Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 32194 | 17 Novembre 2020
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Cassazione Penale Sez. 4 del 17 novembre 2020 n. 32194
Incendio durante la pulizia della spalmatrice con acetone tecnico da parte dell'addetto alle vendite: omessa formazione
Penale Sent. Sez. 4 Num. 32194 Anno 2020
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 27/10/2020
1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente M.G., con sentenza del 28/11/2019, confermava la sentenza emessa in data 17/3/2017 dal Tribunale di Pisa, in composizione monocratica, che lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di nove mesi di reclusione per il reato di cui all'art. 590 co. 1 e 3 cod. pen. perché, quale legale rappresentante della S.M.G. Srl con sede in Santa Croce sull'Arno, in qualità di datore di lavoro, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché inosservanza degli artt. 71, comma 7, lett. a) e 221, comma 1, D. Lgs. nr. 81/2008 impiegando R.P. operaio addetto ai controlli di vendita, per la pulizia della macchina rullo denominata "spalmatrice" senza avergli impartito idonea formazione, informazione ed addestramento per l'uso specifico del macchinario e non avendo adeguatamente valutato il rischio connesso alle operazioni di pulizia della macchina e previsto procedure di manutenzione e pulizia adeguate e tali da ridurre al minimo il rischio specifico conseguente a tale attività, cagionava lesioni gravi al predetto R.P. che adoperando per la pulizia acetone tecnico, liquido estremamente infiammabile e mantenendo in movimento il rullo spalmatore, provocando così un incendio che avvolgeva il macchinario e la parte superiore del corpo del R.P., si procurava ustioni di 2° grado nella zona nucale, al volto, al collo e di 3° grado al volto, al gomito ed alla mano destra. In Santa Croce sull'Arno (PI) in data 26/2/2013.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, M.G., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo il ricorrente deduce vizio motivazionale per contraddittorietà, illogicità e mera apparenza della motivazione in ordine alla valutazione della prova, assumendo che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con il proposto motivo di appello circa l'errata valutazione della prova sulla ricostruzione del fatto e delle cause dell'incidente, richiamando la deposizione del teste S., fornitore della macchina spalmatrice. Si riporta il contenuto di tale deposizione, evidenziando che lo stesso teste aveva dichiarato di avere fornito alla ditta e al suo personale le istruzioni per l'uso e la pulizia della macchina, da effettuarsi con un solvente, e aveva precisato come fosse impossibile che la macchina prendesse fuoco senza una scintilla esterna. Si aggiunge che il contenuto della testimonianza sarebbe stata confermata dagli altri testi ascoltati tra cui anche la persona offesa, R.P..
Il ricorrente lamenta che tali dichiarazioni non siano state assolutamente considerate dal giudice di primo grado, che, piuttosto, attribuiva pieno valore probatorio alle dichiarazioni rese dal tecnico della USL, che non aveva conoscenza specifica della macchina e forniva una ricostruzione della dinamica dell'incidente generica e approssimativa.
L'unico dato certo emerso in dibattimento sarebbe il mancato svolgimento di qualsiasi accertamento sulla macchina, non eseguito né da parte dei tecnici USL, che si limitavano ad acquisire il manuale d'uso, né in dibattimento con una consulenza.
La dinamica dell'incidente sarebbe stata ricostruita unicamente sulla base delle dichiarazioni del tecnico USL, L.F., che effettuò il sopralluogo, a distanza di mesi dal fatto, limitandosi ad osservare la macchina e a raccogliere informazioni.
Ci si duole dell'illogicità della motivazione della sentenza impugnata laddove ritiene sufficiente ed esaustiva tale testimonianza.
Si evidenzia che lo stesso tecnico precisava trattarsi di una ricostruzione e che anche il pubblico ministero esprimeva dei dubbi sulla competenza del tecnico come si evincerebbe dalle domande postegli.
Si riportano le dichiarazioni del L.F. per evidenziarne la contraddittorietà, sottolineando la necessità di una competenza chimica al fine di capire se effettivamente era possibile l'innescarsi di un incendio senza alcun influsso esterno.
Ritiene il ricorrente, infatti, che, verosimilmente, l'incendio si sia verificato per l'accensione imprudente di una sigaretta da parte del lavoratore che, come emerso dall'istruttoria, era un fumatore e non indossava i guanti protettivi al momento dell'incidente. Inoltre, si aggiunge, il R.P. in dibattimento contraddiceva le dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni sulla circostanza se stesse fumando al momento dell'incidente.
