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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 26481 | 11 Luglio 2022

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 3 dell' 11 luglio 2022 n. 26481

Esplosione mortale nel reparto produzioni chimiche. Errori fatali della vittima ma nessun comportamento abnorme. Necessari investimenti volti al miglioramento delle centrifughe

Penale Sent. Sez. 3 Num. 26481 Anno 2022
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: CORBETTA STEFANO
Data Udienza: 31/05/2022

Ritenuto in fatto

1. Giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 4, con sentenza n. 17189 dell'11 gennaio 2019, con l'impugnata decisione la Corte di appello di Torino, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'esame dei testi W. L., N. S., M.V. e ing. B., in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Novara e appellata dal pubblico ministero, condannava V.R. e A.F. alla pena ritenuta di giustizia, condizionalmente sospesa, in relazione al delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme antinfortunistiche.
La vicenda si riferisce all'infortunio mortale avvenuto nel reparto produzioni chimiche della "Divisione Unibios" della Soc. ABC farmaceutici S.p.a. in data 4 maggio 2007. M.P., il lavoratore poi deceduto, prendeva servizio alle ore 22, essendo addetto alla macchina centrifuga C11, utilizzata per la centrifugazione dei prodotti chimici con solventi infiammabili ed utilizzata anche per la produzione dell'acido colico. Per la corretta esecuzione di tale ciclo produttivo, a fini di sicurezza, occorreva tenere sotto controllo la concentrazione di ossigeno tramite l'aggiunta di gas inerti e la pressione all'interno della macchina. Prima di avviare il ciclo in sicurezza, era necessario inertizzare l'apparecchiatura, il che avveniva in modalità automatica. La centrifuga doveva essere caricata progressivamente con dosi parziali della miscela che riempivano la vasca della quantità di prodotto dovuta, per verificare la quale non esisteva alcun sistema strumentale, essendo rimessa al controllo visivo del lavoratore.
All'inizio del suo lavoro, il M.P. aveva effettuato lo scarico dei prodotti, l'insaccamento dell'acido colico presente della centrifuga dopo l'esaurimento completo del ciclo di lavoro, lo svuotamento del sacco e il reinserimento del suo contenuto nella centrifuga, la chiusura della macchina e l'avviamento della stessa. A quel punto, secondo quanto si ricava dalla lettura degli atti, si verificavano l'esplosione e l'incendio; il M.P. veniva colpito al capo dal coperchio della centrifuga e raggiunto dalle fiamme.
La causa della esplosione era individuata nella mancata inertizzazione dell'apparecchiatura: la valvola che consentiva il passaggio dell'azoto nella centrifuga esplosa, infatti, era stata trovata chiusa e il commutatore risultava in posizione "manuale", il che aveva consentito l'avvio della centrifuga nonostante che la percentuale di ossigeno presente rispetto a quella dell'azoto fosse al di sopra dei livelli di sicurezza in relazione all'infiammabilità del composto che vi circolava all'interno. Il M.P. aveva potuto avviare il ciclo, sebbene la valvola di azoto fosse chiusa, perché l'impianto si trovava in modalità "manuale" che era attivabile mediante l'inserimento della chiave di sicurezza nel selettore.

