Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 16819 | 02 Maggio 2022
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Cassazione Penale Sez. 4 del 02 Maggio 2022 n. 16819
Rischio da utilizzo di amianto nel ciclo lavorativo
Penale Sent. Sez. 4 Num. 16819 Anno 2022
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 20/04/2022
l. Il presente procedimento, concernente reati di lesioni personali colpose e omicidio colposo aggravati dalla violazione dell'art.2087 cod. civ., derivanti da plurime condotte lesive dell'integrità fisica dei lavoratori correlate al rischio da utilizzo di amianto nel ciclo lavorativo, trae origine da una denuncia presentata presso la Procura della Repubblica successivamente alla estinzione, per decesso degli imputati, di analoghi reati contestati a R.G., presidente e amministratore delegato, e F.C., amministratore delegato e direttore generale della Officine Casaralta s.p.a. L'organo inquirente aveva chiesto l'archiviazione del procedimento per difetto di posizione di garanzia degli odierni ricorrenti in relazione alla qualifica rivestita in ambito aziendale; richiesta rigettata dal giudice per le indagini preliminari, che aveva disposto la formulazione dell'imputazione e, all'esito dell'udienza preliminare, il rinvio a giudizio in relazione ai delitti per i quali non era maturato il termine di prescrizione e per i quali le persone offese erano lavoratori dipendenti delle Officine Casaralta s.p.a. nel periodo in cui gli imputati avevano rivestito la posizione di componenti del consiglio di amministrazione, ossia R. C. dal 1977, Z.F. dal 1979, R. A. dal 1961.
2. Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 13/07/2017, per quanto qui interessa, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di R. A., R. C. e Z.F. per i reati di lesioni personali nei confronti di OMISSIS per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di R. A. per il reato di lesioni colpose ai danni del lavoratore C.G. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione; ha dichiarato R. C. responsabile dei reati di omicidio colposo nei confronti dei lavoratori OMISSIS; ha dichiarato Z.F. responsabile dei reati di omicidio colposo ai danni dei lavoratori OMISSIS; ha dichiarato R. A. responsabile dei reati di omicidio colposo ai danni dei lavoratori OMISSIS, condannando i predetti imputati R. C. e Z.F. alla pena di anni due di reclusione e R. A. alla pena di anni tre di reclusione nonché al risarcimento dei danni nei confronti della Associazione Lavoratori Bolognesi Esposti Amianto (ALBEA), degli eredi di OMISSIS.
3. In data antecedente al giudizio di appello le costituite parti civili hanno revocato la costituzione in giudizio in conseguenza dell'avvenuto risarcimento dei danni effettuato da tutti gli imputati e la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha concesso agli imputati le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, così dichiarando non doversi procedere nei confronti degli appellanti in ordine ai reati ai danni di OMISSIS perché estinti per sopravvenuta prescrizione, assolvendo R. A. dal reato ai danni di M.P. per insussistenza del fatto nonché R. C. e R. A. dal reato ai danni di B.G. per non aver commesso il fatto, revocando le statuizioni civili della sentenza impugnata e confermando tale sentenza nel resto.
4. Hanno proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della corte bolognese, R. A., R. C. e Z.F.. Illustrano, in primo luogo, quale sia l'interesse sotteso all'impugnazione. Essi mirano ad ottenere una sentenza irrevocabile di assoluzione in quanto tale sentenza, ai sensi dell'art. 652, comma 1, cod. proc. pen., ha efficacia di giudicato nel giudizio civile promosso dal danneggiato; inoltre, sostengono che la palese contraddittorietà della motivazione sul punto concernente la loro posizione di garanzia è idonea ad arrecare loro un significativo pregiudizio, ove si consideri che la dichiarazione della causa estintiva è avvenuta previa concessione delle circostanze attenuanti generiche sul presupposto della sussistenza della prova positiva della loro colpevolezza.
4.1. Con il primo motivo di ricorso e con riferimento ai capi relativi ai reati di lesioni colpose e omicidio colposo contestati ai ricorrenti R. C. e Z.F. per i quali è stata pronunciata declaratoria di non doversi procedere, deducono violazione di legge e vizio di motivazione in merito all'accertamento della datazione del periodo in cui presso le Officine di Casaralta è cessato l'utilizzo dell'amianto. Sul punto la difesa richiama una serie di prove documentali dalle quali emergerebbe con evidenza che l'uso dell'amianto presso le Officine sarebbe cessato a partire dalla seconda metà degli anni '70.
4.2. Con il secondo motivo e con riguardo ai capi relativi ai reati di lesioni colpose e di omicidio colposo per i quali è stata pronunciata declaratoria di prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla prova circa la sussistenza del fatto e il nesso di causa, con particolare riferimento alla prova scientifica concernente l'accertamento dell'ascrivibilità ai ricorrenti di condotte causalmente incidenti sulle malattie contratte dalle persone offese.
