Terremoto dell'Irpinia: 23 novembre 1980 / 43 anni
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26 Novembre 2024 | ||
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Terremoto dell'Irpinia: 23 novembre 1980 / 43 anni ID 12132 | 26.11.2020 / Download Scheda Il 23 novembre 1980 alle 19:34:53 una scossa di 90 secondi colpì un'area di 17.000 km². L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appurato che l'area interessata ha subìto tre distinti fenomeni di rottura lungo differenti segmenti di faglia, succedutisi in circa 40 secondi. Tali segmenti sono stati localizzati sotto i monti Marzano, Carpineta e Cervialto. Fig. 1 - Segmenti faglia terremoto Irpinia Dopo circa 20 secondi la rottura si è propagata verso SE in direzione della Piana di San Gregorio Magno. Dopo 40 secondi, localizzata a NE del primo segmento, si è verificata la terza rottura di faglia. La frattura ha raggiunto la superficie terrestre generando una scarpata di faglia ben visibile per circa 35 km. Il terremoto dell'Irpinia, caratterizzato da una magnitudo di 6,9 (X grado della scala Mercalli) con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti. Gli effetti nei territori colpiti furono devastanti e la provincia più colpita fu quella di Avellino: tutti i suoi 119 comuni risultarono più o meno danneggiati. Nel centro storico di Conza della Campania crollarono pressoché completamente la cattedrale, l’annesso campanile e la chiesa delle Anime del Purgatorio; nel crollo generale del paese andò anche perduto l’intero patrimonio di reperti archeologici rinvenuti nell'area circostante. L’intero abitato venne evacuato e nell'opera di ricostruzione fu anche necessario demolire i pochi edifici rimasti in piedi. Fig. 2 - Conza della Campania | Terremoto 1980 A Lioni crollarono quasi totalmente tutti i vecchi edifici costruiti con ciottoli e malte, ma anche un elevato numero di fabbricati moderni in cemento armato; ad una stima provvisoria risultò distrutto circa il 75% del patrimonio abitativo. Della chiesa madre di Santa Maria Assunta crollarono totalmente la copertura e la facciata e parzialmente le murature verticali; il campanile risultò profondamente lesionato e dissestato. Fig. 3 - Lioni | Terremoto 1980 Nell'antico borgo di Sant’Angelo dei Lombardi il terremoto causò la totale distruzione degli edifici antichi; crollò quasi completamente l’ospedale e la scuola media riportò gravi danni insieme ad alcuni settori del castello di fondazione longobarda e al complesso duecentesco del convento e della chiesa di San Marco. Fig. 4 - Sant'Angelo dei Lombardi| Terremoto 1980 A Calabritto crollò interamente la chiesa madre della SS. Trinità e a Caposele anche il ponte sul fiume Sele subì gravi danni. A Torella dei Lombardi crollò il 90% degli edifici della via principale, mentre a Laviano l’edificazione su un ripido pendio determinò una percentuale di distruzioni altissima, causata principalmente da fenomeni di trascinamento. Fig. 5 - Calabritto Terremoto 1980 A Santomenna circa il 90% del patrimonio edilizio esistente fu distrutto o subì crolli parziali. A Pescopagano i rinforzi con catene metalliche applicati a diversi edifici dopo il terremoto del 1930 evitarono crolli disastrosi. Fig. 6 - Santomenna | Terremoto 1980 Anche Napoli, benchè lontana dall’area epicentrale, subì danni rilevanti e in molti casi gravissimi. Nel rione di Poggioreale crollò completamente un edificio di 9 piani, abitato da una ventina di famiglie. Tra i centri abitati più grandi che subirono crolli parziali, dissesti e gravi danni strutturali ci furono: Avellino, Potenza, Salerno, Benevento e Caserta, nella cui reggia borbonica settecentesca del Vanvitelli si aggravarono i dissesti già preesistenti. Negli anni ’80 e ’90 ci furono accese discussioni scientifiche tra geologi e sismologi per spiegare il terremoto del 1980. I dati sismologici, non solo italiani ma mondiali, indicavano indiscutibilmente un tipo di movimento della faglia responsabile del terremoto di tipo “estensionale” o “normale”. Si iniziava a capire che l’Italia peninsulare era soggetta a uno “stiramento” dal Tirreno all’Adriatico. Questa osservazione, basata sui dati sismologici, contrastava con le conoscenze geologiche dell’epoca, che identificavano l’Appennino come una catena a pieghe e faglie, nata da un processo di compressione crostale. Nei trent’anni a seguire, i dati sismologici dei maggiori terremoti della catena appenninica confermarono che il processo attivo prevalente è proprio l’estensione della penisola in senso nordest-sudovest: Gubbio e Abruzzo nel 1984, Umbria-Marche nel 1997, L’Aquila nel 2009. I dati satellitari (GPS), disponibili per gli ultimi dieci anni, hanno poi confermato questa ipotesi e permesso di quantificarne l’entità: il processo di “allargamento” avviene con valori di pochi mm/anno, tipicamente 5-6. Sembra poco, ma su una scala dei tempi geologici non lo è: tra 1000 anni l’Italia sarà larga qualche metro in più; tra 1 milione di anni alcuni chilometri. La ricostruzione portò alla istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta. I fondi della ricostruzione che, inizialmente interessavano 339 paesi, diventarono 643 in seguito a un decreto dell'allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981 (Decreto legge 19 marzo 1981, n.75 | Legge 14 maggio 1981, n. 219), fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia quasi l'8,4% del totale dei comuni italiani. Norme tecniche successive terremoto 1980 La Legge n. 64 del 2 febbraio 1974 stabiliva alcuni principi generali, anche di carattere tecnico, e affidava ad appositi Decreti Ministeriali il compito di disciplinare i diversi settori delle costruzioni, garantendo inoltre un più agevole aggiornamento successivo delle norme stesse nonchè della classificazione sismica. Per gli aspetti sismici, col D.M. 3 marzo 1975 “Approvazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” fu definita la nuova mappa di pericolosità sismica di base, nella quale appena il 25% del territorio era classificato sismico, distinguendo due livelli di pericolosità, furono recepite tutte le indicazioni precedenti in relazione ai requisiti delle costruzioni in zona sismica e fu introdotta l'analisi dinamica delle strutture con spettro di risposta: l'azione sismica poteva essere schematizzata mediante forze statiche orizzontali ricavate dall'analisi dinamica modale e semplicemente variabili approssimativamente con legge lineare lungo l'altezza, al fine di simulare il primo modo di vibrazione. I terremoti del Friuli, con le due scosse del 6 maggio 1976 e quelle del 15 settembre 1976, e soprattutto il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 riportarono la questione sismica all'attenzione nazionale e si avviarono numerosi studi per il miglioramento sia della classificazione sia delle norme tecniche. Con il D.M. 7 marzo 1981 e il successivo Decreto 3 giugno 1981, che seguirono proprio il terremoto dell’Irpinia, il 43% del territorio nazionale fu classificato sismico; con il secondo D.M., in particolare, fu introdotta la zona sismica di terza categoria (caratterizzata da un grado di sismicità inferiore), che includeva diversi comuni delle provincie di Napoli e di Salerno e, in seguito, anche il comune di Roma. Con l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, che recepì gran parte delle indicazioni della normativa europea (Eurocodice Sismico 8), vennero introdotte significative modifiche all'assetto normativo: - tutto il territorio fu classificato sismico, inserendo la zona 4, a sismicità molto bassa e vennero definite le azioni sismiche attraverso gli spettri elastici e di progetto; Fig. 7 - Evoluzione classificazione sismica italiana Fonti: INGV
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