
Cassazione Penale Sez. 4 del 1° dicembre 2025 n. 38782
ID 25091 | 09.12.2025 / In allegato
Cassazione Penale Sez. 4 del 1° dicembre 2025 n. 38782
Infortunio mortale del lavoratore travolto dal ribaltamento di una pila di eco-balle.
Omessa predisposizione di idonee barriere e misure di protezione contro la caduta di materiali
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Fatto
1. La Corte di appello di Palermo, con la decisione indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Termini Imerese del 15 luglio 2021, con la quale A.A. era stato dichiarato colpevole del delitto previsto dall'art. 589, comma 2, cod. pen., e condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite.
All'imputato, amministratore unico della società " Ecogestioni Srl" dal 3 gennaio 2019 e responsabile tecnico dell'impianto di selezione e recupero di rifiuti in carta e cartone sito in S, era contestato di aver cagionato la morte del lavoratore B.B. per negligenza, imprudenza e imperizia nell'organizzazione del ciclo produttivo, nonché per violazione di regole cautelari previste dal D.Lgs. n. 81/2008.
Il 24 gennaio 2019, il B.B., mentre spazzava il suolo antistante un'area di stoccaggio, veniva travolto dal ribaltamento di una pila di eco-balle precedentemente impilate in verticale. L'infortunio provocava la morte pressoché immediata della vittima per trauma facciale, vasta ferita al braccio destro e fratture multiple agli arti inferiori. Il capo d'imputazione distingueva tra colpa generica e colpa specifica. Quanto alla colpa generica, si contestava di non aver impiegato le necessarie cautele per l'accatastamento sicuro delle eco-balle, di aver dato disposizione di impilarle su pedane in legno, di non aver adottato accorgimenti idonei ad impedirne il ribaltamento quali pareti laterali di contenimento, piani rigidi d'appoggio orizzontali o sistemi di ancoraggio al suolo, di non aver disposto il prelievo per file orizzontali, di non aver fornito strumentazione adeguata per la protezione dalle intemperie. Relativamente alla colpa specifica, l'imputazione si fondava sulla violazione del D.Lgs. n. 81/2008 con particolare riferimento alla delimitazione inadeguata delle aree di stoccaggio, alla mancata segnalazione delle zone di pericolo, alla protezione inadeguata contro la caduta di materiali e all'insufficiente garanzia di sicurezza delle vie di circolazione. Il G.U.P., all'esito del giudizio abbreviato, riteneva dimostrate le contestate violazioni cautelari e il nesso causale con l'evento mortale, riconoscendo le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche.
La Corte di appello di Palermo ha respinto i motivi di appello, ritenendo pienamente condivisibile la motivazione del giudice di primo grado ed evidenziando come fosse emerso uno stato di intrinseca instabilità delle pile dovuto a differenti concause ricollegabili al ciclo produttivo e alle procedure di accatastamento impartite dal A.A.
2. A.A., mediante il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso articolato in sei motivi.
2.1 Il primo motivo denuncia la nullità assoluta della sentenza per violazione dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen. e del principio di immutabilità del giudice. Il ricorrente documenta i ripetuti mutamenti nella composizione del Collegio giudicante durante le udienze; con particolare riferimento all'udienza del 14 novembre 2024, evidenzia che la Corte, dopo la discussione difensiva, si è ritirata in camera di consiglio e poi ha sospeso la deliberazione per il mancato rinvenimento del fascicolo di primo grado, rinviando al 3 dicembre 2024, dinanzi a un Collegio, con composizione nuovamente modificata, senza procedere a rinnovare la discussione. L'anomalia risulta aggravata dal fatto che il componente subentrante, l'unico a non aver assistito alla discussione del 14 novembre, ha poi redatto materialmente la sentenza, determinando una frattura inconciliabile tra fase dibattimentale e momento decisorio, in violazione della giurisprudenza consolidata che estende il principio di immutabilità del giudice anche all'appello in camera di consiglio, imponendo l'identità soggettiva tra i magistrati che assistono alla discussione e quelli chiamati a decidere.
