Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 8475 | 14 Marzo 2022
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Cassazione Penale Sez. 4 del 14 marzo 2022 n. 8475
Schiacciamento delle mani con un trapano orizzontale. Obbligo del datore di lavoro di apporre il dispositivo di protezione che impedisce l'accesso dell'operatore alle parti in movimento
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8475 Anno 2022
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 01/03/2022
1. La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen. e la sua prevalenza, unitamente alle circostanze attenuanti generiche, sulla aggravante, ha rideterminato la pena in euro 3.750,00 di multa, convertendo quella detentiva di 15 giorni di reclusione, e ha revocato il beneficio della sospensione condizionale, mentre ha confermato la condanna di I.C., in qualità di datore di lavoro delegato dell'unità produttiva dell'impresa ABB s.p.a., per il reato di cui all'art. 590 cod.pen., per avere cagionato lesioni a V.M. (trauma delle mani con schiacciamento e lesione del tendine estensore della falange del V dito), con colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo messo a disposizione del dipendente macchinari che presentano il rischio da contatto meccanico, in quanto privi di sistemi protettivi, in difformità del punto 6.1. dell'allegato V del D.L.vo n. 81 del 2008, richiamato dall'art. 71, sicché costui, mentre a macchina ferma si accingeva a posizionare la punta di un trapano nell'apposito invito, subiva la rotazione della macchina, azionata dal collega P.F., in data 9 novembre 2015.
2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l'imputato, che ha dedotto, unitamente ad un generale vizio motivazionale, non avendo risposto la Corte territoriale alle specifiche censure formulate ed avendo genericamente rinviato alla sentenza di primo grado, la violazione di legge in ordine all'elemento soggettivo del reato contestato, atteso che: 1) non è stato valutato il ruolo di preposto e lavoratore esperto di V.M., a cui era stato estemporaneamente affidata l'istruzione del dipendente P.F., al quale non avrebbe dovuto fare usare la macchina, ma solo mostrare lo svolgimento delle operazioni, e che aveva l'obbligo, anche in considerazione della posizione di garanzia assunta nei confronti del collega, di rispettare la direttiva impartita dal datore di lavoro di lavorare sulla macchina da solo (nella prospettazione difensiva le violazioni poste in essere dalla vittima determinano l'applicabilità dell'art. 18, comma 3-bis, del d.lgs. n. 81 del 2008 e, comunque, si traducono in una condotta, sia pure non abnorme, non semplicemente leggera, come riconosciuto dai giudici di merito, ma esorbitante ed imprevedibile per il datore di lavoro, che non può, quindi, risponderne); 2) non è stato in alcun modo verificato se il trapano Collet usato potesse ricadere nel perimetro di applicazione del punto 6.1 dell'allegato V, richiamato dall'art. 71 del d.lgs. n. 81 del 2008, nonostante la verifica, da parte del c.t.u., della sua piena rispondenza ai requisiti di sicurezza, e nonostante la distinzione della fase di allestimento (unica in cui è possibile il contatto con la punta del trapano), che deve avvenire a macchina ferma, e quella di foratura, che avviene da una postazione di comando (ad avviso della difesa, l'applicazione della disposizione in esame è avvenuta solo in considerazione della verificazione del sinistro e della predisposizione successiva di ulteriori presidi di sicurezza); 3) la colpa è stata identificata nella posizione di garanzia del ricorrente, senza alcuna ulteriore indagine circa l'inadempimento degli obblighi a suo carico, tutti diligentemente rispettati (secondo la difesa, anche l'obbligo di vigilanza è stato adempiuto tramite la nomina del capo-reparto e l'affiancamento dei lavoratori meno esperti con quelle più esperti).
3. La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Pure il ricorrente ha insistito per l'annullamento della sentenza impugnata.
1. Il ricorso è infondato. Esso si articola in una unica doglianza, impostata sia come vizio di motivazione sia come violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo, che il ricorrente pretende di escludere in base ad una serie di argomentazioni che assume non valutate dalla Corte territoriale.
