Cassazione Penale Sez. 4 del 16 maggio 2025 n. 18437
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Cassazione Penale Sez. 4 del 16 maggio 2025 n. 18437
ID 24011 | 23.05.2025 / In allegato
Omessa manutenzione alle presse piegatrici. Mancanza di misure organizzative e mezzi adeguati a ridurre i rischi conseguenti alla movimentazione manuale di carichi
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18437 Anno 2025
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere
Dott. MARI Attilio - Consigliere
Dott. D'ANDREA Alessandro - Relatore
Dott. SESSA Gennaro - Consigliere
1. Con sentenza del 16 maggio 2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia del locale Tribunale del 14 aprile 2023 con cui A.A. era stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del delitto di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen.
All'imputato, in particolare, era stato contestato di avere, nella qualità di datore di lavoro e titolare della Carpentiere Meridionali Srl, per colpa, consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché per violazione della normativa a prevenzione degli infortuni sul lavoro prevista dagli artt. 71, comma 4, e 168, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, omesso di prendere le misure necessarie a garantire la permanenza dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro, ossia di effettuare regolare manutenzione alle presse piegatrici ovvero di disporne la relativa dismissione, altresì omettendo di adottare le misure organizzative necessarie, con fornitura al lavoratore C.C. di mezzi adeguati a ridurre i rischi conseguenti alla movimentazione manuale di carichi, in tal maniera cagionando al suddetto C.C. lesioni personali gravi.
1.1. Nello specifico, il lavoratore aveva torto, nel tentativo di effettuarne la relativa piegatura, una lamiera a forma rettangolare di acciaio della misura di mt. 1,70 x 0,65, con spessore di mm. 15 e peso di circa Kg. 60, in conseguenza dell'utilizzo di una pressa non compatibile con la misura di tale lamiera.
Per l'effetto, in adesione alle disposizioni impartitegli dal datore di lavoro, il C.C. aveva portato la lamiera su di un'altra pressa, allo scopo di eliminarne le deformazioni e di poterla raddrizzare, ove tuttavia, dopo averla posizionata sui profilati del basamento della raddrizzatrice mediante l'utilizzo manuale di un palanchino metallico, tale utensile aveva perso aderenza con la lamiera, facendola poggiare sul basamento in modo tale da procurargli lesioni personali.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A., a mezzo del suo difensore, deducendo tre motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito vizio di motivazione in ordine al disposto riconoscimento della sua responsabilità penale, innanzi tutto ravvisando la sussistenza di una motivazione contraddittoria e manifestamente illogica rispetto alla decisione assunta in primo grado, avendo tale ultima configurato la sua responsabilità penale per non avere adottato la specifica misura antinfortunistica di apporre barre metalliche sulla pressa - come effettivamente poi installate dopo la verificazione dell'incidente, in ottemperanza alle prescrizioni impartite dall'ASL - che avrebbero garantito alla persona offesa di svolgere le sue mansioni in condizioni di assoluta sicurezza e senza la necessità di effettuare interventi manuali, mentre nella sentenza di appello il presidio di sicurezza adeguato sarebbe stato individuato nel posizionamento di barriere metalliche intorno alla pressa, così da impedire ogni accesso ai lavoratori.
Tale discrasia nell'individuazione del presidio di sicurezza omesso, delle caratteristiche tecniche che tale ultimo avrebbe dovuto avere e delle ragioni per cui la relativa adozione avrebbe scongiurato la verificazione dell'infortunio, renderebbero l'adottata motivazione solo apparente circa l'individuazione del comportamento alternativo lecito che il ricorrente avrebbe dovuto tenere e della sua valenza impeditiva rispetto all'evento. In ogni caso esso, per come individuato dalla Corte di appello, risulterebbe in contrasto con le prove dichiarative e documentali acquisite, e in particolar modo con quanto precisato dall'Ispettore B.B. nel verbale di accertamento da lui redatto e nella sua testimonianza.
Sarebbe, inoltre, viziata la sentenza impugnata per avere espresso una motivazione apparente circa l'esistenza di massime di esperienza e di leggi statistiche di copertura applicabili al caso di specie, in quanto solo genericamente indicate, senza la possibilità di verificarne la loro effettiva validità.