Nell'evidenziare la presenza di indici della genericità e mancanza di chiarezza della deposizione si sottolinea che il R.P. era portatore di un evidente interesse a non confermare la circostanza, che avrebbe potuto impedirgli di ottenere il risarcimento dall'assicurazione.
Pertanto, conclude il ricorrente non può escludersi l'esistenza di una condotta abnorme da parte del lavoratore.
La motivazione della sentenza impugnata viene definita apparente e contraddittoria perché nega la maggiore attendibilità del teste S. in quanto proprietario della macchina, mentre, in realtà, ritiene il ricorrente, lo stesso S. avrebbe reso dichiarazioni sincere e contrastanti con il proprio interesse, avendo confermato ad essere stato proprio lui ad indicare l'utilizzo del solvente per la pulizia con i rulli in funzione.
Quindi, deduce il M.G., dal momento che la Corte distrettuale ha accolto la tesi del tecnico Usl, individuando nell'utilizzo dell'acetone tecnico la causa dell'incendio, la stessa Corte avrebbe dovuto ritenere le dichiarazioni rese dal S. disinteressate in quanto le stesse facevano emergere un suo eventuale profilo di responsabilità per avere impartito istruzioni errate e pericolose sull'uso della macchina. E allora la deposizione del S. andava ritenuta attendibile e la motivazione resa dai giudici di appello appare priva di contenuto ed illogica.
Inoltre, l'avere ritenuto che il surriscaldamento dovuto al funzionamento dei rulli abbia determinato, in presenza di acetone, l'accensione di una fiamma renderebbe la motivazione viziata, dal momento che partirebbe da un presupposto del tutto indimostrato. Nel dibattimento, infatti, la causa dell'incendio non sarebbe stata dimostrata ma solo ipotizzata dal tecnico dell'USL, assolutamente privo delle necessarie competenze.
Con un secondo motivo si deduce vizio di motivazione in relazione alla valutazione della pena inflitta e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente si duole dell'avvenuto rigetto del motivo di gravame per l'eccessività della pena, sul presupposto della gravità della colpa che, invece, non appare sostenuta da alcun elemento probatorio.
L'utilizzo dell'acetone tecnico per la pulizia del macchinario, secondo la tesi proposta in ricorso, lungi dall'attribuirsi ad un'iniziativa sconsiderata tesa all'abbattimento dei costi, rispondeva alle indicazioni date dal fornitore dello stesso macchinario. Inoltre, lo stesso R.P. dichiarava di aver ricevuto tutto l'abbigliamento di sicurezza, ma non indossava i guanti al momento dell'incidente.
Pertanto, ove il R.P. avesse seguito le indicazioni del datore di lavoro i danni non si sarebbero verificati o comunque sarebbero stati di minore entità.
Il ricorrente chiede, quindi la rideterminazione della pena contenendola nel minimo edittale, con concessione delle circostanze attenuanti generiche e con con ferma della sospensione condizionale della pena e di ogni beneficio di legge.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente pronuncia di legge.
1. Ritiene il Collegio che i motivi sopra illustrati siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente mo tivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparente mente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Carialo e altri, Rv. 260608).
2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte, correttamente osservando che le dichiarazioni del teste S., sull'adeguatezza della tecnica di pulitura del macchinario utilizzata è smentita dal manuale d'uso dello stesso, che prescrive il disinserimento dell'interruttore generale per qualsiasi intervento di pulizia o manutenzione.
Certamente inadeguata e pericolosa era pertanto la prassi di pulizia, insegnata dal S. e tollerata dall'imputato, da effettuarsi con i rulli in movimento. Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia di secondo grado, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
3. Con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto - e che pertanto si sottrae alle proposte censure di legittimità - i giudici fiorentini ritengono di confermare l'affermazione di responsabilità dell'imputato, quale datore di lavoro, in ordine all'infortunio in oggetto per entrambi i profili di colpa con testati, essendo in particolare non contestato neppure dalla difesa il fatto che il R.P. fosse un operaio addetto alle vendite, che, come tale, contrariamente a quanto prescritto nel manuale d'uso ('l'uso, la manutenzione e la riparazione della macchina deve essere affidato a personale qualificato'), non aveva avuto alcuna formazione in ordine all'uso della 'spalmatrice', né essendo stato dimostrato ( e neppure dedotto) che l'imputato avesse predisposto procedure di manutenzione e pulizia della macchina, idonee a ridurre rischio di infortuni (evidenziato anche nel manuale d'uso, punto 5m), e in specie di incendio.