2. Per una migliore comprensione della vicenda, appare utile dar conto delle pronunce sin qui intervenute.
2.1. Il Tribunale di Novara aveva assolto gli imputati perché il fatto non sussiste, sul presupposto che la causa dell'infortunio fosse da ascriversi alla condotta esorbitante del lavoratore che aveva attuato una procedura del tutto differente da quella prevista. Riteneva privo di consistenza il rilievo riguardante la pretesa mancata informazione del lavoratore rispetto alle "corrette modalità di inertizzazione" del macchinario, da effettuarsi in modalità "automatico", perché relative a dettagli operativi di una fase che egli aveva completamente omesso di attuare e rilevando che il lavoratore aveva partecipato ad attività di informazione e formazione per un totale di ventidue ore e quindici minuti.
2.2. In accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero, la Corte d'appello aveva affermato che il sovvertimento dell'esito assolutorio non era dipeso da una diversa valutazione delle prove dichiarative decisive, ma da una diversa e più appropriata valutazione giuridica della vicenda, dovendosi ritenere escluso il comportamento eccentrico ed esorbitante del lavoratore. Secondo la Corte di merito, l'infortunio era dipeso da una gestione sconsiderata del possesso delle chiavi che permettevano il passaggio dalla modalità automatica - che garantiva la inertizzazione del macchinario prima dell'avvio del ciclo produttivo - alla modalità manuale. Quindi, aveva ravvisato la responsabilità di chi, a diverso titolo, non aveva provveduto alla procedimentalizzazione in modo rigoroso della custodia e dell'utilizzo della chiave di sicurezza.
La Corte aveva individuato i profili di colpa, con riferimento al V.R., delegato in materia di sicurezza della divisione, nel suo disinteresse verso l'aspetto della gestione delle chiavi, da reputarsi di rilievo determinante per la sicurezza dello svolgimento dell'attività produttiva; con riferimento al A.F., responsabile del servizio di prevenzione e di protezione aziendale, nella mancata valutazione di tale rischio.
2.3. In accoglimento dei ricorsi proposti dagli imputati, con la sentenza rescindente, dopo aver richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rinnovazione della istruttoria dibattimentale conseguente al ribaltamento del giudizio assolutorio operato nella sentenza d'appello, la Corte ha ritenuto fondato i motivi relativi alla violazione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
In particolare, si legge nella sentenza, "con rilievo di carattere assorbente rispetto ad ogni altra deduzione difensiva, (... ) la Corte d'appello avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale, provvedendo ad escutere nuovamente quei testimoni che dovevano ritenersi decisivi sia rispetto alla valutazione operata dal Giudice di primo grado, sia rispetto alla diversa valutazione operata in sentenza dalla Corte territoriale, la quale nella prova dichiarativa trova indubitabilmente il suo centro, a cominciare dalla stessa ricostruzione del fatto. Deve all'uopo rilevarsi che l'affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale non sarebbe necessaria la rinnovazione, essendo la condanna incentrata sulla valutazione giuridica del comportamento del lavoratore - di cui la Corte di merito ha escluso la esorbitanza - è da ritenersi riduttiva e non soddisfacente: essa non esaurisce le reali problematiche sottese alla questione del ribaltamento del verdetto assolutorio. Come insegna la richiamata pronuncia a Sezioni Unite Dasgupta (le cui linee guida, pure a seguito della introduzione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. costituiscono riferimento ineludibile in caso di ribaltamento dell'esito assolutorio), la esigenza di rinnovazione della istruzione non può intendersi circoscritta entro il perimetro della prova utilizzata dal giudice per giungere all'assoluzione, ma deve essere estesa anche alle prove ritenute necessarie per giungere al diverso verdetto di condanna. Trascura di considerare la Corte di merito che, nel caso in esame, la valutazione circa l'esorbitanza o meno della condotta del lavoratore deceduto passa necessariamente attraverso la ricostruzione della dinamica dell'accadimento, rispetto alla quale rivestono carattere essenziale le dichiarazioni del teste S. N. (che aveva passato le consegne alla vittima ed aveva assicurato nel corso della sua deposizione di avere lasciato la centrifuga in modalità "automatico") e di tutti coloro che hanno reso un contributo essenziale a questo fine. Non esente dalla esigenza della rinnovazione è anche la parte ricostruttiva delle responsabilità dei ricorrenti, incentrata, nella motivazione, sulla necessità di procedimentalizzare la tenuta delle chiavi che permettevano il passaggio alle diverse modalità automatico-manuale dell'avviamento dell'apparecchiatura".
2.4. Con la sentenza impugnata, dopo avere proceduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'esame dei testi W. L., N. S., M.V. e ing. B., la Corte di appello affermava la penale responsabilità degli imputati, in quanto, nonostante gli errori commessi dal lavoratore - ossia la mancata apertura del rubinetto dell'azoto e la mancata inertizzazione -, nondimeno il nesso causale era da attribuire alla non corretta precedimentalizzazione dell'uso delle chiavi, necessarie a commutare la macchina da manuale in automatico, sicché se le chiavi fossero state sottratte alla disponibilità degli operatori e la macchina collocata in automatico, questa non sarebbe partita.

3. Avverso l'indicata sentenza, gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia, propongono ricorso per cassazione.

4. Il ricorso promosso da V.R. è affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge in punto di ravvisata sussistenza del nesso di causa, anziché di una condotta esorbitante e/o abnorme del lavoratore. Il ricorrente censura la motivazione laddove, pur dando atto che il M.P. effettuò, quale prima operazione del proprio turno lavorativo, lo scarico del materiale cristallizzato dalla centrifuga, ciò che fece previa chiusura del rubinetto dell'azoto, ha apoditticamente osservato che tale scelta sarebbe derivata dal rispetto della "prassi aziendale", indimostrata, e con la finalità di "evitarne la dispersione durante lo scarico", e, soprattutto, che in seguito "dimenticò di riaprire il rubinetto", dimenticanza che fu resa possibile "perché nessuno specifico sistema di allarme era stato a tal fine installato sulla centrifuga". Ad avviso del difensore, plurimi sono i salti logici di. tale ragionamento, in quanto: non si è tenuto conto della deposizione del teste S., secondo cui le disposizioni impartite erano nel senso che non si dovesse procedere ad altra centrifugazione e, soprattutto, la necessità di procedere all'analisi del lavorato escludevano che si potesse proseguire oltre. Aggiunge il difensore che è contraddittorio aver ritenuto che la chiusura del rubinetto dell'azoto necessitasse di uno specifico sistema di allarme da installarsi sulla centrifuga, sistema nient'affatto previsto dal costruttore, anche considerando che il M.P. era un operaio esperto, essendo stato assunto nel 1994. Evidenzia il difensore che il teste S. ha confermato di aver lasciato la centrifuga carica e regolarmente inertizzata con il selettore in modalità "automatico", sicché per scaricare il prodotto centrifugato non vi era affatto necessità di commutare il selettore dalla modalità automatica, né tale selezione in manuale serviva per ridurre i tempi di lavoro e per semplificarne l'esecuzione.
Quanto alla seconda omissione addebitata al M.P., ossia la mancata inertizzazione della centrifuga, evidenzia il difensore che, all'esito del sopralluogo giudiziale è da escludersi che il lavoratore abbia potuto ritenere per averla già svolta quando avviò la centrifuga, essendo logicamente impossibile che i segnali di avvertenza (display e led luminosi), gli potessero sfuggire, come è inverosimile che non abbia avuto la percezione della continuità intercorsa tra lo scarico e il riavvio.
Ancora, il difensore censura la motivazione, laddove, in maniera del tutto congetturale e quindi apparente, tra gli scenari possibili, ritiene più corretto sul piano ricostruttivo quello secondo cui "il M.P. potrebbe aver ricevuto la macchina dello S. in modalità manuale, non se ne sarebbe accorto, e avrebbe avviato la macchina convinto che le sicurezze connesse alla modalità automatica fossero attive"; tale ipotesi, infatti, si fonda su una valutazione di inattendibilità della testimonianza dello S. formulata in maniera ipotetica e psicologica.
Infine, con riguardo alla ritenuta efficacia causale della mancata procedimentalizzazione della tenuta della chiavi dell'inertizzatrice, la Corte di merito ha omesso di considerare sia le c.d. bonifiche degli impianti a base di acqua, per svolgere i quali era necessaria operare con la macchina in modalità manuale, sia che anche una procedura di sicurezza correttamente articolata avrebbe individuato l'infortunato quale soggetto abilitato a detenere la chiavi. Orbene, la motivazione sarebbe illogica laddove, pur avendo dato atto che il lavoratore "commise due tragici errori", ha tuttavia escluso che il comportamento dell'infortunato rientri tra quelli esorbitanti e/o abnormi, tali da rescindere il nesso di causalità.
4.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in punto di ravvisata responsabilità del datore di lavoro in relazione a tutte le imputazioni di colpa specifica contestate in materia di obblighi a lui spettanti. Evidenzia il difensore che, quanto al primo profilo di colpa - ossia l'omessa informazione circa le modalità di tenuta delle chiavi - si tratta di un onere individuato in astratto, che non considera la circostanza che alla verifica di idoneità delle procedure di sicurezza e dei processi di lavorazione avrebbero dovuto presiedere altri soggetti, quali il r.s.p.p. e/o il responsabile di produzione e del reparto chimico. Quanto all'omessa presidispozione di investimenti volti al miglioramento degli impianti, si tratta, secondo il difensore, di un travisamento del fatto, in quanto si era proceduto all'acquisto di sistemi automatici di analisi del contenuto residuo di ossigeno nella centrifuga. In relazione, infine, all'inadeguatezza della formazione impartita al lavoratore, osserva il difensore che essa fu somministrata con periodicità triennale anche in riferimento all'intertizzazione in sicurezza delle centrifughe e, in ogni caso, in ragionamento controfattuale operato dalla Corte d'appello sarebbe intrinsecamente insufficiente.

