Veneto: Inquinamento PFAS / Studio UNIPD 07.05.2024
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24 Novembre 2024 | ||
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Veneto: Inquinamento PFAS / Studio UNIPD 07.05.2024 ID 8179 | 08.05.2024 / Download scheda Rev. 00 del 08.05.2024 Nell'articolo timeline evoluzione normativa regionale del Veneto, news ed altri documenti d'interesse, per l'inquinamento da PFAS. Update 08 Maggio 2024 Nei 34 anni compresi tra il 1985 – assunto come data di inizio della contaminazione delle acque – e il 2018 – ultimo anno di disponibilità dei dati di mortalità causa-specifica – nella popolazione residente dell’area Rossa abbiamo osservato 51.621 decessi contro 47.731 attesi – spiega il professor Annibale Biggeri – nello Studio predisposto dall'Università di Padova. PFAS indica le sostanze perfluoroalchiliche e sono oggetto di diffusa contaminazione ambientale in qiuanto da almeno quarant’anni avvelenano le falde del Veneto occidentale. Si tratta di una classe di composti chimici utilizzati in campo industriale per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi. Lo studio dell’Università di Padova evidenzia correlazione tra esposizione ai Pfas e mortalità per cancro e malattie cardiovascolari tra il 1985 e il 2018 Le sostanze poli- e per-fluoro alchiliche (PFAS), una famiglia di decine di migliaia di composti chimici utilizzati in molti prodotti di largo consumo per le loro proprietà di resistenza al calore e all’acqua, sono associate a molte condizioni avverse per la salute umana. Tra gli effetti principali c’è la riconosciuta cancerogenicità sull’uomo, che merita di essere ulteriormente studiata in merito alle sedi neoplastiche interessate. È stata documentata ad esempio un’associazione con il cancro del rene e il cancro ai testicoli. Nel 2013 si è scoperta una vasta area contaminata da PFAS che comprende superficie, suolo e acqua potabile di tre province del Veneto, coinvolgendo almeno 30 comuni e una popolazione di circa 150.000 abitanti (la cosiddetta Area Rossa). Molti interventi di contenimento sono stati attivati dalla Regione Veneto, di tipo ambientale, con l’applicazione di filtri sulle acque per uso umano, e di tipo sanitario, con l’avvio del Piano di Sorveglianza Sanitaria. Nel 2020 la Regione Veneto aveva affidato all’impresa sociale Epidemiologia e Prevenzione (ente no-profit del terzo settore) la fattibilità di indagini epidemiologiche sulla popolazione residente che prevedevano il coinvolgimento attivo della cittadinanza. In questo ambito il gruppo di ricerca dell’Università di Padova coordinato dal prof Annibale Biggeri del Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova – in collaborazione con il Registro Tumori dell’Emilia-Romagna, il Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità e con il contributo di citizen science del gruppo Mamme NO PFAS – ha pubblicato su «Enviromental Health» lo studio dal titolo “All-cause, cardiovascular disease and cancer mortality in the population of a large Italian area contaminated by perfluoroalkyl and polyfluoroalkyl substances (1980–2018)” dove, per la prima volta, i dati forniti dimostrano formalmente un’associazione tra esposizione a PFAS e mortalità per malattie cardiovascolari, mettendo in evidenza anche la correlazione tra cancro del rene e cancro ai testicoli e PFAS nella popolazione veneta dell’area contaminata Update 15 Aprile 2019 Oltre la metà dei veneti sottoposti al controllo Pfas è risultato con valori elevati. Da luglio a marzo i cittadini veneti residenti nella zona rossa tra la provincia di Vicenza, Padova e Veronacon concentrazioni elevate nel sangue di Pfas, sostanze perfluoro alchiliche, sono raddoppiati passando da 7.716 a 16.400. Lo si apprende dall’ultimo report pubblicato dalla Regione Veneto (Rapporto n. 9 - marzo 2019) in cui si precisa che su “47.213 persone invitate a partecipare allo screening” c’è stata un’adesione del 60% e sono “già disponibili gli esiti di tutti gli esami effettuati per 25.288 di loro; a 16.400 cittadini sono stati riscontrati valori di Pfas elevati e alterazioni delle pressione arteriosa o degli esami bioumorali; a tutti è stato suggerito e offerto, gratuitamente, un percorso di approfondimento di secondo livello“. Nela Rapporto della Direzione Prevenzione della Regione si conferma, come già specificato nelle precedenti rilevazioni, che sono 4 i composti rinvenuti in più del 50% della popolazione monitorata: si tratta di PFOA, PFOS, PFHxS e PFNA. Circa il 60% dei veneti sottoposti allo screening gratuito sulla presenza di Pfas nel sangue è risultati in