4.3. Con il terzo motivo, sempre con riguardo ai reati per i quali è stata dichiarata l'intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, impugnano l'ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna il 2 novembre 2016 e la parte della sentenza confermativa di tale provvedimento per violazione di legge processuale, art. 360, comma 5, cod. proc. pen. deducendo la conseguente inutilizzabilità ai sensi dell'art.191 cod. proc. pen. dell'appendice alla consulenza tecnica del pubblico ministero redatta dal dott. Murer relativa agli esami istologici e immunoistochimici del materiale biologico dei casi di mesotelioma pleurico, nonchè per vizio di motivazione sul punto relativo alla diagnosi dei casi di tumore del polmone e di asbestosi. La difesa lamenta di non essere stata messa nelle condizioni di interloquire sulle modalità e sulle tecniche di esecuzione degli esami immunoistochimici eseguiti dal dott. Murer, ritenendoli accertamento tecnico non ripetibile in quanto il tessuto utilizzato viene modificato con specifici reagenti; lamenta, altresì, che analoga valutazione non sia stata fatta per i casi di sospetto del tumore del polmone, asbestosi e placche pleuriche, con conseguente incertezza diagnostica idonea a determinare mancanza o insufficienza della prova, tanto più nei casi di asbestosi e placche pleuriche riferibili a soggetti fumatori. In particolare, la difesa sottolinea come per i lavoratori OMISSIS. Nello la diagnosi di asbestosi fosse incerta, tanto più che M. e L.M. sono fumatori. Con riferimento ai casi di placche pleuriche, per l'unico non fumatore, C.G., non vi è evidenza di alterazioni polmonari mentre gli altri lavoratori, C., R.C. e S., sono tutti fumatori.
4.4. Con un quarto motivo, e con riguardo ai capi relativi ai reati per i quali è stata pronunciata declaratoria di intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, deducono violazione di legge e vizio di motivazione sul punto relativo alla prova della cosiddetta causalità della colpa, essendo del tutto mancante nell'accertamento del nesso causale la valutazione dell'efficacia eziologica del comportamento alternativo lecito; secondo quanto considerato dai consulenti tecnici del pubblico ministero, l'utilizzo di maschere di carta per la protezione da inalazione di polveri sarebbe stato rimedio solo molto probabile per il tumore polmonare e il mesotelioma.
4.5. Con un quinto motivo, e per i capi relativi ai reati per i quali è stata pronunciata declaratoria di intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, hanno dedotto violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta posizione di garanzia e alla colpa dei ricorrenti. La difesa ha precisato il carattere pregiudiziale e assorbente della presente questione in quanto, con riguardo al reato commesso, secondo l'accusa, in danno di B.G., la corte territoriale, richiamando giurisprudenza di legittimità sul punto, ha escluso la posizione di garanzia sulla base di considerazioni che avrebbero dovuto essere estese a tutti i reati per i quali si procede.
5. Con nota del 31 marzo 2022 il difensore di R. A. ha depositato certificato di morte della ricorrente.
1. L'intervenuto decesso, in data 22 febbraio 2022 come da certificato in atti, di R. A. impone l'immediata dichiarazione di estinzione di tutti i reati alla stessa contestati per i quali è intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione. Non è consentito al Collegio, essendo sopravvenuto il decesso dell'imputata, esaminare il relativo ricorso, trattandosi di causa estintiva del rapporto processuale che preclude ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 49783 del 24/09/2009, Martinenghi, Rv. 245162; Sez. 5, n. 10696 del 16/12/2021, dep.2022, Alfieri; Sez. 3, n.23906 del 12/05/2016, Patti, Rv. 267384; Sez. 1, n. 24507 del 09/06/2010, Lombardo, Rv. 247790). A tale conclusione deve pervenirsi anche nelle ipotesi nelle quali vi sia evidenza della causa di proscioglimento, giacchè la morte del ricorrente prima della decisione del ricorso determinerebbe, come costantemente affermato dalla Corte di legittimità, l'inesistenza giuridica del provvedimento eventualmente adottato. La soluzione indicata già da Sez. U. n. 3489 del 23/01/1982, Renna è l'unica adeguata alla situazione che si determina con la morte del ricorrente: il venir meno del soggetto processuale nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti e la conseguente dissoluzione del rapporto procedimentale impediscono ogni altro tipo di provvedimento, il quale necessiterebbe pur sempre della previa utilizzazione di forme procedimentali che presuppongono un potenziale contraddittorio, e sono ad esso funzionali; contraddittorio invece ormai impossibile (Sez. 6, Ord. n. 31299 del 15/07/2009, Metastasio, Rv. 244703).
2. Il primo tema da esaminare concerne, ora l'interesse dei ricorrenti R. C. e Z.F. a presentare la presente impugnazione, trattandosi di ricorso proposto avverso i punti della sentenza in cui la Corte di appello ha confermato la dichiarazione di estinzione dei reati di lesioni colpose già pronunciata dal giudice di primo grado con riferimento ai lavoratori L.M., M.R., R.C., S., T. e C.G. e ha dichiarato di non doversi procedere per sopravvenuta estinzione dei reati di omicidio colposo, revocando le statuizioni civili, con riferimento ai lavoratori Omissis.
