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Cassazione Penale Sez. 4 del 07 marzo 2025 n. 9454

ID 23610 | | Visite: 91 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/23610

Sentenza CP Sez  4 n  9454 2025

Sentenza Cassazione Penale Sez. 4 del 07 marzo 2025 n. 9454 

ID 23610 | 11.03.2025 / In allegato

Cassazione Penale Sez. 4 del 07 marzo 2025 n. 9454
Dito schiacciato dal macchinario. Indipendentemente dalla certificazione di conformità ai requisiti di sicurezza, il rischio di schiacciamento degli arti era evidente e prevedibile

Cassazione Penale Sez. 4 del 07 marzo 2025 n. 9454
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Relatore
Dott. CIRESE Marina - Consigliere
Dott. SESSA Gennaro - Consigliere

Fatto

La Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza resa il 26/04/2022 dal Tribunale di Bergamo per avere concesso all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di A.A., nella sua qualità di procuratore della ditta **** Srl (avente ad oggetto la produzione e il commercio di contenitori per cosmetici e contenitori in generale) per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. per avere cagionato per colpa lesioni personali gravi al lavoratore B.B., consistite nell'amputazione della falange apicale del terzo dito della mano sinistra, rimasta schiacciata mentre regolava, con una chiave a brugola, il grano di fissaggio del tondino del macchinario PIMA 6. In particolare, dovendo regolare la battuta della macchina pallettatrice PAL 19 (a cui due mesi prima era stata accoppiata l'anzidetta macchina PIMA 6), onde consentire l'allineamento degli scovolini per mascara, apriva lo sportello del macchinario (operazione che provocava il blocco del nastro trasportatore della PAL 19) e vi inseriva la mano che entrava in contatto con il rullo trasportatore della PIMA 6, rimasto in funzione, che gli schiacciava il dito. La PIMA 6 presentava invero un organo in movimento accessibile al lavoratore durante la regolazione del tondino e barra del tappeto a tapparella.

All'imputato è stata ascritta la violazione della disposizione dell'art. 71, comma 3, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per non aver provveduto ad adottare adeguati sistemi di protezione che permettessero ai lavoratori di effettuare la regolazione delle attrezzature in condizioni di sicurezza.

1.2 Gli accertamenti di p.g. consentivano di appurare che entrambe le macchine - la PIMA 6, inserita nel ciclo produttivo dal 07/04/2017 per il montaggio delle capsule degli scovolini e la PAL 19, in uso alla ditta da anni e deputata all'allineamento su vassoi degli scovolini per il successivo confezionamento in scatole - erano dotate di sportelli e interruttori di sicurezza, i quali funzionavano correttamente ma non in sincrono, cosicché, aprendo lo sportello di una delle due, non si fermavano gli organi di movimento di entrambe ma solo di quella aperta. Gli elementi di responsabilità a carico del datore di lavoro venivano ravvisati nella mancata indicazione della necessità di fermare entrambe le macchine (contenendo il DVR solo una generica prescrizione di intervenire su macchine ferme) e nella mancata adozione di un adeguato sistema di protezione, cui la società aveva ovviato mediante una modifica del software volta ad assicurare che le due macchine "dialogassero", in modo che, all'apertura dello sportello di una, si bloccassero entrambe.

1.4. Il A.A. era definito nell'organigramma Plant Manager e dal 05/12/2014 ricopriva il ruolo di procuratore speciale e legale rappresentante, con l'obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori, sebbene una formale delega in materia gli fosse stata conferita solo il 10/07/2017, successivamente ai fatti per cui è processo.

