Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso proposto dalla difesa del V.M. e l'analoga censura mossa dal M.P. attraverso il secondo motivo di ricorso si presentano infondati laddove, a prescindere dalla formale declinazione delle doglianze sub specie di violazione di legge, le stesse aggrediscono la motivazione dei giudici di merito, nel proprio tessuto argomentativo, nella parte in cui viene riconosciuta rilevanza, ai fini del rispetto degli obblighi prevenzionistici e in particolare in relazione all'obbligo di predisposizione di un unico documento di valutazione dei rischi, al complessivo programma negoziale del contratto di appalto stipulato tra la ditta committente (Eafin) e l'appaltatore, con particolare riferimento ai profili di mancata previsione del rischio inferenziale tra lavorazioni, oggetto di contestazione.
2. Invero il giudice distrettuale, analogamente a quanto argomentato dal primo giudice, con un costrutto esente da contraddizioni o vizi logici, ha rappresentato come le prestazioni oggetto del contratto di appalto, anche in ragione della complessità organizzativa e della articolazione sul territorio, necessitassero della cooperazione e del coordinamento tra ditta committente e la ditta appaltatrice e comportassero un impegno esecutivo ben superiore alle due giornate lavorative, che rappresentava il termine minimo per escludere la predisposizione del documento di valutazione dei rischi.
2.1 In sostanza la motivazione appare coerente con il contenuto delle emergenze istruttorie, come richiamate nei motivi di ricorso e nella sentenza impugnata con particolare riferimento al contratto di appalto, e del tutto conforme al contenuto degli obblighi gravanti sul committente, come evidenziati dalla giurisprudenza del S.C. in presenza di rischio connesso alla lavorazione di diverse imprese sullo stesso luogo di lavoro (sez.IV, 23.1.2014, Ramunno, Rv.259286; 28.11.2013, Schiano Rv.259086; sez.III, 25.2.2015, Cicuto Rv.262757; 7.6.2016, PC e altri in proc.Carfì ed altri).
2.2 In base ai principi ripetutamente affermati da questa Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
3. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dai ricorrenti, atteso che l'articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dei ricorrenti, mentre le censure da questi proposte in ordine alla verosimile durata della prestazione e ai modi e ai tempi in cui la stessa doveva essere calcolata, finiscono sostanzialmente per riproporre, argomenti già esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal modo richiedendo uno scrutinio improponibile in questa sede.
4. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso proposto dalla difesa del V.M. atteso che il giudice distrettuale ha adeguatamente rappresentato come la mancata predisposizione del DVR si pose come antecedente causale dell'Infortunio occorso alla persona offesa, laddove la mera fornitura del materiale necessario per la realizzazione della torre anemometrica corredato da istruzioni che ammonivano a non operare sotto il palo, non poteva costituire sufficiente adempimento agli obblighi gravanti sul committente soprattutto riguardo allo svolgimento delle lavorazioni interferenti o alla prevenzione di infortuni non direttamente collegati al montaggio della installazione.
Se da un lato gli interventi di installazione della torre costituivano l'epicentro del rischio sottoposto al diretto controllo e quindi alla garanzia del responsabile della ditta appaltatrice, le cautele indicate nelle istruzioni non esaurivano l'ambito del rischio garantito quando, come nel caso in specie, all'Interno dell'area di lavorazione presidiata dalla disciplina cautelare, venivano a confluire figure professionali terze, pure presenti nel cantiere in quanto prestatori di opera espressamente autorizzati ad operare sulla base dello stesso contratto di appalto che regolava i rapporti dell'appaltatore con la ditta committente, e pertanto per tali ipotesi avrebbero dovuto trovare espansione gli oneri di cooperazione e di coordinamento richiamati dalla disciplina normativa di cui in imputazione.
5. Infondato è altresì il primo motivo di ricorso della difesa del M.P. rivolto a censurare la motivazione del giudice di merito in relazione all'addebito della omessa predisposizione di cautele in fase esecutiva nel montaggio della torre anemometrica, sul presupposto che tali cautele avrebbero dovuto essere osservate primariamente dalla ditta facente capo alla persona offesa.
Sul punto invero il giudice distrettuale ha dato ampio e logico conto del fatto che la condotta del P.L. fu tutt'altro che eccentrica ed esorbitante rispetto alle lavorazioni che la persona offesa era stata chiamata a svolgere ma che, al contrario, la fase di interdizione alla zona interessata al tiraggio dei cavi che dovevano sostenere la struttura anemometrica, rientrava appieno nella area di rischio presidiata dalla ditta appaltatrice e per essa all'imputato M.P..
5.1 Invero ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e di cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall'art. 26 D.Lgs.vo 9.4.2008 n.81, occorre avere riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quali il contratto di appalto, di opera o di somministrazione, ma all'effetto che tale rapporto origina, ovvero alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per la incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (sez.IV, 7.6.2016, P.C. in proc. Carfì e altri, Rv. 267687; 17.6.2015, Mancini, Rv. 264957). Invero con riferimento alla posizione del subappaltatore il S.C. ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro il sub committente è sollevato dai relativi obblighi solo ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore (sez.IV, 5.6.2008, Riva e altro, Rv. 240314; sez.IV 20.11.2009, Fumagalli e altri, Rv.246302).
5.2 Nel caso in esame invero la persona offesa, come correttamente rappresentato dal giudice di appello, non era intenta nella propria prestazione lavorativa, che era terminata, ma nondimeno aveva interferito con la fase esecutiva del montaggio della torre, interferenza che rientrava appieno all'interno della sfera del rischio governata dai soggetto titolare del rapporto di garanzia. Orbene la motivazione risulta del tutto corretta ed è altresì coerente con l'orientamento del giudice di legittimità che ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale è il comportamento eccentrico ed esorbitante le proprie mansioni (vedi sez.IV, 28.4.2011, Millo e altri, Rv. 250710; 10.10.2013, Rovaldi, Rv.259313; 23292; 5.3.2015, Guida, Rv.263386).
6. I ricorsi vanno pertanto rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.