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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 38374 | 09 Agosto 2018

ID 6677 | | Visite: 2394 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/6677

Sentenze cassazione penale

Ribaltamento dell'autocarro aziendale e morte del lavoratore

Area pericolosa e mancanza di cintura di sicurezza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 38374 Anno 2018

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 18/07/2018

Ritenuto in fatto 

1. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe, ha riformato la pronuncia di condanna emessa nei confronti di S.G. e S.M. in data 22/05/2014 dal Tribunale di Vicenza, assolvendo S.M. dal reato ascritto al capo A) con formula «perché il fatto non costituisce reato», dichiarando non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati per i reati ascritti ai capi B) e C) perché estinti per prescrizione, rideterminando in un anno e mesi sei di reclusione la pena nei confronti di S.G. in relazione al reato di cui al capo A) e condannando tale imputato al pagamento delle spese di lite in favore della parte civile.
2. Si era contestato a S.G., socio della S.G. e S.M. s.n.c., impresa di scavi e movimentazione terra, di aver cagionato per colpa generica e specifica il decesso del dipendente M.A., avvenuto per trauma da schiacciamento toracico e della base del collo in quanto, operando a bordo dell'autocarro aziendale MAN, dopo essere entrato nel cantiere per una via non prevista dal P.S.C. e nonostante la delimitazione dell'area, eseguendo manovre di carico e scarico di materiale di riporto su un viottolo sterrato, del tutto inidoneo al transito dei mezzi pesanti in ragione della pendenza e delle dimensioni, si era ribaltato rotolando a valle mentre stava scaricando materiale, con il cassone alzato, alterandone il già precario equilibrio.
2.1. Il fatto per cui è processo è stato così ricostruito dal giudice di primo grado: M.A. si trovava, il 25 settembre 2009, con il datore di lavoro S.G. in un cantiere temporaneo adibito alla costruzione di un'abitazione privata sulle colline di Castelgomberto; inizialmente, mentre il S.G. sbancava uno strato di roccia usando lo scavatore piccolo dotato di martello pneumatico, il M.A. rimuoveva i resti dello scavo con lo scavatore più grande dotato di pala, buttandoli in un'area adibita allo scarico dei materiali di risulta; nel tardo pomeriggio, il lavoratore era alla guida di un imponente autocarro MAN a tre assi largo m.2,50, dotato di cassone ribaltabile, e si era posto su una strada sterrata (capezzagna) che passava in prossimità della zona di scarico oltrepassando la linea di confine del cantiere, la cui rete di delimitazione presentava in prossimità della stradina sterrata un varco di ampiezza tale da consentire il passaggio dei mezzi; nella zona immediatamente esterna al cantiere, l'autocarro aveva fatto due o tre manovre nello spazio a disposizione sulla strada, larga m.2,70, ponendosi di traverso ma alcuni testimoni che osservavano dalla loro abitazione tali manovre avevano riferito che, allorché il cassone era stato sollevato per scaricare il materiale a valle, si era ribaltato rotolando lungo il pendio; pur non essendo possibile stabilire se la perdita di equilibrio del mezzo fosse ascrivibile al cedimento del ciglio stradale verso valle, essendo presente uno smottamento, ovvero alla posizione instabile assunta dall'autocarro, che aveva le ruote anteriori a monte in posizione più elevata rispetto alle posteriori, il Tribunale aveva ritenuto tutte le manovre in nesso di causa con l'evento, che in ogni caso non avrebbe provocato i gravissimi politraumi a danno del lavoratore, in ragione del fatto che la cabina del camion era rimasta integra, ove quest'ultimo avesse indossato la cintura di sicurezza presente sul mezzo; al datore di lavoro era addebitabile la violazione delle regole di sicurezza indicate nel P.S.C., che non autorizzava a percorrere la stradina sterrata, alla quale si poteva invece accedere perché la rete di recinzione era stata tagliata prima dell'infortunio, nonché l'omessa previsione nel P.O.S. del rischio di ribaltamento dell'autocarro derivante dalla movimentazione del cassone e l'omessa previsione di misure idonee ad evitare il rischio di ribaltamento dell'autocarro da cedimento del fondo stradale, fatta eccezione per la cautela di percorrere le zone all'Interno del cantiere a velocità ridotta; il datore di lavoro aveva, altresì, omesso di imporre al dipendente l'uso della cintura di sicurezza all'interno dell'area di cantiere.