2.2 La seconda censura, proposta ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., contesta radicalmente la ricostruzione della dinamica dell'incidente, censurando il giudizio di colpevolezza edificato su premesse incerte e conclusioni prive di credibilità razionale. Il ricorrente contesta l'affermazione secondo cui "nessun dubbio sorge in merito alla dinamica dei fatti", evidenziando l'assenza di testimonianze dirette sulle azioni concretamente poste in essere da B.B. nei momenti precedenti l'evento: l'operaio C.C. era negli uffici, il collega di lavoro D.D. dichiarava di avere lo sguardo rivolto altrove, il conducente del tir percepì l'accaduto solo dalle urla, sicché tutti i lavoratori acquisirono consapevolezza dell'evento esclusivamente a posteriori. Le videoriprese non fornirono riscontri decisivi poiché la "cam 1" aveva l'obiettivo ruotato altrove e la "cam 5" fu oscurata dall'autoarticolato nei minuti cruciali. Il ritrovamento della scopa insanguinata non è utile per la ricostruzione della dinamica, considerato che l'intera area subì modificazioni irreversibili. Quanto all'asserita instabilità intrinseca della pila, il ricorrente definisce questo postulato un'ipotesi falsificabile, non validata dagli esperti e confliggente con prove dichiarative ignorate dalla Corte, richiamando in particolare la testimonianza di C.C., che movimentò la catasta prima del sinistro ed escluse categoricamente condizioni di squilibrio. Viene altresì criticata la valutazione della Corte territoriale, la quale, richiamando i rilievi dello SPRESAL, ha ricavato l'instabilità dall'osservazione della porzione residua della catasta, caratterizzata dalla presenza di spazi vuoti e di pedane danneggiate. In proposito il ricorrente evidenzia un errore logico fondamentale: tali criticità riguardavano il lato lungo della configurazione a "L" rovesciata, mentre il distacco si verificò dal lato corto, caratterizzato da un minor numero di pile, assenza di spazi vuoti intermedi e pedane integre, come documentato dal sopralluogo peritale del 24 aprile 2019.
2.3 Con la terza doglianza si censura specificamente la motivazione con cui i giudici hanno respinto l'ipotesi difensiva dell'azione destabilizzante della vittima. La difesa, con l'atto di appello, sulla scorta di dati certi, eccepiva che il distacco della pila fu provocato dalla vittima con un incauto tentativo di risalita sulla catasta per coprirla, senza ricorrere all'ausilio della scala in dotazione, fondando la ricostruzione su elementi convergenti quali le mansioni della vittima addetta alla copertura, la tempistica in prossimità dell'orario di chiusura, la comprovata movimentazione del telo documentata dalle videoriprese e l'assenza della scala in dotazione. La Corte di merito ha respinto la tesi su tre rilievi, tutti contestati analiticamente dal ricorrente.
2.4 Il quarto motivo, avanzato ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., critica l'accertamento della colpa, evidenziando come i giudici abbiano rimproverato l'inosservanza di regole cautelari prive di validazione tecnica e non rispondenti alle prassi del settore. Il ricorrente contesta che le procedure di impilaggio per file orizzontali e l'adozione di pareti di contenimento avessero fondamento tecnico, richiamando le direttive SUVA e le prassi del comparto. Lamenta altresì il travisamento delle risultanze istruttorie in ordine alle procedure aziendali di copertura delle cataste, che prevedevano l'uso della scala.
