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Cassazione Civile Sez. 3 n. 2395 | 03 Febbraio 2020

ID 10058 | | Visite: 2021 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/10058

Sentenze cassazione civile

Cassazione Civile, Sez. 3 del 03 febbraio 2020 n. 2395

Infortunio durante l'utilizzo di un macchinario. Responsabilità della società produttrice del macchinario

Civile Sent. Sez. 3 Num. 2395 Anno 2020
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: TATANGELO AUGUSTO
Data pubblicazione: 03/02/2020

Rilevato
G.B. ha agito in giudizio nei confronti di SGM S.r.l. per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un infortunio sul lavoro avvenuto mentre utilizzava un macchinario prodotto da tale società.
La società convenuta, avendo dedotto, tra l'altro, che la responsabilità dell'infortunio era in realtà imputabile alla società datrice di lavoro dell'attore (Daima di Davide F. & C. S.a.s.), ha chiesto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quest'ultima, ai sensi dell'art. 102 c.p.c.. L'istanza non è stata accolta. Nel corso del giudizio è intervenuto l'INAIL chiedendo alla società convenuta la restituzione degli importi erogati al lavoratore a titolo di indennità.
Le domande dell'attore e dell'istituto intervenuto sono state accolte dal Tribunale di Milano.
La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ridotto l'importo liquidato a titolo di risarcimento del 30%.
Ricorre la SGM S.r.l., sulla base di sette motivi.
Resiste con controricorso l'INAIL.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l'altro intimato. La società ricorrente ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore nonché memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Considerato
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Lesione del litisconsorzio necessario - violazione dell'art. 102 cpc (SS.UU n. 22776/2012)».
Con il secondo motivo si denunzia «Segue. Nullità del procedimento di II grado».
I primi due motivi del ricorso costituiscono espressione della medesima censura; possono quindi essere esaminati congiuntamente.
La società ricorrente deduce di avere indicato, nelle proprie difese, il datore di lavoro dell'attore come esclusivo responsabile del danno da questi subito e sostiene che ciò avrebbe determinato la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con tale soggetto; non essendo stato il contraddittorio integrato nei confronti dello stesso, ne fa discendere la violazione dell'art. 102 c.p.c. e la nullità dell'intero giudizio, di primo e secondo grado.
Le censure sono infondate.
Nel caso in cui il convenuto in un giudizio risarcitorio prospetti l'esclusiva responsabilità di un terzo per il danno allegato dall'attore, non si determina affatto una ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c. con il terzo indicato quale responsabile.
Il convenuto stesso può eventualmente chiederne la chiamata in causa ai sensi dell'art. 106 c.p.c. ovvero detta chiamata può essere eventualmente disposta dal giudice, nell'esercizio di una sua facoltà discrezionale non sindacabile in sede di impugnazione, ai sensi dell'art. 107 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6208 del 13/03/2013, Rv. 625938 - 01: «la contestazione della legittimazione passiva da parte del convenuto, con l'indicazione di un terzo quale soggetto effettivamente legittimato danno luogo ad un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, dal quale deriva a carico del giudice solo la facoltà, non sindacabile in sede di gravame, presupponendo una valutazione discrezionale, di ordinare la chiamata in causa del terzo, ai sensi dell'art. 107 c.p.c.»-, conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22596 del 01/12/2004, Rv. 579364 - 01; Sez. L, Sentenza n. 4129 del 22/03/2002, Rv. 553204 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 7083 del 22/06/1995, Rv. 493031 - 01).
Solo laddove effettivamente avvenga la chiamata in giudizio del terzo, peraltro, si determina (non una ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c., ma una ipotesi di inscindibilità di cause, per dipendenza, e quindi di litisconsorzio necessario meramente processuale (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4722 del 28/02/2018, Rv. 647631 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 11946 del 08/08/2003, Rv. 565766 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 13397 del 29/10/2001, Rv. 549891 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 3114 del 01/04/1999, Rv. 524813 - 01).