2. Avverso la sentenza di appello propone ricorso il difensore dell'imputato che solleva i seguenti motivi:

2.1. Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione con riferimento all'erronea qualificazione dell'imputato quale datore di lavoro. Evidenzia come il macchinario PAL 19 fosse stato installato e accoppiato alla PIMA 6 dalla società produttrice ***** Srl presso A nell'aprile 2017; come la ditta produttrice avesse consegnato entrambi i macchinari con tutti i certificati di conformità CE richiesti dalla normativa comunitaria, essendo ciascuna macchina dotata di molteplici dispositivi di sicurezza, fra cui sistemi automatici di blocco attivabili aprendo il rispettivo portellone, appositi interruttori di arresto cosiddetti tradizionali che consentono l'abituale blocco del funzionamento delle macchine; pulsanti di arresto di emergenza. Ciò detto, la difesa sostiene che la motivazione sia carente in merito alla qualifica dell'imputato quale datore di lavoro, giacché l'imputato aveva assunto la qualifica di datore di lavoro solo in data 23 giugno 2017, ossia successivamente ai fatti oggetto del presente procedimento. Il convincimento della Corte di appello si fonderebbe interamente sul contenuto della visura camerale la quale tuttavia individuava in capo a A.A. non già generici poteri in materia di sicurezza sul lavoro ma unicamente poteri di rappresentanza della società dinanzi ad enti privati e alla pubblica amministrazione, con limitati poteri di spesa. Nella visura, infatti, non vi era alcun riferimento ai poteri, alle prerogative, alle funzioni, alle attività ed alle incombenze che il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 attribuisce alla figura del datore di lavoro, come invece puntualmente delineati nell'anzidetta delega del 23 giugno 2017. La Corte territoriale avrebbe omesso ogni valutazione circa la complessità dell'azienda e la precisa ripartizione dei ruoli al suo interno;

2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla responsabilità del costruttore, lamentando che nessuna analisi in merito ai profili di responsabilità imputabili alla società produttrice delle due macchine sia stata svolta. Afferma il difensore che soltanto nel caso in cui l'utilizzo in concreto della macchina non sia conforme a quello per cui era stata prodotta e certificata sarebbe possibile inferire la responsabilità del datore di lavoro, evenienza da escludersi nel caso di specie;

2.3. Con il terzo motivo, deduce inosservanza o erronea applicazione dell'art. 43 cod. pen. nonché vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Al riguardo, i Giudici di merito avrebbero dovuto valutare la prevedibilità concreta dell'evento in capo all'imputato e l'esigibilità di un suo comportamento alternativo, tenuto conto delle circostanze specifiche del caso. La motivazione sarebbe lacunosa con riguardo alla sussistenza di adeguati sistemi di protezione, avendo la Corte di appello omesso ogni riferimento ai blocchi automatici ed ai blocchi di emergenza già esistenti su ciascun macchinario. Deve, peraltro, osservarsi che al momento dell'installazione, avvenuta un mese prima dell'evento, non vi era stata alcuna segnalazione né all'odierno imputato, né ad altri dipendenti, né al produttore, di alcuna criticità: ci si chiede, pertanto, come avrebbe potuto essere prevedibile da parte dell'imputato il verificarsi di un incidente. è ragionevole poi concludere che non fosse esigibile, da parte di un plant manager - che aveva la supervisione di uno stabilimento con un'area di 18.000 metri quadri, circa duecento macchine e circa trecento dipendenti - un'ulteriore valutazione sull'interazione tra due macchine, soprattutto ove si consideri che l'accoppiamento era stato compiuto da parte della ditta costruttrice solo poche settimane prima dell'incidente. La Corte territoriale non avrebbe poi tenuto conto delle dichiarazioni del consulente tecnico prof. Boniardi su alcune problematiche tecniche risultanti Ila sincronizzazione del bloccaggio delle due macchine. Risulterebbe inoltre acclarato che la persona offesa aveva ricevuto adeguata formazione e non poteva, pertanto, non essere consapevole che, per operare sul tappeto a tapparella, avrebbe dovuto fermare anche la PIMA 6.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Diritto

1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

2. Con riguardo al primo motivo, già proposto in sede di appello, con cui la difesa ha dedotto l'insussistenza di una posizione di garanzia dell'imputato alla data di verificazione dell'infortunio, contestando la qualifica di datore di lavoro in capo allo stesso, avendo egli assunto la qualifica di delegato alla sicurezza dal legale rappresentante di **** Srl soltanto il 23 giugno 2017, in epoca successiva all'infortunio, la Corte territoriale ha osservato che, dalla visura camerale, risultava che l'imputato, a far data dal 5 dicembre 2014, ricopriva la carica di "procuratore" della società, con poteri di firma, anche in materia di rapporti di lavoro e di rappresentanza "in tutte le questioni attinenti i rapporti di lavoro, l'igiene e la sicurezza sul lavoro, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"; che, nell'organigramma sicurezza-ambiente, era indicato come "rappresentante della direzione" e, nell'organigramma generale, come "plant manager", ossia direttore di stabilimento. La sentenza impugnata ricorda, inoltre, che l'ex responsabile delle risorse umane di **** Srl, C.C., aveva dichiarato che l'imputato rivestiva il ruolo di direttore generale e che, in tale veste, godeva di ampi poteri di spesa (risultanti anche dalla visura camerale), firmava i contratti di acquisto dei dispositivi di protezione individuale e degli altri materiali necessari all'azienda e poteva anche decidere in autonomia, entro i limiti di spesa, l'eventuale modifica in termini di sicurezza di un macchinario. Così motivando, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore generale, così come il direttore dello stabilimento di una società per azioni, è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti (Sez. 4, n. 8094 del 16/11/2018, dep. 2019, Stricchi Silvio, Rv. 275151; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259228; Sez. 4, n. 41981 del 07/02/2012, Pittis, Rv. 255001). Il primo motivo è pertanto infondato.