2.5 Mediante la quinta censura si denuncia l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 132 e 133 cod. pen., evidenziando altresì una motivazione incongrua, ai limiti dell'apparenza, basata sulla tralaticia e generica rievocazione della gravità del danno. L'affermazione secondo cui la pena fosse prossima al minimo edittale risulta errata poiché, per effetto del bilanciamento operato dal G.U.P., la cornice sanzionatoria tornava a quella dell'art. 589, comma 1, cod. pen. che prevede un minimo di sei mesi, riducibile a quattro per il rito, mentre la pena di anni uno e otto mesi si discosta significativamente dalla soglia inferiore. Parimenti criticabile risulta il rilievo secondo cui sarebbe irrilevante la condotta dell'imputato, che pure si era adoperato concretamente nel rimuovere tutte le non conformità elevate dallo SPRESAL a fattore di rischio per la sicurezza sul lavoro.
2.6 Da ultimo, il sesto motivo contesta l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 69, 132 e 133 cod. pen.
Nell'atto di appello si valorizzava, a sostegno della prevalenza dei profili di attenuazione, non soltanto lo stato di incensuratezza e il collaborativo contegno processuale già considerati dal primo giudice, quanto soprattutto l'immediata risposta alle sollecitazioni di adeguamento provenienti dallo SPRESAL, aspetti completamente trascurati in sentenza. Il ricorrente evidenzia come il riferimento alle conseguenze letali, quale fattore ostativo alla prevalenza delle attenuanti, assuma la fisionomia di un limite praeter legem al bilanciamento della risposta punitiva, giacché qualora fosse sufficiente opporre la causazione dell'evento mortale risulterebbe introdotto, per via pretoria, un divieto di prevalenza non contemplato dalle norme sull'omicidio colposo. 3. All'odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli artt. 23, comma 8, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, 16 D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, 35, comma 1, lett. a), 94, comma 2, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, n. 199 e 11, comma 7, D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
Diritto
1. Il primo motivo è infondato.
Il ricorrente deduce la violazione del principio di immutabilità del giudice, sancito dall'art. 525, comma 2, cod. proc. pen., contestando che la sentenza sia stata pronunciata da un collegio diverso rispetto a quello che aveva assistito alla discussione del 14 novembre 2024, senza che fosse stata disposta la rinnovazione degli atti processuali. La censura non merita accoglimento. Occorre preliminarmente osservare che il giudizio di appello celebrato con rito abbreviato - quale è quello oggetto del presente scrutinio - presenta caratteristiche strutturali che attenuano significativamente la portata applicativa del principio di immutabilità del giudice; trattandosi di un procedimento essenzialmente cartolare, fondato sugli atti delle indagini preliminari e privo di attività istruttoria dibattimentale, il rapporto diretto tra giudice e formazione della prova assume inevitabilmente un rilievo più tenue rispetto al dibattimento ordinario. L'assunto trova solido fondamento nell'orientamento giurisprudenziale di legittimità, che ha più volte affermato l'inapplicabilità del principio di immutabilità del giudice al giudizio abbreviato non condizionato. Questa Corte ha infatti chiarito che nel giudizio abbreviato semplice - ossia quello privo di integrazione probatoria - il principio in questione non trova applicazione, sia perché l'art. 442 cod. proc. pen non richiama l'art. 525, sia perché quest'ultima disposizione si riferisce specificamente a una deliberazione emessa all'esito di un dibattimento caratterizzato dall'essere la sede naturale di formazione della prova (Sez. 2, n. 32367 del 17/07/2013, Baldi, Rv. 256559). Del resto, la giurisprudenza ha ulteriormente precisato che il principio di immutabilità del giudice si applica esclusivamente alle ipotesi in cui vi sia stata l'emissione di una deliberazione all'esito di un dibattimento caratterizzato dallo svolgimento di attività istruttoria (Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016, dep. 2017, Ferrentino, Rv. 270383). L'orientamento ermeneutico si è esteso persino al giudizio abbreviato condizionato, essendo stato affermato che, qualora la sentenza sia deliberata da un giudice diverso da quello che ha assunto la prova testimoniale cui era condizionata la richiesta definitoria, la mancata rinnovazione dell'atto istruttorio - se non espressamente richiesta dalla parte al momento della discussione - non determina la nullità della sentenza (Sez. 2, n. 41701 del 5/05/2023, Lonardi, Rv. 285133). Occorre infine evidenziare che, come emerge dagli atti, il difensore, dinanzi alla diversa composizione del collegio, non ha formulato alcuna eccezione né ha chiesto la rinnovazione della discussione (cfr. Sez. U. n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 276754-01).
