Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 43462 | 21 Settembre 2017
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Cassazione Penale Sez. 4 del 21 settembre 2017, n. 43462
"Solaio effimero" e infortunio mortale con un miniescavatore. Responsabilità del committente e ruolo di un direttore dei lavori
Penale Sent. Sez. 4 Num. 43462 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DI SALVO EMANUELE
Data Udienza: 18/05/2017
1. M.A. e F.G. ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, nella parte in cui è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen., per avere cagionato la morte di P.DP., incaricato di movimentare del terreno, nonostante i volumi abusivamente realizzati al di sotto di esso non fossero stati riempiti e il solaio fosse stato sostituito da un piano non in materiale edilizio ma costituito da polistirolo e fuscelli, ponendo, al di sotto di essi, assi di legno. La suddetta fragile copertura non aveva retto al peso del miniescavatore condotto dalla persona offesa, crollando nel volume preesistente, al di sotto, non colmato, e provocando così il precipitare verso il basso dell' escavatore e la morte del P.DP..
2. M.A. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché non è stato effettuato alcun accertamento inerente all'ipotesi dell'esistenza del cosiddetto "solaio effimero". Del resto, la tesi della caduta dell' escavatore a causa del "solaio effimero" è smentita dalle risultanze autoptiche, da cui emerge un complesso lesivo di entità non rilevante. Peraltro, anche il P.DP., titolare di un'impresa specializzata nel movimento terra, era tenuto a verificare la pericolosità dello stato dei luoghi e aveva l'obbligo del montaggio del tettuccio, di cui non è stata trovata traccia, o della cabina sull'escavatore, dovendo operare su un terreno che era caratterizzato dalla presenza di buche e di svariate irregolarità. Del resto, il P.DP. lavorava senza alcun vincolo di subordinazione rispetto al M.A., che era soltanto il committente e non il datore di lavoro.
2.1. È stato ravvisato un concorso di colpa del P.DP., nella misura del 20%, ma non è stata, per l'effetto, diminuita la pena.
2.2. L'art. 181, comma 1 bis, d.l. n. 42 del 2004 è stato dichiarato, in parte, costituzionalmente illegittimo da Corte cost. 23-3-2016, n. 56, per cui va annullata la condanna per questo reato e diminuita la pena complessivamente inflitta. In subordine, la fattispecie concreta in esame può essere ricondotta alla contravvenzione di cui al comma 1 dell'art. 181, che è prescritta.
3. F.G. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto egli non rivestiva la qualità di responsabile dei lavori e comunque tale qualifica non comporta automaticamente la responsabilità della sicurezza sul lavoro, ben potendo l'incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica sull'esecuzione del progetto, poiché il direttore dei lavori, per conto del committente, è tenuto soltanto alla vigilanza sulla fedele esecuzione del capitolato di appalto. Nè il ricorrente aveva ricevuto deleghe in materia antinfortunistica dal committente. Nemmeno è stata dimostrata un'ingerenza del direttore dei lavori nell'organizzazione del cantiere.
3.1. Ancor meno vi è prova che il ricorrente abbia progettato la realizzazione del cosiddetto "solaio effimero", che costituisce frutto di una condotta, da qualificarsi abnorme, tenuta dal M.A. e non ascrivibile al F.G., che aveva invece previsto il riempimento del vano realizzato abusivamente dal M.A.. Quest'ultimo ha eseguito i lavori di ripristino con modalità individuate in modo del tutto autonomo e al di fuori di ogni prevedibilità da parte del F.G., realizzando il cosiddetto "solaio effimero" all'insaputa del direttore dei lavori, onde il nesso causale è da ritenersi interrotto. Per attribuire al ricorrente una condotta negligente occorreva almeno dimostrare che il F.G. fosse al corrente dell'avvio dei lavori ma tale prova non vi è, anche perché, allorquando il dissequestro venga ordinato dall'autorità giudiziaria, il controllo circa l'effettiva eliminazione delle opere abusive non è demandato al tecnico di parte ma al tecnico comunale nonché alla polizia giudiziaria. Ad ogni modo, la verifica dell'esecuzione delle opere di ripristino sarebbe stata effettuata all'esito dei lavori e dunque l'imputato non si sarebbe mai potuto avvedere della presenza del "solaio effimero". Tale circostanza deve quindi indurre a ritenere che il M.A. abbia taciuto al direttore dei lavori l'inizio delle attività di ripristino proprio per evitare che costui potesse contestarne le modalità esecutive. E comunque il direttore dei lavori non era consapevole delle finalità perseguite dal M.A..
3.2. In ogni caso, il riferimento agli obblighi di vigilanza che incombono sul direttore dei lavori è estraneo alla contestazione. L'imputato è stato infatti citato a giudizio per rispondere di una condotta colposa che gli è stata addebitata quale responsabile dei lavori, ai sensi della normativa antinfortunistica, ed è stato invece condannato per la violazione degli obblighi che la normativa urbanistica ascrive al direttore dei lavori.