E' indubbio l'obbligo di informazione e formazione del lavoratore che andava certamente sensibilizzato dal datore di lavoro sull'esistenza del rischio di incendio collegato all'uso dell'acetone e al mancato arresto del macchinario.
La sentenza impugnata si colloca nell'alveo del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità che individua nell'obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori, uno dei principali gravanti sul datore di lavoro, ed in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro (Sez. 4, n. 41707 del 23 settembre 2004, Bonari, Rv. 230257; Sez. 4, n. 6486 del 3 marzo 1995, Grassi, Rv. 201706). La violazione degli obblighi inerenti la formazione e l'informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l'incolumità dei lavora tori permane nel tempo e l'obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta forma zione impartita o della cessazione del rapporto (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 26271 del 7/5/2019, Roscio, Rv. 276043)
Il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (cfr. Sez. 4, n. 27787 del 8/5/2019, Rv. 276241 relativa alla confermata responsabilità del datore di lavoro, che aveva colposa mente cagionato la morte di un lavoratore impiegato in attività di taglio di piante in assenza di adeguata formazione, nonostante l'inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del lavoratore nel settore di riferimento).
Si afferma pacificamente in giurisprudenza, infatti, che il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079). È infatti tramite l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti (Sez. 4, n. 11112 del 29 novembre 2011, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729). Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, laddove l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento.
Non può infatti venire in soccorso del datore di lavoro - come pretenderebbe il ricorrente - il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi (Sez. 4, n. 39765 del 19 maggio 2015, 11 Vallani, Rv. 265178).
Si è poi ulteriormente specificato che l'obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016, Marini, Rv. 266860). Ciò in quanto l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro (Sez. 4, n. 21242 del 12 febbraio 2014, Nogherot, Rv. 259219).
Ancora, di recente, è stato ribadito che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, e l'adempimento di tali obblighi non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. (Sez. 4, Sentenza n. 49593 del 14/06/2018 Ud. (dep. 30/10/2018) T., Rv. 274042, in un caso in cui la Corte ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per la morte di tre operai in un cantiere autostradale, precipitati nel vuoto da un'altezza di circa 40 metri a seguito dello sganciamento della pedana sulla quale si trovavano, causato dall'errato montaggio del sistema di ancoraggio, effettuato utilizzando, per il serraggio del cono, una vite di dimensioni inferiori, sia per lunghezza sia per diametro, a quelle prescritte, rilevando che, proprio perché tale errore era frutto delle riscontrate suddette omissioni, esso non era idoneo ad escludere il nesso causale tra esse e l'evento).
L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro - va ribadito- non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014, Nogherot, Rv. 259219).
Più in generale, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costante mente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (così Sez. 4, n. 27787 del 08/05/2019, Rossi, Rv. 276241 in un caso relativo a responsabilità del datore di lavoro, che aveva colposamente cagionato la morte di un lavoratore impiegato in attività di taglio di piante in assenza di adeguata formazione, nonostante l'inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del lavoratore nel settore di riferimento).
In tema di sicurezza sul lavoro, ai sensi dell'art. 73, commi 1 e 2, lett. b), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore dei rischi propri dell'attività cui è preposto e di quelli che possono derivare dall'esecuzione di operazioni da parte di altri, ove interferenti, ed è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori, per ciascuna attrezzatura, ogni informazione e istruzione d'uso necessaria alla salvaguardia dell'incolumità, anche se relative a stru menti non usati normalmente (Così Sez. 3, n. 16498 dell'8/11/2018 dep. il 2019, Di Cataldo, Rv. 275560, nella cui motivazione la Corte ha precisato che può essere ritenuta eccezionale o abnorme - e come tale in grado di escludere la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso - solo la condotta del lavoratore che decida di agire impropriamente, pur disponendo delle informazioni necessarie e di adeguate competenze per la valutazione dei rischi cui si espone).
4. Tanto premesso, è evidentemente necessario che tale omessa formazione ed informazione risulti causalmente rilevante per la verificazione dell'evento lesivo, secondo il ben noto paradigma enucleabile dalla sentenza delle SSUU Franzese del 2002.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ormai univoca sul punto, ri tiene infatti che, in tema di causalità omissiva, nel reato colposo omissivo impro prio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non possa ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma debba essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (ex multis, Sez. Un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222138).