2. Infondato è pure il secondo motivo.
2.1 Nel ricorso si contesta la ricostruzione della dinamica dell'incidente mortale, lamentando che il giudizio di colpevolezza si fondi su una spiegazione causale caratterizzata da premesse incerte e conclusioni prive di credibilità razionale. La censura si articola su due direttrici: l'incertezza sull'attività svolta dalla vittima al momento del sinistro e l'indimostrata condizione di instabilità intrinseca della pila di eco-balle. Il ricorrente contesta l'affermazione dei giudici di merito secondo cui sarebbe provato che il B.B. stesse spazzando l'area in prossimità della catasta al momento dell'incidente, evidenziando come nessuno dei presenti abbia potuto riferire con certezza cosa stesse materialmente facendo la vittima.
Trattasi di censura in fatto, tendente a una ipotetica ricostruzione alternativa, non consentita dinanzi a questa Corte. Si rammenta che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945-01). Questa Corte ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109).
Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis, Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181). Delineato nei superiori termini il perimetro del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio e una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi, con la dovuta specificità, con l'iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la sua responsabilità penale.
Nel caso concreto, la Corte territoriale ha sorretto la propria ricostruzione su un complesso di elementi convergenti, operando una valutazione immune da vizi logici e giuridici, sicché il percorso motivazionale risulta coerente con la conclusione accolta. È stato dato significato probatorio al ritrovamento della scopa insanguinata nelle immediate vicinanze del corpo della vittima, valutato in connessione con le testimonianze dei colleghi di lavoro, i quali riferivano che il B.B., insieme al D.D., era intento a ripulire i residui di carta dalla piazzuola tra le due cataste (pag. 6, terzo capoverso della sentenza di appello e pagg 3 e 4 della sentenza di primo grado) immediatamente prima del verificarsi dell'infortunio.
È stato valorizzato il dato emerso dalle registrazioni delle telecamere che, dopo la verificazione del sinistro, ritraevano il corpo del B.B. vicino alla scopa insanguinata.
2.2 Il ricorrente, sempre in ordine al giudizio esplicativo, lamenta che non sarebbe stata ricostruita la catena causale che ha determinato l'evento, non essendo certe le cause della caduta delle ecoballe. La censura risulta infondata. Occorre premettere che, ai fini dell'accertamento della responsabilità penale per reati omissivi impropri colposi, il percorso logico-giuridico si articola in tre distinti momenti valutativi: il giudizio esplicativo, volto a ricostruire la dinamica dell'evento; il giudizio controfattuale, diretto a verificare se l'adozione delle cautele doverose avrebbe impedito l'evento con alto grado di credibilità razionale; la verifica della causalità della colpa, ossia l'accertamento che l'evento verificatosi rappresenti la concretizzazione del rischio che la norma cautelare violata mirava a prevenire. Quanto al giudizio esplicativo, le conformi sentenze di merito hanno accertato che l'evento mortale si è verificato a causa della caduta di eco-balle impilate, ciascuna del peso di circa 700 kg, che hanno investito il lavoratore mentre svolgeva operazioni di pulizia nell'area sottostante. Il dato fattuale della caduta dei pesanti imballaggi sulla vittima risulta incontestato.