2.2. In replica alla tesi difensiva secondo la quale il lavoratore avesse utilizzato un mezzo normalmente adibito a distributore di carburante, fosse uscito dall'area di cantiere e si fosse posto in posizione precaria contravvenendo, senza che il S.G. potesse rendersene conto dalla posizione in cui si trovava, alle precise direttive impartitegli dal datore di lavoro alla presenza di terzi, la Corte di Appello ha così ricostruito la dinamica dell'Infortunio e le responsabilità del datore: la posizione del cassone dopo il rotolamento del camion lungo la scarpata, intatto e collegato al pianale, escludeva che l'autocarro avesse perso aderenza al terreno per il sollevamento del cassone e, per altro verso, era dubbio che i testimoni, la cui attendibilità andava comunque soppesata, avessero una buona visuale dal loro punto di osservazione; il ribaltamento si era, piuttosto, verificato mentre l'autista si spostava in retromarcia lungo il viottolo in pendenza e su terreno sconnesso, avvicinandosi al deposito temporaneo di detriti accumulato nei pressi dello scavo; il lavoratore aveva, pertanto, portato l'autocarro in quel punto per caricare terra e detriti accumulati durante la giornata, servendosi della pala cingolata che era sulla capezzagna in un punto più vicino all'area di scavo, al fine di trasportare i materiali di risulta all'esterno del cantiere onde conferirli in discarica; anche se usualmente il camion veniva utilizzato dal S.G. entrando dalla strada principale del cantiere, prevista nel P.S.C., quel giorno l'ingresso principale era ostruito dalla presenza delle baracche; nessun testimone aveva dichiarato che il datore di lavoro avesse espressamente vietato al lavoratore di utilizzare il camion ed era ragionevole e logico sviluppo delle operazioni svolte nell'arco della giornata che l'operaio posizionasse l'autocarro in prossimità della montagnola dove era stato accumulato il materiale di risulta, distante circa cinquanta metri dalla zona dello scavo; il datore di lavoro era rimproverabile per avere omesso di prestare una continuativa assistenza al dipendente e di sincerarsi che indossasse la cintura di sicurezza, tanto più che l'ostruzione dell'entrata principale comportava rischi aggiuntivi che avrebbero imposto la massima vigilanza.
3. S.G. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) inosservanza o erronea applicazione degli artt.40, comma 2, e 43 cod. pen. Ricostruendo le aree di rischio di rispettiva competenza del datore di lavoro e del lavoratore in relazione alla lavorazione in corso, occorre escludere dall'area di rischio del datore le condotte del lavoratore che non abbiano attinenza con la lavorazione, non siano pertanto prevedibili ex ante. La Corte di Appello, affermando che sul datore incombeva un obbligo di vigilanza sul lavoratore, ha trascurato di considerare che il datore aveva apprestato tutti i presidi antinfortunistici e che avesse impartito idonee prescrizioni comportamentali;
b) inosservanza o erronea applicazione degli artt.40, comma 1, e 41, comma 2, cod. pen. La Corte di Appello ha trascurato di considerare che il datore di lavoro non fosse in condizione di prevedere che il lavoratore avrebbe con iniziativa del tutto autonoma impiegato un mezzo che era rimasto fermo per tutta la giornata lavorativa, anche perché per accumulare il terreno scavato non era necessario uscire dal cantiere, interamente recintato. Il sinistro, si assume, è la concretizzazione di un rischio alieno, diverso rispetto a quelli propri delle attività lavorative in essere nel cantiere, innescato dalla condotta oggettivamente imprevedibile del lavoratore, idonea ad interrompere il nesso causale;
c) inosservanza o erronea applicazione dell'art.43 cod. pen. perché il mancato esercizio della vigilanza non era soggettivamente rimproverabile all'imputato. La Corte di Appello ha tralasciato di accertare se il datore di lavoro fosse nella concreta condizione, mentre lavorava all'interno di una buca profonda due metri e mezzo, di accorgersi dell'iniziativa assunta dal lavoratore e per vigilare costantemente sul dipendente avrebbe dovuto smettere di lavorare;
