Considerato in diritto
1. Il ricorso va rigettato.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3. Le censure che attaccano il ragionamento giustificativo non sono precedute da un effettivo confronto con la decisione impugnata: la difesa ha ritenuto che la decisione si fondasse sulla mancata verifica del comportamento imprudente della vittima, ma ha omesso di considerare che i giudici del merito hanno ritenuto lo stesso del tutto irrilevante, dal momento che la condotta contestata era quella di aver venduto e messo in circolazione un bene intrinsecamente pericoloso, siccome non dotato di un presidio di sicurezza basilare. La difesa ha, poi, allegato, contrariamente a quanto emerso dalla istruttoria e ritenuto, con decisione conforme dei giudici del doppio grado di merito, una asserita modifica strutturale del macchinario alla quale ricondurre l'evento, senza considerare che lo stesso era stato diretta conseguenza della mancanza di quel presidio che avrebbe scongiurato lo schiacciamento dell'operatore, non avendo trovato alcuna conferma l'assunto difensivo secondo il quale la discesa del braccio era stata conseguenza dell'attività di modifica, qualunque intervento su quel mezzo essendo stato esposto a quel rischio proprio per la mancanza del dispositivo atto a scongiurarlo anche in presenza di una attività imprudente dell'utilizzatore.
In ogni caso, il ragionamento esplicativo contenuto nella sentenza impugnata (da leggersi necessariamente in uno con quello svolto dal giudice nella sentenza appellata, stante la conformità dei due giudizi), sia quanto alla regola violata che alla condotta dell'utilizzatore, è stato saldamente agganciato alle risultanze emerse dal compendio probatorio debitamente richiamato. La difesa, in termini di semplice dissenso, ha affermato la maggior plausibilità della tesi difensiva o l'introduzione di un ragionevole dubbio che avrebbe imposto un verdetto assolutorio.
3.1. A fronte di ciò, non può che ribadirsi l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacita dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Sono, cioè, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482; n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099); e sono, dunque, inammissibili le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, cosi come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747).
Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
4. Il secondo e il terzo motivo sono infondati.
Quanto alla individuazione della regola cautelare, la Corte ha ritenuto fondata la censura difensiva con la quale si era rilevata la qualità della vittima, non tutelata ai sensi degli artt. 128 e ss. del d.l. n. 206/2005 (codice del consumo). Ciò, tuttavia, non avrebbe escluso l'applicabilità degli artt. 1490 e 1491, cod. civ., il venditore dovendo comunque consegnare all'acquirente, professionale o privato che sia, un bene che possieda i requisiti di sicurezza prescritti dalla normativa, ciò valendo a maggior ragione per il gestore di una ditta specializzata nel commercio di macchinari da lavoro, anche in conformità alla regola di cui all'art. 6, comma 2, d. Lgs. n. 626/94.
Ora, premesso che era stata contestata all'imputato anche una colpa generica, nella specie la Corte ha ritenuto che la condotta contestata costituisse violazione anche di regole cautelari specifiche, per avere il A.A., titolare di ditta specializzata nel commercio di macchinari da lavoro, fornito al C.C. un macchinario non conforme alle norme di sicurezza, contravvenendo anche agli obblighi che il codice civile impone al venditore. Ciò non si è tradotto in una violazione del principio di correlazione, poiché la condotta addebitata e rimasta la stessa rispetto a quella descritta in fatto nella stessa imputazione (violazione, invero, che non ha neppure formato oggetto di un articolato motivo di ricorso, essendosi la difesa genericamente limitata ad affermate il rinvio a elementi normativi diversi rispetto a quelli indicati nella imputazione e a stigmatizzare l'intervenuta abrogazione della norma di riferimento a opera del d. Lgs. n. 81/2008).
In effetti, come precisato dalla difesa, la norma della cui violazione si discute va ravvisata più correttamente in quella che fa carico al fabbricante e al fornitore di macchinari di mettere in circolazione attrezzature di lavoro, dispositivi individuali ed impianti rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 23 d. Lgs. n. 81/2008), ma si tratta di norma che riproduce esattamente l'abrogato art. 6, comma 2, d. Lgs. n. 626/1994, erroneamente richiamato dalla Corte d'appello. Errore che non inficia il ragionamento esplicativo svolto.
In ogni caso e risolutivamente, a prescindere dal rinvio alle norme del codice civile sulla vendita, nella specie la morte è stata conseguenza dell'impiego di un macchinario ad uso lavorativo cosicché, qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi (sez. 4, n. 2494 del 3712/2009, dep. 2010, Castelletti, Rv. 246162-01). Costituisce infatti principio consolidato quello secondo il quale, ove un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi (Sez. U, n. 1003 del 23/11/1990, dep. 1991, Tescaro, Rv. 186372-01). Il principio è stato successivamente ripreso, riconoscendosi la responsabilità del venditore allorquando, pur essendo conoscibile la non conformità del macchinario alle prescrizioni in tema di sicurezza, egli non si sia attivato per eliminare la difformità prima della vendita (sez. 4, n. 35295 del 23/4/2013, Bendotti, Rv. 256399-01, in fattispecie in cui e stata riconosciuta la responsabilità per omicidio colposo del venditore di una minipala in abbinamento con una benna miscelatrice, capovoltasi addosso ad uri operaio per l'eccessivo carico, in assenza di adeguate indicazioni, con tacche o segni nella benna, dei livelli massimi di possibile riempimento; n. 36445 del 8/4/2014, Mangherini, Rv. 262089-01, in ipotesi di responsabilità del venditore di un immobile, il quale aveva consegnato il bene senza verificare la conformità alla normativa in tema di impianti a gas, in relazione alla morte di un familiare degli acquirenti conseguente ad una esplosione innescata dalla fuoriuscita di sostanza gassosa; n. 18139 del 14/5/2012, Perrone, Rv. 253771-01, ove si è affermato che risponde del reato di lesioni derivanti da infortunio sul lavoro per effetto dell'uso di un macchinario anche il venditore del macchinario medesimo ove l'infortunio sia riconducibile alla inadeguatezza dei congegni antinfortunistici, senza che possa rilevare, a discolpa del venditore stesso, la presenza di una formale certificazione attestante la rispondenza del macchinario alle prescritte misure di sicurezza).
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.