2. In primo luogo va disattesa la censura avente ad oggetto la lamentata lacuna motivazionale della sentenza impugnata. Nel caso di specie, ci troviamo, difatti, in presenza di una cd. doppia conforme: situazione che ricorre laddove la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si saldi con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01). La completezza della motivazione va, dunque, valutata alla luce delle due sentenze, che si integrano tra di loro. A ciò si aggiunga che, proprio in considerazione dell'integrazione delle motivazioni tra le sentenze conformi di primo e di secondo grado, il giudice dell'appello può motivare per relazione se l'impugnazione si limita a riproporre questioni di fatto o di diritto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, mentre, qualora siano formulate censure specifiche o introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore, è affetta da vizio di motivazione la sentenza di appello che si limiti a respingere le deduzioni proposte con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici rispetto alle risultanze istruttorie (Sez. 6, n. 5224 del 2/10/2019, dep. 07/02/2020, Acampa, Rv. 278611 - 01). Non si ravvisa, pertanto, l'asserita lacuna motivazione, in quanto la Corte territoriale si è soffermata sulle critiche nuove, introdotte ritualmente con l'appello, rinviando, invece, alla motivazione della sentenza di primo grado relativamente alle questioni di fatto e di diritto già esaminate e correttamente risolte.
3. Deve, pure, precisarsi che "la palese violazione -da parte della vittima - della previsione di agire con un solo operatore", di cui, secondo il ricorrente, il giudice di appello non si sarebbe occupato, è una circostanza che non corrisponde all'accertamento di fatto contenuto nella sentenza di primo grado, che su tale punto non risulta specificamente impugnata con l'appello. In particolare nella sentenza di primo grado si legge a p. 5 che il teste V.M. specificava che il trapano orizzontale di regola veniva utilizzato da un operatore singolo; a pag. 7 che il teste M. riferiva che era stato appreso solo dalle dichiarazioni delle persone, sentite nel corso del controllo, che il trapano di regola era usato da un solo operatore, non essendo presente una procedura dettagliata indicante il numero di operatori sul macchinario. In altre parole, tale critica - formulata con l'appello e reiterata anche con il ricorso per cassazione, sia sotto il profilo del vizio motivazionale sia sotto quello della violazione di legge - è fondata su un dato di fatto (la sussistenza di una specifica direttiva impartita ai dipendenti relativamente all'uso del trapano) che non risulta provato (senza che, con il ricorso per cassazione, si sia lamentato un travisamento per omessa valutazione di una prova esistente - deduzione che avrebbe imposto, peraltro, l'individuazione della prova travisata per omissione: Sez. 5, n. 5897 del 3/12/2020, dep. 15/02/2021, Cossu, Rv. 280419 - 01, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall'art. 7, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato). Si tratta, dunque, di doglianza inammissibile, rispetto alla quale il ricorrente non può lamentare l'omessa risposta da parte della Corte territoriale (v., da ultimo, Sez. 3, n. 46588 del 3/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 - 01, in tema d'impugnazioni, è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile "ab origine" per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio).