3.3. I giudici di merito, pur avendo ritenuto sussistente il concorso di colpa della vittima, non hanno indicato i criteri sulla base dei quali hanno quantificato questo concorso di colpa nella misura del 20%.
3.4. Con i motivi di appello era stato espressamente richiesto il beneficio di cui all'art. 175 cod. pen. ma tale istanza è stata ignorata dal giudice a quo, che non ha spiegato le ragioni sulla base delle quali ha ritenuto di non concedere tale beneficio.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
l. Il primo motivo del ricorso del M.A. è Infondato. Costituisce Infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6 , n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7¬2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli).
1.1. Nel caso In disamina, il giudice a quo ha evidenziato che l'attività della vittima si svolgeva su un piano privo della consistenza idonea a sopportare il peso del veicolo utilizzato. Infatti, al di sotto della zona riempita vi era un vuoto, delimitato da un solaio, realizzato con supporti metallici, fatti ad asta, su cui erano poste delle cannucce e, al di sopra di queste, dei fogli di polistirolo. Il P.DP. operava su tale superficie instabile, che crollò, provocando lo sprofondamento e il ribaltamento del mezzo, anche perché il riscontrato riempimento era stato effettuato con materiale di risulta non particolarmente pesante, destinato ad esser quindi solo superficialmente cosparso di terreno, onde realizzare l'apparenza di un ripristino conforme alle indicazioni contenute nell'autorizzazione comunale. Il M.A. - precisa il giudice a quo -, in veste sia di committente che di gestore dell'impresa esecutrice dei lavori e di responsabile del cantiere, era tenuto a predisporre condizioni idonee per l'intervento del P.DP., in modo da assicurare sia la solidità del piano di lavoro su cui quest'ultimo doveva operare sia un'adeguata informazione in ordine alla consistenza e alle caratteristiche dei luoghi, eventualmente delimitando le zone di pericolo. Il primo dei due obblighi rimase inadempiuto, attese le condizioni della superficie di lavoro. Ma - argomenta la Corte territoriale - non vi è nemmeno prova dell'adempimento del secondo degli obblighi indicati, non essendovi elemento alcuno in merito a disposizioni impartite, in presenza di una situazione così insidiosa, al P.DP., onde renderlo edotto della presenza del "solaio effimero". È peraltro evidente, sulla base del complessivo stato dei luoghi, come l'attività sia stata svolta senza alcuna reale programmazione, in maniera palesemente carente, sotto il profilo tecnico, e volutamente inadempiente alla pur sintetica relazione tecnica depositata in sede di comunicazione di inizio dei lavori, essendo perciò più che prevedibile il verificarsi dell'infortunio. Tanto più che - aggiunge il giudice a quo -, considerate le piccole dimensioni del mezzo e la collocazione verso l'esterno della parte ancora da riempire, appare davvero improbabile che il veicolo potesse lavorare rimanendo ad una distanza di sicurezza dal bordo dello scavo, essendo perciò ancora più cogente il dovere di informazione sulle caratteristiche dei luoghi nonché la valutazione della Idoneità del piano di lavoro. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto Idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
2. Anche il secondo motivo del ricorso del M.A. è infondato. La Corte d'appello non è entrata nel merito della quantificazione del risarcimento del danno, avendo confermato le statuizioni civili emesse dal primo giudice, il quale aveva demandato a un separato giudizio la determinazione del quantum, limitandosi a stabilire una provvisionale di euro 40.000, che il giudice di appello, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, ha ritenuto largamente inferiore al complessivo danno subito. La valutazione dell'incidenza del concorso di colpa della persona offesa, individuato dai giudici di merito nella misura del 20%, andrà dunque effettuata nell'ambito del giudizio civile di liquidazione del danno.
3. E' fondato invece il terzo motivo di ricorso. La Corte costituzionale, con sentenza n. 56 del 23 marzo 2016, ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 1 bis del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1 della medesima disposizione ricadano su aree o immobili che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico, con apposito provvedimento, emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori, oppure su aree o immobili tutelati, per legge, ai sensi dell'art. 142 del medesimo decreto. Per effetto di tale sentenza, integra la contravvenzione prevista dal comma 1 di detto articolo ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per legge, configurandosi invece il delitto previsto dal successivo comma 1-bis nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati (Cass., Sez. 3, n. 33047 del 19/04/2016, Rv. 268033; Cass., n. 15751 del 2016, Rv. 266588). La condotta ascritta al M.A. rientra dunque nell'ambito di applicabilità dell'art. 181, comma 1, d. lgs. n. 42 del 2004, norma che prevede un reato che, essendo di natura contravvenzionale, è estinto per prescrizione. Si impone pertanto un pronunciamento rescindente sul punto, con rinvio alla Corte d'appello per rideterminazione della pena.