2.1. In generale, si riconosce l'interesse dell'imputato ad impugnare una sentenza che non lo proscioglie con la formula più favorevole. Ai fini dell'ammissibilità del ricorso secondo i canoni dell'art.568 cod. proc. pen., l'atto d'impugnazione deve tuttavia indicare l'interesse concreto, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare che, i.n quanto attualmente pregiudizievoli, il ricorrente chiede siano eliminati. Tale interesse può consistere sia nel conseguimento di effetti penali più vantaggiosi (quali ad esempio l'assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), sia nel perseguimento di conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l'ordinamento rispettivamente fa derivare dall'efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652 cod. proc. pen.), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653 cod. proc. pen.), e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 cod. proc. pen.). In altri termini, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell'ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all'imputato, questi ha interesse a impugnare la sentenza qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l'eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole (Sez. 1, n. 7671 del 05/12/2000, dep. 2001, Patteri, Rv. 218311; Sez. 6, n. 8450 del 17/06/1998, Mazzilli, Rv. 212226). Tale principio interpretativo è stato in passato declinato con sentenza delle Sezioni Unite nel senso dell'insussistenza di un interesse concreto all'impugnazione della sentenza assolutoria ai sensi dell'art.530, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, dep.1996, Fachini, Rv. 203762), posto che in tal caso la formula del dispositivo non potrebbe mutare e che la motivazione che mostri perplessità sull'innocenza dell'imputato non lede posizioni soggettive giuridicamente rilevanti. Successivamente, pur confermandosi il criterio interpretativo espresso nella sentenza Fachini, si è nel tempo precisato: che l'interesse dell'imputato a impugnare la sentenza di assoluzione emessa ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. va valutato in concreto (Sez. 5, n. 40826 del 21/09/2004, Belluomini, Rv. 230112, in un caso in cui era pendente l'accertamento del reato di calunnia contestato alla parte offesa); che sussiste l'interesse giuridico dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula «perché il fatto non costituisce reato», al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria «perché il fatto non sussiste» (Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv. 252150) in ragione dei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 cod. proc. pen., connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare (Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, Mussari, Rv. 276524); che sussiste l'interesse dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula «perché il fatto non costituisce reato», al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria «perché il fatto non sussistè», allorquando egli deduca che l'accertamento del fatto materiale oggetto del processo penale possa pregiudicare le situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi, anche distinti rispetto a quelli di danno, ovvero disciplinari (Sez. 4, n. 49710 del 04/11/2014, Di Cuonzo, Rv. 261178).
2.2. Nel caso concreto, ferma restando l'assenza di interesse concreto e attuale ad impugnare il punto della sentenza in cui è stata confermata la dichiarazione d'improcedibilità pronunciata in primo grado in relazione alle lesioni personali subite dai lavoratori L.M., M.R., R.C. , S. , T. e C.G., trattandosi di decisione priva di qualsivoglia effetto pregiudizievole concreto e attuale in quanto non supportata da alcuna motivazione (Sez. 4, n.12175 del 3/11/2016, dep. 2017, Bordogna, in motivazione; Sez. U civili, n. 1768 del 26/01/2011, Rv. 616366), a diversa conclusione deve giungersi con riguardo alla declaratoria di estinzione dei reati di omicidio colposo in danno dei lavoratori OMISSIS. A tale pronuncia la Corte territoriale è, infatti, pervenuta per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, dunque previo accertamento della sussistenza del fatto e della colpevolezza degli imputati. L'accertamento della responsabilità penale costituisce, infatti, l'indefettibile antecedente logico-giuridico per accedere al momento decisionale attinente all 'irrogazione della pena e, in quest'ambito, alla verifica della sussistenza di eventuali circostanze attenuanti e determina l'interesse dei ricorrenti nei termini sopra indicati.
3. Va precisato, tuttavia, che il principio al quale hanno fatto richiamo i ricorrenti, laddove hanno dedotto il loro interesse a ottenere una sentenza irrevocabile di assoluzione che possa avere effetto nei giudizi civili di danno, rimarcando che solo alcune delle persone offese dai reati loro contestati si sono costituite parti civili nel giudizio di primo grado, va coniugato, qualora sia impugnata la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, con il disposto dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., che consente al giudice di accedere alla pronuncia di proscioglimento nel merito esclusivamente qualora, pur ricorrendo la causa estintiva del reato, risulti «evidente» l'innocenza dell'imputato .
3.1. La prima conseguenza di tale disposizione è l'inapplicabilità della regola di cui all'art.530, comma 2, cod. proc. pen. (e del correlato princìpio dettato dall'art.533, comma 1, cod. proc, pen.) in presenza di una causa estintiva di reato. In tale situazione al giudice non è consentito equiparare la prova incompleta alla mancanza di prova, né compiere attività ulteriori rispetto alla mera constatazione (Sez. 6, n. 27725 del 22/03/2018, Princi, Rv. 273679), prevalendo la regola dettata dall'art . 129, comma 1, cod. proc. pen., che esprime il principio di economia processuale. E' stato, in proposito, argomentato che la «evidenza » richiesta dall'art. 129, comma 2, cit. presuppone la manifestazione di una verità processuale cosi chiara, manifesta e obiettiva da rendere superflua ogni altra dimostrazione, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova, che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, Giuffrida, Rv. 258441; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, Rizzo, Rv. 256202; Sez. 2, n. 9174 del 19/02/2008, Palladini, Rv. 239552). Tale regola cede il passo alla possibilità per il giudice di pervenire al proscioglimento nel merito, quindi al princìpio secondo il quale il processo penale deve tendere all'accertamento della verità, qualora il giudice dell'impugnazione sia comunque tenuto ad esaminare funditus il tema della responsabilità dell'imputato per la presenza nel processo della parte civile ovvero nel caso in cui il giudice di appello ritenga infondato nel merito l'appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado resa ai sensi dell' art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (Sez.U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
3.2. Ulteriore conseguenza della disposizione in esame, consacrata nella sentenza delle Sezioni Unite Tettamanti, è l'inammissibilità in sede di legittimità dei motivi di ricorso che denuncino vizi di motivazione della sentenza impugnata tali da comportare un annullamento con rinvio, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez.5, n.588 del 04/10/2013, dep. 2014, Zambonini, Rv. 258670).