5. Il ricorso promosso da A.F. si articola in cinque motivi,
5.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen. con travisamento della prova anche in riferimento all'art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Assume il difensore che, a fronte della sentenza assolutoria pronunciata dal Tribunale, la Corte di merito ha opposto una semplice rilettura alternativa della vicenda, senza apportare elementi di novità, nonostante la rinnovazione del dibattimento, e senza che vi sia una motivazione "rafforzata"; aggiunge il difensore che, quand'anche si ritenga che mancasse un sistema di allarme, ciò integrerebbe parimenti una rilettura, peraltro errata, e non decisiva del materiale probatorio, considerando quanto affermato dal consulente B. e dal teste L., stralci della cui deposizione sono riportati nel ricorso. Quanto, invece, alla mancata inertizzazione, la Corte di merito non ha apposto argomenti nuovi al ragionamento del Tribunale, secondo cui tale condotta, posta in essere dal lavoratore, rappresenta efficacia causale rispetto all'evento. La Corte di merito, inoltre, non avrebbe considerato ulteriori aspetti, quali la presenza di led, la formazione e l'esperienza del lavoratore, il sibilo: elementi che depongono nel senso dell'abnormità e/o dell'esorbitanza del comportamento del M.P..
Aggiunge il difensore che la Corte di merito non ha considerato: che il lavoratore si fece aiutare e che, quindi, rimase in sito, sicché non poteva non percepire i segnali del led nel considerevole tempo di dodici minuti della procedura; che il tempo di inertizzazione fosse più che sufficiente; che, nei dodici minuti, grazie agli otto led, il M.P. dovesse accorgersi dei problemi dovuto all'assenza di azoto.
5.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen. con travisamento della prova anche in riferimento all'art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Evidenzia il difensore che la Corte di merito, dopo aver esaminato le due omissioni del lavoratore, propone due scenari possibili, ritenendo corretta la ricostruzione secondo il M.P. abbia ricevuto la macchina dallo S. in modalità manuale, non se ne sia accorto, abbia avviato la macchina convinto che le sicurezze connesse alla modalità automatica fossero attive. Orbene, secondo il ricorrente una ricostruzione del genere stride con il principio della "motivazione rafforzata" e con la deposizione del teste M.V., secondo cui il P.M. fosse solito lavorare in manuale, ed è formulata, quanto al fatto che sia stato lo S. a commutare l'inertizzatrice in modalità manuale, in maniera ipotetica e alternativa, anche considerando che l'intertizzazione era recente, di un anno prima, e comunque vi era stato il collaudo dell'Ispel.
5.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 603, comma 3-bis, 1991 cod. proc. pen., 6 CEDU, 11 Cost., 170 (recte, 178) lett. c), 533 cod. proc. pen. Lamenta il ricorrente che, nonostante la riassunzione ella prova dichiarativa, la Corte di merito ha richiamato le testimonianze assunte in primo grado, in particolare di S., L., M.V. e CU., ciò che integra il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione, perché la Corte di merito avrebbe dovuto dar riferimento alle sole dichiarazioni assunte ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
5.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen. con travisamento della prova anche in riferimento all'art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Premesso che, secondo la Corte, la mancata procedimentalizzazione delle chiavi ha avuto un'efficacia causale determinante nella causazione dell'evento, considerando che i M.P., non essendo in possesso d laurea, non poteva svolgere la funzione di capo-reparto, assume il ricorrente che si tratta, ancora, una volta, di una mera lettura alternativa della vicenda
5.5. Con il quinto motivo si censura la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen. con travisamento della prova anche in riferimento all'art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. con riguardo al nesso causale ex artt. 40 e 41 cod. pen. Il ricorrente censura la motivazione laddove, pur dando atto di due gravi errori commessi dal lavoratore, esclude la sussistenza di un comportamento abnorme e/o esorbitante, il quale, invece, sarebbe ravvisabile nella vicenda in esame, trattandosi di condotte completamente fuoriuscite dagli ordini e dalle prescrizioni impartite, tali da rendere irrilevante come concausa la gestione delle chiavi.

