un muro di contenimento costituisce un’opera di carattere permanente che richiede la concessione edilizia, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio”.
L’appellante insiste che il manufatto non avrebbe richiesto la concessione edilizia, trattandosi di muretto di contenimento pertinenziale all’utilizzo della fossa settica di un immobile preesistente, criticando la sentenza appellata per non esservi esposte le ragioni in base alle quali il Giudice di prime cure avrebbe ritenuto di discostarsi dal diverso convincimento espresso dal Giudice penale nel provvedimento di dissequestro dell’immobile.
Il motivo è infondato.
La sentenza appellata è, difatti, conforme alla consolidata giurisprudenza in materia, sia amministrativa che penale.
Secondo questo Consiglio, infatti, “il muro di cinta o di contenimento è struttura che - differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale ha caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà - non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato” (ex ceteris C.d.S., sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169, anche per la precisazione che il concetto di nuova costruzione “è comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora [del]le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi”), mentre, per la Corte di cassazione, “in materia  edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione” (Cass., sez. III pen., 21 novembre 2018, n. 55366, con richiami ad altri precedenti della giurisprudenza penale di legittimità).
Di questi principi il T.A.R. ha fatto corretta applicazione, considerate le dimensioni del manufatto in questione, lungo circa 8 metri e di altezza variabile da m. 1,50 a m. 2,50.
Infine, quanto all’invocato diverso apprezzamento dell’opera da parte del Giudice penale, peraltro ai limitati fini della misura cautelare reale, è sufficiente rammentare che persino il giudicato penale non è vincolante nei confronti di altri soggetti che siano rimasti estranei al processo penale, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda (come, nel caso di specie, il Comune appellato), e che, comunque, il vincolo, sotto il profilo oggettivo, copre solo l’accertamento dei fatti materiali e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile (C.d.S., sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2864).
Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere integralmente respinto.
Nulla va disposto per le spese, non essendo costituita l’amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.

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