Made Green in Italy
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Made Green in Italy - Schema nazionale volontario
Vedi Vademecum Made green in Italy | Rev. 0.0 2020 del 13.03.2020
Pubblicato il Decreto MATTM 21 marzo 2018 n. 56
Regolamento per l’attuazione dello schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti, denominato «Made Green in Italy», di cui all’articolo 21, comma 1, della legge 28 dicembre 2015, n. 221. (GU n.123 del 29-05-2018)
L'impronta ambientale
L’impronta ambientale di un prodotto (inteso come “bene” o “servizio”, secondo la Norma ISO 14040:2006 sulla metodologia LCA – Life Cycle Assessement ) è una misura fondata su una valutazione multi-criterio delle prestazioni ambientali di un prodotto, analizzato lungo tutto il suo ciclo di vita, ed è calcolata principalmente al fine di ridurre gli impatti ambientali di tale bene o servizio considerando tutte le attività della catena di fornitura, dall’estrazione delle materie prime, attraverso la produzione e l’uso, fino alla gestione del fine-vita.
Il Ministero dell’Ambiente ha avviato nel 2011 un’iniziativa denominata “Programma per la valutazione dell’impronta ambientale” dei prodotti/servizi/organizzazioni, che oggi si consolida, allineandosi alla sperimentazione PEF (Product Environmental Footprint) della Commissione Europea.
Sulla base delle esperienze svolte, con l’adozione del presente Regolamento, il Ministero dell’Ambiente intende attuare i seguenti obiettivi:
- Stimolare il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali dei prodotti e, in particolare, la riduzione degli impatti ambientali che questi generano durante il loro ciclo di vita.
- Favorire scelte informate e consapevoli da parte dei cittadini, nella prospettiva di promuovere lo sviluppo del consumo sostenibile, garantendo la trasparenza e la comparabilità delle prestazioni ambientali di tali prodotti.
- Rafforzare l’immagine, il richiamo e l’impatto comunicativo che distingue i prodotti, attraverso l’adozione del metodo PEF – Product Environmental Footprint come definito nella Raccomandazione 2013/179/CE e s.m.i, e associandovi inoltre aspetti di tracciabilità, qualità ambientale, qualità del paesaggio e sostenibilità sociale.
- Definire le modalità più efficaci per valutare e comunicare l'impronta ambientale dei prodotti del sistema produttivo italiano, al fine di sostenerne la competitività sui mercati nazionali e internazionali.
- Valorizzare le esperienze positive di qualificazione ambientale dei prodotti di cluster di piccole imprese, attraverso l’adozione di misure atte ad agevolare l’adesione allo Schema “Made Green in Italy” da parte di gruppi di imprese.
Schema nazionale volontario “Made Green in Italy”
L’art. 21, comma 1 della Legge n. 221/2015 (“Collegato Ambiente”) recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali” prevede l’istituzione dello Schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell'impronta ambientale dei prodotti, denominato «Made Green in Italy», al fine di promuovere la competitività del sistema produttivo italiano nel contesto della crescente domanda di prodotti ad elevata qualificazione ambientale sui mercati nazionali ed internazionali. Tale schema adotta la metodologia PEF per la determinazione dell'impronta ambientale dei prodotti (PEF, Product Environmental Footprint), come definita nella raccomandazione 2013/179/UE della Commissione, del 9 aprile 2013.
La Legge n. 221/2015 prevede, inoltre, che le modalità di funzionamento di tale schema siano stabilite da un apposito Regolamento del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della suddetta legge (2 febbraio 2016).