6. In data 13 maggio 2022 il difensore di A.F. ha inviato motivi aggiunti.
6.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed b) cod. proc. pen. con riguardo agli artt. 179, comma 2, 603, comma 3- bis, 627, comma 3, 533 cod. proc. pen. Premette il ricorrente che la sentenza assolutoria di primo grado aveva analizzato un quadro dichiarativo, che non escludeva dal perimetro probatorio le dichiarazioni dell'imputato, collegandole alla deposizione del teste S.; ad avviso del difensore, pertanto, il A.F. andava perciò nuovamente esaminato sia ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., sia in forza del principio di diritto dettato per il rinvio ex art. 627, comma 3, cod. proc. pen., considerando che l'imputato fu presente alle udienze del 2 ottobre, del 9 novembre e del 30 novembre 2020; la Corte territoriale avrebbe dovuto perciò richiedere all'imputato se volesse o meno sottoporsi all'interrogatorio, ciò che non è avvenuto, il che integra una nullità assoluta ex art. 179, comma 2, cod. proc. pen., essendo la rinnovazione prescritta a pena di nullità dall'art. 603 comma 3-bis, cod. proc. pen. e considerando che la Corte di merito ha operato un espresso riferimento al dichiarato del ricorrente in sede dibattimentale.
6.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per carenza motivazionale anche rispetto alle prescrizioni di cui alla regola finale del giudizio dettata dall'art. 533 cod. proc. pen. Evidenzia il difensore che la sentenza impugnata ha fatto espresso riferimento alle dichiarazione rese dal A.F., sicché questi andava necessariamente risentito proprio per valutare una prospettazione alternativa a quella accusatoria.
6.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 111 Cast. e 6 CEDU. Assume il difensore che la Corte di merito non ha tenuto conto né dell'art. 111 Cost., né dell'art. 6. 6 CEDU, norma in forza della quale la Corte Europea, analizzando "il diritto all'equo processo", ha concluso per la necessità della rinnovazione dell'interrogatorio così come per i testi, come affermato da CEDU Sez. I 8/7/2021 (ricorsi 20903/15 Maestri e altri C. Italia), sentenza ripresa da Cassazione n. 11459/2020, Mannucci, nell'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, le quali, nel disporre la restituzione degli atti, al punto 5.1, ha affermato che "la sentenza "Maestri", in relazione al caso concreto (caratterizzato dalla mancata rinnovazione dell'esame degli imputati prima del ribaltamento, in appello, della assoluzione di primo grado), ha rilevato la violazione del diritto al processo equo determinata dal fatto che il mutamento del giudizio si era basato, per un numero cospicuo di ricorrenti, su una diversa considerazione dell'elemento soggettivo del reato di associazione per delinquere, sicché non era possibile effettuare una valutazione giuridica della loro condotta senza prima tentare la verifica delle loro reali intenzioni, in relazione agli atti che erano contestati (par. 60). Per questi motivi, la Corte ha ritenuto che le questioni che la Corte d'appello doveva esaminare richiedessero una valutazione diretta delle dichiarazioni degli imputati, che, in primo grado, erano state decisive per l'assoluzione". Di conseguenza, ad avviso del difensore, poiché le dichiarazioni di A.F. in primo grado, così come nel caso "Maestri", avevano condotto prima all'assoluzione ed indi alla successiva condanna, la Corte di merito avrebbe dovuto disporre la nuova assunzione dell'esame dell'imputato.
6.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 533 cod. proc. pen. e 43 cod. pen. Nel riprendere, integrandolo, il quinto motivo di ricorso, il difensore ribadisce che il lavoratore abbia posto in essere un atto volontario ed abnorme, in quanto estraneo alle finalità produttive, ossia una condotta non riconducibile all'area di rischio della lavorazione svolta, che, quindi, non ricade in quell'area di prevedibilità del rischio che individua la latitudine delle condotte prevenzionali esigibili dal datore di lavoro. Sotto altro profilo, la motivazione sarebbe carente in relazione in punto di rilevanza causale, in quanto la Corte di merito avrebbe dovuto verificare che la corrispondenza tra il risultato offensivo e il pericolo che la regola cautelare violata mirava a fronteggiare; in altri termini, la Corte d'appello non ha considerato se il nesso causale risulti del tutto assorbito dall'azione del dipendente.

7. In data 13 maggio 2022 il difensore di V.R. ha depositato un "motivo nuovo", con cui deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 6 CEDU, con riferimento agli artt. 192 e 627, comma 3, cod. proc. pen. in punto omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. in relazione all'esame dell'imputato. Ad avviso del difensore, nel caso in esame troverebbero applicazione i principi affermati dalla Corte EDU nella sentenza Maestri, sicché la Corte di merito, nel riformare la sentenza assolutoria, avrebbe dovuto disporre anche d'ufficio l'esame dell'imputato, specie ove abbia utilizzato le dichiarazioni rese da costui nel giudizio di primo grado.

8. In data 16 maggio 2022 la difesa di A.F. ha depositato un'ulteriore memoria, con cui si precisa che: i primi tre "motivi nuovi" si integrano con il terzo motivo di ricorso, in quanto l'omessa rinnovazione dell'interrogatorio si inserisce nella non corretta rinnovazione dell'istruttoria lamentata in particolare con il terzo motivo; il quarto motivo aggiunto è da integrarsi anche con il quarto motivo di ricorso, in quanto la Corte ha ritenuto integrata una causalità della colpa in capo al ricorrente, senza però considerare che, essendo il titolo di studio posseduto dal M.P. idoneo, la sua azione fu certamente "esorbitante", se non "abnorme" e quindi tale da incidere sulla causalità della condotta e rendere irrilevante la colpa nella gestione della chiave.
Aggiunge, infine, il difensore che tale dinamica relativa alla "causalità della colpa" avrebbe imposto a necessità di rinnovazione della prova dichiarativa con nuova audizione l'imputato.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono infondati.