Il secondo giudice avrebbe, poi, errato nel non avere considerato il contenuto della testimonianza resa dal responsabile dei servizi di prevenzione e protezione Iommelli Salvatore, che aveva adeguatamente descritto le procedure di sicurezza vigenti prima dell'infortunio del C.C., e da tale ultimo disattese in occasione dell'incidente, per cui il posizionamento delle lamiere non avrebbe dovuto essere effettuato manualmente, e men che meno per il tramite di un palanchino, dovendosi, all'uopo, utilizzare carriponte muniti di paranchi e di appositi ganci magnetici, idonei a movimentare meccanicamente le lamiere, ad un'opportuna distanza di sicurezza. Solo la realizzazione del lavoro con tale modalità, e non quindi con l'apposizione, successivamente effettuata, di barre metalliche sulla pressa, avrebbe effettivamente consentito di impedire la verificazione dell'evento.
Non sarebbe risultata, poi, circostanza veritiera neanche quella per cui vi sarebbe stata una prassi aziendale, comunemente osservata da parte dei lavoratori, per cui la movimentazione delle lamiere era da effettuarsi manualmente, trattandosi di aspetto ritenuto dai giudici di merito a seguito di un palese travisamento probatorio.
In senso contrario, invece, l'incidente si sarebbe verificato quale conseguenza di una condotta abnorme posta in essere dalla vittima che, in maniera del tutto eccentrica, aveva utilizzato uno strumento pericoloso su una pressa in movimento, così violando le procedure di sicurezza adottate in azienda.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 131-bis e 133, comma 1, cod. pen., oltre ad omessa motivazione, lamentando il mancato riconoscimento della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Avrebbero, in particolare, errato i giudici di secondo grado per non avere considerato, ai fini della concessione dell'invocata causa di non punibilità, aspetti quali: la positiva condotta da lui tenuta successivamente al reato, desumibile da N'effettuato adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza dell'ASI, e dall'avvenuto pagamento dell'oblazione, con conseguente estinzione delle violazioni infortunistiche contestategli; il concorso di colpa avuto dalla persona offesa nella verificazione dell'incidente; la scarsa durata, pari a soli 8 giorni, dell'incapacità del C.C. di attendere alle sue normali occupazioni; l'insussistenza di una particolare gravità delle lesioni cagionate.
Con il terzo motivo, infine, il ricorrente ha eccepito violazione degli artt. 62-bis e133 cod. pen., oltre ad omessa motivazione, lamentando la mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, attesa la ricorrenza, nel caso di specie, di circostanze fattuali idonee a consentirne l'applicazione.
3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
1. Il Collegio ritiene che i motivi dedotti dal ricorrente non siano manifestamente infondati, per cui deve, conseguentemente, prendere atto dell'intervenuta prescrizione del reato, pronunciando l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
2. Non manifestamente infondato, in particolare, è il motivo di doglianza con cui il ricorrente ha lamentato vizio di motivazione in ordine all'omesso riconoscimento in suo favore della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis cod. pen., non avendo la Corte di merito espresso valutazione anche su aspetti quali l'episodicità del fatto, avvenuto in un contesto di non particolare insicurezza, e la condotta tenuta dall'imputato successivamente alla commissione del reato, consistita nell'effettuato adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza dell'ASL, e nell'avvenuto pagamento dell'oblazione, con conseguente estinzione delle violazioni infortunistiche contestategli.
3. Ne deriva la non manifesta infondatezza del motivo indicato, che fa ritenere ben radicato il grado di giudizio dinanzi a questa Corte di legittimità, inducendo alla conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
La commissione del reato, infatti, risale al 12 dicembre 2016, per cui il termine prescrizionale massimo di anni sette e mesi sei, di cui al combinato disposto agli artt. 157, comma 1, e 161, comma 2, cod. pen., in assenza di atti interruttivi o sospensivi, si è compiuto il 12 giugno 2024.
È, poi, appena il caso di sottolineare come la maturata prescrizione renda superfluo ogni possibile approfondimento nel merito. Ed infatti, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01).
Non ricorrono, infine, le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito exart. 129, comma 2, cod. proc. pen., tenuto conto delle congrue e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di merito nella sentenza impugnata.
Non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" (cioè presa d'atto), la necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, in motivazione), discende, di necessità, la pronunzia dell'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2025.
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