La causa specifica del distacco della singola ecoballa - che il ricorrente lamenta non essere stata individuata con precisione - assume rilievo marginale ai fini del giudizio di responsabilità. L'obbligo del datore di lavoro di impedire che i lavoratori operino in zone esposte al rischio di caduta di materiali prescinde, infatti, dalla specifica causa che in concreto determina la caduta stessa (cfr. Sez. 4, n. 15204 del 5 aprile 2018, non mass., a pag. 6, par. 1.2). In tal senso, nel caso di specie ciò che rileva è che il rischio fosse prevedibile - come si ricava dal fatto sottolineato dalle sentenze di merito della instabilità della catasta in altre parti; che le cautele omesse - come si dirà tra breve - fossero idonee a neutralizzarlo, impedendo la presenza del lavoratore nell'area pericolosa. Pertanto, come correttamente osservato dal primo giudice, "la causa specifica che ha determinato il ribaltamento passa in secondo piano" (pag. 10 sentenza di primo grado), poiché l'omessa predisposizione delle cautele prescritte ha consentito che il lavoratore fosse esposto al rischio di investimento".
Con riferimento al giudizio controfattuale, i giudici di merito hanno innanzitutto correttamente individuato le specifiche violazioni cautelari contestate e verificato la loro efficacia impeditiva dell'evento. In particolare, sono state accertate le seguenti omissioni: a) la mancata delimitazione delle aree di stoccaggio delle ecoballe, in violazione delle prescrizioni di cui all'allegato IV del D.Lgs. n. 81/2008; b) l'omessa segnalazione, in modo chiaramente visibile, delle zone di pericolo dell'impianto (punto 1.4.8 dell'allegato IV); c) la mancata predisposizione di difese dei posti di lavoro e di passaggio contro la caduta o l'investimento di materiali in dipendenza dell'attività lavorativa (punto 1.8.1 dell'allegato IV); d) la mancata garanzia che i posti di lavoro e le vie di circolazione utilizzati dai lavoratori fossero concepiti in modo tale da consentire una circolazione sicura (punto 1.8.3 dell'allegato IV). Dalla lettura delle sentenze emerge che tali omissioni sono risultate causalmente rilevanti rispetto all'evento: se le aree di stoccaggio fossero state adeguatamente delimitate e interdette al transito dei lavoratori, se le zone di pericolo fossero state segnalate, se fossero stati predisposti idonei presidi contro la caduta dei materiali, il B.B., con alto grado di credibilità razionale, non sarebbe stato investito dalle ecoballe.
Sotto il profilo della causalità della colpa, le regole cautelari violate erano specificamente finalizzate a prevenire proprio il tipo di evento verificatosi: la normativa in materia di delimitazione delle aree di stoccaggio, segnalazione delle zone pericolose e protezione contro la caduta di materiali mira precipuamente ad evitare che i lavoratori siano esposti al rischio di investimento da parte di materiali depositati in catasta. L'evento mortale rappresenta dunque la concretizzazione del rischio che le norme violate intendevano scongiurare.
Questa Sezione ha già affermato che è ravvisabile la responsabilità del datore di lavoro per omessa predisposizione di idonee barriere e misure di protezione contro la caduta di materiali, con riferimento all'infortunio subito da un lavoratore che, transitando in un'area di lavoro, è stato investito da materiali caduti dall'alto (Sez. 4, n. 1682 del 24/09/2019, dep. 2020, non mass., a pag. 8).