2. Occorre prendere la mosse dal terzo motivo del ricorso di A.F. - e, correlativamente, dai primi tre motivi aggiunti e dal primo motivo aggiunto del ricorso V.R. - in quanto, ponendo una questione di naturale processuale, hanno carattere preliminare perché, ove fondati, comporterebbero l'annullamento della sentenza impugnata.

3. Per impostare la questione posta dai ricorrenti, occorre prendere le mosse dall'orientamento - ormai diffuso nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità - secondo cui in caso di impugnazione della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, previsto dall'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. - a tenore del quale "nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale" - non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell'atto di impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai· fini della valutazione di responsabilità (Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020 - dep. 29/05/2020, C., Rv. 279425-02; Sez. 2, n. 5231 del 13/12/2018 - dep. 01/02/2019, Prundaru, Rv. 276050; Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018 - dep. 25/03/2019, P, Rv. 276318).

4. Si tratta di una conclusione coerente con i principi affermati dalla nota sentenza Dasgupta, la quale ha affermato che costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova- ai fini dell'esito della condanna" (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491; in senso conforme, Sez. U., n. 18620 del 19/1/2107, Patalano, Rv. 269785-269787, Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112, e, di recente, Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, D., Rv. 282808).

5. La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente chiarito che, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" devono intendersi non solo quelli concernenti la questione dell'attendibilità dei dichiaranti, ma tutti quelli che implicano una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative, posto che un "fatto" non sempre presenta una consistenza oggettiva di natura astratta e asettica, ma è talvolta mediato attraverso l'interpretazione che ne dà il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente di tale· mediazione che incide sull'approccio valutativo del giudice, anch'esso pertanto mediato (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, C., Rv. 279425-01; Sez. 2, n. 13953 del 21/02/2020, Iacopetta, Rv. 279146-01; Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019, O., Rv. 276987-01).

6. Si osserva, pertanto, che la necessità per il giudice dell'appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità è legata non alla tipologia del mezzo di prova, ma al suo grado di incidenza sull'apparato motivazionale, tale, appunto, da meritare l'appellativo di "decisività".
Di conseguenza, come affermato dalla sentenza Dasgupta, in un caso del genere la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante e vale: a) per il testimone "puro"; b) per quello c.d. assistito; c) per il coimputato in procedimento connesso; d) per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l'eventuale rifiuto di sottoporsi all'esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l'imputato); e) per il soggetto "vulnerabile" (salva la valutazione del giudice sulla indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le dovute cautele, ad un ulteriore stress); f) per l'imputato che abbia reso dichiarazioni "in causa propria" (dal cui rifiuto nori potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all'accoglimento della impugnazione) (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, cit.)
Quale che sia, dunque, il mezzo di prova, tale obbligo non è configurabile solo in relazione alle prove dichiarative ritenute non decisive, nel senso dinanzi indicato, ovvero rispetto alle quali il giudice di appello ritiene di attribuire il medesimo significato già ad esse conferito dal giudice di primo grado.
In altri termini, non si ritiene decisivo quell'apporto dichiarativo - qualunque sia la provenienza - il cui valore probatorio, in sé non idoneo a formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell'affermazione della responsabilità.
Come chiarito dalle Sezioni Unite, anche dopo l'introduzione del comma 3 bis nell'art. 603 cod. proc. pen., il giudice di appello non è obbligato a disporre una rinnovazione "generale e incondizionata" dell'attività istruttoria svolta in primo grado e hanno precisato che l'attività probatoria va "concentrata solo sulla fonte la cui dichiarazione sia oggetto di una specifica censura da parte del pubblico ministero attraverso la richiesta di una nuova valutazione da parte del giudice di appello" (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Troise), con ciò evidentemente ribadendo che l'appello, anche dopo l'introduzione del comma 3-bis dell'art. 603 cod. proc. pen., continua a configurarsi come un mezzo di controllo della sentenza di primo grado. L'ambito applicativo della nuova rinnovazione deve perciò consistere nella "previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice di appello 'decisive' ai fini dell'accertamento della responsabilità" (Sez. U, Troise, cit.), con la conseguenza che il concetto di decisività si ricava in rapporto alla rilevanza e utilità della prova stessa, in vista della decisione (nello stesso senso, da ultimo, Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 30/03/2022, D., Rv. 282808, in motivazione).