d) inosservanza o erronea applicazione degli artt.40, comma 1, e 41, comma 2, cod. pen. nonché travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione. Il decesso del lavoratore è pacificamente avvenuto a causa del (\ mancato uso della cintura di sicurezza, ma la Corte territoriale ha tralasciato di considerare tale omissione, ascrivibile al lavoratore ed assolutamente imprevedibile da parte di un autista esperto, quale elemento interruttivo del nesso di causa;
e) inosservanza o erronea applicazione degli artt. 192 e 526, comma 1, lett.b) cod.proc.pen. nonché travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione. L'affermazione di responsabilità si fonda su una motivazione in cui sono state disattese le prove testimoniali e si è dato ingresso a congetture, svilendo le dichiarazioni di coloro che avevano visto la manovra di sollevamento del cassone sulla base dell'assunto congetturale che, se ciò fosse vero, il cassone si sarebbe sganciato e sulla supposizione che i tre testimoni avessero travisato l'alzata del cassone; si è supposto che l'autocarro occorresse per conferire i materiali in discarica, ma si tratta di argomento mai emerso; il teste C. aveva udito il S.G. dire al M.A. che quel giorno si sarebbe lavorato solo con l'escavatore e con la pala, ma i giudici di appello hanno apoditticamente escluso l'attendibilità del teste; l'affermazione secondo la quale il passaggio dal retro del cantiere sarebbe stato indotto dalla ostruzione dell'entrata principale è frutto del travisamento della prova, in quanto i testi hanno escluso che i mezzi dell'impresa fossero mai transitati attraverso la capezzagna;
f) inosservanza o erronea applicazione degli artt.181,191,192,194,354, 356 cod.proc.pen. e 114 disp.att. cod.proc.pen. ed omessa motivazione sul nono motivo di appello (sesto e settimo motivo di ricorso) per avere la Corte di Appello ritenuto utilizzabili gli accertamenti tecnici e la testimonianza dell'ausiliario di Polizia Giudiziaria, sebbene avesse svolto attività di carattere irripetibile senza dare avviso all'imputato, svolgendo accertamenti di carattere tecnico ai sensi dell'art.220 cod.proc.pen. per eseguire rilievi sulla capezzagna in violazione dell'art.360 cod.proc.pen. Tali prove sarebbero, in ogni caso, inattendibili in quanto prive di rigore scientifico ed inerenti ad un esame dei luoghi eseguito diversi giorni dopo l'infortunio su zona non sottoposta a sequestro.

Considerato in diritto

1. Logicamente preliminare è la soluzione delle questioni inerenti a vizi procedurali incidenti sull'utilizzabilità della prova, dedotte con il sesto ed il settimo motivo di ricorso.
1.1. Si tratta di motivi inammissibili.
La Corte di Appello non ha, infatti, omesso di esaminare la censura ed ha, anzi, esaminato nella sua integralità (pag.17) l'analoga doglianza svolta nell'atto di gravame, rimarcando che il cantiere era stato sottoposto nell'immediatezza del fatto a sequestro preventivo, regolarmente convalidato dal Giudice per le indagini preliminari con contestuale emissione del decreto di sequestro preventivo eseguito il 2 ottobre 2009. E', quindi, smentito dal tenore del provvedimento impugnato il presupposto sul quale si basa la censura inerente all'utilizzabilità delle prove, ossia l'irripetibilità degli accertamenti tecnici eseguiti sullo stato dei luoghi in quanto, in assenza di sequestro, soggetti a modificazione.
1.2. Ma, a monte di tale rilievo, va evidenziata la genericità della censura, che non indica quali siano le prove, poste a fondamento della decisione, asseritamente inutilizzabili in quanto formate in base ad accertamenti tecnici non ripetibili, che si sarebbero dovuti eseguire nel rispetto della procedura prevista dall'art.360 cod.proc.pen.