Parimenti privi di pregio appaiono il secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente perché volti entrambi ad invocare la responsabilità della società costruttrice delle macchine, **** Srl

Richiamando sul punto la sentenza di primo grado, la Corte di appello ha ricordato come la concorrente responsabilità del fabbricante non possa costituire causa di esonero di responsabilità dell'imputato dal suo personale obbligo, sancito dall'art. 71 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di mettere a disposizione dei lavoratori macchinari rispondenti ai migliori requisiti di sicurezza, tra i quali era certamente compreso un meccanismo in grado di garantire che, all'apertura degli sportelli della macchina, prodromica all'intervento manuale del lavoratore, tutti gli organi di movimento fossero bloccati. La decisione impugnata si è così collocata nel solco da tempo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità che, in plurime pronunce, ha stabilito che, in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare tale macchina e di adottare tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio di progettazione, che non consentano di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (Sez. 4, n. 41147 del 27/10/2021, Favaretto Luciano, Rv. 282065; Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948).

Al riguardo, la Corte territoriale ha correttamente osservato che, indipendentemente dalla certificazione di conformità ai requisiti di sicurezza rilasciata dalla società costruttrice, competeva all'imputato, primo garante dell'incolumità dei dipendenti, assicurarsi che l'abbinamento del nuovo macchinario non pregiudicasse le condizioni di sicurezza e che le due linee "dialogassero", non solo dal punto di vista funzionale, ma anche da quello della sicurezza, bloccandosi entrambe in caso di apertura dello sportello di protezione di una delle due, così scongiurando il rischio, che si è poi concretizzato, che l'intervento su una delle due linee mettesse in pericolo l'incolumità del lavoratore, perché gli organi di movimento dell'altra linea continuavano a girare. L'intervenuta radicale modifica del macchinario imponeva al garante, si legge nella sentenza impugnata, di rivalutare i pericoli legati al funzionamento della nuova linea di produzione, rientrando tra i suoi obblighi la stima dei nuovi rischi per l'incolumità dei lavoratori dipendenti dal raddoppio della linea.

Deve altresì essere disattesa la censura secondo cui non sarebbero stati valutati dai Giudici di merito i rilievi del consulente della difesa. Sul punto, la Corte territoriale ha osservato che la presenza di pulsanti d'arresto in grado di fermare la seconda macchina e la possibilità per l'infortunato di rendersi conto che il secondo nastro, parallelo a quello sul quale egli doveva intervenire con la chiave a brugola, continuava a scorrere, sono circostanze prive di rilievo rispetto al dirimente addebito di colpa contestato all'imputato, incombendo su di lui gli obblighi di sicurezza ,volti a scongiurare pericoli per l'incolumità del lavoratore a prescindere dalle capacità di questi di percepirli, spettando al garante l'obbligo di prevenirne anche eventuali disattenzioni.

Quanto alla prevedibilità e alla esigibilità del comportamento dovuto, la sentenza impugnata ha evidenziato che, nel caso in esame, la vicinanza dei due nastri paralleli sui quali scorrevano le due macchine e il ridotto spazio di manovra, laddove fosse stato necessario intervenire su una di essa (come spesso accadeva), era senz'altro riconoscibile con l'ordinaria diligenza, emergendo immediatamente dalle fotografie scattate in sede di sopralluogo e in quelle contenute nella consulenza della difesa: in tale condizione, l'azione sul primo dei due nastri, in caso di mancato blocco del secondo, creava un rischio di schiacciamento degli arti evidente e prevedibile.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 6 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2025.

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