7. Si tratta di una conclusione in linea con la giurisprudenza elaborata sia dalla Corte EDU (ex plurimis, Corte EDU, sentenza 29 giugno 2017, Lorefice contro Italia, par. 45; Corte EDU, sentenza 28 febbraio 2017, Manoli contro Moldavia, par. 32; sentenza 15 settembre 2015, Moinescu contro Romania, par. 36; sentenza 4 giugno 2013, Hanu contro Romania, par. 40; sentenza 9 aprile 2013, Manolachi contro Romania, par. 50; sentenza 20 marzo 2012, Serrano Contreras contro Spagna, par. 40; sentenza 5 luglio 2011, Dan contro Moldavia, paragrafi 30-33; sentenza 19 febbraio 1996, Botten contro Norvegia, par. 39), sia dalla Corte costituzionale (sentenza n. 124 del 2019), secondo cui per
condannare in appello un imputato assolto in primo grado è necessario
ripristinare le garanzie derivanti dal metodo del contraddittorio nella formazione della prova, consentendo al giudice di avere con questa un contatto diretto, poiché solo in tal modo è possibile rispettare la regola dettata dall'art. 533 cod. proc. pen., secondo il quale il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio.
La necessità, per il giudice dell'appello di procedere alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva è una questione di metodo: ciò che il legislatore ha voluto evitare con l'obbligo imposto al giudice dell'appello dall'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. è che possa essere emessa una prima condanna in secondo grado sulla base di una diversa valutazione delle prove dichiarative ritenute decisive, con le quali il giudice dell'appello, tuttavia, non ha avuto alcun contatto diretto, essendosi basato esclusivamente sulla lettura dei verbali del grado precedente, e quindi in violazione dei principi dell'oralità e dell'immediatezza, che, a loro volta, sono correlati al rispetto dell'art. 6, par. 3, lett. d), CEDU, che assicura il diritto dell'imputato di "esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico".
Ed è proprio per questo motivo che, in maniera del tutto coerente, la necessità per il giudice di appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. concerne, appunto, il solo caso in cui alla riforma della sentenza di assoluzione si giunga esclusivamente sulla base di un diversa valutazione della prova dichiarativa e non anche nell'ipotesi in cui si pervenga al diverso approdo decisionale in forza della rivalutazione di un compendio probatorio di carattere documentale (Sez. 3, n. 36905 del 13/10/2020, dep. 22/12/2020, Vergine, Rv. 280448), rispetto al quale, evidentemente, non si pone un problema di contatto diretto tra fonte probatoria e giudice di appello.

8. Quest'orientamento è da confermare anche dopo la sentenza Maestri c. Italia, con la quale la Corte EDU - riprendendo la norma processuale già formulata con la sentenza Julfus ér Sigurpérsson c. Islanda del 16 luglio 2019 - ha affermato che, in forza del canone del giusto processo (ex art. 6.1. CEDU), il giudice di appello non può riformare la sentenza di assoluzione e pronunciare condanna senza aver assunto nuovamente, in contraddittorio, la prova dichiarativa costituita dalle propalazioni dello stesso imputato.
Siffatta garanzia processuale deve essere assicurata dal giudice di appello procedente, il quale è tenuto ad adottare misure positive a tale scopo, anche se il ricorrente non ha assistito all'udienza, non ha chiesto di essere autorizzato a prendere la parola dinanzi a tale giurisdizione, e non si è opposto, tramite il suo avvocato, a che quest'ultima emetta una sentenza sul merito (cfr. sentenza Maestri c. Italia, cit., § 42). Tale dovere del giudice di secondo grado, viene meno solo se l'imputato rinuncia espressamente alla propria garanzia difensiva, ovvero, se l'appellata sentenza assolutoria viene riformata in sentenza condanna dopo avere riveduto l'interpretazione di una questione puramente giuridica e senza riesaminare i fatti così come erano stati provati in primo grado (cfr. Maestri c. Italia, cit., § 43 e § 41).
A tal proposito, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 45179 del 7 dicembre 2021, aveva rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: se la regola di diritto processuale affermata dalla Corte EDU con la sentenza 8 luglio 2021 Maestri c. Italia - secondo cui, il giudice di appello, non può riformare la sentenza di assoluzione e pronunciare condanna senza aver assunto nuovamente, in contraddittorio, le dichiarazioni dell'imputato per mezzo di esame - abbia, o meno, valenza generale (e, dunque, se debba essere applicata anche in procedimenti penali diversi ed ulteriori da quello nell'ambito del quale è stata affermata).
Il Presidente Aggiunto, con provvedimento del 17 gennaio 2022, ha disposto la restituzioni degli atti alla Sezioni rimettente, rilevando come, anche nella vicenda Maestri, le dichiarazioni degli imputati erano state ritenute decisive, sicché, in applicazione dei principi elaborati da questa Corte di legittimità dinanzi indicati, era doveroso, da parte della Corte di appello, procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa decisiva in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria, da valutare, si badi, in relazione alla specifica situazione processuale.
Non è irrilevante sottolineare come, nella vicenda affrontata dalla sentenza Maestri, il mutamento di giudizio si fosse basato, per un numero cospicuo di ricorrenti, imputati per il delitto associazione per delinquere, su una diversa considerazione del dolo, sicché, in quel caso, non era possibile effettuare una valutazione giuridica della loro condotta senza prima tentare la verifica delle loro reali intenzioni, in relazione agli atti che erano contestati {Maestri c. Italia, cit., § 60); per questo motivo, la Corte EDU ha ritenuto che le questioni che la Corte d'appello doveva esaminare richiedessero una valutazione diretta delle dichiarazioni degli imputati che, in primo grado, erano state decisive per l'assoluzione.

9. Venendo al caso di specie, si osserva che la sentenza rescindente aveva indicato due temi in relazione ai quali era necessario procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale: "la ricostruzione della dinamica dell'accadimento, rispetto alla quale rivestono carattere essenziale le dichiarazioni del teste S. N. ( che aveva passato le consegne alla vittima ed aveva assicurato nel corso della sua deposizione di avere lasciato la centrifuga in modalità "automatico") e di tutti coloro che hanno reso un contributo essenziale a questo fine", nonché "la necessità di procedimentalizzare la tenuta delle chiavi che permettevano il passaggio alle diverse modalità automatico-manuale dell'avviamento dell'apparecchiatura".
In relazione a tali aspetti, la Corte di merito, come anticipato, ha disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'esame dei testi W. L., N. S., M.V. e ing. B., ritenuti decisivi in relazione ai profili ricostruttivi del fatto, come indicati dalla sentenza rescindente nei termini dinanzi esposti.