3.3. In ogni caso, la tutela del diritto dell'imputato all'accertamento della sua innocenza è garantita, da un lato, dalla medesima disposizione dettata dall'art.129, comma 1, cod. proc. pen., che impone l'immediata pronuncia della sentenza non solo al ricorrere di una causa di non punibilità in senso stretto ma anche quando il giudice riconosca che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso e, dall'altro, dalla facoltà, riconosciutagli dall'art.157 cod. pen. come integrato dal Giudice delle leggi, di rinunciare alla causa estintiva (la Corte Costituzionale, con sent.n.275 del 23 maggio 1990, ha sottolineato come detta rinunciabilità debba considerarsi quale strumento efficace per l'esplicazione del diritto di difesa ai fini del perseguimento dell'interesse morale ad un'assoluzione con formula piena).
4. Si può, dunque, affermare che, qualora l'imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga appello o ricorso per cassazione avverso la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, è tenuto, a pena di inammissibilità, a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilità dell'elemento soggettivo del reato, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ponendosi così rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Pintilie, Rv. 275219; con riguardo all'appello Sez. 3, n. 46050 del 28/03/2018, M., Rv. 274200). La deduzione di specifici motivi nel senso indicato nelle massime è, in tal caso, anche funzionale ad evidenziare l'interesse dell'impugnante a conseguire l'unico possibile esito decisorio, più favorevole, consentito dalla legge.
4.1. Nel caso in esame, il difensore ha coerentemente specificato che «gli elementi dai quali evincere la non commissione dei reati da parte degli odierni ricorrenti si ricavano dalla immediata constatazione delle violazioni di legge (sostanziale e processuale) dedotte nonché dalla evidente e marcata contraddittorietà della sentenza impugnata, senza necessità di ulteriori accertamenti o approfondimenti». Considerato, tuttavia, che nel ricorso si afferma che il vizio di motivazione emerge dallo stesso tenore della motivazione «o dal raffronto tra quest'ultima e gli atti processuali specificamente indicati e allegati», con riguardo a tale ultimo inciso va aggiunto che, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, in presenza della causa estintiva della prescrizione, l'obbligo di declaratoria, da parte del giudice di legittimità, di una più favorevole causa di proscioglimento ai sensi dell'art. 129, comma 2, cit. comporta il controllo unicamente della sentenza impugnata, nel senso che gli atti dai quali può essere desunta la sussistenza della causa più favorevole sono costituiti unicamente dalla predetta sentenza, in conformità con i limiti di deducibilità del vizio di mancanza o manifesta illogicità di motivazione, la quale, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. deve risultare dal testo del provvedimento impugnato (ex multis, Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258169; Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, Amurri, Rv. 253458).
4.2. Per converso, essendo stato impugnato anche il punto della sentenza con cui è stata confermata la declaratoria di intervenuta prescrizione per i reati di lesioni colpose pronunciata dal tribunale, è bene rimarcare che non risultano dedotte censure di omessa motivazione in ordine a cause di proscioglimento nel merito prospettate con l'atto di gravame, come si desume anche da quanto affermato a pag.5 del ricorso («l'accoglimento del presente ricorso non determinerebbe la necessità di un rinvio al giudice del merito»). Ne deriva che, anche per tale profilo dell'impugnazione, il giudizio di questa Corte non può che pervenire all'inammissibilità del ricorso in relazione a tale punto della sentenza.
5. Non ultimo elemento da porre in evidenza è che, mentre il giudice di primo grado ha rilevato l'intervenuta prescrizione di alcuni dei reati contestati senza riconoscere le circostanze attenuanti generiche, nella sentenza impugnata la Corte d'appello ha emesso la declaratoria di prescrizione di alcuni dei residui reati di omicidio colposo per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, le quali, determinando ai sensi dell'art.157 cod. pen. vigente anteriormente all'entrata in vigore della legge 5 dicembre 2005, n.251 la riduzione della pena edittale massima, hanno comportato il decorso del termine massimo di sette anni e sei mesi per tutti i reati contestati.
5.1. Al riconoscimento delle anzidette attenuanti, che concernono all'evidenza il trattamento sanzionatorio, la Corte di merito, come detto, è pervenuta dopo avere previamente accertato, richiamando la motivazione offerta dal giudice di primo grado, la sussistenza del fatto e la colpevolezza degli imputati. L'accertamento della responsabilità penale costituisce, infatti, l'indefettibile antecedente logico-giuridico per accedere al momento decisionale attinente all'irrogazione della pena e, in quest'ambito, alla verifica della sussistenza di eventuali circostanze attenuanti. Questa premessa serve per meglio comprendere la portata precettiva della norma di cui all'art. 531 cod. proc. pen., secondo cui «il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere, enunciandone la causa nel dispositivo». Nell'ipotesi, però, che alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione si giunga attraverso la concessione di circostanze attenuanti (e il relativo giudizio di prevalenza sulle eventuali circostanze aggravanti), la sentenza di proscioglimento dovrà contenere, in motivazione, l'accertamento incidentale della responsabilità penale, quale passaggio logico pregiudiziale al riconoscimento delle attenuanti medesime (Sez. 1, n. 55026 del 07/06/2017, Baratta, Rv. 271890; Sez. 6, n. 6687 del 16/12/2014, dep.2015, Matarazzo, Rv. 263655; Sez. 6, n. 12048 del 05/10/2000, Barbieri, Rv. 218210; Sez. 4, n. 5069 del 04/04/1996, Messina, Rv. 204960).
5.2. Si è, infatti, chiarito che in simili ipotesi è interesse dell'imputato conoscere le ragioni della decisione e dovere del giudice fornire supporto giustificativo in merito all'accertamento incidentale di responsabilità; tale interesse, che travalica il principio della immediata dichiarazione della causa estintiva, non si traduce comunque nella possibilità di proporre ricorso per vizi della motivazione o per incompletezze istruttorie.