3. Parimenti infondato è il terzo motivo diretto a contestare la motivazione con cui i giudici di appello hanno respinto l'ipotesi secondo cui il ribaltamento della pila fosse riconducibile a un'azione destabilizzante della vittima stessa. Secondo la prospettazione difensiva, le immagini videofilmate documenterebbero la movimentazione del telo di protezione in concomitanza con l'infortunio, circostanza questa che avvalorerebbe la tesi secondo cui B.B. stesse procedendo alla copertura della catasta arrampicandosi sulle eco-balle senza l'ausilio della scala. I giudici di merito hanno esaminato con la dovuta attenzione tale ipotesi ricostruttiva, fornendo una motivazione logica e convincente del proprio dissenso. Il primo giudice ha correttamente valutato le testimonianze acquisite, dalle quali non emergeva alcun elemento a sostegno della tesi secondo cui la vittima si sarebbe arrampicata sulle ecoballe. La motivazione, attraverso un percorso argomentativo immune da vizi di logicità, ha evidenziato con chiarezza come il B.B., nel momento in cui fu investito, stesse spazzando insieme al collega D.D. È stata altresì correttamente esclusa l'abnormità del comportamento della vittima (a pag. 10 della sentenza di primo grado) Per comportamento abnorme deve intendersi quella condotta esorbitante e imprevedibilmente colposa, idonea a escludere il nesso causale soltanto quando risulti non solo esorbitante dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche tale da attivare, nell'ambito delle stesse mansioni, un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. In proposito si richiama la recente pronuncia di questa Corte (Sez. 4, n. 27871 del 20 marzo 2019, Simeone, Rv. 276242) che, ribadendo il concetto di rischio eccentrico, ha puntualizzato un principio chiaro. Perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto nell'esecuzione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un rischio eccentrico tale da escludere la responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele finalizzate proprio alla disciplina e al governo del rischio di comportamento imprudente. Solo in questo caso l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore piuttosto che al comportamento del garante. Nel caso di specie, secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, risulta evidente che, quand'anche si ritenesse provato un eventuale comportamento imprudente del lavoratore, tale condotta non avrebbe attivato un rischio eccentrico, bensì si sarebbe collocata nel medesimo ambito di rischio che il datore di lavoro era tenuto a governare mediante l'adozione delle prescritte, e già sopra indicate, misure di sicurezza.
4. Infondato è il quarto motivo di ricorso, con il quale si contesta l'accertamento della colpa datoriale, lamentando che i giudici di merito abbiano rimproverato all'imputato l'inosservanza di regole cautelari prive di validazione tecnica e non rispondenti alle prassi del settore. Le decisioni di merito hanno evidenziato puntuali addebiti di colpa specifica, consistenti nella violazione di norme dell'allegato IV del D.Lgs. n. 81/2008 espressamente richiamate nel capo d'imputazione. Trovano in tal modo logico riscontro nelle motivazioni le seguenti violazioni contestate: la mancata garanzia della conformità dei luoghi di lavoro ai precetti di cui all'allegato IV del D.Lgs. n. 81/2008; la mancata delimitazione delle aree di stoccaggio delle ecoballe; l'omessa segnalazione, in modo chiaramente visibile, delle zone di pericolo dell'impianto (punto 1.4.8 dell'allegato IV del D.Lgs. citato); la mancata difesa dei posti di lavoro e di passaggio contro la caduta o l'investimento di materiali in dipendenza dell'attività lavorativa (punto 1.8.1 dell'allegato IV del D.Lgs. citato); la mancata garanzia che i posti di lavoro e le vie di circolazione utilizzati dai lavoratori fossero concepiti in modo tale da consentire una circolazione sicura (punto 1.8.3 dell'allegato IV del D.Lgs. citato). Il nucleo centrale della responsabilità del prevenuto risiede nell'aver consentito che il lavoratore svolgesse operazioni di pulizia in un'area esposta al rischio di caduta delle eco-balle, senza che fossero state adottate le misure previste dalla normativa antinfortunistica per prevenire tale rischio. Al riguardo, la Corte territoriale ha logicamente motivato il rigetto della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa, secondo cui la vittima sarebbe stata intenta alle operazioni di copertura della catasta con il telo protettivo.