4. Il primo motivo del ricorso del F.G. è fondato. Il giudice a quo ha infatti posto in rilievo che l'imputato risulta aver sottoscritto la relazione tecnica e la comunicazione di inizio dell' attività relativa ai lavori di ripristino. In quest'ultima veniva esplicitato che i lavori sarebbero stati diretti dal geometra F.G.. Al F.G. va dunque attribuita la qualifica di direttore dei lavori. Il direttore dei lavori è il soggetto incaricato dal committente di curare l'esatta esecuzione dei lavori stessi. Egli dunque svolge normalmente un'attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto, nell'interesse del committente (Cass., Sez. 4, n. 1300 del 20-11-2014, Martucci; Sez. 4, 12-12-2014, Zoni; Sez. 4, 15-1-2014, Gebbia). Dunque la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro, ben potendo l'incarico di direttore dei lavori limitarsi alla predetta sorveglianza tecnica, inerente alla fedele esecuzione del capitolato di appalto. Destinatari delle norme antinfortunistiche sono infatti i datori di lavoro, I dirigenti e i preposti mentre il direttore dei lavori, per conto del committente, è tenuto alla vigilanza sulla corretta esecuzione del progetto, nell'Interesse del committente stesso, e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche, ove non venga accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano dimostrare, in modo inequivoco, l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Cass., Sez. 4, n. 29792 del 1-6-2015, Pracanica).
Nel caso di specie, dalla motivazione della sentenza impugnata si desume che il M.A. era sia il proprietario dell'area nella quale avvenne l'Infortunio; sia l'autore delle opere edilizie abusive; sia il committente del lavori di ripristino; sia il gestore dell'impresa esecutrice; sia il responsabile del cantiere. In particolare, la concentrazione in capo al medesimo soggetto dei ruoli di committente e di gestore dell'impresa esecutrice delle opere rendeva inutile la figura del direttore dei lavori, poiché era lo stesso committente ad eseguire il progetto elaborato nel suo interesse. Alla luce di tali dati, il giudice a quo, lungi dal poter "prescindere dal coinvolgimento del F.G. nell'attività organizzativa del cantiere", come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello, avrebbe dovuto chiarire le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la prospettazione difensiva secondo la quale l'attribuzione della qualifica all'imputato avvenne solo formalmente ma non vi fu alcuna effettiva ingerenza nell'attività esecutiva, da parte del F.G.. Qualora infatti la prospettazione difensiva sia estrinsecamente riscontrata da alcuni dati oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l'inattendibilità, attraverso un adeguato apparato argomentativo. Più in generale, occorre osservare come il giudice sia tenuto ad interrogarsi in merito alla plausibilità di spiegazioni alternative alla prospettazione accusatoria, qualora esse vengano additate dall'oggettività delle acquisizioni probatorie. La regola di giudizio compendiata nella formula dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" impone infatti al giudicante l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria, volto a superare l'eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest'ultima, derivanti, ad esempio, da autocontraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi, come nel caso in disamina, all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità (Cass., Sez. l,n,4111 del 24-10-2011, Rv. 251507) . Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità , in conformità al canone dell'« oltre il ragionevole dubbio», soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e dell'ordinaria razionalità umana (Sez. 1 n. 17921 del 3-3-2010, Rv. 247449 ; Sez. 1 n. 23813 del 8-5¬2009, Rv. 243801; Sez. 1, n. 31456 del 21-5-2008, Rv. 240763). La condanna al di là di ogni ragionevole dubbio implica che, laddove venga prefigurata una ipotesi alternativa, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta, in modo che risulti l'irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell'ipotesi alternativa stessa (Cass., Sez. 4, n.30862 del 17-6-2011, Rv. 250903 ; Sez. 4, n. 48320 del 12-11-2009, Rv. 245879 ).
Dunque, sulla base dei criteri appena esposti, il giudice di merito avrebbe dovuto ricostruire, con precisione, l'accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali, e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale, potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale (Cass., 25-6-1996, Cotoli, Rv. 206131), facendo uso di massime di esperienza consolidate e affidabili e non di mere congetture. Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità e sulla base di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti (Sez. U., 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767).
Si impone, pertanto, relativamente alla problematica in esame, un pronunciamento rescindente. Tale epilogo decisorio determina l'ultroneità della disamina delle ulteriori doglianze dedotte dal F.G..
5. La sentenza impugnata va dunque annullata nei confronti di M.A., in ordine al reato di cui all'art. 181, comma 1, d. Igs. n. 42 del 2004- così modificata l'originaria imputazione - perché il reato è estinto per prescrizione, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli per la nuova determinazione della pena. Il ricorso del M.A. va invece rigettato nel resto. La sentenza impugnata va invece annullata nei confronti di F.G., con rinvio alla Corte d'appello di Napoli, per nuovo esame.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.A. in ordine al reato di cui all'art. 181, comma 1, d. lgs. n. 42 del 2004- così modificata l'originaria imputazione- perché il reato è estinto per prescrizione. Rinvia alla Corte d'appello di Napoli per la nuova determinazione della pena.
Annulla la stessa sentenza nei confronti di F.G., con rinvio alla Corte d'appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 18-5-2017.
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