6. Si esamina, ora, il quinto motivo di ricorso in quanto inerisce a questione che, nella prospettazione difensiva, assume carattere pregiudiziale e assorbente.
6.1. E si esamina in primo luogo, il passo della sentenza nel quale si valutato il caso del lavoratore B.G., manovale e magazziniere in Casaralta dal 19 maggio 1967 al 4 dicembre 1979 al quale furono diagnosticate nel 1997 placche pleuriche e nel 2011 asbestosi e che decedette il 22 marzo 2013 a causa di neoplasia vescicale operata e asbestosi polmonare, come da certificato del 2 aprile 2013 a firma della dott.ssa Vincenza Perlangieri della AUSL di Bologna.
6.2. Ebbene, in base alla decisione di primo grado, fatta propria dai giudici di appello, le acquisizioni documentali avevano fornito la prova della riconducibilità eziologica del decesso di tale lavoratore a patologie asbesto correlate e all'esposizione ad asbesto durante l'attività lavorativa in Casaralta, cosicchè la responsabilità per il suo decesso era stata ascritta sia a R. A. che a R. C., mentre era stata esclusa la responsabilità di Z.F. in quanto entrato nel consiglio di amministrazione in data sostanzialmente coincidente con la cessazione del rapporto di lavoro del B. presso Casaralta.
6.3. Con riguardo a R. A., l'intervenuto decesso preclude l'esame del motivo di ricorso.
6.4. Con riguardo a R. C., sul rilievo che quest'ultimo aveva assunto a soli ventuno anni la carica di consigliere di amministrazione il 18 maggio 1977 e che il rapporto di lavoro del B. era cessato due anni e mezzo dopo, la Corte ha ritenuto che non vi fosse prova certa che egli avesse avuto il tempo di conoscere e percepire le condizioni di pericolosità alle quali il lavoratore era esposto e, conseguentemente, di attivarsi per eliminare tale situazione di pericolo. I giudici di appello hanno evidenziato: che R. C., al momento dell'assunzione della formale qualifica di consigliere di amministrazione, non aveva alcuna esperienza gestionale; che non era emersa alcuna prova in ordine alle sue competenze concernenti la pericolosità dell'esposizione all'amianto; che non era emersa la conoscenza della situazione di pericolosità per coloro che, come il B., svolgevano le mansioni di manovale e magazziniere, dunque erano soggetti a esposizioni passive; che non vi era la prova che dal 18 maggio 1977 al 4 dicembre 1979 il consiglio di amministrazione avesse assunto decisioni in materia di sicurezza sul lavoro o che fossero state sottoposte al medesimo organo questioni concernenti la pericolosità dell'amianto presente in fabbrica; che non vi era prova che tale imputato avrebbe potuto evitare, per un lavoratore che era esposto da dieci anni, la patologia mortale.
6.5. Le affermazioni di cui sopra non consentono, però, di pervenire all'accoglimento del motivo di ricorso con riferimento a R. C. sulla base della motivazione di assoluzione svolta in relazione al lavoratore B., data l'esclusiva riferibilità degli argomenti sviluppati alla posizione di tale lavoratore. Come si evince dal capo d'imputazione e dalle indicazioni contenute nelle due sentenze di merito in relazione alle posizioni di ciascuna persona offesa, gli altri lavoratori hanno prestato attività lavorativa presso la Casaralta con permanenza di almeno quattro anni successiva all'assunzione della carica di consigliere di amministrazione da parte di R. C.: B. 1958- 87, B. 1972-85, D. 1954-89, G. 1961-85, P. 1971-91, B. 1951-86, M. 1960-94, B. 1980-82, C. 1963-98, F. 1954-81, M. 1971-83, S. 1946-81, V. 1957-87, D. 1963-87, M. 1946-86.
7. Si esamina, dunque, il primo motivo di ricorso, tendente a dimostrare l'evidenza della prova che, all'epoca in cui R. C. e Z.F. assunsero la carica di componenti del consiglio di amministrazione, fosse già cessato l'utilizzo di amianto in Casaralta.
7.1. A tal fine, si deduce che la commessa per n. 30 locomotive E656 in corso di esecuzione nel 1977 riguardava, come reso evidente dall'album del Servizio Materiale e Trazione FS prodotto dalla difesa, rotabili realizzate con coibenti diversi dall'amianto e che neppure le carrozze a due piani di cui alla commessa delle Ferrovie Nord di Milano e delle Ferrovie dello Stato degli anni 1978-79 comparivano nel predetto album; tale argomento non si confronta con quanto si legge a pag. 25 della sentenza di primo grado, in cui, pur dando atto del mancato raggiungimento della prova che tutte le commesse relative a tali locomotive riguardassero serie contenenti amianto, il giudice ha valorizzato la testimonianza del dipendente R.C., falegname in servizio presso Casaralta dal 1969 al 1989, il quale ha affermato che il sistema di coibentazione con l'amianto era continuato sino ai primi anni '80 del 900, da ultimo proprio in relazione alle carrozze a due piani.