possesso di valori elevati, come riferito all’interno dello studio condotto dalla Direzione Regionale Prevenzione, Sicurezza Alimentare e Veterinaria. L’invito della Regione Veneto è stato rivolto in particolare ai residenti nella “zona rossa”, al cui interno si trovano i Comuni con acquedotti inquinati prima dell’applicazione dei filtri, divisa a sua volta nelle aree “A” e “B” (quest’ultima con località esterne rispetto al “plume dei contaminazione della falda acquifera sotterranea). Nell’area rossa “A” sono presenti i Comuni di Alonte, Asigliano, Brendola, Cologna Veneta, Lonigo, Montagnana, Noventa Vicentina, Pojana Maggiore, Pressana, Roveredo di Guà, Sarego, Zimella e Orgiano, mentre in quella “B” figurano Albaredo d’Adige, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Anna, Legnago, Minerbe, Terrazzo e Veronella (interessati interamente), oltre ad Agugliaro, Borgo Veneto, Casale di Scodosia, Lozzo Atestino, Megliadino San Vitale, Merlara, Urbana e Val Liona (interessati solo in parte). Update 12 Aprile 2019 In particolare, la delibera del 4 aprile 2019, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 12 aprile 2019, fa riferimento alle due ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile in merito agli interventi urgenti di protezione civile in conseguenza della contaminazione da PFAS e alla nota del 20 marzo 2019 del Presidente della Regione Veneto che richiedeva, appunto, la proroga dello stato di emergenza. Update 20 marzo 2019 Disastro Pfas, la Provincia di Vicenza ha nascosto l'inquinamento per tredici anni Le 270 pagine dei carabinieri del Noe: "C’è stata la volontà di non far emergere la situazione, colpevole anche l'Agenzia ambientale Arpav”. La procura chiude le indagini con tredici indagati. La chiusura delle indagini della Procura di Vicenza sulla fabbrica dei veleni, che ha prodotto il più grave inquinamento delle acque della storia italiana (tre province toccate, 350 mila persone interessate, 90 mila da controllare sul piano clinico), oltre a certificare tredici indagati per inquinamento delle acque, appunto, e disastro innominato (vecchia e più recente dirigenza di Miteni), riapre e allarga la questione Pfas. La tossicità delle molecole - utilizzate per rendere scivolosa la superficie dei piumini e antiaderenti le padelle, per cromare e placcare - e la loro presenza nelle acque pubbliche erano cosa nota ai governi locali e i tecnici ambientali del Nord-Est. La Provincia di Vicenza, guidata nel 2006 dalla leghista Manuela Del Lago, e l'Agenzia regionale per la protezione ambientale, l'Arpav Veneto, sapevano e tacevano. Il rapporto giudiziario del Noe è la prima ricostruzione storica di questo avvelenamento lungo mezzo secolo diventato un'emergenza sanitaria e contesta i fatti - e gli eventuali reati commessi - fino al 2013. Soltanto fino al 2013. Nella relazione, che l'associazione Greenpeace ha potuto ottenere in quanto parte civile, si ricorda che tra il 2003 e il 2010 l'Ufficio Ambiente della Provincia gestì un progetto di controllo ambientale - Giada, appunto - finanziato con fondi comunitari. Quel lavoro fece emergere "l'incremento nella contaminazione da benzotrifluoruri, sintesi o sottoprodotti derivati dall'attività della Miteni". L'azienda, ricorda il dossier dei carabinieri, già nel 1977 era stata "al centro di un grave caso di contaminazione delle acque potabili". Il Progetto Giada nel primo decennio del Duemila ha individuato il nuovo disastro ambientale e lo ha collocato nella falda sotterranea tra Trissino (il comune che ha ospitato la Miteni) e Montecchio Maggiore. Quindi, ha attribuito "l'incremento significativo" dell'inquinamento "a fattori idrologici o a fatti nuovi verificatisi all'interno dell'area dello stabilimento". Update 14 Gennaio 2019 Il Ministero dell'Ambiente, da settembre 2018, ha costituito un gruppo di lavoro ad hoc per la realizzaine delle linee guida per la definizione di valori limite di emissione per le sostanze chimiche pericolose PFAS. Il 3 dicembre 2018 le linee guida sono state scritte e saranno discusse presso la conferenza delle Regioni. Update 02 Luglio 2018 Sotto la lente dell’agenzia le sostanze utilizzate dell’industria che si trasformano in Pfas una volta immesse nell’ambiente e che non sono mai state ricercate negli scarichi industriali del Veneto. ECHA l’agenzia di regolamentazione delle sostanze chimiche dell’Unione Europea con sede a Helsinki ha pubblicato il 26 giugno 2018 il documento che porterà alla definizione di una norma specifica sull’utilizzo del PFOA. L’agenzia è l’autorità che stabilisce il regolamento REACH a cui la