9 ottobre 1963: 59 anni dalla tragedia della diga del Vajont
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30 Novembre 2024 | ||
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9 ottobre 1963: 59 anni dalla tragedia della diga del Vajont ID 6979 | Download scheda (09.10.2018) Sono passati 59 anni dalla tragedia del Vajont. Una ferita unica, profonda e mai rimarginata. Allegati: Un monito che ancora oggi, alla luce di recenti tragedie legate al nostro rapporto con la natura, sembra non essere pienamente ascoltato. La natura esige rispetto, la montagna vuole essere amata e le comunità che la vivono devono essere sicure e protette. La superficialità nella valutazione dei rischi non deve più esistere, l’incuria e l’inerzia vanno combattute. Al servizio del mio Paese nelle politiche ambientali cerco ogni giorno di non dimenticare mai il Vajont. Lo ha dichiarato Vannia Gava, Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente. Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia). La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. Nella tarda sera del 9 ottobre 1963, alle 22.39, sulla linea di confine tra le provincie di Belluno e di Udine - là dove si ergeva e si erge una delle più alte dighe del mondo a sbarrare la strada al torrente Vajont, formando un bacino artificiale di 150 milioni di metri cubi d'acqua - il disastro si è scatenato improvviso, cogliendo di sorpresa i centri abitati a monte e a valle della diga, sui quali si avventava una mostruosa valanga d'acqua e di fango. La catastrofe è così descritta dalla Relazione della Commissione di inchiesta nominata dal Ministro dei Lavori Pubblici: "Alle ore 22,39 del 9 ottobre 1963 il movimento franoso delle pendici del Toc, già in atto, assumeva un andamento percipite, irruento, irresistibile. L'acqua del lago artificiale subiva una formidabile spinta: con andamento di 50 Km all'ora la frana avanzava, raggiungeva la sponda destra della diga, urtava contro questa e vi scorreva sopra. La tremenda pressione della massa spostava un volume di 50 milioni di metri cubi d'acqua. Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. La diga del Vajont fu costruita in una zona ad alto rischio sismico Commentatori, politici e giornalisti all’inizio si schierarono in difesa della diga, che nonostante il disastro naturale rimane in piedi: era un motivo di orgoglio per l’ingegneria italiana. Più avanti, si individuerà la responsabilità del disastro in alcuni dirigenti del settore elettrico: nonostante il disastro fosse prevedibile, a causa di interessi privati, la gigantesca diga era stata costruita ed utilizzata in un territorio ad altissimo rischio di frane e fenomeni sismici. Il Vajont è un affluente del fiume Piave che scorre nella parte sud-est delle Dolomiti, tra Friuli e Veneto. Nei secoli, questo corso d’acqua ha scavato una suggestiva gola stretta e profonda, la gola del Vajont, situata tra due montagne, il monte Toc ed il monte Salta. Sulle pendici del monte Salta sorgono alcune piccole comunità montane, racchiuse nel comune di Erto e Casso, mentre all’incontro della gola del Vajont con la valle del Piave, in provincia di Belluno, sorge la città di Longarone. Cronistoria Il progetto e la costruzione Nel 1929 iniziano gli studi e i progetti per costruire un bacino artificiale nella Valle del Vajont. Per compensare alla irregolare portata del Fiume Piave e dei suoi affluenti, con portate utili alla produzione di energia elettrica solo in primavera e in autunno, deve essere costruito un enorme lago artificiale, nel quale stoccare circa 150 milioni di metri cubi d’acqua. In pochi anni il progetto è pronto, ma scoppia la seconda guerra mondiale. Nel 1943 inizia l’acquisizione dei terreni dei comuni di Erto e di Casso, e negli anni successivi viene portato a termine l’esproprio dei terreni privati, nonostante l’opposizione di una parte della popolazione; questo porta anche alla costruzione a Erto di una caserma dei Carabinieri. Nel luglio del 1957 iniziano i lavori, con circa 400 operai, e la diga viene inaugurata nel settembre del 1960. Solo tre anni per costruire quella che allora era la più alta diga a doppio