Orbene, già il giudice di primo grado aveva affermato, con una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, che non è stata concretamente attinta da considerazioni critiche già in sede di appello, attraverso una attenta e logica valutazione del materiale probatorio acquisito, la inequivocabile sussistenza del nesso causale fra la mancata informazione e formazione del lavoratore e l'evento occorsogli (cfr. pag. 6 della sentenza di primo grado). Peraltro, sempre il giudice pisano aveva evidenziato come la condotta colposa dell'imputato è stata prevalentemente, ma non solo omissiva. Ciò in quanto ve n'è stata una parte commissiva nella parte in cui ordinava al lavoratore di utilizzare la spalmatrice, avendo il R.P. riferito che le direttive in merito all'attività lavorativa da svolgere le dava proprio il M.G. (così pag. 5 della sentenza di primo grado, che richiama il verbale stenotipico dell'udienza del 26/4/2016, foll. 18 e 19).
5. Va qui ricordato, quanto ai lavoratori, come costituisca ius receptum che anche un'eventuale colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comporta mento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del la voratore (cfr. ex multis: Sez. 4, n. 16397 del 5 marzo 2015, Guida, Rv. 263386 che ha escluso l'abnormità della condotta del lavoratore, il quale, impegnato nell'installazione di un ascensore, era caduto mettendo il piede in fallo, così battendo la testa e decedendo, dopo essersi sganciato dall'imbracatura di sicurezza per meglio eseguire i lavori di sua competenza, atteso che le modalità esecutive da lui adottate rientravano nel novero delle violazioni comportamentali che i lavoratori perpetrano quanto ritengono di aver acquisito competenza ed abilità nelle proprie mansioni; Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere; Sez. 4, n. 23292 del 28/4/2011, Milio ed altri, Rv. 250710 che ha precisato essere abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli).
6. Correttamente, nel caso che ci occupa, è stata ritenuta non configurabile una condotta abnorme del lavoratore non essendo emerso alcun elemento di prova in tal senso.
Con motivazione priva di aporie logiche i giudici del gravame del merito osservano che non vi è alcun elemento oggettivo che la dimostri, né lo stesso difensore ha individuato in cosa essa possa aver consistito, limitandosi a fare osservazioni suggestive (come la teste N.) sul fatto. che il R.P. potesse in quel momento operare fumando. Si tratta però - come viene rilevato in sentenza- di un'affermazione indimostrata e anche inverosimile, atteso che le manovre da compiere, rapidamente, per eliminare la cera dai rulli appaiono poco compatibili con un con temporaneo fumo di sigaretta. Del resto le dichiarazioni palesemente false rese dalla N. in ordine al fatto che la macchina non funzionasse e che la persona offesa non vi lavorasse, minano ogni credibilità anche delle indicazioni suggestive offerte dalla teste (che non era presente comunque al momento dell'infortunio, né poco prima) in ordine alla circostanza che R.P. stesse fumando (anche credendo alla N., comunque, il fatto che egli tenesse sigarette in tasca non significa affatto che egli fumasse mentre lavorava, tantomeno che lo facesse al momento del sinistro).
L'affermazione difensiva, secondo la quale la pulitura con acetone non aumenta la velocità dell'operazione è infine ritenuta dai giudici fiorentini palesemente smentita dal fatto che l'acetone è un solvente, e come tale rende più facile l'eliminazione della cera, così come ha spiegato anche il teste di P.G., che ha anche aggiunto che se , invece, si usa acqua calda, invece di quella sostanza infiammabile, occorre più tempo.
Ebbene, va ricordato che ....il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Costante giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bot tiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la respon sabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perché il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
Di rilievo anche il recente dictum di Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. il 2019, Musso, Rv. 275017 che ribadisce che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).
7. Manifestamente infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
La Corte distrettuale ha giustificato il rigetto dello specifico motivo di appello, ritenendo congrua la pena irrogata alla luce della gravità della responsabilità, non solo per aver tollerato una prassi lavorativa pericolosa e in considerazione dell'assoluta assenza di procedure operative di lavoro, ma anche per aver destinato un lavoratore addetto a tutt'altre mansioni e non formato all'uso di una macchina destinata a 'personale qualificato'. E' stato considerato inoltre il comportamento processuale, caratterizzato dall'avere introdotto nel processo false affermazioni mediante la testimonianza della moglie N., in relazione alla quale venivano tra smessi gli atti alla Procura della Repubblica per falsa testimonianza e calunnia.
E' stato infine logicamente rilevato come il fatto che l'imputato avesse poi dotato il lavoratore di guanti da lavoro , che questi non aveva indosso al momento dell'infortunio, non ha modificato significativamente gli esiti dannosi del fatto, at teso che il R.P. ha riportato ustioni soprattutto alla testa , nonché alle braccia, oltre che alle mani".
8. Né può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463).
9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 27 ottobre 2020
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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32194 Anno 2020.pdf |
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