Quanto sin qui osservato è sufficiente a dar conto dell'infondatezza delle censure di cui ai motivi di ricorso in esame, formulate esclusivamente sulla base della deduzione dell'insussistente violazione dell'art. 102 c.p.c..
È peraltro opportuno osservare (anche per completezza espo-sitiva) che la società ricorrente non chiarisce in modo sufficientemente specifico se, costituendosi tempestivamente, aveva chiesto la chiamata in causa del datore di lavoro dell'attore, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., per sostenere l'esclusiva o concorrente responsabilità di quest'ultimo e/o per essere manlevata e, tanto meno, precisa se aveva ritualmente chiesto a tal fine lo spostamento dell'udienza al giudice istruttore, come previsto dall'art. 269 c.p.c. (richiesta di differimento la cui omissione determina la decadenza del convenuto dalla facoltà di chiamare in causa il terzo: cfr. Cass., Sez. 6 - 3, Sentenza n. 10579 del 07/05/2013, Rv. 626173 - 01).
Dunque il ricorso, anche a volerlo intendere come volto a censurare la mancata autorizzazione alla chiamata del terzo, non potrebbe ritenersi ammissibile, per un palese difetto di specificità nell'allegazione del carattere decisivo della doglianza.
2. Con il terzo motivo si denunzia «Omessa pronuncia circa l'ammissibilità della querela di falso presentata in primo grado da SGM».
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente deduce di avere proposto querela di falso in primo grado, in relazione ad un verbale di intervento della ASL avente ad oggetto il macchinario difettoso: riferisce che sia l'istruttore, sia il tribunale, nella sentenza di primo grado, avevano ritenuto la querela irrilevante; sostiene che il proprio specifico motivo di appello sul punto non sarebbe stato esaminato in secondo grado.
Orbene, deve in primo luogo rilevarsi che, nelle conclusioni rassegnate in appello dalla ricorrente (che risultano trascritte nell'epigrafe della sentenza impugnata), non vi è alcun cenno né alla richiesta istruttoria relativa all'ammissione della querela di falso né al relativo motivo di gravame.
D'altra parte, anche tenuto conto del costante indirizzo di questa Corte secondo cui il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali, quale certamente è quella in esame (ex multis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10422 del 15/04/2019, Rv. 653579 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 25154 del 11/10/2018, Rv. 651158 - 01; Sez. 2, Ordinanza n. 1876 del 25/01/2018, Rv. 647132 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013, Rv. 628214 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009, Rv. 606407 - 01), è assorbente la considerazione che la censura difetta di specificità, in quanto essa, per come è formulata, non consente di apprezzare adeguatamente i termini della effettiva rilevanza della querela di falso avanzata.
La ricorrente si limita ad affermare che aveva contestato il contenuto del verbale della ASL, ma non richiama puntualmente il contenuto di tale verbale ed il tenore della querela, con le specifiche contestazioni avanzate in relazione ad esso, né precisa in modo adeguato le ragioni della affermata rilevanza delle suddette contestazioni ai fini della decisione.
Orbene, le censure concernenti la violazione dei "principi regolatori del giusto processo" e cioè delle regole processuali di cui all'art. 360 n. 4 c.p.c., devono avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia; in mancanza esse sono inammissibili (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22341 del 26/09/2017, Rv. 646020 - 03).
Inoltre, l'accertamento della ammissibilità e della concludenza della querela di falso, avendo carattere meramente strumen-tale, è riservato esclusivamente al giudice del merito e non può essere autonomamente impugnato in Cassazione (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1333 del 03/02/1993, Rv. 480660 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 12399 del 28/05/2007, Rv. 597512 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 5102 del 13/03/2015, Rv. 634640 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 4310 del 26/03/2002, Rv. 553280 - 01).
Il motivo di ricorso in esame va pertanto dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 360 bis, n. 2, c.p.c..
3. Con il quarto motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione dell'art. 120, D. Lgs. 206/2005 in tema di onere della prova».
Con il settimo motivo si denunzia «Omesso esame del fatto che i macchinari fabbricati da SGM Srl non sono prodotti in serie».
Il quarto ed il settimo motivo del ricorso sono connessi, in quanto riguardano entrambi la prova del difetto del macchinario e del nesso di causa tra tale difetto ed il danno subito dall'attore; possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati. 