I giudici di merito hanno valorizzato le concordi testimonianze dei colleghi di lavoro e il ritrovamento della scopa insanguinata nelle immediate vicinanze del corpo, elementi dai quali hanno tratto la conclusione che il B.B., insieme al D.D., era intento a ripulire i residui di carta dalla piazzuola tra le due cataste immediatamente prima del verificarsi dell'infortunio. La Corte ha altresì osservato che la copertura delle ecoballe rappresentava l'ultima operazione della sequenza lavorativa, circostanza che rendeva implausibile l'ipotesi difensiva. Tale percorso argomentativo risulta immune da vizi logici e non è censurabile in sede di legittimità. Con riferimento alla colpa generica, occorre premettere che la posizione di garanzia del datore di lavoro nell'ambito della prevenzione degli infortuni sul lavoro costituisce uno dei cardini del sistema di tutela delineato dal D.Lgs. 81/2008 rispetto al nucleo essenziale degli obblighi prevenzionistici. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che il datore di lavoro riveste una posizione apicale nell'organizzazione aziendale, dalla quale discende una responsabilità orientata alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Come chiarito da questa Sezione in più pronunce, il datore di lavoro non può limitarsi a una mera vigilanza formale o cartolare, ma deve esercitare una vigilanza effettiva e sostanziale sulle condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro. L'obbligo di vigilanza non può considerarsi assolto con la mera nomina di figure tecniche specializzate, dovendo il datore mantenere un controllo effettivo sull'andamento delle attività lavorative e sulle condizioni di sicurezza, specie quando emergano elementi che possano ingenerare dubbi sulla sicurezza delle lavorazioni (Sez. 4, n. 35858 del 14/09/2021, Rv. 281855; Sez. 4, n. 50605 del 05/04/2013, Rv. 258125-01).
Nel caso in esame, è stato ben evidenziato dai giudici di merito che i lavori di pulitura del piazzale avvenivano con una semplice scopa, necessariamente manovrata dal lavoratore in prossimità delle cataste, ciò che esponeva il medesimo al rischio, non adeguatamente vigilato e fronteggiato, di essere investito in caso di caduta delle ecoballe.
5. Infondato è il quinto motivo, con cui si lamentano vizi nella determinazione della pena, contestando la motivazione a sostegno della commisurazione sanzionatoria e la mancata considerazione del ravvedimento postumo dell'imputato. Il ricorrente afferma che i Giudici di merito abbiano erroneamente ritenuto di determinare la pena "in misura prossima al minimo edittale", discostandosi tuttavia notevolmente dalla suddetta soglia. In realtà, la sentenza di secondo grado contiene una imprecisione nella parte in cui, pur richiamando la decisione impugnata, si esprime in tal senso. In effetti, il giudice di primo grado, la cui statuizione è stata confermata, aveva espressamente chiarito che la pena non poteva essere parametrata al minimo edittale in considerazione della gravità del fatto e dell'elevato grado della colpa, attestando la determinazione della pena base al medio edittale. Al riguardo si rammenta che questa Corte ha avuto più volte modo di precisare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione - non sindacabile in sede di legittimità - è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017. Mastro, Rv. 271243). È stato altresì precisato che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288). Nel caso di specie, quindi, va rilevato come la pena base sia stata calcolata dai giudici di merito in misura inferiore alla media edittale, ragione per la quale non può ravvisarsi alcuna carenza motivazionale sullo specifico punto, anche alla luce dei puntuali riferimenti all'elevato grado di colpa.
6. L'ultimo motivo contesta il giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante speciale ex art. 589, co. 2, cod. pen. La doglianza non merita accoglimento. Il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee rientra nella discrezionalità del giudice di merito e sfugge al sindacato di legittimità quando sia sorretto da motivazione logica e congrua. Nel caso di specie, i giudici hanno adeguatamente tenuto conto dell'elevato grado di colpa manifestato dall'imputato, delle conseguenze letali della condotta e dell'assenza di elementi favorevoli significativi ulteriori rispetto all'incensuratezza.
7. Per le esposte ragioni, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile INAIL, che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, tenuto conto dell'utile contributo dato alla decisione con la memoria depositata (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, Sacchettino).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile INAIL, liquidate in Euro 3000 oltre accessori come per legge. Così è deciso in Roma il 18 settembre 2025. Depositata in Cancelleria il 1 dicembre 2025.
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