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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 1959 | 17 gennaio 2024

ID 21245 | | Visite: 957 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/21245

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 17 gennaio 2024 n. 1959

ID 21245 | 26.01.2024

Cassazione Penale Sez. 4 del 17 gennaio 2024 n. 1959 - Responsabilità del venditore di una terna priva di un dispositivo di sicurezza per la morte dell'operatore

Penale Sent. Sez. 4 Num. 1959 Anno 2024
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente 
Dott. CAPPELLO Gabriella - Relatore 

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Bergamo, con la quale A.A., nella qualità di venditore di una terna, priva del dispositivo di sicurezza previsto dal costruttore ****(barra anti bloccaggio e anti discesa), era stato condannato per omicidio colposo ai danni dell'acquirente C.C., il quale era stato colpito violentemente dal braccio e dalla benna del macchinario, mentre era intento in operazioni di manutenzione, riportando un politrauma dal quale era derivata la morte immediata (in V il Omissis), riconosciute le generiche, ha ridotto la pena, con il beneficio della sospensione condizionale, subordinata al pagamento della provvisionale, confermando nel resto.

2. In sintesi, questa la ricostruzione dei fatti per cui e processo operata dai giudici di merito. Dall'istruttoria era emerso che la vittima, di professione marmista, aveva acquistato il trattore stradale dopo aver vinto una gara d'appalto comunale per la rimozione della neve dalle strade; secondo il riferito testimoniale, il giorno dell'infortunio mortale, egli doveva effettuare alcuni interventi di manutenzione sul macchinario (riparazione di un tubo dell'olio); quest'ultimo era risultato certamente privo della barra di sicurezza che avrebbe impedito la discesa improvvisa del braccio e della benna; il macchinario era lo stesso che l'imputato aveva messo in vendita on line e che era stato consegnato alla ditta D.D. che, però, si era limitata a custodire la macchina per il tempo necessario a verificare la copertura dell'assegno emesso dal C.C.; anche nella foto pubblicata per l'offerta in vendita, il macchinario era privo del dispositivo di sicurezza che, del resto, non era stato rinvenuto presso la vittima; D.D. aveva fatto solo da tramite tra venditore e acquirente, senza assumere alcun onere di verifica della regolarità del macchinario; i consulenti avevano concordato sulla causa del sinistro anche se, a parere di quello del PM, la vittima aveva causato una discesa più repentina della benna tagliando un tubo dell'olio sbagliato, secondo il consulente della difesa, invece, la vittima sarebbe stata intenta ad apportare una modifica strutturale al macchinario e non a effettuare una semplice riparazione, avendo il C.C. conosciuto il difetto del macchinario stesso, come dimostrato dalla predisposizione di un trespolo per frenare la caduta della benna e dal cerchio disegnato sul manuale d'uso, proprio in corrispondenza della dicitura relativa al dispositivo di sicurezza mancante.

Il Tribunale aveva già ritenuto non condivisibili le argomentazioni a difesa, secondo le quali non vi sarebbe stato un negozio di compravendita tra imputato e vittima, al quale agganciare la posizione di garanzia del primo, ritenendo, viceversa, ampiamente dimostrato il ruolo di mero intermediario dello D.D. (anche sulla scorta della documentazione acquisita comprovante che il pagamento era stato effettuato dal C.C. al A.A.) e la posizione di consumatore del C.C., a prescindere dall'impiego del mezzo acquistato. In conclusione, secondo il primo giudice, era irrilevante la circostanza che il C.C. sapesse o si fosse reso conto dell'assenza del dispositivo di sicurezza, ciò non esimendo da responsabilità il venditore che aveva messo in circolazione un macchinario pericoloso.

La Corte territoriale, in risposta a quei motivi del gravame che toccano i punti devoluti con il ricorso (mancato accertamento che il macchinario fosse stato venduto senza il dispositivo di sicurezza; qualità di professionista e non di consumatore del C.C.), li ha ritenuti infondati alla stregua della piattaforma probatoria acquisita: era stato lo stesso A.A. a consegnare le fatture di acquisto e di vendita e i documenti di trasporto del mezzo; la foto pubblicata su internet era relativa a un macchinario senza dispositivo di sicurezza, ritratto su uno sfondo che corrispondeva ai dintorni della ditta dell'imputato; il macchinario era privo del dispositivo di sicurezza, non rinvenuto presso la vittima che, peraltro, non aveva avuto motivo di smontarlo, siccome non d'intralciò per le lavorazioni che doveva eseguire; lo stesso imputato non aveva affermato di aver venduto il macchinario con la dotazione di sicurezza mancante, avendo ammesso di aver posto l'annuncio di vendita.