1.3. Va chiarito, in tema di accertamenti urgenti, che nel concetto di accertamento non sono comprese la constatazione o la raccolta dei dati materiali pertinenti al reato o alla sua prova, i quali si esauriscono in semplici «rilievi» di natura meramente ricognitiva, ancorché connotati dal carattere dell'urgenza; l'accertamento tecnico riguarda, piuttosto, lo studio e la elaborazione critica dei medesimi dati materiali, onde la irripetibilità dei rilievi, più specificamente dell'acquisizione dei dati da sottoporre ad esame, non implica l'irripetibilità dell’accertamento tecnico in quanto il rilievo non comporta, necessariamente, l'immutazione dello stato delle persone, delle cose o dei luoghi. La procedura prescritta dall'art.360 cod.proc.pen. concerne, invece, esclusivamente gli accertamenti di natura tecnica da eseguire su persone, cose o luoghi il cui stato sia soggetto a modificazione, con lo scopo di garantire all'indagato di partecipare all'atto ovvero di conoscere la metodica seguita per raggiungere l'elaborazione del dato. Non costituiscono, pertanto, accertamenti tecnici ai sensi dell'art.360 cod.proc.pen. i rilievi meramente ricognitivi dello stato dei luoghi che, in quanto privi di elementi valutativi, lascino impregiudicata la formazione della prova nel contraddittorio delle parti (Sez. 1, n. 23156 del 09/05/2002, Maisto, Rv. 22162101).
1.4. Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha affermato, circa le garanzie difensive, che il diritto di difesa fosse garantito dal non essere precluso all'imputato l'esame dei luoghi in costanza di sequestro né l'esame dell'ausiliario in veste di testimone sulle misurazioni eseguite.
1.5. La genericità del motivo non consente, in ogni caso, di qualificare l'atto come rilievo ovvero accertamento tecnico né, in quest'ultimo caso, di valutare se si sia trattato di accertamento tecnico irripetibile. 
2. Esaminando il quinto motivo di ricorso, si tratta di censura che non supera il vaglio di ammissibilità.
2.1. Esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 20794501). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art.606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 23410901). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.24418101). Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio ed una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi con la dovuta specificità con l'iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la sua responsabilità penale.
2.2. Le censure proposte sotto l'egida del travisamento della prova si risolvono, in realtà, in una istanza di nuova valutazione delle prove, che non è ammessa nel giudizio di legittimità. La Corte territoriale ha, infatti, messo a confronto le prove e gli indizi, segnatamente le tracce lasciate dall'autocarro, lo stato del mezzo, i documenti sulla sicurezza P.C.S. e P.O.S., la rete di cinta del cantiere aperta, la vicinanza del luogo dell'infortunio rispetto allo scavo, con la prova dichiarativa, desumendone non illogicamente che il lavoratore intendesse eseguire, a fine giornata, il carico dei materiali di risulta sul cassone del camion. Ogni altro rilievo concerne passaggi non essenziali della sentenza (ad esempio, il previsto conferimento dei materiali in discarica) ed è, in quanto tale, inidoneo a cogliere nodi critici della motivazione senza sconfinare nel territorio del giudizio di merito.
2.3. Le ragioni poste a sostegno di tale, discrezionale, valutazione non risultano manifestamente illogiche, sono fondate su dati di fatto non travisati, come ad esempio il contenuto dei documenti sulla sicurezza ovvero la sconnessione e la pendenza del terreno sul quale il lavoratore stava eseguendo la manovra in prossimità dei detriti accumulati nei pressi dello scavo, e su argomenti aderenti a chiare emergenze istruttorie, come ad esempio la limitata visuale dalla quale alcuni testimoni avevano assistito al fatto ovvero la posizione di quiete del camion e del cassone dopo il ribaltamento e le dichiarazioni testimoniali dalle quali emergeva che il camion fosse utilizzato per caricare mezzi e materiali.
2.4. Inoltre, in tema di prova nel processo penale, trova ingresso il principio del libero convincimento del giudice sulla base delle prove sottopostegli dalle parti, espresso nel primo comma dell'art.192 cod.proc.pen., secondo cui «Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati», nel caso in esame pienamente rispettato.