7.2. Si deduce, inoltre, l'evidenza della prova che le commesse ricevute dalle Ferrovie dello Stato per ristrutturare e rinnovare le carrozze del gruppo 23000 riguardavano esclusivamente il sottogruppo con numeri da 23100 a 23149 in costruzione negli anni 1949-1951 e non contenenti amianto, senza confrontarsi con le emergenze istruttorie che hanno condotto il giudice di primo grado a ritenere che anche le carrozze prodotte negli anni 1956-1957, che presentavano coibentazione in amianto, fossero state ristrutturate, almeno in buona parte, preso Casaralta (pagg.32 segg. sentenza di primo grado). Con riferimento specifico alle ristrutturazioni, il giudice di merito ha ritenuto che l'amianto continuò ad essere presente sino alla prima metà degli anni '80, non ritenendo significativa la campionatura effettuata il 10 dicembre 1980 da personale del consorzio sociosanitario di Bolognina-Lame-Corticella all'interno dello stabilimento a fronte del dato emergente dalla prova dichiarativa e dal dato documentale costituito dall'avvenuto pagamento da parte della Firema Trasporti s.p.a. (costituita il 1.12.1984 e incorporante la Casaralta s.p.a. dal 1993) di premi supplementari per il rischio asbestosi sino al 30 giugno 1988. Tale documento ancorché non dirimente, è stato ritenuto coerente con quanto emerso dalla prova dichiarativa.
7.3. Si deduce, quindi, l'evidenza della prova dell'assenza di amianto in Casaralta nel periodo di interesse, emergente dalle attività di campionatura effettuata dall'autorità sanitaria già dalla metà degli anni '70, contestando la valutazione di tale prova documentale presente alle pagg.34-35 della sentenza di primo grado.
7.4. Si sono richiamate in dettaglio le argomentazioni difensive, confrontandole con le pronunce di merito, onde metterne in luce l'inammissibilità. Si tratta, a ben vedere, di sollecitazioni rivolte alla Corte di legittimità affinchè esprima un giudizio di maggiore attendibilità delle prove fornite dalla difesa rispetto a quelle valorizzate dai giudici di merito, in palese contrasto con i limiti del presente giudizio, già evidenziati al par.3.
8. Si esamina, ora, il secondo motivo di ricorso, limitandone l'esame agli argomenti che riguardano i ricorrenti R. C. e Z.F.. Il motivo è infondato. Si tratta di censura che tende a dimostrare «la violazione di legge o, comunque, la manifesta contraddittorietà della motivazione relativa alle prove scientifiche» concernenti, da un lato, il processo di cancerogenesi; dall'altro, la valutazione del preteso effetto sinergico tra fumo di sigaretta e presunta esposizione ad amianto nell'eziologia del tumore del polmone nel caso di M. rispetto a casi analoghi.
8.1. Secondo la difesa, la declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione con riguardo ai casi di mesotelioma pleurico dovrebbe cedere il passo all'assoluzione nel merito in ragione del fatto che i giudici di merito, malgrado la dichiarata adesione alla c.d. teoria multistadio, hanno sposato in realtà la tesi scientifica secondo la quale le esposizioni successive alla fase di induzione avrebbero l'effetto di accelerare il momento della manifestazione del tumore, in contrasto con le tesi dei consulenti del pubblico ministero e di quello della difesa, con l'insufficienza dei dati epidemiologici (causalità generale) ai fini del giudizio sul nesso di causa e con i dati epidemiologici relativi alla coorte di Casaralta, dimostrativi del fatto che a maggiore esposizione corrisponde una maggiore latenza della malattia. A sostegno del motivo si riportano passi della consulenza tecnica di parte a firma Prof. Violante.
8.2. Si deduce, quindi, la contraddittorietà tra l'assoluzione pronunciata in merito alla patologia riscontrata nel lavoratore M., deceduto il 16 agosto 2013 per neoplasia polmonare, rispetto alla declaratoria di prescrizione dei reati concernenti le analoghe vicende riguardanti le persone offese OMISSIS.
8.3. Il tema proposto nella prima parte del presente motivo attiene all'accertamento della cd. causalità individuale; ovvero dell'attribuzione del singolo decesso all'esposizione della persona offesa durante il tempo in cui i ricorrenti assunsero la posizione di garanzia. Ma si tratta di assunto del tutto destituito di fondamento, non riscontrandosi nel percorso motivazionale l'applicazione di teorie scientifiche diverse dalla teoria c.d . multistadio, oltre che inammissibile laddove tende ad avvalorare la tesi scientifica sostenuta dal consulente tecnico della difesa. Il giudice di primo grado ha svolto ampia motivazione per giustificare le seguenti conclusioni: che la data di dismissione dell'amianto in Casaralta sia databile intorno al 1985 (pagg.21-35); che fino a quella data l'esposizione dei lavoratori ad amianto non fosse protetta (pagg. 40- 77); che la tesi scientifica più attendibile in ordine al processo di cancerogenesi è quella sposata dai consulenti tecnici del pubblico ministero, confermata in dibattimento dalle deposizioni dei due periti nominati dal tribunale nei precedenti processi Casaralta (teoria multistadio correlata alla dose-dipendenza); che la comunità scientifica ha individuato la durata della latenza propriamente detta in un periodo stimabile in circa 10 anni; che, in ogni caso, pur avendo rilevanza nel processo di cancerogenesi tutte le esposizioni a fibre di amianto successive alla prima, nessuna incidenza debba riconoscersi alle dosi inalate dopo l'innesco del processo di cancerogenesi irreversibile (termine della fase di induzione), nè sotto il profilo della gravità né sotto il profilo dei tempi di latenza della malattia (pagg. 87-108). Nella sentenza (pagg. 89 e 98) il giudice ha anche spiegato le ragioni per le quali le valutazioni del consulente della difesa non potessero essere condivise. Il giudice, a pag.117, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità per affermare l'irrilevanza della impossibilità di individuare il momento in cui si completa la fase dell'induzione ai fini dell'accertamento causale delle patologie tumorali asbesto-correlate anche qualora si sia verificato un avvicendamento nelle posizioni di garanzia, ritenendo sufficiente che il giudice accerti indici significativi secondo la legge scientifica di copertura, come la correttezza della diagnosi della patologia tumorale, l'esposizione all'agente cancerogeno e la relativa durata, l'assenza di fattori causali alternativi.
