Classificazione e caratterizzazione dei rifiuti | Quadro normativo
Appunti Ambiente | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
30 Novembre 2024 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Classificazione e caratterizzazione dei rifiuti | Quadro normativo Documento allegato, riepilogativo, sulla classificazione e caratterizzazione dei rifiuti, quando e perché fare l'analisi. Troppo spesso si fa confusione fra classificazione e caratterizzazione di un rifiuto, in quanto i due termini sono utilizzati come sinonimi. Nella realtà si tratta di due aspetti ben distinti, ovvero di due momenti diversi del processo conoscitivo di un rifiuto. L’articolo 184 del D.Lgs 152/2006 spiega il principio con cui si classifica un rifiuto, in primis per la sua origine, quindi “rifiuti urbani” o “rifiuti speciali”, e il processo da cui esso viene generato, nonchè lo stato fisico in cui si trova (solido, polveroso, fangoso, liquido). 1. Ai fini dell'attuazione della parte quarta del presente decreto i rifiuti sono classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi. 2. Sono rifiuti urbani: 3. Sono rifiuti speciali: 4. Sono rifiuti pericolosi quelli che recano le caratteristiche di cui all’allegato I della parte quarta del presente decreto. 5. L’elenco dei rifiuti di cui all’allegato D alla parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all’articolo 183. Con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dalla presente disposizione, possono essere emanate specifiche linee guida per agevolare l’applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D e I. 5-bis. Con uno o più decreti del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro della salute, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinate, nel rispetto delle norme dell'Unione europea e del presente decreto legislativo, le speciali procedure per la gestione, lo stoccaggio, la custodia, nonché per l'autorizzazione e i nulla osta all'esercizio degli impianti per il trattamento dei rifiuti prodotti dai sistemi d'arma, dai mezzi, dai materiali e dalle infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare ed alla sicurezza nazionale, così come individuati con decreto del Ministro della difesa, compresi quelli per il trattamento e lo smaltimento delle acque reflue navali e oleose di sentina delle navi militari da guerra, delle navi militari ausiliarie e del naviglio dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza e del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera iscritti nel quadro e nei ruoli speciali del naviglio militare dello Stato. 5-bis.1. Presso ciascun poligono militare delle Forze armate è tenuto, sotto la responsabilità del comandante, il registro delle attività a fuoco. Nel registro sono annotati, immediatamente dopo la conclusione di ciascuna attività: 5-bis.2. Il registro di cui al comma 5-bis.1 è conservato per almeno dieci anni dalla data dell'ultima annotazione. Lo stesso è esibito agli organi di vigilanza e di controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, su richiesta degli stessi, per gli accertamenti di rispettiva competenza. 5-bis.3. Entro trenta giorni dal termine del periodo esercitativo, il direttore del poligono avvia le attività finalizzate al recupero dei residuati del munizionamento impiegato. Tali attività devono concludersi entro centottanta giorni al fine di assicurare i successivi adempimenti previsti dagli articoli 1 e seguenti del decreto del Ministro della difesa 22 ottobre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 87 del 15 aprile 2010. 5-ter. La declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto. 5-quater. L’obbligo di etichettatura dei rifiuti pericolosi di cui all’articolo 193 e l’obbligo di tenuta dei registri di cui all’art. 190 non si applicano alle frazioni separate di rifiuti pericolosi prodotti da nuclei domestici fino a che siano accettate per la raccolta, lo smaltimento o il recupero da un ente o un’impresa che abbiano ottenuto l’autorizzazione o siano registrate in conformità agli articoli 208, 212, 214 e 216.[/alert] Lo strumento che viene utilizzato per classificare un rifiuto è l’Elenco Europeo dei Rifiuti che porta all’individuazione del corretto codice CER e della caratteristica di pericolosità o di non pericolosità attribuita al rifiuto. In caso di rifiuto pericoloso vanno poi definite le specifiche caratteristiche di pericolo H (all. I Parte IV D.Lgs 152/06) ad esso attribuite. Vi sono molti casi, tuttavia, in cui il rifiuto in indagine non è riconducibile ad un processo produttivo codificato o tra i codici elencati per un certo processo non se ne trova uno che lo descriva in modo corretto. in molte situazioni, infatti, la voce del CER è generica e, di conseguenza, può essere utilizzata per rifiuti con origini le più disparate, con stati fisici o caratteristiche di pericolo diverse. E’ a questo punto che occorre caratterizzare il rifiuto, ovvero determinare le caratteristiche del rifiuto attraverso la raccolta di tutte le informazioni necessarie per lo smaltimento finale in condizioni di sicurezza. In sintesi: descrivere il processo da cui trae origine, le materie prime utilizzate o le sostanze con cui può essere entrato in contatto e le relative schede di sicurezza. Questi aspetti sono essenziali, inoltre, per la corretta attribuzione al rifiuto delle