Quanto, poi, al ruolo dello D.D., i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la documentazione confermasse che la terna marca ****. era stata acquistata direttamente dall'imputato e che il passaggio dal capannone dello S. era stato di comodo, richiamando la ricostruzione dei vari passaggi, anche attraverso l'emissione delle fatture, considerata anche l'assenza di un ritorno economico per l'intermediario che non aveva assunto alcun obbligo rispetto al bene ceduto. La manovra della vittima sul macchinario e la sua imprudenza per aver fatto affidamento su un sistema di blocco artigianale non avevano interrotto il nesso di causa tra la condotta contestata al venditore e l'evento morte, derivato direttamente dalla difformità dello stesso rispetto alla normativa di sicurezza, il cui scopo e anche quello di prevenire infortuni dovuti a errori o imprudenze degli utilizzatori. La stessa accettazione dello stato della macchina non giovava all'imputato, il quale era tenuto a non commercializzare un bene oggettivamente pericoloso, siccome privo di un requisito di sicurezza. Infine, la Corte ha ritenuto che il fatto che il bene non fosse destinato a uso privato non poteva valere per esonerare il venditore dall'osservanza della regola cautelare di cui all'art. 1490, cod. civ. e all'art. 6, coma 2, D.Lgs. n. 626/94, regola valevole per qualsiasi venditore e, a maggior ragione, per quelli professionisti come l'imputato, affermando che la prova era dimostrativa di un diverso profilo di colpa rispetto alla violazione delle riforme a tutela dei consumatori, il capo d'imputazione contenendo un rinvio alla colpa generica e una descrizione della condotta consistita nel vendere un bene privo dei prescritti requisiti di sicurezza, il diverso inquadramento giuridico della fonte della posizione di garanzia non determinando violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521, cod. proc. pen.

3. La difesa ha proposto ricorso, formulando tre motivi.

Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto all'affermazione della penale responsabilità, avuto riguardo alla mancata considerazione degli interventi della vittima sul macchinario, tali da aver interrotto il nesso causale tra la condotta contestata e l'evento, essendo rimasto il relativo punto del tutto incerto, situazione che avrebbe dunque imposto un verdetto assolutorio.

Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge, quanto alla posizione di garanzia, avuto riguardo alla circostanza che l'acquirente non poteva considerarsi un consumatore e che, comunque, la garanzia può essere limitata secondo la volontà delle parti contraenti, nell'ipotesi di conoscenza dei vizi da parte dell'acquirente. Nella specie, il C.C. aveva segnato sul manuale d'uso un cerchio sulla dicitura relativa al dispositivo di sicurezza, aveva acquistato il bene a un prezzo "vile" e aveva cercato di realizzare un meccanismo di sicurezza artigianale (un piccolo telaio per frenare la discesa della benna).

Con il terzo motivo, infine, la difesa ha dedotto analogo vizio quanto alla individuazione della regola cautelare violata, rilevando l'erroneo riferimento all'art. 6, comma 2, d. Lgs. n. 626/94, abrogato dall'art. 304 del d. Lgs. n. 81/2008 e oggi sostituito dall'art. 23 dello stesso d. Lgs. n. 81.

4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Francesca COSTANTINI, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

5. La difesa ha depositato memoria di replica, insistendo per l'accoglimento integrale dei motivi di ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va rigettato.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

3. Le censure che attaccano il ragionamento giustificativo non sono precedute da un effettivo confronto con la decisione impugnata: la difesa ha ritenuto che la decisione si fondasse sulla mancata verifica del comportamento imprudente della vittima, ma ha omesso di considerare che i giudici del merito hanno ritenuto lo stesso del tutto irrilevante, dal momento che la condotta contestata era quella di aver venduto e messo in circolazione un bene intrinsecamente pericoloso, siccome non dotato di un presidio di sicurezza basilare. La difesa ha, poi, allegato, contrariamente a quanto emerso dalla istruttoria e ritenuto, con decisione conforme dei giudici del doppio grado di merito, una asserita modifica strutturale del macchinario alla quale ricondurre l'evento, senza considerare che lo stesso era stato diretta conseguenza della mancanza di quel presidio che avrebbe scongiurato lo schiacciamento dell'operatore, non avendo trovato alcuna conferma l'assunto difensivo secondo il quale la discesa del braccio era stata conseguenza dell'attività di modifica, qualunque intervento su quel mezzo essendo stato esposto a quel rischio proprio per la mancanza del dispositivo atto a scongiurarlo anche in presenza di una attività imprudente dell'utilizzatore.

In ogni caso, il ragionamento esplicativo contenuto nella sentenza impugnata (da leggersi necessariamente in uno con quello svolto dal giudice nella sentenza appellata, stante la conformità dei due giudizi), sia quanto alla regola violata che alla condotta dell'utilizzatore, è stato saldamente agganciato alle risultanze emerse dal compendio probatorio debitamente richiamato. La difesa, in termini di semplice dissenso, ha affermato la maggior plausibilità della tesi difensiva o l'introduzione di un ragionevole dubbio che avrebbe imposto un verdetto assolutorio.