8.4. Il sindacato del giudice di legittimità, nel caso di ricorso proposto dall'imputato che non ha rinunciato alla prescrizione, non può spingersi oltre la verifica dell'evidenza probatoria circa l'assenza del nesso di causa tra le condotte ascritte agli imputati e gli eventi che ne sono derivati secondo l'ipotesi accusatoria. Tale evidenza probatoria non è desumibile dall'asserita opinabilità di una legge di copertura, neppure essendo consentito verificare se la teoria scientifica seguita, comunque autorevolmente proposta e condivisa dalla comunità scientifica, sia stata motivatamente falsificata, dovendosi altrimenti ammettere la possibilità, negata in premessa, dell'annullamento con rinvio della sentenza per vizio di motivazione. Nel caso concreto, in altre parole, non risulta alcuna certezza che, nel periodo di riferimento, l'esposizione dei lavoratori non abbia avuto incidenza sui decessi per mesotelioma, trattandosi di lavoratori che hanno prestato continuativamente la loro attività nel periodo in cui i ricorrenti ricoprivano la carica di consiglieri di amministrazione e che sono deceduti tutti negli anni 2009-2011. Né risulta corretto, in questa sede, richiamare le pronunce di legittimità nelle quali si è affrontata la questione della maggiore o minore attendibilità della tesi del c.d. effetto acceleratore sulla base dei dati relativi ai tempi di latenza in correlazione ai tempi di esposizione dei lavoratori ad amianto, essendo estranea al presente giudizio, secondo quanto già precisato al par.3, la possibilità di applicare la regola dettata dall'art.533, comma 1, cod. proc. pen.; manca, soprattutto, specifica evidenza che il processo patogenetico riguardante una o più tra le persone offese si sia sviluppato in un periodo significativamente più breve, tanto da consentire di datare con certezza il termine della fase di induzione in epoca antecedente agli anni 1977-1979 .
8.5. Ad analoghe conclusioni, qui da intendersi richiamate le valutazioni di cui al par.8.4, deve giungersi con riguardo alla seconda parte del presente motivo. Va, in primo luogo, esclusa ogni valutazione con riguardo al lavoratore P.G., il cui decesso era stato ascritto in via esclusiva a R. A.. Secondariamente, si osserva che la difesa fa riferimento a dati epidemiologici «relativi alla coorte Casaralta», al modello additivo dei fattori di rischio applicabile in assenza di asbestosi e alle analogie con la posizione del lavoratore M. (fumatore, periodo di lavoro 1957-1967 e causa del decesso, avvenuto nel 2013, neoplasia polmonare diagnosticata nel 2011) per contestare l'attendibilità delle valutazioni espresse dai giudici di merito circa il nesso di causa tra le condotte ascrivibili ai ricorrenti e il decesso dei lavoratori B. (forte fumatore, periodo di lavoro 1980-1982 e causa del decesso, avvenuto nel 2007, neoplasia polmonare diagnosticata nel 2006) e F. (fumatore, periodo di lavoro 1954-1981 e causa del decesso, avvenuto nel 2004, neoplasia polmonare M3 dopo carcinoma della laringe operato nel 2000). Premessa l'inesistenza nel caso di specie di specifici studi di coorte riferibili allo stabilimento di Casaralta, si osserva che nella sentenza di merito sono state esaminate, e motivatamente disattese, le obiezioni mosse dal consulente della difesa e che, in ogni caso, risulta evidente la non comparabilità dei percorsi causali individuali riferibili ai lavoratori indicati.
9. Si esamina, dunque, il terzo motivo, con cui è stata dedotta l'inutilizzabilità degli esami istologici e immunoistochimici del materiale biologico inerente ai casi di mesotelioma pleurico in quanto tali esami, richiesti all'anatomopatologo dott. Murer dai consulenti del pubblico ministero a fini di «conclusiva revisione» di ciascuna diagnosi e allegati in appendice alla consulenza tecnica dell'accusa, sono stati eseguiti in violazione dell'art.360, comma 5, cod. proc. pen.; si tratterebbe, secondo la difesa, di accertamenti non ripetibili sul medesimo tessuto posti in essere in violazione del diritto di difesa. Dall'inutilizzabilità di tali esami, ma anche dall'assenza di analoga richiesta di esami di conferma per i casi di tumore del polmone, la difesa desume l'assenza di prova certa in ordine alle diagnosi relative alle patologie asbesto-correlate. Trattasi, con evidenza, di una prospettazione inammissibile nel presente giudizio, secondo quanto già evidenziato al par.3.
