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Cassazione Penale Sez. 4 del 20 gennaio 1998 n. 2277

ID 9814 | | Visite: 2483 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/9814

Cassazione Penale  Sez. 4 del 20 gennaio 1998 n. 2277

Responsabilità del preposto di fatto

Rapporto di causalità tra comportamento colposo del lavoratore per inosservanza di norme antinfortunistiche e l'incidente verificatosi: occorre l'eccezionalità, l'imprevedibilità e l'unicità del comportamento;
Chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori, deve considerarsi automaticamente tenuto ad attuare le misure di sicurezza e a disporre ed esigere che esse siano rispettate;
Non assume rilevanza il fatto che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati, per un diverso autonomo titolo, dello stesso obbligo

...

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Michele NAPPI Presidente
Dott. Paolo FATTORI Rel. Consigliere
Dott. Matteo IACUBINO Consigliere
Dott. Vito SAVINO Consigliere
Dott. Silvano IACOPINO Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) , nata a Guanara (Venezuela) il 24-6-1959;
2) , nato ad Ascoli Piceno il 25-8-1955.

avverso la sentenza 20-2-1997, n. 302-97, della Corte d'Appello di Ancona.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Fattori

Udito il Pubblico Ministero in persona del dott. G. Febbraro che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Udito, per la parte civile, l'Avv. -

Uditi idifensori -

Fatto

e sono stati chiamati a rispondere di questi reati:
A) art. 590 cpv. cp., perché, nella loro qualità di responsabili della ditta , per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, quali ad esempio quelle volte alla vigilanza ed alla segnaletica sui divieti di avvicinamento ai macchinari, cagionavano, mediante l'omesso approntamento di tutte le cautele necessarie, un infortunio a , che, restando incastrato con un braccio in una macchina fustellatrice, riportava lesioni della durata di oltre 40 giorni (fatto avv. il 17.9.1990);
B) articoli 4e 73 D.P.R. 547- 1955e 81 cpv. c.p., perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di cui al capo A), omettevano di predisporre ed esibire la segnaletica idonea ad avvertire i lavoratori dei rischi specifici in cui incorrevano e non approntavano idonei ripari, quali parapetti, griglie ed altri sistemi, onde evitare che i lavoratori venissero a contatto con organi lavoratori, introduttori o scaricatori, pericolosi (il 17.9.1990).
Il Pretore di Ascoli Piceno, con una sentenza del 13.12.1994, ha dichiarato prescritto il reato sub B) e ha invece dichiarato gli imputati colpevoli di quello sub A), condannandoli, con le attenuanti generiche, alla pena di L. 1.000.000 di multa ciascuno, oltrecché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
Su appello degli stessi imputati, la Corte di Ancona, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha, con la sentenza indicata in epigrafe, riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa nella misura del 50% e ha dichiarato le già concesse attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, riducendo così la pena, per entrambi, a L. 600.000 di multa.
Le modalità dell'incidente in cui il riportò lesioni risultano, nelle linee fondamentali, dal capo d'imputazione.
La Corte di merito, dopo aver ricordato che l'operaio infortunato ha reso - probabilmente per mascherare l'imprudenza del proprio comportamento - una deposizione lacunosa, assumendo, in buona sostanza, di non essere in grado di rammentare come potesse essere finito con l'intero corpo, da capo a piedi, nell'interno della macchina, adibita al taglio di fogli di carta (e munita solo di alcuni pulsanti elettrici che ne azionavano o bloccavano il funzionamento), osserva che comunque l'infortunio può essere ricostruito in una sola maniera:
Il , che doveva sistemare i pacchi di carta da lavorare sul pianale posto sopra l'imbocco della macchina, è salito per qualche motivo, ma verosimilmente per metterne di più e meglio, sul pianale di vetro posto davanti all'imbocco, finendo per scivolare sulla predetta superficie, proprio per questo estremamente pericolosa, e cadere per intero all'interno della macchina stessa.
La Corte d'Appello rammenta che il datore di lavoro è destinatario delle norme infortunistiche anche e proprio per evitare che il dipendente compia scelte irrazionali che, se effettivamente operate, possono pregiudicare la sua integrità psico fisica e rileva che la condotta del , pur imprudente, era nondimeno prevedibile e controllabile. La sentenza così prosegue:
L'imbocco andava, pertanto, adeguatamente protetto, così come andavano ulteriormente protetti gli organi mobili lavoratori della stessa macchina, sicché tale omissione induce inequivocabilmente in colpa i prevenuti, con riferimento all'obbligo specifico e generico di prevenzione degli infortuni. D'altra parte, non vi erano neppure cartelli che inibissero la predetta più che ipotizzabile manovra, sicché anche sotto tale profilo va ravvisata colpa in capo ai predetti.
Quanto poi alla tesi difensiva del , secondo cui egli non partecipava alla condizione dell'azienda, di proprietà della moglie (), i giudici osservano che, indipendentemente dalla formale intestazione dell'impresa, è da ritenere che, quanto meno, l'imputato ne fosse contitolare, trattandosi di impresa di modeste dimensioni e considerato che il venne assunto e (brevemente) istruito da lui (il quale, per sua stessa ammissione è esperto di macchine del tipo di quella che provocò l'infortunio) e che da lui venne estratto dalla fustellatrice dopo esserci caduto dentro, che lo stesso inoltre ha dichiarato di non aver mai conosciuto o visto la e che infine il non ha indicato quale fosse la propria attività lavorativa all'epoca dei fatti.
Ricorrono adesso per cassazione ambedue gli imputati.
La denuncia errata applicazione dell'art. 590 c.p. "nella parte in cui si è ritenuto che nei fatti così come ricostruiti nella sentenza della Corte d'Appello debba ravvisarsi la colpa" di essa imputata, nonché "mancanza e comunque manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui si è ritenuto che, pur avendo il posto in essere un comportamento gravemente imprudente, si è ritenuta la responsabilità dell'imputata per non avere svolto ogni attività necessaria per impedire l'evento": si sostiene cioè che, avendo il posto in essere, secondo la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di merito, un comportamento del tutto anomalo (l'essere cioè salito sul pianale di vetro posto all'imbocco della macchina), e che cagionava pericoli percepibili anche dalla persona più sprovveduta, l'esclusiva responsabilità di quanto è accaduto va attribuita a lui (non è pensabile - si afferma - che si potessero "prevedere tutti i terricoli che il lavoratore avrebbe potuto correre qualora avesse voluto porre in essere un comportamento irrazionale e, come tale, imprevedibile").
Il ricorso del , per parte propria, denuncia anzitutto errata applicazione dell'art. 590 c.p. e delle norme che regolano la responsabilità nell'ambito dell'impresa, oltreché illogicità della motivazione, "nella parte in cui si è ritenuto che il partecipasse alla conduzione dell'azienda della moglie" (la motivazione viene qui censurata per aver ritenuto, "sulla base di presunzioni.... e di affermazioni di principio" che quest'imputato fosse esperto della fustellatrice e per non aver considerato che la sua responsabilità poteva essere affermata solo se si fosse riconosciuto che, quanto meno di fatto, la sua posizione coincideva con una di quelle previste dalle norme antinfortunistiche). Per il rimanente, i motivi d'impugnazione dell'imputato ricalcano quelli della .

