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Sentenza CP Sez. IV n.14799 del 15 aprile 2025

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CP  Sez  4 del 15 aprile 2025 n  14799

CP Sez. 4 del 15 aprile 2025 n. 14799 / Disturbo da panico in relazione alla costante adibizione al lavoro notturno

ID 23932 | 05.05.2025 / In allegato

Cassazione Penale Sez. 4 del 15 aprile 2025 n. 14799 - Malattia professionale "disturbo da panico" in relazione alla costante adibizione al lavoro notturno

Cassazione Penale Sez. 4 del 15 aprile 2025 n. 14799 
Composta da
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere
Dott. BRUNO Mariarosaria - Relatore
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere 

Fatto

1. A.A., parte civile costituita nel giudizio a carico di B.B., C.C., D.D. e E.E., ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Bologna in data 26/3/2024, con cui i predetti imputati sono stati assolti dal reato di cui agii artt. 40 cpv., 590, commi 1, 2, 3 e 5, cod. pen. in suo danno per insussistenza del fatto.

Era contestato agii imputati, nelle rispettive qualifiche aziendali, di aver, cagionato, o quantomeno non impedito, per colpa generica e specifica, l'insorgenza di una malattia professionale ("disturbo da panico") nella persona offesa, dipendente dello stabilimento Lidl di M, la cui durata era stimata in almeno 54 giorni.

I profili di colpa a ciascuno ascritti nella imputazione, da cui era dipesa a malattia professionale contestata, discendono dalle seguenti condotte.

E.E., in qualità di caporeparto magazzino uscita merci della Direzione Regionale Lidl di M, aveva assegnato lunghi periodi dì lavoro notturno alla persona offesa si era ripetutamente intromesso nella vita extralavorativa di A.A. le aveva mosso numerosi rimproveri verbali gravemente offensivi aveva esercitato pressioni sulla vittima perché sì recasse al lavoro nonostante ella si trovasse in malattia aveva assunto comportamenti minacciosi aveva attribuito alla lavoratrice compiti inutili o squalificanti aveva avanzato richieste di natura sessuale.

B.B., in qualità di procuratore speciale della ditta, con poter decisionali e di spesa ai fini dell'adempimento degli obblighi di cui al D.Lgs. 81/08 C.C., in qualità di coordinatore regionale logistica della Direzione regionale di M, con piena autonomia e responsabilità nella gestione e controllo di tutte le attività intese a dare attuazione alle norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro D.D., nella qualità di coordinatore regionale amministrativo della Direzione regionale di M, omettevano di effettuare una valutazione dei rischi da stress lavorativo a cui erano esposti i dipendenti, avendo predisposto un documento valutazione rischi del tutto generico, redatto senza la consultazione dei Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e firmato da B.B., il quale non era datore di lavoro, in violazione degli artt. 28, comma 1-bis e comma 2 lettera a) primo periodo, 29, comma 2,D.Lgs. 81/08. In tal modo, tutti costoro consentivano che A.A. venisse adibita costantemente al lavoro notturno, senza tener conto delle sue condizioni di salute e non attivando per lei la sorveglianza sanitaria specifica prevista dall'articolo 14, comma 1, D.Lgs. n. 66 dell'8/4/2003, in violazione dell'art. 18 comma 1 lett. c) del D.Lgs. 81/08.

2. Il primo giudice aveva ritenuto integrata la fattispecie in contestazione, ravvisando un legame causale tra le condotte contestate ai singoli imputati e la patologia riscontrata sulla persona offesa, pervenendo alla condanna dei predetti imputati.

La Corte d'Appello di Bologna, sulla base dello stesso materiale probatorio esaminato dal giudice di primo grado, è andata in diverso avviso, ritenendo indimostrato che la genesi della patologia osservata nella vittima fosse correlata all'ambiente lavorativo ed alle mansioni a cui era stata adibita. Ha osservato n proposito come la depressione e lo stress diagnosticato alla persona offesa potessero trarre origine anche da altri fattori causali concorrenti e potenzialmente assorbenti. Ha quindi concluso la Corte territoriale che non sarebbe da escludersi che il quadro di ansia e lo stato depressivo insorti nella persona offesa fossero correlati alla fibromialgia dalla quale la parte civile è risultata affetta, predisponente a detti disturbi.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della parte civile, che, in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1 disp. att. cod. proc. pen., ha articolato i seguenti motivi di doglianza.

3.1 Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all'art. 590cod. pen., con particolare riferimento alla parte della sentenza in cui si nega l'esistenza di un nesso eziologico tra a patologa sviluppata dalla persona offesa nel corso dell'attività lavorativa e !e condotte serbate dagli imputati vizio di motivazione per essere la pronuncia della Corte d'appello affetta da contraddittorietà ed illogicità in ordine all'esame di punti decisivi della vicenda processuale vizio di motivazione per assenza di una motivazione "rafforzata".

3.2. Vizio di motivazione per non avere la Corte d'appello valutato correttamente le oggettive risultanze dibattimentali.

4. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, a cui sì è riportato in udienza, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Le difese degli imputati e del responsabile civile hanno depositato articolate memorie scritte, nelle quali, con argomentazioni del tutto sovrapponibili, lamentano come il ricorso proposto dalla parte civile sia inammissibile, pretendendo una non consentita rivalutazione nel merito delle emergenze processuali.

Hanno inoltre evidenziato come i motivi proposti siano del tutto generici ed aspecifici circa la prospettata violazione dell'art. 590cod. pen., oltreché connotati aa evidenti errori, palesati dal richiamo, nel titolo del secondo motivo di ricorso, all'art. 468cod. pen., del tutto inconferente in relazione alla vicenda in esame.