Regione Veneto ha fatto pochi giorni fa riferimento annunciando la necessità di avviare i controlli su tutti gli utilizzatori di sostanze chimiche nei distretti di lavorazione delle pelli. ECHA indica tra i grandi utilizzatori di PFOA anche il tessile, le cartiere e chi utilizza inchiostri e tinture. Il documento di ECHA conferma l'uso di oltre 100 tonnellate anno di perfluorurati in Veneto. L’agenzia si è concentrata sul PFOA e ha diviso l’utilizzo di questa sostanza allo stato puro dalle sostanze definite PFOA correlate cioè che si trasformano PFOA una volta nell’ambiente. Queste ultime non vengono attualmente ricercate nelle analisi ambientali perché non sono ancora PFAS ma, si scrive nel rapporto rapporto, lo diventano in un tempo variabile tra qualche giorno e alcuni anni e l’impiego di queste sostanze in Europa è di migliaia di tonnellate all’anno. ECHA descrive i quantitativi per ogni utilizzo in ambito europeo suddividendo l’uso per il trattamento dei tessuti, delle pelli e dei coloranti che talvolta in passato sono stati visibili nei corsi d’acqua del territorio della valle dell’Agno. Scrive ECHA: “Una fonte indiretta di PFOA sono le aziende che utilizzano e smaltiscono sostanze che degradano in PFOA. Il mercato di queste sostanze ha un volume intorno alle 1.000 tonnellate anno nei trattamenti di pelle e tessuti e altre 150-200 tonnellate sono utilizzate per il trattamento della carta. Ulteriori 50 - 100 tonnellate vengono usate per colori e inchiostri”. L’Unione industriale conciaria UNIC nella sua documentazione scrive che l’Italia rappresenta il 66% della produzione europea. Il Veneto vale il 52% della produzione italiana del settore. Ne consegue che la sola industria della pelle del Veneto consuma ogni anno, secondo i dati dell’agenzia europea che li definisce “per difetto”, circa 160 tonnellate di sostanze che rilasciano PFOA una volta in ambiente e che non sono mai state oggetto di analisi negli scarichi industriali. A questi vanno ad aggiungersi 30 tonnellate di PFOA e sali di PFOA puri o utilizzati in miscele vendute in Europa. ECHA afferma di avere dati sottostimati perché non tutti i fornitori hanno risposto alle richieste dell’agenzia e già uno solo di loro ha comunicato volumi intorno alle 1.000 tonnellate per anno. Questa indagine dell’agenzia europea è stata richiesta da Germania e Norvegia, realizzata dal Committee for Risk Assessment (RAC) e dal Committee for Socio-economic Analysis (SEAC) e ha lo scopo di definire modifiche al regolamento REACH per l’utilizzo del PFOA. Dal 1° giugno l’importazione e vendita di pefluorurati deve essere dichiarata al REACH e questo consentirà di avere dati sempre più precisi sull’utilizzo. Dice Antonio Nardone amministratore delegato di Miteni: “L’agenzia europea è molto chiara, conferma i dati che avevamo diffuso sull’utilizzo dei perfluorurati nelle industrie della zona, e lo fa al rialzo. Era evidente dai calcoli delle concentrazioni che la diffusione di PFOA non poteva avere come fonte principale Miteni. Ora l’agenza europea dice chiaramente che la maggior parte di PFOA si produce da sostanze chimiche che nessuno ha mai cercato negli scarichi industriali del Veneto. Sostanze di cui sono state scaricate migliaia di tonnellate in ambiente per decenni dalle lavorazioni industriali e che Miteni non ha mai prodotto. Lo stesso vale per i terreni e la falda. La coscienza ambientale del secolo scorso era scarsa per tutti. Si deve ora verificare la situazione anche dei terreni di chi ha usato e sta usando PFOA e sostanze che si trasformano in PFOA dagli anni Sessanta quando i fiumi si coloravano in funzione delle tinture usate dalle industrie. Questi terreni percolano nelle falde acquifere, così come le discariche che hanno raccolto i fanghi di queste aziende”. Update 21 Maggio 2018 La Regione del Veneto ha individuato una serie di iniziative per abbattere e tenere sotto controllo le concentrazioni di PFAS nelle acque destinate al consumo umano. Recentemente è stata emessa la DGR 691/2018 che, modificando il "Piano di sorveglianza sulla popolazione esposta alle sostanze perfluoroalchiliche" ha ridefinito le Aree d'interesse. (vedi mappa Fig.1) La delibera modifica il “Piano di sorveglianza sulla popolazione esposta a sostanze perfluoroalchiliche (Pfas)”, varato nel 2016 con la DGR 2133/2016, che prevede un percorso di prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico delle patologie cronico-degenerative potenzialmente associate a Pfas, attraverso la determinazione su siero di parametri ematochimici definiti e la determinazione delle concentrazioni di dodici