10. Con riguardo al quarto motivo di ricorso, si tratta di censura inammissibile. La difesa lamenta la violazione degli artt.40, 41, 43, comma 1, 589 e 590 cod. pen. in relazione all'art.533, comma 1, cod. proc. pen. in punto di prova della causalità della colpa nonché vizio di motivazione in punto di diagnosi dei casi di neoplasia polmonare e di asbestosi. Le sentenze di merito non avrebbero affrontato, secondo l'assunto difensivo, il tema dell'efficacia eziologica del c.d. comportamento alternativo lecito in relazione a norme cautelari elastiche, quali sono le disposizioni del d.P.R. 19 marzo 1956, n.303 in materia di cautele da adottare contro il rischio di diffusione di polveri nocive, e in ogni caso hanno fondato il giudizio di colpevolezza sul dato tecnico secondo il quale l'uso di maschere di carta per la protezione dall'inalazione di polveri avrebbe con certezza limitato il rischio di asbestosi ma solo con «molta probabilità» avrebbe limitato il rischio di tumore polmonare e mesotelioma, così cadendo in errar in iudicando.
10.1. La tesi difensiva, che attinge il profilo oggettivo della colpa, non trova riscontro nell'esame della sentenza di primo grado, ove alle pagg.135-143 è stato sviluppato in dettaglio il tema delle condizioni di lavoro in Casaralta nel periodo di riferimento, concludendo tale esame con un giudizio di ritenuta «sistematica e grave violazione in Casaralta dei più elementari obblighi in materia di igiene del lavoro», con particolare riferimento alle norme in materia di difesa contro le polveri; inoltre, alle pagg.142-143, è stato espressamente affrontato il tema dei plurimi rimedi (separazione degli ambienti, uso di aspiratori, umidificazione, sistematico controllo circa l'uso di mascherine di carta) che avrebbero «se non escluso, quantomeno ridotto la concretizzazione del rischio verificatosi», emergendo anche per tale profilo l'inammissibilità per aspecificità della censura.
10.2. I limiti del presente sindacato non consentono di esaminare la sentenza oltre tale punto. La collocazione cronologica dei fatti oggetto del processo, allorchè un espresso divieto di uso dell'amianto non era ancora positivizzato, induce a richiamare i chiari princìpi espressi con riguardo al tema dell'accertamento della causalità della colpa in relazione a norme c.d. «aperte» dalla sentenza Bartalini (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006, dep.2007, Rv. 235661, più nota come sentenza di Porto Marghera): «Esistono regole di condotta ad ampio spettro che - o perché le conoscenze dell'epoca in cui sono state dettate erano ancora limitate o perché si è in presenza di cause dannose o eventi talmente numerosi da rendere impossibile non solo l'enumerazione completa ma anche la loro anticipata individuazione - si limitano a dettare la regola di condotta in relazione all'astratta possibilità del verificarsi di eventi dannosi alcuni dei quali possono essere ancora ignoti. Se una sostanza è riconosciuta come dannosa il legislatore ne può vietare l'impiego, o limitarne l'uso con l'adozione di determinate cautele, proprio perché eventuali conseguenze, se del caso più gravi di quelle note, non sono ancora conosciute». E non può escludersi la responsabilità di colui che violi divieti o regole di condotta che «sono preordinati, in caso di regole per così dire "aperte", anche a prevenire le conseguenze non conosciute ma comunque riconducibili all'area di protezione della norma», posto che in tal caso l'agente si assume tutte le conseguenze della sua condotta, comprese quelle non ancora conosciute, a condizione che la norma sia stata dettata per prevenire anche tali conseguenze. Il discrimine tra il versari in re illicita (la responsabilità oggettiva) e la colpa - ipotizzabile solo in presenza della prevedibilità dell'evento e della realizzazione del rischio - è costituito, nel caso di violazione di una regola cautelare aperta, dalla circostanza che l'evento rientri nel tipo di eventi che la norma mira a prevenire «e purchè non sia completamente diverso da quelli presi in considerazione nella formulazione della regola di cautela e non costituisca uno sviluppo eccezionale della violazione». La questione, sottoposta al collegio, per cui è inadeguato a fondare un giudizio di colpa il comportamento che «molto probabilmente» avrebbe evitato l'evento, imporrebbe un approfondimento valutativo che esula dai limiti del presente sindacato; basterà, in merito, ricordare che il comportamento alternativo lecito in relazione alla violazione di regole cautelari aperte, nonché in relazione ad attività pericolose che si sono svolte in settori in cui, in una determinata epoca, il rischio è consentito, non è quello che garantisce in maniera certa che l'evento non si verifichi ma quello che esprime l'adozione di cautele che la scienza, l'esperienza e l'evoluzione tecnologica dell'epoca sono in grado di suggerire come idoneo nel caso concreto a scongiurare con significative probabilità l'evento effettivamente concretizzatosi (Sez. 4, n. 19512 del 14/02/2008, Aiana, Rv. 240172).
11. Da questo coacervo di elementi emerge un quadro certamente complesso, da interpretare con cautela, ma lontano dal fornire la prova della «evidenza» dell'innocenza che, per quanto sopra si è detto, sola avrebbe imposto l'esito assolutorio richiesto dai ricorrenti; ne consegue il rigetto dei ricorsi proposti da R. C. e Z.F. in relazione alla declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati di omicidio colposo loro rispettivamente ascritti ai danni dei lavoratori Omissis, con condanna dei ricorrenti ai sensi dell'art.616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di R. A., in relazione ai reati per i quali in primo e in secondo grado è intervenuta dichiarazione di prescrizione, essendo tali reati estinti per morte dell'imputata.
Dichiara inammissibili per carenza d'interesse i ricorsi avverso la conferma della declaratoria di estinzione dei reati rispettivamente ascritti a R. C. e Z.F. nei confronti di L.M., M.R., R.C., S. e T. .
Rigetta nel resto i ricorsi di R. C. e Z.F. e li condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20 aprile 2022
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Penale Sent. Sez. 4 Num. 16819 Anno 2022.pdf |
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