Con la messa a punto e l’implementazione dello Schema e del Regolamento previsti dall’art.21 della Legge n. 221/2015, si intendono perseguire i seguenti obiettivi (art. 21, comma 3):
a) promuovere, con la collaborazione dei soggetti interessati, l'adozione di tecnologie e disciplinari di produzione innovativi, in grado di garantire il miglioramento delle prestazioni dei prodotti e, in particolare, la riduzione degli impatti ambientali che i prodotti hanno durante il loro ciclo di vita, anche in relazione alle prestazioni ambientali previste dai criteri ambientali minimi di cui all'articolo 68-bis del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, introdotto dall'articolo 18 della legge n. 221/2015;
b) rafforzare l'immagine, il richiamo e l'impatto comunicativo che distingue le produzioni italiane, associandovi aspetti di qualità ambientale, anche nel rispetto di requisiti di sostenibilità sociale;
c) rafforzare la qualificazione ambientale dei prodotti agricoli, attraverso l'attenzione prioritaria alla definizione di parametri di produzione sostenibili dal punto di vista ambientale e della qualità del paesaggio;
d) garantire l'informazione, in tutto il territorio nazionale, riguardo alle esperienze positive sviluppate in progetti precedenti, e in particolare nel progetto relativo allo schema di qualificazione ambientale dei prodotti che caratterizzano i cluster (sistemi produttivi locali, distretti industriali e filiere) sviluppato con il protocollo d'intesa firmato il 14 luglio 2011 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e le regioni Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Sardegna, Marche e Molise.
Regolamento per l’attuazione dello Schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti denominato «Made Green in Italy» - Bozza del Regolamento REV10 – 6 giugno 2016
Estratto:
Art. 2 Campo d’applicazione
Il presente Regolamento si applica a prodotti classificabili come “Made in Italy”, ai sensi della normativa italiana vigente, così come specificamente definita per le singole categorie di prodotto previste dallo schema. Nel caso in cui la normativa vigente non specifichi le condizioni per l’utilizzo della denominazione “Made in Italy” (o analoghe denominazioni, quali ad es.: “fatto in Italia”), il campo di applicazione dello schema viene definito nell’ambito delle PCR (Regole di Categoria di Prodotto) secondo le modalità previste dai successivi articoli 7 e 8, anche in relazione alla normazione volontaria settoriale.
Nel presente Regolamento, il termine “prodotto” è da intendersi nel duplice significato di “bene manufatto” e di “servizio”, secondo quanto definito dalla Norma ISO 14040:2006.
Ai sensi del presente Regolamento, “soggetti richiedenti” il marchio “Made Green in Italy” possono essere singole organizzazioni o gruppi di organizzazioni formalmente costituiti ai sensi di quanto previsto dalla legge italiana, che producono o commercializzano un prodotto rientrante nel campo di applicazione, così come definito al comma 1 del presente articolo.
Art. 7 Definizione delle Categorie di Prodotto
Lo Schema “Made Green in Italy” prevede la definizione di Categorie di Prodotto omogenee a cui vengono applicate Regole (PCR) per il calcolo e la valutazione dell’impronta ambientale secondo il metodo Product Environmental Footprint definito nella Raccomandazione 2013/179/CE e s.m.i., nonché ad ulteriori specifiche indicazioni fornite dalla Commissione Europea.
Ai fini dello Schema “Made Green in Italy”, le Categorie di Prodotto sono recepite dalle indicazioni emergenti nel percorso di sviluppo del metodo Product Environmental Footprint (Racc. 2013/179/CE) o, laddove non ancora previste in tale metodo, sviluppate e proposte nell’ambito delle attività regolamentate dall’art. 8.
In ogni caso, le Categorie di Prodotto devono essere identificate in base alla loro funzionalità e il loro ambito di applicazione viene definito attraverso la classificazione statistica dei prodotti associato alle attività (CPA), ai sensi del Regolamento (CE) N. 451/2008, identificando i prodotti inclusi e quelli esclusi. Il sistema di classificazione dei prodotti associata alle attività deve essere utilizzato per codificare e definire i moduli delle informazioni utilizzati per rappresentare il ciclo di vita del prodotto.
La Categoria di Prodotto deve essere basata almeno su una divisione di codici a due cifre della CPA. Se la Categoria di Prodotto è complessa, sono necessari codici a più di due cifre. Le Categorie di Prodotto della CPA si riferiscono alle attività definite secondo i codici NACE. Ogni prodotto della CPA è associato a una singola attività NACE.