sostanze Pfas per valutare il loro bioaccumulo nei soggetti valutati. Le tre aree interessate con diversi gradi di rilevanza dall’inquinamento sono state ridefinite: si tratta dell’Area di impatto (Area Rossa A e B), dell’Area riferita alle captazioni autonome ad uso potabile (Area Arancione) e dell’Area di attenzione (Area Gialla). Sono stati inseriti nuovi comuni o parti di comuni in queste tre fasce. L’origine dell’inquinamento è a Trissino, in provincia di Vicenza, dove ha sede la fabbrica Miteni che ha versato negli scorsi decenni l’inquinante nei torrenti della zona. La mappa è stata ridisegnata, spiega la giunta regionale in una nota, «con un metodo più preciso basato sulla identificazione della rete idrica di distribuzione». In questo sito vengono presentati i risultati delle analisi effettuate da ARPAV sulle acque destinate al consumo umano all'uscita dagli impianti di potabilizzazione, localizzati a Brendola, Lonigo e Sarego, che servono, in tutto o in parte, i 30 comuni ricadenti nell'Area di Massima Esposizione Sanitaria, c.d. "Area Rossa". Per 21 di questi comuni, individuati con la DGR 2133/2016, la precedente DGR 1591/2017 aveva stabilito che, nell'arco temporale di sei mesi, i valori di PFOA + PFOS sarebbero dovuti risultare inferiori o uguali a 40 ng/L, grazie all'adozione di una serie articolata di interventi finalizzati a sperimentare tecnologie di trattamento per la riduzione dei carichi inquinanti nelle acque destinate al consumo umano. Mappa comuni rientranti nell'Area di Massima Esposizione Sanitaria Update 2013 Nell’estate 2013, a seguito di una campagna di misurazione di sostanze chimiche contaminanti rare sui principali bacini fluviali italiani, promossa dal Ministero dell'Ambiente, è emerso un inquinamento diffuso da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) in alcuni ambiti del territorio regionale. L’inquinamento riguarda parte delle province di Vicenza, Verona e Padova. I PFAS sono stati riscontrati nelle acque superficiali, nelle acque sotterranee e anche in alcuni campioni di acque destinate al consumo umano. Il Centro Nazionale Ricerche - Istituto di Ricerca sulle Acque (CNR - IRSA), in accordo con il Ministero dell'Ambiente, ha effettuato, tra il 2011 e il 2013, una campagna di misura di sostanze chimiche contaminanti rare sui principali bacini fluviali italiani. In quest'ambito, sono stati monitorati i corpi idrici superficiali e i reflui industriali e di depurazione del reticolo idrografico della provincia di Vicenza e, in particolare, del distretto industriale di Valdagno e Valle del Chiampo. Oltre alle acque superficiali, sono stati prelevati campioni di acqua destinata al consumo umano in più di 30 comuni nella provincia di Vicenza e nelle zone limitrofe delle province di Padova e Verona. Le indagini hanno evidenziato un inquinamento diffuso di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS), a concentrazione variabile in alcune aree delle province sopracitate. ITALIA MAG 2018 Cosa sono i PFAS I PFAS (Sostanze perfluoro alchiliche) sono composti che, a partire dagli anni cinquanta, si sono diffusi in tutto il mondo, utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all'acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa. Come conseguenza dell’estensiva produzione e uso dei PFAS e delle loro caratteristiche chimiche questi composti sono stati rilevati in concentrazioni significative nell’ambiente e negli organismi viventi. Presenza di PFAS in Italia e in Veneto Nel 2013 una ricerca sperimentale su potenziali inquinanti “emergenti”, effettuata nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani dal CNR e dal Ministero dell’Ambiente, ha segnalato la presenza anche in Italia di sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili. In precedenza, nel 2007, uno studio pubblicato su Analytical and Bioanalytical Chemistry su alcuni tratti del fiume Po e dei suoi affluenti aveva riscontrato nel Tanaro, vicino alla città di Alessandria concentrazioni di PFAS fino a 1300 ng/l. L'attività di ARPAV ARPAV si è attivata subito individuando per il Veneto la principale fonte di pressione e l’area di contaminazione nella provincia di Vicenza ed estendendo il controllo a tutto il territorio regionale, attraverso le reti di monitoraggio delle acque sotterranee e superficiali nonché, in stretto coordinamento con la Regione del Veneto e l’Istituto Superiore di Sanità, ad altre matrici ambientali, quali acque marine e lagunari, fanghi e alimenti. Certifico Srl - IT - 2024 Collegati TUA | Testo Unico Ambiente[ |
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