3. Esaminando, ora, i primi tre motivi di ricorso, con essi viene impugnato il capo della sentenza in cui, escludendo l'abnormità della condotta del lavoratore, si è pervenuti all'affermazione di responsabilità per omessa assistenza al lavoratore e per omessa vigilanza sul suo operato da parte del datore di lavoro. Si afferma, in sostanza, l'insussistenza dell'obbligo di vigilanza del datore con riguardo a lavorazioni che siano fuori dall'area di rischio delimitata dalla lavorazione in corso, perché rispetto a tali lavorazioni il datore non assumerebbe la posizione di garante, trattandosi di rischi imprevedibili; si sostiene, quindi, che le attività poste in essere dal lavoratore e concretanti rischi diversi da quelli propri delle attività di cantiere sarebbero abnormi ed idonee ad interrompere il nesso di causalità tra l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro e l'evento; in ogni caso, nessun rimprovero si sarebbe potuto muovere al datore di lavoro perché, date le circostanze del caso concreto, egli non avrebbe potuto agire altrimenti: l'osservanza dell'obbligo di vigilanza non sarebbe stato, in altre parole, da lui esigibile.
3.1. Per un corretto inquadramento della fattispecie concreta, è bene subito sottolineare che, secondo quanto si legge a pag.14 della sentenza di appello, l'autocarro dal cui ribaltamento è derivato il decesso del lavoratore era indicato nel P.O.S. dell'impresa S.G. s.n.c. tra gli attrezzi da lavoro ed aveva la funzione di trasportare all'interno del cantiere «materiali da costruzione o provenienti dagli scavi e dalle demolizioni»; con riferimento alla movimentazione dell'autocarro all'Interno del cantiere, il Piano di Sicurezza aveva previsto il pericolo di cedimento del fondo e di ribaltamento dell'autocarro durante le manovre, onde emerge l'inconsistenza dell'affermazione secondo la quale l'infortunio si sarebbe verificato mentre il lavoratore svolgeva attività estranee al rischio gestito dal datore di lavoro. Coerentemente, nella stessa decisione di primo grado si era, con chiarezza, affermato che la destinazione tipica ed usuale dell'autocarro fosse quella di trasportare il materiale di risulta dalla zona degli scavi a quella del deposito temporaneo, percorrendo una distanza tale che l'escavatore con pala meccanica, utilizzato nel corso della giornata dalla vittima, non avrebbe potuto percorrere senza disperdere il materiale lungo il percorso. Risulta, altresì, centrale il rilievo che il lavoratore deceduto fosse stato assunto con le mansioni di autista e che fosse munito di patente abilitante alla guida dell'autocarro in questione. L'utilizzazione dell'autocarro da parte del lavoratore per caricare i materiali di risulta dello scavo effettuato nella giornata è stata inserita, dunque, con piena aderenza ai fatti ed alle risultanze istruttorie, nell'area di rischio gestita dal datore di lavoro.
3.2. Le considerazioni che precedono spianano la strada al giudizio di infondatezza della censura inerente all'asserita estraneità della condotta del lavoratore al rischio proprio delle attività di cantiere, dunque all'interruzione del nesso causale tra le omissioni attribuite al datore di lavoro e l'evento.
E' vero che, per moderare il rigore del principio di equivalenza delle cause contenuto nell'art. 41, comma 1, cod. pen., il legislatore ha dato rilievo alle cause sopravvenute che siano idonee ad interrompere il nesso causale; ed è anche vero che non si può trattare di cause che inneschino un processo causale del tutto autonomo da quello innescato dall'agente, perché altrimenti la disposizione dell'art.41, comma 2, cod. pen. si sostanzierebbe in una mera ripetizione del principio condizionalistico. E', però, necessario che la causa sopravvenuta con efficacia interruttiva del nesso causale sia idonea ad assorbire per intero il processo causale, così da far degradare la condotta del trasgressore a mera occasione dell'evento. Deve pertanto trattarsi di un processo non completamente avulso dall'antecedente e tuttavia sufficiente a determinare l'evento, secondo un'accezione di sufficienza che non indica tanto «totale indipendenza dalla condotta dell'imputato» quanto piuttosto «probabilità minima, trascurabile, di verificarsi» (Sez.4, n.49662 del 30/09/2014, Adamo, n.m.).