10. Ciò posto, manifestamente infondato è l'assunto della difesa A.F., secondo cui la Corte avrebbe dovuto utilizzare solamente le dichiarazioni rese dai testi nel processo di appello, con esclusione di quelle rese durante il giudizio di primo grado.
Non solo, infatti, non è prevista, da alcuna norma, la sanzione dell'inutilizzabilità, ma, come si è detto, l'esigenza della rinnovazione dibattimentale è un corollario dei principi dell'oralità e, soprattutto, dell'immediatezza, dovendo essere garantita l'esigenza che il giudice dell'appello, ribaltando la sentenza assolutoria, emetta sentenza di condanna sulla base di prove decisive con le quali il giudice dell'appello abbia avuto contatto diretto e non per essersi basato esclusivamente sulla lettura dei verbali del grado precedente.
In altri termini, una volta disposta la riassunzione, nel giudizio di appello, delle prove dichiarative ritenute decisive, non è affatto inibito al giudice di secondo grado utilizzare anche le dichiarazioni rese dal dichiarante nel giudizio di primo grado, ponendosi unicamente un problema di attendibilità, laddove vi sia una diversità di contenuti dichiarativi, che non è sindacabile in sede di legittimità ove la relativa valutazione sia immune da profili di illogicità manifesta .

11. Infondato è l'assunto difensivo secondo cui la Corte di appello avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale anche con l'esame degli imputati.
Invero, la Corte di appello si è uniformata ai principi dinanzi indicati, avendo ritenuto di non procedere alla rinnovazione dell'esame degli imputati in quanto le dichiarazioni rese da costoro sono state ritenute non decisive per la condanna, e, in ogni caso, non avendo la Corte di merito operato una diversa valutazione rispetto a quanto da costoro dichiarato in primo grado.
Tale conclusione, del resto, trova conferma sia nei ricorsi proposti dagli imputati avverso la prima sentenza emessa dalla Corte di appello, nei quali - con il primo motivo di entrambi i ricorrenti - si era lamentata la violazione dell'art. 603-comma 3-bis, cod. proc. pen. in relazione alle diversa valutazione delle dichiarazioni rese dai testimoni (in particolare il teste S.), sia nel dictum della sentenza rescindente, laddove si è affermata la necessità di "escutere nuovamente quei testimoni che dovevano ritenersi decisivi sia rispetto alla valutazione operata dal Giudice di primo grado, sia rispetto alla diversa valutazione operata in sentenza dalla Corte territoriale, la quale nella prova dichiarativa trova indubitabilmente il suo centro, a cominciare dalla stessa ricostruzione del fatto" (par. 3), incombente a cui la Corte di appello ha dato puntualmente corso, ciò che esclude anche la ventilata violazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen.

12. I restanti motivi dedotti dai ricorrenti, attinenti al merito, sono infondati.

13. Nella ricostruzione degli accadimenti occorsi la sera dell'infortunio mortale, la Corte di merito ha proceduto ad una diversa e specifica valutazione del materiale istruttorio rispetto al giudice di primo grado tenendo conto della ricostruzione dei fatti così come evincibile sulla base degli elementi di prova acquisiti all'esito della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (in particolare, le deposizioni dei testi CU., M.V. e S.), accertando, in primo luogo, che, quando M.P. prese in servizio, la centrifuga C11 (poi esplosa) era in funzione, dopo essere stata avviata da N. S. nel corso del turno precedente.
La Corte ha ravvisato due condotte colpose in capo al M.P., il quale, per un verso, dapprima chiuse il rubinetto dell'azoto ma poi si dimenticò di riaprirlo - prova ne è che, durante il sopralluogo, il rubinetto fu trovato chiuso; per altro verso, non procedette ad attivare la procedura di intertizzazione della centrifuga.
Con riguardo a tale ultimo aspetto, che assume natura decisiva, a differenza del primo giudice, che aveva definito sconosciute le ragioni per le quali il lavoratore si dimenticò di attivare la procedura di inertizzazione, la Corte di merito, con motivazione esente da criticità logiche, ha escluso un gesto deliberato del M.P. - condotta che, se accertata, avrebbe avuto, essa sola, rilevanza causale rispetto al verificarsi dell'evento - , avendo escluso ogni finalità di natura autolesionistica, che non trova alcuna riscontro nei dati probatori, emergendo, al contrario che quella sera il M.P. non avesse tenuto comportamenti anomali o fosse in stato di alterazione, come riferito dai colleghi, e considerando che il lavoratore conduceva una vita regolare, senza che siano anche prospettati problemi di salute o difficoltà psichiche.
Di conseguenza, la Corte di merito ha ritenuto che il non aver riempito il rubinetto dell'azoto, rendendo così impossibile l'inertizzazione, e l'aver avviato la centrifuga con l'inertizzatrice in modalità manuale non siano state scelte deliberate del lavoratore, bensì due gravi errori, ascrivibili a colpa del M.P..
14. Su queste basi - così venendo al primo motivo di V.R. e ai primi due motivi e al quinto motivo del ricorso di A.F. con cui si contesta la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta degli imputati e l'evento lesivo, stante la condotta ritenuta abnorme posta in essere dal lavoratore - la Corte di merito, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, ha correttamente escluso che il M.P. - pur avendo commesso i due errori sopra indicati - abbia realizzato una condotta abnorme ovvero esorbitante, per la cui configurazione - per costante giurisprudenza di questa Corte - è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (tra le più recenti, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, dep. 15/09/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, dep. 15/02/2021, Chierichietti, Rv. 280914; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 01/02/2019, p.m. in c. Musso, Rv. 275017).
Pur avendo commesso due errori rivelatisi fatali, il M.P., infatti, una volta escluso ogni proposito suicidiario - che, ove sussistente, avrebbe sì avuto efficacia causale esclusiva nella causazione dell'evento - era intento a svolgere la propria attività lavorativa.
Si rammenta, infatti, che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, dep. 25/06/2019, Simeone, Rv. 276242).