Le Categorie di Prodotto vengono definite dal Gestore dello Schema secondo la classificazione CPA tenendo conto sia della necessità di recepire le categorie definite dalla Commissione Europea nell’ambito del percorso di sviluppo del metodo Product Environmental Footprint sia di categorie aggiuntive relative a specifiche peculiarità della produzione nazionale italiana.
Art. 9 Requisiti per l’adesione allo Schema “Made Green in Italy”
I soggetti richiedenti (organizzazioni o gruppi di organizzazioni secondo quanto stabilito dall’art. 2 del presente Regolamento) che intendono aderire, con uno o più prodotti, allo Schema volontario per la valutazione e comunicazione dell’impronta ambientale “Made Green in Italy” devono:
- richiedere l’adesione separatamente per ciascuno dei propri prodotti che ricada in una delle categorie di prodotto approvate nell’ambito dello Schema secondo quanto stabilito dall’art. 7;
- realizzare uno studio di impronta ambientale e redigere una Dichiarazione Ambientale di Prodotto conformemente a quanto stabilito al successivo art. 10;
- conformarsi ai contenuti delle PCR di riferimento, incluse le indicazioni e i requisiti obbligatori e addizionali di cui all’art. 8;
- garantire la conformità a tutte le pertinenti disposizioni di legge relative all’impatto sull’ambiente del proprio prodotto, in tutte le fasi del ciclo di vita (incluso il fine-vita, secondo l’approccio della responsabilità estesa del produttore);
- garantire che le prestazioni misurate dagli indicatori ambientali relativi alle tre principali categorie di impatto, individuate dalle relative PCR, siano migliori o di pari livello rispetto ai valori del benchmark definito all’interno delle stesse PCR. Questo obbligo entra in vigore, per ciascuna categoria di prodotto, soltanto dopo un periodo transitorio pari ad almeno tre anni a partire dalla prima introduzione del benchmark nelle relative PCR. Al fine di definire i valori del benchmark (e/o di confermarli durante il periodo transitorio) potranno essere condotte sperimentazioni mirate a verificare la fattibilità e la coerenza di tali valori rispetto alle condizioni produttive e competitive della categoria di prodotto interessata;
- perseguire il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali risultanti dallo studio di impronta ambientale, definendo obiettivi e programmi di miglioramento dell’impatto ambientale nel ciclo di vita del prodotto, che specifichino almeno: le categorie di impatto che si intendono migliorare, i traguardi ambientali che si intendono raggiungere (espressi secondo gli indicatori delle categorie di impatto previsti dalla Raccomandazione 2013/179/CE e s.m.i.), le fasi del ciclo di vita sulle quali si intende intervenire, una descrizione delle azioni e delle iniziative che si intendono attuare, la relativa tempistica di realizzazione e le responsabilità definite, le risorse stanziate. Gli obiettivi e i programmi di miglioramento devono essere sostanziali, ovvero finalizzati a ridurre l’impatto delle fasi o attività del ciclo di vita dei prodotti che maggiormente contribuiscono alla relativa impronta ambientale; nel perseguimento del miglioramento continuo si terrà conto del livello di prestazione ambientale di partenza;
- comunicare secondo le modalità stabilite al successivo art. 12 le prestazioni ambientali del prodotto risultanti dallo studio di impronta ambientale.
Parere Consiglio di Stato adunanza 27 luglio 2017 (N. 01270/2017 AFFARE)
OGGETTO: Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Schema di decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare recante il regolamento per l’attuazione dello schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti denominato “Made Green in Italy” di cui all’art. 21, comma 1, della legge 28 dicembre 2015, n. 221.
Estratto:
...
Per quanto concerne l’articolato del provvedimento in esame, la Sezione osserva che l’art. 3, comma 2, prevede che la documentazione volta a richiedere di poter elaborare una proposta di RCP possa essere inviata sia tramite raccomandata con avviso di ricevimento sia con le modalità previste dall’art. 65 del CAD.