In tale accezione, la condotta del lavoratore che si inserisca a pieno titolo nell'ambito delle mansioni per le quali è stato assunto e che rappresenti lo sviluppo naturale dell'organizzazione delle lavorazioni alle quali afferisce la sua opera, ancorché caratterizzata da imprudenza, non può integrare una causa sopravvenuta idonea ad escludere il nesso causale tra gli obblighi di protezione gravanti sul datore e l'evento lesivo (Sez. 4, n. 9967 del 18/01/2010, Otelli, Rv. 24679701). Tanto vale per la condotta del lavoratore che abbia concorso nella determinazione di quel medesimo evento cui avrebbe condotto il percorso , causale facente interamente capo al datore di lavoro, qualora non fosse intervenuta quell'ulteriore addizione causale, ma vale anche nell'ipotesi in cui il fattore interferente, che si innesta nel decorso causale già innescato dalla condotta del trasgressore, aggravi l'evento che si sarebbe prodotto. Anche in tali casi non risulta comunque reciso il nesso causale e la concorrenza causale della condotta del lavoratore assume valore solo sul piano sanzionatorio.
3.3. Partendo dalle ragioni espresse dai giudici di merito che, con giudizio insindacabile in quanto sorretto dalla logica motivazione sopra richiamata, hanno negato valore alla tesi difensiva che tendeva a dimostrare che l'autocarro fosse nel cantiere come mero «distributore di carburante» in quanto dotato di serbatoio maggiorato, si giunge a ritenere congrua ed esente da vizi di legittimità l'attribuzione da S.G. della posizione di garanzia in qualità di datore di lavoro rispetto al corretto uso da parte del lavoratore degli «attrezzi di lavoro»; e si perviene, altresì, a ritenere corretto il giudizio espresso con riferimento al nesso di causalità tra omissione del datore di lavoro ed evento con riguardo al profilo, qui in esame, dell'intraneità della condotta del lavoratore alle lavorazioni in corso.
3.4. Il terzo profilo di censura concerne l'asserita inesigibilità di una diversa condotta da parte di S.G.. Egli si trovava intento allo scavo, in una posizione dalla quale non vedeva cosa facesse l'autista, senza possibilità di udire rumori in quanto, utilizzando il demolitore con martello pneumatico, indossava le cuffie. La Corte di Appello ha esaminato la questione ed ha attribuito rilievo alle seguenti circostanze, per desumerne l'esigibilità da parte del datore di lavoro di un atteggiamento di massima vigilanza sull'operato del lavoratore: nessun testimone aveva dichiarato che il datore di lavoro avesse vietato al lavoratore di usare il camion; l'operaio era munito di apposita patente per guidare quel mezzo; Il trasporto dei detriti prodotti dall'attività di scavo era funzionale all'attività d'impresa; quel giorno, l'entrata principale del cantiere era ostruita ed il rischio aggiuntivo causato dall'esecuzione della manovra in condizioni di maggiore pericolo non poteva essere gestito autonomamente dal lavoratore.
Si trattava, in altre parole, secondo la Corte territoriale, di un controllo esigibile dal datore di lavoro in quanto era prevedibile che l'uso del mezzo meccanico in un'area con caratteristiche di pendenza e di larghezza tali da rendere pericolosa la manovra potesse comportare la perdita di controllo dello stesso, da ciò derivando la necessità di sollecitare l'attenzione del lavoratore, assisterlo nella manovra ovvero vietare l'uso di quel mezzo. L'obbligo di compiere, dunque, atti di vigilanza ed assistenza, quale logica conseguenza dell'accertata strumentalità dell'uso dell'autocarro all'attività di trasporto dei materiali di risulta dello scavo.
