Cassazione Civile, Sez. 6, 22 dicembre 2016, n. 26820
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Cassazione Civile, Sez. 6, 22 dicembre 2016, n. 26820 - Trauma perforante all'occhio sinistro. Nessun nesso causale con l'infortunio sul lavoro
La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Avellino che aveva rigettato la domanda di S.G.B. tesa al riconoscimento, in relazione all’infortunio sul lavoro subito l’8.8.2008 a seguito del quale riportava un trauma perforante all’occhio sinistro con conseguente deficit visivo con un danno biologico pari o superiore al 2%, del suo diritto a percepire l’indennità per inabilità temporanea assoluta fino al 4 maggio 2009 e l’indennizzo per le menomazioni permanenti riportate.
Il giudice di appello ha ritenuto che correttamente il consulente chiamato in primo grado a verificare nuovamente, stante l’insufficienza della prima consulenza disposta, l’esistenza di un nesso causale tra l’infortunio subito ed il danno all’occhio riportato aveva escluso che il foro maculare alla retina non poteva essere conseguenza dell’infortunio denunciato ma, piuttosto, dovesse essere ricollegato ad un più risalente infortunio occorsogli in contesto non lavorativo e mai denunciato all'Inail.
Per la cassazione della sentenza ricorre S.G.B. censurandola in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (esistenza del nesso causale tra infortunio e danno) e denunciando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere il secondo consulente omesso di considerare che solo a seguito del secondo evento traumatico era stata effettuata la diagnosi di foro maculare, non risultante dalla documentazione precedente.
L’Inail si è costituito per resistere al ricorso di cui ha denunciato l'inammissibilità e comunque l’infondatezza.
Tanto premesso il ricorso è inammissibile poiché le censure non contengono una chiara e precisa indicazione del contenuto della documentazione medica che si assume essere stata erroneamente valutata dal consulente alle cui conclusioni la Corte di appello ha ritenuto di aderire.
Inoltre le censure, per come formulate, si risolvono nella inammissibile richiesta di un nuovo esame delle emergenze istruttorie. Una diversa e più favorevole valutazione delle stesse non consentita in sede di legittimità senza alcuna precisa indicazione di eventuali devianze dalle nozioni acquisite della scienza medica.
Nel giudizio in materia d'invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (cfr. Cass. n. 1652 del 2012 e n. 25687 del 2015).
Per tutto quanto sopra considerato, il ricorso, ex art. 375 cod. proc. civ., n. 5, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
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Cassazione Civile, Sez. 6, 22 dicembre 2016, n. 26820.pdf Cassazione civile, Sez. 6 |
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