arco del mondo, la seconda in assoluto. Alta 262 metri, larga 190, spessa 22 metri alla base e solo 3,40 metri alla sua sommità, e vengono usati 353.000 metri cubi di calcestruzzo. Ma se la diga viene costruita seguendo le tecniche più innovative, non vengono tuttavia condotti sufficienti studi sulla stabilità del versante settentrionale del Monte Toc. L’instabilità di questo versante è ben nota, ed addirittura vengono effettuate opere accessorie nell’ipotesi che una frana possa cadere da questo versante, e dividere il lago in due parti. Nel 1929 la Valle del Vajont fu ritenuta idonea per la costruzione di una diga Nel 1929, due studiosi reputano la Valle del Vajont idonea per la costruzione di un bacino idroelettrico per conto della SADE (Società Adriatica di Elettricità). Il progetto sarà approvato nel 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, attraverso un procedimento irregolare (soltanto 13 rappresentanti su 34 saranno presenti alla seduta), reso possibile dal periodo turbolento che l’Italia stava attraversando. 1957: anno di inizio della costruzione della diga I cantieri verranno aperti, con ampi contributi pubblici, soltanto nel gennaio del 1957, sulla scia del ‘miracolo economico’ dando lavoro a circa 400 persone. L’economia italiana era in rapida espansione, e le città del nord, sempre più popolate, avevano bisogno di energia elettrica. Nonostante le preoccupazioni degli abitanti di Erto e Casso, molti dei quali possedevano pascoli e terre che sarebbero stati espropriati per fare posto al lago artificiale, la SADE decide addirittura di ampliare il progetto originale. La diga sarebbe diventata la più alta del mondo (266 metri di altezza, 723 sopra il livello del mare), in grado di contenere 115 milioni di metri cubici di acqua, su progetto dell’ing. Carlo Semenza. Nel 1959 una frana sormontò la diga di Pontesei causando la morte di un operaio della Sade Nel 1959, a pochi chilometri di distanza, una frana precipitava nel lago artificiale di un’altra diga progettata da Semenza, la diga di Pontesei, causando un’onda di 20 metri che costerà la vita all’operaio della Sade incaricato della sorveglianza, il cui corpo non sarà mai più ritrovato. I cittadini di Erto e Casso, sempre più allarmati, istituiranno un comitato, ma pochi mesi dopo la diga del Vajont è pronta. La SADE scoprì una paleofrana sul Monte Toc Parallelamente la Sade, allarmata dall’incidente presso la diga di Pontesei, commissionava nuove perizie, che stabilirono la presenza di una paleofrana sul monte Toc. A conferma di queste scoperte, nel novembre del 1960 una frana di 800.000 metri cubici di roccia precipita dal monte nel lago artificiale. La SADE continua a commissionare nuovi test: nel 1962 viene stabilito che la riserva d’acqua si trova in un’area a rischio, e che non dovrà superare il livello di 700 metri sopra il livello del mare. La diga del Vajont diventò proprietà dello Stato Alla fine del 1962, in seguito alla legge del governo Fanfani che stabilisce la nazionalizzazione dell’industria elettrica italiana, nasce l’ENEL: la diga del Vajont è ormai di proprietà statale. I tecnici dell’Enel devono subito gestire un nuovo scivolamento del monte Toc, mentre a Longarone, Erto e Casso, i segni di una frana imminente si fanno sempre più inequivocabili. 9 ottobre 1963: data della caduta di una frana dal Monte Toc La sera del 9 ottobre del 1963, alle 22:39, un enorme blocco di terra di 400 metri cade dal Monte Toc, provocando una frana di 270 milioni di metri cubi di roccia, che in circa un minuto scivola nel lago artificiale ad una velocità di 100 km/h. La frana scavalcò la diga e colpì la cittadina di Longarone. La massa di terra precipitata nel lago è superiore all’estensione del lago stesso, e provoca due gigantesche onde, alte più di 250 metri. La prima raggiunge Casso ed Erto, risparmiando i due paesi per pochissimo, ma spazzando via alcune frazioni. La seconda, la più terribile, scavalca la diga per finire nella valle del Piave, verso ovest: coglierà in pieno la cittadina di Longarone dopo 4 minuti. Morirono circa 1920 persone. Giudizi e sentenze Tre giorni dopo il disastro, l'11 ottobre, il