Se, poi, sia legittimo e conforme a legge asserire che il datore di lavoro sia tenuto a vigilare, momento per momento, sull'attività del lavoratore non è questione che possa essere posta in termini generali ed astratti, trattandosi di questione che pone soluzioni diversificate caso per caso in relazione alla struttura ed all'organizzazione dell'impresa. Qui viene in esame la figura del corredo di obblighi che gravano sul datore di lavoro esecutore al quale non si affianchino altre figure operative prossime al posto di lavoro, considerato che tale era la struttura imprenditoriale nel cui ambito si è verificato l'infortunio e sulla quale andavano calibrati i doveri datoriali. E non vi è dubbio che l’obbligo di vigilanza datoriale, in imprese individuali ed in assenza di altri soggetti (preposto o capo cantiere) ai quali siano trasferite competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo, si sostanzi nel controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni, non potendo incidere sul giudizio di esigibilità della condotta la circostanza che il datore di lavoro svolga in prima persona l'attività d'impresa unitamente ai lavoratori. La pronuncia si pone, pertanto, in linea con il principio secondo il quale il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo, non solo di predisporre le misure antinfortunistiche ma anche, di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione dì cui all’art. 2087 cod. civ., egli é costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. U, n.5 del 25/11/1998, dep. 1999, Loparco, Rv. 21257701; Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 26320001; Sez. 4, n. 20595 del 12/04/2005, Castellani, Rv. 23137001).
4. Si viene, ora, ad esaminare il quarto motivo di ricorso.
4.1. Va osservato che l'infortunio è stato messo in relazione causale con il mancato utilizzo del dispositivo costituito dalla cintura di sicurezza, presente sul veicolo ma non agganciata dal lavoratore allorché si è posto alla guida; i giudici di merito hanno affermato che non potesse «essere esclusa l'efficacia salvifica delle cinture di sicurezza se indossate», con espressione dubbiosa ma anche ovvia circa la possibile rilevanza causale dell'omesso uso di tale dispositivo.
4.2. La Corte di Appello, apprezzando il rimprovero mosso all'imputato per la mancata vigilanza circa il mancato uso della cintura di sicurezza da parte del lavoratore, ha in sostanza escluso che potesse ascriversi al datore di aver messo a disposizione del lavoratore un mezzo insicuro. Il giudice di appello ha, piuttosto, individuato quale ulteriore antecedente causale dell’evento la violazione dell’obbligo di vigilare sull’utilizzo della cintura di sicurezza da parte del lavoratore; ma siffatto obbligo rimanda alla primigenia area di rischio gestita dal datore in assenza di preposti ai quali sia assegnato il compito di sovrintendere alla attività lavorativa. Per altro verso, l'esecuzione di una manovra su una stradina sterrata di larghezza quasi pari a quella dell'autocarro rendeva di per sè evidente e prevedibile la possibilità che, in determinate condizioni d'uso, il camion potesse scivolare o ribaltarsi se posto in posizione di equilibrio precario.
4.3. Si è quindi affermato, con pronuncia che non ha riconosciuto efficienza causale autonoma all'omesso uso della cintura di sicurezza, che l'imputato avesse omesso di attuare una cautela il cui rispetto avrebbe evitato l'evento, sia in rapporto alla componente di rischio connessa al cedimento del terreno sia in rapporto alla componente di rischio connessa alle conseguenze dannose della guida del veicolo senza cintura di sicurezza, disattendendo il dovere di assicurarsi che il dipendente utilizzasse correttamente l'attrezzatura di lavoro, nel caso di specie manovrando l'autocarro in zona esente da rischi di ribaltamento, dovere derivante dalla sua posizione di garanzia e dal generale dovere datoriale di salvaguardare l'integrità fisica del lavoratore.
4.4. Si tratta di decisione conforme al dettato normativo, che tempera con l’art.41, comma 2, cod. pen. il principio condizionalistico ponendo un limite all'imputazione di un evento ad una determinata condotta umana purché si sia accertata la presenza di una causa appartenente ad una serie causale completamente autonoma ovvero inseritasi nella serie causale dipendente dalla condotta dell'imputato e purtuttavia dotata di forza propria nella determinazione dell'evento.
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18 luglio 2018

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Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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