eventuali caratteristiche di pericolo così come, nell’ottica di un inquadramento gestionale del rifiuto, va inclusa la verifica di idoneità verso l’impianto di destino finale. Risulta evidente, da quanto sinora esposto, come in molti casi sia necessario avvalersi di un supporto analitico. E’ fondamentale comprendere, tuttavia, che non esistono analisi generiche o standard per definire le caratteristiche di cui si è parlato sinora sia in termini di classificazione che di caratterizzazione, sicuramente più minimale la prima decisamente più articolata la seconda. In ogni caso è indispensabile fornire al soggetto che effettuerà la valutazione analitica del rifiuto informazioni inerenti il processo produttivo da cui esso ha tratto origine, la finalità dell’analisi e i risultati attesi (classificazione, caratterizzazione, definizione delle H di pericolo, compatibilità con quale tipologia di impianto di destino) Quindi la procedura per la classificazione è una sola, quelle per la caratterizzazione sono diverse, infatti quest'ultima è in funzione dell’operazione e dell’impianto di smaltimento o di recupero che si intende adottare per il rifiuto. L’analisi di caratterizzazione del rifiuto, è strumento a tutela del produttore e consiste in un’analisi che determina le caratteristiche del rifiuto attraverso la raccolta di tutte le informazioni necessarie per lo smaltimento finale in condizioni di sicurezza. Le informazioni sono sia di tipo merceologico (origine del rifiuto, odore, colore, morfologia, composizione, consistenza) sia di tipo analitico (tendenza a produrre percolato) e consentono di stabilire il codice CER del rifiuto. L’analisi di caratterizzazione del rifiuto devono essere effettuate presso laboratori accreditati previa consegna di un campione rappresentativo del rifiuto. Responsabilità classificazione del rifiuto In base alla tipologia di trattamento a cui i rifiuti sono destinati, sono richieste analisi di diversa periodicità e tipologia. Dall’esame della disciplina normativa vigente in materia emerge che sussiste l’obbligo di procedere all’analisi chimica dei rifiuti solo nelle seguenti ipotesi: a) Per il conferimento in discarica: il D.M. 27 settembre 2010 (art. 2), al fine di determinare l’ammissibilità dei rifiuti in ciascuna categoria di discarica, così come definite dall’art. 4 del D.L.vo 36/2003, impone al produttore l’obbligo di “caratterizzare” il rifiuto. La caratterizzazione ha lo scopo di fornire informazioni fondamentali in merito ai rifiuti (tipo e origine, composizione, consistenza, tendenza a produrre percolato, possibilità di trattamento, parametri critici, ecc.). Tale caratterizzazione deve essere eseguita in occasione del primo conferimento e ripetuta ad ogni variazione significativa del processo originante i rifiuti e comunque almeno una volta all’anno. Il riferimento comunemente utilizzato per il campionamento, anche richiamato nel Decreto 24 giugno 2015 per il conferimento dei rifiuti in discarica, è la norma UNI 10802:2013. Tale norma ha come titolo “Campionamento manuale, preparazione del campione ed analisi degli eluati”. Si tratta di una norma corposa, ma di fondamentale importanza, poiché ciò che viene in essa descritto è applicabile a tutte le tipologie di rifiuti: liquidi, liquefattibili per riscaldamento, fanghi liquidi, fanghi pastosi, polveri o rifiuti granulari, rifiuti grossolani, monolitici o massivi. b) Per il conferimento ad impianti di termovalorizzazione (inceneritori): l’art. 7 del D.L.vo. 133/2005 (abrogato dal D.Lgs. 4 Marzo 2014, n. 46), prevede che il gestore dell’impianto di incenerimento acquisisca dal produttore del rifiuto informazioni sulla composizione chimica dello stesso, al fine di verificare il rispetto delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto. c) Per il conferimento ad attività di recupero rifiuti operanti in regime semplificato: per questo tipo di recupero, ai sensi dell’art. 8 del D.M. 5 febbraio 1998, è stabilito che le analisi siano eseguite dal produttore, in occasione del primo conferimento all’impianto e successivamente ogni 24 mesi e comunque ogni volta che intervengano modifiche sostanziali nel processo di produzione che ha originato tali rifiuti. d) Per i rifiuti cosiddetti “a specchio”. Per questi rifiuti la pericolosità o meno non è definibile a priori, poiché i processi produttivi che li generano possono in realtà avere come esito delle miscele più o meno cariche di inquinanti. Si definiscono “a specchio” poiché per gli stessi è sempre presente una coppia di codici, una pericolosa e l’altra non pericolosa. Per esempio il codice “17.05.03* - Terre e rocce, contenenti sostanze pericolose”, qualora non contenga inquinanti in concentrazioni rilevanti può essere sostituito dal codice “17.05.04 - Terra e rocce, diverse da quelle di cui alla voce 17.05.03”, quindi non pericoloso. Per tali rifiuti quindi la pericolosità viene attribuita o meno basandosi sul confronto delle concentrazioni degli inquinanti in essi contenuti con i valori soglia stabiliti dal Regolamento (UE) 1357/2014. La pericolosità (dovuta nell’esempio sopra riportato alla presenza sostanze pericolose) deve essere stabilita da un’apposita analisi chimica che rilevi le concentrazioni delle sostanze contenute al fine di classificare il rifiuto stesso.
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