Hanno quindi concluso chiedendo la declaratoria d'inammissibilità del ricorso o in subordine, il suo rigetto con ogni conseguenza di legge.

Diritto

1. Il primo motivo di ricorso, con valore assorbente rispetto ad ogni ulteriore doglianza, è fondato e deve essere accolto nei limiti e con le precisazioni di seguito indicate.

Occorre premettere che, in base ai principi ripetutamente affermati da questa Corte, in caso di ribaltamento della pronuncia di condanna, il giudice di appello, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente parte civile, non sia tenuto ad esprimere una motivazione c.d. "rafforzata".

Con specifico riguardo al caso che occupa, si è affermato che il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che dia una razionale giustificazione della difforme decisione adottata, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, specie se di carattere tecnico-scientifico, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado (cfr. Sez. U, n. 14800 del 21/12/2.017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 così massimata "Il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva").

La motivazione c.d. "rafforzata", richiesta in caso di ribaltamento delia pronuncia assolutoria di primo grado, comporta invece che il giudice non debba limitarsi ad indicare in modo puntuale le ragioni per cui ha ritenuto che le prove acquisite posseggano una valenza dimostrativa diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, ma esprima un apparato giustificativo in grado di conferire alla decisione una forza persuasiva maggiore rispetto a quella adottata dal primo giudice. Ciò in quanto l'affermazione di penale responsabilità richiede che la colpevolezza sia accertata "al di là di ogni ragionevole dubbio", mentre l'assoluzione postula la mera non certezza della colpevolezza (in argomento si veda quanto condivisibilmente sostenuto da Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021, Sisti, Rv. 281016-02: "Nel giudizio di appello, in caso di diversa valutazione dei materiale probatorio in primo grado ritenuto idoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, per la riforma della sentenza non occorre che la motivazione esprima una forza persuasiva superiore, ma è sufficiente che la diversa valutazione sia dotata di pari o addirittura minore plausibilità di quella operata dai primo giudice, perché l'assoluzione a differenza della condanna ro presuppone la certezza dell'innocenza ma !a mera non certezza della colpevolezza").

3. Nel primo motivo di ricorso, pur facendosi erroneamente richiamo alla necessità di una motivazione rafforzata da parte del giudice d'appello, la difesa comunque evidenzia, in modo pertinente, la mancanza nella motivazione della sentenza impugnata di un effettivo confronto con le argomentazioni contenute nella pronuncia di primo grado riguardanti l'accertamento della patologia da cui risultava affetta la parte offesa ed il collegamento delle sue origini con l'ambiente e !'attività lavorativa, che hanno indotto il primo giudice a ritenere sussistente l'ipotesi della malattia professionale.

I temi riguardanti la patologia sofferta da A.A. e le cause di essa sono stati affrontati in diversi passaggi motivazionali della sentenza di primo grado. Il Tribunale ha esaminato il contenuto delle testimonianze rese da G.G., dirigente medico del Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell'U.S.L. R, dal C.T. medico H.H., dal C.T. medico I.I. e dalla psicologa e psicoterapeuta J.J., osservando come tutti costoro avessero riconosciuto l'esistenza cii disturbi di ansia e disturbi di attacchi di panico correlati al vissuto lavorativo della persona offesa, manifestatisi nel periodo in contestazione.

In ragione delle emergenze processuali desunte dalle deposizioni provenienti dai medici citati, il Tribunale, alle pagine 14 e 15 della sentenza, ha ritenuto che fosse stata dimostrata la patologia insorta nella parte civile ed il fattore causale di essa, riconducibile ai comportamenti vessatori serbati alla E.E. nel corso dell'attività lavorativa ed al fatto che venisse costantemente adibita al lavoro notturno (cfr. pag. 15 della sentenza "tutti i sanitari intervenuti da quelli appartenenti al CSM, a I.I. e a H.H. convengono sul fatto che la malattia professionale in danno alla A.A. si sia concretizzata, fornendo, sul punto, elementi che appaiono, con tutta franchezza, incontrovertibili").

La Corte d'Appello, dal canto suo, dopo avere richiamato il contenuto delle testimonianze assunte nel corso della istruttoria dibattimentale, nei termini indicati nella sentenza di primo grado, ha ritenuto di approdare a diverse conclusioni senza confrontarsi in alcun modo con l'apparato giustificativo offerto dal Tribunale in ordine alla esistenza ed alla genesi della patologia accertata nella persona offesa. La Corte territoriale si è infatti limitata ad affermare che sono emerse "disomogeneità delle diagnosi espresse da più medici variamente specializzati" in ordine alla patologia riscontrata nella A.A. e che non risulta acclarata la genesi della depressione e dello stress manifestato dalla lavoratrice., avanzando l'ipotesi che gli stati d'ansia potrebbero non avere avuto una eziologia professionale. Così argomentando, tuttavia, non ha dato conto delle effettive ragioni per le quali ha inteso discostarsi dalle giustificazioni addotte dal primo giudice, astenendosi dal confutare gli argomenti contenuti nella sentenza di primo grado che avevano ricondotto le cause della patologia ai comportamenti serbati dal caporeparto della persona offesa.

Risulta dunque evidente la violazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite Troisi, sopra richiamata, in base ai quali il giudice che intenda sovvertire la pronuncia di condanna sia tenuto a fornire una puntuale, razionale giustificazione della difforme conclusione adottata.

4. Da quanto precede discende l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.

Ai sensi dell'art. 52, comma 3,D.Lgs. n. 196/2003 si dispone che in caso di diffusione del provvedimento venga omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità. Ai sensi dell'art. 52, co. 3D.Lgs. n. 196/2003, dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento venga omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2025.

Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2025.

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