15. Nel caso di esame, la Corte di merito ha individuato due concorrenti cause dell'evento: per un verso, la mancata installazione di un'elettrovalvola che consentisse la chiusura e l'apertura automatica dell'azoto, su cui si tornerà in seguito a proposito della posizione di A.F.; per altro verso, la mancata procedimentalizzazione delle tenuta della chiavi dell'inertizzatrice Indeco, elemento su cui si innestano profili di colpa addebitati ad entrambi gli imputati.
In particolare, in replica al quarto motivo di A.F., come ritenuto dalla Corte di merito, per un verso il manuale Indeco prevedeva che le chiavi fossero tolte dalla macchina (che veniva così lasciata in modalità automatica) e custodite altrove, in modo da essere sottratte alla libera disponibilità dell'operatore; per altro verso, nello stabilimento di Trecate, ove avvenne l'incidente mortale, le chiavi delle inertizzatrici erano sempre lasciate inserite nel quadro.
A tal proposito, la Corte di merito ha confutato il ragionamento del primo giudice, che ha ritenuto irrilevante la circostanza che le chiavi fossero tenute, per prassi, nel comando, perché, pur essendo vero che esse avrebbero dovute essere conservate dal caporeparto, il M.P., quale operaio più anziano in servizio la notte dell'incidente, svolgeva di fatto tale funzione, logicamente osservando che quella sera il M.P., svolse, al più, le funzioni di capo turno, ma non certo di capo reparto, qualifica che era propria del B., anche considerando che, trattandosi di una figura specializzata, essa deve essere ricoperta da un soggetto laureato, mentre il M.P. aveva conseguito solamente la licenza di terza media.

16. La Corte ha quindi appurato la causalità della colpa, logicamente rilevando che - indipendentemente del fatto che sia stato lo S., come ritenuto dalla Corte stessa, o il M.P. stesso a commutare l'inertizzatrice dalla modalità automatica a quella manuale - sta di fatto che se le chiavi non fossero state inserite nel quadro, l'inertizzatrice avrebbe operato in automatico e, quindi, non avrebbe consentito l'avvio della centrifuga in mancanza di inertizzazione, con ciò impedendo sul nascere l'insorgere del processo causale che ha provato la deflagrazione.
Come correttamente rilevato dalla Corte di merito, si trattava di un rischio del tutto prevedibile ed evitabile, proprio perché la sottrazione della disponibilità della chiavi all'operatore aveva - e ha - lo scopo di evitare che costui, a causa di disattenzione - come è avvenuto nel caso in esame - o della volontà di procedere più celermente alla produzione, possa operare in modalità manuale e così avviare la centrifuga in assenza di intertizzazione.

17. Quanto, infine, al secondo motivo di V.R., la Corte di merito ha ritenuto che l'imputato, rivestendo una posizione di garanzia nella veste di amministratore con delega in materia di igiene e sicurezza dei lavoratori per la divisione Unibios di Trecate, avesse, in primo luogo, il dovere sia di informarsi, presso i suoi sottoposti, in ordine alla regolare modalità di tenuta delle chiavi dei macchinari, aspetto assai rilevante per la prevenzione.
Si rammenta, a tal proposito, che il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, ove si verifichi un incidente in conseguenza di una tale prassi instauratasi con il consenso del preposto, l'ignoranza del datore di lavoro non vale ad escluderne la colpa, integrando essa stessa la colpa per l'omessa vigilanza sul comportamento del preposto (Sez. 4, n. 20092 del 19/01/2021, dep. 20/05/2021, Zanetti, Rv. 281174).
In secondo luogo, la Corte di appello ha addebitato al V.R. anche l'omessa predisposizione di investimenti volti al miglioramento delle centrifughe, che non solo erano vetuste e carenti di manutenzione, ma, soprattutto, non erano dotate di elettrovalvole, che, ove fossero state installate, avrebbero consentito la chiusura e l'apertura automatica del rubinetto dell'azoto e, quindi, avrebbero impedito il verificarsi della deflagrazione.
Si tratta di una conclusione conforme al principio, qui da ribadire, secondo cui il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto, non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico se il processo tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura. L'art. 2087 cod. civ., infatti, nell'affermare che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche (Sez. 4, n. 7402 del 26/04/2000, Mantero, dep. 24/06/2000, Rv. 216476).
Nel caso di specie, la centrifuga C 11 era stata costruita nel 1983, mentre l'incidente è avvenuto il 4 maggio 2007; di conseguenza, era onere del datore di lavoro adeguare il livello di sicurezza della macchina mediante l'installazione dell'elettrovalvola.
Infine, la Corte di merito ha individuato, in capo al V.R., un ulteriore profilo di colpa, quale l'inadeguatezza della formazione impartita al M.P., pari a complessive ventidue ore e quindici minuti distribuite in sette anni, delle quali solo sette ore e quindici minuti riguardarono l'igiene e la sicurezza (peraltro non specificatamente connesse all'uso delle centrifughe) e la relativa attestazione fu rilasciata da A.Z., esperto nella produzione dei farmaci, ma privo di specifiche competenze in tema di sicurezza sul lavoro. Su queste basi, la Corte di merito ha ritenuto, in maniera non certamente implausibile, l'inadeguatezza della formazione impartita al M.P., sia in termini assoluti, sia in termini relativi, ossia in relazione alla natura rischiosa dell'attività cui era normalmente addetto il lavoratore, munito della sola licenza di terza media, sicché egli non era in grado di comprendere in maniera adeguata i singoli profili di rischio insiti nell'attività che era chiamato a svolgere.
Si tratta di una motivazione immune da errori di diritto e da profili di illogicità manifesta, che supera il vaglio di legittimità.

18. Per i motivi sin qui esposti, i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 31/05/2022.

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Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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