Ministro dei Lavori Pubblici, in accordo con il Presidente del Consiglio, nomina la Commissione di inchiesta sulla sciagura, che si insedia il 14 ottobre. Essa dispone di due mesi di tempo per presentare una relazione. Suo compito è quello di accertare le cause, prossime e remote, che hanno determinato la catastrofe. La Commissione finirà il suo lavoro tre mesi dopo. Il 20 di febbraio 1968 il Giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, deposita la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Due di questi, Penta e Greco, nel frattempo muoiono, mentre Pancini si toglie la vita il 28 novembre di quell'anno. Il giorno dopo inizia il Processo di Primo Grado, che si tiene a L'Aquila, e che si conclude il 17 dicembre del 1969. L'accusa chiede 21 anni per tutti gli imputati (eccetto Violin, per il quale ne vengono richiesti 9) per disastro colposo di frana e disastro colposo d'inondazione, aggravati dalla previsione dell'evento e omicidi colposo plurimi aggravati. Biadene, Batini e Violin vengono condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione per omicidio colposo, colpevoli di non aver avvertito e di non avere messo in moto lo sgombero; assolti tutti gli altri. La prevedibilità della frana non viene riconosciuta. Il 26 luglio 1970 inizia all'Aquila il Processo d'Appello, con lo stralcio della posizione di Batini, gravemente ammalato di esaurimento nervoso. Il 3 ottobre la sentenza riconosce la totale colpevolezza di Biadene e Sensidoni, che vengono riconosciuti colpevoli di frana, inondazione e degli omicidi. Essi vengono condannati a sei e a quattro anni e mezzo (entrambi con tre anni di condono). Frosini e Violin vengono assolti per insufficienza di prove; Marin e Tonini assolti perché il fatto non costituisce reato; Ghetti per non aver commesso il fatto. Tra il 15 e il 25 marzo del 1971 si svolge, a Roma, il Processo di Cassazione, nel quale Biadene e Sensidoni vengono riconosciuti colpevoli di un unico disastro: inondazione aggravata dalla previsione dell'evento compresa la frana e gli omicidi. Biadene viene condannato a cinque anni, Sensidoni a tre e otto mesi, entrambi con tre anni di condono. Tonini viene assolto per non aver commesso il fatto; gli altri verdetti restano invariati. La sentenza avvenne quindici giorni prima della scadenza dei sette anni e mezzo dell'avvenimento, giorno nel quale sarebbe intervenuta la prescrizione. Il 16 dicembre 1975 la Corte d'Appello dell'Aquila rigetta la richiesta del Comune di Longarone di rivalersi in solido contro la Montedison, società in cui è confluita la SADE, condannando l'ENEL al risarcimento dei danni subiti dalle pubbliche amministrazioni, condannate a pagare le spese processuali alla Montedison. Sette anni dopo, il 3 dicembre 1982, la Corte d'Appello di Firenze ribalta la sentenza precedente, condannando in solido ENEL e Montedison al risarcimento dei danni sofferti dallo Stato e la Montedison per i danni subiti dal comune di Longarone. Il ricorso della Montedison non si fa attendere ma il 17 dicembre del 1986 la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso alla sentenza del 1982. Infine il 15 febbraio 1997 il Tribunale Civile e Penale di Belluno condanna la Montedison a risarcire i danni subiti dal comune di Longarone per un ammontare di lire 55.645.758.500, comprensive dei danni patrimoniali, extra-patrimoniali e morali, oltre a lire 526.546.800 per spese di liti ed onorari e lire 160.325.530 per altre spese. La sentenza ha carattere immediatamente esecutivo. Nello stesso anno viene rigettato il ricorso dell'ENEL nei confronti del comune di Erto-Casso e del neonato comune di Vajont, obbligando così l'ENEL al risarcimento dei danni subiti, che verranno quantificati dal Tribunale Civile e Penale di Belluno in lire 480.990.500 per beni patrimoniali e demaniali perduti; lire 500.000.000 per danno patrimoniale conseguente alla perdita parziale della popolazione e conseguenti attività; lire 500.000.000 per danno ambientale ed ecologico. La rivalutazione delle cifre hanno raggiunto il valore di circa 22 miliardi di lire. Fonti: MATTM
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