Diritto

I ricorsi, per le brevi considerazioni qui di seguito svolte, non meritano di essere accolti.
Per ciò che riguarda, anzitutto, la posizione del , va qui rilevato che la sua esperienza di macchine di tipo di quella che ha provocato l'infortunio del è stata desunta dalle sue stesse dichiarazioni (v. sopra) e che, in base a quest'elemento, unitamente agli altri di cui si è detto (dimensioni estremamente modeste dell'impresa; inesistenza di altra attività lavorativa dell'imputato, al momento dell'incidente; circostanza infine che il fu da lui assunto e istruito alle funzioni della fustellatrice, senza che l'operaio abbia mai nemmeno visto la ), in maniera non certamente illogica, e non censurabile perciò in sede di legittimità, è stato ritenuto, dai giudici, ch'egli fosse se non altro contitolare dell'impresa di cui formalmente era intestataria la moglie. D'altronde, per un principio di carattere generale spesso enunciato dalla giurisprudenza di questa C.S., chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori (ed è per lo meno questo ciò che è avvenuto nei rapporti fra il e il ), così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve considerarsi automaticamente tenuto, ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. n. 547 del 1955, ad attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, non avendo rilevanza che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati, per un diverso ed autonomo titolo, dello stesso obbligo.
Quanto poi al preteso venir meno, a causa della condotta imprudente della vittima, del rapporto di causalità fra il comportamento colposo (per inosservanza di precise norme antinfortunistiche) degli imputati e l'incidente verificatosi, è appena il caso di rilevare che non si è trattato, da parte del , di una condotta assolutamente anomala ed imprevedibile, visto che - secondo la ricostruzione dell'incidente fatta dai giudici - egli salì sul pianale posto all'imbocco della macchina per poter meglio svolgere la propria opera e comunque per ragioni attinenti allo svolgimento dell'attività lavorativa e non quindi per motivi di carattere eccezionale, esulanti dall'attività stessa e magari con questa incompatibili: non vi è quindi spazio alcuno (la Corte di merito ha richiamato principi di carattere generale costantemente affermati, in materia, dalla giurisprudenza di questa C.S.) perché si possa affermare che si è interrotto il rapporto di cui poco sopra si è fatta menzione.
In conclusione: le impugnazioni devono essere respinte, con le conseguenze di legge per quel che concerne le spese del processo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti a pagare, in solido tra loro, le spese del processo.

Roma, 20.1.1998.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 23 FEB. 1998

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