Secondo la società ricorrente l'attore non avrebbe fornito adeguata prova del difetto del macchinario da essa prodotto, nonché del nesso di causa tra il preteso difetto dello stesso e i danni da lui riportati. Sarebbe, in tal senso, decisiva la circostanza che gli accertamenti del consulente tecnico di ufficio avevano avuto luogo su un macchinario diverso da quello che aveva causato l'incidente e che, erroneamente, la corte territoriale aveva ritenuto trattarsi di macchine prodotte in serie.
Le censure in esame, sebbene denuncino la violazione della disciplina normativa che regola l'onere della prova e l'omesso esame di un fatto decisivo, in realtà si risolvono, nella sostanza, in contestazioni relative ad accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e sostenuti da adeguata motivazione (non apparente e non insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede) nonché nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.
In realtà va esclusa qualunque violazione - in diritto - della disciplina normativa sull'onere della prova, correttamente applicata dalla corte territoriale, la quale ha ritenuto - in fatto - che l'attore avesse provato sia il difetto del macchinario sia il nesso di causa tra tale difetto ed il danno subito.
Inoltre, il fatto di cui la società ricorrente lamenta l'omesso esame, oltre ad essere in realtà preso espressamente in considerazione dai giudici del merito, non può in alcun modo ritenersi decisivo.
La corte di appello ha infatti chiaramente dato atto che il macchinario che aveva dato luogo all'Incidente era stato esaminato e fotografato ("da fermo”, cioè non in funzione) dal consulente tecnico di ufficio e che tale esame aveva evidenziato il difetto ritenuto causa del danno. Ha inoltre adeguatamente chiarito il motivo per cui ha ritenuto rilevante la consulenza operata su un diverso, (anche se identico o, quanto meno, analogo) macchinario, peraltro messo spontaneamente a disposizione dalla stessa convenuta (l'accertamento aveva ad oggetto determinate caratteristiche proprie dell'ordinario funzionamento dell'apparato, che non richiedevano di operare la verifica sulla specifica macchina che aveva causato il danno). Esaminando nel complesso la motivazione della sentenza impugnata, emerge d'altronde con evidenza che l'inciso sulla produzione in serie dei macchinari in questione non ha in realtà un concreto ed effettivo rilievo ai fini della decisione: la suddetta motivazione resta cioè adeguata a dare conto del percorso argomentativo posto alla base del giudizio di fatto, anche a prescindere da tale inciso.
4. Con il quinto motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione dell'art. 122 D. Lgs. 206/2005 in tema di esclusiva responsabilità del danneggiato».
Con il sesto motivo si denunzia «Omesso esame del fatto che il danneggiato si è volontariamente esposto al pericolo».
Il quinto ed il sesto motivo sono connessi - avendo entrambi ad oggetto il concorso di colpa del danneggiato - e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Anche questi motivi sono infondati.
La corte territoriale, all'esito della valutazione delle prove, ha ritenuto - in fatto - che non era stata fornita la dimostrazione che il G.B. fosse consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e che si fosse volontariamente esposto a detto pericolo. Ha peraltro effettivamente ritenuto che vi fosse un suo concorso di colpa, riducendo notevolmente il risarcimento (del 30%) allo stesso riconosciuto, per aver tenuto una condotta gravemente imprudente.
Anche in questo caso le censure, sebbene sia denunciata una (del tutto insussistente) violazione di legge e l'omesso esame di un fatto decisivo, in realtà si risolvono nella contestazione degli indicati accertamenti di fatto operati dai giudici di merito i quali, in quanto sostenuti da adeguata motivazione (non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico) non sono censurabili in sede di legittimità, nonché nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.
5. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.

P.Q.M.
La Corte:
- rigetta il ricorso;
- condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell'ente controricorrente, liquidandole in complessivi € 6.000.00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (ri-getto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 10 sette 1 2019.

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Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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