4. Invero nella sentenza di primo grado la colpa dell'imputato è stata chiaramente individuata nella violazione dell'art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, ai sensi del quale il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, idonee ai fini della salute e sicurezza ed adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi, che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie. Il contenuto dell'obbligo in esame va individuato alla luce dell'intero articolo e, quindi, anche del successivo comma 3, ai sensi del quale, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, il datore di lavoro adotta adeguate misure tecniche ed organizzative (tra cui sono richiamate, a mero titolo di esempio, quelle dell'allegato VI). Tra tali misure tecniche, che il datore di lavoro è tenuto ad adottare al fine di ridurre i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro, ricade quella di cui al punto 6.1 dell'allegato V del d.lgs. n. 81 del 2008, che prescrive che "se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione". Ad avviso del ricorrente, il giudice di appello non avrebbe risposto alla specifica censura formulata in ordine alla non riconducibilità del trapano Collet alla previsione del punto 6.1. dell'allegato V. Tuttavia, l'inclusione della macchina nel perimetro applicativo della disposizione in esame è avvenuta sulla base dell'accertamento eseguito dal tecnico della prevenzione intervenuto, in servizio presso Psal competente, secondo cui il trapano "presentava la difformità di avere le parti in movimento (la punta collegata ad un'asta lunga) accessibili, in quanto sprovviste di protezione, che sono state successivamente inserite, nella forma di coperture che, se aperte, bloccano il movimento del trapano" (v. p.7 sentenza di primo grado). Tale accertamento è collegato alla conformazione stessa della macchina ed alla presenza, in essa, di parti mobili che possono entrare in contatto con l'operatore, causando incidenti. La diversa tesi della difesa è del tutto inconsistente, in quanto essa si fonda non già sulla conformazione della macchina (sull'assenza di parti mobili che possono entrare in contatto con l'operatore), bensì sulle modalità di uso della stessa (e, cioè, sullo svolgimento della fase di allestimento a macchina spenta e, quindi, ferma e su quella di foratura da una postazione di comando in sicurezza). Il precetto legislativo, che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso di una macchina, mira proprio a prevenire un uso non sicuro (come quello avvenuto nel caso di specie, consistente nell'accensione della macchina durante la fase di allestimento), sicché non va riferito alle corrette modalità di uso della macchina, ma alla macchina in sé. A ciò si aggiunga che dalla complessiva disciplina si evince che laddove il pericolo possa essere neutralizzato, alla luce delle conoscenze tecnico-scientifiche e senza costi esorbitanti ed incompatibili con l'attività imprenditoriale, con una misura tecnica e, quindi, con l'inserimento di un dispositivo di sicurezza, tale opzione deve essere posta in essere, risultando residuali le misure organizzative, che lasciano, comunque, permanere un margine di rischio e che non consentono di raggiungere l'obiettivo imposto dal legislatore al datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso di macchine che presentano, per la loro conformazione, dei pericoli.
5. In definitiva, sebbene la sentenza impugnata non abbia fornito una risposta precisa e puntuale alla censura di appello relativa all'applicabilità del punto 6.1 dell'allegato V del d.lgs. n. 81 del 2008, la correttezza della decisione sul punto si ricava dalla motivazione complessiva delle due sentenze, che si integrano tra di loro in quanto conformi, da cui emerge con chiarezza la conformazione della macchina in esame, la sua riconducibilità alla disposizione in esame ed il conseguente obbligo del datore di lavoro di apporre il dispositivo di protezione che impedisse l'accesso dell'operatore alle parti in movimento. Va, pertanto, ribadito che, in tema d'impugnazioni, è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile "ab origine" per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (v., da ultimo, Sez. 3, n. 46588 del 3/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 - 01). Peraltro, può aggiungersi che nel giudizio di cassazione il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento a questioni di diritto, poiché queste, se sono fondate e disattese dal giudice, motivatamente o meno, danno luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge, mentre, se sono infondate, il loro mancato esame non determina alcun vizio di legittimità della pronuncia (Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015, De Gennaro, Rv. 263326 - 01). Nel caso di specie, appunto, la censura non aveva ad oggetto la ricostruzione del fatto (la conformazione della macchina), ma piuttosto l'applicabilità della norma giuridica al fatto come accertato dai giudici di merito (in considerazione delle ordinarie modalità di uso della macchina), così traducendosi nella denuncia di una violazione di legge, che, come detto, non sussiste.
6. Alla luce di tali premesse, tutte le altre deduzioni difensive, dirette ad escludere la colpa dell'imputato, si rivelano irrilevanti, atteso che la colpa (specifica) è stata correttamente individuata nella violazione dell'art. 71 del d.lgs. n. 81 del 2008 e ciò è sufficiente ai fini della condanna, non potendo, peraltro, l'imprudenza della vittima - pure riconosciuta dai giudici di merito - escludere l'accertato inadempimento del datore di lavoro al suo obbligo di apporre il dispositivo di protezione che impedisse l'accesso del dipendente alle parti in movimento del macchinario utilizzato.
7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, 1° marzo 2022
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