3.1. A fronte di ciò, non può che ribadirsi l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacita dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Sono, cioè, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482; n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099); e sono, dunque, inammissibili le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, cosi come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747).

Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).

4. Il secondo e il terzo motivo sono infondati.

Quanto alla individuazione della regola cautelare, la Corte ha ritenuto fondata la censura difensiva con la quale si era rilevata la qualità della vittima, non tutelata ai sensi degli artt. 128 e ss. del d.l. n. 206/2005 (codice del consumo). Ciò, tuttavia, non avrebbe escluso l'applicabilità degli artt. 1490 e 1491, cod. civ., il venditore dovendo comunque consegnare all'acquirente, professionale o privato che sia, un bene che possieda i requisiti di sicurezza prescritti dalla normativa, ciò valendo a maggior ragione per il gestore di una ditta specializzata nel commercio di macchinari da lavoro, anche in conformità alla regola di cui all'art. 6, comma 2, d. Lgs. n. 626/94.

Ora, premesso che era stata contestata all'imputato anche una colpa generica, nella specie la Corte ha ritenuto che la condotta contestata costituisse violazione anche di regole cautelari specifiche, per avere il A.A., titolare di ditta specializzata nel commercio di macchinari da lavoro, fornito al C.C. un macchinario non conforme alle norme di sicurezza, contravvenendo anche agli obblighi che il codice civile impone al venditore. Ciò non si è tradotto in una violazione del principio di correlazione, poiché la condotta addebitata e rimasta la stessa rispetto a quella descritta in fatto nella stessa imputazione (violazione, invero, che non ha neppure formato oggetto di un articolato motivo di ricorso, essendosi la difesa genericamente limitata ad affermate il rinvio a elementi normativi diversi rispetto a quelli indicati nella imputazione e a stigmatizzare l'intervenuta abrogazione della norma di riferimento a opera del d. Lgs. n. 81/2008).

In effetti, come precisato dalla difesa, la norma della cui violazione si discute va ravvisata più correttamente in quella che fa carico al fabbricante e al fornitore di macchinari di mettere in circolazione attrezzature di lavoro, dispositivi individuali ed impianti rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 23 d. Lgs. n. 81/2008), ma si tratta di norma che riproduce esattamente l'abrogato art. 6, comma 2, d. Lgs. n. 626/1994, erroneamente richiamato dalla Corte d'appello. Errore che non inficia il ragionamento esplicativo svolto.

In ogni caso e risolutivamente, a prescindere dal rinvio alle norme del codice civile sulla vendita, nella specie la morte è stata conseguenza dell'impiego di un macchinario ad uso lavorativo cosicché, qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi (sez. 4, n. 2494 del 3712/2009, dep. 2010, Castelletti, Rv. 246162-01). Costituisce infatti principio consolidato quello secondo il quale, ove un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi (Sez. U, n. 1003 del 23/11/1990, dep. 1991, Tescaro, Rv. 186372-01). Il principio è stato successivamente ripreso, riconoscendosi la responsabilità del venditore allorquando, pur essendo conoscibile la non conformità del macchinario alle prescrizioni in tema di sicurezza, egli non si sia attivato per eliminare la difformità prima della vendita (sez. 4, n. 35295 del 23/4/2013, Bendotti, Rv. 256399-01, in fattispecie in cui e stata riconosciuta la responsabilità per omicidio colposo del venditore di una minipala in abbinamento con una benna miscelatrice, capovoltasi addosso ad uri operaio per l'eccessivo carico, in assenza di adeguate indicazioni, con tacche o segni nella benna, dei livelli massimi di possibile riempimento; n. 36445 del 8/4/2014, Mangherini, Rv. 262089-01, in ipotesi di responsabilità del venditore di un immobile, il quale aveva consegnato il bene senza verificare la conformità alla normativa in tema di impianti a gas, in relazione alla morte di un familiare degli acquirenti conseguente ad una esplosione innescata dalla fuoriuscita di sostanza gassosa; n. 18139 del 14/5/2012, Perrone, Rv. 253771-01, ove si è affermato che risponde del reato di lesioni derivanti da infortunio sul lavoro per effetto dell'uso di un macchinario anche il venditore del macchinario medesimo ove l'infortunio sia riconducibile alla inadeguatezza dei congegni antinfortunistici, senza che possa rilevare, a discolpa del venditore stesso, la presenza di una formale certificazione attestante la rispondenza del macchinario alle prescritte misure di sicurezza).

5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.

Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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