In proposito la Sezione rileva che nell’allegato I, nella parte relativa all’iter procedurale da seguire per la formalizzazione della richiesta, l’Amministrazione richiama la sola modalità d’invio tramite PEC: la Sezione stessa, pertanto, invita l’Amministrazione a coordinare le citate previsioni normative - eventualmente
sopprimendo il richiamo recato dall’art. 3, comma 2, all’utilizzo della raccomandata - e ciò in considerazione del fatto che l’utilizzo dello strumento cartaceo non è motivato nella relazione che accompagna l’atto normativo de quo e si pone in contrasto con il processo d’informatizzazione della pubblica amministrazione in corso d’attuazione.
Analogamente la Sezione ritiene che il termine di 180 giorni - decorrente dalla data d’accoglimento della richiesta - previsto dal comma 4 del citato art. 3 per trasmettere al gestore lo schema di proposta di RCP sia particolarmente ampio,
soprattutto in riferimento al termine stringente (30 giorni) che l’Amministrazione si è invece data per accogliere la richiesta di RCP o per chiedere l’integrazione degli atti.
Dal momento che anche su questo aspetto la relazione dell’Amministrazione non fornisce alcuna indicazione, la Sezione non può che limitarsi a prendere atto di quanto disposto nel comma in questione, invitando l’Amministrazione a rivalutare l’ampiezza del termine de quo, nella considerazione che quest’ultimo non appare prima facie razionale, rivestendo nell’architettura complessiva del provvedimento un carattere meramente sollecitatorio.
Conclusivamente, la Sezione - nel precisare che il presente parere è reso nei limiti del sindacato di legittimità consentito alla Sezione stessa in questa sede - ritiene che le restanti disposizioni di cui al presente schema risultino coerenti, in linea di principio, con gli obiettivi individuati dall'Amministrazione proponente e con le previsioni normative di carattere nazionale e comunitario vigenti nella materia de qua: le disposizioni in esame quindi - anche in considerazione della loro natura prevalentemente tecnico-procedimentale - rientrano nell'ambito discrezionalità demandata all'Amministrazione dal succitato art. 21, comma 1 della legge n. 221 del 2015, con la conseguenza che la Sezione stessa non ha ulteriori rilievi da formulare al riguardo.
Pertanto, in considerazione di quanto sin qui esposto, la Sezione ritiene che lo schema di regolamento in esame meriti parere favorevole nei termini che precedono.
Infine, sotto il profilo redazionale, la Sezione suggerisce all’Amministrazione di:
a) inserire il primo “visto” dopo il terzo “vist(o)”, al fine di raggruppare i riferimenti normativi contenuti nel preambolo seguendo l’ordine gerarchico delle fonti;
b) inserire, all’art. 2, comma 1, lett. m), dopo la parola “regole” e dopo la parola “vita”, il segno di interpunzione “,”;
c) sostituire, all’art. 2, comma 1, lett. r), la parola “alle” con la parola “dalle”;
d) sostituire, all’art. 4, comma 2, la parola “aggiornamenti” con la parola “aggiornamento”;
e) inserire, all’art. 7, comma 2, dopo la parola “presentare”, la parola “una”;
f) sostituire, all’Allegato III, terzo capoverso, la parola “applicabili” con le parole “di riferimento”, al fine di meglio esplicitare quanto ivi previsto;
g) sopprimere, ovunque ricorra, la locuzione “di parte terza”, dovendosi quest’ultima ritenere implicita nel concetto di “verifica indipendente” o di “verificatore indipendente”;
P.Q.M.
La Sezione esprime parere favorevole sullo schema di regolamento in epigrafe nei termini di cui in motivazione.
Fonti:
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Consiglio di Stato
Riferimenti:
Chiarimenti Decreto n. 56 del 21 marzo 2018
Legge 28 dicembre 2015 n. 221
Raccomandazione 2013/179/UE